martedì 31 marzo 2015

(Mt 26,14-25) Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!

VANGELO 
(Mt 26,14-25) Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’ uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE

PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito,e vivi in me la visione dell'ultima cena del Signore con i suoi discepoli, perchè attraverso di te mi possa penetrare dentro quello che pensò nostro Signore.Assistimi .

Parliamo del tradimento di Giuda? O parliamo del nostro tradimento?  Quante volte ti abbiamo lasciato da solo Gesù in pasto al nemico... quante volte ci siamo schierati con lui....
Noi non siamo migliori di Giuda, noi per seguire i nostri interessi lo abbiamo tradito mille volte, lo lasciamo da solo in chiesa, non ci fermiamo mai a parlare con Lui... e mille altri modi per tradire quel suo amore così grande che non starò ad elencare, per non ferire nessuno.
Quello che vorrei fare oggi, è spingerci ad un esame di coscienza vero. Chiediamo allo Spirito Santo di farci riconoscere i nostri peccati, di farci vedere in quanti e in quali modi tradiamo Gesù. Vedete quale è la differenza tra Giuda e gli altri? Gli altri discepoli lo chiamano Signore,perchè lo riconoscono Signore nella loro vita, ma lui lo chiama rabbì, maestro, ed il maestro insegna, ma noi siamo così attenti alla sua parola o distrattamente non vediamo l'ora di pensare ad altro, di fare altro?
Tu l'hai detto"...con queste parole Gesù ci dice che siamo noi a decidere il nostro destino, la nostra adesione a Lui,  l'ultima parola è la nostra. Facciamo che non sia una parola che ci condanna, ma, anche se nella nostra imperfezione, ci sia da parte nostra un' adesione sincera a Dio.
Oggi riflettevamo sui bambini che aspettano la Pasqua solo per mangiare le uova di cioccolata, di chi è la colpa? Cosa gli abbiamo spiegato della Pasqua, come gliel'abbiamo sempre fatta vivere?
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lunedì 30 marzo 2015

(Gv 13,21-33.36-38) Uno di voi mi tradirà… Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.

VANGELO 
 (Gv 13,21-33.36-38) Uno di voi mi tradirà… Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE

PREGHIERA

 Spirito Santo, amico mio, fammi capire che cosa vuole Gesù dirmi con queste parole, fammi sentire che tutto illumini, alla luce dell' amore che Lui nutre per me, non certo per i miei meriti o la mia fedeltà, che può crollare nel momento del pericolo come quella di Pietro.


Gesù è con i suoi amici, ed in mezzo a loro c'è quello che lo tradirà; una grande tristezza lo assale, mentre lo comunica agli altri.Vicino a Lui c'era Giovanni, che qui non è chiamato per nome, ma viene definito il discepolo che Gesù amava, ed è tanto evidente questo che,  persino Pietro, che aveva comunque già nei tratti caratteriali il carisma del capo, si rivolge a lui per far chiedere a Gesù il nome del traditore.
 E Gesù illumina il suo discepolo, lo illumina con un gesto che mi fa pensare, che niente accade per caso tra noi e Dio." Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui." all'inizio non capivo che cosa volesse dire l'evangelista con questa frase,come mai è il pezzo di pane, intinto nel piatto stesso di Gesù, che produce per Giuda la condanna.c'è un'altra frse che mi balza davanti agli occhi, ed è una frase di Paolo : " Chiunque mangerà il pane o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore (1 Cor 11, 27)."Paolo che provò la grazia del Signore nella debolezza del peccato, ci dice infatti anche :" Ora, Satana entrò in Giuda chiamato Iscariota, ch'era del numero dei dodici, ed egli andò a trattare con i gran sacerdoti (Lc 22, 3-4)."Quindi il proposito di tradire  Gesù era già in Giuda, e si è accostato alla mensa del Signore già con l'intento di tradirlo, già disprezzando quella grazia che il Signore gli faceva, spezzando il pane anche con lui.Qui il discorso diventa veramente ampio, quando ci accostiamo alla comunione in peccato, non stiamo sfidando il sacerdote o facendo fesso Dio, ma stiamo mangiando anche noi la nostra condanna, meglio che ne prendiamo atto, prima di metterci nelle mani di satana. Uscito Giuda, Gesù resta con i suoi amici, che pur nelle loro imperfezioni, gli restano fedeli, ed a loro annuncia la sua partenza. Non gli dice apertamente che sarà ucciso, ne' come questo avverrà, ma gli dice che sarà glorificato, per la gloria di Dio.Anche Pietro, che crede di essere in una posizione di sicurezza per quanto riguarda la lealtà a Gesù, sembra disposto ad accettare ogni prova pur di poterlo seguire, ma Gesù , che è verità, che sa ogni cosa perchè è Dio, lo ammonisce con dolcezza, come per dire, non essere sicuro di te, perchè anche tu nella prova, se resterai da solo e smarrito, potrai cadere, non contare sulle tue forze e sulle tue buone intenzioni. In questo ultimo atteggiamento di Gesù, c'è molto di più di quello che sembra così, a prima vista; devo confessarvi che a questa frase di Gesù, è legata la mia conversione. Vi rubo ancora un attimo per raccontarvi che in un periodo particolare della mia vita, quando ormai stavo per cedere all'insistente richiamo del Signore, avevo però una forte remora a recarmi da un confessore, non mi sembrava giusto che un sacerdote, che sicuramente non era perfetto, potesse giustificare i miei peccati agli occhi di Dio.Era il giorno di san Pietro e Paolo, nel santuario del Divino Amore di Roma,quando capii che se Gesù aveva giustificato la debolezza di Pietro, io non potevo oppormi ancora al suo volere.... da quella confessione alla caduta di cavallo come san Paolo, è stato tutt'uno.Per questo io mi rivolgo a voi che ancora non riuscite a trovare la forza di mettervi davanti ad un confessore... non indugiate ancora, nell'uomo imperfetto che vi accoglierà, troverete lo Spirito di perfezione di Gesù stesso.È a Lui che chiederete perdono, non fate passare questa Pasqua senza confessarvi e comunicarvi, la strada è ancora lunga e dura, e se al canto del gallo non vogliamo tradire il Signore, dobbiamo nutrirci del suo corpo e del suo sangue, perchè è in lui che troviamo la forza di respingere il male esterno e di combattere quello che ci portiamo dentro.
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domenica 29 marzo 2015

(Gv 12,1-11) Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura.

VANGELO 

 (Gv 12,1-11) Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni

 Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

 Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE

PREGHIERA

Vieni o Spirito Santo, vieni nel mio cuore, porta la conoscenza dell'amore di Dio per noi, porta la sapienza di quello che Gesù mi vuole dire, ed io sarò qui, disponibile all'ascolto, perché solo la tua voce voglio seguire.



L'immagine che ci si presenta davanti agli occhi, se imparate a vederla con gli occhi dello Spirito, è di immensa dolcezza. Gesù è con i suoi amici, nella casa di Lazzaro, che aveva resuscitato dai morti. Quale devozione provavano le sorelle di quest'ultimo per quello che aveva fatto. Mi piace notare che già solo in queste poche righe troviamo uno di noi, chi sarò io? Lazzaro, amico di Gesù, che per la mia amicizia con lui sono tornato a vivere? Che per essergli fedele sono andato oltre la morte? Che ho atteso che mi venisse a risvegliare dai morti? Oppure sono Marta, che serve il Signore e i suoi amici con devozione e rispetto? Che grata a Lui della resurrezione di Lazzaro, senza il minimo dubbio, vede quello che c'è da fare e lo fa? Oppure sono Maria, la dolce piccola Maria, che si mette ai suoi piedi e lo unge con balsamo profumato? La dolcissima Maria che incurante di chi la guarda è lì in adorazione e lo accarezza con le sue mani e i suoi capelli come raccolta in preghiera? La semplice Maria che non si preoccupa di servire con sua sorella per compiere il suo dovere nella vita, ma preferisce un momento d’adorazione e d’intimità con Gesù? Poi vediamo intorno a loro altri personaggi che compongono il quadro che abbiamo davanti agli occhi, troviamo i discepoli, e tra loro, anche Giuda. Notate, infatti, come l'evangelista mette in risalto la sua figura. Giuda teneva la cassa, e si arrogava il diritto di gestire tutti i soldi di chi offriva qualcosa per Gesù, con la scusa di utilizzarlo per i poveri. Ma Giuda non serviva Gesù, serviva la sua avidità, il potere che il denaro gli dava, l'autorità di gestire a suo piacimento i cordoni della borsa, ed era così avido e meschino in cuor suo, che forse meditava già di tradire Gesù per intascarne la taglia.

Il gesto di Maria lo irrita,quanti soldi sprecati in profumi per Gesù,soldi che lui sente sottratti alle sue mani,e per avidità è irritato,ma si nasconde dietro ad una forma di riverenza per i poveri.Questo gesto di Maria, che Gesù difende, e lo fa sentire inferiore, perché lui non amava Gesù, e questa sua inferiorità lo spinge ad allontanarsi da lui, a volerlo far sparire dalla sua vista.

Lo stesso pensiero dei Giudei che non lo riconoscevano come Figlio di Dio e come Dio, e che volevano uccidere sia lui sia Lazzaro, per eliminare le prove della loro esistenza. Intorno a Gesù c'era la prima chiesa e c'erano i suoi oppositori, c'era chi serviva fedelmente, con umiltà e fiducia, chi cercava un rapporto intimo con Lui, come chi prega e vive in adorazione di Gesù, e chi anche tra i suoi discepoli, pensa solo al denaro e lo tradisce, favorendo così i nemici di Gesù, quello che lo odiano e lo vogliono morto, via, lontano dal loro cuore. Io chi sono Gesù? Aiutami con i carismi che tu dai a chi ti cerca con tutto il cuore, a servirti come te mi vuoi, e non permettere mai che mi unisca a chi per un motivo o per l'altro, cerca di allontanarti dalla sua vita. Questa quaresima sta per terminare, fratelli non permettiamo che passi senza lasciare nei nostri cuori un segno profondo, un solco dove Gesù possa seminare amore e raccogliere abbondanti frutti; non permettiamo che finita la Pasqua celebrativa, la porta del nostro cuore si richiuda e dimentichiamo tutto quello che Gesù ha fatto per noi, quanto e come ci ha amato.

