domenica 29 dicembre 2013

La Santa Famiglia



Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
esempio santissimo per le famiglie cristiane che ne invocano il necessario aiuto.

La festa della Sacra Famiglia nella liturgia cattolica, nel secolo XVII veniva celebrata localmente; papa Leone XIII nel 1895, la fissò alla terza domenica dopo l’Epifania “omnibus potentibus”, ma fu papa Benedetto XV che nel 1921 la estese a tutta la Chiesa, fissandola alla domenica compresa nell’ottava dell’Epifania; papa Giovanni XXIII la spostò alla prima domenica dopo l’Epifania; attualmente è celebrata nella domenica dopo il Natale o, in alternativa, il 30 dicembre negli anni in cui il Natale cade di domenica.
La celebrazione fu istituita per dare un esempio e un impulso all’istituzione della famiglia, cardine del vivere sociale e cristiano, prendendo a riferimento i tre personaggi che la componevano, figure eccezionali sì ma con tutte le caratteristiche di ogni essere umano e con le problematiche di ogni famiglia.
Innanzitutto le tre persone che la componevano: Maria la prescelta fra tutte le creature a diventare la corredentrice dell’umanità, che presuppose comunque il suo assenso con l’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele.
Seguì il suo sposalizio con il giusto Giuseppe, secondo i disegni di Dio e secondo la legge ebraica; e conservando la sua verginità, avvertì i segni della gravidanza con la Visitazione a s. Elisabetta, fino a divenire con la maternità, la madre del Figlio di Dio e madre di tutti gli uomini.
E a lei toccò allevare il Divino Bambino con tutte le premure di una madre normale, ma con nel cuore la grande responsabilità per il compito affidatale da Dio e la pena per quanto le aveva profetizzato il vecchio Simeone durante la presentazione al Tempio: una spada ti trafiggerà il cuore.
Infine prima della vita pubblica di Gesù, la troviamo citata nei Vangeli, che richiama Gesù ormai dodicenne, che si era fermato nel Tempio con i dottori, mentre lei e Giuseppe lo cercavano angosciati da tre giorni.


Giuseppe è l’altro componente della famiglia di Gesù, di lui non si sa molto; i Vangeli raccontano il fidanzamento con Maria, l’avviso dell’angelo per la futura maternità voluta da Dio, con l’invito a non ripudiarla, il matrimonio con lei, il suo trasferirsi con Maria a Betlemme per il censimento, gli episodi connessi alla nascita di Gesù, in cui Giuseppe fu sempre presente. 

Fu sempre lui ad essere avvisato in sogno da un angelo, dopo l’adorazione dei Magi, di mettere in salvo il Bambino dalla persecuzione scatenata da Erode il Grande e Giuseppe proteggendo la sua famiglia, li condusse in Egitto al sicuro. 

Dopo la morte dello scellerato re, ritornò in Galilea stabilendosi a Nazareth; ancora adempì alla legge ebraica portando Gesù al Tempio per la circoncisione, offrendo per la presentazione alcune tortore e colombe. 


La tradizione lo dice falegname, ma il Vangelo lo designa come artigiano; viene ancora menzionato nei testi sacri, che conduce Gesù e Maria a Gerusalemme, e qui con grande apprensione smarrisce Gesù, che aveva dodici anni, ritrovandolo dopo tre giorni che discuteva con i dottori nel Tempio; ritornati a Nazareth, come dice il Vangelo, il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui.
Di lui non si sa altro, nemmeno della sua morte, avvenuta probabilmente prima della vita pubblica di Gesù, cioè prima dei 30 anni. http://airemsea.it/i-santi/

La terza persona della famiglia è Gesù; con la sua presenza essa diventa la Sacra Famiglia; anche della sua infanzia non si sa praticamente niente; Egli, il Figlio di Dio, vive nel nascondimento della sua famiglia terrena, ubbidiente a sua madre ed a suo padre, collaborando da grandicello nella bottega di Giuseppe, meraviglioso esempio di umiltà.
Certamente assisté il padre putativo nella sua vecchiaia e morte, come tutti i buoni figli fanno, ubbidientissimo alla madre, ormai vedova, fino ad operare per sua richiesta, il suo primo miracolo pubblico alle nozze di Cana.


Non sappiamo quanti anni trascorsero con la Sacra Famiglia ridotta senza Giuseppe, il quale, se non fu presente negli anni della vita pubblica di Cristo, né alla sua Passione e morte e negli eventi successivi, la sua figura nella Cristianità, si diffuse in un culto sempre più crescente, in Oriente fin dal V secolo, mentre in Occidente lo fu dal Medioevo, sviluppandosi specie nell’Ottocento; è invocato per avere una buona morte, il nome Giuseppe è tra i più usati nella Cristianità.
Pio IX nel 1870 lo proclamò patrono di tutta la Chiesa; nel 1955 Pio XII istituì al 1° maggio la festa di s. Giuseppe artigiano; dal 1962 il suo nome è inserito nel canone della Messa.


La Sacra Famiglia è stato sempre un soggetto molto ispirato nella fantasia degli artisti, i maggiori pittori di tutti i secoli hanno voluto raffigurarla nelle sue varie espressioni della Natività, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, nella bottega da artigiano (falegname), ecc.
Il tema iconografico ha largamente ispirato gli artisti del Rinascimento, esso è composto in genere da Maria, Giuseppe e il Bambino oppure da Sant’Anna, la Vergine e il Bambino. Le più note rappresentazioni sono quella di Masaccio con s. Anna e quella di Michelangelo con s. Giuseppe, più conosciuta come Tondo Doni. È da ricordare in campo scultoreo e architettonico la “Sagrada Familia” di Antonio Gaudì a Barcellona.

Numerose Congregazioni religiose sia maschili che femminili, sono intitolate alla Sacra Famiglia, in buona parte fondate nei secoli XIX e XX; come le “Suore della Sacra Famiglia”, fondate a Bordeaux nel 1820 dall’abate P.B.Noailles, dette anche ‘Suore di Loreto’; le “Suore della Sacra Famiglia di Nazareth” fondate nel 1875 a Roma, dalla polacca Siedliska; le “Piccole Suore della Sacra Famiglia” fondate nel 1892, dal beato Nascimbeni a Castelletto di Brenzone (Verona); i “Preti e fratelli della Sacra Famiglia” fondati nel 1856 a Martinengo, dalla beata Paola Elisabetta Cerioli; i “Figli della Sacra Famiglia” fondati nel 1864 in Spagna da José Mananet e tante altre.  (Autore: Antonio Borrelli )


