sabato 31 maggio 2014

(Mt 28,16-20) A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.

VANGELO 
 (Mt 28,16-20) A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Io sono con voi…Tu l’ hai detto Signore, fa che da qui, da questa tua piccola serva inutile, possano vederti anche i cuori di pietra, fa che questa tua zappa, possa scalfire la roccia per permetterti di seminare, Tu sei il seme che da frutti di vita eterna, io solo una zappa nelle tue mani…usami.

Poche parole, pochi gesti, e tutto si riduce all’essenziale: Io sono con voi!
Quanto è importante questo messaggio del Signore:
«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Vale per tutti noi che chiamiamo Dio Padre, ma oggi Gesù vuole parlare a noi  per dirci di pregare per i sacerdoti, di aiutare queste sue povere mani consacrate che ne subiscono i tutti i colori, di aiutarli perché sono loro la nostra guida ,ma più di tutti, perché sono loro la nostra salvezza. Loro ci confessano, ci riconciliano con il Padre, anche se come gli apostoli, non sono perfetti, sono inviati da Lui.
Loro sono il mezzo che Gesù usa per farci stare in comunione con Lui, piccole mani consacrate che alzano quell’Ostia al cielo, spesso con il cuore pieno di sofferenza.
Gesù è con noi, sempre, tutti i giorni, ma a volte è nascosto ,e gli occhi umani, gli animi umani, non riescono a trovarlo, a sentirlo, offuscato da tanta cattiveria e da tanti pregiudizi. A volte tra gli stessi confratelli c’ è tanto peccato, tanta invidia, tanta presunzione…. é così difficile resistere ai soprusi…sono uomini come noi, hanno solo tanta voglia di piangere a volte e, non possono neanche confidarsi con nessuno, se non con quel Gesù nascosto che gli sembra che sia voltato dall’altra parte.
Se per noi è difficile accettare una parola cattiva, un’offesa, un rifiuto; quanto è più difficile per loro accettarla. E poi ci siamo noi, che invece di pregare per loro, ci mettiamo a giudicarli, a rimanere male per ogni piccolo gesto distratto, per ogni stupidaggine, per ogni malinteso.
Noi che siamo i primi a ferirli con le nostre bugie e la nostra mancanza d’amore, ma noi siamo pieni di noi stessi e loro devono essere pieni di Dio!
No fratelli…tutti dobbiamo essere pieni di Dio e poco di noi stessi…Loro e noi dobbiamo avere la forza di non pensare alla nostra apparenza, al piacere agli altri, alla nostra dignità di uomini e donne che spesso si sentono offesi, ma dobbiamo gettare alle ortiche tutto questo e rivestirci della dignità di Cristo, che passa attraverso il dolore e,  a volte, l’umiliazione e l’incomprensione.
Preghiamo per questi nostri angeli così fragili, così sballottati tra responsabilità e umanità, per questi piccoli Cristi che non hanno nessuno sotto alla croce che li sostenga, e che alzi per loro preghiere al Signore.
A loro dico: - Gesù è con voi, soffre con voi, sa quello che passate, la solitudine nella quale vi trovate a volte…. è con voi nel Getzemani, non dimenticatelo mai… perché non la vostra volontà deve vincere, ma la gloria di Dio, passa anche attraverso le umiliazioni che subite. -
A noi laici dico: -  Amiamoli, come diciamo di amare Gesù, aiutiamoli come faremmo con i nostri figli, sosteniamoli e capiamo le loro esigenze, parliamo con loro, non soltanto di noi…. usciamo dai preconcetti e dagli individualismi e diventiamo la loro famiglia che li sostiene e li aiuta. Apriamo i nostri cuori e chiudiamo le bocche alla critica e alla superbia. Forse a qualcuno sapremo insegnare e da qualcuno sapremo imparare… siamo qui apposta, per camminare insieme, ma le pecore senza pastori, non sanno dove andare ed i pastori non hanno nessun interesse a portare le pecore sulla roccia dura, ma in pascoli erbosi.
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Salmo 23 
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. 

venerdì 30 maggio 2014

(Lc 1,39-56) Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.

VANGELO
(Lc 1,39-56) Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
 PREGHIERA
Colletta
Dio onnipotente ed eterno, che nel tuo disegno di amore hai ispirato alla beata Vergine Maria, che portava in grembo il tuo Figlio, di visitare sant'Elisabetta, concedi a noi di essere docili all'azione del tuo Spirito, per magnificare con Maria il tuo santo nome. Per il nostro Signore Gesù...

Quella di oggi è la pagina più bella che riguarda la Madonna che sia mai stata scritta. È  il canto d' amore di Maria che appena è stata scelta dal Signore come Madre di Gesù, capisce, nonostante la preoccupazione che la sua condizione le procura, che la sua non può essere una condizione di immobilità, e parte immediatamente per servire.
L' incontro è con Elisabetta, la cugina anziana, alla quale Dio aveva donato una gravidanza in tarda età; che avrebbe contribuito con lei, attraverso il suo figlio Giovanni il Battista a far conoscere Gesù, salvezza del mondo. Maria è abbagliata dalla grandezza di quello che il Signore ha compiuto in lei, che si sente così esaltata da un lato e così umile dall'altro, diviene immediatamente serva del Signore, ma anche consapevole che quello che avverrà nel mondo, sarà un prodigio che darà al mondo la salvezza promessa da Dio attraverso le sacre scritture. Forse Maria non sapeva quanto questa scelta l' avrebbe fatta soffrire, ma attraverso questa sua accettazione di ogni cosa venisse da Dio, diventa partecipe della nostra salvezza, e ancora oggi, ci accompagna al Figlio suo e ci ripete - "fate quello che lui vi dirà"- Grazie del tuo si madre dell'umanità. –
 La storia di Maria può essere la nostra storia, certamente non ai suoi livelli, ma anche noi possiamo dire " si " a Dio e lasciare che sia Lui a dirigere la nostra vita, attraverso lo Spirito Santo. Per riuscire   a comprendere bene cosa sia lo spirito Santo, se vi sembra di non saperlo ascoltare, lasciatevi trasportare nell'amore per tutti i fratelli, perché nell' amore sarà più facile riconoscere la sua voce.

giovedì 29 maggio 2014

Storie e Racconti


N.1   L'ape, l'anfora e il biscotto
Quante discussioni si son fatte e si fanno ancora su Dio. Tu che ne pensi, chiese un giorno un discepolo al grande maestro Sri Ramakrishna.
Vedi quell’ape? rispose il maestro. – Senti il suo ronzìo? Esso cessa quando l’ape ha trovato il fiore e ne succhia il nettare. Vedi quest’anfora? Ora vi verso dell’acqua. Ne senti il glu-glu? Cesserà quando l’anfora sarà colma. Ed ora osserva questo biscotto che pongo crudo nell’olio. Senti come frigge e che rumore fa? Quando sarà ben cotto tacerà. Cos’ è degli uomini. Sinché discutono e fanno del gran rumore su Dio, è perché non l’hanno trovato. Chi l’ha trovato tace adorando.
                                                  (Sri Ramakrishna – Il libro degli esempi – Gribaudi Editore)

N.2   Ciò che Dio vuole è per il meglio
    
   Un re del tempo antico aveva un ministro molto saggio che, qualunque cosa accadesse, sentenziava:" Ciò che Dio vuole è per il meglio!" Questa esclamazione non sempre riscuoteva l'approvazione del re che non aveva la stessa fede in Dio del suo saggio ministro. Una volta il re rimase ferito in battaglia e anche in quell'occasione il ministro sentenziò, come sempre:
" Ciò che Dio vuole è per il meglio!"
     Questa volta il re andò su tutte le furie: come osava il ministro dire una cosa di questo genere, che cosa ci poteva mai essere di buono per lui nell'esser stato ferito?
     E così fece imprigionare il ministro che accettò senza batter ciglio quell'ingiusta punizione con la solita esclamazione: "Ciò che Dio vuole è per il meglio!".
     Vinta la guerra il re tornò al suo passatempo preferito: la caccia. Proprio durante una battuta di caccia, mentre cavalcava nella foresta, alquanto lontano dal suo seguito, il re fu improvvisamente circondato da una banda di briganti, adoratori della dea Kalì, alla quale essi solevano offrire ogni anno un sacrificio umano.
     Destino volle che questa volta la vittima designata fosse il re stesso, che fu incatenato e portato nel tempio. Ma la vittima sacrificale deve essere fisicamente perfetta e non presentare menomazioni di sorta, perciò quando il sacerdote di Kalì si accorse della ferita del re, decretò che questi non era adatto a essere sacrificato e lo lasciò tornare libero al suo palazzo: quella ferita gli aveva salvato la vita!
     Il re si rese conto che il ministro aveva avuto ragione e lo fece immediatamente liberare e reintegrare nella sua carica. Quando il ministro fu alla sua presenza, il re gli raccontò l'accaduto e aggiunse:" La mia ferita è stata davvero per il meglio, perché grazie a essa sono sfuggito alla morte, ma che cosa ne hai guadagnato tu, che sei rimasto rinchiuso in prigione?". Il ministro rispose: "Maestà, se non fossi stato in prigione, sarei stato accanto a voi nella foresta; i banditi avrebbero catturato anche me e, dal momento che il mio corpo è intatto, avrebbero sacrificato me al vostro posto".
     Il re ammirò la saggezza del suo ministro e da allora lo tenne nella più alta considerazione. (Saggezza hindù)

N.3   Il cammello cieco e la pecora zoppa alla conquista del mondo

            C’era una volta un cammello cieco che aveva smarrito la sua carovana. Sospirava e si lamentava, perché la cecità gli avrebbe impedito di raggiungere i suoi compagni.
Ad un tratto si avvicinò una pecora zoppa che aveva perduto il gregge. Sospirava e si lamentava, perché
la lentezza le avrebbe impedito di tornare all’ovile del paese prima di notte.
Passò di là un vecchio eremita: <<Smettetela di commiserarvi!
Il cammello potrà caricare sulle spalle la pecorella: l’uno metterà le gambe, l’altra metterà gli occhi>>.
E fu cosi che in meno di un’ora il cammello e la pecora raggiunsero la meta desiderata.
( Le parabole di Anthony de Mello – a cura di Elsy Franco – Piemme)

N.4  Un vecchio rabbino raccontava  
Ognuno è legato a Dio con una  corda
Quando commetti una colpa, la corda si spezza.
Ma appena ti penti, Dio fa subito un nodo
E la corda si accorcia:
Ti avvicini un poco di più a Lui.
Così di colpa in colpa, di nodo in nodo
ci avviciniamo sempre di più
e si arriva più presto al cuore di Dio!
Tutto è grazia…..anche i peccati
Perché Dio, che tanto ci ama, trasforma anche  il male in bene
affinché possiamo essere salvati
All’inferno ci va solo chi sceglie di volerci andare rinnegando
Dio con la propria volontà!


N.5  Staccati dal ramo
Un ateo precipitò da una rupe.
Mentre rotolava giù, riuscì ad afferrare il ramo di un alberello,
e rimase sospeso fra il cielo e le rocce trecento metri più sotto,
consapevole di non poter resistere a lungo. Allora ebbe un’idea.
«Dio!», gridò con quanto fiato aveva in gola. Silenzio! Nessuna risposta.
«Dio!», gridò di nuovo.
«Se esisti, salvami e io ti prometto che crederò in te e insegnerò agli altri a credere».
Ancora silenzio! Subito dopo fu lì lì per mollare la presa dallo
spavento, nell’udire una voce possente che rimbombava nel burrone.
«Dicono tutti così quando sono nei pasticci».
«No, Dio, no!» egli urlò, rincuorato. «Io non sono come gli altri.
Non vedi che ho già cominciato a credere, poiché sono riuscito a sentire la tua voce? 
Ora non devi far altro che salvarmi e io proclamerò il tuo nome fino ai confini della terra».
«Va bene», disse la voce. «Ti salverò. Staccati dal ramo».
«Non sono mica matto!»
Si dice che quando Mosè lanciò il suo bastone nel Mar Rosso non avvenne il miracolo tanto
atteso.
Fu solo quando il primo uomo si gettò fra le onde che il mare si divise in due in modo da
lasciare passare gli ebrei.
  (La preghiera della rana di Anthony de Mello - ed. Paoline)

 N.6  Non cambiare
     Per anni sono stato un nevrotico. Ero ansioso, depresso ed egoista.
E tutti continuavano a dirmi di cambiare. E tutti continuavano a dirmi quanto fossi nevrotico.
E io mi risentivo con loro, ed ero d’accordo con loro,
e volevo cambiare, ma non ci riuscivo, per quanto mi sforzassi.
ciò che mi faceva più male era che anche il mio migliore amico continuava a dirmi quanto fossi nevrotico. 
Anche lui continuava a insistere che cambiassi.
E io ero d'accordo anche con lui, e non riuscivo ad avercela con lui.
E mi sentivo così impotente e intrappolato.
Poi un giorno mi disse: Non cambiare. Rimani come sei.
Non importa se cambi o no. lo ti amo così come sei;
non posso fare a meno di amarti.
Quelle parole suonarono come una musica per le mie orecchie: Non cambiare.
Non cambiare. Non cambiare... Ti amo”.
E mi rilassai E mi sentii vivo. E, oh meraviglia delle meraviglie, cambiai!
Ora so che non potevo cambiare davvero finché non avessi trovato qualcuno che mi avrebbe amato, 
che fossi cambiato o meno.
È così che mi ami, Dio?
Anthony de Mello - il canto degli uccelli - ed.Paoline


C’era un tempo un uomo così pio che anche gli angeli si beavano nel vederlo. Malgrado fosse così santo, egli non se ne rendeva assolutamente conto. Compiva i suoi doveri quotidiani irradiando bontà con la stessa naturalezza con cui i fiori diffondono il loro profumo e i lampioni la loro luce. La sua santità consisteva nel fatto che egli dimenticava il passato delle persone e le vedeva come erano in quel momento e andava al di là delle loro apparenze, per arrivare nell’intimo del loro essere, dove erano innocenti e puri e del tutto ignari di ciò che stavano facendo. Perciò egli amava e perdonava tutti coloro che incontrava, e non trovava in questo nulla di strano, poiché era il risultato del suo modo di vedere gli altri.
Un giorno un angelo gli disse: <<Sono stato mandato da Dio, domanda tutto ciò che vuoi sapere e ti sarà dato>>.
<<Desideri avere il dono di guarire  la gente?>>. <<No>>, rispose l’uomo, <<preferisco che sia Dio a guarire>>. <<Vorresti riportare i peccatori sulla retta via?>>. <<No>>, rispose, <<non è compito mio toccare il cuore degli uomini. E’ il lavoro degli angeli>>. <<Ti piacerebbe essere un tale modello di virtù che la gente si senta spronata a imitarti?>>. <<No>>, disse il santo, <<perché così sarei sempre al centro dell’attenzione>>. <<Che cosa desideri allora?>>, domandò l’angelo. <<La grazia di Dio>>, replicò l’uomo. <<E’ tutto ciò che desidero>>. <<No, devi chiedere una dote miracolosa o ti verrà imposta>>. <<Be’, allora domando che sia compiuto del bene per mezzo mio, senza che io lo sappia>>.
Fu quindi deciso che l’ombra del sant’uomo fosse dotata di proprietà miracolose tutte le volte che egli stava di spalle, purché fosse dietro di lui, i malati erano sanati, la terra diventava fertile, zampillavano le fontane e il volto di coloro che erano oppressi dalle pene della vita riprendeva colore.
Ma il santo non sapeva nulla di tutto questo, poiché l’attenzione di tutti era così concentrata sulla sua ombra che nessuno si ricordava di lui e il suo desiderio di fare da intermediario senza essere notato fu esaudito fino in fondo.
(Antonhy De Mello - La preghiera della rana - ed.Paoline)


N.8  L'elefante nel buio 
C’era un paese in cui non si era mai visto un elefante. Anzi: la gente nemmeno sapeva che cosa fosse.
L’imperatore dell’ India, per i suoi interessi politici. volendo stipulare
un’alleanza con il re di quel paese, gli mandò in dono un elefante che arrivò di notte e subito venne rinchiuso in un padiglione del giardino dell ambasciata. in attesa della consegna ufficiale, in pompa magna.
La curiosità della gente era grande, e per vedere com’era fatto un elefante, quattro dei più coraggiosi decisero di introdursi di soppiatto nel padiglione approfittando della notte e del buio.
Anzi, per non farsi scoprire, non portarono con se neanche una lanterna, limitandosi a toccare l’animale. palpandolo ben bene e scappando poi di gran volata per tornare dagli amici che li aspettavano impazienti.
‘Ecco com ‘è fatto un elefante: — disse il primo che aveva toccato una zampa — è come una colonna, una grande colonna tutta tonda Ma il secondo, che aveva toccato la proboscide, replicò: ‘Niente affatto: è come una grossa corda, molto grossa e molto lunga “. Il terzo, che aveva toccato ben bene un orecchio dell ‘elefante, assicurò invece che l’animale aveva l’aspetto di un grande, grande ventaglio. e il quarto, che aveva ispezionato la coda, affermò che dopotutto l’elefante assomigliava proprio al codino di un maiale, ma molto più alto e ruvido.
Questo capita a chi vuol parlare delle cose senza averne una visione globale.
(Gabriele Mandel - Saggezza islamica - San Paolo)

N.9  L'aureola stretta
Un uomo andò dal medico e gli disse:
«Dottore, ho un terribile mal di testa che non mi abbandona un istante. Mi potrebbe dare qualche cosa per farmelo passare?»
«Certamente», rispose il dottore, «ma prima ho bisogno di sapere da lei alcune cose.
Mi dica, beve molti liquori?» «Liquori?», esclamò l’uomo indignato, «non bevo mai quelle schifezze». 
«E fuma?» «Trovo il fumo disgustoso.
Non ho mai toccato il tabacco in vita mia». «Sono un po’ imbarazzato nel farle questa domanda, ma... sa come sono certi uomini... le capita di avere qualche avventura notturna?» «Naturalmente no. Per chi mi prende? Mi corico tutte le sere alle dieci al massimo». «Mi dica», proseguì il dottore, «questo dolore che sente alla testa è come una fitta acuta e lancinante?» «Sì», rispose l’uomo. «E proprio così, una fitta acuta e lancinante».
«Molto semplice, mio caro signore!
Il  suo problema è che l’aureola le sta troppo stretta. Non c’è che da allentarla un po’».