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 Corrispondenza nel “Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta(Gv 12,1-11)

https://www.facebook.com/notes/lella-mingardi/corrispondenza-nel-evangelo-come-mi-%C3%A8-stato-rivelato-di-maria-valtortagv-121-11/10151578294311419

sabato 28 marzo 2015

(Mc 11,1-10) Benedetto colui che viene nel nome del Signore.

VANGELO
(Mc 11,1-10) Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
+ Dal Vangelo secondo Marco
Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:«Osanna!Benedetto colui che viene nel nome del Signore!Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!Osanna nel più alto dei cieli!».
Parola del Signore.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo, ed io mi metterò al tuo ascolto, vieni ed io faro' tutto quello che mi dici da fare; vieni nel mio cuore, ed io diventerò amore.
Noi uomini siamo molto strani, ci esaltiamo facilmente e altrettanto facilmente ci smontiamo e molliamo tutto.
Siamo abituati a non dare più peso a niente e lo facciamo veramente con tutto. Lo facciamo con i giochi di bimbi, con gli interessi, quasi tutti momentanei, con gli studi, con il matrimonio, con i figli e con Dio.
Tutto è transitorio nella nostra vita, ma viviamo come fossimo eterni. Noi esaltati all' ingresso di Gesù nella nostra vita, siamo gli stessi che vorremmo solo gioie dalla sua venuta, vorremmo che ci ripagasse sulla terra della nostra fedeltà, e quando capiamo che per seguirlo dobbiamo lottare controcorrente, che dobbiamo abbracciare la croce, siamo subito pronti a rinnegarlo.
La croce è stata ed è ancora oggi il più grande atto d'amore di Gesù e dei suoi discepoli, di quanti hanno accettato la loro infermità con amore come anime consacrate per la salvezza di molti, seguendo Gesù che è stato innalzato per la salvezza d tutti. Accogliamo Gesù, umile tra gli umili, e seguiamolo fino alla croce ed oltre, là dove con la sua resurrezione, ha sconfitto la morte, anche la nostra!

venerdì 27 marzo 2015

(Gv 11,45-56) Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

VANGELO 
 (Gv 11,45-56) Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

Parola del Signore

  


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Lo Spirito del Signore sia su di me, perchè mi ha consacrato nel santo battesimo. Corpo di Cristo, salvami, Sangue di Cristo lavami da tutte le impurità del mio corpo e fa che io sia tuo strumento, tua luce, che sappia dove andare e illumini la via di chi mi vuol seguire, di chi Tu chiamerai a seguirmi. Amen.

Che strazio questo Gesù! Ma chi è? Perchè viene a interrompere i nostri bei giochi di potere e prestigio? Come possiamo eliminarlo perchè non faccia più danni di quelli che ha già fatto?
Molto probabilmente è questo il pensiero dei farisei e dei giudei che si riunirono quel giorno. Loro si erano sistemati a fatica nella condivisone del potere con i romani e questo uomo veniva a scombinare i piani. Dio fino ad allora non li aveva infastiditi? Lasciava a loro gestire la parola, la legge di Mosè era in mano loro, ed adesso quest' uomo, che aveva poteri incredibili, attirava le folle a se e metteva in discussione la loro fede ed i loro atteggiamenti. Aveva osato chiamarli sepolcri imbiancati; no, basta! Quest' uomo doveva morire!!!!!
Quante volte la nostra coscienza si è ribellata alla parola di Dio, all' annuncio dell' Amore; quante volte tutto quello che abbiamo faticosamente conquistato in questa terra si è messo tra noi e Dio? Sembra incredibile come la parola di allora sia attuale e anche troppo, nei giorni nostri e qualcuno pensava che la Bibbia sia solo un libro vecchio di 2000 anni senza senso oggi. Gesù è verità, quando disse che le cose della terra passeranno, ma la sua parola non passerà, sapeva perfettamente quello che diceva, siamo stolti noi, che non facciamo nulla per capire con quanto amore, lui ci parla ancora oggi. La sua è quasi un' implorazione, non un rimprovero. Lui aspetta che noi vediamo quanto ci ama, perchè ci cerca, perchè compie miracoli, perchè vince la morte e ancor di più, cosa è disposto a fare per noi!
Tutto è scritto, e Lui accetta il volere del Padre, costi quel che costi, soffre sia nel corpo che nello spirito per noi; nessuna angoscia gli viene risparmiata, ma lo fa e va avanti fino alla fine, per dimostrarci fino a che punto Dio ci ama.
Tutta la sua venuta sulla terra è un grido di disperazione, convertitevi e credete al Vangelo! Convertitevi e vivete il Vangelo. Non pensate alla vostra vita agiata, al potere al successo, al denaro, agli idoli del momento, ma raccoglietevi in preghiera e ascoltate la voce del Signore: AMATEVI L' UN L'ALTRO COME IO HO AMATO VOI!
Quando ho cominciato a scrivere questa riflessione,  non sapevo dove lo Spirito mi avrebbe portato; ora che sono a questa frase, mi rendo conto che sono,ancora una volta, davanti all' amore misericordioso di Dio che è per me è la risposta ad una chiamata ricevuta anni fa nel santuario di Collevalenza. Per riflettere la luce del Signore, bisogna viverla, nella preghiera e nelle opere e far uscire da noi stessi quelli che sono i nostri interessi terreni, i nostri dei.
In molti che si sentono vicini a Dio (a modo loro) non ritengono di dover fare questo, di dover rinunciare a nulla, perchè loro vivono in questo mondo ... non nell'altro. Io non intendo dire di  vivere fuori dal mondo,ma nella nostra giornata giornata far posto al Signore.
A  volte testimoniare la propria fede è faticoso, è difficile, perchè chi non ti da della bigotta,ti da dell' invasata, e mi verrebbe voglia di mollare, di non sollecitare  gli altri perchè si sveglino, è umanamente il mio pensiero ogni tanto, anche scrivere questa pagina oggi è stato doloroso. Dio ci ama, svegliamoci, non facciamo che muoia dentro di noi, non andiamo da nessuna parte senza di Lui.  Eccomi,Signore io vengo a te, con i miei difetti, con le mie paure, le mie angosce  le mie lacrime e i miei sorrisi ... tutto quello che ho ti appartiene, usami, ed io non avrò' vissuto inutilmente in questo mondo. Provate a ripeterlo con me: eccomi Gesù, io mi consacro a te!
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giovedì 26 marzo 2015

(Gv 10,31-42) Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.

VANGELO DI VENERDì
(Gv 10,31-42) Cercavano di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

Parola del Signore




LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore ti prego di starmi vicino col tuo Santo Spirito,di illuminare la mia mente ed il mio cuore e di guidare i miei passi .

Ogni cosa intorno a Gesù si fa sempre più chiara, anche l'ostinazione verso di lui, comincia ad assumere nuovi contorni. Mentre loro, i farisei, cercano falsi pretesti per farlo incriminare e per farlo uccidere, lui parla con parole di verità, citando la sacra scrittura, e facendo vedere come le sue parole, le parole di Dio e le opere che Lui compie, siano strettamente legate.
Questo è per noi un segnale inconfutabile, anche la nostra vita, da figli di Dio, come quella di Gesù, non può essere altro che un'adesione alla sua parola. Non basta infatti sapere le scritture, come bravi alunni che hanno studiato, le conosce anche il diavolo, ricordiamo infatti che tenta anche Gesù appropriandosi di esse.
Per farci riconoscere come Cristiani, per riflettere la luce che emana dalla parola di Dio, la nostra adesione deve essere totale e sincera.
Non è un lavoro semplice, e non dipende solo da noi, ma da quanto riusciamo ad aderire al progetto di Dio, ed in base a questo, Lui farà il resto, e ci cucirà addosso grazie su grazie.Ci sarà sempre chi cercherà di criticarci, lapidarci con menzogne, invidie e gelosie, e saranno altri uomini come noi, che però non dobbiamo vedere come ostacoli, ma dobbiamo percepire come grazie, perchè affineranno le nostre virtù, con le quali combatteremo le nostre debolezze.
La sfida più bella della nostra fede è accettare con amore e pazienza, le tappe che si presenteranno, vivendo da esseri normali, che cercano di arare, zappare, concimare, seminare e raccogliere quel piccolo pezzo di terra che è la nostra vita, e che il buon Dio ci ha affidato. Non si diventa santi con le parole, ma con i fatti, e questo i farisei non riuscirono a capirlo.
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mercoledì 25 marzo 2015

(Gv 8,51-59) Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno

VANGELO 
 (Gv 8,51-59) Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «In verità, in verità io vi dico: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno”». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Aiutami Signore con il tuo Santo Spirito , a percepire il senso delle tue parole che parlano al mio cuore.