LA DEVOZIONE ALLA SACRA FAMIGLIA
La devozione alla Sacra Famiglia è una volontà ferma, risoluta ed efficace di fare tutto ciò che piace a Gesù, Maria e Giuseppe e di fuggire ciò che possa loro dispiacere.
Essa ci porta a conoscere, amare ed onorare nel miglior modo possibile la Famiglia di Nazareth per meritarcene i favori, le grazie, le benedizioni, il patrocinio, ed è perciò la devozione per noi più effi­cace, più dolce e più tenera. 
La devozione più efficace
Chi mai in cielo e in terra è più potente della Sacra Famiglia?
 Gesù Cristo-Dio è onnipotente come il Padre.
Egli è la sorgente di ogni favore, il padrone di ogni grazia, il datore di ogni dono per­fetto;
 come Uomo-Dio è l'avvocato per eccellenza,
che in ogni momento intercede per noi presso Dio Padre.
Maria e Giuseppe per l'altezza della loro san­tità, per l'eccellenza della loro dignità, per i meriti che acquistarono nel perfetto compimento della loro missione divina, per i vincoli che li stringono alla SS. Trinità, godono presso il trono dell'Altissimo una potenza di intercessione infinita; e Gesù, riconoscendo in Maria sua Madre e in Giuseppe il suo custode, a tali intercessori, nulla mai nega.
Gesù, Maria e Giuseppe, padroni delle divine grazie possono aiutarci in qualsiasi bisogno, e chi li prega ottiene tanto e tocca con mano che la devozione alla Sacra Famiglia è fra le più efficaci, efficacissima.
La devozione più dolce
Gesù Cristo è nostro fratello, nostro capo, nostro Salvatore e nostro Dio;
Egli ci amò tanto che morì sulla croce, ci diede se stesso nell'Eucarestia,
 ci lasciò sua Madre come Madre nostra, ci destinò come protettore il suo stesso custode;
 e ci ama tanto che è sempre pronto a darci ogni grazia, ad ottenerci ogni favore
dal suo divin Padre, perciò ha detto:
«Tutto quello che chiedere­te al Padre nel mio nome, tutto vi sarà dato».
Maria ci è due volte Madre: tale divenne quan­do diede al mondo Gesù, nostro fratello primogeni­to e quando ci generò fra i dolori sul Calvario. Ella ha un Cuore tutto simile al Cuore di Gesù e ci ama immensamente.
Grande è anche l'amore che ci porta San Giuseppe come a fratelli di Gesù e a figli di Maria, come a devoti consacrati. E non è forse la cosa più dolce intrattenersi con delle persone che ci amano e che ci vogliono fare molto bene? Ma chi può mai amarci e farci più bene di Gesù, Maria e Giuseppe, i quali ci amano infinitamente e sogliono fare tutto per noi?
La devozione più tenera
I Cuori amatissimi di Gesù, Maria e Giuseppe tanto più si sentono intenerire verso di noi, quanto più grandi sotto le nostre miserie spirituali e tempo­rali; allo stesso modo che una madre più si intene­risce, quanto più grave è il pericolo in cui versa un suo figlio.
La sacra Famiglia non solo può e vuole aiutar­ci, ma è trascinata a soccorrerci dalla sua tenerezza e dai molti bisogni che ci circondano, perché essa in ogni momento scorge in noi dei membri e dei figli suoi carissimi, e vede in quali strettezze e in quali pericoli viviamo.
 Questo affaccendarsi di Gesù, Maria e Giuseppe per aiutarci nelle nostre molteplici miserie, non è forse la cosa più tenera, la più consolante?
Sì, nella devozione alla Sacra Famiglia, si trova davvero il balsamo del conforto e della consolazione per i nostri cuori!
 
ATTO DI CONSACRAZIONE A GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
(Imprimatur + Angelo Comastri, Arcivescovo di Loreto, 15 agosto 1997)
Gesù, Maria e Giuseppe, amori miei dolcissimi, io, piccolo figlio vostro, mi consacro totalmente e per sempre a voi: a te, o Gesù, come mio adorato e unico Signore, a te, o Maria, come Madre mia Immacolata e piena di grazia, a te, o Giuseppe, come padre e custode della mia anima. Vi dono la mia volontà, la mia libertà e tutto me stesso. Voi vi siete donati tutti a me, io mi dono tutto a voi. Io non voglio più essere mio, voglio essere vostro e solo vostro.
Voglio che la mia vita sia tutta vostra, con il mio corpo e la mia anima. A voi consacro tutti i miei pensieri, i miei desi­deri, i miei affetti e vi offro il valore delle mie buone opere presenti e future.
Accettate la consacrazione che vi faccio: fate voi in me, disponete di me e di tutte le mie cose, come vi piace. Gesù, Maria e Giuseppe, datemi i vostri cuori, prendete il mio. Unitemi con voi alla Santissima Trinità. Aiutatemi ad amare sempre più la Chiesa e il Papa. lo vi amo, vi amo. Così sia. 
Preghiamo per le nostre Famiglie e rendiamo grazie a Dio,
 alla Vergine Maria e a San Giuseppe,
 che con tanta fede e disponibilità hanno cooperato
al disegno di salvezza del Signore.







sabato 28 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

- "Una volta suonata la nostra ultima ora, cessati i battiti del nostro cuore, tutto sarà finito per noi, ed  il tempo di meritare e quello pure di demeritare. Tali e quali la morte ci troverà, ci presenteremo a Cristo giudice. I nostri gridi di supplica, le nostre lacrime, i nostri sospiri di pentimento, che ancora sulla terra ci avrebbero guadagnato il cuore di Dio, avrebbero potuto di noi fare, con l’aiuto dei sacramenti, da peccatori dei santi, oggi piú a nulla valgono; il tempo della misericordia è trascorso, ora incomincia il tempo della giustizia." (Epist. IV, p. 876).  

SANTI é BEATI :

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Nazareth, Palestina, I secolo
Il Natale ci ha già mostrato la Sacra Famiglia raccolta nella grotta di Betlemme, ma oggi siamo invitati a contemplarla nella casetta di Nazareth, dove Maria e Giuseppe sono intenti a far crescere, giorno dopo giorno, il fanciullo Gesù. Possiamo immaginarla facilmente (gli artisti l’hanno fatto spesso) in mille situazioni e atteggiamenti, mettendo in primo piano o la Vergine santa accanto al suo Bambino, o il buon san Giuseppe nella bottega di falegname dove il fanciullo impara anche il lavoro umano, giocando. Ma possiamo anche intuire l’avvenimento immenso che a Nazareth si compie: poter amare Dio e amare il prossimo con un unico indivisibile gesto! Per Maria e Giuseppe, infatti, il Bambino è assieme il loro Dio e il loro prossimo più caro. Fu dunque a Nazareth che gli atti più sacri (pregare, dialogare con Dio, ascoltare la sua Parola, entrare in comunione con Lui) coincisero con le normali espressioni colloquiali che ogni mamma e ogni papà rivolgono al loro bambino. Fu a Nazareth che gli «atti di culto dovuti a Dio» (quelli stessi che intanto venivano celebrati nel grandioso tempio di Gerusalemme) coincisero con le normali cure con cui Maria vestiva il Bambino Gesù, lo lavava, lo nutriva, assecondava i suoi giochi. Fu allora che cominciò la storia di tutte le famiglie cristiane, per le quali tutto (gli affetti, gli avvenimenti, la materia del vivere) può essere vissuto come sacramento: segno reale e anticipazione di un amore Infinito
Martirologio Romano: Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, esempio santissimo per le famiglie cristiane che ne invocano il necessario aiuto.
Ascolta da RadioRai:
  

