giovedì 4 agosto 2011

CAPITOLO 9 Caritas non inflatur. Chi ama Gesù Cristo non si invaghisce de' propri pregi, ma si umilia e gode di vedersi umiliato anche dagli altri.

CAPITOLO IX
Caritas non inflatur.
Chi ama Gesù Cristo
non si invaghisce de' propri pregi,
ma si umilia e gode di vedersi umiliato
anche dagli altri.

1. Il superbo è come un pallone di vento che comparisce grande a se stesso, ma in sostanza tutta la sua grandezza si riduce ad un poco di vento che, aprendosi il pallone, tutto in un subito svanisce. Chi ama Dio è vero umile nè si gonfia per vedere in sè qualche pregio; perchè vede che quanto ha, tutto è dono di Dio, e del suo non ha altro che il niente ed il peccato; onde nel conoscere i favori fattigli da Dio più si umilia, vedendosi così indegno e così da Dio favorito.Chi 
2. Dice S. Teresa, parlando delle grazie speciali che Dio le facea: «Iddio fa con me come si fa con una casa che, stando per cadere, si aiuta con puntelli». Quando un'anima riceve qualche amorosa visita di Dio, provando in sè un ardore straordinario di amor divino accompagnato da lagrime o da una gran tenerezza di cuore, si guardi dal pensare che il Signore la favorisca allora per qualche sua buona opera; ma allora dee più umiliarsi, pensando che Dio l'accarezza acciocchè ella non l'abbandoni; altrimenti se per tali doni ne concepisce qualche vanità, stimandosi più favorita perchè si porta con Dio più bene degli altri, un tal difetto farà che Dio la privi de' suoi favori. Per conservar la casa due sono le cose più necessarie, il fondamento ed il tetto: il fondamento in noi ha da essere l'umiltà, nel riconoscere che a niente vagliamo e niente possiamo: il tetto poi è la divina protezione in cui solamente dobbiam confidare.
3. Allorchè ci vediamo più favoriti da Dio bisogna che più ci umiliamo. S. Teresa quando riceveva qualche grazia speciale, allora procurava di mettersi avanti gli occhi tutte le sue colpe commesse, e così il Signore più a sè l'univa. Quanto più l'anima si confessa indegna di grazie, tanto più Iddio di grazie l'arricchisce. Taide, prima peccatrice e poi santa, si umiliava tanto con Dio che stimavasi indegna anche di nominarlo; onde non ardiva di dire, «Dio mio», ma diceva, «Creatore mio, abbi pietà di me: Plasmator meus, miserere mei». E scrive S. Girolamo che per tale umiltà vide apparecchiarsele un gran trono in cielo. Si legge similmente di S. Margherita da Cortona, nella sua vita, che visitandola un giorno il Signore con maggior tenerezza d'amore, ella esclamando gli disse: «Ma come, Signore, vi siete scordato di quella ch'io sono stata? come con tante finezze mi pagate le tante ingiurie che vi ho fatte?» E Dio le rispose che quando un'anima l'ama e si pente di cuore d'averlo offeso, egli si scorda di tutte le offese ricevute; come già lo disse per Ezechiele: Si autem impius egerit poenitentiam... omnium iniquitatum eius quas operatus est, non recordabor (Ezech. XVIII, 21 et 22). Ed in pruova di ciò le fe' vedere che le aveva apparecchiato in cielo un gran soglio in mezzo a' serafini. — Oh se giungessimo ad intendere il valore dell'umiltà! Vale più un atto d'umiltà che non è l'acquistare tutte le ricchezze del mondo.
4. Dicea S. Teresa: «Non credere di aver fatto profitto nella perfezione se non ti tieni per lo peggiore di tutti, e se non desideri di esser posposto a tutti». E così facea la santa, e così han fatto tutti i santi. S. Francesco d'Assisi, S. Maria Maddalena de' Pazzi e gli altri, si riputavano i maggiori peccatori del mondo, e si ammiravano come la terra gli sostenesse e non si aprisse loro sotto i piedi; e ciò lo diceano con vero sentimento. Trovandosi vicino alla morte il V. Giovanni d'Avila che fin da giovine fece una vita santa, venne un sacerdote ad assisterlo, e gli dicea cose molto sublimi, trattandolo da quel gran servo di Dio e gran dotto ch'egli era: ma il P. Avila gli fe' sentire: «Padre, vi prego a raccomandarmi l'anima, come si raccomanda l'anima ad un malfattore condannato a morte, perchè tale son io». Tale è il sentimento che hanno i santi di se stessi in vita ed in morte.