Quello che Gesù fa è un vero e proprio ANNUNCIO:Chi osserverà la sua parola non morirà in eterno.
Quindi lui che è VERITA’ e VITA ci rende partecipi della sua resurrezione.
D’ altronde nelle Sacre Scritture si parla della resurrezione ed io credo alla risurrezione di Gesù in conformità a quanto dicono i testi sacri e la predicazione della Chiesa.
Credo alla risurrezione, ma non è su di lei che appoggia la “mia” fede, la mia fede “interiore”, viva, quella che ripeto a me stessa nella solitudine, in quei momenti nei quali ricerco un punto fermo su cui appoggiarmi per sussistere di fronte alle tempeste del mondo.
Se non credessi nella resurrezione … crederei in Gesù Cristo? Crederei che è il Figlio di Dio inviato sulla terra per salvarci?
Spesso mi viene fatta questa domanda, perchè pensano che molta parte della fede dei Cristiani è basata solo su questo; come se tutto fosse condizionato dal ricevere una ricompensa per il nostro modo di vivere. Poi gli stessi che mi chiedono questo, affermano che il loro senso della morale non ha bisogno di un Dio con cui confrontarsi. Io mi chiedo invece: perché io dovrei avere qualcosa in cambio, dovrei decidere in base a delle promesse, per una cosa che è naturale in me.
In tanti cercano di dare delle risposte al perché delle scelte morali che un uomo compie, specialmente i filosofi.
La scelta morale di ogni persona Secondo David Hume è dovuta alle emozioni che guidano il nostro giudizio morale mentre secondo Immanuel Kant la ragione dovrebbe essere la forza trainante. Ancora oggi è diffusa l’ idea che per prendere decisioni corrette sia necessario usare la sola razionalità e abbandonare le emozioni.
Compito irrinunciabile della filosofia, che è laica per statuto, è di smontare i tentativi di definizione di un’ortodossia, poiché questa implica il suo contrario, l'eterodossia, condannata come non conforme alla norma.
Pensando a questo vedo i Giudei lanciare sassi contro Gesù, ma il Suo destino non sfugge a quello che è scritto, si nasconde agli occhi di chi vuole solo attaccarlo e si rivela ai piccoli e agli umili di cuore. Credere in Cristo non significa metterci a fare ricatti o scambi, tipo “io ti do se su mi dai”, ma è Amare chi ci ha amato al di sopra di tutti i ragionamenti possibili, ed è per questo che se pure non ci fosse nulla dopo la morte, io vorrei comunque vivere amando per essere amata, nel nome di Cristo.
L’amore non è illusione, altrimenti non è amore.Quando penso a Gesù e alla Madonna, vedo l' immagine onnipresente di quanto questo amore sia costato a Dio, vedo il volto di una madre che tiene tra le braccia il corpo del figlio innocente, morto nel più orrendo dei modi, come l' ultimo dei malfattori e che, senza parole con il cuore stretto dalla tribolazione, non sente neanche più il sangue scorrergli nelle vene.
Tante attese, tante speranze, tanto dolore, tutto potrebbe fermarsi lì, ma l' amore di Dio non ha limiti e continua a chiedere ancora oggi a quella donna e a quell'uomo di continuare ad amarci in quel modo assurdo, oltre ogni limite, oltre ogni ragione umana, oltre la morte.
Se non ci fosse stato il si di Maria e quello di Gesù, se a loro non fosse seguito il si dei Santi Apostoli, di tutte le sante persone che hanno seguito le loro orme, tutte le nostre buone intenzioni e azioni non sarebbero valse nulla. Gli uomini dotti e i più semplici continuano a cercare una ragione, ma non ci sono ragioni che diano all'amore una spiegazione, perchè il solo comandamento che conta è questo: al cuore non si comanda! Dio non riesce a non amarci...se ce ne rendessimo conto, ci getteremmo tra le sue braccia e gli doneremmo per sempre la nostra vita.
Questo è quello che ci aspetta, questo è quello in cui io credo!

martedì 24 marzo 2015

(Lc 1,26-38) Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.

 VANGELO DI MERCOLEDì 25 MARZO
(Lc 1,26-38) Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce. 
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Vieni o Santo Spirito, e guidaci come facesti con Maria alla conoscenza del volere di Dio, e come lei fa che sappiamo accettarlo.

In questo momento della Quaresima, ritornare alle origini, alla scelta di Maria, al suo si, rappresenta per noi ripercorrere un cammino a ritroso che ci fa comprendere come a volte il disegno di Dio si compia sotto ai nostri occhi senza che ce ne rendiamo conto. Per quanti di noi c'è stato un momento in cui Dio ci ha chiamato a compiere una scelta, e quanti hanno detto di si, anche se non sapevano a cosa stavano andando incontro.
C' è un insieme di testimonianze che risalta nel mondo, quella fatta di operosa concretezza di Giovanni Battista e di Maria, quella muta di Zaccaria e silenziosa di Giuseppe, quei SI di chi pur nell'incertezza della vita è stato pronunciato una volta per tutte.
«Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» si diceva.... evidentemente secondo il giudizio umano, ben altre dovevano essere le caratteristiche della citta che avrebbe dovuto dare i suoi natali al Messia, ma proprio nella sua piccolezza ci viene spiegata più che chiaramente la logica di pensiero di Dio.
È Dio che rende grandi tutte le cose, e sceglie proprio le più piccole per dimostrarci che è lui che sceglie ed agisce.
«Hai trovato grazia presso Dio! » Questa è la frase che urla sopra ogni altra,anche sopra alla paura di Maria per quanto sta accadendo,e questa è la frase che ancora oggi voglio mettere in risalto,perchè la grazia più grande che Dio ci fa è il suo AMORE ETERNO.
Sì, Dio ci ama ancora, anche se non abbiamo mai fatto nulla per meritare il Suo amore, Lui non ha fatto altro e non farà mai altro che amarci e chiamarci alla conversione. Per me l’incontro è stato questo, è stato trovare la mia identità, la mia dignità, nella dignità di Gesù, che ha reso possibile questo, non scendendo a compromessi, ma scendendo dalla sua realtà, per avvicinarla alla mia.
Seguire Gesù non può essere solo seguire certe regole, ma accettare di lasciarsi vivere come Lui, con Lui, perchè lo si ritiene un uomo giusto, un Dio giusto.
Per me la sacra scrittura non è solo un libro da comprendere, ma la storia di un cammino tra la promessa di Dio e degli uomini che provano a vivere la loro vita tra misteri e contraddizioni, tra grazie e castighi.
Non basta essere amati, essere scelti, poter ricevere in eredità il Regno, ma occorre decidere di scrivere la nostra storia con Dio, costi quel che costi.
E allora, concludiamo recitando le parole del salmo:
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
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lunedì 23 marzo 2015

(Gv 8,21-30) Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono.

VANGELO
(Gv 8,21-30) Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Ti prego o Santo Spirito,di illuminare la mia mente verso LA LUCE, perchè io possa camminare tranquillamente al seguito di Gesù.

Quello che Gesù fa ai Farisei, è un discorso molto duro, anche se nell'apparenza pacato e, forse, riesce più utile questo discorso che tanti miracoli che ha compiuto davanti ai loro occhi, tanto che finisce con la frase : < a queste parole molti credettero in lui. >
Che cosa ha suscitato questa decisione? Sicuramente la paura dell' inferno, del fuoco eterno, della perdita definitiva dell' appartenenza a Dio.
Gli ebrei riconobbero Mosè come mandato da Dio ed attraverso di lui trovarono la salvezza dall' oppressione degli egiziani, lo seguirono verso la terra promessa, ora dovevano fare il passo successivo, riconoscere in Gesù il figlio di Dio, riconoscere in Gesù Dio, perchè se non riescono a credere in questo, non potranno avere la vita eterna, non potranno essere salvati dai loro peccati. 
L'opposizione a Cristo è il rifiuto di Dio, perchè non c' è altra spiegazione alla mancanza di fede, non è solo un non seguire le sue orme e i suoi insegnamenti, ma rifiutarli, ostinatamente, e questo solo per poter gestire da soli la propria vita.
L' uomo da sempre cerca di opporsi all' idea di obbedire a Dio, non riconosce che attraverso l'obbedienza del sommo bene si raggiunge la santità e che la santità non è una condizione di sofferenza, ma di assoluta felicità.
Cosa impedisce di diventare come Gesù? Sono la superbia, l ' egoismo, l ' invidia, e tutti gli altri sentimenti che fanno parte della nostra umanità terrena ai quali non riusciamo a rinunciare e tutto il contrario invece, l' umiltà,   l' amore per il prossimo, la carità, fanno di noi delle persone dai sentimenti elevati.
Secondo voi, Dio ci ha creato per essere stolti e litigiosi o per amarci e vivere serenamente? Ancora chiediamoci: qual' è la via della sapienza e della giustizia; la nostra o quella del vangelo? 
So che è duro proseguire in questo viaggio che abbiamo intrapreso, che le  tentazioni non mancheranno, ma abbonderanno anche le grazie, e la mitezza prenderà il posto della rabbia, la pace quello dell' ira.
I nostri peccati sono come i serpenti brucianti di Mosè, ma Gesù li prenderà su di se e guardando a lui, innalzato sulla croce, conosceremo la nostra salvezza. 


domenica 22 marzo 2015

(Gv 8,1-11) Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.

(Gv 8,1-11) Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adultèrio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adultèrio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano
 nell ’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Parola del Signore
VANGELO

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Ti prego o Spirito Di Dio di darmi la luce per vedere oltre il peccato, oltre il peccatore, fa che sia sempre caritatevole per essere a mia volta trattata con misericordia.
Gesù da fastidio con la sua presenza...e gli scribi e i farisei non riescono proprio ad accettare di essere ripresi da Lui, e vorrebbero trovare in lui qualcosa che non va, qualcosa di cui accusarlo, per poterselo togliere di mezzo. La legge degli uomini condannava chi sbagliava contro la legge di Dio (riveduta e corretta a loro uso e consumo) alla prigionia e alla morte, e questo era una forma di potere alla quale assoggettavano il popolo.
Gesù invece parlava d'amore e di perdono, di una vita che andava oltre la morte, di una casa del Padre che non era terrena, e questo faceva smuovere le coscienze. Una donna adultera che aveva peccato contro la legge di Dio, era un'occasione ghiotta per loro, ma Gesù non ci casca neanche stavolta, non nega la parola di Mosè, ma fa loro capire che sono loro che interpretano male la parola, ergendosi a giudici mentre non sono in grado di poter giudicare perché anche loro sono peccatori. Ma la cosa che più mi colpisce è come Gesù è misericordioso, come indica alla donna che può andare, ricominciare a vivere, perché non è il giudizio degli ipocriti che conta, ma il suo non sbagliare più, non peccare più, e la voglia di ricominciare da capo.
A volte si giudica una persona e si mette in mezzo con i nostri giudizi, e non è importante se scagliamo sassi od offese, se i nostri sassi si chiamano indifferenza o emarginazione... siamo tutti degli ipocriti farisei purtroppo. Dio quante pietre scagliate con giudizi sbagliati sono state lanciate nel mondo da sempre, e quante ne continuiamo a lanciare... indifferenza, emarginazione... approfittiamo di questa quaresima per ritrovare la via dell'amore e del perdono.
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concordanze con l'evangelo come mi è stato rivelato,di Maria Valtorta:
https://www.facebook.com/notes/lella-mingardi/5%C2%AA-domenica-di-quaresima-rivelazione-di-ges%C3%B9-a-maria-valtorta/10151564717356419

sabato 21 marzo 2015

(Gv 12,20-33) Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.

