CAPITOLO XVII |
Caritas omnia sustinet.
Chi ama Gesù Cristo con amor forte
non lascia di amarlo in mezzo a tutte le tentazioni
ed a tutte le desolazioni.
non lascia di amarlo in mezzo a tutte le tentazioni
ed a tutte le desolazioni.
1. Le pene che maggiormente affliggono in questa vita le anime amanti di Dio non sono la povertà, le infermità, i disonori e le persecuzioni, ma le tentazioni e le desolazioni di spirito. Quando un'anima gode l'amorosa presenza di Dio, allora tutti i dolori, le ignominie ed i maltrattamenti degli uomini, in vece di affliggerla, più la consolano, dandole motivo di offerire a Dio qualche pegno del suo amore: sono in somma legna che più accendono il fuoco. Ma il vedersi dalle tentazioni spinta a perdere la grazia divina, o il temere nella desolazione di averla già perduta, queste son pene troppo amare a chi ama di cuore Gesù Cristo. Ma lo stesso amore dà loro forza di soffrirle con pazienza e di seguire il preso cammino della perfezione. Ed oh quanto si avanzano le anime con tali pruove che suole far Dio del loro amore!
Delle tentazioni.
2. Per le anime che amano Gesù Cristo non vi è pena più tormentosa delle tentazioni. Tutti gli altri mali le spingono a più unirsi con Dio, accettandoli con rassegnazione; ma le tentazioni a peccare le spingono, come di sovra si è detto, a separarsi da Gesù Cristo, e perciò si rendono loro troppo amare più che tutti gli altri tormenti. Bisogna però intendere che, sebbene tutte le tentazioni che inducono al male non vengono mai da Dio, ma dal demonio o dalle nostre male inclinazioni: Deus enim intentator malorum est, ipse autem neminem tentat (Iac. I, 13): nondimeno il Signore permette alle volte che l'anime sue più dilette sieno più fortemente tentate.
Per prima, acciocchè colle tentazioni conoscano maggiormente la loro debolezza e 'l bisogno che hanno del divino aiuto per non cadere. — Quando un'anima trovasi favorita da Dio colle divine consolazioni, le pare di esser abile a superare ogni assalto de' nemici e ad eseguire ogn'impresa di gloria di Dio. Ma quando si trova gagliardamente tentata, e si vede all'orlo del precipizio e vicina a cadere, allora meglio conosce la sua miseria e la sua impotenza a resistere, se Dio non la soccorresse. Questo appunto avvenne a S. Paolo, il quale scrisse che il Signore avea permesso ch'egli fosse molto molestato da una tentazione sensuale, acciocchè non s'invanisse per le rivelazioni di cui l'avea Dio favorito: Et ne magnitudo revelationum extollat me, datus est mihi stimulus carnis meae, angelus satanae, qui me colaphizet (II Cor. XII, 7).
3. In oltre permette Iddio le tentazioni, acciocchè viviamo più distaccati da questa terra, e desideriamo con più ardore di andarlo a vedere in paradiso. Quindi è che le anime buone, in vedersi così combattute in questa vita di giorno e di notte da tanti nemici, hanno in tedio la vita, ed esclamano: Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est (Ps. CXIX, 5). E sospirano l'ora in cui potranno dire: Laqueus contritus est et nos liberati sumus (Ps. CXXIII, 7). L'anima vorrebbe volare a Dio, ma, mentre vive in questa terra, sta ligata da un laccio che la trattiene quaggiù, ove di continuo è combattuta dalle tentazioni. Questo laccio non si spezza se non colla morte; e perciò le anime amanti sospirano la morte che le libera dal pericolo di perdere Dio.
4. In oltre Iddio permette che siamo tentati, per renderci più ricchi di meriti, come fu detto a Tobia: Et quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te (Tob. XII, 13). Dunque un'anima non perchè è tentata dee temere che sta in disgrazia di Dio; anzi allora dee più sperare di essere amata da Dio. È inganno del demonio il far credere a certi spiriti pusillanimi che le tentazioni son peccati che imbrattano l'anima. Non sono i mali pensieri che ci fanno perdere Dio, ma i mali consensi. Sieno veementi quanto si voglia le suggestioni del demonio, sieno vivi quanto si voglia quei fantasmi impudici che c'ingombrano la mente, quando noi non li vogliamo, niente macchiano l'anima, anzi la rendono più pura, più forte e più cara a Dio. — Dice S. Bernardo che ogni volta che superiamo le tentazioni acquistiamo una nuova corona: Quoties vincimus, toties coronamur. Ad un certo monaco cisterciense apparve un angelo che gli diede in mano una corona, con ordine che la portasse ad un altro religioso, e gli dicesse che tal corona se l'avea meritata per quella tentazione che poco dinanzi avea superata. Nè ci spaventi il vedere che quel cattivo pensiero non si parte dalla mente e seguita a tormentarci; basta che noi l'abborriamo e cerchiamo di discacciarlo.