La festa della Sacra Famiglia nella liturgia cattolica, nel secolo XVII veniva celebrata localmente; papa Leone XIII nel 1895, la fissò alla terza domenica dopo l’Epifania “omnibus potentibus”, ma fu papa Benedetto XV che nel 1921 la estese a tutta la Chiesa, fissandola alla domenica compresa nell’ottava dell’Epifania; papa Giovanni XXIII la spostò alla prima domenica dopo l’Epifania; attualmente è celebrata nella domenica dopo il Natale o, in alternativa, il 30 dicembre negli anni in cui il Natale cade di domenica.
La celebrazione fu istituita per dare un esempio e un impulso all’istituzione della famiglia, cardine del vivere sociale e cristiano, prendendo a riferimento i tre personaggi che la componevano, figure eccezionali sì ma con tutte le caratteristiche di ogni essere umano e con le problematiche di ogni famiglia.
Innanzitutto le tre persone che la componevano: Maria la prescelta fra tutte le creature a diventare la corredentrice dell’umanità, che presuppose comunque il suo assenso con l’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele.
Seguì il suo sposalizio con il giusto Giuseppe, secondo i disegni di Dio e secondo la legge ebraica; e conservando la sua verginità, avvertì i segni della gravidanza con la Visitazione a s. Elisabetta, fino a divenire con la maternità, la madre del Figlio di Dio e madre di tutti gli uomini.
E a lei toccò allevare il Divino Bambino con tutte le premure di una madre normale, ma con nel cuore la grande responsabilità per il compito affidatale da Dio e la pena per quanto le aveva profetizzato il vecchio Simeone durante la presentazione al Tempio: una spada ti trafiggerà il cuore.
Infine prima della vita pubblica di Gesù, la troviamo citata nei Vamgeli, che richiama Gesù ormai dodicenne, che si era fermato nel Tempio con i dottori, mentre lei e Giuseppe lo cercavano angosciati da tre giorni.
Giuseppe è l’altro componente della famiglia di Gesù, di lui non si sa molto; i Vangeli raccontano il fidanzamento con Maria, l’avviso dell’angelo per la futura maternità voluta da Dio, con l’invito a non ripudiarla, il matrimonio con lei, il suo trasferirsi con Maria a Betlemme per il censimento, gli episodi connessi alla nascita di Gesù, in cui Giuseppe fu sempre presente.
Fu sempre lui ad essere avvisato in sogno da un angelo, dopo l’adorazione dei Magi, di mettere in salvo il Bambino dalla persecuzione scatenata da Erode il Grande e Giuseppe proteggendo la sua famiglia, li condusse in Egitto al sicuro.
Dopo la morte dello scellerato re, ritornò in Galilea stabilendosi a Nazareth; ancora adempì alla legge ebraica portando Gesù al Tempio per la circoncisione, offrendo per la presentazione alcune tortore e colombe.
La tradizione lo dice falegname, ma il Vangelo lo designa come artigiano; viene ancora menzionato nei testi sacri, che conduce Gesù e Maria a Gerusalemme, e qui con grande apprensione smarrisce Gesù, che aveva dodici anni, ritrovandolo dopo tre giorni che discuteva con i dottori nel Tempio; ritornati a Nazareth, come dice il Vangelo, il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di lui.
Di lui non si sa altro, nemmeno della sua morte, avvenuta probabilmente prima della vita pubblica di Gesù, cioè prima dei 30 anni.
La terza persona della famiglia è Gesù; con la sua presenza essa diventa la Sacra Famiglia; anche della sua infanzia non si sa praticamente niente; Egli, il Figlio di Dio, vive nel nascondimento della sua famiglia terrena, ubbidiente a sua madre ed a suo padre, collaborando da grandicello nella bottega di Giuseppe, meraviglioso esempio di umiltà.
Certamente assisté il padre putativo nella sua vecchiaia e morte, come tutti i buoni figli fanno, ubbidientissimo alla madre, ormai vedova, fino ad operare per sua richiesta, il suo primo miracolo pubblico alle nozze di Cana.
Non sappiamo quanti anni trascorsero con la Sacra Famiglia ridotta senza Giuseppe, il quale, se non fu presente negli anni della vita pubblica di Cristo, né alla sua Passione e morte e negli eventi successivi, la sua figura nella Cristianità, si diffuse in un culto sempre più crescente, in Oriente fin dal V secolo, mentre in Occidente lo fu dal Medioevo, sviluppandosi specie nell’Ottocento; è invocato per avere una buona morte, il nome Giuseppe è tra i più usati nella Cristianità.
Pio IX nel 1870 lo proclamò patrono di tutta la Chiesa; nel 1955 Pio XII istituì al 1° maggio la festa di s. Giuseppe artigiano; dal 1962 il suo nome è inserito nel canone della Messa.
La Sacra Famiglia è stato sempre un soggetto molto ispirato nella fantasia degli artisti, i maggiori pittori di tutti i secoli hanno voluto raffigurarla nelle sue varie espressioni della Natività, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, nella bottega da artigiano (falegname), ecc.
Il tema iconografico ha largamente ispirato gli artisti del Rinascimento, esso è composto in genere da Maria, Giuseppe e il Bambino oppure da Sant’Anna, la Vergine e il Bambino. Le più note rappresentazioni sono quella di Masaccio con s. Anna e quella di Michelangelo con s. Giuseppe, più conosciuta come Tondo Doni. È da ricordare in campo scultoreo e architettonico la “Sagrada Familia” di Antonio Gaudì a Barcellona.
Numerose Congregazioni religiose sia maschili che femminili, sono intitolate alla Sacra Famiglia, in buona parte fondate nei secoli XIX e XX; come le “Suore della Sacra Famiglia”, fondate a Bordeaux nel 1820 dall’abate P.B.Noailles, dette anche ‘Suore di Loreto’; le “Suore della Sacra Famiglia di Nazareth” fondate nel 1875 a Roma, dalla polacca Siedliska; le “Piccole Suore della Sacra Famiglia” fondate nel 1892, dal beato Nascimbeni a Castelletto di Brenzone (Verona); i “Preti e fratelli della Sacra Famiglia” fondati nel 1856 a Martinengo, dalla beata Paola Elisabetta Cerioli; i “Figli della Sacra Famiglia” fondati nel 1864 in Spagna da José Mananet e tante altre.

