lunedì 17 marzo 2014

(Mt 23,1-12) Dicono e non fanno.

VANGELO
 (Mt 23,1-12) Dicono e non fanno. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Parola del Signore
(Mt 23,1-12) Dicono e non fanno.
(Mt 23,1-12) Dicono e non fanno.


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito  e guida la mia mente ed il mio cuore verso il mio Signore!

Gesù vede tante cose che non vanno come dovrebbero, scribi e farisei, che occupavano i posti più importanti del tempio, non si comportavano come avrebbero dovuto, come si dice oggi, predicavano bene e razzolavano male.
Quindi già duemila anni fa c' era nel tempio chi diceva di fare e non faceva.Quello che però più colpisce è come anche oggi ci sia chi pensa di doversi preoccupare più di dettare le leggi al posto di Dio che di rispettarle. 
La parola di Dio è legge, che non è stata dettata per intimidire, ma per insegnare a vivere in modo corretto e leale, ma molti la usano per essere trattati da capi, da maestri, ma Gesù ammonisce gli apostoli dicendo di non fare come loro, perché uno solo è il maestro da seguire ed è il Cristo, uno solo è il Padre ed è Dio, e come il Cristo è venuto per servire, così gli uomini devono imitarlo e servire i fratelli.
In questo momento si avverte fortemente la crisi di una Chiesa in cui molti uomini hanno pensato più al potere della terra che a rispettare la parola di Dio. Non dobbiamo giudicarli, perchè fondamentalmente tutti siamo uguali a loro. La fede che non trema, che manda avanti il Signore prima di noi stessi, è un dono grande, è una grazia dello Spirito Santo, e noi uomini, tendiamo spesso a negare anche i miracoli.  L'uomo abbandona la vera parola di Dio, per farsi una  propria fede, che gli fa più comodo, incapace di rendersi conto di quanto sia grave tutto questo. Ma Dio ha fatto un patto con gli uomini, e non lo infrangerà; nonostante le nostre insane scelte di peccato. Torniamo a credere nello Spirito Santo, a offrire al Signore una fede fragile si, ma sincera, una volontà di convertirci veramente, non come ci fa comodo, ma come si deve. Non soffermiamoci a giudicare ma, per seguire un vero atteggiamento cristiano, impegniamoci sul serio a pregare per noi e per tutti coloro che sono lontani o avversi a Dio e alla Chiesa, perchè dove il maligno porta confusione, lo Spirito di Dio riporta la sapienza. 

domenica 16 marzo 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Non temere le avversità perché esse mettono l’anima ai piedi della croce e la croce la mette alle porte del cielo, dove troverà colui che è il trionfatore della morte, che la introdurrà negli eterni gaudi." (ASN, 42).

SANTI é BEATI :

San Corrado di Baviera (di Chiaravalle) Monaco e eremita
m. 17 marzo 1154
Attratto dalla santità di San Bernardo, entrò nel monastero di Chiaravalle. Ottenuto il permesso, si ritirò a vita eremitica in Terra Santa.
Patronato: Molfetta
Etimologia: Corrado = audace nel consiglio
Emblema: Cappa, Bordone, Cilicio, Corona e scettro, Prospetto del duomo di Molfetta

Martirologio Romano: A Modugno vicino a Bari in Puglia, beato Corrado, che condusse vita eremitica in Palestina, abitando fino alla morte in una misera grotta.

Corrado naque a Ravensburg, in Svevia, attorno al 1105, da Enrico IX di Welf detto il Nero e Wulfilde di Sassonia. Enrico divenne nel 1120 duca di Baviera, succedendo al fratello Guelfo V. Gli successe nel 1126 il primogenito Enrico X il Superbo, mentre il secondogenito Guelfo VI divenne duca di Spoleto. Le figlie Giuditta, Matilde e Wulfilde contrassero importanti matrimoni, e da Giuditta, sorella maggiore di Corrado, nacque l’imperatore Federico Barbarossa. Tra gli avi di Corrado bisogna annoverare S. Corrado di Costanza.
Essendo il minore tra i figli maschi, educato negli studi letterari, fu avviato dai genitori alla carriera ecclesiastica presso Colonia con l’intento di farlo succedere all’Arcivescovo Federico, suo cugino paterno. In questo periodo il giovane si ornò di virtù tali da essere considerato degno di sommo onore, suscitando ammirazione tra il clero e il popolo. Si istruì negli studi superiori e nella disciplina ecclesiastica, in diritto canonico e civile.
Ma in quel periodo il suo animo si infervorò ascoltando la predicazione di Arnoldo, abate cistercense di Morimond. Comprese che la sua vocazione era quella monastica e, trasgredendo alle aspettative della famiglia, abbandonò gli onori del proprio rango per abbracciare, ancora adolescente, la severa regola dell’Ordine Cistercense presso Morimond.
Poco dopo Arnoldo avviò una spedizione in Terra Santa per la fondazione di un monastero, coinvolgento i monaci di Morimond e suscitando la disapprovazione di S. Bernardo di Chiaravalle, colonna dell’Ordine, convinto che in quel periodo in Palestina fossero necessari soldati piuttosto che monaci. In due epistole, una inviata al canonico Brunone dei conti di Berg e Altena, e l’altra inviata a Papa Callisto II, egli cercò un appoggio per impedire la spedizione, dato che tra i monaci coinvolti vi era Corrado, il nobile giovane trascinato via da Colonia qualche anno addietro con grande scandalo.
All’inizio del 1125 Arnoldo morì all'improvviso, e l’impresa fallì. Ma Corrado proseguì da solo il pellegrinaggio, attratto dal fascino mistico della terra di Gesù. Varcò le Alpi e, raggiunta la Puglia, visitò i Santuari di S. Michele sul Gargano e di S. Nicola a Bari, tappe obbligate per i pellegrini diretti in Palestina. Tuttavia, sfinito dal viaggio intrapreso con mezzi di fortuna, si ammalò prima di imbarcarsi, e trovò rifugio presso la comunità benedettina di S. Maria ad Cryptam nell’agro di Modugno, nella diocesi di Bari. Corrado visse gli ultimi mesi della sua breve vita in una grotta adiacente alla cappella, facendo esperienza di monachesimo eremitico, pregando, digiunando e dormendo sulla roccia nuda. Egli suscitò grande ammirazione nella gente del posto, che cominciò subito a ricorrere alla sua intercessione. Morì probabilmente nell’inverno tra il 1125 ed il 1126, poco più che ventenne. La tradizione fissa il giorno della morte al 17 marzo. Il suo corpo venne inumato nella cappella di S. Maria ad Cryptam, e la tomba divenne meta di pellegrinaggi.
Nel 1309 quella comunità benedettina venne soppressa, ed i molfettesi, il 9 febbraio di un anno imprecisato, si impossessarono del corpo. Col gesto di inumarne i resti nella Cattedrale, Corrado veniva riconosciuto Santo Patrono di Molfetta, ed un messale del XIV secolo testomonia che già in quel periodo al 9 febbraio era fissata la festa della “Traslatio Sancti Corradi Confessoris”, celebrata con una messa propria.
Più volte S. Corrado ha manifestato la sua potente intercessione. Ad esempio nei periodi di siccità portando in processione la reliquia del suo cranio si è ottenuta spesso la pioggia.
Famoso è un episodio del 1529 quando, essendo di notte la città assaltata di sorpresa dalle truppe francesi del conte Caracciolo, i cittadini si sentirono chiamare nel sonno da un guerriero che li andava avvertendo del pericolo imminente. Essi, raggiunte le mura, videro nel mezzo di un bagliore la Madonna dei Martiri, S. Corrado, nel quale riconobbero il misterioso guerriero, e S. Nicola. L’esercito francese, atterrito, fuggì.
Molfetta fu immune per sua intercessione da molte epidemie, tra cui la pestilenza del 1657, e per riconoscenza fu raccolto dell’argento per far scolpire un busto in cui conservare il suo cranio.
Gli è stato attribuito anche il potere di placare tempeste, alluvioni e terremoti.
Con lo spostamento della sede episcopale, il 10 luglio 1785 le reliquie vennero trasferite nella nuova Cattedrale, e il Duomo Vecchio, prima intitolato all’Assunta, venne a lui dedicato.
Il 7 aprile 1832, sotto il pontificato di Gregorio XVI, si concluse a Roma il processo di canonizzazione equipollente. Corrado fu proclamato Santo, e nel 1834 giunse la messa propria, la cui preghiera di colletta, tradotta in italiano nel 1967, esclama:
“O Dio, tu hai voluto che il Santo Confessore ed Eremita Corrado divenisse cittadino della patria celeste, concedi benigno che, nella sua solennità, disprezzando gli affetti disordinati delle cose terrene, siamo infiammati dal desiderio delle realtà celesti”.