VANGELO 
 (Gv 12,20-33) Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e porta la tua luce nella mia mente, affinché attraverso il tuo apporto, il chicco possa germogliare e dare frutto.

Questa è una serie di cose che Gesù ci dice, che sembrano un po’ buttate là, ma che invece sono colonne della fede, sulle quali si basa poi tutta la nostra speranza. Attraverso la sua parola, Gesù si fa chicco di grano, attraverso la sua vita, fa germogliare in noi la speranza di un nuovo modo di concepire sia la vita sia la fede, attraverso la sua morte germoglia in noi la salvezza e attraverso a sua resurrezione la certezza dell’eternità. Tutto è per noi, dal momento della creazione tutto quello che Dio ha fatto, lo ha fatto per noi, tutto quello che ci ha dato l’ ha dato per amore e, la parola di Gesù, ce lo ripete e lo rinnova nel nostro cuore.
Sta a noi adesso, cogliere quel piccolo seme che Dio ha messo nel nostro cuore, farlo germogliare e fare sì che produca frutto, ma senza perdere tempo, senza distrazioni, perché se il campo non è coltivato attentamente, la zizzania soffocherà tutto il raccolto. Vediamo qui espressi i concetti base della nostra fede, quelli che ci faranno passare con l’aiuto di Dio, attraverso la porta stretta, servire e seguire. Se riusciremo ad essere fedeli a questi concetti, vedremo germogliare i frutti dell’amore che Gesù ha trasmesso a noi.
Voglio aggiungere oggi un pensiero veramente molto personale.  Non è facile lasciarmi  morire,  lasciarmi distruggere per vivere con Gesù, per essere mortificata con Lui, tradita con Lui, senza ribellarmi, ma oggi credo di aver capito che non è per me che soffro, ma perchè  ogni volta che facciamo qualcosa che non va, compiamo un atto di egoismo, diamo scandalo ed allontaniamo da Gesù chi ci guarda, oltre a restarne lontani noi.
Dovremmo cercare di unirci per offrire il massimo amore e la massima accoglienza a chi cerca Dio, dovremmo essere testimoni del Suo amore e non della nostre stupidità. 
Aiutaci Signore!

LETTERE DAL DESERTO ( di Carlo Carretto )

LETTERE DAL DESERTO
di Carlo Carretto

INTRODUZIONE
La chiamata di Dio è cosa misteriosa, perché avviene nel buio della fede.
In più essa ha una voce sì tenue e sì discreta, che impegna tutto il silenzio interiore per essere captata.
Eppure nulla è così decisivo e sconvolgente per un uomo sulla terra, nulla più sicuro e più forte.
Tale chiamata è continua: Dio chiama sempre! Ma ci sono dei momenti caratteristici di questo appello divino, momenti che noi segnano sul nostro taccuino e che non dimentichiamo più.
Tre volte nella mia vita intesi questa chiamata.
La prima determinò la mia conversione a 18 anni. Ero in un villaggio di campagna, maestro elementare.
Venne, in occasione della Quaresima, una missione per il popolo. Vi presi parte, e di essa mi rimase il ricordo di una predicazione antiquata e noiosa. Posso dire che non furono certo le parole a scuotere il mio stato d’indifferenza e di peccato. Ma quando mi inginocchiai dinanzi ad un vecchio missionario, di cui ricordo gli occhi chiari e semplici, per esporre la mia confessione, avvertii nel silenzio dell’anima il passaggio di Dio.
Da quel giorno mi sentii cristiano e constatai che la mia vita era cambiata.
La seconda volta fu a 23 anni. Pensavo a sposarmi; e nemmeno sapevo che poteva esistere qualche altra via per me.
Incontrai un medico che mi parlò della Chiesa e della bellezza di servirla con tutto il nostro essere, pur restando nel mondo. Non so che cosa avvenne in quei giorni e come avvenne; il fatto si è che, pregando in una chiesa deserta dov’ero entrato per sfogare il tumulto dei pensieri che agitavano la mia mente, sentii la stessa voce che avevo udito durante la confessione col vecchio missionario. “Tu non ti sposerai; tu mi offrirai la tua vita. Io sarò il tuo amore per sempre”.
Non fu difficile rinunciare al matrimonio e consacrarmi a Dio, perché tutto era cambiato in me; a me sarebbe parso strano innamorarmi di una ragazza, tanto Dio riempiva la mia vita.
Furono anni pieni di lavoro, di passioni, di incontri con anime, di grandi sogni. Gli stessi sbagli – e furono molti – erano dovuti alla violenza di ciò che bruciava dentro di me e che non era ancora purificato.
Passarono molti anni; e molte volte mi sorpresi in preghiera a domandare di risentire il suono di quella voce che tanta importanza aveva avuto per me.
Fu a 44 anni che ciò avvenne; e fu la chiamata più seria della mia vita: la chiamata alla vita contemplativa. Essa si determinò nel più profondo della fede, là dove il buio è assoluto e le forze umane non aiutano più.
Questa volta dovevo dire di sì senza nulla capire: “Lascia tutto, e vieni con me nel deserto. Non voglio più la tua azioni, voglio la tua preghiera, il tuo amore”.
Qualcuno, vedendomi partire per l’Africa, pensò ad una crisi di sconforto, di rinuncia. Nulla è più inesatto di ciò. Sono così ottimista per natura e ricco di speranza, che non conosco ciò che sia lo sconforto o la rinuncia alla lotta.
No; fu la chiamata decisiva. E mai la compresi come quella sera dei Vespri di S. Carlo del 1954, quando dissi di sì alla Voce.
“Vieni con me nel deserto”. C’è una cosa più grande della tua azione: la preghiera; c’è una forza più efficace della tua parola: l’amore!
E andai nel deserto.
Senza aver letto le Costituzioni dei Piccoli Fratelli di Gesù, entrai nella loro Congregazione; senza conoscere Charles de Foucauld mi misi alla sua sequela.
Mi bastava aver sentito la voce che mi aveva detto: “Questa è la tua strada”.
Fu camminando coi Piccoli Fratelli sulle piste del deserto che scoprii la bontà della via; fu seguendo il Padre de Foucauld che mi convinsi che proprio quella era la mia via.
Ma Dio me l’aveva già detto nella fede!
Ma faccio bene a scrivere queste cose?
Quando giunsi a El Abiod Sidi Seik per il noviziato, il mio maestro mi disse con la calma più perfetta d’un uomo che aveva vissuto vent’anni nel deserto: “Il faut faire une coupure, Carlo”.
Io capii cosa voleva dire quella frase e decisi di fare il taglio anche se doloroso.
Avevo nella mia sacca conservato un grosso quaderno su cui erano annotati gli indirizzi dei miei vecchi amici: ce n’erano migliaia.
Il Signore nella sua bontà non m’aveva mai lasciato mancare la gioia dell’amicizia e su un vero fiume d’amore aveva navigato la barca della mia vita.
Se restava in me una sofferenza nascosta era certamente quella di non poter – al momento della mia partenza per l’Africa – parlare a ciascheduno di loro, spiegare il motivo dell’abbandono, dire che obbedivo ad una chiamata chiara di Dio e che, anche se da un’altra trincea, avrei continuato a militare con loro nel campo dell’apostolato.
Ma bisognava fare la famosa “coupure”ed io la feci con coraggio e con una grande fiducia in Dio.
Presi l’indirizzario che era per me come l’ultimo legame al passato ed andai a bruciarlo dietro una duna durante una giornata di ritiro.
Rivedo ancora i resti anneriti del quaderno trasportati lontano dal vento del Sahara.
Ma bruciare un indirizzo non significa distruggere l’amicizia, né questo mi era richiesto; anzi…
Mai ho amato e pregato tanto per i miei vecchi amici come nella solitudine del deserto. Ne rivedevo i volti, ne sentivo i problemi, le sofferenze acuite dalla distanza.
Essi erano diventati per me come un gregge che mi sarebbe appartenuto per sempre e che io dovevo condurre con me ogni giorno alla fonte della preghiera.
Quasi fisicamente li sentivo attorno a me quando entravo nella chiesa di stile arabo a El Abiod o, più tardi negli eremitaggi famosi costruiti dallo stesso padre de Foucauld a Tamanrasset, all’Assekrem.
Pregare era diventato il mio maggiore impegno, la mia più dura fatica quotidiana e avevo per vocazione cosa significasse “portare gli altri” nella nostra preghiera.
Ebbene: a distanza di anni posso dire di aver mantenuto il mio impegno, mentre s’è fatta sempre più chiara la certezza che a pregare non si perde il proprio tempo e che non esiste forma più adatta per aiutare coloro che amiamo.
Rimane il problema dell’indirizzario che non posseggo più, ma questo non ha molta importanza perché esistono altri mezzi per raggiungere gli amici.
Ecco, vorrei dare a loro l’appuntamento in uno dei tanti angoli meravigliosi del Sahara verso la sera al calar del sole, e ritrovarci tutti come ci siamo trovati allora in quella sera famosa del settembre 1948 nella piazza di S. Pietro. Ricordate?
Qui non ci sarebbe bisogno di fiaccole, tanto il cielo è chiaro di stelle.
Ci sederemmo sulla sabbia e trascorreremmo la notte a raccontarci la vita di questi anni, le tappe compiute, le prove subite.
Penso che la stella del mattino ci troverebbe ancora a conversare.
Per conto mio, ho voluto annotare qui in queste “lettere dal deserto” le cose che direi, se mi fosse data una simile occasione, e che rappresentano certamente una parte di me stesso.
Niente di sistematico, niente di importante. Alcune idee maturate nella solitudine e gravitanti attorno ad un’attività che è stata senza alcun dubbio il più grande dono che mi ha fatto il Sahara: pregare.
Se ho fatto bene o male a scrivere, lo direte voi, i miei cari vecchi amici; ma sento che se non altro la cosa avrà servito a ripensare con esperienza nuova i problemi che sono stati alla base della nostra amicizia.
Vostro piccolo fratello
Carlo Carretto

