giovedì 7 novembre 2013

SANTI é BEATI :

Beato Giovanni Duns Scoto
1265 - 1308
Nacque tra il 23 dicembre 1265 e il 17 marzo 1266, in Scozia da cui il soprannome «Scoto». La città natale, Duns portava lo stesso nome della sua famiglia. Sin da bambino entrò in contatto con i francescani, di cui tredicenne iniziò a frequentare gli studi conventuali di Haddington, nella contea di Berwich. Terminati gli studi in teologia si dedicò all'insegnamento prima a Oxford, poi a Parigi e Colonia. Qui, su incarico del generale della sua Congregazione doveva fronteggiare le dottrine eretiche, ma riuscì a dedicarsi per breve tempo all'impresa. Morì infatti pochi mesi dopo il suo arrivo, l'8 novembre 1308. Giovanni Duns è considerato uno dei più grandi maestri della teologia cristiana, nonché precursore della dottrina dell'Immacolata Concezione. Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 20 marzo 1993 definendolo «cantore del Verbo incarnato e difensore dell'Immacolato concepimento di Maria». Le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dei frati minori di Colonia. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Colonia in Lotaringia, ora in Germania, beato Giovanni Duns Scoto, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, di origine scozzese, maestro insigne per sottigliezza di ingegno e mirabile pietà, insegnò filosofia e teologia nelle scuole di Canterbury, Oxford, Parigi e Colonia.
Ascolta da RadioRai:
  

