Beato Leopoldo da Alpandeire Marquez Sanchez Cappuccino
9 febbraio
“Vedi, fratello, diventiamo religiosi per allontanarci dal mondo, e ora
finiamo perfino sui giornali”, fu il commento che fece fra' Leopoldo da
Alpandeire Marquez Sánchez (1864 –
1956) a un confratello nel suo 50° anniversario di vita religiosa, fatto
che venne riportato da alcuni giornali della sua città.
Oggi, a più
di mezzo secolo dalla sua morte, questo umile frate cappuccino, con la
barba bianca e lo sguardo sereno, torna a fare notizia: sarà beatificato
questa domenica 12 settembre 2010 a Granada in una cerimonia presieduta
da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause
dei Santi, in rappresentanza di Papa Benedetto XVI.
“La sua santità
non ha consistito nel realizzare grandi opere sociali, creando ospedali o
grandi ONG”, ha detto parlando a ZENIT di fra' Leopoldo il suo
vicepostulatore, padre Alfonso Ramírez Peralbo OFMCap. “Non apparteneva a
dinastie nobili, non parlava da cattedre o pulpiti, perché non brillava
per il suo sapere. Non aveva neanche lasciato il suo convento per
diventare missionario in terre lontane”.
Per padre Ramírez, fra'
Leopoldo ha raggiunto la santità nelle piccole cose: “Faceva ogni cosa
come se fosse la prima volta. Era quella freschezza di ogni suo atto,
ripetuto in modo monotono, che dava un senso soprannaturale e riempiva
tutta la sua vita”.
Oggi i pellegrini che visitano ogni anno la
tomba di fra' Leopoldo sono oltre 800.000. “Credo che questo dica
tutto”, ha commentato il vicepostulatore.
Per la beatificazione di
questo frate si attende la presenza di circa 300.000 fedeli provenienti
da varie località, soprattutto dal sud della Spagna, dove la devozione
nei suoi confronti è maggiore. La cantante andalusa Rosa López aprirà la
cerimonia con il canto dell'Ave Maria, accompagnata dal pianista
Alfonso Berrío.
Infanzia e gioventù piene di pietà
Francisco Tomás, il suo nome di battesimo, nacque ad Alpandeire, un
piccolo paese situato all'estremità della serra di Jarestepar, a sud di
Ronda, nella provincia di Málaga.
Da piccolo allevava pecore e capre
e coltivava la terra, compiti che svolgeva mentre recitava il rosario.
“Chi lo ha conosciuto racconta che quando diceva 'Ave Maria, piena di
grazia' sembrava che stesse vedendo e parlando con Nostra Signora”, ha
riferito padre Ramírez.
Fin da piccolo coltivò virtù come la
generosità e il distacco dai beni: “Condivideva la sua merenda con altri
pastorelli più poveri di lui, dava le proprie scarpe a un povero che ne
aveva bisogno o consegnava il denaro guadagnato nella vendemmia di
Jerez ai poveri che incontrava sulla via del ritorno”, ha aggiunto il
vicepostulatore.
Vocazione di cappuccino
Francisco
Tomás scoprì la sua vocazione dopo aver ascoltato la predicazione di due
cappuccini a Ronda nel 1894, per celebrare la beatificazione del
cappuccino fra' Diego José de Cádiz.
A 35 anni vestì l'abito nel
convento di Siviglia, cambiando il proprio nome da Francisco Tomás a
Leopoldo, secondo gli usi dell'Ordine. “Il suo ingresso nella vita
religiosa non fu una conversione clamorosa, non rappresentò un
cambiamento radicale della sua vita. Fu solo un sublimare impegni e
atteggiamenti coltivati fino a quel momento”, ha spiegato padre Ramírez.
“Il suo amore per Dio, la preghiera, il lavoro, il silenzio, la
devozione per la Vergine e la penitenza caratterizzavano già la sua
vita”, ha rimarcato. “La croce e la passione di Cristo sarebbero stati
da quel momento oggetto di meditazione e imitazione”.
Il 16 novembre
1900 fece la sua prima professione; da allora si dedicò all'orto nei
conventi di Siviglia, Antequera e Granada. Il 23 novembre 1903 emise a
Granada i voti perpetui.
La strada, il suo nuovo chiostro
Nel 1914 fra' Leopoldo si recò di nuovo a Granada, dove rimase fino
alla morte e ricevette l'incarico di elemosiniere. “Da quel momento le
montagne, le valli, le vie polverose, le strade sarebbero state il
tempio e il chiostro della sua vita cappuccina”, ha raccontato padre
Ramírez.
Nonostante la sua grande sensibilità per la vita
contemplativa, il contatto con gli uomini divenne il suo nuovo mezzo per
raggiungere la santità. Lungi dal distrarlo, ciò lo aiutava a uscire da
se stesso. “Fu un'occasione per caricare su di sé il peso degli altri,
per comprendere, aiutare, servire, amare. Era, come ha detto un suo
devoto, 'distinto ma non distante'”.
Lo si vedeva per le strade a
piedi nudi, lo sguardo rivolto verso il cielo e il rosario in mano.
Attirava così l'attenzione e l'aiuto dei passanti. Ogni volta che
riceveva un'elemosina recitava tre Ave Maria. “Solo ascoltarle, dicono
alcuni, faceva venire i brividi”, ha segnalato padre Alfonso grazie alle
testimonianze che ha raccolto come vicepostulatore.
Durante la
persecuzione religiosa spagnola del 1936, fra' Leopoldo non fu esente da
calunnie o rifiuti: “Ricevette insulti e minacce di morte. Quasi tutti i
giorni lo prendevano a sassate, e una volta sfuggì alla lapidazione
perché alcuni uomini intervennero in sua difesa”.
Nel 1953 cadde
dalle scale, fratturandosi il femore. Riprese a camminare con l'aiuto di
due bastoni. “Così poté dedicarsi totalmente a Dio, che era stato
l'unica passione della sua vita”, ha detto il vicepostulatore.
Fra'
Leopoldo morì 9 febbraio 1956. “La notizia provocò un grido di dolore
che da ogni angolo della città confluiva verso l'umile convento”, ha
scritto fra' Angel de León in un articolo intitolato “El día en que
murió Fray Leopoldo” (“Il giorno in cui fra' Leopoldo è morto”),
pubblicato sulla pagina web ufficiale della beatificazione (http://www.frayleopoldo.org/).
Migliaia di abitanti di Granada accorsero a vedere il suo corpo senza
vita. “La sua cripta è testimone dello scorrere silenzioso di infinite
lacrime di riconoscenza. Molti uomini messi alla prova dalla vita
narrano prodigi sperimentati sulla propria carne o su quella di persone
care”, scrive fra' Ángel.
La fama di fra' Leopoldo si diffuse “a
macchia d'olio, senza alcuna forma di propaganda”. Il suo
vicepostulatore dice che il frate “testimoniò il mistero di Cristo
povero e crocifisso con l'esempio e la parola, al ritmo umile e orante
della vita quotidiana”.
Autore: Carmen Elena Villa
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