I – Sotto la grande pietra

Sotto la grande pietra La pista, bianca di sole, si snodava dinanzi a me con tracciato incerto. I solchi nella sabbia, fatti dalle ruote delle grandi cisterne dei “petrolieri”, m’obbligavano ad una ginnastica continua per mantenere la direzione della jeep. Il sole era alto e mi sentivo stanco. Solo il vento che soffiava sul muso della macchina permetteva ancora alla jeep di procedere, benché la temperatura fosse infernale e l’acqua bollisse nel radiatore. Di tanto in tanto il mio sguardo si posava sull’orizzonte. Sapevo che nella zona c’erano grossi blocchi di granito emergenti dalla sabbia: ricercatissimi luoghi d’ombra per fare il campo e attendere la sera per proseguire il viaggio. Difatti, verso mezzogiorno, trovai ciò che cercavo. Grosse rocce apparvero sulla sinistra della pista; ed io mi avvicinai, sicuro che avrei trovato un po’ d’ombra. Non ne fui deluso. Sulla parete nord d’un gran macigno alto una decina di metri una lama d’ombra si proiettava sulla sabbia rossa. Misi la jeep contro vento per raffreddare il motore e scaricai il “ghess”, cioè l’indispensabile per fare il campo: una stuoia, il sacco dei viveri, due coperte e il treppiede per il fuoco. Ma, avvicinandomi alla roccia in ombra, mi accorsi che c’erano già ospiti: due vipere se ne stavano raggomitolate nella sabbia calda e mi sorvegliavano senza muoversi. Feci un salto indietro, m’avvicinai alla jeep senza perder di vista i due serpenti; e presi il fucile, un vecchio aggeggio che un indigeno m’aveva prestato per aiutarlo a liquidare gli sciacalli che attaccavano i suoi greggi, spinti dalla fame e dalla siccità. Misi una cartuccia con piombo medio; e mi allontanai, cercando di colpire le due vipere d’infilata per non sprecare un altro colpo. Tirai e vidi le due bestie saltare in aria tra un nuvolo di sabbia. Ripulendo la zona dal sangue e dai resti delle vipere, vidi che dal ventre squarciato di una di esse usciva un uccellino non ancora digerito. Stesi la stuoia, che nel deserto è tutto: cappella, sala da pranzo, camera da letto, salotto di ricevimento; e mi sedetti. Era l’ora sesta e presi il breviario. Recitai qualche salmo, ma con un certo sforzo, data la stanchezza e la faccenda di quelle due vipere che di tanto in tanto mi saltavano a pezzi sui versetti. Una vampa calda veniva dal sud e la testa mi doleva. Mi alzai; calcolai l’acqua che mi rimaneva prima di giungere al pozzo di Tit, e decisi di sacrificarne un po’. Ne attinsi dalla “gerba” di pelle di capra una ciotola di un litro e me la versai sulla testa. L’acqua imbibì il turbante, mi scese sul collo e sui vestiti; il vento fece il resto; e la temperatura, da 45 gradi, discese in pochi minuti a 27. Con quel senso di refrigerio mi stesi sulla sabbia per dormire, perché nel deserto la siesta precede il pranzo. Per star più comodo, cercai una coperta per mettermela sotto il capo. Ne avevo due, e ben lo sapevo. Una coperta rimase accanto a me, inutilizzata e, guardandola, non mi sentivo tranquillo. Ma se volete capire, dovete ascoltare la storia.

II – Sarete giudicati sull’amore

Ancora oggi non saprei dirvi se l’episodio della grande pietra sia stato un sogno e che genere di sogno. Ha esercitato così forte influenza sui miei pensieri, ha talmente cambiato le prospettive in cui si vedono le cose, che non l’ho mai potuto attribuire a ciò che comunemente intendiamo quando, svegliandoci, diciamo: “Ho fatto un sogno.” No, no: è stato qualcosa di più. Per me, quel tratto di deserto tra Tit e Silet rimane il luogo del mio purgatorio, l’ambiente dove si raccoglie volentieri la mia anima a meditare le cose di Dio e dove… probabilmente chiederò d’andare, dopo morte, a continuare la mia espiazione, se non sarò stato capace in vita di compiere un atto d’amore perfetto. Ecco la grande pietra sotto il sole accecante del Sahara, la lama d’ombra sulla sabbia calda, la distesa fino all’orizzonte dell’oued solcato dalle tracce dei camion e delle jeep dei petrolieri e dei geologi. “Sarete giudicati sull’amore” mi ripete sulla mia immobilità questo luogo; e i miei occhi bruciati dal sole guardano lontano il cielo senza nubi. Non mi voglio più ingannare; non mi posso più ingannare: la realtà è che non sono stato capace di dare la mia coperta a Kadà per paura della notte fredda; il che significa che io amo più la mia pelle di quella del mio fratello, mentre il comandamento di Dio mi dice: “Ama la vita degli altri come la tua.” E ciò appartiene ancora al Vecchio Testamento, alla prima rivelazione di Dio all’uomo: “Ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo tuo come te stesso.” (Dt 6, 5). Che se veniamo al Nuovo e alla Rivelazione di Gesù, le cose si complicano. “Amatevi tra di voi come Io vi ho amato.” (Gv13, 34). Come Io! cioè non solo la coperta ma la vita stessa. In realtà l’atto d’amore perfetto consiste nell’essere disposto a fare ciò che fece Gesù: cioè a morire per Kadà, per me, per tutti. Sotto questa visuale, il Cielo è quel luogo dove ciascuno dei presenti dev’essere talmente “maturo all’amore”, da offrire la sua vita per tutti gli altri. È l’amore perfetto, universale, radicale, senza ombra d’avversità, d’antipatia, di limite, colati in esso come nel fuoco. Chi è pronto a ciò, alzi la mano! Per questo, dopo la visione della grande pietra, vedo il mio purgatorio lungo, terribilmente lungo, forse lungo come le epoche geologiche. Questa sabbia che tocco con le mani, che scorre tra le mie dita appartiene al “Primario”. Un qualunque geologo mi dice: è vecchia di 350 milioni d’anni. I grandi rettili che popolarono questi luoghi e di cui ho visto i resti nelle fosse sahariane appartengono al secondario: 130 milioni d’anni. Quei cammelli che portano il sale dal Niger e che mi passano dinanzi in carovane lunghe ed eleganti, annoverano i loro progenitori nel lontano terziario: 70 milioni d’anni. E l’uomo, questo uomo così grande e nello stesso tempo così piccolo, con quanta lentezza marcia sui cimiteri di animali che l’hanno preceduto! È del quaternario, di ieri: 500.000 anni. Dio non ha fretta nel fare le cose; e il tempo è suo e non mio. Ed io, piccola creatura, uomo, sono stato chiamato da essere trasformato in Dio per partecipazione. E ciò che mi trasforma è la carità, che Dio ha infuso nel mio essere. L’amore mi trasforma lentamente in Dio. E il peccato, è proprio qui: resistere a questa trasformazione, saper e poter dire di no all’amore. Vivere nel nostro egoismo significa fermarsi allo stato di uomo e impedirne la trasformazione nella carità divina. E fin tanto che non sarò trasformato “per partecipazione” in Dio, attraverso la carità, sarò di “questa terra” e non di “quel cielo”. Il Battesimo mi ha elevato allo stato soprannaturale; ma tale stato deve essere maturato, e tutta la vita ci è data per tale maturazione; ed è la carità, cioè l’amore di Dio, che ci trasforma. L’aver resistito all’amore, il non essere stato capace di accettare la sollecitazione di tale amore che mi aveva detto: “Da’ la coperta al tuo fratello”, è talmente grave, che crea, tra me e Dio, la porta del mio purgatorio. Che vale dire bene l’Ufficio divino, ascoltare la S. Messa e non accettare l’amore? Che vale aver rinunziato a tutto, l’essere venuto qua tra la sabbia e il caldo e resistere all’amore? Che vale difendere la verità, battersi per i dogmi coi teologi, scandalizzarsi di coloro che non hanno la stessa fede e p[oi restare per epoche geologiche sulla porta del purgatorio? “Sarete giudicati sull’amore”: ecco ciò che mi grida quel pezzo di deserto tra Tit e Silet. “Sarete giudicati sull’amore” mi dice la grande pietra sotto la quale trascorrerò il mio purgatorio in attesa di maturare in me la carità perfetta, quella che Gesù mi ha recato sulla terra e mi ha donato col prezzo del Suo Sangue, accompagnandolo col grido della grande speranza: “Io vi risusciterò nell’ultimo giorno! ” (Gv 6, 40). Che quel giorno non sia troppo lontano!