    Il  guaio dei nostri ideali è che, se vogliamo essere
    all’altezza di ciascuno di essi, diventiamo persone con cui
    è impossibile vivere.
 (la preghiera della rana – Anthony de Mello ed.Paoline))


N.10  Il toro inferocito
 Una volta il maestro era assorto in preghiera quando
i suoi discepoli gli si avvicinarono e gli dissero:
«Signore, insegnaci a pregare». Ed ecco come fece...
Un giorno due uomini attraversavano un campo quando
videro un toro inferocito. Subito si misero a correre
verso la più vicina staccionata, inseguiti dall’animale,
ma capirono subito che non avevano scampo. Allora uno dei due gridò all’altro:
«E finita! Niente potrà salvarci.
Presto, di’ una preghiera!»
E l’altro di rimando: «Non ho mai pregato in vita mia e
non conosco preghiere adatte a quest’occasione».
«Non importa. Il toro sta per raggiungerci, qualsiasi cosa andrà bene». 
«D’accordo, reciterò quello che diceva mio padre prima dei pasti: 
Ti rendiamo grazie, o Signore, per ciò che stiamo per prendere».
(Antonhy De Mello - La preghiera della rana - ed.Paoline)


N.11 Il maestro perde un critico

C’era un tempo un rabbino che la gente venerava
come l’inviato di Dio.
Non passava giorno senza che una folla di persone si assiepasse davanti alla sua porta in cerca di un consiglio o della sua guarigione e della benedizione del sant’uomo.
E ogni volta che il rabbino parlava, la gente pendeva dalle sue labbra, facendo propria ogni parola che diceva.
Fra i presenti c’era però un personaggio piuttosto antipatico, che non perdeva mai l’occasione per contraddire il maestro. Osservava le debolezze del rabbino e ne sbeffeggiava i difetti, con sgomento dei suoi discepoli,
che cominciarono a vedere in lui l’incarnazione del diavolo.
Un giorno però il «diavolo» si ammalò e morì.
Tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Di fuori apparivano compresi come si conveniva, ma nel loro cuore erano contenti
 perché quell’eretico irriverente non avrebbe mai più interrotto i discorsi ispirati del maestro
e criticato il suo comportamento.
La gente fu quindi sorpresa di vedere al funerale il maestro genuinamente affranto dal dolore.
Quando più tardi un discepolo gli chiese se era addolorato per la sorte del morto, egli rispose: 
«No, no. Perché dovrei compiangere il nostro amico che è ora in cielo?
E per me che sono triste.
Quell’uomo era l’unico amico che avevo. Eccomi qui circondato da gente che mi venera. 
Lui era il solo che mi metteva alla prova; temo che senza di lui smetterò di crescere».
E mentre diceva queste parole, il maestro scoppiò in lacrime.
(Anthony de Mello – La preghiera della rana - ed. Paoline))


N.12  Un ladro in paradiso
Un ladro arrivò alla porta del Cielo e cominciò a bussare: «Aprite!». 
L'apostolo Pietro, che custodisce le chiavi del Paradiso, udì il fracasso e si affacciò alla porta.
«Chi è là?». «Io».
«E chi sei tu?». «Un ladro. Fammi entrare in Cielo».
«Neanche per sogno. Qui non c'è posto per un ladro».
«E chi sei tu per impedirmi di entrare?».
«Sono l'apostolo Pietro!».
«Ti conosco! Tu sei quello che per paura ha rinnegato Gesù prima che il gallo cantasse tre volte. 
Io so tutto, amico!».
Rosso di vergogna, San Pietro si ritirò e cor­se a cercare San Paolo: 
«Paolo, va' tu a parlare con quel tale alla porta».
San Paolo mise la testa fuori della porta: «Chi è là?».
«Sono io, il ladro. Fammi entrare in Paradiso».
«Qui non c'è posto per i ladri!».
«E chi sei tu che non vuoi farmi entrare?».
«Io sono l'apostolo Paolo!».
«Ah, Paolo! Tu sei quello che andava da Gerusalemme a Damasco per ammazzare i cristiani. 
E adesso sei in Paradiso!».
San Paolo arrossì, si ritirò confuso e raccontò tutto a San Pietro.
«Dobbiamo mandare alla porta l'Evangelista Giovanni» disse Pietro.
 «Lui non ha mai rinnegato Gesù. Può parlare con il ladro». Giovanni si affacciò alla porta.
«Chi è là?».
«Sono io, il ladro. Lasciami entrare in Cielo».
«Puoi bussare fin che vuoi, ladro. Per i peccatori come te qui non c'è posto!».
«E chi sei tu, che non mi lasci entrare?».
«Io sono l'Evangelista Giovanni».
«Ah, tu sei un Evangelista. Perché mai in­gannate gli uomini? Voi avete scritto nel Vangelo: "Bussate e vi sarà aperto. Chiedete ed otterrete". Sono due ore che busso e chiedo, ma nessuno mi fa entrare. Se tu non mi trovi subito un posto in Paradiso, torno immediatamente sulla Terra e racconto a tutti che hai scritto bugie nel Vangelo!».
Giovanni si spaventò e fece entrare il ladro in Paradiso.
Quando il predicatore tornò sul tema della buona novella, un uomo lo interruppe: «Che razza di buona novella è», domandò, «se è così facile andare all'inferno e tanto difficile entrare in paradiso?».
Il Paradiso è solo questione di misericordia.
(Bruno Ferrero - Il segreto dei pesci rossi - Piccole storie dell'anima - ed. Elledici)

N.13  Giocare con Dio
     Un giorno, un uomo si fermò in mezzo ad un gruppo di ragazzi, che giocavano in un cortile. L’uomo si mise a far capriole e ogni sorta di buffonate per far divertire i ragazzi. La madre di uno dei ragazzi osservava dalla finestra. Dopo un po’ scese in corti­le e si avvicinò a suo figlio.
«Ah! Costui è veramente un santo», gli disse. «Fi­glio mio, va’ da lui». L’uomo pose una mano sulla spalla del ragazzo e gli chiese: «Mio caro, che cosa vuoi fare?».
«Non lo so», rispose il ragazzo. «Che cosa vuoi che io faccia?». «Devi essere tu a dirmi che cosa avresti voglia di fare».
«Oh, a me piace giocare». «E allora, vuoi giocare con il Signore?». Il ragazzo rimase interdetto, senza sapere che cosa rispondere. Allora il santo soggiunse: «Se tu riesci a giocare con il Signore, farai la cosa più bella che si possa fare. Tutti prendono Dio talmente sul serio da renderlo mortalmente noioso. Gioca con Dio, fi­gliolo. È un compagno di gioco incomparabile».
(Tratto da “L’importante è la rosa” - di Bruno Ferrero -  
Piccole storie per l’anima – editrice Elle Di Ci)


N.14  Mani pulite
Dopo la morte, un uomo si presentò davanti al Signore. Con molta fierezza gli mostrò le mani: «Signore, guarda come sono pulite le mie mani! ».
Il Signore gli sorrise, ma con un velo di tristezza, e disse: «E' vero, ma sono anche vuote».
  Lo scrittore russo Dostoevskj racconta la storia di una signora ricca ma molto avara che, appena morta, si trovò davanti un diavolaccio che la gettò nel mare di fuoco dell’inferno. Il suo angelo custode cominciò disperatamente a pensare se per caso non esisteva qualche motivo che poteva salvarla. Finalmente si ricordò di un lontano avvenimento e disse a Dio: «Una volta la signora regalò una cipolla del suo orto a un povero».
Dio sorrise all’angelo: «Bene. Grazie a quella cipolla si potrà salvare. Prendi la cipolla e sporgiti sul mare di fuoco in modo che la signora possa afferrarla, poi tirala su. Se la tua signora rimarrà saldamente attaccata alla sua unica opera buona potrà essere tirata fino in paradiso».
L’angelo si sporse più che poté sul mare di fuoco e gridò alla donna: «Presto, attaccati alla cipolla».
Così fece la signora e subito cominciò a salire verso il cielo
Ma uno dei condannati si afferrò all’orlo del suo abito e fu sollevato in alto con lei; un altro peccatore si attaccò al piede del primo e salì anche lui. Presto si formò una lunga coda di persone che salivano verso il paradiso attaccate alla signora aggrappata alla cipolla tenuta dall’angelo.
I diavoli era preoccupatissimi, perché l’inferno si stava praticamente svuotando, incollato alla cipolla.
La lunghissima fila arrivò fino ai cancelli del paradiso. La signora però era proprio un'avaraccia incorreggibile e, in quel momento, si accorse della fila di peccatori attaccati al suo abito e strillò irritata: «La cipolla è mia! Solo mia! Lasciatemi...». In quel preciso istante la cipolla si sbriciolò e la donna, con tutto il suo seguito, precipitò nel mare di fuoco.
Sconsolato, davanti ai cancelli del paradiso, rimase solo l’angelo custode.
Riempi le tue mani di altre mani. E stringile forte.
Ci salveremo insieme, O non ci salveremo.
(Bruno Ferrero – Cerchi nell’acqua – piccole storie dell’anima –
ed. Elledici))


N.15 - In Dio e' piu' grande la giustizia o la misericordia?
Al tribunale di Jahve’ cento angeli accusano un uomo:”Costui e’ veramente malvagio”.
Solo un angelo si attesta in suo favore: “Ma ha compiuto un’opera buona!” 
Jahve’ fa inclinare la bilancia in favore del peccatore e sentenzia:
“Niente Gehenna!”
Ma non sapete quale e’ l’orario di Dio. Ecco come la pensavano gli “Abbas” del deserto:
“Per tre ore al giorno Jahve’ siede in tribunale a giudicare il mondo. 
Ma quando il male prevale sul bene, si alza dal trono della giustizia e, 
con un sospiro di sollievo, si siede per il resto della sua giornata sul trono della misericordia”
(Detti dei Padri del deserto)


N.16 Un sorriso all'aurora           
(una toccante testimonianza di Raoul Follereau)

Si trovava in un lebbrosario in un'isola del Pacifico. Un incubo di orrore. Solo cadaveri ambulanti, disperazione, rabbia, piaghe e mutilazioni orrende. Eppure, in mezzo a tanta devastazione, un anziano malato conservava occhi sorprendentemente luminosi e sorridenti. Soffriva nel corpo, come i suoi infelici compagni, ma dimostrava attaccamento alla vita, non disperazione, e dolcezza nel trattare gli altri.Incuriosito da quel miracolo di vita, nell'inferno del lebbrosario, Follereau volle cercarne la spiegazione: che cosa mai poteva dare tanta forza di vivere a quel vecchio così colpito dal male? Lo pedinò, discretamente. Scoprì che, immancabilmente, allo spuntar dell'alba, il vecchietto si trascinava al recinto che circondava il lebbrosario, e raggiungeva un posto ben preciso. Si metteva a sedere e aspettava.Non era il sorgere del sole che aspettava. Né lo spettacolo dell'aurora del Pacifico. Aspettava fino a quando, dall'altra parte del recinto, spuntava una donna, anziana anche lei, con il volto coperto di rughe finissime, gli occhi pieni di dolcezza. La donna non parlava. Lanciava solo un messaggio silenzioso e discreto: UN SORRISO.
Ma l'uomo si illuminava a quel sorriso e rispondeva con un altro sorriso.Il muto colloquio durava pochi istanti, poi il vecchietto si rialzava e trotterellava verso le baracche. Tutte le mattine. Una specie di comunione quotidiana. Il lebbroso, alimentato e fortificato da quel sorriso, poteva sopportare una nuova giornata e resistere fino al nuovo appuntamento con il sorriso di quel volto femminile.Quando Follereau glielo chiese, il lebbroso gli disse: "E' mia moglie!". E dopo un attimo di silenzio: "Prima che venissi qui, mi ha curato in segreto, con tutto ciò che riusciva a trovare: uno stregone le aveva dato una pomata. Lei tutti i giorni me ne spalmava la faccia, salvo una piccola parte, sufficiente per apporvi le sue labbra per un bacio....Ma tutto è stato inutile. Allora mi hanno preso, mi hanno portato qui. Ma lei mi ha seguito: E quando ogni giorno la rivedo, solo da lei so che sono ancora vivo, solo per lei mi piace ancora vivere".Certamente qualcuno ti ha sorriso stamattina, anche se tu non te ne sei accorto.Certamente qualcuno aspetta il tuo sorriso, oggi, stasera e anche domani.Se entri in chiesa e spalanchi la tua anima al silenzio,ti accorgerai che Maria, per prima, ti accoglie con un SORRISO!     