Dal 1893 il corpo è custodito in una teca mobile d’argento e cristallo, spostata nel 1981 nella cappella dei SS. Pietro e Paolo della Cattedrale. In una cassaforte si conserva il busto argenteo contenente il teschio, ed il reliquiario della terza vertebra cervicale, portato un tempo al capezzale dei moribondi. Frammenti delle ossa sono sparsi nelle varie chiese della città. A Modugno si conservano le falangi del pollice destro nella Cattedrale, ed un frammento osseo presso il Santuario di S. Maria ad Cryptam.
Per secoli si ritenne che Corrado fosse morto anziano, e come tale fu rappresentato, con barba bianca, cappa e bordone da pellegrino. Compaiono spesso il cilicio e il teschio, simboli dell’automortificazione, e corona e scettro abbandonati al suolo, segno delle origini nobili.
La festa liturgica cade il 9 febbraio, giorno della traslazione. Il 17 marzo si commemora il transito. La seconda domenica di luglio si festeggia il trasferimento delle reliquie nella nuova Cattedrale.

Autore: Pietro Angione



Figlio di Enrico il Negro, duca di Baviera, fu mandato giovanetto a Colonia per essere istruito da quei dotti canonici nelle scienze sacre e profane, e vi compì progressi tali da lasciar presagire unbrillante, avvenire. Egli, invece, attratto dalla fama di s. Bernardo, si portò a Chiaravalle, dove vestì l'abito religioso, ottenendo poco dopo il permesso di recarsi in Palestina per consacrarsi, nella terra di Gesù, a vita eremitica. Vi rimase alcunianni in compagnia di un vecchio solitario cui, nella sua umiltà, faceva da servitore. Aumentando poi, a cagione dell'infelice riuscita della seconda crociata, il pericolo islamico e avendo appreso che lasalute di s. Bernardo declinava, decise di tornare a Chiaravalle. Raggiunta Bari, dopo una malattia durante il viaggio per mare, e appreso, sembra, che s. Bernardo era ormai deceduto, Corrado, dopo aver venerato il sepolcro di s. Nicola, si ritirò nel territorio di Modugno. in una grotta dedicata alla Madonna, dove morì il 17 marzo 1154 (o 1155), famoso per santità e miracoli.
Il suo corpo fu portato a Molfetta, di cui è patrono, e deposto nell'antica cattedrale, che gli fu dedicata. Il 10 luglio 1785 fu trasferito nella nuova, in un altare a destra di chi entra ornato di una tela di Corrado Giaquinto. Il suo capo, però, è custodito in un reliquiario che viene portato in processione in certe circostanze. È festeggiato il 9 febbraio (dies natalis), il 17 marzo (patrocinio) e il 10 luglio (traslazione). Il suo culto fu confermato da Gregorio XVI il 6 aprile 1832 e posto definivamente al 17 marzo dal Nuovo Martirologio Romano.

Autore:
Balduino Bedini

(Lc. 6,36-38) Perdonate e sarete perdonati

VANGELO 
(Lc 6,36-38) Perdonate e sarete perdonati. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Parola del Signore
(Lc 6,36-38) Perdonate e sarete perdonati. ( Gesù-e-il-buon-ladrone)
(Lc 6,36-38) Perdonate e sarete perdonati. ( Gesù-e-il-buon-ladrone)

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Spirito del Signore,ti prego,donami la libertà dal mio io,e fa che io possa diventare come spugna per il mio Dio.


Dare per avere, ogni cosa ci verrà restituita ,dice Gesù, per come l'avremo concessa, nella stessa misura.
L'invito è a misurare con la stessa misura di Dio, ossia senza misura, all'infinito.C'è molto in queste poche righe, oserei dire che c'è tutto quello che ci dovrebbe interessare per vivere in comunione con Dio, proprio perchè è Gesù stesso che ci conduce passo passo nel cuore del mistero dell'amore assoluto. Dio è quello che ama senza misura,che perdona al minimo accenno,che prova per noi tanto di quell'amore da non saperne fare a meno.
Per capire questo bisogna entrare seriamente in contatto con Lui, non farci un'idea, ma vivere una realtà.Tutto quello che ci unisce a Dio, non può essere idealizzato e basta, perchè ci lascerebbe distanti dall'originale, in tutto, anche nella pratica.C'è un momento,prima della morte di Gesù sulla croce, che oggi mi balza continuamente davanti agli occhi, un momento che sembra non avere nulla in comune con il vangelo di oggi, ma come io spesso ripeto,questa mia riflessione, non vuole essere un'omelia, nè una spiegazione del brano evangelico, ma un esempio di come il Signore ci parla attraverso la scrittura, e di come comunica con noi attraverso le scritture.
Il momento in questione è quello in cui ci presenta i due ladroni che stavano in croce accanto a Gesù.Il primo rifiutò Gesù fino all'ultimo, lo scherniva e lo insultava: " Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!  "
L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».Bastò questo a Gesù, bastò che il peccatore riconoscesse che lui era punito giustamente e che Gesù che era giusto,  veniva invece crocifisso senza colpa,per dire allo sventurato che la corsa della sua vita, cambiava direzione, che sarebbe stato accolto in paradiso. L'ultima occasione per il ladrone, l'ultima tentazione per Gesù, infatti le parole del primo ladrone ricordano quelle di satana nelle tentazioni,e Gesù non risponde alla tentazione,ma risponde al desiderio di giustizia per lui.A volte il nostro sentirci colpevoli ci fa schierare dalla parte sbagliata e ci fa rinunciare alla salvezza, ma con Dio tutto è molto più semplice di come noi lo giudichiamo,tutto è dono, tutto è grazia infinita.La liberazione nasce da un semplice riconoscimento di giustizia , il  Dio che si manifesta in Gesù non è il Dio che guarda i meriti, non abbiamo nessun merito, non è un Dio che guarda le virtù, non abbiamo molte virtù, ma è il Dio che guarda i bisogni e le necessità, un Padre che  concede la salvezza, non come un premio, ma come un regalo, così come fa Gesù.Oggi il Signore mi ha portato sotto alla croce e ve l'ho raccontato con semplicità, per farvi capire come ogni volta è diverso,metto il link della precedente riflessione sullo stesso brano: http://bricioledivangelo.blogspot.it/2013/02/lc-636-38-perdonate-e-sarete-perdonati.html

sabato 15 marzo 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Il dolore è stato amato con voluttà dalle anime grandi. Esso è l’ausiliario della creazione dopo la sventura della caduta; è la leva piú potente per rialzarlo; è il secondo braccio dell’amore infinito per la nostra rigenerazione." (ASN, 42).

SANTI é BEATI :

Beata Benedetta di Assisi

16 marzo

m. 1260

Entrata nelle Clarisse di S. Damiano nel 1214, si ritiene che sia stata badessa a Siena e a Vallegloria presso Spello. Fece in tempo ad assistere alla costruzione della basilica in onore di S. Chiara, e al trasferimento delle Clarisse nei locali annessi alla vecchia chiesa di S. Giorgio. Nella medesima fu seppellita, oltre a S. Chiara anche s. Benedetta. Oggi riposa anch’essa nella basilica di S. Chiara di Assisi.