Autore:
Antonio Borrelli

"Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto"(Mat 2,13-15.19-23.)

VANGELO DI DOMENICA 29 DICEMBRE
"Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto"(Mat 2,13-15.19-23.)

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 2,13-15.19-23.

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto,
dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto
e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino».
Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele.
Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea
e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

PAROLA DEL SIGNORE.
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Papa Francesco
Enciclica « Lumen Fidei/ La luce della fede » , § 52-53( © Libreria Editrice Vaticana)

La fede e il cammino della famiglia

La fede e la famiglia: Nel cammino di Abramo verso la città futura, la Lettera agli Ebrei accenna alla benedizione che si trasmette dai genitori ai figli (cfr Eb 11, 20-21). Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cfr Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata. La fede poi aiuta a cogliere in tutta la sua profondità e ricchezza la generazione dei figli, perché fa riconoscere in essa l’amore creatore che ci dona e ci affida il mistero di una nuova persona. È così che Sara, per la sua fede, è diventata madre, contando sulla fedeltà di Dio alla sua promessa (cfr Eb11,11).

In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall’infanzia: i bambini imparano a fidarsi dell’amore dei loro genitori. Per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giovani, che attraversano un’età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vicinanza e l’attenzione della famiglia e della comunità ecclesiale nel loro cammino di crescita nella fede.

venerdì 27 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" I mondani, ingolfati nei loro affari, vivono nell’oscurità e nell’errore, né si danno pensiero di conoscere le cose di Dio, né alcun pensiero della loro salvezza eterna, né alcuna premura di conoscere la venuta di quel Messia atteso e sospirato dalle genti, profetizzato e predetto dai profeti." (Epist. IV, p. 885).

SANTI é BEATI :

Santi Innocenti Martiri
sec. I
Gli innocenti che rendono testimonianza a Cristo non con le Parole, ma con il sangue, ci ricordano che il martirio è dono gratuito del Signore. Le vittime immolate dalla ferocia di Erode appartengono, insieme a santo Stefano e all'evangelista Giovanni, al corteo del re messiniaco e ricordano l'eminente dignità dei bambini nella Chiesa. (Mess. Rom.)
Patronato: Bambini
Emblema: Palma

Martirologio Romano: Festa dei santi Innocenti martiri, i bambini che a Betlemme di Giuda furono uccisi dall’empio re Erode, perché insieme ad essi morisse il bambino Gesù che i Magi avevano adorato, onorati come martiri fin dai primi secoli e primizia di tutti coloro che avrebbero versato il loro sangue per Dio e per l’Agnello.
Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  

La Chiesa onora come martiri questo coro di fanciulli ("infantes" o "innocentes"), vittime ignare del sospettoso e sanguinario re Erode, strappati dalle braccia materne in tenerissima età per scrivere col loro sangue la prima pagina dell'albo d'oro dei martiri cristiani e meritare la gloria eterna secondo la promessa di Gesù: " Colui che avrà perduto la sua vita per causa mia la ritroverà". Per essi la liturgia ripete oggi le parole del poeta Prudenzio: "Salute, o fiori dei martiri, che sulle soglie del mattino siete stati diverti dal persecutore di Gesù, come un turbine furioso tronca le rose appena sbocciate. Voi foste le prime vittime, il tenero gregge immolato, e sullo stesso altare avete ricevuto la palma e la corona".
L'episodio è narrato soltanto dall'evangelista Matteo, che si indirizzava principalmente a lettori ebrei e pertanto intendeva dimostrare la messianicità di Gesù, nel quale si erano avverate le antiche profezie: "Allora Erode, vedendosi deluso dai magi, s'irritò grandemente e mandò ad uccidere tutti i bambini che erano in Betlem e in tutti i suoi dintorni, dai due anni in giù, secondo il tempo che aveva rilevato dai magi. Allora si adempì ciò che era stato annunciato dal profeta Geremia, quando disse: Un grido in Rama si udì, pianto e grave lamento: Rachele piange i suoi figli, né ha voluto essere consolata, perché non sono più".
L'origine di questa festa è molto antica. Compare già nel calendario cartaginese del IV secolo e cent'anni più tardi a Roma nel Sacramentario Leoniano. Oggi, con la nuova riforma liturgica, la celebrazione ha un carattere gioioso e non più di lutto com'era agli inizi, e ciò in sintonia con le simpatiche consuetudini medioevali che celebravano in questa ricorrenza la festa dei "pueri" di coro e di servizio all'altare. Tra le curiose manifestazioni ricordiamo quella di far scendere i canonici dai loro stalli al canto del versetto "Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles".
Da questo momento i fanciulli, rivestiti delle insegne dei canonici, dirigevano tutto l'uffìcio del giorno. La nuova liturgia, pur non volendo accentuare il carattere folcloristico che questo giorno ha avuto nel corso della storia, ha voluto mantenere questa celebrazione, elevata al grado di festa da S. Pio V, vicinissima alla festività natalizia, collocando le innocenti vittime tra i "comites Christi", per circondare la culla di Gesù Bambino dello stuolo grazioso di piccoli fanciulli, rivestiti delle candide vesti dell'innocenza, piccola avanguardia dell'esercito di martiri che testimonieranno col sangue la loro appartenenza a Cristo.

Autore:
Piero Bargellini

(Mt 2,13-18) Erode mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme.



VANGELO


(Mt 2,13-18) Erode mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme.


+ Dal Vangelo secondo Matteo


I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa:«Un grido è stato udito in Rama,un pianto e un lamento grande:Rachele piange i suoi figlie non vuole essere consolata,perché non sono più».


Parola del Signore





LA MIA RIFLESSIONE


PREGHIERA


Signore mio ti prego, inondami del tuo Spirito di sapienza, fa che io possa trarre da questa lettura tutto quello che vuoi concedermi di sapere. Io non merito nulla per me, sono la più stupida dei tuoi fratelli, ma sto cercando di fare quello che tu vuoi, sto cercando di testimoniare la tua parola, aiutami o mio tutto a non essere me ma a lasciare che tu prenda il mio posto. Annullami, ti amo tanto!