La Scozia è la patria del francescano Giovanni Duns, soprannominato Scoto (dalla nazione Scozia come l’Università di Parigi suddivideva gli studenti per nazioni). Paese affascinante che armonizza nella sua natura tutti i contrasti più selvaggi e i suoi paesaggi più ameni. In uno di questi luoghi, Duns, tra la fine del 1265 e l'inizio del 1266, nasceva un bimbo nella casa di Niniano Duns - omonomia tra luogo e cognome - a cui venne dato il nome di Giovanni.
A ricordo di questo evento, un ceppo marmoreo ne ricorda il posto dal 17 marzo 1966, mentre un busto di bronzo nei giardini pubblici ne conserva il ricordo ai posteri.
Dopo le iniviali occupazioni di sorvegliante del gregge minuto, che lo videro sempre più immerso nella bellezza variopinta della natura, Giovanni riceve la necessaria formazione scolastica all’ombra delle due vicine abbazie circestensi di Melrose e di Dryburg, che gli accesero l’amore per la Madonna e per la liturgia.
A 13 anni, Giovanni frequenta gli studi conventuali della vicino Haddington, principale centro della conte di Berwich, in cui da poco si erano insediati i Francescani, che nella famiglia dei Duns trovarono dei grandi benefattori. E proprio in quell’anno, 1278, viene eletto Vicario della Scozia francescana, un uomo pio dotto e stimato da tutti, padre Elia Duns, zio paterno di Giovanni. Quando padre Elia ritornò nel suo convento di Dumfriers; condusse con sé anche il nipote per ammetterlo all’Ordine, facendo da garante per la sua costituzione sia fisica che spirituale, dal momento che Giovanni aveva appena 15 anni e che per diritto canonico occorrevano almeno 18 anni per entrare nel noviziato.
Il silenzio della storia, in quest'anno di prova religiosa, è sovrano e solenne. Tutto sembra presagire che il giovane novizio si sia lasciato inebriare e affogare dall'amore di Dio, rivelato in Cristo Gesù, mediante la Vergine Madre. È un anno di grazia speciale e di esperienza mistica, secondo lo spirito giovanile ed entusiastico dell’ideale francescano, che proneveva - bonaventurianamente - anche l’amore per lo studio come preghiera e lavoro. È nella notte del Natale 1281, quando Giovanni si preparava alla professione religiosa, che bisogna collocare l'episodio della dolce apparizione del Bambino Gesù tra le sue braccia, come segno del profondo suo amore verso la Vergine Madre.
Profetico auspicio o logica deduzione?
Tutti e due insieme. Poesia e teologia, mistica e metafisica si baciano in questo presagio di ineffabile grazia. La sua dottrina sul primato di Cristo e sull'immacolata Concezione ne fa fede.
Terminati gli studi istituzionali che consentono di accedere al sacerdozio, il 17 marzo 1291, nella chiesa di S. Andrea a Northampton, Giovanni Duns Scoto riceve dal vescovo di Lincoln, Oliverio Sutton, l'ordine sacro. Aveva 25 anni compiti, secondo le conclusioni tratte dal Registrum Episcopale del vescovo.
Per le sue ottime qualità intellettive e spirituali viene designato dai Superiori a frequentare il corso dottorale nella celebre Università di Parigi, ritenuta da tutti la "culla" e la "metropoli" della filosofia e della teologia in Occidente. Avrebbe dovuto conseguire il titolo accademico di Magister regens, nel 1303, ma la triste controversia tra il re di Francia, Filippo il Bello, e il papa Bonifacio VIII, ne ritarda il conseguimento nella primavera del 1305, quando le acque si erano momentaneamente calmate.
La politica egemonica di Filippo il Bello aveva orientato verso di sé la quasi totalità dell'opinione pubblica francese. Ne è segno tangibile la spaccatura che si registra nello Studium generale francescano di Parigi: gli "appellanti" (68 firmatari) erano favorevoli al Re; mentre i "non-appellanti" (87 firmatari), al Papa. Nella lista dei "non-appellanti", il nome di Johannes Scotus figura al 19° posto.
La posta in gioco era molta alta. Ai "non-appellanti" veniva aperta la via dell'esilio con la confisca dei beni e la cessazione di ogni attività accademica. E Giovanni Duns Scoto, fedele alla Regola di Francesco d'Assisi, che raccomanda amore rispetto e riverenza al "Signor Papa", il 25 giugno del 1303 prende la via dell'esilio, dimostrando profonda fede e grande coraggio.
Nel novembre 1304, quando le acque si calmarono per la morte di Bonifacio VIII, il Ministro Generale dei Frati Minori, fr. Gonsalvo di Spagna, raccomanda, al superiore dello Studium di Parigi, Giovanni Duns Scoto per il Dottorato, con queste parole:
«Affido alla vostra benevolenza il diletto padre Giovanni Scoto, della cui lodevole vita, della sua scienza eccellente e del suo ingegno sottilissimo, come delle altre virtù, sono pienamente informato sia per la lunga esperienza sia per la fama che dappertutto egli gode». E’ il primo e solenne “panegirico”
Così il 26 marzo del 1305, Giovanni Duns Scoto riceve l'ambìto titolo di magister regens che gli permetteva di insegnare ubique e rilasciare titoli accademici. Ha goduto del titolo solo tre anni: due a Parigi e uno a Colonia.
Dell'insegnamento parigino merita segnalare la storica disputa sostenuta nell'Aula Magna dell'Università (di Parigi), nei primi mesi del 1307, sulla Immacolata Concezione.
I pochi mesi trascorsi a Colonia, invece, sono molto intensi e ricchi di attività: riorganizza lo Studium generale e combatte l'eresia dei Beguardi e delle Beghine (che negavano ogni autorità alla Chiesa, ogni valore ai Sacramenti, alla preghiera e alle opere di penitenza) e si ricorda anche l’estasi pubblica avvenuta durante una sua predica nella chiesa.
L'intensa attività di lavoro, insieme alle conseguenze del viaggio da Parigi, mina la robusta costituzione e l'8 novembre 1308, Giovanni Duns Scoto entra nella pace del Signore, all'età di 43 anni.
Attualmente l'urna delle ossa del Beato Giovanni Duns Scoto è situata al centro della navata sinistra (guardando dall'ingresso) della chiesa francescana di Colonia nell'elegante e semplice sarcofago, costruito con pietra calcare di conchiglia di colore grigio, opera dello scultore Josef Hontgesberg. Tra i tanti motivi decorativi, è riprodotta l'antica iscrizione:
Scotia me genuit
Anglia me suscèpit
Gallia me docuit
Colonia me tenet
La primitiva iscrizione tombale così recitava:
«È chiuso questo ruscello, considerato fonte viva della Chiesa;
Maestro di giustizia, fiore degli studi e arca della sapienza.
Di ingegno sottile, della Scrittura i misteri svela,
In giovane età fu [rapito al cielo], ricordati dunque, di Giovanni.
Lui, o Dio, ornato [di virtù] fa che sia beato in cielo.
Per un [così gran] Padre involato inneggiamo con cuore grato al Signore.
Fu [Duns Scoto] del clero guida, del chiostro luce e della verità [apostolo] intrepido».