Etimologia: Benedetta = che augura il bene, dal latino

Entrata fra le Clarisse di Assisi nel 1214, successe a s. Chiara nel governo del monastero di S. Damiano, rimanendo in quell'ufficio fino al 1260. Quasi sicuramente è la stessa che troviamo badessa nel 1227 a Siena e dal 1240 al 1248 a Vallegloria presso Spello.
Fu presente al processo di canonizzazione di s. Chiara nel novembre del 1253, in cui però non depose, forse per essere stata molto tempo assente da Assisi. A lei frate Leone e frate Angelo, dopo la morte di Chiara, affidarono il breviario usato da s. Francesco. Assisté all'inizio della costruzione della basilica di S. Chiara (1257), al trasferimento delle Clarisse da S. Damiano ai locali annessi alla vecchia chiesa di S. Giorgio e forse anche al trasferimento del corpo di s. Chiara dalla chiesa: di S. Giorgio alla nuova basilica, se si accetta, con i Bollandisti, come data della morte il 19 ottobre anziché il 16 marzo 1260. Il Martirologio Francescano afferma che la sua vita splendette per singolare prudenza e per grande fama di virtù e miracoli. Fu sepolta nella chiesa di S. Giorgio. Nel 1602 il vescovo di Assisi, Crescenzi, fece riporre le sue reliquie con quelle della beata Amata e di s. Agnese nella cappella dedicata a quest'ultima nella basilica di S. Chiara. In essa si venera, sopra l'altare maggiore, una grande croce sagomata, con ai lati dipinte s. Chiara e la beata Benedetta, e con la seguente leggenda in caratteri gotici: "Domina Benedicta post Sanctam Claram prima Abbatissa me fecit fieri" ('Donna Benedetta, prima badessa dopo santa Chiara, mi fece dipingere').

Autore: Aldo Brunacci

(Mt 17,1-9) Il suo volto brillò come il sole

VANGELO
(Mt 17,1-9) Il suo volto brillò come il sole
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni vicino a me o Santo Spirito, ed aiutami a comprendere il senso della lettura d’oggi, e saperla applicare alla mia vita.
In questo brano, Matteo ci porta con Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor.
Gli apostoli non comprendevano bene il perché di questa scelta di Gesù di sottoporsi volontariamente a tanta sofferenza, ricordiamo che Pietro che non voleva andare a Gerusalemme con Gesù, dopo che questi aveva detto a lui e agli altri, quello che l’aspettava e lo esortava a non sottoporsi a tale supplizio. Gesù allora propone ai suoi discepoli di salire sul monte e una volta giunti si misero a pregare. Non volle spiegare a parole, ma volle che potessero condividere con Lui quel momento di preghiera, per aiutarli a capire, gli mostra come questa accettazione poteva diventare la loro trasfigurazione. Notate la differenza tra il pregare di Gesù, che trasfigura davanti ai loro occhi, e quello assonnato degli apostoli. Apparve ai loro occhi, riflesso di luce e parlava con Mosè ed Elia era una visione meravigliosa che li fece restare svegli anche se cadevano dal sonno.Ad un tratto furono avvolti da una nube ed udirono una voce: -ecco il mio Figlio, l’eletto, ascoltatelo- La voce di Dio confermava quello che disse al battesimo nel Giordano, riporre la propria fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, non è un optional, ma è un preciso comando di Dio stesso, e non riconoscerlo come tele vuol dire disobbedire a Dio, opporsi al volere di Dio. I discepoli erano colpiti da questa manifestazione di Gesù e vedere Elia e Mosè li aveva riempiti di una nuova consapevolezza, che ancora non comprendevano fino in fondo, ma che apriva il loro cuore alla speranza e faceva intravedere che la fede è andare oltre la nostra umanità, e che diventa un connubio con Dio. Dio aveva detto ascoltatelo e avevano visto i patriarchi defunti nella gloria con Gesù, avevano ancora tanta confusione e stettero tre giorni prima di capire bene il senso di quello che era successo, conservando tutte quelle cose in silenzio nel loro cuore.
Rispetto a questo brano io posso aggiungere, per esperienza, che quando il Signore ci concede una sua grazia, anche noi rimaniamo esterrefatti e stupiti, anche se non è la trasfigurazione, ma in ogni modo è sempre un qualcosa che ci lascia senza parole e senza spiegazione, allora anche se al momento non capiamo a fondo, non realizziamo subito il senso dell'accaduto, viene automatico restare tre giorni senza dire nulla e poi pian piano si riesce a mettere a fuoco quello che è successo.
Quanto sarebbe bello poter essere trasfigurati in Gesù, riuscire a fare della nostra preghiera e della nostra vita una ricerca intensa di comunione con il regno dei cieli, il nostro desiderio sarebbe legittimo, come lo è stato per gli apostoli, che hanno chiesto di poter fare tre capanne.
Legittimo voler restare con Gesù, ma ancora non era risorto dai morti, e gli chiese di tacere, fino a che tutto fosse compiuto; ed oggi che senso dare a queste parole?
Gesù è risorto, è con noi, possiamo vivere con lui la nostra esperienza di vita sulla terra, possiamo dimostrare di aver compreso almeno in parte il suo messaggio, possiamo chiedergli di trasformarci in uomini e donne nuove, ma per farlo, dobbiamo credere che Gesù è il figlio che Dio ci chiede di ascoltare ed affidarci a Lui.

venerdì 14 marzo 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Chi comincia ad amare deve essere pronto a soffrire." (CE, 25).

SANTI é BEATI :

Santa Luisa de Marillac Vedova e religiosa
Ferrieres, Francia, 1591 - Parigi, Francia, 15 marzo 1660
Luisa (Ludovica) nasce nel 1591 a Ferrieres e ha un'infanzia agiata. Dopo il 1604, morto il padre, viene tolta dal regio collegio e affidata a una «signorina povera» (forse sua madre), che l'avvia al lavoro. In questo periodo matura il proposito di farsi religiosa. Ma i parenti la danno in sposa nel 1613 allo scudiero e segretario di Maria de' Medici, Antonio Le Gras. I frequenti colloqui con Francesco di Sales, incontrato la prima volta a Parigi nel 1618, aiutano Ludovica a superare le proprie sofferenze. Poi nel 1624, grazie all'incontro con Vincenzo de' Paoli, diventa cofondatrice dell'Istituto delle Figlie della Carità. Poco dopo, nel dicembre 1625, morto il marito ed entrato in seminario il figlio Michele, accoglie in casa sua le prime giovani venute dal contado per mettersi al servizio dei poveri, in collaborazione con le Dame della Carità. Era il primo nucleo della nuova congregazione, dai lei guidata fino alla morte, avvenuta nel 1660. (Avvenire)
Patronato: Assistenti Sociali
Martirologio Romano: A Parigi in Francia, santa Luisa de Marillac, vedova, che guidò con il suo esempio l’Istituto delle Figlie della Carità nell’assistenza ai bisognosi, portando a pieno compimento l’opera avviata da san Vincenzo de’ Paoli.
Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Si racconta che Napoleone, in un giorno di quiete, si trovò ad ascoltare un gruppo di persone qualificate culturalmente che cominciarono a discettare di filosofia, di politica, di scienza e con entusiasmo esaltavano l’Illuminismo che aveva prodotto nella società un sentimento filantropico. L’imperatore li ascoltava ma si mostrava sempre più impaziente e anche infastidito da tutte quelle parole.
Ad un certo punto li interruppe dicendo: “Tutto questo è bello e buono, ma non farà mai una Suora Grigia!”. Si chiamavano così le Figlie della Carità, fondate, nel 1633, da Vincenzo de’ Paoli e da Luisa de Marrillac, da più di un secolo già famosissime e stimatissime in Francia per la loro opera di carità verso i più bisognosi e per i poveri rottami della società, che pure si fregiava dell’appellativo di illuminista, cioè illuminata dal lume della ragione.
Una seconda curiosità. Verso la metà del 1600, quando ormai le Suore Grigie operavano già da qualche decennio, alleviando tante sofferenze e salvando tante vite umane, viveva a Parigi, nella quiete e nella sicurezza, il filosofo inglese Thomas Hobbes.
Di lui è rimasta la teorizzazione filosofica dell’assolutismo dello Stato (il Dio mortale sulla terra) nella sua opera Il Leviathan (1651). Tutto doveva essere sottomesso allo Stato (anche l’autorità religiosa). Uno Stato assoluto con poteri assoluti sui singoli individui era necessario per evitare che gli uomini si sbranassero a vicenda alla ricerca inevitabile dei propri diritti. Sua è la famosa frase: “Homo homini lupus”, l’uomo è un lupo per l’altro uomo, pronto, pur di affermare i propri diritti alla sopravvivenza, a sbranarlo.
Le Figlie della Carità o Suore Grigie, sapendo che lo Stato non è tutto, erano dei veri angeli, che alleviavano il dolore in ogni angolo dove l’autorità politica e civile non entrava o ne ignorava il bisogno. E in questa loro opera così importante e socialmente così utile e illuminata seguivano le orme e gli esempi dei loro fondatori: San Vincenzo de’ Paoli e Santa Luisa de Marillac. Due grandi figure che hanno illuminato con la loro santità operante socialmente quel secolo francese grande anche per altre figure come Pascal e Cartesio, Richielieu e Mazzarino, Moliere e Corneille, card. De Berulle e Jacques Bossuet, San Giovanni Eudes e altri.
Avendo già parlato nel mese di settembre 2007 di San Vincenzo de’ Paoli, ora tocca a Santa Luisa, che per più di trenta anni lavorò con lui con lo stesso obiettivo: mostrare il volto misericordioso e buono di Dio verso i bisognosi, specialmente quelli più abbandonati e soli, e in questo erano ambedue mossi dallo stesso e unico grande amore a Gesù Cristo.