5. Dio è fedele, dice l'Apostolo: non soffre che noi siamo tentati oltre le nostre forze: Fidelis autem Deus est qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum (I Cor. X, 13). Chi dunque resiste alla tentazione, non solo non vi perde, ma vi fa gran guadagno,sed faciet cum tentatione proventum. E perciò il Signore spesso permette che l'anime sue dilette siano più tentate dalle tentazioni, acciocchè facciano più acquisti di meriti in questa terra e di gloria nel cielo. L'acqua morta che non si muove, presto s'imputridisce. E così l'anima, stando in ozio senza tentazioni e senza combattimenti, sta in pericolo di perdersi con qualche vana compiacenza del proprio merito, pensando forse che già sia giunta alla perfezione; e così allora poco teme, e perciò poco si raccomanda a Dio, e poco si affatica per assicurare la sua salute. Ma quando ella è agitata dalle tentazioni e si vede in pericolo di precipitare in peccato, allora ricorre a Dio, ricorre alla divina Madre, rinnova i propositi di morir prima che peccare, si umilia e si abbandona in braccio alla divina misericordia: e così acquista più forza, e più si stringe con Dio, come dimostra l'esperienza.
6. Non dobbiamo già noi desiderare perciò le tentazioni, anzi dobbiamo pregar sempre Iddio che dalle tentazioni ci liberi, e specialmente da quelle dalle quali vede Dio che saressimo vinti — ciò significa appunto quella preghiera del Pater noster: Et ne nos inducas in tentationem; — ma quando Dio permette che ci assaltino, bisogna che allora, senza inquietarci per quei brutti pensieri e senza avvilirci, confidiamo in Gesù Cristo e gli cerchiamo aiuto; ed egli certamente non mancherà di darci forza a resistere. Dice S. Agostino: Proiice te in eum, noli metuere; non se subtrahet ut cadas (Conf. lib. 8, c. 11). Abbandonati in Dio e non temere, poichè se egli ti mette nel combattimento, certamente non ti lascerà solo acciocchè cadi.
7. Veniamo ora a' mezzi che abbiamo da usare per vincere le tentazioni.
I maestri di spirito ne assegnano molti, ma il più necessario e più sicuro — di questo solo qui voglio parlare — è il ricorrere subito a Dio con umiltà e confidenza, dicendo: Deus, in adiutorium meum intende; Domine, ad adiuvandum me festina (Ps. LXIX, 2): Signore aiutami, ed aiutami presto. Questa sola preghiera basterà a farci superare gli assalti di tutti i demoni dell'inferno che venissero a combatterci, perchè Iddio è infinitamente più forte di tutti i demoni. Iddio già sa che non abbiamo noi forza di resistere alle tentazioni delle podestà infernali; onde dice il dottissimo cardinal Gotti che quando noi siamo combattuti e siamo nel pericolo di esser vinti, egli è obbligato a darci l'aiuto bastante a resistere, semprechè ce lo domandiamo: Tenetur Deus cum tentamur, nobis ad eum confugientibus, vires praebere qua possimus resistere et actu resistamus (Card. Gotti, Theol. Schol., t. 2. tr. 6. q. 2. § 3. n. 30).
8. E come possiamo temere che Gesù Cristo non ci aiuti, dopo che n'abbiamo tante sue promesse fatteci nelle sacre Scritture? Venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos (Matth. XI, 28). Venite voi che vi affaticate nel combattere colle tentazioni, ed io vi ristorerò le forze. Et invoca me in die tribulationis, eruam te, et honorificabis me (Ps. XLIX, 15). Quando ti vedi tribolato da' nemici, chiamami, ed io ti caverò dal pericolo, e tu me ne loderai. Tunc invocabis et Dominus exaudiet. Clamabis, et dicet: Ecce adsum (Is. LVIII, 9). Allora chiamerai il Signore in aiuto, ed egli ti esaudirà. Griderai: Presto, Signore, soccorrimi; ed egli ti dirà: Eccomi, son presente per aiutarti. Quis invocavit eum et despexit illum? (Eccli. II, 12). E chi mai, dice il profeta, ha invocato Dio, e Dio l'ha disprezzato senza dargli soccorso? Davide per questo mezzo della preghiera tenea per certo di non esser mai vinto da' nemici, dicendo: Io chiamerò il Signore lodandolo, e sarò salvo da' miei nemici: Laudans invocabo Dominum et ab inimicis meis salvus ero (Ps. XVII, 4). Poich'egli già sapea che Dio si fa vicino ad ognuno che lo chiama in aiuto: Prope est Dominus omnibus invocantibus eum (Ps. CXLIV, 18). E S. Paolo aggiunge che il Signore non è già avaro, ma ricco di grazie, per tutti coloro che l'invocano: Dives in omnes qui invocant illum (Rom. X, 12).