La sua tomba a Colonia è mèta di continui pellegrinaggi. Anche l'attuale Pontefice ha sostato in preghiera il 15 ottobre 1980, chiamandolo "torre spirituale della fede".Dopo la pubblicazione del Decreto di Canonizzazione nel 6 luglio 1991, il Santo Padre ne confermò solennemente il culto il 20 marzo 1993. La memoria liturgica è l’8 novembre.

Autore:
Lauriola Giovanni ofm

(Lc 16,1-8) I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

VANGELO
 (Lc 16,1-8) I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». 

Parola del Signore
(Lc 16,1-8) I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
(Lc 16,1-8) I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Di Sapienza e d’Amore, aiutami a comprendere il senso delle parole di Gesù e viverle con tutta me stessa.

In questa pagina può sembrare quasi che il Signore voglia lodare l’amministratore disonesto, ma imparando un po’ a conoscere Gesù, abbiamo capito che è un provocatore. Infatti quello che vuole dire è che se la stessa scaltrezza che usiamo per amministrare le cose terrene, la usassimo per quelle spirituali saremmo lodevoli.
Vediamo che l’amministratore disonesto, cerca di attirare a se i debitori del padrone sperando che questi possano ricordarsene poi, quando sarebbe restato senza lavoro, e magari lo avrebbero potuto aiutare.
Mi viene da pensare a certi rimaneggiamenti, ai ribaltoni , a quegli accordi sotto al tavolino che i politici fanno con i nemici comuni dell’avversario. Chiaramente tutto questo riguarda la scaltrezza di chi si occupa delle sue cose, dandogli una certa importanza, ma è sbagliato pensare solo alle cose terrene, addirittura cercando nella disonestà la soluzione ai problemi, perché dovremmo dare almeno la stessa importanza al futuro della nostra anima, perché perdendo la strada dell’onestà e della correttezza ci mettiamo in pericolo e dobbiamo considerare che la vita terrena è un passaggio, ma oltre questa c’è l’eternità.
Che cosa vogliamo fare di noi stessi? In questo secolo in cui non si dà importanza all’anima, vogliamo forse vendercela come spesso facciamo con il nostro corpo? Vogliamo dimostrare di non avere padroni rendendoci schiavi di un benessere mortale, mentre disprezziamo quello immortale dell’amore di Dio?
Attenti fratelli, forse non arriveremo mai ad essere perfetti amministratori della nostra condotta, cerchiamo almeno di mettercela tutta, ma come figli della luce, sapendo bene la via sulla quale incamminarci, e non come figli delle tenebre, brancolando nel buio.

mercoledì 6 novembre 2013

12 - Preghiera della sera (Compieta del Mercoledi) - Nuova versione (+pl...



Al termine del giorno, o sommo Creatore, veglia sul nostro riposo con amore di Padre. Dona salute al corpo e fervore allo spirito, la tua luce rischiari le ombre della notte. Nel sonno delle membra resti fedele il cuore, e al ritorno dell'alba intoni la tua lode. Sia onore al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, al Dio trino ed unico nei secoli sia gloria. Amen.

VOCE DI SAN PIO :

-" Anche voi – medici – siete venuti al mondo, come sono venuto io, con una missione da compiere. Badate: vi parlo di doveri in un momento in cui tutti parlano di diritti… Voi avete la missione di curare il malato; ma se al letto del malato non portate l’amore, non credo che i farmaci servano molto… L’amore non può fare a meno della parola. Voi come potreste esprimerlo se non con parole che sollevino spiritualmente il malato?… Portate Dio ai malati; varrà di piú di qualsiasi altra cura." (LCS, 5-V-58, p. 28).