N.17 Un racconto sul lavoro di gruppo
I COLORI DELL’ARCOBALENO
Un giorno i colori decidono di riunirsi per stabilire chi tra loro è il più importante.
Il verde si propone subito come meritevole di ricevere il primato, dicendo: <<Guardatevi attorno, contemplate la natura, osservate le colline, le foreste e le montagne e vi renderete conto come, senza di me, non ci sia vita. Io sono il colore dell’erba, degli alberi, delle praterie sconfinate. Io rappresento la primavera e la speranza>>. Il blu si fa avanti commentando: <<Tu sei troppo occupato a guardare la terra, sei troppo preso dalla realtà che ti circonda. Alza un pò gli occhi verso il cielo, contempla la vastità e la profondità dei mari e lì scoprirai la mia presenza. Io sono il colore della profondità, che abbraccia l’universo. Io rappresento la pace e la serenità>>. Il blu ha appena finito il suo commento, che il giallo interviene: <<Ma voi siete colori troppo seri! Il mondo ha bisogno di luce e di gioia, Io sono il colore che porta il sorriso nel mondo. Del mio colore si vestono il frumento e i girasoli, le stelle della notte e il sole che illumina ogni cosa. Io rappresento l’energia e la gioia>>.
Timidamente si fa avanti l’arancione dicendo: <<Io sono il colore che annuncia il giorno e poi lascio tracce della mia presenza all’orizzonte, all’ora del tramonto. Del mio colore si vestono le carote, i mango ed i papaya perché, dove sono presente, assicuro vitamine e una vita sana. Io rappresento il calore e la salute>>.
Non ha ancora finito di parlare, che interviene il rosso a voce alta: <<Ma voi, state ancora discutendo su chi sia il più importante? Ma non vi accorgete che io rappresento la vita? Sono il colore del sangue, della passione, dei martiri e degli eroi. Di me si vestono i papaveri e i gelsomini; dove sono presente sono il centro dell’attenzione perché rappresento l’intensità e l’amore>>.
Il rosso sta ancora difendendo il suo caso, quando solenne e regale avanza il viola: <<Io non ho bisogno di parlare, di propormi o di difendermi. Il mondo mi conosce e quando passo si inchina. Io rappresento la regalità: del mio colore si vestono i re, i principi e gli uomini di chiesa. Io rappresento l’autorità, ciò che è sacro e misterioso>>. Si presentano altri colori, ognuno con le proprie ragioni, e si accende un animato dibattito riguardo a chi spetta il primato. All’improvviso si ode un tuono che è seguito dai fulmini e da una pioggia scrosciante. I colori intimoriti fuggono, si aggrappano l’uno all’altro e, improvvisamente, sentono la voce della pioggia: <<Quanto siete sciocchi! Perché vi preoccupate di chi tra voi è il più importante? Non vi accorgete che Dio vi ha creati diversi perché ciascuno possa onorarlo attraverso la propria specificità e bellezza? Orsù, venite con me>>. Detto questo, prende i colori e si dirige verso l’orizzonte e con un ampio gesto traccia un arcobaleno nel cielo, dicendo: <<Il vostro scopo non è di primeggiare, ma di armonizzare i vostri colori formando arcobaleni>>.
(Tratto da “Sii un girasole accanto ai salici piangenti” di P. Arnaldo Pangrazzi. Ed Camilliane 1999 – Torino pag.71-72)

N.18 - Non lesiniamo sul dono
Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, 
quando in lontananza mi apparve il Tuo aureo cocchio, simile a un sogno meraviglioso.
Mi domandai: chi sarà mai questo Re di tutti i re? Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l’elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.
Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. 
Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita.
Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: <<Che cos’hai da darmi ?>>.
Ah, quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l’elemosina ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi. Ma quale fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell’esiguo mucchietto di acini, un granellino d’oro!
Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darti tutto quello che possedevo……….
(Rabindranath Tagore – Gitanjali - Ed.Paoline)) 


N.19 - Il grande burrone
Un uomo sempre scontento di sé e degli altri continuava a brontolare con Dio perché diceva: “Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stufo dei miei pesi quotidiani!”.
Il buon Dio gli rispose con un sogno. Vide che la vita degli uomini sulla terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Certamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro. Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava con la sua croce personale. Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva tanta fatica ad avanzare. “Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno”,
si disse. Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero. E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini.
Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la terra della felicità eterna. Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare.
Eppure gli uomini passano con facilità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passavano tutti, ma non lui. Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi: <<Ah, se l’avessi saputo…>>.
Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente.
(Bruno Ferrero – Cerchi nell’acqua – Piccole storie per l’anima – Editrice Elle Di Ci)


N.20 - Noi non siamo rocce 
Un giovane si recò un giorno da un padre del deserto e lo interrogò:
—    Padre, come si costruisce una comunità?
Il  monaco gli rispose:
—    E’ come costruire una casa, puoi utilizzare pietre di tutti i generi; quel che conta è il cemento, che tiene insieme le pietre.
Il  giovane riprese:
—    Ma qual è il cemento della comunità?
L’eremita gli sorrise, si chinò a raccogliere una manciata di sabbia e soggiunse:
<<Il cemento è fatto di sabbia e calce, che sono materiali così fragili! Basta un colpo di vento e volano via. Allo stesso modo, nella comunità, quello che ci unisce, il nostro cemento, è fatto di quello che c’è in noi di più fragile e più povero. Possiamo essere uniti perché dipendiamo gli uni dagli altri>>.
  (J. Vanier, La comunità, Jaca Book - dal libro degli esempi  - Fiabe, Parabole, Episodi per migliorare la propria vita - pag.61 – Piero Gribaudi Editore )


N.21 -Messaggio di speranza
Un uomo disperava dell'amore di Dio.
Un giorno, mentre errava sulle colline che attorniavano la sua città,
incontrò un pastore.
Questi, vedendolo afflitto, gli chiese:
"Che cosa ti turba amico?"
"Mi sento immensamente solo".
"Anch'io sono solo, eppure non sono triste"
"Forse perchè Dio ti fa compagnia".
"Hai indovinato!".
"Io non ho la compagnia di Dio.
Non riesco a credere nel suo amore.
Com'è possibile che ami me?".
"Vedi laggiù la nostra città? - gli chiese il pastore, -
Vedi le case? Vedi le finestre?".
"Vedo tutto questo", rispose il pellegrino.
"Allora non devi disperare. Il sole è uno solo,
ma ogni finestra della città,
anche la più piccola e la più nascosta,
ogni giorno viene baciata dal sole.
Forse tu disperi perchè tieni chiusa la tua finestra".
Anonimo arabo


N.22 - L'ostrica (accettare le difficoltà)
Un’onda portò tra le valve dell’ostrica un granellino di sabbia. L’ostrica si scosse infastidita, ma non riuscì in alcun modo a espellerla. Anzi, più si muoveva, più l’intrusa si insinuava in profondità e la tormentava.
L’ostrica iniziò a preoccuparsi: il granellino di sabbia la irritava e le prudeva. La poveretta non riusciva neppure più a dormire: passava il tempo a lamentarsi e tutto il vicinato stelle marine, granchi e ricci di mare
non la poteva più sopportare.
Non agitarti! le dicevano Non vedi che non c’è nulla da fare?
Vedendo infine che tutta la sua ansia e la sua agitazio­ne non facevano che peggiorare le cose, anche lei si mi­se il cuore in pace e trovò, dentro di sé, un angolino per quell’ospite scomodo.
Sta bene! disse al granellino. Se non posso mandarti via, d’ora in avanti ti tratterò come un ospite speciale!
L’ostrica, da quel giorno, non solo s’accorse che il sassolino non le faceva più male e non la infastidiva più, ma sentiva anche che qualcosa di raro e prezioso cresce­va dentro di lei. Protetta dalla conchiglia, infatti, una bellissima perla liscia e splendente chiudeva nel suo cuore il granellino di sabbia grigio e insignificante.
Elena Bonn - (da Il secondo libro degli esempi – fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita – Piero Gribaudi Editore)


          N.23 - DAI FIORETTI DEI PADRI DEL DESERTO
In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a Me.  ( Mt 25,40 )
     Un solitario aveva sotto di se un altro solitario che abitava in una cella distante 10 miglia. Il suo pensiero gli disse: <<Chiama il fratello perché venga a prendere il pane>>. Ma poi pensò: <<Devo imporre al fratello una fatica di 10 miglia per del pane?>>. Andrò io a portarglielo. Prese il pane e si diresse verso la cella del fratello. Lungo la strada inciampò in una pietra, si ferì un piede e versò molto sangue. Cominciò a gridare per il dolore e subito gli apparve un angelo che gli disse: <<Perché piangi?>>. E quello mostrandogli la ferita gli rispose.  <<E’ per questo che piango>>. L’angelo gli disse: <<Non piangere per questo. I passi che hai fatto per amore del Signore sono tutti contati e ti varranno una grande ricompensa davanti a Dio>>. Allora l’asceta rese grazie a Dio e riprese il cammino pieno di gioia. Giunse dal fratello, gli portò i pani e gli raccontò la bontà di Dio nei suoi confronti. Quindi gli diede il pane e ritornò indietro. Il giorno seguente prese di nuovo i pani e s’incamminò verso un altro monaco; ma accadde che quel monaco stava venendo da lui e s’incontrarono per via. E quello che andava disse a quello che veniva:  <<avevo un tesoro e tu hai cercato di togliermelo>>. L’altro gli disse: <<La porta stretta farà passare soltanto te? Lasciami entrare con te>>. E all’improvviso mentre stavano parlando apparve loro un angelo del Signore che disse: <<La vostra contesa è salita a Dio come profumo di soave odore>>. 


N.24 - La vera ricchezza   • sapersi accontentare -  felicità
In un piccolo villaggio, un contadino accumulò tanta ricchezza da potersi dire il più ricco d’ogni altro.
Ma, potendo disporre di denaro ed essendosi comperato un mulo, ebbe l’idea di viaggiare. Arrivò in un paese molto più grande del suo e vide una casa molto più bella della sua.
-—   Di chi è? chiese — Di qualche Dio?
—    E dell’uomo più ricco del paese fu la risposta.
Il  contadino tornò al suo villaggio e tanto lavorò, s’af­faticò e s’arrabattò che, alla fine, poté costruire una di­mora come quella che aveva ammirato.
Questa volta acquistò cavallo e carrozza e andò in una città. Là, di case come la sua ce n’erano a centinaia. E a decine ve n’erano d’incomparabilmente più belle. Che dire poi del palazzo del re? Neanche lavorando tutta la vita notte e giorno avrebbe potuto competere con tanta ricchezza.
Mentre se ne tornava a casa triste e depresso, al carro si ruppe una ruota, il cavallo morì di stanchezza e al contadino non restò che tornare a casa a piedi. Fattasi notte, vide un lume lontano: era la casa di un santo eremita. Entrato, il contadino notò la grande povertà che vi regnava:
—    Come fai — chiese all’eremita — a vivere in una casa tanto miserabile?
—    Mi accontento — rispose l’eremita. — Tu piuttosto, perché non sei felice?
—    Perché, si vede?
—    Si vede dai tuoi occhi. Cercano qualcosa che non c e: la ricchezza.
—    Eppure la ricchezza io l’ ho vista!
—    Hai notato al crepuscolo — disse l’eremita — le lucciole nei prati? S’illudono d’illuminare l’universo, ma la loro vanità scompare quando le stelle sorgono in cielo. Anche le stelle credono d’illuminare il cielo, ma non appena sale la luna scompaiono lentamente e tristemente. La luna s’illude anch’essa di inondare la terra con la sua luce, ma quando arriva il sole, a stento la si vede nel cie­lo. Se quelli che si vantano delle loro ricchezze meditassero su queste semplici cose, ritroverebbero il sorriso perduto.
Il  contadino sorrise, ma sul suo volto c’era ancora un po’ di tristezza.
Allora l’eremita gli disse:
—    Lo sai che rispetto a me tu sei re?
—    Be’, non esageriamo. Ho certo una casa più bella della tua, qualche soldo da parte e...
—        Non è di questo che parlo — disse l’eremita e, avvicinando il lume al proprio povero corpo, glielo mostrò: non aveva le gambe.
Allora il contadino, che doveva sorridere, pianse.
(da “Il libro degli esempi” – fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita – Gribaudi Editore)

N.25 - La partita a scacchi           • stima di se  • dignità della persona

Nell’ora di ricreazione, un ragazzino negro se ne stava appartato in un angolo del giardino della sua scuola, mentre i compagni, poco più in là, giocavano allegramente col pallone.
Passò il direttore e lo scorse.
Perché te ne stai qui solitario? gli chiese.
I miei compagni non vogliono che io giochi con loro, signore! rispose il bimbo intimidito.
Perché? — domandò l’uomo irritato.
— Dicono che sono un lurido negro e che debbo stare alla larga da loro! — balbettò il ragazzo.
Il direttore restò un attimo perplesso, poi gl’intimò di seguirlo.
Si avviarono verso gli uffici della direzione.
Al negretto, il cuore batteva forte in gola. Aveva osato troppo? si chiese.
Entrato nel suo ufficio, il preside si sedette alla scrivania, poi fece accomodare il ragazzino di fronte a lui e, presa una grande scacchiera dal cassetto, disse:
D’ora in poi, all’intervallo, giocheremo tu ed io insieme
Gli insegnò le complesse regole del gioco e subito il fanciullo divenne padrone di ogni mossa. Muoveva pedoni e alfieri con straordinario acume e sbalorditiva prontezza.
L’indomani, alloro secondo incontro, per rispetto al suo illustre avversario, il ragazzino lasciò che fosse il suo superiore a scegliere gli scacchi del colore che preferiva.
— Bianchi o neri? — gli chiese con deferenza.
Fa lo stesso! — fu la cordiale risposta del direttore che aggiunse: — Non hanno entrambi le medesime opportunità? Non si può forse vincere o perdere in uguale misura, sia con gli uni che con gli altri? Cosa importa il colore? Quel che conta è giocare, ma giocare bene, rispettando le regole, sia da una parte che dall’altra.
Finita la partita, il negretto corse giù in giardino. In­trepido si aprì un varco nella cerchia dei compagni e, a testa alta, s’impose al gruppo affinché accettassero anche lui nei loro giochi.
                                                                        Silvia Guglielminetti
 (Il secondo libro degli esempi – fiabe, parabole ed episodi per migliorare la propria vita – a cura di Pier D’Aubrigy – Gribaudi editore)

N.26 - La fiaccola -    Orgoglio dell’io
Dio prese l’uomo per mano:
Vieni! Saliremo sul monte, porterai la tua piccola fiaccola e in cima al monte appiccheremo una grossa fiamma che sarà vista da lontano.
Ed Io e Te ci scalderemo e canteremo intorno al fuoco.
L’uomo, pieno di gioia, prese a seguirlo e tra sé pensava:
Proprio io! Che onore, esser scelto da Dio!
Egli ha visto, infine, la mia fedeltà e la mia devozione. Proprio io! Finalmente Dio ha riconosciuto la mia pazienza e la mia bontà!
Salirono insieme sino alla cima. Ma lassù non vi era nulla da bruciare.
—    Con che cosa dunque faremo il fuoco? — chiese.
—    Come! — gli rispose Dio — non hai forse portato fin qui la tua fiammella?
—    Certamente! Ma a cosa darà fuoco?
      Come! — continuò Dio — Non hai forse con te il legno indurito del tuo vecchio io?
    Elena Bonn
    (Il secondo libro degli esempi – fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita – a cura di Pier D’Aubrigy – Gribaudi editore)

                       
N. 27 - L'opera interiore  •  presunzione interiore

Un artista famoso, fiero ed orgoglioso della sua opera, si recò un giorno dall’imperatore per diventare pittore di corte.
Strada facendo diceva fra sé:
—    Non appena vedrà le mie opere resterà stupefatto! Mi coprirà di onori e farà omaggio al mio genio! — e pregustava tra sé e sé quel momento.
Invece l’imperatore guardò le sue opere senza dire una parola e poi gli ordinò di tornare da lui il giorno dopo, portando di nuovo con sé tutti i suoi quadri.
Il  giorno seguente l’artista ritornò, ma l’imperatore si comportò allo stesso modo, ordinandogli di tornare il giorno successivo; e fu così per più giorni.
Il  silenzio dell’imperatore di fronte ai suoi capolavori cominciava a preoccuparlo e, pian piano, prese a dubitare di sé e della sua arte. Un giorno, persa ogni speranza nel suo sogno di gloria, si recò a corte solo per obbedienza.
—    Sono tornato solo per il vostro comando — confessò dinanzi all’imperatore ma non avrei più voluto venire.
L’imperatore, allora, lo ricevette con tutti gli onori e lo elesse a miglior artista del regno. 
L’opera interiore della tua anima — gli sussurrò in un orecchio — doveva ancora eguagliare la bellezza dei tuoi quadri: mancava solo più il tocco prezioso dell’umiltà.       
  Silvia Guglielminetti
(Da “Il secondo libro degli esempi” – fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita – a cura di Pier D’Aubrigy -  Piero Gribaudi Editore)

N.28 - Il trucco del rabbi    (pedagogia)