Sappiamo che Erode aveva cercato di corrompere i re Magi, che avrebbero dovuto tornare da lui e dirgli dove si trovava il Bambino Gesù, ma alla vista del piccolo questi avevano capito ed erano ripartiti per un' altra strada. Ma il persecutore non si arrende e, ancora più adirato, senza alcuna pietà decide di far uccidere tutti i neonati al di sotto dei due anni. Il Signore mandò un angelo ad avvisare Giuseppe di prendere la moglie ed il bambino e di fuggire in Egitto fino alla morte di Erode, che compie con quel gesto una strage immane di bambini innocenti. Le madri piangono i loro figli, la profezia si avvera. Le lotte, le divisioni, il potere, tutte cose che fanno vittime, e le prime vittime di tutto questo sono i bambini; quelli che muoiono di fame, quelli che vengono rapiti per farne dei soldati, quelli che vengono utilizzati nelle miniere, quelli che vengono abbandonati nell’ indigenza , quelli che vendono usati dagli adulti per la pornografia, per la prostituzione, uccisi per rubargli gli organi, violentati, quelli che vengono mutilati nelle guerre, quelli che vengono abortiti…..


Quanti Erodi oggi uccidono in nome del potere, del progresso, della loro libidine; quanti uomini e donne rifiutano di riconoscere Gesù come loro Signore e distruggono tutto quello che intorno gli parla di Lui, quanti vogliono avere potere di vita e di morte, decidere se far nascere o no un bambino, quanti si ingozzano ed hanno il superfluo, mentre tanti bambini muoiono di fame. E noi cosa facciamo di concreto per non essere come Erode?


Ci scandalizziamo facilmente guardando la crudeltà degli altri, ma nel nostro piccolo, in tutti noi c'è un Erode che cerca di soffocare Gesù e di non fargli gridare il suo amore per tutti! Saremo giudicati in base a quanto avremo amato, aiutato e perdonato, ma noi a volte siamo talmente presi da noi stessi che neanche li vediamo gli altri. La gente muore nel mondo, ma questo sembra non toccarci ; ogni 3,6 secondi una persona muore di fame. Ventiquattromila al giorno. La maggior parte bambini, disidratati o malnutriti. Un olocausto permanente. Intorno a me sento sempre lamentarci della crisi economica, ma ai nostri bambini non manca l'ultimo giocattolo, l' ultimo telefonino moderno.... I ristoranti sono sempre pieni!

giovedì 26 dicembre 2013

VOICE DI SAN PIO :

-" Gesú chiama i poveri e semplici pastori per mezzo degli angeli per manifestarsi ad essi. Chiama i sapienti per mezzo della stessa loro scienza. E tutti, mossi dall’interiore influsso della sua grazia, corrono a lui per adorarlo. Chiama tutti noi con le divine ispirazioni e si comunica a noi con la sua grazia. Quante volte egli ha amorosamente invitato anche noi? E noi con quale prontezza gli abbiamo corrisposto? Mio Dio, mi arrossisco e mi sento ripieno di confusione nel dover rispondere a sí fatta interrogazione." (Epist. IV, p. 883s.)

SANTI é BEATI :

San Giovanni Apostolo ed evangelista
Betsaida Iulia, I secolo - Efeso, 104 ca.
L'autore del quarto Vangelo e dell'Apocalisse, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo maggiore, venne considerato dal Sinedrio un «incolto». In realtà i suoi scritti sono una vetta della teologia cristiana. La sua propensione più alla contemplazione che all'azione non deve farlo credere, però, una figura "eterea". Si pensi al soprannome con cui Gesù - di cui fu discepolo tra i Dodici - chiamò lui e il fratello: «figli del tuono». Lui si definisce semplicemente «il discepolo che Gesù amava». Assistette alla Passione con Maria. E con lei, dice la tradizione, visse a Efeso. Qui morì tra fine del I e inizio del II secolo, dopo l'esilio a Patmos. Per Paolo era una «colonna» della Chiesa, con Pietro e Giacomo. (Avvenire)
Patronato: Scrittori, Editori, Teologi
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Emblema: Aquila, Calderone d'olio bollente, Coppa