Il matrimonio sbagliato e per interesse


Louise de Marillac nacque nel 1591. Non ebbe come si dice un’infanzia e un’adolescenza serena. Il padre apparteneva ad una delle più importanti famiglie della Francia. Della madre non si sa niente: era quindi una figlia naturale, riconosciuta premurosamente dal padre ed anche aiutata da lui con una rendita che le assicurasse una certa sicurezza. Era una bambina intelligente e saggia. I suoi primi studi furono fatti nel convento delle domenicane di Poissy. L’atmosfera raccolta, devota e culturalmente stimolante le piacque da subito. Ma, forse, la spesa era eccessiva per lei. Venne infatti ritirata e affidata ad una maestra abile anche nell’insegnarle i lavori tipici femminili.
Perdette il padre all’età di 11 anni, e, fatto che complicò ancora il suo stato di orfana, la famiglia della matrigna e gli altri parenti (sembra) non si preoccuparono eccessivamente di lei e del suo destino.
La ragazza cresceva molto devota e aveva fatto voto di consacrarsi al Signore: all’età di 18 anni Luisa si preparava quindi ad entrare in un convento. Fu però sconsigliata e respinta in questo suo proposito a causa della sua salute non robusta. Se non poteva diventare suora allora bisognava maritarla. E così fu. Ecco quindi un matrimonio non voluto da lei ma combinato da altri, quindi solo di interesse.
Era il 1613 e Luisa aveva 22 anni. Il nome del marito Antoine Le Gras, senza alcun titolo nobiliare. Nacque ben presto anche un figlio. Luisa conduceva una vita di devota nel bel mondo che la portava a frequentare prelati, signori dell’ambiente dei Marillac e di Madame Acarie, il tutto mentre si prendeva cura del figlio, debole di salute. Sembrava tutto facile. Ma Luisa cresceva negli scrupoli, nei rimorsi per non essere potuta entrare in convento sempre oppressa da quelli che lei credeva peccati. Era in crisi, insomma. Aveva una buona formazione intellettuale e spirituale, ed una vita cristiana buona. E purtroppo il matrimonio non era diventato un sostegno per lei ma fonte di difficoltà e di ansietà. Cercava quindi la salvezza nell’ascesi, nell’umiltà, nell’abnegazione. Spesso anche in maniera esagerata. E in più aveva sviluppato un attaccamento verso suo figlio che qualche autore chiama addirittura di natura nevrotica. Era un’anima in difficoltà spirituale, in grande pena e dalla psicologia ferita profondamente.
Ebbe anche la possibilità di incontrare addirittura due santi (e anche grandi): il vescovo di Ginevra, Francesco di Sales, e specialmente Vincenzo de’ Paoli. Avrà con quest’ultimo l’incontro decisivo e provvidenziale per la sua vita.
E veniamo all’anno 1623, anno importante per Luisa. Quello dell’illuminazione. Scrisse lei stessa: “Compresi che... sarebbe venuto un tempo in cui sarei stata nella condizione di fare i tre voti di povertà, castità e obbedienza, e questo assieme ad altre persone... Compresi che doveva essere in un luogo per soccorrere il prossimo, ma non riuscivo a capire come ciò si potesse fare, per il fatto che doveva esserci un andare e venire...”. Un segno dall’alto di avere un po’ di pazienza per coronare il suo sogno di diventare religiosa.
Luisa capì il messaggio e infatti cominciò ad aderire, con umiltà e serenità e nella pace interiore, alle circostanze della vita, che in quel momento significava stare a fianco del marito (dal quale pensava di separarsi). La malattia del marito intanto continuava e Luisa lo assistette con molta più dedizione e tenerezza di prima, per altri due anni, rimanendogli accanto fino alla morte santa (1626), della quale lei parlava come di una grande grazia del Signore.

L’incontro con Vincenzo de’ Paoli

Fu certamente la Provvidenza, che non lascia niente al caso per realizzare i propri progetti di salvezza, a far incontrare Luisa con Vincenzo (intravisto, senza capire di chi si trattasse, in quella famosa illuminazione del 1623).
Avvenne nel 1624, durante gli ultimi due anni della malattia del marito. Lei 33 anni, lui 43, famoso in tutta la Francia, che trattava con re, regine, ministri e grandi personaggi. Una coppia che avrebbe funzionato molto bene per il Regno di Dio e che sarebbe rimasta unita indissolubilmente e animata visibilmente dall’unico e indistruttibile e comune amore per il Signore Gesù.
Luisa sarebbe diventata la vera compagna di Vincenzo per le opere di carità sociale. Le fu vicino con molta discrezione, con molta saggezza e anche tenerezza spirituale, rasserenando il suo spirito col richiamo continuo all’amore di Dio per ciascuno di noi e quindi anche per lei (per farle vincere il suo moralismo, gli scrupoli e il ricordo dei propri errori). La invitava sempre ad esser lieta, semplice ed umile, le ricordava continuamente l’importanza della “santa indifferenza” davanti a quello che Dio avrebbe voluto per lei. Lei stessa avrebbe trovata la strada e la missione che Dio voleva. Un po’ di pazienza. Anche Dio ha i suoi tempi per agire e per far capire il suo progetto.
Il Cristo non era vissuto trent’anni nell’oscurità di Nazaret prima della missione? Anche Luisa poteva e doveva aspettare.
Intanto conosceva sempre di più l’opera e la metodologia di Vincenzo con i poveri. E il miracolo avvenne. Arrivò proprio il giorno in cui Luisa intuì il proprio compito o meglio la missione nella Chiesa.
Lei, Luisa de Marillac, di madre sconosciuta, orfana a 11 anni del padre, una suora mancata, una giovane donna maritata per interesse, madre di un figlio che dava e aveva problemi... sarebbe diventata la “Madre dei poveri”. Grazie a Dio (e a Vincenzo, mandato da Dio) una trasformazione totale. Naturalmente comunicò l’intuizione a Vincenzo. Era proprio quello che aspettava. Le rispose: “Sì che acconsento, mia cara damigella, acconsento sicuramente. Perché non dovrei volerlo io pure, se Nostro Signore vi ha dato questo santo sentimento?... Possiate essere sempre un bell’albero di vita che produce frutti d’amore!”. E così sarà veramente per Luisa, per tutta la vita e per tanti poveracci che incontrerà e aiuterà.
L’opera maggiore (che continua ancora oggi) che questa santa “coppia di Dio” ha fatto insieme è stata la fondazione delle Figlie della Carità, nel 1633. Un Istituto religioso, diretto da loro due insieme per 27 anni fino al 1660, quando morirono entrambi a poca distanza di mesi.
Fu una vera rivoluzione per la Chiesa (uscire fuori dai conventi e per di più donne), perché andava al di là dai soliti schemi mentali e gabbie organizzative ecclesiali vigenti fino a quel tempo. Vincenzo e Luisa a tutti chiedevano quello che potevano dare: ai re e regine, ai borghesi e alle dame dell’alta società francese, ai nobili ricchi e ai ricchi non nobili. Alle figlie chiedevano di essere “serve dei poveri”, come se essi fossero i veri padroni. Ma tutto questo Luisa lo chiedeva dicendo o scrivendo “In nome di Dio, sorelle... siate molto affabili e dolci con i vostri poveri. Sappiate che sono i nostri padroni...”. E questi poveri erano i derelitti, gli abbandonati, i senza dimora, i malati, i pazzi, i galeotti, bambini trovatelli, feriti di guerra e altre categorie affini a forte disagio sociale.
Era un’assistenza piena di amore e di carità, che nessuna ideologia o anche filosofia illuminista poteva inventare o giustificare ma solo l’amore di Dio. Ed era un lavoro che le Figlie della Carità, quelle suore grigie che Napoleone “sognava”, facevano, e sempre faranno, “in nome di Dio”.