Un giovane fece visita a un rabbi per chiedergli come dovesse comportarsi nella vita. Ora il rabbi sapeva che il giovane proveniva da una famiglia molto pia, zelante, religiosa al massimo. Per cui, chiamati i suoi discepoli, volle che il neofita ripetesse ad alta voce la sua richiesta.
Desidero che il rabbì mi dia delle istruzioni precise su ciò che devo fare e su ciò che non devo fare nella vita.
Rispose il rabbi:
—   Lasciati vivere! Quando puoi, ruba, ma non dimenticare di portarmi parte del bottino. Trascura i tuoi doveri e cerca, più che puoi, i piaceri. Sforzati sempre di avere la meglio sugli altri. In breve, vivi senza principi: solo così realizzerai te stesso.
Il   giovane, uditi questi consigli, se ne fuggì a precipizio. Alcuni mesi dopo il rabbi chiese ai suoi discepoli se avessero notizie del giovane. Risposero gli allievi che stava conducendo una vita santa in un paese lontano e che parlava di lui come di Satana in persona.
Il  rabbi rise:
—  Se gli avessi consigliato una vita virtuosa, non mi avrebbe obbedito. È infatti quanto gli è stato prospettato dalla sua più tenera età in mille modi. Voleva qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. E solo quando gli ho con­sigliato con foga un modo di vita nuovo, si è reso conto che preferiva — questa volta per scelta personale — rimanere nei campi ubertosi della virtù.
—  E che dire del fatto che parla di te come di Satana?
      Per quanto mi riguarda, non ha importanza. Le parole le porta via il vento. Quanto a lui, capirà quando sarà venuto il momento.
      Tradizione hassidica
il libro degli esempi – (fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita- Gribaudi)


N.29 - Il novizio e il puledro di razza - distrazione nella preghiera 
     Un saggio abate volle un giorno mettere alla prova il più promettente tra i suoi novizi. Chiamò a sé il giovane.
Ascolta Pietro, voglio farti un dono disse Ti regalerò un cavallo di razza che tu potrai cavalcare e usare a tuo piacimento, se sarai capace di recitarmi dal principio alla fine il Pater Noster senza mai neppure per un istante distogliere il tuo pensiero dalla preghiera.
Oh rise Pietro meravigliato — è puerile padre, quel che mi chiedete. E davvero io in premio potrei avere un cavallo...?
Impaziente com’era di vedersi in groppa a un bel puledro di razza, il giovane cominciò la sua orazione:
Padre Nostro che sei nei cicli...
Ma il suo pensiero era lontano dalle parole di fede: inseguendo il bel sogno, Pietro mormorava meccanicamente:
Venga il Tuo regno... come in cielo così in terra... e ad un certo punto si trovò senza accorgersene a chiedere:
— Ma il cavallo, avrà poi una sella perché io lo possa montare?
L’abate rise divertito e consolò il giovane. In fondo era stato un’ottima lezione... 
Leggenda della Navarra

N30 La fonte e il mare -     la preghiera intimista
Una piccola fonte d’acqua sgorgata dalla roccia si tramutò in un ruscello gioioso e saltellante. 
Tra sassi e picchi, in cascatelle, giunse infine al mare.
Al cospetto di tanta smisurata bellezza, il rivo, stupito e intimidito, si raccolse in un laghetto per sostarvi a riflettere. Sentiva il respiro profondo del mare e la poten­za delle sue onde e tremava: 
quella vastità così profonda pareva che lo chiamasse a sé, ma lo intimoriva.
Poi, pian piano, s’abbandonò a quel richiamo e dal laghetto si tuffò nel mare.
In quella spiaggia era giunto il Budda con i suoi discepoli e, contemplando la bellezza di quel luogo, così aveva parlato loro:
Così è l’amore, vasto come il mare, e così è la pre­ghiera, come una sorgente che scorre fino al mare e là si perde. Succede talvolta che quando le due si incontrano, la preghiera si ferma timorosa di fronte all’amore sconfinato e, ritraendosi, forma, come il ruscello, dei limpidi laghetti. Ma quanti si accontentano di esser dei limpidi laghetti rischiano di riflettere e soltanto la propria im­magine, mai quella di Dio.                                      Elena Bono

N.31 - Solo due volte al giorno -   preghiera
L’orgoglio s’introdusse un giorno nel cuore di Nàrada, che pensò di essere il più grande devoto 
di Dio sulla terra.
Il Signore lesse nel suo cuore e gli parlò così:
— Nàrada, va’ in quel certo villaggio: vi troverai uno dei fedeli a me più cari.
Nàrada partì e, giunto al villaggio, vi trovò un contadi­no che si alzava all’alba, pronunciava una volta il Nome divino, poi prendeva il suo aratro e lavorava sino a sera. Coricandosi, pronunciava ancora una volta il Nome del Signore e poi si addormentava.
Nàrada si chiese come un contadino così semplice, tutto intento a cose materiali, potesse essere tanto caro al Signore.
Ritornato, glielo chiese. E per tutta risposta ebbe quest’ordine:
— Nàrada — gli comandò il Signore — prendi questa coppa piena d’olio e, tenendola alzata con le tue mani, fa’ il giro della città. Ma bada di non versarne neppure una goccia.
Nàrada obbedì e al suo ritorno il Signore gli chiese:
—    Ebbene, quante volte hai pensato a me mentre facevi il giro della città?
—    Neppure una — confessò Nàrada. — Come avrei potuto, dovendo badare a non far cadere dalla coppa nep­pure una goccia d’olio?
Allora disse il Signore:
—    Se per portare questa coppa senza versarne una goc­cia hai dovuto concentrarti al punto da non poter pensa­re a me neppure una volta, capisci adesso il merito di quel contadino che, dovendo caricarsi tutto il peso della sua famiglia e del suo lavoro, ha tempo di pensare a me due
volte al giorno?                   Sri Ramakrishna, 608

N.32 - Tutti i giorni dell'anno        preghiera continua

Un giovane chiese al suo maestro spirituale quanto e come dovesse pregare per riuscire gradito a Dio. L’anziano saggio sorrise, e iniziò col raccontare una storia.
—    Un contadino ricchissimo, al momento della morte, si sentì chiedere dai figli quali mezzi avesse impiegato per racimolare una cosi grande fortuna. Desideroso che i figli fossero zelanti nel lavoro, l’uomo rispose: “C’è un giorno dell’anno nel quale, se ci si è impegnati a fondo nel proprio lavoro, si diventa ricchi. È inutile tuttavia cercare di scoprire quale sia quello specifico giorno. Non siate dunque pigri, e lavorate sodo tutti i giorni dell’anno nel timore che quel giorno benedetto giunga senza che voi siate al lavoro. Le prove e la fatica di tutto l’anno andrebbero perdute...” Così è della preghiera, ragazzo mio — proseguì il maestro — Dio ci visita quando vuole e il momento della sua visita è assolutamente imprevedibile. Egli non ha soste nel suo amore per noi. Il nostro grazie dev’essere continuo, la nostra adorazione ininterrotta, il nostro «sì» costante. Vivere nella preghiera tutta la vita è come im­mergerci nel cuore di Dio senza uscirne mai.
Migne, 1012 
(Il secondo libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)
Piero Gr

                                                       N.33 - Guardando dalle mura   • esame di coscienza 
- Chi sono io? -  chiese un giorno un giovane a un anziano.
   - Sei quello che pensi - rispose l’anziano - te lo spiego con una piccola storia.
Un giorno, dalle mura di una città, verso il tramonto si videro sulla linea dell’orizzonte due persone che si abbracciavano.
 <<Sono un papà e una mamma>> pensò una bambina innocente.
«Sono due amanti>>, penso un uomo dal cuore torbido.
«Sono due amici che s’incontrano dopo molti anni pensò un uomo solo.
«Sono due mercanti che hanno concluso un buon affare», pensò un uomo avido di denaro.
<<E’ un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla guerra>>, pensò una donna dall’anima tenera.
   <<E’una figlia che abbraccia il padre di ritorno da un viaggio>>, pensò un uomo addolorato per la morte dì una figlia
«Sono due innamorati>>, pensò una ragazza che sognava l’amore..
<<Sono due uomini che lottano all’ultimo sangue», pensò un assassino.
«Chissà perché si abbracciano>>, pensò un uomo dal cuore asciutto.
«Che bello vedere due persone che si abbracciano». pensò un uomo di Dio.
        Ogni pensiero — concluse l’anziano rivela a te stesso quello che sei. Esamina di frequente i tuoi pensieri: ti possono dire molte più cose su te di qualsiasi maestro.
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)

N.34 Il filo giallo           • parzialità di giudizio   scoperta del proprio ruolo 
Un giovane monaco passò mesi in un monastero a tessere un arazzo insieme ad altri monaci. 
Un giorno s’alzò indignato dal suo scranno.
— Basta! Non posso andare avanti! Le istruzioni che mi hanno dato sono insensate! — esclamò. — Stavo lavorando con un filo giallo oro e tutto a un tratto devo annodarlo e tagliarlo senza ragione. Che spreco! — E se ne andò.
— Figliolo — gli disse un monaco più anziano rincorrendolo — fermati! Tu non hai visto questo arazzo come va visto. Eri seduto dalla parte del rovescio e lavoravi solo in un punto.
Condusse il giovane davanti all’arazzo che pendeva ora ben teso nel vasto laboratorio, e il novizio rimase senza fiato. Aveva lavorato alla tessitura di una bellissima immagine — i Re Magi che rendevano omaggio a Gesù Bambino — e il suo filo giallo faceva parte della luminosa aureola intorno alla testa del Bambino.
Facciamo tutti parte di un disegno più grande la cui bellezza non vediamo forse mai per intero.
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)


N.35 - Il bilancino             • malattia      • significato del dolore
        Un uomo gravemente ammalato fu accolto in una comunità e messo in una grande stanza insieme a molti altri ammalati. Ma poco dopo essere stato deposto sul suo giaciglio, chiamò a gran voce il superiore.
— In che luogo mi avete mai portato? — protesto —Le persone che ho dintorno ridono e scherzano come bambini - Non son certo ammalate come me.
— Lo sono molto di più — rispose il superiore — ma hanno scoperto un segreto, che oggi pochissimi conoscono o cui, conoscendolo, non credono più.
— Quale segreto? — domandò l’uomo.
— Questo -  rispose l’anziano. E, tratto di sotto il mantello un bilancino, prese un sassolino e lo depose su un piatto; subito l’altro si alzò.
— Che stai facendo? — chiese l’uomo.
Ti sto mostrando il segreto. Questo bilancino rappresenta il legame che esiste fra uomo e uomo. Il sassolino è il tuo dolore che ora ti abbatte. Ma mentre abbatte te, solleva l’altro piatto della bilancia permettendo a un altro uomo di gioire. Gioia e dolore si tengono sempre per mano. Ma bisogna che 
il dolore sia offerto, non tenuto per sé; allora fa diventare come bambini e fa fiorire il sorriso anche in punto di morte.
— Nessuna scienza giustifica quanto tu dici — fu la riflessione dell’uomo.
— Appunto per questo c’è in giro tanto dolore vissuto con amarezza. Qui non è questione di scienza ma di fede. Perché non entri anche tu nel bilancino dell’amore?
L’uomo accettò la strana proposta. E fu così che quando, guarito, rivisse istanti di gioia, non poté non pensare alla sofferenza degli altri. E si sentì legato agli uomini di tutto il mondo da un sottile filo d’oro.
Ma questa è una fiaba d’altri tempi, dirà qualcuno. Sappia allora che quando incontra un ammalato che sa sorridere, un infelice capace di gioia, un handicappato fiducioso ha incontrato qualcuno che conosce il segreto del bilancino.
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)



N.36 - Spiritualità e.....companatico • critica incauta 
Un eremita si recò un giorno a visitare un convento.
Mentre l’abate lo accompagnava in giro, l’eremita continuava ad esprimere la sua meraviglia nel vedere i monaci intenti ai vari lavori manuali.
- Perché mai si danno così da fare per occupazioni terrene? Gesù non ha forse lodato Maria, 
che si è fermata ad ascoltarlo, e ripreso Marta, che si preoccupava troppo per l’andamento della casa? L’abate non rispose nulla; alla fine della visita, si limitò a condurre l’eremita, in una cella perché potesse pregare e stare in silenzio.
Verso le tre del pomeriggio, l’eremita, che cominciava ad avere fame, uscì dalla cella; trovato l’abate, gli chiese se quello fosse giorno di digiuno per i monaci
-   No — rispose l’abate.. — Hanno già mangiato tutti.
— Ma...... Come mai non mi avete chiamato?
— Beh, a dire il vero, abbiamo pensato che, siccome hai scelto la parte migliore, come Maria, ti sarebbe bastato il cibo spirituale...
L’eremita abbassò lo sguardo e l’abate concluse con dolcezza:
-         Se Marta non avesse lavorato, come avrebbe potuto riposarsi Maria?
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)


N.37 - L'uomo che camminava sull'acqua • presunzione  •   culto di sé
Un uomo aveva una tale fiducia nel suo guru e nel suo insegnamento che un giorno invitò il maestro sulle rive di un fiume e gli mostrò come riuscisse ad attraversarlo sulla superficie dell’acqua.
— Come diamine fai? — gli chiese il guru.
    Umilmente, il discepolo disse:
-  Ripeto il tuo nome, nient’altro.
Il guru pensò fra sé: «Come devo essere grande e potente se solo la pronuncia dei mio nome fa simili meraviglie!» E, non appena il discepolo se ne fu andato, s’avventurò sull’acqua ripetendo: 
«Io, io, io>>.
Ma subito sprofondò e annegò, perché non sapeva nuotare.
La fede compie i miracoli, ma la vanità e l’egoismo affossano l’anima
Sri Ramakrishna
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)

N.38 - L'uomo che non sapeva fare miracoli   • miracolo della vita 
Un eremita, dopo aver passato sessant’anni in un deserto appartato conducendo una vita assai mortificata, nutrendosi solo di legumi e di un’erba velenosa, si era
scoraggiato al pensiero che non faceva nessuno dei miracoli attribuiti ai primi Padri.
Aveva dunque deciso di lasciare il deserto e di andare in città per condurre una vita più comoda. Ma Dio vegliava e, prima che attuasse il suo piano, gli mandò un angelo che gli disse:
— Che cosa pensi e che cosa dici?...  Quali meraviglie vuoi fare che superino il miracolo della tua vita? Chi ti ha dato la forza di resistere tanti anni in questo luogo? Chi ha benedetto l’erba velenosa di cui ti nutrì e l’ha resa inoffensiva? Rimani nel luogo dove sei e chiedi a Dio che ti dia l’umiltà.
Fortificato dalle parole dell’angelo, l’eremita rimase in quel luogo fino al giorno della sua morte.
Apoftegmi dei Padri
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)

N.39 - I tre filtri 
Un giovane discepolo arrivò a casa del suo maestro e gli disse:
- Senti maestro, un tuo amico stava parlando di te con maldicenza….
- Aspetta! – l’interrompe il maestro – hai già fatto passare per i tre filtri quello che racconti?
- I tre filtri?
- Sì, il primo è la verità. Sei sicuro che quello che vuoi dirmi è assolutamente vero?
- No, l’ho sentito raccontare da alcuni vicini.
- Almeno l’avrai fatto passare per il secondo filtro, cioè la bontà,  quello che desideri dirmi: è buono per qualcuno?
- No, in realtà no, no.  E’ il contrario.
- L’ultimo filtro è la necessità. E’ necessario farmi sapere quello che tanto ti inquieta?
- A dire il vero, no.
- Allora – disse sorridendo il saggio -, se non è verità, né buono, né necessario, seppelliamolo nella dimenticanza.
(Il libro degli esempi - fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita - Piero Gribaudi editore)


N.40 Gli amici di Dio e mistero dell'amore di Dio
Un uomo ricco, senza figli, aveva come unici eredi due servi. Il primo bestemmiava e sbeffeggiava la religione. Il secondo era un uomo timorato di Dio, molto devoto nelle pratiche religiose. Alla morte del padrone i due ricevettero in eredità il patrimonio, suddiviso in parti uguali.
Il primo servo, appena in affari, triplicò i propri guadagni.
Il secondo ebbe sfortuna e perse gran parte delle sostanze.
Il servo religioso e fedele a Dio andò dal rabbino del villaggio a lamentarsi: <<Perché quelli che bestemmiano Dio prosperano e vivono felici, mentre gli amici di Dio conoscono la sventura>>?
Il vecchio rabbino, noto a tutti per la sua saggezza spirituale, rispose con un sorriso:
<<Se ai suoi nemici Dio dispensa tanti privilegi, pensa quanto immenso deve essere il tesoro di benedizioni che tiene in serbo per i suoi amici>>!
  Tradizione rabbinica
(il secondo libro degli esempi – fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita – a cura di Pier d’Aubrigy – Gribaudi)