9. Oh volesse Iddio che tutti gli uomini ricorressero a lui quando son tentati ad offenderlo, che niuno certamente l'offenderebbe! Cadono i miseri, perchè, allettati da' loro pravi appetiti, per non perdere quei brevi diletti, si contentano di perdere il sommo bene ch'è Dio. Troppo lo dimostra la sperienza, che chi ricorre a Dio nelle tentazioni, non cade, e chi non ricorre, cade: e specialmente nelle tentazioni d'incontinenza. Dicea Salomone ch'egli ben sapea di non poter essere continente se Iddio non ce 'l concedeva; e perciò nelle tentazioni era a lui ricorso colle preghiere: Et ut scivi quoniam aliter non possem esse continens, nisi Deus det... adii Dominum et deprecatus sum illum etc. (Sap. VIII, 21). In tali tentazioni d'impurità — e lo stesso corre nelle tentazioni contra la fede — non è regola di mettersi a combattere colla tentazione da petto a petto, ma bisogna procurare al principio di quella discacciarla indirettamente con fare un atto buono di amore a Dio o di dolore de' peccati, o pure con applicarsi a qualche azione indifferente distrattiva. Subito che ci accorgiamo di qualche pensiero che tiene viso maligno, subito bisogna licenziarlo, chiudergli, per così dire, la porta in faccia e negargli l'entrata nella mente, senza stare a discifrare che cosa dica e pretenda. Tali suggestioni malvagie bisogna scuoterle subito, come si scuotono le scintille di fuoco che ci saltano addosso.
10. Se poi la tentazione impura è già entrata nella mente ed ha spiegato quel che vorrebbe e già muove il senso, allora, dice S. Girolamo: Statim ut libido titillaverit sensum, erumpamus in vocem: Domine, auxiliator meus (Ep. XXII ad Eustoch.). Subito, dice il santo, che il senso è mosso dal fomite, bisogna ricorrere a Dio e dire: Signore aiutatemi, invocando i santissimi nomi di Gesù e di Maria che hanno una virtù particolare di sopprimere tal sorta di tentazioni. — Dice S. Francesco di Sales che i bambini vedendo il lupo corrono subito fra le braccia del padre e della madre, ed ivi si tengono sicuri. Così dobbiamo fare ancor noi: ricorrere subito a Gesù ed a Maria, invocandoli. Replico, subito ricorrere, senza dare udienza e discorrere colla tentazione. Si narra nel libro delle Sentenze de' Padri al § 4 che S. Pacomio un giorno intese che un demonio vantavasi di aver fatto spesso cadere un certo monaco, perchè colui, quando esso lo tentava, gli dava udienza e non si voltava a Dio. All'incontro intese un altro demonio che si lamentava dicendo: «Ed io col monaco mio niente posso, perchè egli subito ricorre a Dio, e sempre vince».
11. Se poi la tentazione persiste a molestarci, guardiamoci allora d'inquietarci e di adirarci con quella, perchè da un tal disturbamento potrebbe il demonio prender forza a farci cadere. Allora dobbiamo con umiltà rassegnarci alla volontà di Dio, il quale vuol permettere che allora siamo così tormentati da quel laido pensiero, con dire: «Signore, così merito io, di esser molestato da tali schifezze in castigo delle offese che vi ho fatte; ma voi mi avete da soccorrere e liberare». E perciò, se la tentazione seguita a molestarci, seguitiamo noi ad invocare Gesù e Maria. Giova molto allora, quando la tentazione seguita a tormentarci, rinnovar la promessa a Dio di patire ogni tormento e morir mille volte prima che offenderlo: e nello stesso tempo non si lasci di cercargli aiuto. E quando la tentazione fosse così forte che ci vedessimo in gran pericolo di consentirvi, allora bisogna incalzar le preghiere, ricorrere al SS. Sagramento, buttarsi a' piedi di un Crocifisso o di qualche immagine della B. Vergine, e pregare con maggior calore, gemere, piangere, cercando soccorso. È vero che Dio è pronto ad esaudir chi lo prega, ed egli è quello, non già la nostra diligenza, che ha da darci la forza di resistere; ma talvolta vuole il Signore da noi questi sforzi, ed egli poi supplisce alla nostra debolezza e ci fa ottenere la vittoria.
12. Giova ancora, in tempo che siamo tentati, il segnarci più volte la fronte ed il petto col segno della santa croce. Giova molto ancora scovrir la tentazione al padre spirituale. Dicea S. Filippo Neri che la tentazione scoperta è mezzo vinta. Ma qui è bene avvertire, esser dottrina comunemente approvata da' teologi, anche del rigido sistema, che le persone le quali per molto tempo han fatta vita spirituale e son molto timorate di Dio, semprechè stanno in dubbio e non sono certe di aver dato il consenso a qualche colpa grave, debbono tener per certo di non aver perduta la divina grazia; essendo moralmente impossibile che la volontà confermata per molto tempo ne' buoni propositi, in un subito poi si muti e consenta ad un peccato mortale, senza chiaramente conoscerlo. La ragione si è perchè il peccato mortale è un mostro così orribile, che non può entrare in un'anima, la quale per lungo tempo l'ha abborrito, senza farsi chiaramente conoscere. — Ciò l'abbiamo appieno provato nella nostra opera morale (al lib. VI, n. 476, vers. Item). — Dicea S. Teresa: «Niuno si perde senza conoscerlo; e niuno resta ingannato senza voler esser ingannato».