Martirologio Romano: Festa di san Giovanni, Apostolo ed Evangelista, che, figlio di Zebedeo, fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione e della passione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre. Nel Vangelo e in altri scritti si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi.
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Il più giovane e il più longevo degli Apostoli; il discepolo più presente nei grandi avvenimenti della vita di Gesù; autore del quarto Vangelo, opera essenzialmente dottrinale e dell’Apocalisse, unico libro profetico del Nuovo Testamento.
Giovanni era originario della Galilea, di una zona sulle rive del lago di Tiberiade (forse Betsaida Iulia), figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo il Maggiore; la madre era nel gruppo di donne che seguivano ed assistevano Gesù salendo fino al Calvario, forse era cugina della Madonna; il padre aveva una piccola impresa di pesca sul lago anche con dipendenti.
Pur essendo benestante e con conoscenze nelle alte sfere sacerdotali, non era mai stato alla scuola dei rabbini e quindi era considerato come ‘illetterato e popolano’, tale che qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che lui abbia solo dettato le sue opere, scritte da un suo discepolo.
Giovanni è da considerarsi in ordine temporale come il primo degli apostoli conosciuto da Gesù, come è l’ultimo degli Apostoli viventi, con cui si conclude la missione apostolica tesa ad illuminare la Rivelazione.
Infatti egli era già discepolo di s. Giovanni Battista, quando questi additò a lui ed Andrea Gesù che passava, dicendo “Ecco l’Agnello di Dio” e i due discepoli udito ciò presero a seguire Gesù, il quale accortosi di loro domandò: “Che cercate?” e loro risposero: “Rabbi dove abiti?” e Gesù li invitò a seguirlo fino al suo alloggio, dove si fermarono per quel giorno; “erano le quattro del pomeriggio”, specifica lui stesso, a conferma della forte impressione riportata da quell’incontro.
In seguito si unì agli altri apostoli, quando Gesù passando sulla riva del lago, secondo il Vangelo di Matteo, chiamò lui e il fratello Giacomo intenti a rammendare le reti, a seguirlo ed essi “subito, lasciata la barca e il padre loro, lo seguirono”.
Da allora ebbe uno speciale posto nel collegio apostolico, era il più giovane ma nell’elenco è sempre nominato fra i primi quattro, fu prediletto da Pietro, forse suo compaesano, ma soprattutto da Gesù al punto che Giovanni nel Vangelo chiama se stesso “il discepolo che Gesù amava”.
Fra i discepoli di Gesù fu infatti tra gli intimi con Pietro e il fratello Giacomo, che accompagnarono il Maestro nelle occasioni più importanti, come quando risuscitò la figlia di Giairo, nella Trasfigurazione sul Monte Tabor, nell’agonia del Getsemani.
Con Pietro si recò a preparare la cena pasquale e in questa ultima cena a Gerusalemme ebbe un posto d’onore alla destra di Gesù, e dietro richiesta di Pietro, Giovanni appoggiando con gesto di consolazione e affetto la testa sul petto di Gesù, gli chiese il nome del traditore fra loro.
Tale scena di alta drammaticità, è stata nei secoli raffigurata nell’"Ultima Cena" di tanti celebri artisti. Dopo essere scappato con tutti gli altri, quando Gesù fu catturato, lo seguì con Pietro durante il processo e unico tra gli Apostoli si trovò ai piedi della croce accanto a Maria, della quale si prese cura, avendola Gesù affidatagliela dalla croce.
Fu insieme a Pietro, il primo a ricevere l’annunzio del sepolcro vuoto da parte della Maddalena e con Pietro corse al sepolcro giungendovi per primo perché più giovane, ma per rispetto a Pietro non entrò, fermandosi all’ingresso; entrato dopo di lui poté vedere per terra i panni in cui era avvolto Gesù, la vista di ciò gli illuminò la mente e credette nella Resurrezione forse anche prima di Pietro, che se ne tornava meravigliato dell’accaduto.
Giovanni fu presente alle successive apparizioni di Gesù agli apostoli riuniti e il primo a riconoscerlo quando avvenne la pesca miracolosa sul lago di Tiberiade; assistette al conferimento del primato a Pietro; insieme ad altri apostoli ricevette da Gesù la solenne missione apostolica e la promessa dello Spirito Santo, che ricevette nella Pentecoste insieme agli altri e Maria.
Seguì quasi sempre Pietro nel suo apostolato, era con lui quando operò il primo clamoroso miracolo della guarigione dello storpio alla porta del tempio chiamata “Bella”; insieme a Pietro fu più volte arrestato dal Sinedrio a causa della loro predicazione, fu flagellato insieme al gruppo degli arrestati.
Con Pietro, narrano gli Atti degli Apostoli, fu inviato in Samaria a consolidare la fede già diffusa da Filippo.
San Paolo verso l’anno 53, lo qualificò insieme a Pietro e Giacomo il Maggiore come ‘colonne’ della nascente Chiesa.
Il fratello Giacomo fu decapitato verso il 42 da Erode Agrippa I, protomartire fra gli Apostoli; Giovanni, secondo antiche tradizioni, lasciata definitivamente Gerusalemme (nel 57 già non c’era più) prese a diffondere il cristianesimo nell’Asia Minore, reggendo la Chiesa di Efeso e altre comunità della regione.
Anche Giovanni adempì la profezia di Gesù di imitarlo nella passione; anche se non subì il martirio come il fratello e gli altri apostoli, dovette patire la persecuzione di Domiziano (51-96) la seconda contro i cristiani, che negli ultimi anni del suo impero, 95 ca., conosciuta la fama dell’apostolo, lo convocò a Roma e dopo averlo fatto rasare i capelli in segno di scherno, lo fece immergere in una caldaia di olio bollente davanti alla porta Latina; ma Giovanni ne uscì incolume.
Ancora oggi un tempietto ottagonale disegnato dal Bramante e completato dal Borromini, ricorda il leggendario miracolo.
Fu poi esiliato nell’isola di Patmos (arcipelago delle Sporadi a circa 70 km da Efeso) a causa della sua predicazione e della testimonianza di Gesù. Dopo la morte di Domiziano, salì al trono l’imperatore Nerva (96-98) tollerante verso i cristiani; quindi Giovanni poté tornare ad Efeso dove continuò ad esortare i fedeli all’amore fraterno, finché ultracentenario morì verso il 104, cosicché il più giovane degli Apostoli, il vergine perché non si sposò, visse più a lungo di tutti portando con la sua testimonianza, l’insegnamento di Cristo fino ai cristiani del II secolo.
Sulla sua tomba ad Efeso, fu edificata nei secoli V e VI una magnifica basilica. In vita la tradizione e gli antichi scritti gli attribuiscono svariati prodigi, come di essersi salvato senza danno da un avvelenamento e dopo essere stato buttato in mare; ad Efeso risuscitò anche un morto.
Alle riunioni dei suoi discepoli, ormai vecchissimo, veniva trasportato a braccia, ripetendo soltanto “Figlioli, amatevi gli uni gli altri” e a chi gli domandava perché ripeteva sempre la stessa frase, rispose: “ Perché è precetto del Signore, se questo solo si compia, basta”.
Fra tutti gli apostoli e i discepoli, Giovanni fu la figura più luminosa e più completa, dalla sua giovinezza trasse l’ardore nel seguire Gesù e dalla sua longevità la saggezza della sua dottrina e della sua guida apostolica, indicando nella Grazia la base naturale del vivere cristiano.
La sua propensione più alla contemplazione che all’azione, non deve far credere ad una figura fantasiosa e delicata, anzi fu caldo e impetuoso, tanto da essere chiamato insieme al fratello Giacomo ‘figlio del tuono’, ma sempre zelante in tutto.
Teologo altissimo, specie nel mettere in risalto la divinità di Gesù, mistico sublime fu anche storico scrupoloso, sottolineando accuratamente l’umanità di Cristo, raccontando particolari umani che gli altri evangelisti non fanno, come la cacciata dei mercanti dal tempio, il sedersi stanco, il piangere per Lazzaro, la sete sulla croce, il proclamarsi uomo, ecc.
Giovanni è chiamato giustamente l’Evangelista della carità e il teologo della verità e luce, egli poté penetrare la verità, perché si era fatto penetrare dal divino amore.
Il suo Vangelo, il quarto, ebbe a partire dal II secolo la definizione di “Vangelo spirituale” che l’ha accompagnato nei secoli; Origene nel III secolo, per la sua alta qualità teologica lo chiamò ‘il fiore dei Vangeli’.
Gli studiosi affermano che l’opera ebbe una vicenda editoriale svolta in più tappe; essa parte nell’ambiente palestinese, da una tradizione orale legata all’apostolo Giovanni, datata negli anni successivi alla morte di Cristo e prima del 70, esprimendosi in aramaico; poi si ha un edizione del vangelo in greco, destinata all’Asia Minore con centro principale la bella città di Efeso e qui collabora alla stesura un ‘evangelista’, discepolo che raccoglie il messaggio dell’apostolo e lo adatta ai nuovi lettori.
Inizialmente il vangelo si concludeva con il capitolo 20, diviso in due grandi sezioni; dai capitoli 1 a 12 chiamato “Libro dei segni”, cioè dei sette miracoli scelti da Giovanni per illustrare la figura di Gesù, Figlio di Dio e dai capitoli 13 a 20 chiamato “Libro dell’ora”, cioè del momento supremo della sua vita offerta sulla croce, che contiene i mirabili “discorsi di addio” dell’ultima Cena. Alla fine del I secolo comparvero i capitoli finali da 21 a 23, dove si allude anche alla morte dell’apostolo.
All’inizio del Vangelo di Giovanni è posto un prologo con un inno di straordinaria bellezza, divenuto una delle pagine più celebri dell’intera Bibbia e che dal XIII secolo fino all’ultimo Concilio, chiudeva la celebrazione della Messa: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio….”.
L’Apocalisse come già detto è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento e conclude il ciclo dei libri sacri e canonici riconosciuti dalla Chiesa, il suo titolo in greco vuol dire ‘Rivelazione’.
Denso di simbolismi, spesso si è creduto che fosse un infausto oracolo sulla fine del mondo, invece è un messaggio concreto di speranza, rivolto alle Chiese in crisi interna e colpite dalla persecuzione di Babilonia o della bestia, cioè la Roma imperiale, affinché ritrovino coraggio nella fede, dimostrandolo con la testimonianza.
È un’opera di grande potenza e suggestione e anche se il linguaggio e i simboli sono del genere ‘apocalittico’, corrente letteraria e teologica molto diffusa nel giudaismo, il libro si autodefinisce ‘profezia’, cioè lettura dell’azione di Dio all’interno della storia.
Colori, animali, sogni, visioni, numeri, segni cosmici, città, costellano il libro e sono gli elementi di questa interpretazione della storia alla luce della fede e della speranza.
Il libro inizia con la scena della corte divina con l’Agnello - Cristo e il libro della storia umana e alla fine dell’opera c’è il duello definitivo tra Bene e Male, cioè tra la Chiesa e la Prostituta (Roma) imperiale, con la rivelazione della Gerusalemme celeste, dove si attende la venuta finale del Cristo Salvatore.
Di Giovanni esistono anche tre ‘Epistole’ scritte probabilmente a Efeso, che hanno lo scopo di sottolineare e difendere presso determinati gruppi di fedeli (o uno solo, con la terza) alcune verità fondamentali, che erano attaccate da dottrine gnostiche.
San Giovanni ha come simbolo l’aquila, perché come si credeva che l’aquila potesse fissare il sole, anche lui nel suo Vangelo fissò la profondità della divinità.
È il patrono della Turchia e dell’Asia Minore, patronato confermato da papa Benedetto XV il 26 ottobre 1914; giacché Gesù gli affidò la Vergine Maria, è considerato patrono delle vergini e delle vedove; per i suoi grandi scritti è patrono dei teologi, scrittori, artisti; per il suo supplizio dell'olio bollente, protegge tutti coloro che sono esposti a bruciature oppure hanno a che fare con l’olio, quindi: proprietari di frantoi, produttori di olio per lampade, armaioli; patrono degli alchimisti, è invocato contro gli avvelenamenti e le intossicazioni alimentari.
Anche i “Quattro Cavalieri dell’Apocalisse” che rappresentano conquista, guerra, fame, morte, sono un suo simbolo. In Oriente il suo culto aveva per centro principale Efeso, dove visse e l’isola di Patmos nel Dodecanneso dove fu esiliato a dove nel secolo XI s. Cristodulo fondò un monastero a lui dedicato, inglobando la grotta dove l’apostolo ricevette le rivelazioni e scrisse l’Apocalisse.
In Occidente il suo culto si diffuse in tutta Europa e templi e chiese sono a lui dedicate un po’ dappertutto, ma la chiesa principale costruita in suo onore è S. Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma.
Inizialmente i grandi santi del primo cristianesimo Stefano, Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, erano celebrati fra il Natale e la Circoncisione (1° gennaio); poi con lo spostamento in altre date di s. Pietro, s. Paolo e s. Giacomo, rimasero solo s. Stefano il 26 dicembre e s. Giovanni apostolo ed evangelista il 27 dicembre.