N.41 - Ci vuole cosi poco -  intelligenza nella carità
Tre mendicanti trovarono per terra una monetina. Nacque subito una disputa su come spenderla. Il primo disse:
—    Voglio assolutamente qualcosa di dolce. Vado pazzo per i dolci!
—    Neanche per sogno — interloquì il secondo, — io ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, qualcosa che mi riempia lo stomaco!
—    Io invece ho una dannatissima sete, e debbo avere subito di che dissetarmi...
Passò di li un tale che, udendo la discussione e vedendo lo stato miserando dei tre, intervenne dicendo:
—    Date a me la monetina. Accontenterò ognuno dei tre. Siate solo così pazienti da attendere un quarto d’ora.
Pur diffidando, i mendicanti acconsentirono. Di lì a poco l’uomo, che era andato nella sua vigna poco discosta, tornò con tre magnifici grappoli d’uva.
Porgendone uno al primo disse:
—    Ecco a te, che sei goloso. Che c’è di più dolce dell’uva?
E al secondo.
—    Tu potrai placare la tua fame. Che c’è di più nutriente dell’uva?
E infine al terzo:
— E tu potrai spegnere la tua sete. Che c’è di più dissetante dell’uva?
I tre furono felicissimi. Anche perché l’uomo rese loro la monetina, invitandoli a darla a qualcuno più povero di loro. Era infatti un uomo che non solo faceva il bene, ma sapeva farlo bene.      
Tradizione ebraica
(Da Il libro degli esempi – fiabe, parabole, episodi per migliorare la propria vita- Piero Gribaudi Editore)


N.42 Il biglietto misterioso
    Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento, ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, “sbandati” e giovani drogati. Di tutti i tipi e di tutti i colori. Si vedeva bene che erano infelici e disperati. Barbe lunghe, occhi sudici, mani tremanti, stracci, sporcizia. Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po' di consolazione e di coraggio per vivere; ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.
         Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, che si aggirava in mezzo agli altri poveri “naufraghi della città” come se avesse una sua personale zattera di salvezza
           Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva. Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca. Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte. La lettura del bigliettino faceva effetto subito. Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.
       Che cosa c'era scritto su quel misterioso biglietto? Sei piccole parole soltanto: «La porta piccola è sempre aperta». Tutto qui! Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre. Significava che era stato perdonato e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa.
E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta. Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto. Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c'era suo padre. In silenzio, si abbracciarono.

N.43 Quello che va in giro, torna

Si chiamava Fleming ed era un povero contadino scozzese. Un giorno, mentre stava lavorando, sentì un grido d'aiuto venire da una palude vicina. Immediatamente lasciò i propri attrezzi e corse alla palude. Lì, bloccato fino alla cintola nella melma nerastra, c'era un ragazzino terrorizzato che urlava e cercava di liberarsi.
            Il fattore Fleming salvò il ragazzo da quella che avrebbe potuto essere una morte lenta e orribile. Il giorno dopo una bella carrozza attraversò i miseri campi dello scozzese; ne scese un gentiluomo elegantemente vestito che si presentò come il padre del ragazzo che Fleming aveva salvato: "Vorrei ripagarvi - gli disse il gentiluomo - avete salvato la vita di mio figlio". "Non posso accettare un pagamento per quello che ho fatto" replicò il contadino scozzese rifiutando l'offerta.        In quel momento il figlio del contadino si affacciò alla porta della loro casupola. "E' vostro figlio?" chiese il gentiluomo." Si" rispose il padre orgoglioso. "Vi propongo un patto: lasciate che provveda a dargli lo stesso livello di educazione che avrà mio figlio.Se il ragazzo somiglia al padre, non c'é dubbio che diventerà un uomo di cui entrambi saremo orgogliosi" E così accadde.
         Il figlio del fattore Fleming frequentò le migliori scuole dell'epoca, si laureò presso la scuola medica dell'ospedale St.Mary di Londra e diventò celebre nel mondo come sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina.
      Anni dopo, lo stesso figlio del gentiluomo che era stato salvato dalla palude si ammalò di polmonite.
Questa volta fu la penicillina a salvare la sua vita. Il nome del gentiluomo era lord Randolph Churchill e quello di suo figlio sir Winston Churchill.
          Qualcuno una volta ha detto: quello che va in giro torna. Lavorate come se non aveste bisogno di danaro, amate come se non foste mai stati feriti, danzate come se nessuno stesse a guardare, cantate come se nessuno stesse a sentire, vivete come se in terra ci fosse il paradiso.

N.44 Un biscotto fatto per te
    Un bimbo raccontava alla sua nonna che tutto andava male: la scuola, problemi con la famiglia,malattie, ecc. Intanto, la sua nonna preparava un biscotto. Dopo averlo ascoltato, 
la nonnina gli dice: “Vuoi fare merenda?” il bimbo risponde:“certamente”.
   “Prendi,eccoti un poco di olio da cucinare”. “Mmm, ma non è buono da mangiare da solo!” dice il bimbo.
   “Cosa diresti di un paio di uova crude?” “Mamma mia, che disgustose saranno, nonna!” "Allora gradisci un po’ di farina di grano, o magari un po’ di lievito?” “Nonna, sei diventata matta, tutto questo è immangiabile”!
   Allora la nonna rispose: “Sì, tutte queste cose sembrano ripugnanti, se le consideri separate. Però se le metti tutte insieme in maniera adeguata, formano un meraviglioso e delizioso biscotto!"
***
Dio lavora alla stessa maniera. Molte volte ci domandiamo
perché permette di andare per certe strade
 e affrontare situazioni tanto difficili.
Ma Dio sa che quando Egli mette queste cose
 nel Suo ordine divino, tutto opera per il bene!
Dobbiamo soltanto confidare in Lui
e a lungo andare tutto insieme formerà qualcosa di meraviglioso.
Dio è pazzo di te! Se Dio avesse un frigo,
metterebbe il tuo ritratto sulla porta!
Se avesse un portamonete, la tua foto sarebbe lì.
T’invia fiori a ogni primavera e il sole sorge per te ogni mattino.
Quando desideri parlare, Egli ti ascolta.
Poteva vivere in qualunque parte dell’universo
 e ha scelto di vivere nel tuo cuore.
E cosa ti sembra il regalo di Natale che t’inviò a Betlemme?
E che dire di quel venerdì sul Calvario e la domenica di Risurrezione?
Credilo, è pazzo di te. Ti ama veramente.
Piangi tutto quello che necessita piangere…
Egli asciugherà le tue lacrime.
Egli ti darà un altro giorno per ridere di quello che un giorno ti ha fatto piangere,
solo spera e soprattutto abbi fede, Dio ti benedica.


N.45 Il bimbo e il vecchio
   Eravamo l'unica famiglia nel ristorante con un bambino. Io misi a sedere il nostro piccolo Daniel su un seggiolone per bimbi e mi resi conto che tutti erano tranquilli mentre mangiavano e chiacchieravano.
      Improvvisamente Daniel si mise a gridare dicendo: "Ciao amico! "Batteva il tavolo con le sue manone ciccione. I suoi occhi erano spalancati per l'ammirazione e la sua bocca mostrava l'assoluta mancanza di denti.Con molta gioia egli rideva e si dimenava. Mi guardai attorno e capii che cosa lo stava così tanto attraendo.Era uno straccione con un cappotto logoro sulle spalle, sporco, unto e rotto. I suoi pantaloni erano larghi e con la chiusura aperta fino alla metà; le dita dei suoi piedi si affacciavano attraverso quelle che furono delle scarpe.La sua camicia era sporca ed i suoi capelli non erano più stati toccati da lungo tempo.Le sue basette erano lunghe e folte ed il suo naso aveva così tante vene che sembrava una mappa. Non eravamo molto vicini a lui per sentir nell'odore, ma di sicuro puzzava fortemente.Le sue mani cominciarono a muoversi per salutare: "Ciao piccolo; come ti chiami?", disse l'uomo a Daniel.Uno sguardo veloce tra me e mia moglie: "Che facciamo?" Daniel continuava a ridere e a ripetere : "Ciao, ciao amico."Tutti nel ristorante guardavano noi e il mendicante. Il vecchio sporco stava scomodando il nostro bel figliolo. Cominciarono a servirci la cena, mentre quell'uomo continuava a parlare e a gesticolare con Daniel. Tutti ci trovavamo a disagio per l'atteggiamento di quell'uomo. In più era anche ubriaco.Mia moglie ed io eravamo chiaramente in imbarazzo e non sapevamo cosa fare.Mangiammo in fretta e in silenzio; Daniel invece, molto inquieto, mostrava tutto il suo repertorio al mendicante che gli rispondeva con gesti infantili imitando quelli dei bambini piccoli. Finalmente, finito di mangiare, ci dirigiamo verso la porta d'uscita. Mia moglie andò a pagare il conto e accordammo di ritrovarci fuori,nel parcheggio. Il vecchio si trovava molto vicino alla porta d’uscita, ed io pregavo sottovoce il Signore che ci facesse uscire prima che quel matto potesse avvicinarsi a Daniel. Passai vicino all'uomo, dandogli la mia schiena e tentando di trattenendo il respiro, per non respirare l'aria che il vecchio aveva respirato.  Mentre io facevo questo, Daniel andò rapidamente in direzione del mendicante e gli alzò le sue braccia per farsi prendere in  braccio.Prima che io potessi intervenire, Daniel saltò in braccio al mendicante e lo abbracciò. Poi, in un atto di totale fiducia, amore e sottomissione mise la sua testa sulla spalla del povero. Quell'uomo chiuse gli occhi. Due grosse lacrime gli solcarono le guance. Le sue mani vecchie e rugose, piene di cicatrici e dolore, molto soavemente accarezzavano la schiena di Daniel. Non avevo mai visto nella mia vita due esseri volersi bene così profondamente in così poco tempo. Mi trattenei atterrito.Il vecchio uomo sospirò con Daniel ancora tra le sue braccia e poi, aprendo lentamente gli occhi, mi fissò dicendomi, con voce forte e sicura:"Abbia cura di questo giovanotto!" In qualche modo gli risposi: "Lo farò", con un immenso nodo alla gola. Egli separò Daniel dal suo petto, lentamente, come se avesse un dolore, e me lo diede in braccio. Presi Daniel mentre il vecchio mi diceva:"Dio la benedica, signore. Lei mi ha fatto un regalo immenso."  Riuscii a malapena a dire un sommesso grazie.Con Daniel in braccio. uscii di corsa verso l'auto.Mia moglie si domandava perché stavo piangendo stringendomi così forte al petto Daniel, e perché continuavo a ripetere:"Dio mio, Dio mio, perdonami."Avevo appena assistito all'amore di Cristo attraverso l'innocenza da un piccolo bambino che non si fermò all'apparenza e non fece alcun giudizio;un bambino che vide un'anima ed alcuni genitori che invece videro solo un mucchio di vestiti sporchi.Ero stato un cristiano cieco, rimproverando invece il bimbo che cristiano lo era fino infondo. Sentii che Dio mi stava interrogando: "Sei disposto a condividere con me tuo figlio per un momento,quando Io l'ho fatto per tutta l'eternità? "Quel vecchio,inconsciamente, mi riportò alla mente le parole di Gesù:"Io vi assicuro che chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso."(Luca 18,17).
(dal sito di Buongiorno nel Signore di Eugenio Marrone)


N.46 - L'amore di Allah    speranza in Dio
Nei pressi di una moschea un giovane mendicante cantava con voce mirabile un inno ad Allah.
Passò uno sceicco e si fermò ad ascoltare quel canto dolcissimo.
Terminata la canzone, il giovane tese la mano verso il ricco signore che era rimasto impassibile di fronte a lui e Io implorò:
Per amore di Allah, ti prego, fammi la carità!
Lo sceicco cui era morta la moglie da pochi giorni non si dava pace per il dolore della perdita. Avendo abbandonato la fede, rispose al mendicante:
— Non per amore di AIlah. ma per amore del tuo bel canto ti faccio l’elemosina!
Così dicendo, gli fece scivolare in grembo alcune mo­nete d’oro.
Ma il mendicante, udendo quelle parole, gli disse:
Come puoi, fratello, apprezzare questo canto in lode di Allah, se non ami il Signore? Come puoi capire questo inno, se non credi in Lui? La mia voce non è for­se la Sua voce? — e scostando da sé la coperta sulla quale era caduto il denaro, gli intimò:
— Riprenditi i tuoi soldi!
Lo sceicco si chinò per raccoglierli e vide che il giovane era completamente senza gambe.
Come avrei potuto vivere senza di Lui? Senza la speranza in Lui? — disse ancora il giovane.
Il ricco signore si allontanò col cuore in tumulto senza aprir bocca, ma, fatti pochi passi, si accorse che stava cantando anche lui l’inno di lode ad Allah.
 Silvia Guglielminetti
(Da il secondo libro degli esempi – Gribaudi editore)


N.47 - L’ acqua e la Messa

Il  Signore e san Pietro, mentre giravano per il Friuli, passarono davanti a una chiesa, nella quale il prete del paese, un individuo strambo e ubriacone, stava celebrando la messa. Era domenica, e il Signore disse a san Pietro: « Oggi è festa, e dobbiamo andare a messa. »
« Io, sentire messa da quel pretaccio lì? Assolutamente no. Piuttosto faccio peccato. »
Il Signore lo disse e tornò a dirlo, ma non riuscì in nessun modo a convincere san Pietro. Andarono avanti e salirono su una montagna. San Pietro aveva sulle spalle un sacco che gli pesava come fosse di piombo. Faceva molto caldo. San Pietro sudava come una fon­tana, e gli venne una voglia intensa di bere, come fosse una donna incinta. Ma non trovava un filo d’acqua da nessuna parte.
« Ah, Signore, Signore benedetto, che sete! Non ne posso proprio più. » « Taci. Più avanti troveremo uno zampillo. »
Camminarono ancora un pezzo, e san Pietro conti­nuava a lamentarsi. Allora il Signore, seccato da quella nenia, gli disse:
« Pietro, sai una cosa? Se passi sotto quella roccia troverai l’acqua che cerchi. »
San Pietro mise giù la bisaccia e corse via come il vento. Giunse sotto la roccia - e lì vide un filo d’acqua bella fresca, la quale però usciva dalla bocca di un serpentaccio. Fece per tornare sui suoi passi, ma la sete lo tormentava. Si fece coraggio, mise la bocca ac­canto a quella del serpente, e bevette a più non posso. Poi tornò presso il Signore.
« Allora, hai bevuto? » gli domandò il Signore.
« Sì, ma sono stato lì lì per non farlo>>.
« Perché mai? »
« L’acqua usciva dalla bocca di un serpente>>.
« Ma era buona, no?>>
« Era fresca e buonissima! »
« Hai visto, Pietro? Pure la messa era buona, e t’a­vrebbe fatto molto bene, anche se chi la diceva era un cattivo prete. Ma il fatto è che tu avevi poca voglia di stare in piedi per un’ora. Tieni a mente per un’altra volta la storia del serpente. »
                                             (da Fiabe Friulane – Oscar Mondadori)

N.48 Abbandonare il fardell
Un giorno vieni a sapere che dall’altra parte del fiume c’è uno maestro cui tutti dicono meraviglie. Lo vuoi vedere a ogni costo. Ti metti in cammino. Ecco il fiume. Non lo si può guadare e attraversarlo a nuoto è troppo pericoloso. Sulla riva si presenta un traghettatore con la sua barca. Gli domandi di portarti all’altra riva.
«D’accordo», ti dice, «ma per cominciare getta il tuo fardello. Traghetto soltanto gli uomini, non i loro affari..
«Ma non posso abbandonare il mio fardello. Come farei senza i miei affari? Qui dentro ho il mio cibo per il viaggio, la mia coperta per la notte. Ho fiori e frutta da offrire al maestroHo i miei testi sacri, che leggo ogni giorno. Dopo tutto, il mio fardello non è poi così pesante. Orsù, traghettatore, sii ragionevole! Traghettami così come sono, con quello che porto. Ti pagherò adeguatamente..
«Come preferisci» risponde il traghettatore. «Prendere o lasciare. Senza fardello ti traghetto. Con il fardello ti lascio qui. Che cosa scegli fra le due? Vedere il maestro o i tuoi vecchi stracci?..
Allora si lascia cadere il sacco, si passa e si ha la vi­sione di sé. (Saggezza indù)

N. 49 Alla festa della Creazione
(Bruno Ferrero, Solo il vento lo sa)
  Il settimo giorno, terminata la Creazione, Dio dichiarò che era la sua festa. Tutte le creature, nuove di zecca, si diedero da fare per regalare a Dio la cosa più bella che potessero trovare.
Gli scoiattoli portarono noci e nocciole; i conigli carote e radici dolci; le pecore lana soffice e calda; le mucche latte schiumoso e ricco di panna.
Miliardi di angeli si disposero in cerchio, cantando una serenata celestiale.
L'uomo aspettava il suo turno, ed era preoccupato. "Che cosa posso donare io? I fiori hanno il profumo, le api il miele, perfino gli elefanti si sono offerti di fare la doccia a Dio con le loro proboscidi per rinfrescarlo".
L'uomo si era messo in fondo alla fila e continuava a scervellarsi. Tutte le creature sfilavano davanti a Dio e depositavano i loro regali.
Quando rimasero solo più alcune creature davanti a lui, la chiocciola, la tartaruga e il bradipo poltrone, l'uomo fu preso dal panico.
Arrivò il suo turno.
Allora l'uomo fece ciò che nessun animale aveva osato fare. Corse verso Dio e saltò sulle sue ginocchia, lo abbracciò e gli disse: "Ti voglio bene!".
Il volto di Dio si illuminò, tutta la creazione capì che l'uomo aveva fatto a Dio il dono più bello ed esplose in un alleluia cosmico.

