sabato 27 luglio 2013

PREGARE è....

Sr. Laura Cenci ap
Pregare è...


1. Pregare è… RACCONTARSI
“Raccontarsi” significa entrare dentro se stessi, nel proprio mondo
interiore, cioè in quel luogo dove noi custodiamo i nostri desideri e le
nostre speranze più grandi e più belle e che forse, per vergogna, non
riusciamo a dire; luogo dove trovano posto anche le paure più nascoste,
gli eventi vissuti che ci fanno più male o che ci spaventano di più e che
per non sentire il dolore nascondiamo, perché ci percepiremo come dei
“deboli” agli occhi del mondo. La casa del nostro mondo interiore
preferiamo allora sigillarla con cura, con porte e finestre blindate,
perché... aprirla per raccontarla a qualcuno ci costerebbe troppo!
Nella preghiera invece è necessario “raccontarsi”, aprire le porte del
cuore e mostrarsi così come si è al Signore, senza maschere di copertura
che ci danno l’aria da “bravi ragazzi”, partendo da ciò che siamo nella
libertà, perché solo in questo modo la paura o il grido che è in noi può
trasformarsi in liberazione e i desideri possono tradursi in scelte che
spalancano le porte ad una vita davvero felice.
Il nostro “raccontarci” vuole essere un vero e proprio atto di coraggio
che si gioca nell’intimo del nostro cuore. Per ciascuno Gesù fa questa
proposta, che troviamo nel libro dell’Apocalisse (3,20):
“Ecco, sto alla porte della casa della tua interiorità,
 alle porte del tuo cuore e busso, se ascolti la mia voce
e mi apri la porta io verrò da te, cenerò con te e tu con me”.
Sono parole dal significato densissimo, attraverso le quali Gesù ci dice
che una volta aperte le porte del cuore, lui starà con noi. In lui ci sarà
il massimo della relazione, della condivisione (cenerò con te…), della
fraternità che non giudica, ma che sa amare e accogliere con verità.
Accettiamo, dunque, questa sfida e, oggi, in qualsiasi situazione ci
troviamo, apriamogli le porte e con fiducia raccontiamo noi stessi a Dio.