Autore:
Mario Scudu sdb

(Mt 5,43-48) Siate perfetti come il Padre vostro celeste.

VANGELO
 (Mt 5,43-48) Siate perfetti come il Padre vostro celeste. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e aiutami a vivere con tutte le mie contraddizioni il vangelo. Aiutami a cercare di essere migliore e a non accettare la mia umanità pensando di non poterla migliorare.

Sembra facile amare! Ci riempiamo la bocca di questa parola,ma non concediamo spazio all'amore.
Spesso viviamo come aiuole che non accettano di essere calpestate, dritte in difesa e pronte all'attacco, e questo mentre parliamo d' amore.
Amare i nemici poi...ignorarli forse,ma amarli e quasi impossibile.
Eppure vorremmo vivere in pace, ma non riusciamo a fare nulla per conquistare questa benedetta pace.
Se digitiamo la parola pace  interiore su google,ci appaiono subito siti in cui si parla di buddismo ,di zen ecc. come se loro che praticano queste filosofie avessero la ricetta per la pace interiore.... peccato che poi vediamo scene di monaci buddisti che si picchiano come forsennati.
La pace interiore non è una formula, non è una teoria, ma un continuo esercizio di umiltà che ci mette di fronte alle nostre piccolezze e alla nostra grande superbia.

santo rosario misteri dolorosi per il Papa Francesco

https://www.youtube.com/watch?v=l8idl-LrLsE
Per il Papa Francesco.
Signore aiuta il Papa.Tu sai come vorresti la tua chiesa.

giovedì 13 marzo 2014

VOCE DI SAN PIO :

-"Il cuore buono è sempre forte; egli soffre, ma cela le sue lacrime e si consola sacrificandosi per il prossimo e per Dio." (CE, 23).

SANTI é BEATI :

Beato Giacomo Cusmano Sacerdote
Palermo, 15 marzo 1834 - Palermo, 14 marzo 1888
Il sacerdote palermitano Giacomo Cusmano è noto per aver fondato nel 1867 l'associazione del "Boccone del povero". Si era laureato in medicina a 21 anni ed era subito divenuto il "medico dei poveri" del capoluogo siciliano, dove era nato nel 1834. Il giovane dottore nel 1860 venne ordinato prete. Poi fondò il sodalizio caritativo, con l'appoggio del cardinale Naselli, e nel 1887 due congregazioni: le Serve e i Servi dei poveri. Morto nel 1888 è beato dal 1983. (Avvenire)
Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Palermo, beato Giacomo Cusmano, sacerdote, che fondò l’Istituto Missionario dei Servi e delle Serve dei Poveri, insigne per il suo straordinario amore per i bisognosi e gli infermi.

Il Beato Padre Giacomo Cusmano nasce a Palermo il 15 marzo 1834. Rimasto orfano di madre a soli tre anni, viene educato dalla sorella maggiore Vincenzina. Fin dalla fanciullezza dimostra una grande sensibilità di fronte alle sofferenze altrui.
Terminati gli studi superiori al Colleggio Massimo dei Gesuiti, si iscrive alla facolta' di medicina e chirurgia, laureandosi a 21 anni. Diventa subito il "medico dei poveri" per la sua generosità e abnegazione.
Ma la voce di Dio, sempre più imperiosa, spinge il giovane dottore a completare ed arricchire la pur nobile professione con la dedizione e consacrazione totale a Dio e, per Lui, ai poveri. Abbraccia lo stato ecclesiastico e il 22 dicembre 1860 e' ordinato sacerdote.
Il 21 febbraio 1867 dà inizio all'Associazione del Boccone del Povero, composta da sacerdoti e laici di ambo i sessi, sotto la presidenza dell'Arcivescovo di Palermo, Mos. Naselli, che benedice l'opera e, dopo il beneplacito pontificio, la istituisce canonicamente nel 1868.
Il 23 maggio 1880, festa della SS. Trinita', veste le prime Suore. Il 4 ottobre 1884 dà l'abito ai primi Fratelli e il 21 novembre 1887 riunisce in Comunita' i Missionari che da tempo si erano uniti a lui lavorando per i Poveri: fonda così ufficialmente le due Congregazioni delle Serve e dei Servi dei Poveri.
Apre ospedali, case per anziani poveri ed abbandonati e per orfani. Lo chiamano il "Padre dei Poveri".
Muore il 14 marzo 1888 a Palermo, in fama di santità, compianto da tutti, senza distinzione di classi sociali, ideologie o partiti.
Viene beatificato da Sua Santità Giovanni Paolo II il 30 ottobre 1983.
L'Opera da lui fondata si estende attualmente. oltre che in Italia, in Romania, in America (Stati Uniti, Messico, Brasile), in Africa (RDC, Cameroun, Uganda), Asia (Filippine ed India).

Autore:
Silvestro Terranova

(Mt 5,20-26) Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello

VANGELO .
 (Mt 5,20-26) Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Ti prego Spirito Santo, di non mancarmi mai, mentre cerco di scrivere questa mia riflessione alla tua parola, perché voglio esserti fedele e togliere da me tutto quello che non è tuo. Te lo chiedo per nostro Signore Gesù Cristo. Amen.

Abbiamo già visto come gli uomini, adattino le leggi a loro piacimento, anche gli uomini di chiesa, quindi non dobbiamo essere come loro, (spesso falsi e ipocriti) ma migliori e non ci dobbiamo fermare alle apparenze ma andare nella profondità delle cose, dobbiamo cercare in verità, nel nostro rapporto con Dio le risposte che ci servono, perché noi in coscienza sappiamo qual è la verità.
Quando Gesù dice che non è venuto per abolire la legge di Dio, ma per darne compimento, intende dire che non è sufficiente dire:  io non uccido per essere a posto. La legge di Dio, non deve essere vista come un insieme di regole, da rispettare alla lettera, ma come un modo di vivere che mette tutto sotto alla lente d'ingrandimento dell'amore.
Non fare del male agli altri, perché sono i nostri fratelli e quindi come il nostro padre terreno ci chiede di non litigare con i nostri fratelli di sangue, così il nostro padre celeste ci esorta ad andare d’accordo con tutti i nostri fratelli spirituali.
Non ci dice di guardare chi ha torto o chi ha ragione, ma  di fare pace; di tendere in ogni caso la mano verso gli altri, di non ferire nessuno con le nostre parole ed i nostri comportamenti, perché anche questo è male.
Ci esorta a migliorare ed a cambiare seriamente il nostro atteggiamento per cercare la salvezza attraverso il rispetto della legge morale dettata da un vero amore, verso tutti, in particolar modo, verso quei fratelli che sentiamo più lontani, più difficili da raggiungere, più difficili da amare.
A questo proposito vorrei aggiungere che là dove non riusciamo da soli a farlo, non dobbiamo arrenderci, ma con il cuore veramente sincero, possiamo chiedere al Signore di donarci la forza del SUO amore perché sinceramente aderiamo al Suo progetto d’amore.
Spesso non è facile, con tutta la cattiveria che si vede intorno a noi, riuscire ad amare e a perdonare chi ci fa del male o fa del male ad un nostro famigliare, ma dobbiamo riuscire a farlo, perché il rancore, è un tarlo che distrugge quel ponte che ci lega a Dio, e sul quale anche noi dovremo passare un giorno per essere perdonati e poter entrare nel regno dei cieli.
Impariamo dunque ad amare come ci ha amato Gesù, a mettere le ali al nostro amore per  farlo volare al di sopra delle divisioni,  delle guerre, delle diverse etnie, religioni, differenze politiche; impariamo a perdonare, perché il perdono deve nascere da dentro al nostro cuore e non dipendere dalla gravità della cattiva azione subita. Prima di presentarsi in chiesa, a celebrare con il sacerdote la messa, è giusto presentarsi davanti a Dio, chiedere perdono delle nostre mancanze, ma in modo veramente sincero, con il cuore contrito e il desiderio di non ripetere i nostri errori, ma ancor di più, con la voglia di stare in pace con tutti, quindi cercare di rappacificarsi con i fratelli con cui abbiamo discusso e perdonare chi ci ha ferito. Benediciamo chi ci maledice e perdoniamo chi ci fa del male. Tutto quello che non riusciremo a perdonare non ci sarà perdonato, siamo quindi noi gli artefici del nostro destino, perché secondo come vivremo saremo alla fine giudicati da Gesù.

mercoledì 12 marzo 2014

VOCE DI SAN PIO

   -" Ama Gesú; amalo tanto; ma per questo, ama di piú il sacrificio." (GB, 61).