13. Quindi è che per alcune anime di coscienza delicata e ben assodate nella virtù, ma timide e molestate dalle tentazioni — specialmente se sono contra la fede o la castità — sarà spediente talvolta che il direttore vieti loro di svelarle e di parlarne, poichè nel doverle scovrire dovranno riflettere come quei pensieri sieno entrati, e se poi vi è stata dilettazione in discorrervi, se compiacenza o consenso; e così, col maggiormente riflettervi, più s'imprimono quelle fantasie maligne, e più s'inquietano. Quando il confessore sta moralmente certo che a tali suggestioni la persona non vi consente, meglio è che dia loro l'ubbidienza di non parlarne. E trovo che così appunto faceva la madre S. Giovanna di Chantal. Ella narra di sè ch'essendo stata più anni agitata in orrende tempeste di tentazioni e non avendo mai avuta cognizione di consenso a quelle, non mai se n'era confessata, ma aveva seguito a dirigersi colla regola datale dal suo direttore. Dice così: «Non ho avuta mai chiara cognizione di consenso»: dunque, dicendo così, dà ad intendere esserle rimasta qualche agitazione di scrupolo per quelle tentazioni, ma ciò non ostante si quietava coll'ubbidienza datale dal direttore di non confessarsi di tali dubbi. Del resto, comunemente parlando, molto giova per sedar le tentazioni lo scovrirle al confessore, come abbiamo detto di sopra.
14. Ma torno a dire, fra tutti i rimedi contra le tentazioni il più efficace e più necessario, il rimedio de' rimedi, è il pregare Dio per aiuto, e 'l seguitare a pregare, finchè la tentazione persiste. Spesso il Signore avrà destinata la vittoria non alla prima preghiera, ma alla seconda, alla terza, alla quarta. In somma bisogna persuaderci che dal pregare dipende tutto il nostro bene, dal pregare dipende la mutazione della vita, dal pregare dipende il vincere le tentazioni, dal pregare dipende l'ottenere l'amor divino, la perfezione, la perseveranza e la salute eterna.
15. Ad alcuno che avrà lette le mie opere spirituali io mi sarò forse renduto tedioso in raccomandar troppo spesso l'importanza e la necessità di ricorrere a Dio continuamente colla preghiera. Ma a me pare di averne detto non troppo, ma molto poco. Io so che tutti, giorno e notte, siamo combattuti dalle tentazioni dell'inferno, e che il demonio non lascia occasione per farci cadere. So che noi senza l'aiuto divino non abbiamo forza di resistere agli assalti de' demoni, e che perciò l'Apostolo ci esorta a vestirci delle armature di Dio: Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli; quoniam non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum(Eph. VI, 11 et 12). E quali sono queste armi di cui c'insegna S. Paolo ad armarci per resistere a' demoni? Eccole: Per omnem orationem et obsecrationem, orantes omni tempore in spiritu, et in ipso vigilantes in omni instantia (Ibid. 18). Queste armi sono le preghiere continue e fervide a Dio affinchè ci soccorra e non restiamo vinti. So di più che tutte le Scritture, così del Vecchio come del Nuovo Testamento, non fanno altro che ammonirci a pregare: Invoca me... eruam te (Ps. XLIX, 15). Clama ad me, et exaudiam te (Ier. XXXIII, 3). Oportet semper orare et non deficere (Luc. XVIII, 1).Petite et dabitur vobis (Matth. VII, 7). Vigilate et orate (Matth. XXVI, 41). Sine intermissione orate (I Thes. V, 17). Onde non mi pare di averne parlato troppo della preghiera, ma molto poco.
16. Io desidererei che tutti i predicatori niuna cosa raccomandassero tanto a' loro ascoltanti, che la preghiera: che i confessori niuna cosa esortassero tanto con maggior calore a' loro penitenti, che la preghiera: gli scrittori spirituali di niuna cosa parlassero più abbondantemente, che della preghiera. Ma di questo mi lamento, e penso che sia castigo de' nostri peccati, che tanti predicatori, confessori e scrittori, della preghiera poco ne parlano. Non ha dubbio che giovano molto alla vita spirituale le prediche, le meditazioni, le comunioni, le mortificazioni; ma se quando vengono le tentazioni noi non ci raccomandiamo a Dio, noi caderemo con tutte le prediche, con tutte le meditazioni, con tutte le comunioni, con tutte le penitenze, e tutti i buoni propositi fatti. Dunque se vogliamo salvarci, preghiamo sempre e raccomandiamoci al nostro Redentore Gesù Cristo, e specialmente in atto che siamo tentati; e non solo cerchiamogli la santa perseveranza, ma insieme la grazia di sempre pregarlo. E raccomandiamoci sempre ancora alla divina Madre ch'è la dispensiera delle grazie, come dice S. Bernardo: Quaeramus gratiam et per Mariam quaeramus. Mentre lo stesso santo ci fa sapere esser volere di Dio che noi non riceviamo alcuna grazia che non passi per le mani di Maria: Nihil Deus habere nos voluit quod per manus Mariae non transiret.
Affetti e preghiere.