III – Sei nulla

La grande ricchezza del noviziato sahariano è senza dubbio la solitudine e la gioia della solitudine, il silenzio. Un silenzio, il vero, che penetra per ogni dove, che invade tutto l’essere, che parla all’anima con una forza meravigliosa e nuova, non certo conosciuta dall’uomo distratto. Quaggiù si vive sempre in silenzio e si impara a distinguerne le sfumature: silenzio della chiesa, silenzio della cella, silenzio del lavoro, silenzio interiore, silenzio dell’anima, silenzio di Dio. Per imparare a vivere questi silenzi, il maestro dei novizi ci lascia partire per qualche giorno “di deserto”. Una sporta di pane, qualche dattero, dell’acqua, la Bibbia. Una giornata di marcia: una grotta. Un sacerdote celebra la S. Messa; e poi parte lasciando nella grotta, su un altare di sassi, l’Eucaristia. Così per una settimana, si resterà soli con l’Eucaristia esposta giorno e notte. Silenzio nel deserto, silenzio nella grotta, silenzio nell’Eucaristia. Nessuna preghiera è così difficile come l’adorazione dell’Eucaristia. La natura vi si ribella con tutte le forze. Si preferirebbe trasportare sassi sotto il sole. La sensibilità, la memoria, la fantasia, tutto è mortificato. Solo la fede trionfa; e la fede è dura, è buia, è nuda. Mettersi dinanzi a ciò che ha l’aspetto di pane e dire: “Lì c’è Cristo vivo e vero”, è pura fede. Ma nulla nutre di più della pura fede; e la preghiera nella fede è vera preghiera. “Adorare l’Eucaristia non c’è gusto”, mi diceva un novizio. Ma è proprio questa mortificazione del gusto che rende salda e vera la preghiera. È l’incontro con Dio al di là della sensibilità, al di là della fantasia, al di là della natura. Ed è qui il primo aspetto dello spogliamento. Fin tanto che la mia preghiera resta ancorata al gusto, saranno facili gli alti e bassi; le depressioni seguiranno gli entusiasmi effimeri. Sarà sufficiente un mal di denti per liquidare tutto il fervore religioso dovuto ad un po’ di estetismo o a un moto di sentimento. “Occorre spogliare la tua preghiera”mi dice il maestro dei novizi. “Occorre semplificare, disintellettualizzare. Mettiti dinanzi a Gesù come un povero: senza idee, ma con fede viva. Rimani immobile in un atto di amore dinanzi al Padre. Non cercare di raggiungere Dio con l’intelligenza: non ci riuscirai mai; raggiungilo nell’amore: ciò è possibile”. La battaglia non è facile; perché la natura vuole la sua rivalsa, vuole la sua razione di godimento, e l’unione con Gesù crocifisso è tutt’altra cosa. Dopo qualche ora – o qualche giorno – di questa ginnastica, il corpo si placa. Visto che la volontà gli rifiuta il piacere sensibile, non lo cerca più; diventa passivo. Si addormentano i sensi. Il poco mangiare, il molto vegliare e il pregare con umile insistenza rendono la casa dell’anima una dimora silenziosa, pacificata. I sensi dormono. Meglio, come dice S. Giovanni della Croce, è la “notte dei sensi” che comincia. Allora la preghiera diventa una cosa seria, anche se dolorosa e arida. Così seria che non se ne può più fare a meno. L’anima entra nel lavoro redentivo di Gesù. Inginocchiato sulla sabbia, dinanzi al rudimentale ostensorio che conteneva Gesù, pensavo al male del mondo: odi, violenze, turpitudini, impurità, menzogne, egoismi, tradimenti, idolatrie, adulteri. Attorno a me la grotta era diventata vasta come il mondo; e i miei occhi interiori contemplavano Gesù oppresso sotto il peso di tanto male. L’Ostia non è forse, nella sua stessa forma, come pane schiacciato, tritato, cotto? E non conteneva essa forse l’Uomo dei dolori, il Cristo vittima, l’Agnello sgozzato per i nostri peccati? E qual era la mia posizione vicino a Lui? Per molti anni avevo pensato di essere “qualcuno”nella Chiesa. Avevo perfino immaginato questo sacro edificio vivente come un tempio sostenuto da molte colonne piccole e grandi e sotto ogni colonna la spalla di un cristiano. Anche sulle mie pensavo gravasse una sia pur piccola colonna. A forza di ripetere che Dio aveva bisogno degli uomini e che la Chiesa aveva bisogno di militanti, vi avevamo creduto. L’edificio gravava sulle nostre spalle. Iddio, dopo aver creato il mondo, s’era messo a riposo; il Cristo, fondata la Chiesa, era scomparso nel Cielo. Tutto il lavoro era restato a noi, alla Chiesa. Soprattutto noi dell’Azione Cattolica eravamo i veri facchini, che sostenevano il peso della giornata. Con questa mentalità non ero più stato capace d’andare in vacanza; anche la notte mi sentivo militante. Ed era tanto il lavoro, che, per espletarlo, il tempo non era più sufficiente. Si procedeva sempre di corsa da un impegno all’altro, da una adunanza all’altra, da una città all’altra. La preghiera era affrettata, i discorsi concitati, il cuore agitato. Siccome tutto dipendeva da noi e il tutto andava così male, si aveva ben ragione di essere inquieti. Ma chi si era accorto di ciò? Sembrava sì giusta e sì vera la via dell’azione! Già da piccoli s’era incominciato col ritornello: “Primi in tutto per l’onore di Cristo Re”; quindi, diventati giovani: “Tu sei guida”; diventati adulti: “Sei un responsabile, sei un capo, sei un apostolo”… A forza di essere “qualcosa” sempre, la piega dell’anima era stata presa; e le parole di Gesù: “Voi siete servi inutili”, “Senza di me non potete far nulla”, “Chi di voi vuol essere il primo sia l’ultimo” sembravano dettate per altra gente, per altri tempi; e scorrevano sulla pietra dell’anima senza più intaccarla, bagnarla, ammorbidirla. È caratteristica la parabola della mia vita. Il mio primo maestro mi aveva detto: “Primo in tutto per l’onore di Cristo Re”; e l’ultimo, Charles de Foucauld, mi aveva suggerito: “Ultimo di tutti per l’amore di Gesù Crocifisso”. Eppure può darsi che tutti e due avessero ragione e che il colpevole fossi io a non capire bene la lezione. In ogni caso ora ero là, in ginocchio, sulla sabbia della grotta che aveva preso le dimensioni della Chiesa stessa; e sentivo sulle mie spalle la famosa colonnina del militante. Forse era questo il momento di vederci chiaro. Mi trassi indietro di colpo, come per liberarmi da quel peso. Che cosa avvenne? Tutto rimase al suo posto, immobile. Non una scalfittura nella volta, non uno scricchiolio. Dopo venticinque anni mi ero accorto che sulle mie spalle non gravava proprio niente e che la colonna era falsa, posticcia, irreale, creata dalla mia fantasia, dalla mia vanità. Avevo camminato, corso, pedalato, organizzato, lavorato, credendo di sostenere qualcosa; e in realtà avevo sostenuto proprio nulla. Il peso del mondo era tutto su Cristo Crocifisso. Io ero nulla, proprio nulla. Ce n’era voluto a credere alle parole di Gesù che da duemila anni mi aveva già detto: “Voi, quando avete fatto tutto ciò che vi è stato comandato dite: Siamo servi inutili, perché abbiamo solo fatto il nostro dovere” (Lc 17, 10). Servi inutili !