SANTI é BEATI :

San Rodrigo di Cordova Sacerdote e martire
Cordova, sec. VIII - Cordova, 13 marzo 857
Fu prete a Cordova, nell'Andalusia, un territorio allora sotto il dominio arabo. Uno dei suoi fratelli era rimasto cristiano e l'altro invece si era fatto musulmano. Rodrigo viene ucciso da musulmani, ma non si tratta in questo caso di persecuzione. È vittima, infatti, di risse familiari, fraterne. Tenta di mettere pace tra i due fratelli di fede diversa, ma senza riuscirvi. Un giorno per separarli Rodrigo viene picchiato, rimanendo privo di sensi. A quel punto il fratello musulmano lo porta via e, all'insaputa di Rodrigo, dice alla gente che, gravemente malato, si è fatto anche lui musulmano. Rodrigo, però, si ripresenta vestito da prete: è lo stesso fratello a portarlo davanti a un giudice musulmano, accusarlo di apostasia e farlo condannare a morte. (Avvenire)
Etimologia: Rodrigo = ricco di gloria, dall'antico tedesco
Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, passione dei santi Ruderico, sacerdote, e Salomone, martiri: il primo, rifiutatosi di credere che Maometto fosse vero profeta inviato dall’Onnipotente, fu gettato in carcere, dove incontrò Salomone, che in precedenza aveva per qualche tempo aderito alla religione maomettana, e insieme portarono gloriosamente a termine la loro prova con la decapitazione.
Ascolta da RadioMaria:
  

Era un prete di Cordova, nell’Andalusia, regione che aveva fatto parte del regno dei Visigoti di Spagna. E si trovava in una situazione non rara in quel territorio, allora sotto il dominio arabo: uno dei suoi fratelli era rimasto cristiano e l’altro invece si era fatto musulmano. E lui, Rodrigo, morirà per mano araba, sicché viene raffigurato in genere (anche in un famoso quadro seicentesco del Murillo) con i paramenti di sacerdote e con la palma dei martiri.
Dunque: un cristiano, un prete, ucciso da musulmani. Ma non si tratta in questo caso di persecuzione; all’epoca la regione vede convivere abbastanza pacificamente musulmani, cristiani ed ebrei. Rodrigo è vittima di risse familiari, fraterne. Questo suo fratello musulmano continua a rimproverare all’altro fratello (il terzo) la sua “ostinazione” a rimanere cristiano. Rodrigo tenta di mettere pace tra i due, ma senza riuscirvi: c’è tra loro un’avversione insanabile; vedersi e litigare è tutt’uno.
Un giorno, appunto, Rodrigo li vede picchiarsi selvaggiamente e si lancia a dividerli, e allora i due si mettono a picchiare lui, che sotto i loro colpi crolla privo di sensi. A quel punto il fratello musulmano lo porta via su un carretto – sembra morto – e alla gente stupefatta dà una spiegazione bugiarda: dice che Rodrigo è gravemente malato e che, sentendo vicina la morte, si è fatto anche lui musulmano. La voce si diffonde, ma Rodrigo (nascosto nei dintorni) non ne sa nulla. Guarito, torna in Cordova sempre vestito da prete, e il suo fratello-accusatore lo trascina dal giudice musulmano: "Questo si era fatto seguace dell’Islam, e ora è tornato cristiano: ha tradito la nostra fede". Per un’accusa simile c’è la morte, mentre non si perseguita chi è e resta cristiano. Il giudice cerca di aiutare Rodrigo a salvarsi, suggerendogli perfino una dichiarazione di fedeltà all’Islam, che lo renderebbe subito libero, senza chiedergli precisi impegni sulla pratica della fede coranica. Ma Rodrigo non accetta: cristiano è, e cristiano rimane. A quel punto viene condannato a morte da un giudice riluttante, per l’insistenza di quel fratello.
Fratricidio, ben più che persecuzione. Rodrigo viene poi messo a morte con un altro cristiano di nome Salomone, condannato per lo stesso motivo. Gettati nel fiume Guadalquivir, i corpi verranno recuperati dai cristiani, che seppelliranno Rodrigo nella basilica di San Genesio, presso Cordova, e Salomone in quella vicina dei Santi Cosma e Damiano. Per entrambi la santità è proclamata subito, dal basso, attraverso il culto popolare spontaneo. La festa si celebra sin dal 1581, il 13 marzo.

Autore:
Domenico Agasso

(Mt 7,7-12) Chiunque chiede, riceve.

VANGELO
 (Mt 7,7-12) Chiunque chiede, riceve.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Ispirami o Dio, attraverso lo Spirito Santo, quale strada deve seguire il mio cuore per percorrere le Tue vie, senza timore di sbagliare e di ascoltare falsi profeti.


Dopo averci insegnato a pregare, Gesù ci fa conoscere la meravigliosa bontà e disposizione del Padre. Per farlo ci fa il paragone con il nostro padre terreno, che si presume ci ami al di sopra di tutto, ma come noi non è perfetto nell'amore come Dio.“ Chiedi e ti sarà dato, bussa e ti sarà aperto” sono le parole con le quali Gesù ci dice che se ci rivolgiamo a Dio con tutto il cuore, e con una vera disposizione a seguire le sue vie, a conoscerlo, Egli ci darà tutto quello che chiediamo, perché non aspetta altro che la nostra conversione a Lui e alla sua parola. Ora si tratta di capire qual' è la giusta disposizione per porci davanti a Lui, e sicuramente non è quella di pretendere già di sapere quali sono le cose giuste per noi, quindi accettiamo la sua volontà e cerchiamo di comprendere che se il Signore permette determinate cose e situazioni, lo fa per il nostro bene, perché sa qual' è il nostro bene, e quello di tutta l'umanità, poiché Lui è l'unica via per la nostra salvezza.
Un' altra cosa che possiamo notare e come in questo brano Gesù ci parli di quello che negli uomini è la normalità, invece per Dio può essere la risposta del mondo al nostro bisogno di aiuto. Avere gli uomini per amici, non è che sia sbagliato, assolutamente, non è questo che ci vuole dire Gesù, ma ci avverte che gli uomini sono un pochino egoisti, e non è che abbiano a cuore il nostro benessere, ma pensano molto più al loro. Dio invece ci ama e sa che cosa è meglio per noi, perciò quando preghiamo, e facciamolo spesso, anche per le piccole cose, non chiediamogli di accontentarci, ma di fare quello che è meglio per noi, e fidiamoci, Lui sa quello che fa! Gesù ci sprona a fidarci di Dio anche nel dare, non solo nel chiedere, perché la legge di Dio è giusta in tutto, e in proporzione a quello che sapremo dare, potremo ricevere.

martedì 11 marzo 2014

SANTI é BEATI :

Beata Angela (Aniela) Salawa Terziaria Francescana

12 marzo

Siepraw, Cracovia, Polonia, 9 settembre 1881 - Cracovia, 12 marzo 1922

Beatificata da Papa Giovanni Paolo II, a Cracovia, il 13 agosto 1991.

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, beata Angela Salawa, vergine del Terz’Ordine di San Francesco, che scelse di impegnare tutta la vita lavorando come donna di servizio: visse umilmente tra le serve e migrò al Signore in assoluta povertà.