5. Così bisogna che facciamo ancor noi se vogliamo salvarci e conservarci in grazia di Dio sino alla morte, mettendo tutta la nostra confidenza solamente in Dio. Il superbo confida nelle sue forze e perciò cade; ma l'umile, perchè solo confida in Dio, benchè sia assalito da tutte le tentazioni le più veementi, sta forte e non cade, dicendo sempre: Omnia possum in eo qui me confortat (Phil. IV, 13). Il demonio ora ci tenta di presunzione, ora di sconfidenza: quando egli ci dice che per noi non v'è timor di cadere, allora più tremiamo, perchè se per un momento Iddio non ci assiste colla sua grazia, siamo perduti. Quando poi ci tenta a sconfidare, allora voltiamoci a Dio e diciamogli con gran confidenza: In te Domine speravi, non confundar in aeternum(Ps. XXX, 2): Dio mio, in voi ho poste le mie speranze, spero di non avermi a veder mai confuso e privo della vostra grazia. Questi atti di sconfidare di noi e confidare in Dio dobbiamo esercitarli sino all'ultimo punto della nostra vita, pregando sempre il Signore che ci dia la santa umiltà.
6. Ma non basta, ad esser umili, l'aver basso concetto di noi ed il tenerci per quei miserabili che siamo; il vero umile, dice Tommaso da Kempis, disprezza sè e desidera essere disprezzato ancora dagli altri. Questo è quel tanto che ci raccomandò Gesù Cristo a praticare secondo il suo esempio: Discite a me, quia mitis sum et humilis corde (Matth. XI, 29). Chi dice di essere il maggior peccatore del mondo e poi si sdegna cogli altri che lo disprezzano, dà segno ch'è umile di bocca, ma non di cuore. Scrive S. Tommaso d'Aquino che quando alcuno, vedendosi disprezzato, si risente, ancorchè facesse miracoli, si tenga per certo ch'egli è molto lontano dalla perfezione. La divina Madre mandò S. Ignazio di Loyola ad istruire nell'umiltà S. Maria Maddalena de' Pazzi, ed ecco l'insegnamento che il santo le diede: «L'umiltà è un godimento di tutto ciò che c'induce a disprezzare noi stessi». Si noti, un godimento: se il senso si risente ne' disprezzi che riceviamo, almeno collo spirito dobbiamo goderne.
7. E come mai un'anima che ama Gesù Cristo, vedendo il suo Dio sopportare schiaffi e sputi in faccia, come soffrì nella sua Passione, — tunc exspuerunt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt, alii autem palmas in faciem eius dederunt (Matth. XXVI, 67) — potrà non amare i disprezzi? A questo fine il Redentore ha voluto che sugli altari si esponesse la sua immagine, non già in forma di glorioso, ma di crocifisso, affinchè avessimo sempre avanti gli occhi i suoi disprezzi, a vista de' quali i santi godono in vedersi vilipesi in questa terra. E questa fu la domanda che S. Giovanni della Croce fe' a Gesù Cristo, allorchè gli apparve colla croce sulla spalla: Domine, pati et contemni pro te: Signore, in vederti così disprezzato per amor mio, non altro ti cerco, che il farmi patire ed esser disprezzato per amor tuo.
8. Dice S. Francesco di Sales: «Il sopportare gli obbrobri è la pietra di paragone dell'umiltà e della vera virtù». Se una persona che fa la spirituale, fa orazione, si comunica spesso, digiuna, si mortifica, ma poi non può sopportare un affronto, una parola pungente, che segno è? È segno ch'è canna vacante, senza umiltà e senza virtù. E che sa fare un'anima che ama Gesù Cristo, se non sa soffrire un disprezzo per amor di Gesù Cristo che ne ha sofferti tanti per lei? Scrive il da Kempis nel suo libretto d'oro dell'Imitazione di Gesù Cristo: «Giacchè tanto abborrisci di esser umiliato, è segno che non sei morto al mondo, non hai umiltà e non hai Dio avanti gli occhi. Chi non ha Dio avanti gli occhi si conturba per ogni parola di biasimo che sente». Tu non puoi sopportare schiaffi e ferite per Dio: sopporta almeno qualche parola.
9. Oh che ammirazione e scandalo dà una persona che si comunica spesso, e poi si risente ad ogni parola di suo disprezzo! All'incontro, che bella edificazione dà un'anima che, ricevendo disprezzi, risponde con qualche parola dolce per placare chi l'ha offesa; o pure non risponde nè se ne lamenta cogli altri, ma se ne resta con volto sereno senza dimostrarne amarezza! Dice S. Giovanni Grisostomo che il mansueto è utile non solo a se stesso, ma anche agli altri col buon esempio che loro dà di dolcezza nell'esser disprezzato: Mansuetus utilis sibi et aliis.