"Per qual fine Dio ci ha creati? Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra, in Paradiso" (Catechismo di Pio X).

Lascia che ti ami, mio Dio.
Che cosa ho in cielo,
che cosa ho in terra, all'infuori di te?
Tu, Dio del mio cuore
e mia parte nell'eternità,
lascia che mi aggrappi a te.
Sii sempre con me,
e se sarò tentato di lasciarti,
tu, mio Dio, non mi lasciare.

N.50 Gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date
Alcuni giorni fa ero in strada con mia nipote, una bambina di circa 8 anni. Stavamo camminando, quando abbiamo visto sul marciapiede un mucchietto di buste e cartoni, con un giovane tutto rannicchiato sopra. Quello che tutti chiameremmo "barbone".
Il mio occhio, anche se "cristiano" ma purtroppo abituato a queste scene, quasi aveva escluso dall'attenzione questa presenza. Ma quello della bambina no! Più ci avvicinavamo al povero, più lei lo guardava con occhio evangelicamente misericordioso. Accortomi di questo atteggiamento, passo una moneta alla bambina per metterla nel cestino, quasi vuoto, del povero. A questo punto il giovane si alza e velocemente si allontana.
Dove starà andando?
Entra in un bar e quasi subito ne riesce con un ovetto di cioccolato in mano e lo dona alla bambina con un sorriso che non dimenticherò mai! E subito scompare, tornando al suo mucchio di povere cose! Sono rimasto senza parole!
Anche la nipotina è rimasta colpita dal dono ricevuto.
Mi sono subito ripreso, spiegando alla bambina che quello che conta è l'amore! Noi avevamo donato solo una moneta, lui aveva donato oltre all'uovo di cioccolato un enorme gesto d'amore!

"... forse non potrò mai risolvere il problema della povertà per tutti i poveri del mondo, ma per questo povero che ho davanti devo fare tutto quello che è nelle mie possibilità!" (Beata Madre Teresa di Calcutta)

51 - Lo straniero (Jules Beaulac, liberamente tradotto)
Arrivava da non si sa dove; lui stesso non se lo ricordava. Aveva camminato tanto e per tanto tempo, a giudicare dal suo sguardo fisso, dalle sue labbra secche e dalla sua barba lunga di più giorni. I suoi vestiti erano neri di polvere e la sua pelle ancor più sporca. Non camminava più, ma ondeggiava di qua e di là. Non aveva più sembianze. Solo lui conosceva il bruciore che gli torceva lo stomaco, tanto aveva fame... i crampi che gli mordevano i polpacci, tanto aveva camminato... il dolore che gli rompeva la testa, tanto il sole gliela aveva picchiata. Non aveva dormito da giorni e notti ormai, aveva mangiato qualcosa a malapena, bevuto un po'... Ora, davanti a lui un paese: si augurava di trovare un cuore compassionevole.
Entrò nel negozio di un fruttivendolo e domandò la "carità" di una arancia o di una mela.
- Hai i soldi?  - No, signore, ma sto morendo di fame...
- Niente soldi, niente frutta! Qui, non si fa credito. Vai a cercare altrove!
Bussò alla porta di una casa privata. La proprietaria, vedendo quella specie di accattone, non aprì la porta... tantomeno il cuore!
Si stava facendo notte, anche per la sua speranza. Come ultimo tentativo andò a suonare all'ufficio parrocchiale... più e più volte. Finalmente, una donna aprì prudentemente la porta e, senza lasciar tempo a parole, gli disse:  - Mi dispiace, signore, non riceviamo più nessuno, l'ora d'ufficio è passata. Se volete qualcosa ripassate domani all'ora indicata sulla targhetta. Non ebbe il tempo di rispondere che la porta era di già sbarrata.  - Possibile che la carità sia programmata?... si disse tra sé e sé.
Proprio vicino alla casa parrocchiale c'era una villa con un grande portico ombreggiato e una signora che si dondolava beatamente al fresco: - Signora, avreste qualcosa da mangiare e un angolo in casa vostra per dormire?
Non aveva ancora finito di domandare, che si sentì folgorare dallo sguardo:
- Sappiate, signore, che io non faccio la carità a tipi come voi! Andate via a lavarvi! E poi andate a lavorare come fan tutti! A parte questo, io ho già le mie buone opere da fare, i miei poveri. Sono una donna buona, io, e una buona cristiana!  Capì che anche lì non avrebbe ottenuto niente. Ma il cervello si arrovellava: ma che razza di cristiani fabbrica questo paese...  Riprese la sua strada trascinando i piedi: era troppo affaticato e... scoraggiato. Non ci sarebbe stato proprio nessuno su questa terra a dargli vitto e alloggio?
Avanzava lentamente, sentiva il cuore stringersi, e le lacrime tiepide rigargli le gote...
All'improvviso si sentì chiamare:  - Ehi, tu! Come sei conciato! Si direbbe che hai camminato per tutta la terra, senza mangiare, senza lavarti e senza riposarti! Mi fai un po' pena! Dai, fermati, entra da me e lasciati vedere!
Non credeva alle sue orecchie. La speranza gli diede la forza di alzare gli occhi e guardare chi lo aveva apostrofato: Dio mio, chi poteva essere? E adesso, che fare?...
Capelli neri, ricci come il mantello di un montone, maschera di cipria, trucco pesante, mascara agli occhi... labbra laccate di rosso, una camicetta abbondantemente scollata e una mini-minigonna!
Capì subito che aveva a che fare con la "maddalena" del villaggio. Senza nemmeno rendersi conto, si ritrovò a tavola, davanti ad una minestra e ad una bistecca saporita mentre dalla stanza gli arrivavano effluvi di incenso e chissà quanti altri profumi e unguenti: come era bello mangiare dopo così tanto tempo! Appena finito, si ritrovò sapone e asciugamano in mano e sentì gorgogliare l'acqua tiepida nella vasca da bagno. Ah! che bello sentirsi finalmente pulito!
Lei gli infilò una camiciola uscita da chissà dove e lo mandò a dormire dopo avergli preparato una tisana.
Sprofondò in un sonno di piombo.
Mentre dormiva, la "Maddalena" si accese la ventesima sigaretta e vuotò il sesto bicchiere di cognac... In lei, pensieri diversi la paralizzavano per la sorpresa:
- Poveretto, faceva davvero pena! Non lo potevo lasciar passare, bisognava che facessi qualcosa... Ho dato quello che potevo. Tu, Gesù, che dall'alto del tuo paradiso sai tutto, hai visto quello che è successo questa sera. Spero che te lo ricorderai quando alla fine della vita, sarò davanti a te... Certo, io non vado alla Messa: i devoti si scandalizzerebbero. Le mie "buone opere" non sono nel catalogo delle "signore perbene"! I benpensanti non passano davanti alla mia casa, molti entrano da dietro! Però tu sai che in fondo in fondo ti voglio bene, e io so che tu mi ami, come hai amato una come me che ti ha asciugato i piedi tanto tempo fa'. So che un giorno tu mi cambierai cuore e vita. Questa sera ho fatto solo della carità ad un poveruomo: l'ho nutrito, lavato, ospitato ed ascoltato; ebbene, buon Gesù è a te e per te che l'ho fatto!
Tirò l'ultimo sbuffo di fumo di sigaretta dalle narici, scolò il bicchiere già vuoto e si alzò per andare a letto: l'animo era tranquillo come non mai. Si addormentò del sonno dei giusti.
La sua era stata veramente una buona giornata!

Mt 25,35: "Ero forestiero e mi avete ospitato".
Eb 13,2: "Non chiudere la tua porta allo straniero perché rischi di chiuderla all'Angelo del Signore".
Gv 21,7: "Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!»".

52 - L'uomo che pregava in silenzio
Una volta un sacerdote stava camminando in chiesa, verso mezzogiorno, passando dall'altare decise di fermarsi lì vicino per vedere chi era venuto a pregare. In quel momento si aprì la porta, il sacerdote inarcò il sopracciglio vedendo un uomo che si avvicinava; l'uomo aveva la barba lunga di parecchi giorni, indossava una camicia consunta, aveva una giacca vecchia i cui bordi avevano iniziato a disfarsi. L'uomo si inginocchiò, abbassò la testa, quindi si alzò e uscì. Nei giorni seguenti lo stesso uomo, sempre a mezzogiorno, tornava in chiesa con una valigia... si inginocchiava brevemente e quindi usciva.

Il sacerdote, un po' spaventato, iniziò a sospettare che si trattasse di un ladro, quindi un giorno si mise davanti alla porta della chiesa e quando l'uomo stava per uscire dalla chiesa gli chiese: "Che fai qui?". L'uomo gli rispose che lavorava nella zona e aveva mezz'ora libera per il pranzo e approfittava di questo momento per pregare, "Rimango solo un momento, sai, perché la fabbrica è un po' lontana, quindi mi inginocchio e dico: "Signore, sono venuto nuovamente per dirTi quanto mi hai reso felice quando mi hai liberato dai miei peccati... non so pregare molto bene, però Ti penso tutti i giorni... Beh Gesù... qui c'è Jim a rapporto".

Il padre si sentì uno stupido, disse a Jim che andava bene, che era il benvenuto in chiesa quando voleva. Il sacerdote si inginocchiò davanti all'altare, si sentì riempire il cuore dal grande calore dell'amore e incontrò Gesù. Mentre le lacrime scendevano sulle sue guance, nel suo cuore ripeteva la preghiera di Jim: "Sono venuto solo per dirti, Signore, quanto sono felice da quando ti ho incontrato attraverso i miei simili e mi hai liberato dai miei peccati... non so molto bene come pregare, però penso a te tutti i giorni... beh, Gesù... eccomi a rapporto!".

Un dato giorno il sacerdote notò che il vecchio Jim non era venuto. I giorni passavano e Jim non tornava a pregare. Il padre iniziò a preoccuparsi e un giorno andò alla fabbrica a chiedere di lui; lì gli dissero che Jim era malato e che i medici erano molto preoccupati per il suo stato di salute, ma che tuttavia credevano che avrebbe potuto farcela. Nella settimana in cui rimase in ospedale Jim portò molti cambiamenti, egli sorrideva sempre e la sua allegria era contagiosa. La caposala non poteva capire perché Jim fosse tanto felice dato che non aveva mai ricevuto né fiori, né biglietti augurali, né visite. Il sacerdote si avvicinò al letto di Jim con l'infermiera e questa gli disse, mentre Jim ascoltava: "Nessun amico è venuto a trovarlo, non ha nessuno". Sorpreso il vecchio Jim disse sorridendo: "L'infermiera si sbaglia, però lei non può sapere che tutti i giorni, da quando sono arrivato qui, a mezzogiorno, un mio amato amico viene, si siede sul letto, mi prende le mani, si inclina su di me e mi dice: «Sono venuto solo per dirti, Jim , quanto sono stato felice da quando ho trovato la tua amicizia e ti ho liberato dai tuoi peccati. Mi è sempre piaciuto ascoltare le tue preghiera, ti penso ogni giorno... beh, Jim... qui c'è Gesù a rapporto!»".

53  - Come vi sareste comportati voi
In un programma della Radio Vaticana guidato da Franca Salerno, si propone questa settimana il solito quesito "Come vi sareste comportati voi ?" a proposito di un caso di coscienza che avrebbe fatto la gioia di Guareshi.
Si tratta di un tale che trovandosi in una chiesa romana durante la Messa vespertina si sentì invitato dal sacerdote a "scambia­re un segno di pace" col proprio vicino di banco, prima dell'Agnus Dei.
Era un barbone, molto male in arnese, il quale, appena si sentì stringere la mano dal signore in questione, fissandolo negli occhi, con un sorriso beato, disse:
- Questa sera vengo a cena da te.
Il signore rimase piuttosto interdetto e, mentre la Messa volgeva al termine rifletteva furiosamente se gli convenisse o no portarsi a casa il barbone, ed era assai imbarazzato. Tanto che quando costui incal­zò ripetendogli: "Allora vengo a cena a casa tua?" rispose turbato:
- Bene, bisogna vedere: io non ti conosco capisci.....
Ribatté stupendamente il barbone:
- Ma se non mi conosci, perché mi hai stretto la mano?­
(da Piccole Voci)


54 - Il Tesoro
Ai giovani che venivano da lui per la prima volta, Rabbi Bunam soleva raccontare la storia di Rabbi Eisik, figlio di Rabbi Jekel, a Cracovia.
Dopo anni di dura miseria, che però non avevo scosso la sua fiducia in Dio, gli era stato ordinato in sogno di cercare un tesoro della città di Praga presso il ponte che conduce al castello reale. Quando il sogno si ripete la terza volta, Rabbi Eisik si mise in cammino e andò a Praga a piedi. Ma presso il conte stavano giornate sentinelle ed egli non ebbe il coraggio di scavare. Tuttavia andava al ponte ogni mattina e vi girava attorno fino a sera.
Finalmente capitale le guardie, che l'aveva osservato, gli chiese amichevolmente se cercasse qualcosa o se aspettasse qualcuno. Rabbi Eisik raccontò il sogno che l'aveva condotto lì da così lontano.
Il capitano rise:
“e tu povero diavolo sei venuto fin qui con le tue scarpe logore per un sogno! Sì, presta fede ai sogni! Allora anch'io avrei dovuto mettermi la via tra le gambe quando una volta mi fu ordinato in sogno di andare a Cracovia e nella stanza di un ebreo, che doveva chiamarsi Eisik figlio di Jekel, dissotterrare di sotto la stufa un tesoro. Eisik figlio di Jekel! Mi vedo proprio buttare all'aria e pavimenti di tutte le case laggiù dove una metà degli ebrei si chiama Eisik e l'altra Jekel!“
E rise di nuovo. Rabbi Eisik si inchinò, tornò a casa, dissotterrò il Tesoro e costruì la sinagoga che si chiama la Scuola di Reb Eisik figlio di Reb Jekel.
“ricorda questa storia,“ soleva aggiungere Rabbi Bunam, “e afferra bene ciò che significa: che vi è qualcosa che tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, neppure dallo zaddik, e che pure vi è un luogo dove la puoi trovare“.