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2. Pregare è… ASCOLTARE
Il raccontarsi porta ad un secondo livello della preghiera quello
dell’ascoltare il nostro interlocutore. Questo è il momento in cui Dio
vuole dirci qualcosa di importante, qualcosa che può rigenerare,
trasformare. Questo avviene non in un modo anonimo, con una parola
fredda o con una formula preconfezionata, Dio viene a noi
chiamandoci per nome.
Il nostro nome ci dice chi siamo, porta impresso il sigillo della nostra
identità, è l’orma che lasciamo in questa storia di oggi. La prima cosa
che siamo chiamati ad ascoltare nella preghiera è il nostro nome
pronunciato da Dio. Proviamo, oggi, a sentire la Sua voce e il modo in
cui ci chiama. Se non impariamo a fare questo come potremo ascoltare
le sue parole che ci raggiungono attraverso le Scritture, attraverso i fatti
di ogni giorno, attraverso il volto dei nostri fratelli?
Ascoltiamo il momento in cui Dio chiama per nome Mosè e gli rivela la
sua volontà:
Dal libro dell’Esodo (3,1-8a.10-12)
Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero,
sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto
e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli
apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli
guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto
non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a
vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non
brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e
Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè !». Rispose:
«Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai
piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E
disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio
di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso,
perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito
il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le
sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano
dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese
bello e spazioso. Ora và! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire 3
dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio:
«Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire
dall’Egitto gli Israeliti?». Rispose: «Io sarò con te».
vv. 1-4 Dio si rivela a Mosè nella sua quotidianità, in una giornata
normalissima di lavoro e fa leva sulla sua curiosità: “voglio vedere
questo grande spettacolo del roveto ardente”. In questo contesto Dio lo
chiama per nome, con il suo vero nome! Non con il significato abituale,
ma con quello originario. Mosè è “il salvato dalle acque” (questo
significa il suo nome nel linguaggio ebraico); Mosè è il principe
d’Egitto, il giovane addestrato all’arte della guerra, il giovane con
l’incarico di sovrintendere i lavori nella costruzione della città del
faraone… Il suo nome, pronunciato da Dio, non è più quello del pastore
o del fuggiasco che si rifugia nel deserto per aver ucciso un egiziano (cfr.
Esodo 2,11-15).
Dio riporta Mosè alla sua identità originaria.
vv. 5-6 Prima di parlargli, Dio gli chiede di togliersi i sandali. Mosè
dovrà stare a piedi nudi di fronte a lui. I suoi piedi dovranno appoggiarsi
sulla via che Dio gli indicherà. I suoi piedi nudi dovranno “aderire”
al tipo di cammino che il Signore gli proporrà.
Anche noi siamo chiamati ad appoggiare la nostra “nuda volontà” alla
sua. Qui ci vuole un vero e proprio atto di fede verso Dio. Se lui è il
bene, è l’amore, è la gioia… quello che ci proporrà sarà senz’altro la
strada della vera felicità. Siamo però liberi di scegliere se ascoltarlo o
no. Libero è l’essere che accoglie-riceve se stesso e allo stesso tempo,
che offre se stesso.
In Mosè c’è il sì alla proposta di Dio e così… lui, il salvato dalle
acque, salverà il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Un’impresa
difficilissima, rischiosissima, ma lungo questa via non ci saranno solo le
orme dei piedi nudi di Mosè, ma anche quelli di Dio, perché Dio non
lascerà solo il suo servo e gli promette: “io sarò con te”.
…E si sa che Dio mantiene le sue promesse!
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3. Pregare è… RISCHIARE
Qualsiasi incontro porta con sé sempre una buona dose di rischio (fidarsi
o non fidarsi dell’altro?); l’incontro con l’altro per essere vero ci spinge
ad abbassare tutte le difese, tutte quelle protezioni che ci fanno stare
apparentemente tranquilli, perché si ha la sensazione, nel momento in
cui ci si espone, di perdere qualcosa. Questo succede anche quando un
ragazzo e una ragazza si “dichiarano il loro amore”... non si sa mai come
l’altro o l’altra reagirà, ma bisogna rischiare perché è in gioco la nostra
felicità.
Anche nell’incontro personale con il Signore, è necessario correre
il rischio di fidarsi, di seguirlo nel suo cammino, anche se non
sappiamo dove si dirige. Egli apre infatti una strada nuova per noi: il
cammino della libertà, della giustizia, dell’amore e della vita, il
cammino di Dio.
Dal vangelo secondo Marco (10,17-22)
Mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse
incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò:
«Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita
eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno
è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa
testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli
allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin
dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli
disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e
dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto,
poiché aveva molti beni.
vv. 17.22 “Cosa devo fare per avere la vita eterna”, cosa devo fare per
vivere in pienezza la mia vita, per essere davvero felice? È la domanda
del tale che si avvicina a Gesù. Gesù gli dice che il segreto della sua
felicità è racchiuso in ciò che lui ha già, cioè i suoi beni, le sue
ricchezze. Per noi potrebbero essere i doni, le capacità, le possibilità
concrete che abbiamo. Per Gesù questi beni, questi doni non vanno
difesi, tenuti da parte per paura di perderli, ma ci invita a donarli, a
offrirli a chi ne è povero, a chi ha bisogno di noi... solo per amore.
Questo è rischiare!
Quando preghiamo, il Signore ci chiede di rischiare i doni e le capacità
che abbiamo per i fratelli. La preghiera vera non è mai fine a se stessa o
solo un incontro intimo con Dio, la preghiera ci chiede di sporcarci le
mani per i fratelli, di contemplare l’umanità per amarla e guardarla come
la guarda Dio.
“Fissatolo, l’amo”. L’amore di Gesù previene sempre la nostra risposta.
Il suo amore è gratuito, a prescindere dalla risposta; ci raggiunge al di là
di ciò che possiamo fare o dire.
Sentiamoci, oggi, guardati e amati dal Signore, gratuitamente, così come
siamo, con i doni che abbiamo… Abbassiamo le nostre difese e osiamo
guardarlo negli occhi; togliamoci le corazze che impediscono
l’abbraccio e apriamo le mani per poterlo incontrare nei nostri fratelli. Il
segreto della vera felicità sta nel donarsi, nel dare qualcosa di noi agli
altri.


Esperienza di preghiera personale
Scegli uno dei brani Biblici proposti e leggi il brano più volte.
Sottolinea l’espressione che ti colpisce di più.
- Fermati, in particolare, sul momento in cui avviene l’incontro con il
Signore…
- Pensa che Lui è venuto per te e vuole incontrare proprio te…
- Prova a sentire la sua voce che ti chiama per nome… Cosa provi?
- Scrivigli una lettera per raccontargli cosa stai vivendo adesso…

- Di tutto ciò che ho ascoltato oggi cosa “mi dice” il Signore?
- Cosa dovrei cambiare nella mia vita?
Scrivi qui la tua “lettera” a Dio...

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