La categoria delle domestiche ha dato lungo i secoli, alla Chiesa e alla cristianità, tante figure di Beate e Sante, che iniziando a lavorare in questo campo, per un tempo più o meno lungo, portarono nelle famiglie e nei fedeli, l’esempio delle loro virtù cristiane e morali; e di un apostolato possibile in ogni ambiente del vivere quotidiano.
La maggioranza di esse, lasciarono poi il compito di domestiche, per entrare a far parte di Istituti e Congregazioni religiose, alcune diventando loro stesse fondatrici; quando non divennero suore, entrarono senz’altro nei Terz’Ordini religiosi.
Ma ci furono anche quelle che domestiche erano e tali rimasero fino al termine della vita; santificandosi fra i fornelli e le pulizie delle abitazioni, fra rimproveri o ammirazione dei padroni di casa, diventando apostole di Cristo fra i bisognosi.
Tale fu s. Zita (1218-1278) domestica di Lucca, patrona della città e nominata da papa Pio XII il 26 settembre 1953, patrona delle domestiche, festa il 27 aprile; e poi a cavallo fra l’Ottocento e Novecento la beata polacca Angela (Aniela) Salawa, oggetto di questa scheda.
Nacque il 9 settembre 1881 a Siepraw presso Cracovia in Polonia, undicesima dei dodici figli di Bartolomeo Salawa ed Ewa Bochenek, al battesimo le fu dato il nome di Angela (Aniela); il padre era fabbro e la madre tutta dedita alla casa ed ai numerosi figli, ai quali insegnava la pietà, la modestia e la laboriosità.
E con questi principi crebbe e si formò sotto la guida della madre, che la preparò anche alla Prima Comunione verso i dodici anni, secondo la consuetudine dell’epoca.
Già a 15 anni nel 1894 era a servizio presso una famiglia di Siepraw, pascolava le vacche, falciava l’erba, intratteneva i bambini, all’inizio della primavera del 1895 estirpava le radici e i ciuffi d’erba nel gelo del periodo.
Rientrò in famiglia dove sostò fino all’ottobre 1897, rifiutando nel frattempo le insistenze del padre che la spingeva verso il matrimonio; poi si trasferì a Cracovia per andare a lavorare come cooperatrice familiare, dai primi giorni fu ospitata dalla sorella Teresa, alla quale ribadì che non si sentiva chiamata al matrimonio.
A Cracovia, andò a servizio presso la famiglia Kloc, dove lavorò duramente senza mai lamentarsi; aveva 16 anni ed era attraente, il padrone di casa prese ad insidiarla, per cui Angela dopo poco tempo lasciò l’occupazione.
Dopo altri rapporti di lavoro in alcune famiglie dei paesi vicini, ritornò a Cracovia, dove assistette il 25 gennaio 1899, alla serena morte della sorella maggiore Teresa, anch’essa domestica; rimasta scossa dalla perdita, avvertì il richiamo di una voce interna che la chiamava a percorrere la via della perfezione, voce alla quale lei corrispose prontamente.
Cercò la forza prolungando il tempo della preghiera in chiesa e in casa e nella meditazione; con l’assistenza del suo direttore spirituale il gesuita padre Stanislao Mieloch, si consacrò a Dio, con il voto di castità perpetua, voto già pronunciato nella prima giovinezza.
Prese a dedicarsi ad un apostolato oscuro e fecondo, fra le domestiche di Cracovia, le riuniva, le istruiva, le consigliava, le dirigeva; nell’adempiere i doveri delle sue mansioni, dimenticava spesso sé stessa. Nonostante la salute precaria, era sempre allegra e socievole; si vestiva bene, non per il mondo ma per Dio.
Nel 1900 si iscrisse all’Associazione di S. Zita, che promuoveva l’assistenza alle domestiche, così poté esercitare in forma più organizzata, un fruttuoso apostolato fra le sue compagne di lavoro, diventando per loro una guida e un modello di vita cristiana.
Nel 1911 fu colpita da una dolorosa malattia, che la sconvolse per lungo tempo, poi morì la madre e la giovane signora alla quale prestava la sua opera con affetto e dedizione; inoltre si sentì abbandonata anche dalle compagne che non poteva più radunare in casa.
Questo periodo di angosciosa sofferenza, raccontato nel suo Diario, fu affrontato da Angela, unendosi maggiormente a Dio nella preghiera e nella meditazione e nel 1912 ebbe anche fenomeni mistici, con la visione dell’incontro con Gesù.
Aderì al Terz’Ordine di S. Francesco, prendendone l’abito il 15 maggio 1912, nella chiesa dei Francescani Conventuali e il 6 agosto 1913 emise la regolare professione.
Durante la Prima Guerra Mondiale, aiutò con i suoi pochi risparmi, i prigionieri di guerra, senza distinzione di nazionalità; volontariamente si impegnò con amore all’assistenza dei feriti e dei malati negli ospedali di Cracovia, dove rispettosamente era chiamata “la santa signorina”.
Per avere rimproverata l’amante del suo padrone, l’avvocato Fischer, fu licenziata nel 1916 da quella casa dove lavorava dal 1905. Seguirono alcuni anni di abbandono, senza lavoro e con la malattia più incalzante, mentre proseguivano i fenomeni mistici; nel 1918 ormai debilitata nelle forze, lasciò anche i lavori saltuari e si ritirò in un piccolo ambiente in una soffitta, preso in affitto; iniziò così l’ultimo periodo della sua vita, cinque anni di sofferenze in unione con Dio, che la gratificava con visioni, specie di Gesù con la corona di spine e sofferente.
Il confessore le portava ogni giorno la Comunione e le compagne inconsolabili, si alternavano nel suo tugurio per assisterla.
Annotò sul suo Diario: “Ripensando alla mia vita, credo di essere in quella vocazione, luogo e stato, in cui fin dall’infanzia Dio mi ha chiamato”; nella sua ardente carità, pregò di prendere su di sé le malattie degli altri, le sue sofferenze si moltiplicarono, mentre coloro per cui si era offerta guarirono.
Alla fine acconsentì di lasciare quell’ambiente ristretto e fu ricoverata all’ospedale di S. Zita in Cracovia, dove dopo aver ricevuto i Sacramenti, spirò il 12 marzo 1922 in estrema povertà e in fama di santità.
Nella concomitanza dell’apertura del processo diocesano per la sua beatificazione, le sue spoglie il 13 maggio 1949, furono traslate dal cimitero alla Basilica di S. Francesco di Cracovia.
Papa Giovanni Paolo II la proclamò Beata il 13 agosto 1991 a Cracovia, durante il suo viaggio apostolico in Polonia. La sua festa celebrativa è al 12 marzo.

Autore: Antonio Borrelli

VOCE DI SAN PIO :

-" Preferirei mille croci, anzi ogni croce mi sarebbe dolce e leggera, se non avessi questa prova, di sentirmi cioè sempre nell’incertezza di piacere al Signore nelle mie operazioni… È doloroso vivere cosí… Mi rassegno, ma la rassegnazione, il mio fiat mi sembra cosí freddo, vano!… Che mistero! Gesú deve pensarci lui solo." (AD, 93s.).

(Lc 11,29-32) A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.

VANGELO
 (Lc 11,29-32) A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona». 

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito di Dio,ad indicarmi i segni che contano per il mio Signore,a dirmi cosa è giusto che veda e che faccia per non sbagliare ai Suoi occhi,perché solo questo io voglio.