O Gesù mio Redentore, spero al vostro sangue che mi abbiate perdonate le offese che vi ho fatte; e spero di venire a ringraziarvene per sempre in paradiso: Misericordias Domini in aeternum cantabo (Ps. LXXXVIII, 2). Vedo che per lo passato io miseramente son caduto e ricaduto, perchè sono stato trascurato in domandarvi la santa perseveranza. Questa perseveranza ora vi cerco: Ne permittas me separari a te. E propongo di cercarvela sempre, e specialmente quando mi vedrò tentato ad offendervi. Così propongo e prometto; ma a che mi servirà questo mio proposito e promessa, se voi non mi darete la grazia di ricorrere a' piedi vostri? Deh per li meriti della vostra Passione concedetemi questa grazia, di sempre raccomandarmi a voi in tutti i miei bisogni.
Regina e madre mia Maria, vi prego, per quanto amate Gesù Cristo; ad ottenermi questa grazia, di ricorrere sempre al vostro Figlio ed a voi in tutta la mia vita.
Delle desolazioni.
17. «È un inganno, dice S. Francesco di Sales, il voler misurare la divozione colle consolazioni che proviamo. La vera divozione nella via di Dio consiste in avere una volontà risoluta di eseguir tutto ciò che piace a Dio». Iddio colle aridità stringe a sè le anime più dilette. Quel che c'impedisce la vera unione con Dio è l'attacco alle nostre disordinate inclinazioni; onde il Signore quando vuol tirare un'anima al suo perfetto amore, cerca di staccarla da tutti gli affetti de' beni creati. E così prima le va togliendo i beni temporali, i piaceri mondani, le robe, gli onori, gli amici, i parenti, la sanità del corpo; e con tali mezzi di perdite, di disgusti, dispregi, morti e infermità, la va distaccando da tutto il creato, acciocchè ella riponga in lui tutti gli affetti suoi.
18. Indi per affezionarla ai beni spirituali, a principio le fa assaggiare molte consolazioni con abbondanza di lagrime e tenerezze; onde l'anima procura allora di staccarsi da' piaceri sensuali, anzi cerca di macerarsi con penitenze, digiuni, cilizi e discipline. Ma allora bisogna che il direttore la tenga a freno e le neghi di fare mortificazioni, almeno tutte quelle che domanda, perchè la persona spinta da quel fervore sensibile facilmente potrebbe coll'indiscrezione guastarsi la sanità. Questa è arte del demonio, che quando vede alcuno che si dà a Dio, e scorge che Dio lo consola colle carezze solite darsi a' principianti, il nemico cerca di fargli perdere la salute colle penitenze indiscrete, acciocchè poi, sopravvenendo le infermità, lasci non solamente le penitenze, ma l'orazione, le comunioni e tutti gli esercizi divoti, e ritorni alla vita antica. Per tanto il direttore con queste anime che cominciano la vita spirituale e cercano penitenze, dee esser molto avaro in concederle, ma procuri di esortar loro a mortificarsi internamente con soffrire con pazienza i disprezzi e le cose contrarie, ubbidire a' superiori, astenersi dalla curiosità di vedere o di sentire, e cose simili; e dica loro che poi, quando avranno acquistato il buon abito di esercitare tali mortificazioni interne, allora potranno rendersi degne di praticare l'esterne.
Del resto è marcio errore il dire, come dicono alcuni, che le mortificazioni esterne non servono o poco servono. Non ha dubbio che per la perfezione son più necessarie le interne, ma non perciò non son necessarie anche l'esterne. Dicea S. Vincenzo de Paoli che chi non pratica le mortificazioni esterne non sarà mortificato nè esternamente nè internamente. Ed aggiungea S. Giovanni della Croce che ad un direttore che disprezza le macerazioni della carne, ancorchè facesse egli miracoli, non gli si dee dar credenza.
19. Ma ritorniamo al punto. — L'anima dunque ne' principî che si dà a Dio ed assaggia la dolcezza di quelle consolazioni sensibili colle quali cerca il Signore di allettarla e così distaccarla da' piaceri terreni, ella si va staccando dalle creature e si attacca a Dio; ma si attacca con difetto, spinta più dalla sensibilità di quelle consolazioni spirituali che da una vera volontà di dar gusto a Dio; e s'inganna col credere che quanto più trova gusto in quelle sue divozioni tanto più ama Dio. E da ciò nasce che quando vien disturbata da quegli esercizi ove trovava pascolo, e viene impiegata in altre opere di ubbidienza o di carità o di obbligazione del suo stato, s'inquieta e se ne accora: — questo è difetto universale della nostra misera umanità, di cercare in ogni azione la propria soddisfazione — o pure quando in quegli esercizi divoti non vi trova i gusti assaggiati, o gli lascia o almeno gli diminuisce, e, diminuendoli poi da giorno in giorno, finalmente gli lascia tutti. E questa disgrazia succede a molte anime che, chiamate da Dio al suo amore, cominciano a camminare nella via della perfezione, e fanno qualche cammino mentre durano le dolcezze spirituali, ma quando poi cessano quelle, lasciano tutto e ritornano alla vita antica. Ma bisogna persuadersi che l'amore a Dio e la perfezione non consiste nel sentire le tenerezze e le consolazioni, ma nel vincere l'amor proprio e nel seguire la divina volontà. Dice S. Francesco di Sales: «Iddio tanto è amabile quando ci consola, che quando ci tribola».