Autore:
Antonio Borrelli

(Gv 20,2-8) L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.

VANGELO
 (Gv 20,2-8) L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Parola del Signore
 .

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e riempi di te il mio cuore e la mia mente. Fa che ogni cosa mi venga da te e che non sprechi neanche una briciola della tua sapienza.
La pagina di oggi, sembra non entrarci per niente con quelle di questi giorni, che ci sono proposte dalla Chiesa, eppure a ben guardare, non è così sbagliato parlare del sepolcro di Gesù, dei primi discepoli che non lo trovano più e che debbono cominciare da questo momento a fare da soli. E' la realtà dello scontro tra la fede ed il mondo.
I primi cristiani dovettero fare subito i conti con la crudeltà dei romani, con l' ipocrisia dei farisei e dei sadducei, e molti furono uccisi per difendere la loro fede.
In questo passo ritroviamo gli apostoli Giovanni e Pietro, che corrono al sepolcro e sicuramente non per caso, Giovanni che è più giovane, arriva prima di Pietro, ma si ferma e aspetta che sia quello che Gesù aveva eletto come il capo della nuova chiesa ad entrare per primo. C'è tanto rispetto in questo atteggiamento, e mi fa un po' pensare al rispetto che si deve alla Chiesa come istituzione di Gesù Cristo e non per quello che spesso, purtroppo, lascia trasparire attraverso i suoi uomini, che come noi, sono appunto "uomini."
Pietro vide le fasce che avevano avvolto il corpo di Gesù ed il sudario ripiegato, ( notiamo che anche in Luca 24:12 Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l' accaduto ) mentre Giovanni vide e credette.
Il rapporto speciale che univa Gesù a Giovanni, continuava anche dopo la sua morte, non a caso era a lui che Gesù aveva affidato la Madre e alla stessa il discepolo che Lui amava.
Quanta meraviglia in quel sepolcro vuoto, e quanta fede nel piccolo Giovanni che ricordando le parole del Messia, sulla sua resurrezione, si fidò completamente di Lui.
Possiamo essere come Pietro, avere dubbi e paure, o essere come Giovanni, credere sempre ed oltre le apparenze, o magari anche come Tommaso, che chiede dei segni, delle prove. Quello che conta è non avere dei preconcetti, non mettere il nostro io tra noi e Dio stesso come un ostacolo, ma appoggiare la nostra testa sul cuore di Gesù, come Giovanni, lasciandoci trasportare dallo Spirito Santo.

mercoledì 25 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Gesú fin dalla nascita ci addita la nostra missione, che è quella di disprezzare ciò che il mondo ama e cerca." (Epist. IV, p. 867).

SANTI é BEATI :

Santo Stefano Primo martire
† Gerusalemme, 33 o 34 ca
Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste, e morì lapidato. In lui si realizza in modo esemplare la figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità, gli affida il suo spirito, perdona ai suoi uccisori. Saulo testimone della sua lapidazione ne raccoglierà l'eredità spirituale diventando Apostolo delle genti. (Mess. Rom.)
Patronato: Diaconi, Fornaciai, Mal di testa
Etimologia: Stefano = corona, incoronato, dal greco
Emblema: Palma, Pietre

Martirologio Romano: Festa di santo Stefano, protomartire, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi scelti dagli Apostoli come loro collaboratori nel ministero, fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù, affermando di vederlo seduto nella gloria alla destra del Padre.
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La celebrazione liturgica di s. Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.
Così al 26 dicembre c’è s. Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 s. Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i ss. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche la celebrazione di s. Pietro e s. Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno.
Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme.
Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate.
Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al ministero.
La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha visto in questo atto l’istituzione del ministero diaconale.
Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.
Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.
Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.
Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”.
Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”.
Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (il futuro Apostolo delle Genti, s. Paolo), che assisteva all’esecuzione.
In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato.
Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”.
Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.
Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il distacco si fece sempre più evidente fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se stessa per difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria opera di inculturazione del Vangelo.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì s. Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s. Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.
Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di s. Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.
Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove si pensi, nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, un braccio a S. Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a S. Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di S. Loernzo fuori le Mura.
La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di S. Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da papa Simplicio.
Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.