IV – Chi guida le cose del mondo

La prima impressione che mi lasciò questa avventura fu quella della libertà. Una libertà nuova, ampia, autentica, gioiosa. L’aver scoperto che ero nulla, che non ero responsabile di nessuno, che non ero un uomo importante, mi diede la gioia di un ragazzino in vacanza. Venne la notte e non dormii. Mi allontanai dalla grotta e camminai sotto le stelle in pieno deserto. “Dio mio, ti amo; Dio mio, ti amo”, gridavo verso il cielo nello straordinario silenzio. Stanco di camminare, mi stesi su una duna di sabbia e immersi gli occhi nella volta stellata. Come mi erano care quelle stelle; e come il deserto me le aveva avvicinate! A forza di passare le notti all’addiaccio, ero stato spinto a saperne il nome, poi a studiarle, a conoscerle ad una ad una. Ora ne distinguevo il colore, la grandezza, la posizione, la bellezza. Sapevo orientarmi su di esse al primo colpo d’occhio; e dalla loro posizione deducevo l’ora senza bisogno di orologio. Ecco la costellazione del Cigno, che sembra in conversazione con Altair, chiara come un brillante. Saetta e il Delfino sembrano ascoltare, chiusi nella loro umile piccolezza. Pegaso sta montando ad oriente col suo quadrato di stelle, mentre Perla scompare ad occidente. Tra poco la rossa Angol mi condurrà l’eleganza di Perseo. Ritorno con gli occhi su Andromeda. Ed è così chiara la notte, che incomincio a scorgere la nebulosa che porta il nome della costellazione. È il corpo celeste più lontano dalla terra, visibile ad occhio nudo: 800 mila anni luce. Tra quella enorme distanza e la più piccola – quattro anni luce di Proxima, che mi apparirà tra due anni nella costellazione del Centauro – ci sono le distanze di tutto questo ammasso di 40 miliardi di stelle a cui ammonta la Galassia alla quale noi – piccolo granello di sabbia chiamato Terra – apparteniamo. E al di là della nebulosa di Andromeda, altri milioni di nebulose e miliardi di stelle che i miei occhi non vedono ma che Dio ha creato. Perché non mi è mai saltato in testa che una pur piccola colonna che regge il cosmo non gravi sulle mie spalle? Ed è forse il cosmo diverso dagli uomini? Ed io l’avevo pensato. È vero che Gesù aveva detto: “Andate e istruite tutte le genti” (Mt 28, 18), ma aveva aggiunto: “senza di me non potete far nulla”(Gv 15, 5). È vero che S. Ignazio aveva detto: “Fate come se tutto dipenda da voi”; ma aveva aggiunto: “però aspettate come se tutto dipenda da Dio”. Dio è il creatore del cosmo fisico, come è il creatore del cosmo umano. Dio è il reggitore delle stelle come è il reggitore della Chiesa. E se ha voluto, per amore, rendere gli uomini collaboratori suoi nella salvezza, il limite del loro potere è ben piccolo e determinato: è il limite del filo rispetto alla corrente elettrica. Noi siamo il filo, Dio è la corrente. Tutto il nostro potere sta nel lasciar passare la corrente. È certo: abbiamo il potere di interromperla, abbiamo il potere di dir di no; ma nulla di più. Non l’immagine, quindi, di colonna che sostiene, ma di filo che trasmette un potere. Ma altro è il filo, altro è la corrente; son di natura ben diversa; e il filo non può certo insuperbire, anche se è un filo che trasmette corrente ad alta tensione. Il pensare che le cose del mondo, come quelle degli astri, siano in mano a Dio – quindi in buone mani – , oltre ad essere la pura verità, è cosa che dovrebbe fare immenso piacere a chi ci tiene che le cose vadano bene. Dovrebbe essere fonte di fede serena, di speranza gioiosa e soprattutto di pace profonda. Che cosa posso temere, se il tutto è guidato e sorretto da Dio? Perché agitarmi tanto, come se tutti questi problemi dipendessero da me o dai miei colleghi, gli uomini; e non cercare, invece, di capire che ci sono altre vie più interessanti e più efficaci da battere? Eppure è così difficile credere radicalmente all’azione di Dio nelle cose del mondo! Ed è, penso, la tentazione più frequente e prolungata, a cui siamo sottoposti su questa povera terra. Tutta la Bibbia è là a testimoniare questo dramma; e, in fondo, la storia del popolo eletto non è altro che la storia d’un pugno d’uomini a cui Dio chiede continuamente e in ogni occasione: “Credi in me? Io sono il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe. Io sono il Dio che con mano forte ti ho tratto dalla schiavitù d’Egitto, t’ho guidato in una terra riarsa, t’ho nutrito di manna dal cielo e t’ho dato a bere l’acqua scaturita dalla roccia. Per te ho colpito i primogeniti d’Egitto, per te ho atterrato re potenti. E che hai fatto per ricompensarmi di questi prodigi, di questa assistenza continua? Ti sei costruito idoli di legno e d’argento e ha abbandonato ma, tuo Dio”. “Invece di adorare Colui che ti ha creato e salvato le mille volte dai tuoi nemici, su colli prominenti e in boschi sacri, hai bruciato incensi a dei stranieri; dei che nulla possono, nulla sanno; dei che hanno le mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, e nessun suono esce dalla loro bocca”(Sal 113, 5). Questa è la storia di sempre, storia d’Israele e storia nostra. Anche noi crediamo in Dio; ma poi ci fidiamo dei potenti, crediamo alle loro raccomandazioni e finiamo di pensare che le cose di questo mondo sono salde nelle loro mani e che a loro dobbiamo chiederle. Anche noi crediamo in Dio e lo preghiamo; ma poi ci convinciamo che sono i grandi predicatori a convertire le anime; e riduciamo la nostra preghiera per l’estensione del Regno a un qualche cosa di futile, come la petizione ad un ufficio da cui non speriamo quasi nulla. Così, sotto un cielo strano, in una penombra di fede e di sentimentalismo, in una equidistanza tra Dio e il mondo, trascorre la nostra povera vita religiosa mescolata di preghiere, di contraddizioni e di compromessi. Il pensare che le cose del mondo, come quelle degli astri, siano in mano a Dio – quindi in buone mani – , oltre ad essere la pura verità, è cosa che dovrebbe fare immenso piacere a chi ci tiene che le cose vadano bene. Dovrebbe essere fonte di fede serena, di speranza gioiosa e soprattutto di pace profonda. Che cosa posso temere, se il tutto è guidato e sorretto da Dio? Perché agitarmi tanto, come se tutti questi problemi dipendessero da me o dai miei colleghi, gli uomini; e non cercare, invece, di capire se ci sono altre vie più interessanti e più efficaci da battere? Eppure è così difficile credere radicalmente all’azione di Dio nelle cose del mondo! Ed è, penso, la tentazione più frequente e prolungata, a cui siamo sottoposti su questa povera terra. Tutta la Bibbia è là a testimoniare questo dramma; e, in fondo, la storia del popolo eletto non è altro che la storia d’un pugno di uomini a cui Dio chiede continuamente e in ogni occasione: “Credi in me? Io sono il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe. Io sono il Dio che con mano forte ti ho tratto dalla schiavitù d’Egitto, t’ho guidato in una terra riarsa, t’ho nutrito di manna del cielo e t’ho dato da bere l’acqua scaturita dalla roccia. Per te ho colpito i primogeniti d’Egitto, per te ho atterrato re potenti. E che hai fatto per ricompensarmi di questi prodigi, di questa assistenza continua? Ti sei costruito idoli di legno e d’argento e hai abbandonato me, tuo Dio.” “Invece di adorare Colui che ti ha creato e salvato le mille volte dai tuoi nemici, su colli prominenti e in boschi sacri, hai bruciato incensi a dei stranieri; dei che nulla possono, nulla sanno; dei che hanno le mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, e nessun suono esce dalla loro bocca.” (Sal 113, 5) Questa è la storia di sempre, storia d’Israele e storia nostra. Anche noi crediamo in Dio; ma poi ci fidiamo dei potenti, crediamo alle loro raccomandazioni e finiamo di pensare che le cose di questo mondo sono salde nelle loro mani e che a loro dobbiamo chiederle. Anche noi crediamo in Dio e lo preghiamo; ma poi ci convinciamo che sono i grandi predicatori a convertire le anime; e riduciamo la nostra preghiera per l’estensione del Regno a un qualcosa di futile, come la petizione ad un ufficio da cui non speriamo quasi nulla. Così, sotto un cielo strano, in una penombra irreale di fede e di sentimentalismo, in una equidistanza tra Dio e il mondo, trascorre la nostra povera vita religiosa mescolata di preghiere, di contraddizioni e di compromessi. Dio solo è, Dio solo sa, Dio solo può. Questa è la verità; e la mia fede me la fa scoprire di giorno in giorno più profondamente. Dio solo è reggitore del cosmo, Dio solo sa quando morrò, Dio solo può convertire la Cina. Perché assumersi responsabilità che non abbiamo, perché stupirci se l’Islam non ha ancora scoperto il Cristo e se il Buddismo regna senza inquietudini e crisi in milioni di fratelli? Verrà l’ora; ma questa non dipende da me. C’è o non c’è una geografia di Dio, una storia sacra per tutti i popoli, un procedere nel tempo verso una maturità? Abramo non conobbe il Cristo, se non nella speranza della promessa; ma non per questo andò perduto o fu dimenticato dal Padre. Non era giunto il tempo dell’Incarnazione; e se Gesù quando venne, e non prima, ha seguito certamente le indicazioni della Saggezza Eterna. Ci sono i piani di Dio, e questi contano; ci sono i piani umani, e questi non contano, o almeno contano in rapporto al loro sincronizzarsi con i primi. Ma è Dio che precede, non l’uomo. Maria stessa poteva morire nell’attesa senza vedere il Cristo, se Dio non decideva esser giunta l’ora dell’Incarnazione. Gli uomini di Galilea avrebbero continuato a pescare nel lago e a frequentare la sinagoga di Cafarnao, se non fosse venuto Lui a dire: “Venite”. Ecco la verità che dobbiamo imparare nella fede: l’attesa di Dio; e questo non è un piccolo sforzo come atteggiamento dell’anima. Questo “attendere”; questo “non preparare piani”; questo “scrutare il cielo”; questo “far silenzio” è la cosa più interessante che compete a noi. Poi verrà anche “l’ora della chiamata”; l’ora in cui si deve parlare, in cui la mano sarà stanca di battezzare; l’ora della messe, insomma. Ma ciechi, ciechi noi se in tale ora penseremo di essere gli attori di tali meraviglie; la meraviglia, semmai, è che Dio si serva di noi così miserabili e così poveri. Non volevo giungere a questo punto, perché già sento nell’aria la tristezza di una domanda. E il solo fatto di porre una domanda è un errore o una mancanza di fede. “Pregare o agire? Attendere o partire? Scendere in piazza o entrare in Chiesa?” Ed eccoci da capo; là dove l’uomo trasforma tutto in problematica senza mai saziarsi, tanta è la brama di curiosità più che la buona volontà di realizzare la parola di Dio. Ma oggi non entro più in polemica; non voglio più discutere, non credo più al potere di convincere un uomo con la forza delle parole. Mi taccio sotto queste stelle d’Africa e preferisco adorare il mio Dio e Signore. Ma, cedendo all’insistenza vostra o giovani che mi avete scritto fin quaggiù, dico solo una parola che mi pare esatta e, in più, sofferta. Ricordatevi che al mondo tutto è problema, meno una cosa: la carità, l’amore. L’amore solo non è un problema per chi lo vive. Ebbene vi dico: vivete l’amore, cercate la carità. Essa vi darà la risposta volta per volta a ciò che dovete fare. La carità, che è Dio in noi, vi suggerirà la strada da percorrere; vi dirà: “ora inginocchiati” oppure “ora parti”. È la carità che dà valore alle cose, che giustifica “l’inutilità di restare ore e ore in ginocchio a pregare mentre tanti uomini hanno bisogno della mia azione, e la inutilità della mia povera azione dinanzi alla considerazione che la morte distruggerà tutte le civiltà”. È la carità che gerarchizza le intenzioni degli uomini e che uniforma ciò che è diviso. La carità è la sintesi della contemplazione e dell’azione, è il punto di sutura tra il cielo e la terra, tra l’uomo e Dio. Ripeto ancora, dopo aver conosciuto l’azione più sfrenata e la gioia della vita contemplativa nel quadro più sfolgorante del deserto, le parole di S. Agostino: “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Non preoccuparti, fratello, di che cosa fare; preoccupati di amare. Non interrogare il Cielo con ripetuti e inutili: “Qual è la mia strada?”; studiati invece di amare. Amando, scoprirai la tua strada; amando ascolterai la Voce; amando, troverai la pace. È l’amore la perfezione della legge e la regola di ogni vita, la soluzione di ogni problema, lo stimolo di ogni santità. “Ama e fa’ ciò che vuoi”. No; non è più possibile fare ciò che voglio quando amo. Quando amo devo fare la volontà dell’amato. Quando amo sono prigioniero dell’amore; e l’amore è tremendo nelle sue esigenze, specie quando questo amore ha per oggetto Dio e un Dio Crocifisso. Non posso più fare la volontà mia; debbo fare la volontà di Gesù, che è volontà del Padre. E quando avrò imparato a fare questa volontà, avrò realizzato pienamente la mia vocazione sulla terra e raggiunto il grado della mia perfezione. La volontà di Dio: ecco ciò che regge il mondo, ciò che muove gli astri, ciò che converte i popoli, ciò che chiama alla vita e dona la morte. La volontà di Dio ha suscitato Abramo, padre della fede, ha chiamato Mosè, ispirato Davide, preparato Maria, sorretto Giuseppe, incarnato il Cristo e chiesto il suo sacrificio, fondato la Chiesa. E sarà ancora la volontà di Dio a continuare l’opera di redenzione fino alla fine dei tempi. Essa chiamerà i popoli ad entrare ad uno ad uno nel corpo visibile della Chiesa nel momento giusto della loro maturità dopo appartenuto a motivo della loro retta intenzione e volontà “buona” alla sua Anima invisibile. Che tu sia sulla sabbia in ginocchio ad espiare, ad adorare o che tu sia sulla cattedra ad insegnare, che conta se non lo fai nella volontà di Dio? E se la volontà di Dio ti spinge a cercare i poveri o a donare i tuoi averi o a partire per terre lontane, che conta tutto il resto? O se ti chiama a fondare una famiglia, a prendere un impegno nella città terrena, perché dubitare? “In la sua volontade è nostra pace” dice Dante; ed è forse l’espressione più riassuntiva di tutta la nostra dolce dipendenza da Dio.