20. In quello stato di consolazioni non è gran virtù lasciare i gusti sensuali e sopportare gli affronti e le cose contrarie. In mezzo a quelle dolcezze l'anima sopporta tutto, ma tal sofferenza proviene spesso più da quelle dolcezze assaggiate che dalla forza del vero amore a Dio. E perciò il Signore, affin di assodarla nella virtù, si ritira e le toglie quei gusti sensibili, per toglierle ogni attacco all'amor proprio che di tali gusti si pasceva. E quindi avviene che dove prima sentiva gaudio in fare atti di offerte, di confidenza e di amore, dipoi, quando è seccata la vena, fa questi atti con freddezza e pena, e sente tedio negli esercizi più divoti, nell'orazione, nella lezione spirituale e nella comunione; anzi non vi trova altro che tenebre e timori, e le pare che tutto sia perduto. Prega, torna a pregare, e si affligge, parendole che Dio non voglia esaudirla.
21. Veniamo alla pratica di quello che dobbiamo far noi dal canto nostro.
Quando il Signore per sua misericordia ci consola con visite amorose, e ci fa sentire la presenza della sua grazia, non è bene ributtar quelle divine consolazioni, come voleano alcuni falsi mistici; accettiamole con ringraziamento, ma stiamo attenti a non fermarci a gustare e compiacerci del senso di quelle tenerezze di spirito: questa si chiama da S. Giovanni della Croce gola spirituale, la quale è difettosa e non piace a Dio. Attendiamo allora a discacciare dalla mente la compiacenza sensibile di quelle dolcezze; e specialmente guardiamoci di credere che Iddio ci usi quelle finezze perchè meglio degli altri ci portiamo con esso, perchè un tal pensiero di vanità costringerebbe il Signore a ritirarsi in tutto da noi e lasciarci nelle nostre miserie. Bisogna allora sì bene che lo ringraziamo con fervore, perchè tali consolazioni di spirito son doni grandi che fa Dio alle anime, assai più grandi di tutte le ricchezze e degli onori temporali; ma in quel tempo non ci affatichiamo già a prenderci diletto di quei gusti sensibili, ma umiliamoci con metterci avanti gli occhi i peccati della vita passata. Bisogna allora credere che quei tratti amorosi son puri effetti della bontà di Dio, e che forse il Signore anticipa a confortarci con quelle consolazioni, acciocchè soffriamo poi con pazienza qualche gran tribulazione che vuole mandarci. E perciò offeriamoci allora a patire ogni pena esterna o interna che ci avverrà, ogni infermità, ogni persecuzione, ogni desolazione di spirito, dicendo: «Signor mio, eccomi, fatene di me e delle cose mie quel che vi piace; datemi la grazia di amarvi e di adempire perfettamente la vostra volontà, e non altro vi domando».
22. Quando l'anima poi sta moralmente certa di stare in grazia di Dio, benchè sia priva così de' piaceri del mondo come di quelli di Dio, nondimeno sta pur contenta del suo stato sapendo che ama Dio ed è amata da Dio. Ma Dio che vuole vederla più purificata e spogliata di ogni soddisfazione sensibile per unirla tutta a sè per mezzo del puro amore, che fa? La mette nel crogiuolo della desolazione, ch'è una pena più amara di tutte le pene interne ed esterne che può patire una persona; la priva della cognizione di stare in grazia; e la lascia fra dense tenebre, in mezzo alle quali par che l'anima non trovi più Dio. Anzi talvolta Iddio permette ch'ella sia assalita da forti tentazioni di senso accompagnate da moti cattivi della parte inferiore, o pure da pensieri di miscredenza o di disperazione, ed anche di odio a Dio, parendole che il Signore l'abbia discacciata da sè e che più non senta le sue preghiere. E perchè da una parte le suggestioni del demonio son veementi e la concupiscenza della persona sta mossa; ed all'incontro, trovandosi l'anima in quella grande oscurità, quantunque resista colla volontà, non sa però discernere abbastanza, se a quelle tentazioni resiste come dee o vi consente; con ciò maggiormente le cresce il timore di aver perduto Dio, e che Dio giustamente, per le sue infedeltà usate in questi combattimenti, l'abbia in tutto abbandonata. Onde le pare di essere già arrivata all'estrema rovina, di non amare più Dio, e di esser odiata da Dio. Questa pena ben la provò S. Teresa, e confessa la santa che in tale stato la solitudine non più la consolava, ma l'era di tormento, e che quando andava all'orazione le parea di trovare un inferno.
23. Avvenendo ciò ad un'anima che ama Dio, ella non si sgomenti, nè si atterrisca il direttore che la guida. Quei moti sensuali, quelle tentazioni contra la fede, quelle diffidanze e quegli insulti che la spingono ad odiare Dio, sono timori, son tormenti dell'anima, sforzi del nemico, ma non sono atti volontari e perciò non sono peccati. L'anima che veramente ama Gesù Cristo ben resiste allora, e dissente a tali suggestioni; ma, per le tenebre che l'ingombrano, no 'l sa distinguere, resta ella confusa, e, perchè si vede lasciata dalla presenza della grazia, teme e si affligge. Ma ben si scorge poi che in queste anime così provate da Dio tutto è spavento ed apprensione, ma non verità: dimandate loro, anche nel mentre che si trovano così derelitte, se mai commetterebbero un sol peccato veniale ad occhi aperti, che risolutamente risponderebbero di esser pronte a patire non una, ma mille morti, prima che deliberatamente dar quel disgusto a Dio.