Autore:
Antonio Borrelli

(Mt 10,17-22) Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro.

VANGELO DI GIOVEDì 26 DICEMBRE
(Mt 10,17-22)
Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato». Parola del Signore.


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Benedetto XVI, papa dal 2005 al 2013
Angelus del 26/12/2006 (© Libreria Editrice Vaticana)

Dalla stalla alla croce

All’indomani della solennità del Natale, celebriamo oggi la festa di santo Stefano, diacono e primo martire. A prima vista l’accostamento … alla nascita del Redentore può lasciare stupiti, perché colpisce il contrasto tra la pace e la gioia di Betlemme e il dramma di Stefano, lapidato a Gerusalemme nella prima persecuzione contro la Chiesa nascente. In realtà, l’apparente stridore viene superato se consideriamo più in profondità il mistero del Natale. Il Bambino Gesù, che giace nella grotta, è l’Unigenito Figlio di Dio fattosi uomo. Egli salverà l’umanità morendo in croce. Ora lo vediamo in fasce nel presepe; dopo la sua crocifissione sarà nuovamente avvolto da bende e deposto in un sepolcro. Non a caso l’iconografia natalizia rappresentava talvolta il divino Neonato adagiato in un piccolo sarcofago, ad indicare che il Redentore nasce per morire, nasce per dare la vita in riscatto per tutti (Mc 10,45).

Santo Stefano fu il primo a seguire le orme di Cristo con il martirio; morì, come il divino Maestro, perdonando e pregando per i suoi uccisori (cfr At 7,60). Nei primi quattro secoli del cristianesimo, tutti i santi venerati dalla Chiesa erano martiri. Si tratta di uno stuolo innumerevole, che la liturgia chiama "la candida schiera dei martiri", martyrum candidatus exercitus. La loro morte non incuteva paura e tristezza, ma entusiasmo spirituale che suscitava sempre nuovi cristiani. Per i credenti, il giorno della morte, ed ancor più il giorno del martirio, non è la fine di tutto, bensì il "transito" verso la vita immortale, è il giorno della nascita definitiva, in latino dies natalis. Si comprende allora il legame che esiste tra il "dies natalis" di Cristo e il dies natalis di Santo Stefano. Se Gesù non fosse nato sulla terra, gli uomini non avrebbero potuto nascere al Cielo. Proprio perché Cristo è nato, noi possiamo "rinascere"!

martedì 24 dicembre 2013

SANTI é BEATI :

Natale del Signore
Con il Natale tutti i cristiani celebrano la nascita del Figlio di Dio che si fece uomo. L’Incarnazione del Verbo di Dio segna l’inizio degli “ultimi tempi”, cioè la Redenzione dell’Umanità da parte di Dio. Rallegratevi, oggi è nato il Salvatore.
Martirologio Romano: Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio creò il cielo e la terra e plasmò l’uomo a sua immagine; e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere tra le nubi l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace; ventuno secoli dopo che Abramo, nostro Padre nella fede, migrò dalla terra di Ur dei Caldei; tredici secoli dopo l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè; circa mille anni dopo l’unzione regale di Davide; nella sessantacinquesima settimana secondo la profezia di Daniele; all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo: Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.
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La Chiesa celebra con la solennità del Natale la manifestazione del Verbo di Dio agli uomini. E’ questo infatti il senso spirituale più ricorrente, suggerito dalla stessa liturgia, che nelle tre Messe celebrate oggi da ogni sacerdote offre alla nostra meditazione "la nascita eterna del Verbo nel seno degli splendori del Padre (prima Messa); l'apparizione temporale nell'umiltà della carne (seconda Messa); il ritorno finale all'ultimo giudizio (terza Messa)" (Liber Sacramentorum).
Un antico documento, il Cronografo dell'anno 354, attesta l'esistenza a Roma di questa festa al 25 dicembre, che corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d'inverno, "Natalis Solis Invieti", cioè la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell'anno, riprendeva nuovo vigore.
Celebrando in questo giorno la nascita di colui che è il Sole vero, la luce del mondo, che sorge dalla notte del paganesimo, si è voluto dare un significato del tutto nuovo a una tradizione pagana molto sentita dal popolo, poiché coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi cittadini. Le strenne natalizie richiamano però più direttamente i doni dei pastori e dei re magi a Gesù Bambino.
In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol dire "manifestazione"; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si riscontra in Antiochia verso il 376 al tempo del Crisostomo e nel 380 a Costantinopoli, mentre in Occidente veniva introdotta la festa dell'Epifania, ultima festa del ciclo natalizio, per commemorare la rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano. I testi della liturgia natalizia, formulati in un'epoca di reazione alla eresia trinitaria di Arlo, sottolineano con accenti di calda poesia e con rigore teologico la divinità del Bambino nato nella grotta di Betlem, la sua regalità e onnipotenza per invitarci all'adorazione dell'insondabile mistero del Dio rivestito di carne umana, figlio della purissima Vergine Maria ("fiorito è Cristo ne la carne pura", dice Dante).
L'Incarnazione di Cristo segna la partecipazione diretta degli uomini alla vita divina. La restaurazione dell'uomo mediante la spirituale nascita di Gesù nelle anime è il tema suggerito dalla devozione e dalla pietà cristiana che, al di là delle commoventi tradizioni natalizie fiorite ai margini della liturgia, ci invita a meditare annualmente sul mistero della nostra salvezza in Cristo Signore.

Autore:
Piero Bargellini

VOCE DI SAN PIO :

-" Vivi allegra e coraggiosa, almeno nella parte superiore dell’anima, in mezzo alle prove in cui il Signore ti pone. Vivi allegra e coraggiosa, ripeto, perché l’angelo, che preconizza il nascimento del nostro piccolo Salvatore e Signore, annunzia cantando e canta annunziando ch’egli pubblica allegrezza, pace e felicità agli uomini di buona volontà, acciocché non vi sia alcuno che non sappia che, per ricevere questo Bambino, basta essere di buona volontà." (Epist. III, p. 466).

«Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».(Giovanni 1,1-18.)

VANGELO DI MERCOLEDì 25 DICEMBRE
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,1-18.
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
Parola del Signore.