In primo luogo, mettendoci di fronte a Gesù con tutti i nostri difetti, ritrovandoci purtroppo, insieme a quelle persone che seguivano Gesù in cerca di segni e non per ascoltare la sua parola e metterla in pratica.
Facendo questo invece, potremmo vedere i segni dentro di noi e sarebbero dei segni di quanto Dio può operare in ogni uomo che segue la sua parola con fede. Giona ragiona con il suo cervello e mette in dubbio quello che Dio gli chiede di fare, non ha fede, ma poi, viste le conseguenze del suo rifiuto al Signore, si pente e ammette la sua colpa.
L'ammissione della colpa davanti agli uomini,  non ottiene lo stesso risultato che la richiesta di perdono davanti a Dio,perchè gli uomini lo buttano in mare per salvarsi, ma il Signore gli concede ancora la possibilità di redimersi e dopo tre giorni lo fa ritrovare sulla spiaggia.
Compie la sua missione e nonostante il suo pensiero negativo, il popolo di Ninive si converte, ma lui ancora non ha capito e vorrebbe che Dio punisse quel popolo…dimenticando che anche lui aveva disobbedito a Dio, e che anche lui allora era degno di essere punito.
Dio ama il suo popolo, i suoi figli, non cerca vendetta né cieca obbedienza, ma come un Padre misericordioso, invia suo Figlio tra noi per aiutarci a comprendere il senso del suo amore. Se non crediamo che il Cristo sia la più alta espressione dell’amore di Dio e non seguiamo la sua parola, non ha senso che cerchiamo dei segni di prodigio negli avvenimenti che ci circondano.,perché il prodigio che conta per il Signore è la conversione di tutti i suoi figli alla sua parola, perché attraverso i suoi insegnamenti riusciamo a passare per quella porta stretta che ci fa entrare nel regno dei cieli, già da questa terra.
Seguiamo la parola di Gesù, ascoltiamola con il cuore e cerchiamo di farla entrare in noi con avidità, perché diventi l’unica strada da percorrere, non giriamo la testa in cerca di segni, perché da soli non saremmo neanche in grado di riconoscere il vero dal falso, e solo grazie all’azione dello Spirito Santo, e per grazia di Dio, possiamo farlo.

lunedì 10 marzo 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Certe dolcezze interiori sono roba da bambini! Non sono segno di perfezione. Non dolcezze, dolore ci vuole. Le aridità, la svogliatezza, l’impotenza, questi sono i segni di un amore vero. Il dolore è piacevole. L’esilio è bello, perché si soffre e possiamo cosí dare a Dio qualche cosa. Il dono del nostro dolore, delle nostre sofferenze è una gran cosa, che non possiamo fare in paradiso." (GB, 35).

SANTI é BEATI :

San Sofronio di Gerusalemme Patriarca
Damasco, 550 circa – Gerusalemme, 639
Sofronio, siriano di Damasco, fu eletto patriarca di Gerusalemme nel 634. La Palestina al tempo si trovava a vivere sotto la pressione dell'imminente invasione da parte di Abu-Bekr, suocero di Maometto († 632) e del califfo Omar. Allo stesso Sofronio fu impossibile celebrare il Natale, come di consueto, nella chiesa della Natività di Betlemme a causa dell'assedio. Ma il patriarca dovette affrontare anche l'eresia del monotelismo che proponeva un modello cristologico incompleto e limitante. Assieme a Massimo il Confessore, Sofronio cercò di combattere con vari scritti l'eresia che usciva dalla stessa corte imperiale di Costantinopoli. Nel 638 però dovette consegnare la città al califfo Omar. Morì di lì a poco. Di lui ci sono pervenute alcune poesie e lettere. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Gerusalemme, san Sofronio, vescovo, che ebbe per maestro e amico Giovanni Mosco, con il quale visitò i luoghi del monachesimo; eletto dopo Modesto vescovo di questa sede, quando la Città Santa cadde nelle mani dei Saraceni, difese con forza la fede e l’incolumità del popolo.
Ascolta da RadioVaticana:
  

Sofronio “il sofista”, una delle personalità più interessanti dell’epoca, colto, di mentalità aperta ed appassionato difensore dell’ortodossia, nacque a Damasco verso il 550. Abandonò ancora giovincello la sua città natale, per intraprendere numerosi viaggi, ma sempre rimase orgoglioso del suo luogo d’origine, “dove Paolo arrivò cieco e da dove partì guarito, dove un persecutore in fuga divenne un predicatore; la città che diede rifugio all’apostolo e da cui fuggì in un cesto calato dalla finestra, meritandosi così le grazie dei santi ed acquistando una grande fama [...]”. Sofronio compì i suoi studi prevalentemente a Damasco, ove fu istruito nella cultura greca e siriaca. Desideroso di farsi monaco, fece visita alla laura di San Teodosio in Giudea e qui incontrò Giovanni Mosco, con il quale strinse un duraturo legame di amicizia.
Difficile è valutare l’influnza che ciascuno esercitò sull’altro: Sofronio era decisamente più colto, ma considerava l’amico sua guida spirituale e suo consigliere. Il principale loro legame era forse costituito dalla comune fede calcedonese, ma iniziarono anche una collaborazione nel tramandare alle generazioni future le vite dei Padri del deserto. I contrasti già presenti a quel tempo nel mondo mediorientale spinsero i due amici a spostarsi molto, ospitati da diversi monasteri. Tra il 578 ed il 584 furono in Egitto, ove Sofronio fu allievo dell’aristotelico Stefano di Alessandria ed entrambi divennero amici di Teodoro il filosofo e Zoilo, quest’ultimo erudito calligrafo. In questo periodo Sofronio iniziò a perdere la vista, ma fu miracolato visitando la tomba dei Santi Ciro e Giovanni presso Menuti ed in ringraziamento scrisse un resoconto di ben settanta miracoli attribuiti alla loro intercessione.
Dal 584 in poi diventa difficile ricotruire con esattezza i loro movimenti. Per un certo tempo pare presero strade diverse: Sofronio divenne monaco nel monastero di San Teodosio, mentre Giovanni Mosco vagò tra il Sinai, la Cilicia e la Siria. I due amici si ritrovaro infine al servizio del patriarca d’Alessandria, San Giovanni l’Elemosiniere, nominato nel 610. Pochi anni dopo i persiani occuparono i luoghi santi e si diressero verso l’Egitto, quindi il patriarca con Sofronio e Govanni Mosco partirono per Cipro, passarono poi ad altre isole ed infine giunsero a Roma. Nella Città Eterna Giovanni l’Elemosiniere morì nel 619, consegnando a Sofronio le sue ultime volontà.
Grande impegno profuse Sofronio per contrastere le eresie dilaganti, in particolare il monotelismo che l’imperatore Eraclio aveva imposto a tutto l’impero con il benestare del patriarca Sergio di Costantinopoli. Dal 634 Sofronio fu il nuovo patriarca di Gerusalemme, ruolo che gli permise di proseguire con maggiore autorevolezza la sua battaglia. Essendo sempre più evidenti le eresie in cui stava cadendo Sergio e nel timore che papa Onorio potesse cadere nella trappola, incaricò Stefano di Dora di recarsi a Roma in sua vece, essendo lui impossibilitato per un’imminente invasione saracena, e lo fece giurare sul Calvario di rimanere fedele alla fede calcedonese.
L’inviato riferì al concilio Lateranense del 649 la volontà di Sofronio: Là mi fece promettere con giuramento solenne: “Se tu dimentichi o disprezzi la fede che ora è minacciata, dovrai rendere conto a colui che, sebbene Dio, fu crocifisso in questo santo luogo, quando nella sua prossima venuta Egli giudicherà i vivi e i morti. Come tu sai, non posso compiere questo viaggio a causa dell’invasione dei saraceni [...]. Vai senza indugio fino all’altra estremità della terra, alla sede apostolica, il fondamento dell’insegnamento ortodosso e di’ ai santi uomini che sono là non una, non due, ma molte volte ciò che sta accadendo; di’ loro tutta la verità e nulla più. Non esitare, domanda loro e pregali insistentemente di utilizzare la loro ispirata sapienza per emettere un giudizio definitivo e annientare questo nuovo insegnamento che ci è stato inflitto”. Impressionato dal solenne appello che Sofronio aveva pronunciato in quel luogo santo e venerabile, e considerato il potere episcopale che per grazia di Dio mi era stato conferito, partii subito per Roma. Sono qui davanti a voi per la terza volta, chino davanti alla sede apostolica implorando, come Sofronio e molti altri fecero, “venite in aiuto della fede cattolica minacciata”.
Ci vollere ben dieci anni prima che il papa San Martino I condannasse l’eresia al medesimo concilio. Sofronio scese a patti con i saraceni per evitare stragi di popolo a Gerusalemme, ma morì pochi mesi dopo nel 639. Lasciò ai posteri diverse omelie, una splendida orazione per benedire l’acqua nella festa del Battesimo del Signore, nonché inni e cantici di straordinaria bellezza. I suoi tropari per la settimana santa costituirono la fonte degli “Improperia” tuttora recitati nella liturgia del Venerdì Santo.

Autore:
Fabio Arduino