24. Bisogna perciò distinguere, altro è fare un atto buono, come di respinger la tentazione, di confidare in Dio, di amare e volere quel che vuole Dio: altro è conoscere che in effetto facciamo quest'atto buono. Questo secondo, di conoscere che facciamo l'atto buono, serve a noi di godimento; ma il profitto sta nel primo, cioè nel far veramente quel buon atto. Iddio si contenta del primo, e priva l'anima del secondo, cioè della cognizione di aver fatto quell'atto buono, affin di toglierle ogni propria soddisfazione che niente in verità aggiunge all'atto fatto, poichè il Signore più cerca il profitto nostro, che la nostra soddisfazione. S. Giovanni della Croce scrisse ad un'anima desolata per consolarla, così: «Non mai voi siete stata in migliore stato del presente, perchè non mai così umiliata e distaccata dal mondo, e non mai riconosciuta così cattiva come ora vi conoscete. Nè siete stata mai così spropriata e lontana dal cercar voi stessa». Non crediamo in somma che allorchè sentiamo più tenerezze di spirito siamo più amati da Dio; poichè non consiste in esse la perfezione, ma nel mortificare la nostra volontà ed unirla alla divina.
25. Nello stato dunque di desolazione, dee l'anima non dare udienza al demonio che le suggerisce averla Dio abbandonata, nè dee lasciar l'orazione. Questo è quel che pretende il demonio per farla poi cadere in qualche precipizio. Scrive S. Teresa: «Con aridità e tentazioni fa prova il Signore de' suoi amanti. Benchè tutta la vita duri l'aridità, non lasci l'anima l'orazione; tempo verrà che tutto le sarà pagato molto bene». In tale stato di pena, dee la persona umiliarsi, pensando che così merita di esser trattata per le offese fatte a Dio: umiliarsi e rassegnarsi tutta nel divino volere, dicendo: «Eccomi, Signore, se volete farmi star così desolata e afflitta per tutta la mia vita, e se volete anche per tutta l'eternità, datemi la grazia vostra, fate ch'io vi ami, e poi fate di me quel che vi piace».
26. E vi sarà inutile allora, e forse di maggior inquietudine, il voler accertarvi che stiate in grazia di Dio e che quella sia pruova non già abbandono di Dio, perchè Dio allora non vuole che lo conosciate; e non vuole per vostro maggior profitto, acciocchè più vi umiliate, ed accresciate le preghiere e gli atti di confidenza nella sua misericordia. Voi volete vedere, e Dio non vuole che vedete. Per altro dice S. Francesco di Sales: «La risoluzione di non consentire a niun peccato, anche minimo, ci assicura che stiamo in grazia di Dio». — Ma quando l'anima si ritrova in una profonda desolazione, ciò neppure lo conosce chiaramente; ma non dee ella pretendere in tale stato di sentire quel che vuole, basta che lo voglia colla punta della sua volontà. E così dee abbandonarsi tutta nelle braccia della divina bontà. Oh quanto innamorano Dio questi atti di confidenza e di rassegnazione in mezzo alle tenebre della desolazione! Ah fidiamoci pure di un Dio che, come dice S. Teresa, ci ama più che noi amiamo noi stessi.
27. Si consolino pertanto queste anime care a Dio che stanno risolute di esser tutte sue e si vedono prive nello stesso tempo di ogni consolazione. La loro desolazione è segno che sono molto amate da Dio, e ch'egli lor tiene apparecchiato il luogo in paradiso ove le consolazioni son piene ed eterne. E tengano per certo che quanto più saranno state afflitte in questa terra, tanto più saran consolate nel regno de' beati: Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuae laetificaverunt animam meam (Ps. XCIII, 19).
Per consolazione delle anime desolate voglio qui soggiungere quel che si narra nella vita della madre S. Giovanna di Chantal, la quale per lo spazio di 41 anni fu afflitta da terribili pene interne, di tentazioni, di timori di stare in disgrazia di Dio, ed anche di essere abbandonata da Dio. Erano sì continue e sì grandi le sue afflizioni che giungeva a dire che il solo pensiero della morte le dava qualche sollievo. Dicea di più: «Son tanto furiosi gli assalti, che non so dove ricoverare il povero mio spirito. Mi sembra talvolta che già se ne fugga la pazienza, ed io stia in atto di perdere e lasciare ogni cosa». Dicea di più: «Il tiranno della tentazione è sì crudele, che ogni ora del giorno io la cangerei colla perdita della vita. E talvolta perdo l'uso del mangiare e del dormire».