SANTI é BEATI :

- San Prosdocimo di Padova Protovescovo
7 novembre

Sec. II

Viene onorato, dalla tradizione, come il primo vescovo di Padova, patrono della città euganea, e anche, secondo la opinione di vari studiosi, probabile evangelizzatore di tutta la Venezia occidentale. Anche la più bella immagine di San Prosdocimo venne dipinta da un padovano, il grande quattrocentista Andrea Mantegna. Fa parte di un polittico intitolato a Santa Giustina, altra celebre martire di Padova, che si trova attualmente nella Pinacoteca di Brera, a Milano. In questo, san Prosdocimo appare con il tipico attributo della brocca, simbolo della sua infaticabile attività di battezzatore. Inviato dallo stesso san Pietro, Prosdocimo a Padova avrebbe compiuto prodigi e miracoli. Dopo la sua morte si trova citata, fuori dalle mura di Padova, una «Ecclesia Sancti Prosdocimi», nota più tardi come basilica di Santa Giustina. Il vescovo, infatti, avrebbe convertito proprio Giustina, e la donna cristiana seppe mantenere intatta la sua fede, affrontando il martirio nella persecuzione di Nerone. (Avvenire)

Etimologia: Prosdocimo = l'atteso, l'aspettato, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Padova, san Prosdocimo, che si ritiene sia stato il primo vescovo di questa città.

Ci sono nomi che suonano familiari e addirittura tipici in certe città d'Italia, mentre altrove sono considerati insoliti, strani, addirittura inauditi. Sono nomi legati al culto di un Santo locale, in molti casi un antico Vescovo, in altri un Martire.
Non molto tempo fa abbiamo parlato di Lecce, e del suo tipico Sant'Oronzo. Potremmo aggiungere Brescia, con San Giovita; Cagliari, con San Lucifero; Carrara, con San Ceccardo. E finalmente Padova, con San Prosdocimo.
Il nome di Prosdocimo per quanto oggi poco frequente, denunzia immediatamente una provenienza veneta, e in particolare patavina. E questo perché il Santo viene onorato, dalla tradizione, come il primo Vescovo di Padova, Patrono della città euganea, e anche, secondo la opinione di vari studiosi, probabile evangelizzatore di tutta la Venezia occidentale.
Anche la più bella immagine di San Prosdocimo venne dipinta da un padovano, il grande quattrocentista Andrea Mantegna. Fa parte di un polittico intitolato a Santa Giustina, altra celebre Martire di Padova, che si trova attualmente nella Pinacoteca di Brera, a Milano. In questo, San Prosdocimo appare con il tipico attributo della brocca, simbolo della sua infaticabile attività di battezzatore.
Il significato etimologico del nome di Prosdocimo è molto bello, perché in greco significa " atteso ". Si può dire che San Prosdocimo, primo Vescovo di Padova, fu veramente l'atteso di quella città ancora pagana, nella quale sarebbe stato inviato dallo stesso San Pietro, dopo la consacrazione episcopale.
Nella dolce plaga euganea, San Prosdocimo avrebbe compiuto prodigi e miracoli, che una tardiva Leggenda descrisse con evidente libertà d'immaginazione. Chi si occupa di agiografia è abituato a certe letture che, nella pia intenzione degli autori, dovrebbero essere edificanti, ma che, per eccesso di zelo, finiscono con l'essere ingenue.
Fortunatamente, una certa ingenuità conferisce spesso una nota di poesia anche ai testi più stanchi a causa delle ripetizioni e dei ricalchi. A volte, però, gli scarni documenti sono più eloquenti delle ridondanti leggende. E' il caso di San Prosdocimo, per il quale, dopo la morte, si trova citata, fuor delle mura di Padova, una Ecclesia Sancti Prosdocimi, nota più tardi come basilica di Santa Giustina, una delle più belle della città.
La gloria di San Prosdocimo sarebbe stata infatti Santa Giustina, festeggiata il 7 ottobre. San Prosdocimo l'avrebbe convertita, e la donna cristiana seppe mantenere intatta la sua fede, affrontando il martirio nella persecuzione di Nerone.
Il Vescovo di Padova, invece, fu risparmiato, non si sa bene né come né perché. Giunse al termine naturale della sua vita, carico di meriti e di anni, amato come padre, venerato come Santo: San Prosdocimo, che in greco vuol dire " l'atteso ".


Fonte:
Archivio Parrocchia

(Lc 15,1-10) Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte.