M. Buber - I racconti dei Chassidim - Garzanti 1985, pp 569-570

55 - Le tre massime del pettirosso

Un uomo trovò un pettirosso impaniato fra gli spini e lo catturò, dicendo: «Che bellezza, me lo porto a casa e me lo faccio allo spiedo».Al che il pettirosso gli parlò: «Che ben magro pasto faresti col mio corpicino minuto! Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore».
«Sì, d'accordo, - rispose l'uomo - ma prima dim­mi le massime e poi ti lascerò andare».
 «E come posso fidarmi? Facciamo così: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in mano. Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto. Poi volerò sulla cima dell’albero, e da lì ti dirò la terza massima».
Così fu convenuto e l'uccellino cominciò: «Non ti lamentare mai di ciò che hai perso, tanto non serve a nulla ».
«Bene, - disse l'uomo - mi piace», e liberò il pettirosso che dal ramoscello vicino disse la seconda massima: «Non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona».
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima dell'albero gridò tra i gorgheggi: «Uomo sciocco e stupido! Nel mio corpo è nascosto un bracciale tutto d'oro, tempestato di diamanti e rubini. Se mi avessi aperto, a quest'ora saresti un uomo ricco».
Al che l'uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando: «Povero me, in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso! Me disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso! Perché questo insulso scambio per tre sole massime... Ma, un momento! Ehi, pettirosso: me ne hai dette solo due; dimmi almeno anche la terza! ».
E il pettirosso rispose: «Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile. Ed ecco che sei per terra a lamentarti. Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benché minima prova. Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale? Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una terza?». E volò via.
(Saggezza islamica – Gabriel Marcel – Ed Paoline)

56 - L'Angelo del Signore e le tre prove

Un saggio, che aveva passato la vita in meditazione e ricerca, scorse una mattina tra la folla uno strano essere, magro, con una folta barba lunga, e gli disse: «So chi sei, e ti riconosco perché sono un mistico: tu sei l'Angelo del Signore, e vai per la terra a compiere i suoi disegni. Lascia allora ch'io ti segua, lascia che ti serva perché questo è ciò che per tutta la vita ho desiderato: essere utile ai disegni di Dio».
L'altro lo guardò perplesso, e dopo un lungo silenzio rispose: «Sia; ma ad una condizione: rimarrai con me sino al tramonto senza criticare mai le mie azioni né chiedere mai spiegazione del mio operato».
    « Va bene - ribatté il saggio. - So tacere quando occorre... ».E si misero in cammino.
Dopo un po' giunsero in vista d'un villaggio i cui abitanti s'eran raccolti attorno a un muro che recintava un orto e cominciavano a demolirlo pietra dopo pietra.  L’individuo magro dalla barba folta chiese loro ragione di quel lavoro, e uno rispose: «Vedi quei due ragazzi?  Sono orfani, e il loro unico sostentamento è dato da questo piccolo orto. Stamane, passando da qui, il  giudice del distretto è stato colpito da una pietra caduta dal muretto; ha ritenuto che il muretto fosse pericolante e ha ingiunto ai ragazzi di demolirlo completamente entro il tramonto, pena la confisca dell'orto. Poiché non ce la faranno da soli né hanno denaro per pagar manovali, noi tutti li aiutiamo».
Udito ciò, l'Angelo del Signore gli rispose: «Ma perché proprio tu sei qui? Non hai forse una mucca in atto di figliare, bisognosa dunque del tuo aiuto? ». Poi, mentre quello correva alla sua stalla, preso in disparte uno dopo l'altro quelli che lavoravano, parlò loro della necessità che s'occupassero dei fatti propri, e li convinse tutti ad abbandonare i due orfani che, rimasti soli, gli lanciarono una lunga, sconsolata occhiata di rimprovero; poi, con le lacrime agli occhi, presero a demolire il muro dicendo: «Facciamo quanto possibile, e forse il giudice ci permetterà di terminare domani».
Il saggio e l'uomo magro ripresero il cammino, non senza una certa perplessità del primo che a un certo momento sbottò: «Ma non ti pare di aver agito male nei riguardi di quei poveri orfani?».
L'altro gli rispose: «Ricordati la tua promessa; taci e seguimi».
Nel primo pomeriggio i due giunsero sulle rive di un grande fiume. I traghettatori vociavano e berciavano per richiamare l'attenzione dei pellegrini, ma non vollero abbassare il loro prezzo quando l'Angelo del Signore protestò: «Quattro monete a testa? Così tanto? Non potremmo darvene due?».
«Niente da fare, oppure andate laggiù, da Husein il povero. Ha una barca sgangherata e traghetta per una sola moneta».
Fecero così, e infatti Husein, un giovane che non poteva acquistare una barca più bella, doveva proprio accontentarsi delle briciole. Li traghettò per una moneta a testa, ma quando arrivarono sulla riva opposta l'Angelo del Signore sguainò la spada e menando un fendente sul fondo della barca vi fece un buco che la colò a picco.
Husein cominciò a inveire, ma i due si allontanarono in fretta. Poco dopo il saggio sbottò: «Ma perché hai rovinato quella barca? Quel giovane è povero, ha bisogno di soldi. Non potrà più lavorare per tutta la giornata!».
«Ti ho detto di tacere, dunque taci! », ribatté l'altro. Era quasi il tramonto quando si trovarono a passa­re accanto alla casetta di un boscaiolo. Come questi li vide, andò loro incontro dicendo: «Viandanti, è felice dovere d'ogni buon musulmano ospitare alla propria tavola lo straniero. Accomodatevi da noi e desinate di buon grado».
Così i due passarono più di un'ora in compagnia del boscaiolo, parlando con i suoi quattro figli e in particolare con l'ultimo, che era il prediletto dei genitori, oramai attempati. Quando venne il momento di partire, l'Angelo del Signore chiese indicazioni sulla strada per la città. Il boscaiolo spiegò: «Segui il sentiero fin dopo la collina, poi prendi quello a destra dei due alberi...».
Ma l'Angelo pareva non capir bene, talché alla fine disse: «Facci accompagnare dal tuo ultimogenito fino a quei due alberi, così saremo sicuri di non sbagliare».
Così fu fatto, e i tre si incamminarono. Superata la collina, giunti infine alla biforcazione, il ragazzo indicò la strada giusta, li salutò e si volse per tornare indietro. Allora l'Angelo del Signore sguainò di nuovo la spada e con un gran fendente gli tagliò netta la testa.
L’uomo saggio inorridì... Rimase un momento col fiato mozzo, e poi, violentemente, urlò: «Angelo del Signore?! Macché Angelo del Signore: un delinquente, un assassino, ecco chi sei! L'Angelo del demonio, forse. Mio Dio, ma come ho fatto a non capirlo prima? Vattene, vattene via! La maledizione su di te, assassino! ».
Al che l'altro rispose: «Certo, me ne vado, e capisco perché non mi vuoi più seguire. D'altronde non lo potresti: avevamo pattuito che non avresti dovuto protestare per ciò che facevo, né criticare, e per tre volte hai contravvenuto al patto. Tuttavia, prima di lasciarti, ti darò la spiegazione dei fatti. Quella gente che aiutava i due orfani, hai visto in effetti com' era egoista? Non appena gli ho parlato dei loro interessi se ne sono andati. Orbene: ai piedi di quel muretto era sepolta una marmitta piena di monete d'oro. Se quella gente l'avesse trovata, non ne avrebbe parlato coi ragazzi e si sarebbe spartito il tesoro di nascosto. Ora i due giovani hanno trovato le monete, e il loro avvenire è assicurato». «Sì, ma quella barca?».
    «Dietro di noi stava sopraggiungendo una banda di predoni che aveva compiuto un grande saccheggio. I predoni, giunti al fiume, hanno razziato tutte le barche per discendere il fiume sino alla loro nave, dove tutte le barche sono state affondate. La sola che non hanno potuto prendere è quella di Husein, che la potrà riparare durante la notte e domani, unico traghettatore, lavorerà per molti giorni al prezzo che vuole».
«Sì, ma il ragazzo che hai ucciso? Il più piccolo, il più caro a quei boscaioli».
«Questa notte sarebbe impazzito, e nella sua follia avrebbe ammazzato nel sonno i suoi fratelli. Ora, che cosa è preferibile per quei genitori? Piangere il loro figlio minore, confortati dagli altri tre, o avere i primi  tre uccisi dal fratellino, e quest'ultimo ucciso dal boia? Stolto l'uomo che giudica le azioni di Dio; anzi: stolto è l’uomo che giudica, quando gli elementi di giudizio possesso sono inadeguati o scarsi».
(Saggezza islamica – Gabriel Marcel – Ed Paoline)

57 - Ciò che è prezioso non vale e ciò che non vale è prezioso
     Un grande re chiese ad un saggio sufi di indicargli il modo migliore per manifestare la propria regalità. «Con le buone azioni», rispose il saggio.
Tuttavia il re rispose che le buone azioni hanno un grande valore, ma un ben scarso riconoscimento. «In effetti - rispose il saggio - ha più valore l'apparenza».   .
Sentendo questa affermazione, i cortigiani protestarono, invitando il re a non seguire i consigli di quel l'uomo, che tuttavia replicò: «Maestà: in questo basso mondo la persona più preziosa non vale niente, e la persona che non vale niente è la più preziosa».
«Dimostramelo - disse il re - altrimenti ti farò tagliare la testa».
Il saggio sufi lo invitò allora ad uscire in incognito dalla reggia. Si recarono al mercato e il sufi suggerì al re di chiedere al mercante di frutta un chilo di ciliege in regalo, con la scusa che servivano per alleviare le sofferenze di un ammalato, anzi per salvargli la vita.
Inutilmente il re insistette: il mercante lo cacciò con male parole, e alla fine così si rivolse agli altri mercanti ridendo: «Ne ho sentite di tutte, per portarmi via po' di merce, ma uno che chieda un chilo di ciliege per salvare un ammalato, mai. Questi straccioni non sanno più che cosa inventare. Vattene via, vecchio, se non vuoi che ti bastoni».
Il re stava per farsi riconoscere, quando il sufi lo trascinò via. Poco dopo giunsero alla riva del fiume, che in quei giorni scorreva impetuoso, ricco delle acque del disgelo. Ad un tratto il sufi diede uno spintone al re, che cadde in acqua e si dibatté fra le onde. Tutti accorsero per guardare lo spettacolo, ma nessuno aveva voglia di buttarsi in acqua per salvare lo sventurato, che oramai si sentiva soccombere quando un mendicante, proprio il più straccione della città, si buttò in acqua e trasse in salvo il re.
Allora il sufi si avvicinò al monarca e disse: «Hai visto? Quando tu, la persona più preziosa del regno, hai chiesto un chilo di ciliege per salvare la vita di un ammalato, non hai ottenuto niente; e quando questo mendicante, la persona che vale meno di tutti, ti ha salvato, è stato per te più importante della tua stessa persona. Non sono le apparenze che contano, ma la sostanza. E la sostanza della qualità è solo la buona azione che rimane ignota».

(Saggezza islamica – Gabriel Marcel – Ed Paoline)
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N.58 - La chiave del baule
(il rispetto sacro per l’intimità dell’altro)

Una donna era proprietaria di un negozio di antiquariato. Disponeva di un ampio spazio, che normalmente rimaneva aperto a chi desiderava visitare i pezzi antichi, e abitava nel locale retrostante, in pochi metri quadrati, sufficienti per lei e il suo cane di razza. Siccome doveva uscire spesso in cerca di oggetti antichi e non aveva orario fisso per il ritorno, affidò il negozio ad una sua amica che, durante il giorno, rimaneva lì e si incaricava di chiuderlo, se la proprietaria arrivava a casa tardi. Affidandole il negozio, diede all'amica tutte le istruzioni necessarie di come fare nel caso le persone volessero vendere o comperare dei pezzi. Le ricordò anche che l’antico baule, messo strategicamente nella sala più grande, non era in vendita. Si trattava di ogget­to personale, che non teneva nella camera solo per mancanza di spazio. Perciò, nessuno doveva toccare quell’antica arca.
Le persone interessate a comperare cose antiche, entravano, erano accolte dall’amica, facevano mai e domande, ma a riguardo dell’antico baule ottenevano sempre la stessa risposta: non era in vendita. Era una cosa particolare della padrona del negozio. Questa risposta, ripetuta molte volte per molti mesi, associata alla bellezza e antichità del pezzo cominciò a suscitare la curiosità delle persone, che si chiedevano che cosa ci fosse di tanto importante in quel baule, al punto che nessuno poteva avvicinarsi. Difatti, per non disobbedire all’ordine della padrona del negozio di antiquariato, l’amica s’impegnava gentilmente ad accompagnare i clienti, soprattutto quando andavano nella sala dove si trovava l’antica arca. Fu così che la curiosità suscitò varie congetture e queste esercitarono un’ attrazione insaziabile. Molte persone si sentivano attratte al negozio di antiquariato per il mistero nascosto in quel baule, questa “cosa proibita” che non era in vendita. La fantasia correva libera, e si affermavano le versioni più strane sul contenuto del baule. Per esempio, si diceva, che la padrona metteva dentro i suoi gioielli e che si trattava di un vero tesoro; altri garantivano che in quest’arca c’erano amuleti per i sortilegi, strumenti misteriosi, ecc. La creatività e a volte la maliziosità non avevano limiti. Si può dire che questo baule conteneva ciò che ogni persona voleva che contenesse, i desideri segreti di ognuno, quelle cose che, non volendo riconoscerle in se stessi, molti le attribuiscono agli altri. Tutti, però, avevano qualcosa in comune, perché volevano la chiave del baule, per aprirlo e scoprire il suo segreto.
Le pressioni sull’amica erano costanti. Ad uno ad uno, eccitati dalla curiosità, la bombardavano di richieste, incuriosendo anche lei. La tentazione di scoprire dove era la chiave era sempre maggiore. Nonostante questo, l’amica si sforzava eroicamente di vincere ogni tentazione. Ma questa diventava sempre più grande dopo che qualche cliente, avendo percorso tutto il negozio di antiquariato e fatto molte domande e ipotesi su quell’antica arca, si ritirava. Là si concentravano tutti i demoni di tutte le tentazioni quasi trascinando l’amica nei luoghi più nascosti alla ricerca della chiave per aprire il baule e, finalmente, liberare lo spirito misterioso che vi era. Questo divenne il pane quotidiano dell’amica per molti mesi, senza che lei lo lasciasse trasparire alla proprietaria del negozio, senza che facesse nessuna domanda a proposi­to dell’arca o della chiave che avrebbe aperto il cammino alla grande rivelazione.
Un giorno, mentre stavano insieme e senza persone vicine, l’amica apri l’argomento. Le raccontò tutta la pressione esercitata quotidianamente da quella proces­sione di curiosi e pettegoli, le tentazioni di tutti, le congetture, il desiderio crescente di sperimentare e il frutto proibito; infine, tutto quello che stava succedendo da vari mesi a riguardo della chiave che potrebbe rivelare, una volta per tutte, il grande segreto dell’antico baule. Con molta naturalezza, anche se un po’ spaventata, la proprietaria del negozio le fece la rivelazione sorprendente non c’è chiave per aprire il baule! Esso è stato sempre aperto. Basta alzare il coperchio ed è tutto chiaro. Inoltre rassicurò l’amica, dicendole che, per aver sopportato tutta quella pressione poteva avvicinarsi subito all’antico baule, aprirlo e vedere il suo contenuto. E volle che lo facesse davanti a lei. Prendendola per il braccio, la condusse all’antica arca e con un gesto, le fece capire che era autorizzata ad aprire. L’amica si abbassò e alzò il coperchio Difatti, il baule non aveva chiave. Dentro c’era solo un pezzo di carta, con una frase che la proprietaria del negozio aveva ascoltato un giorno:“Agli amici diamo la Chiave del cuore, ma essi vi entrano solo se sono invitati”                
José Bortolini, Brasile

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N.59 - La pipa e il pettine(Tagore)

Era un matrimonio povero.
Lei filava alla porta della sua baracca, pensando a suo marito. Tutti quelli che passavano rimanevano attratti dalla bellezza dei suoi capelli, neri, lunghi, luccicanti.
Lui andava ogni giorno al mercato a vendere un po' di frutta e si sedeva sotto l'ombra di un albero per aspettare i clienti. Stringeva tra i denti una pipa vuota,
non aveva soldi per comperare un pizzico di tabacco.
Si avvicinava il giorno del loro anniversario di matrimonio e lei non smetteva di chiedersi che cosa avrebbe potuto regalare al marito. E con quali soldi? Le venne un'idea. Mentre la pensava, ebbe un brivido, però dopo aver deciso, si riempì di gioia: avrebbe venduto i suoi capelli per comperare il tabacco a suo marito.
Già immaginava il suo uomo nella piazza, seduto davanti alla frutta, dando lunghe boccate alla sua pipa: aromi di incenso avrebbero dato, al padrone della piccola bancarella, la solennità e il prestigio di un vero commerciante.
Vendendo i suoi capelli ottenne solo alcune monete, però scelse con attenzione il tabacco più pregiato.
Alla sera, ritornò il marito, arrivò cantando. Portava nelle sue mani un piccolo pacchetto, c'erano alcuni pettini per la sposa, li aveva acquistati dopo aver venduto la sua pipa.