28. Negli ultimi otto o nove anni di sua vita le sue tentazioni furono assai più fiere. La madre di Scatel dicea che la sua santa madre di Chantal pativa giorno e notte un continuo martirio interno, quando faceva orazione, quando lavorava ed anche quando riposava; ond'ella ne avea un'estrema compassione. Era la santa combattuta contra tutte le virtù, eccettuata la castità, con sollevamenti di dubbi, di tenebre e di ripugnanze. Talvolta Iddio la privava de' suoi lumi, e le compariva sdegnato, come in atto di scacciarla da sè: in modo ch'ella per lo spavento volgeva lo sguardo altrove per trovar sollievo; ma, non trovandolo, era astretta di ritornare a guardare Iddio e ad abbandonarsi nella sua misericordia. Le parea che all'empito delle tentazioni stesse per cadere ogni momento. L'assistenza divina non già l'abbandonava, ma a lei sembrava che Dio già abbandonata l'avesse, non sentendo più alcuna soddisfazione, ma solo tedi ed angosce, nell'orazione, nella lettura de' libri divoti, nella comunione ed in tutti gli altri esercizi spirituali. La sua guida in tale stato di derelizione non era altro che mirar il suo Dio e lasciarlo fare.
29. Diceva la santa: «In tutti i miei abbandonamenti la mia via semplice mi è una nuova croce, e la mia impotenza di operare mi è un nuovo accrescimento di croce». E perciò dicea parerle esser ella come un infermo oppresso da' dolori, impotente a voltarsi da un lato all'altro, muto che non può spiegare i suoi mali, e cieco che non vede se quelli che gli vengono davanti gli rechino medicina o veleno. Indi piangendo dirottamente soggiungeva: «Mi pare di esser senza fede, senza speranza e senza amore verso il mio Dio». Frattanto non però la santa conservava il volto sereno, era dolce nel conversare, e continuamente tenea lo sguardo fisso in Dio, riposando nel seno della divina volontà. Onde scrisse di lei S. Francesco di Sales suo direttore e che ben conoscea quanto fosse diletta a Dio la di lei bell'anima: «Era il di lei cuore come un musico sordo, che sebbene eccellentemente cantasse, non potea ritrarne alcun piacere». Ed a lei stessa poi scrisse: «Voi dovete servire il vostro Salvatore solo per amore della sua volontà, colla privazione d'ogni consolazione, e con questi diluvi di tristezza e di spaventi». Così si fanno i santi:
Scalpri salubris ictibus,
Et tunsione plurima,
Fabri polita malleo
Hanc saxa molem construunt,
Aptisque iuncta nexibus,
Locantur in fastigio.
I santi già sono queste pietre elette, come canta la Chiesa, che lavorate a colpi di scalpello, cioè colle tentazioni, co' timori, colle tenebre, e con altre pene interne ed esterne, si rendono atte ad esser poi collocate ne' troni del regno beato del paradiso.
Affetti e preghiere.
Gesù, speranza mia, amor mio ed unico amore dell'anima mia, io non merito le vostre consolazioni e dolcezze: riserbatele queste alle anime innocenti che sempre vi hanno amato. Io peccatore non le merito nè ve le domando; quel che solo vi cerco: fate ch'io v'ami, fate ch'io adempia la vostra volontà in tutta la mia vita, e poi disponete di me come vi piace.
Povero me! altre tenebre, altri spaventi, altri abbandoni a me toccherebbero per le ingiurie che vi ho fatte: mi toccherebbe l'inferno, ove, stando per sempre separato da voi e da voi affatto abbandonato, dovrei piangere eternamente senza potervi più amare. No, Gesù mio, ogni pena accetto, ma non questa. Voi meritate un amore infinito; voi troppo mi avete obbligato ad amarvi; no, non mi fido di vivere e non amarvi.
Io v'amo, sommo mio bene, v'amo con tutto il mio cuore, v'amo più di me stesso, v'amo e non voglio altro che amarvi.
Vedo già che questa mia buona volontà è tutto dono della vostra grazia; ma, Signor mio, compite l'opera, assistetemi sempre sino alla morte, non mi lasciate in mano mia, datemi forza di superar le tentazioni e di vincer me stesso, e perciò fate che sempre a voi mi raccomandi.
Io voglio esser tutto vostro, vi dono il mio corpo, l'anima mia, la mia volontà, la mia libertà; non voglio vivere più a me, ma solo a voi, mio Creatore, mio Redentore, mio amore, mio tutto: Deus meus et omnia. Io voglio farmi santo e da voi lo spero.
Affliggetemi come volete, privatemi di tutto, basta che non mi private della vostra grazia e del vostro amore.
O speranza dei peccatori Maria, voi siete così potente con Dio, io molto confido nella vostra intercessione; vi prego per l'amore che portate a Gesù Cristo, aiutatemi e fatemi santo.
Addio, creature, contento vi lascio:
Più vostro non sono, nè sono più mio:
Da tutto già sciolto, io son del mio Dio.
Sì, tutto son tuo, mio caro Gesù;
Amato mio bene, accettami tu.
Amabil Signore, deh prenda il possesso
Di tutto me stesso il santo tuo amore:
Ei regni e governi in questo mio core
Che un tempo infelice ribelle a te fu.
Amabil Signore, possedimi tu.
O amore divino che rendi beate
Con fiamme celesti quell'alme che accendi,
Tu vieni al mio core, e degno tu 'l rendi
Del tuo puro ardore infiammami su,
O amore divino, consumami tu.
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