V – Purificazione del cuore

Che noi siamo fatti per amare è evidente. Il difficile però è stabilire che cosa amare e come amare. Penso che non sia sbagliato e contrario al nostro fine “amare la creatura”. Ed è certamente secondo il nostro fine “amare Dio”. Quindi dovremmo amare la creatura e dovremmo amare il Creatore. Ma perché nella tradizione cristiana questi due amori si sono posti in contraddizione, in antagonismo, quasi che amando l’una non sia più possibile amare l’Altro? La causa risiede in noi, va ricercata in noi. È il nostro cuore che non è più capace di amare, che è come uno strumento deteriorato e che funziona male. Il cuore, questo benedetto cuore, quando ama la creatura, troppo facilmente perde l’equilibrio. Si lancia su di essa, la vuole fare sua, esclusivamente sua; aderisce ad essa con tale passione, da perdere di vista l’insieme. In più, avvelena la creatura con rapporti sregolati; la rovina, la fa schiava, o, meglio, si fa schiavo di essa. Caratteristico in tal senso, perché più violento, è l’amore esclusivo del sesso, con tutta la serie orribile di gelosie ed egoismi. Non meno caratteristica è la cosiddetta “amicizia particolare”, nella quale il cuore umano si attacca all’amico perdendo la pace, la serenità, la visione equilibrata delle cose; nel peggiore dei casi, anche la purezza. Che diremmo poi dell’amore del denaro? Della schiavitù in cui tiene l’uomo l’amore della ricchezza? Perfino l’amore del lavoro diventa pericoloso, tanto più se ammantato di virtù! Quanti contadini non sono più capaci di riposarsi la domenica, dominati dalla passione che, come frenesia, li sospinge nei campi! E quanti industriali trasformano la loro vita in un inferno, ingoiati dalla macchina degli impegni. E più si sale peggio è: l’amore allo studio può creare mostri di egoismo; e la passione della ricerca, collezionisti pazzi e ciechi come termiti nella loro galleria oscura. In tale situazione è evidente che l’amore della creatura è in opposizione all’amore di Dio. Questo – l’amore di Dio – è per sua natura universale, casto, equilibrato, santo. Chi è sotto il suo dominio, vive in una pace profonda, ha la visione gerarchizzata delle cose, sa che cos’è la libertà. Ma anche l’amore di Dio, passando nel cuore dell’uomo, deve essere lavorato, coltivato, potato, fecondato; e Dio stesso ne è l’abile e intransigente agricoltore. Soprattutto tale amore deve essere purificato. Che cosa significa purificare l’amore?Significa purificarlo dalle pastoie della sensibilità, dal vischio del gusto; in altri termini, significa renderlo “gratuito”. Rendere gratuito l’amore! Quale difficile impresa per creature come noi, ripiegate dal peccato su se stesse, chiuse il più delle volte nel loro onnipossente egoismo! Sovente non ci rendiamo conto della profondità del male, che è abissale. Non parlo solo dell’egoismo del ricco che accumula per sé; del violento che sacrifica tutto al proprio godimento; del dittatore che respira l’incenso dovuto solo a Dio. Parlo dell’egoismo dei buoni, delle anime pie, di coloro che son riusciti, a forza di ginnastica spirituale e di rinunce, a poter dire dinanzi all’altare dell’Onnipotente la superba professione: “Signore, non sono come gli altri uomini” (Lc 18, 11). Sì, abbiamo avuto il coraggio – in certi periodi della nostra vita – di crederci diversi dagli altri uomini. E qui sta la menzogna più radicale, dettata dall’egoismo più pericoloso: quello dello spirito. E su tale menzogna il nostro egoismo fa la sua costruzione babelica, riuscendo a servirsi della stessa pietà, della stessa preghiera per soddisfarsi. È il momento dell’assalto all’altare, è il momento in cui lo stesso desiderio di santità è rovesciato: non è amore e imitazione di Cristo Crocifisso, è desiderio di gloria; non è carità, è egoismo. Non dubito nel dire che un’alta percentuale dei desideri che spingono l’anima a cercare Dio è inquinata di egoismo. Si può giungere al punto di consacrarsi a Dio per egoismo, di farci religiosi per egoismo, di costruire ospedali per egoismo, di fa penitenza per egoismo. Non c’è limite a tale menzogna. E la via, una volta infilata, è così sdrucciolevole e pericolosa, da obbligare Dio, per salvarci, a trattarci male; direi apparentemente, a diventare crudele con noi. Ma non c’è altra via per aprirci gli occhi. È la via del dolore. All’anima che dà l’assalto al Cielo per egoismo, Dio sbarra il cammino col freddo, con l’aridità, con la notte. Le consolazioni si trasformano in amarezze, le gioie in assenzio, le spine crescono per ogni dove. le nubi sembrano fatte per arrestare la preghiera. Ma sovente non basta. Rovesci, malattie, disillusioni, vecchiaia si abbattono come uccelli di rapina sulla povera carcassa che aveva avuto il coraggio di affermare a se stessa: “Signore, non sono come gli altri uomini”. Rimane ben poco per sostenere la tesi di essere diverso dagli altri, quando ci si accorge che si grida, che si piange, che si ha paura, che si è deboli, si è vili proprio come gli altri uomini. Ecco la voce dell’uomo nel Salmo 87: Signore mio Dio tutto il giorno io ti chiamo e la notte gemo davanti a Te. La mia anima è abbeverata di mali, la mia vita è un bordo dell’inferno. Io sono già come colui che discende nella tomba, come l’uomo stremato di forze. Tu mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre, nell’abisso. Su di me s’è appesantito il tuo furore; sulla cresta dell’onda Tu mi schiacci. È la purificazione dell’amore, è il fuoco che brucia le scorie per metterci a nudo. E Dio stesso, che è l’Amore, non può far nulla. Anzi, perché è l’Amore appesantisce la mano. Se l’anima non si libera attraverso la croce, non potrà esser liberata. È la tremenda operazione chirurgica che il Padre stesso compie sulle carni del figlio pur di salvarlo. Ed è dogma di fede che senza croce “non fit remissio”. È un mistero ma è così. Il dolore purifica l’amore; lo rende vero, autentico, puro; e, in più, elimina ciò che non è amore. Distacca l’amore dal gusto che come maschera lo falsa; lo rende gratuito. Quando il diluvio del dolore è passato sull’anima, ciò che resta di vivo può considerarsi autentico. È certo che non resta molto. Sovente è ridotto ad un arbusto esile, esile; ma su di esso la colomba dello spirito può posarsi per portare i suoi doni; è ridotto a un “sì” mormorato tra le lacrime e le angosce, ma ad esso fa eco il “sì” onnipotente di Gesù agonizzante; è ridotto a un bimbo che ha cessato di fare polemiche con Dio e con gli uomini, ma al quale soccorre l’abbraccio del Padre. In questo stato, l’uomo è capace di amore gratuito; anzi non può più sopportarne d’altro timbro: prova nausea dinanzi al sentimentalismo, ha ribrezzo delle cose amate per calcolo. È entrato finalmente nella logica di Dio, spesso illogica all’uomo di questa terra. Ecco la logica della più famosa parabola sulla gratuità dell’amore. Sentiamola: Il Regno dei Cieli infatti è simile a un padre di famiglia il quale uscì di primo mattino per assoldare lavoratori per la sua vigna. Accordatosi coi lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. E uscito verso la terza ora, vide altri che stavano in ozio sulla piazza e disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna ed io vi darò ciò che è giusto. E quelli vi andarono. Uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece altrettanto. Uscito poi verso l’undicesima ora, ne trovò altri che se ne stavano là; e dice loro: “Perché ve ne state qui tutta la giornata in ozio?”. Gli dicono: “Perché nessuno ci ha assoldati”. Dice loro: “Andate anche voi alla vigna”. Fattasi sera, il padrone della vigna dice al fattore: “Chiama i lavoratori e paga loro il salario a cominciare dagli ultimi fino ai primi. Vennero quelli dell’undicesima ora e presero un danaro ciascuno. Quando vennero i primi, credettero di prendere di più; ma anch’ essi ricevettero un danaro ciascuno. Mentre lo prendevano, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto; e tu li hai trattati come noi che abbiamo portato il peso della giornata e il caldo”. Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, non ti fò torto. Non hai pattuito con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene. Voglio dare a quest’ultimo come a te. “O non mi è permesso di fare quel che voglio della mia roba?Non posso fare delle mie cose quello che voglio? “Oppure il tuo occhio è maligno perché io sono buono?” (Mt 20, 1ss). Capire questa parabola, per noi che abbiamo “l’occhio maligno”, non è facile. Fortunato colui che la capisce qualche giorno prima di morire. Significa che il suo occhio vede ora giusto e quindi può entrare nel regno della gratuità, che è il regno del vero amore.