L'amore è puro dono,
pura gioia di pensare all'altro,
di togliersi dal centro della propria vita
per lasciare all'altro lo spazio d'onore.

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N.60 - Sei così vicino alla croce che...(mons. Angelo Comastri e madre Teresa di Calcutta)
Mons. Angelo Comastri, vescovo di Loreto, ha raccontato che anni fa, a causa di un banale disguido medico, si è ritrovato quasi in fin di vita per problemi cardiaci; è andato in crisi, cosa che gli ha fatto capire quanta strada ancora doveva fare cristianamente. In quei momenti ha telefonato a madre Teresa di Calcutta, con la quale era in amicizia, per chiederle un qualche conforto.
"What wonderful thing!", "che cosa stupenda!", è stata la sua risposta. "Madre Teresa, ha capito bene cosa le ho detto? Sto rischiando di morire!". E lei, ancora: "Sei fortunato: sei così vicino alla croce che Gesù può baciarti senza neanche fare fatica".
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N.61 Il capriolo
Un giorno, all'improvviso, il capriolo porta-muschio delle montagne, avverte nelle narici il soffio di un profumo muschiato.Non si rende conto da dove provenga, ma
ne è affascinato e corre di giungla in giungla alla ricerca del muschio.
Si sente costretto a cercarlo attraverso burroni e foreste, rinuncia a bere, a mangiare
e a dormire, finché esausto e affamato precipita da una cima mortalmente schiantato nel corpo e nell'anima. Il suo ultimo gesto prima di morire è di aver pietà di se stesso e di leccarsi il petto... dove, o prodigio! viene a scoprire che la sua tasca-muschio gli si è sviluppata sul corpo.
La bestiola allora ansima profondamente, tentando di aspirare quel profumo, se non
è troppo tardi.....
"Non cercare fuori di te il profumo di Dio, per perire nella giungla della vita.
Non cessare di cercarlo dentro di te, e vedrai che lo troverai".
                                                                   Soren Kirkegaard

(dal libro – La morale della favola di Gribaudi Editore)

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N.62 Come trovare Dio
Un discepolo andò dal suo maestro e gli disse:"Maestro, voglio trovare Dio".
Il maestro sorrise. E siccome faceva molto caldo, invitò il giovane ad accompagnarlo
a fare un bagno nel fiume. Il giovane si tuffò, e il maestro fece altrettanto.
Poi lo raggiunse e lo agguantò, tenendolo a viva forza sott'acqua.
Il giovane si dibattè alcuni istanti, finché il maestro lo lasciò tornare a galla.
Quindi gli chiese cosa avesse più desiderato mentre si trovava sott'acqua.
"L'aria", rispose il discepolo. "Desideri Dio allo stesso modo?" gli chiese il maestro.
"Se lo desideri così, non mancherai di trovarlo”. Ma se non hai in te questa sete ardentissima, a nulla ti gioveranno i tuoi sforzi e i tuoi libri.
Non potrai trovare la fede, se non la desideri come l'aria per respirare.

(dagli Apoftegmi dei Padri del deserto) - dal libro "La morale della favola"


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N.63 Il violino a tre corde 
        Il 18 novembre del 1995, il violinista Itzhatk Perlman si presentò sul palcoscenico del Lincoln Center di New York per tenere un concerto.
Per Perlman raggiungere il palcoscenico non era una impresa facile: colpito da poliomelite quand’era ancora bambino, era bloccato da protesi su entrambe le gambe e camminava con l’aiuto di stampelle. Il vederlo camminare, lentamente e faticosamente, per raggiungere il suo posto nell’orchestra, era una scena impressionante.
Una volta seduto, dopo aver adagiato le stampelle per terra, sbloccava le protesi dalle gambe, poi ritirava una gamba ed estendeva l’altra in avanti. Infine, si abbassava per prendere il violino e, una volta sistematolo sotto il mento, accennava al Direttore che si poteva procedere a suonare. Il pubblico era abituato al ripetersi di questo rituale e lo seguiva in silenzio. Un giorno, però, accadde un grosso imprevisto: proprio mentre stava per concludersi la prima parte dello spartito, gli si ruppe una corda del violino. Agli occhi dei presenti non vi erano dubbi su ciò che occorreva fare. Perlman avrebbe dovuto alzarsi in piedi, sbloccare le protesi, prendere le stampelle e lasciare il palcoscenico per trovare un altro violino o un’altra corda. Ma non accadde niente di tutto ciò. Ci fu un attimo di silenzio. Perlman chiuse gli occhi e, dopo un po’, fece cenno al Direttore di riprendere dal punto in cui l’orchestra si era fermata. Iniziò a suonare con tanta passione, con tanta forza e con tanta maestria che nessuno l’aveva mai sentito esibirsi dando prova di una simile perfezione.
Sappiamo tutti che è impossibile suonare un’opera sinfonica con tre corde, eppure Perlman modulava e ricomponeva il brano con una maestria impres­sionante. Quando terminò ci fu un attimo di silenzio, poi il pubblico si alzò in piedi e ci fu un’esplosione di applausi e di grida di acclamazione. L intero uditorio esprimeva a gran voce l’enorme apprezzamento per la sua esibizione.
Lui sorrise, si asciugò il sudore dal volto, poi alzò il violino per invitare il pubblico al silenzio e, in tono tranquillo e riverente, disse: «Voi sapete che, a volte, il compito dell’artista è esplorare quanta musica si può produrre con quello che resta».
Che lezione di vita! In realtà, forse questa proposizione ci consente di dedurre la migliore definizione della vita per tutti, non solo per gli artisti.
Perlman si era preparato per produrre musica con un violino di quattro corde e si era ritrovato nel mezzo di un concerto con solo tre corde. Decise di suonare con quelle sole tre corde e la musica che ne scaturi risultò più bella e indimenticabile di qualsiasi brano che avesse mai interpretato con quattro corde.
La sfida nella vita è produrre musica con ciò che si ha e, quando questo non è più possibile, con ciò che resta.

(Padre A. Pangrazzi – Aiutami a dire addio – ed. Erickson)
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N,64 - Quale sei tu?
L’oro per essere purificato deve passare attraverso il fuoco, così come l’essere umano ha bisogno di prove per fortificare il proprio carattere.
Una figlia si lamentava con il padre per le difficoltà sperimentate nella vita. Era stanca di continuare a lottare e stava per arrendersi: infatti, si era accorta che, una volta risolto un problema, se ne presentava subito un altro.
Il padre, cuoco di professione, decise di portarla in cucina: lì riempì tre pentole di acqua e le mise sul fuoco a scaldarsi. Dopo poco tempo, l’acqua delle tre pentole iniziò a bollire. Nella prima pentola depose delle carote, nella seconda delle uova e nella terza dei chicchi di caffè. La figlia, impaziente, si domandava che cosa stesse facendo.
Dopo venti minuti il padre spense il fuoco e, prese le carote, le sistemò in una ciotola; quindi depose le uova in una scodella, il caffè filtrato in una tazza. Poi rivolgendosi alla figlia, le chiese: «Che cosa vedi?».
«Carote, uova e caffè», fu l’immediata risposta. Il padre la invitò ad avvicinarsi e le chiese di toccare le carote, facendole osservare che erano morbide. Poi le chiese di prendere un uovo e di romperlo facendole notare che, una volta tolto il guscio, l’uovo era duro. Infine le chiese di gustare il caffè e lei sorrise, mentre ne assaporava il ricco aroma.
La figlia gli domandò: «Che significa tutto questo?».
Il padre le spiegò che i tre elementi avevano affrontato la stessa avversità, l’acqua bollente, però ognuno aveva reagito in forma diversa.
La carota era stata introdotta nell’acqua forte e dura, ma il contatto con l’acqua bollente l’aveva resa debole e fragile.
Quando l’uovo era stato immerso nell’acqua era fragile e il suo guscio sottile serviva a proteggerne il liquido interno. Una volta esposto all’acqua bollente, il suo interno aveva acquisito una consistenza solida e dura.
Invece i grani di caffè, a contatto con l’acqua bollente, ne avevano cambiato il colore.
«Quale di questi rispecchia il tuo modo di reagire alle avversità?», doman­dò il padre alla figlia. «Sei una carota, un uovo o un grano di caffè? Sei forte come la carota prima di essere immersa nell’acqua, ma quando l’avversità o il dolore bussano alla porta, diventi debole? O sei come l’uovo che inizialmen­te presenta un cuore fluido e adattabile ma, dopo un distacco o una morte, diventa duro e rigido? O sei come un grano di caffè che riesce a cambiare il colore dell’acqua bollente, l’elemento che le produce dolore? E proprio quan­do l’acqua raggiunge il punto di ebollizione che il caffè opera la sua trasfor­mazione. Se sei come il caffè, quando l’avversità ti mette alla prova, tu reagisci al meglio e fai in modo di trarre il maggior vantaggio possibile dalla situazione. »
(Padre A.Pangrazzi – Aiutami a dire addio – Ed. Erickson)
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N. 65 - Coprendo il sole con una mano
(Paulo Coelho)

Un discepolo cercò il rabbino Nahman di Braslaw. "Non continuerò i miei studi dei Testi Sacri", disse. "Abito in una piccola casa con i miei fratelli e i genitori, e non trovo mai le condizioni ideali per concentrarmi su ciò che è importante".
Nahman indicò il sole e chiese al suo discepolo di mettersi la mano davanti al viso, in modo da occultarlo. Il discepolo lo fece. "La tua mano è piccola, eppure riesce a coprire completamente la forza, la luce e la maestosità dell'immenso sole. Nella stessa maniera, i piccoli problemi riescono a darti la scusa necessaria per non proseguire nella tua ricerca spirituale. Così come la mano può avere il potere di nascondere il sole, la mediocrità ha il potere di nascondere la luce interiore. Non incolpare gli altri per la tua incompetenza".
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N.66 - Abbandonare il fardello
Un giorno vieni a sapere che dall’altra parte del fiume c’è uno maestro cui tutti dicono meraviglie. Lo vuoi vedere a ogni costo. Ti metti in cammino. Ecco il fiume. Non lo si può guadare e attraversarlo a nuoto è troppo pericoloso. Sulla riva si presenta un traghettatore con la sua barca. Gli domandi di portarti all’altra riva.
«D’accordo», ti dice, «ma per cominciare getta il tuo fardello. Traghetto soltanto gli uomini, non i loro af­fari..
«Ma non posso abbandonare il mio fardello. Come farei senza i miei affari? Qui dentro ho il mio cibo per il viaggio, la mia coperta per la notte. Ho fiori e frutta da offrire al maestroHo i miei testi sacri, che leggo ogni giorno. Dopo tutto, il mio fardello non è poi così pesante. Orsù, traghettatore, sii ragionevole! Traghettami così come sono, con quello che porto. Ti pagherò adeguatamente..
«Come preferisci» risponde il traghettatore. «Prendere o lasciare. Senza fardello ti traghetto. Con il fardello ti lascio qui. Che cosa scegli fra le due? Vedere il maestro o i tuoi vecchi stracci?..
Allora si lascia cadere il sacco, si passa e si ha la visione di sé. (Saggezza indù)
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66 - Fino alla follia

"......per trovare Dio dovrai cercarlo..."- così disse l'anziano monaco, al suo giovane discepolo che, lasciato tutto, aveva scelto il deserto accanto a lui...I giorni e gli anni avevano iniziato a scorrere nell'inevitabile alternarsi di luce e di ombre, ora nella pace e nella quiete, ora nella lotta e nella fatica, sempre sotto lo sguardo attento e colmo di amore del suo anziano. Questi aveva un suo metodo di formazione che all'inizio lo aveva sconcertato, ma che poi si era rivelato estremamente efficace: lavoro, esempio, silenzio e povertà.Ma ormai il discepolo si rendeva conto che il tempo del suo Abbà stava per finire. Avrebbe voluto carpirgli il suo ultimo segreto, quello che lo aveva reso così sapiente e quieto."Abbà - disse dunque il discepolo - come posso diventare veramente monaco?" e avrebbe voluto continuare: "monaco come sei tu.", ma si fermò per non ferire la sua umiltà. L'anziano alzò su di lui uno sguardo luminoso e intenso, quindi socchiuse gli occhi e come attingendo dalle profondità del suo cuore prese a dire: "Se qualcuno ti insulta, benedicilo; se qualcuno ti ferisce o ti fa del male, amalo con predilezione; se qualcuno ti accusa ingiustamente, abbraccia il silenzio e non difenderti; quando siedi a mensa prendi il cibo meno buono, il frutto più guasto, il pane più secco; lascia al tuo fratello la tunica migliore e tieni per te quella logora; bevi l'acqua amara e conserva per il pellegrino quella di fonte"."Ma... - il discepolo era rimasto perplesso - Abbà, mi sembra che così facendo sarei non un monaco, ma un folle".L'anziano lo fissò nuovamente con il suo sguardo penetrante e disse: "Figlio, questo infatti è un monaco: un uomo folle per amore di Colui che per primo lo ha amato fino alla follia della Croce". (Dal sito di Eugenio Marrone)

  67 - IL MEDICO E’ MIO PAPA’

Un vecchio saggio fu invitato a parlare in una parrocchia sulla fiducia in Dio.
La chiesa era affollata di adulti, molto attenti.
In prima fila, seduto sulle ginocchia della nonna,
c'era un bambino che giocava con un pezzo di carta in mano.
La sua presenza ispirò al vecchio saggio un paragone e disse:
"Vedete questo bambino?
Questo bambino, come del resto tutti noi,
ha paura del medico e dei suoi interventi che spesso sono dolorosi!"
A sostegno della sua tesi si rivolse verso il bambino e disse:
" Come ti chiami?"
" Riccardo!"
"Riccardo,quanti anni hai?"
"Quattro e mezzo!" rispose fiero agitando la manina.
"È vero che tu hai paura del medico?"
" No! Io non ho paura del medico!"
Sorpreso dalla risposta, il vecchio saggio insistette:
"Ma come! Non hai paura del medico quando ti prescrive le medicine amare,
 quando ti fa la puntura... insomma quando ti fa male?
Non hai paura del medico?"
"No! No! Io non ho paura del medico!" rispose il bambino con maggior forza.
Nel frattempo  la nonna osservava preoccupata le repliche del nipotino.
Dopo qualche tentativo andato a vuoto, il vecchio saggio
piacevolmente meravigliato dalla reazione del bambino disse:
" Senti, Riccardo.
Saresti contento di venire qui al microfono e dire a me e a tutta questa gente,
perché tu non hai paura del medico?"
Riccardo scese dalle ginocchia della nonna, prese  il microfono e ad alta voce disse:
" Io non ho paura del medico perché il medico è mio papà."
Una sonora e gioiosa sorpresa da parte dei presenti accolse l’inattesa risposta.
E la nonna rasserenata confermò:
"Sì, sì. Suo papà fa il medico."
E' il vecchio saggio compiaciuto, rivolgendosi all'assemblea replicò:
"Devo aggiungere altro?
Ora sapete cosa è la fiducia in Dio!"
 Quando abbiamo la consapevolezza che tutti gli interventi più
o meno dolorosi della nostra vita sono voluti o permessi da Dio che ci è papà,
non possono farci paura perché sono segni sensibili del suo amore
che sa guarire e salvare come gli interventi e le medicine del medico.
(anche se, qualche volta, sono proprio amarissime...)
 I pensieri del Gufo