Il da Kempis intorno a questa materia avverte molte cose nelle quali dobbiamo umiliarci. Dice così: «Si ascolterà quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà dispregiato. Dimanderanno gli altri e riceveranno: dimanderai tu e ti sarà negato. Gli altri saran grandi nella bocca degli uomini, e di te si tacerà. Agli altri sarà commessa questa o quella incombenza, ma tu a nulla verrai giudicato buono. Con queste pruove il servo fedele suole sperimentarsi dal Signore, come egli sappia reprimersi e quietarsi. Si contristerà alcuna volta la natura, ma farai gran guadagno se tutto sopporterai con silenzio».
10. Dicea S. Giovanna di Chantal: «Chi è vero umile, venendo umiliato più s'umilia». Sì, perchè il vero umile non mai crede di esser umiliato abbastanza quanto merita. Quelli che fanno così son chiamati beati da Gesù Cristo: non son chiamati beati quei che dal mondo sono stimati, onorati e lodati per nobili, per dotti, per potenti; ma quei che sono maledetti dal mondo, perseguitati e mormorati: perchè a costoro sta preparata, se tutto soffrono con pazienza, una gran mercede in paradiso: Beati estis cum maledixerint vobis, et persecuti vos fuerint, et dixerint omne malum adversum vos mentientes, propter me. Gaudete et exsultate, quoniam merces vestra copiosa est in caelis (Matth. V, 11 et 12).
11. Principalmente poi dobbiamo praticar l'umiltà quando siamo ripresi da' superiori o da altri di qualche difetto. Taluni fanno come i ricci che quando non sono toccati paiono tutti placidi e mansueti; ma se poi li tocca un superiore o un amico ammonendoli di una cosa mal fatta, subito diventano tutti spine, e rispondono con risentimento che ciò non è vero o che hanno avuta ragione di farlo, e che non ci capiva quell'ammonizione; in somma chi li riprende loro diventa nemico, facendo come coloro che se la pigliano col cerusico perchè gli fa sentire dolore con medicargli la piaga: Medicanti irascitur, scrive S. Bernardo. L'uomo santo ed umile, dice S. Gio. Grisostomo, quando è corretto geme per l'errore commesso; il superbo all'incontro, quando è corretto anche geme, ma geme perchè vede scoverto il suo difetto, e perciò si sturba, risponde, e si sdegna con chi l'avverte. Ecco la bella regola che dava S. Filippo Neri, quando alcuno si vede incolpato: «Chi vuol farsi veramente santo, dicea, non dee mai scusarsi, ancorchè sia falso quello di che viene tacciato». In ciò dee eccettuarsene il solo caso in cui sembrasse esser necessaria la difesa per togliere lo scandalo. Oh quanto merito si fa appresso Dio chi è ripreso, benchè a torto, e tace e non si scusa! Dicea S. Teresa: «Talvolta più si avanza e si perfeziona una anima con lasciar di scusarsi, che con sentire dieci prediche; poichè col non iscusarsi comincia ad acquistar la libertà di spirito ed a non curarsi più se si dice bene o male di lei».
Affetti e preghiere.
O Verbo Incarnato, deh vi prego, per li meriti della vostra santa umiltà che vi fe' abbracciare tante ignominie ed ingiurie per amor nostro, liberatemi dalla superbia e datemi parte della vostra santa umiltà. E come mai potrò dolermi io d'ogni obbrobrio che mi sia fatto, dopo specialmente d'essermi fatto tante volte reo dell'inferno? Deh, Gesù mio, per lo merito di tanti disprezzi che soffriste nella vostra Passione, datemi la grazia di vivere e morire umiliato in questa terra, come voi viveste e moriste umiliato per me. Io per amor vostro vorrei vedermi disprezzato e abbandonato da tutti, ma senza voi non posso niente.
V'amo, mio sommo bene, v'amo, o diletto dell'anima mia: io v'amo, e da voi spero, come propongo, di soffrir tutto per voi, affronti, tradimenti, persecuzioni, dolori, aridità, abbandoni; basta che non mi abbandoniate voi, unico amore dell'anima mia. Non permettete ch'io mi allontani più da voi.
Datemi desiderio di darvi gusto. Datemi fervore nell'amarvi. Datemi pace nel patire. Datemi rassegnazione in tutte le cose contrarie.
Abbiate pietà di me. Io non merito niente, ma tutto spero da voi che mi avete comprato col vostro sangue.
E tutto spero da voi, regina e madre mia Maria, che siete il rifugio dei peccatori.

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