VANGELO
(Lc 15,1-10) Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Parola del Signore


LAMIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e donami la grazia di comprendere le scritture, dammi la forza di viverle e di fare tutto quello che tu desideri da me. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Gesù va avanti per la sua strada, non gli interessa avere l’approvazione di chi conta in città, anzi, il suo comportamento è una continua provocazione, perché sa qual è il suo scopo, che è quello di riportare i peccatori sulla via della salvezza, di ricondurli al Padre.
Questa cosa certo non è facile da comprendere per scribi e farisei, che tenevano a debita distanza tutti quelli che non facevano parte della loro cricca di colti e benestanti. Se ci pensiamo, scartavano i poveri, i malati, i peccatori, i bisognosi… insomma tutti quelli che invece erano cari al Signore, considerandosi un’ élite.
Gesù li ammoniva, li riprendeva e spesso li accusava d’essere falsi ed ipocriti, proprio a loro che si sentivano così giusti ed invece quando parlava con i peccatori, sembrava quasi che li amasse di più di loro, perché non aveva mai una parola di rimprovero. Gesù, che comprende la loro rabbia, cerca di spiegargli con questa parabola il motivo di tanta comprensione per i peccatori.
Gli ebrei anticamente, erano un popolo di nomadi, dediti alla pastorizia e
all’ allevamento, quindi l’esempio della pecora e della moneta perdute, era il più adatto per far capire loro quanto era importante per Lui recuperare alla grazia di Dio quelli che n’erano sfuggiti, e si erano perduti per le vie del mondo. Quale gioia per il Padre ritrovare i suoi figli. A suo tempo ci parlò della parabola del figliol prodigo, in cui il padre fa festa per il figlio perduto e ritrovato. Questo è quello che da gioia al Signore, che pur lasciandoci liberi, non ci dimentica mai, e non vede l’ora che torniamo a riabbracciarlo. Se veramente amiamo Dio, non facciamo come i farisei, ma, come sta facendo il Santo Padre Francesco, apriamo il nostro cuore a chi non crede, non fermiamoci al giudizio, ma aiutiamoli a ritrovare la strada. Questo è quello che fa chi ama il Padre , proprio come ha fatto Gesù. 

martedì 5 novembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Rifletti su quello che scrivi, perché il Signore te ne chiederà conto. Stai attento, giornalista! Il Signore ti dia le soddisfazioni che desideri per il tuo ministero." (CT, 177).

SANTI é BEATI :

- Sant' Iltuto (Iltud Farchog) Abate e fondatore

6 novembre

Bretagna, 480 – Llantwitt, Galles, † 540 ca.

Illtud Farchog nasce nel 480, è figlio di un principe bretone, Bican. In gioventù i genitori lo mandano a studiare presso uno zio, san Garmon, che più tardi sarà vescovo di Manaw. Anche se si dimostra un ottimo studente, soprattutto nel campo della letteratura, Illtud preferisce alla strada religiosa la carriera militare. Dopo aver appreso le arti cavalleresche si mette al servizio del cugino, re Arthur. Riceve però l'offerta di un posto nella guardia reale del re Pawl di Penychen, nel Gallles, e si trasferisce a Nant Pawl. Dopo un incontro quanto mai fortunoso con san Cadog Illtud decide di diventare monaco a Hodnant Valley. È qui che, con l'aiuto dell'arcivescovo san Dyfrig, costruisce il monastero di Llanilltud Fawr. In questo luogo raccoglie attorno a sé diversi monaci. Da qui usciranno molti dei santi gallesi. Secondo Alcuni Illtud muore in Britannia, ma le sue reliquie sembra siano custodite nella chiesa di Llanilltud Fawr. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel monastero di Llanilltud Fawr in Galles, sant’Iltuto, abate, fondatore di questo cenobio, nel quale la fama della sua santità e della sua insigne dottrina raccolse molti discepoli.

Non è facile districarsi fra i tanti nomi, difficili a pronunziarsi, che riguardano persone e luoghi, bretoni e gallesi, che s’incontrano nel racconto della vita di s. Iltuto abate.
D’altra parte bisogna dire, nonostante che s. Iltuto goda di grande fama fra i santi del Galles, di lui non si sa quasi niente di certo; non esistono ‘Vitae’ proprie, che ne parlino e le fonti più antiche non hanno valore storico.
È menzionato per la prima volta, nell’antichissima ‘Vita’ di san Sansone di Dol, scritta nel 610 ca., dove si legge che Sansone (Samson), prima di partire per Ynys Pir, nell’isola di Caldey, era stato discepolo dell’illustre ‘maestro dei Britanni’ Iltuto, nella sua abbazia di Llantwitt.
Iltud Farchog, nacque nel 480 in Bretagna, figlio del principe bretone Bican; come era consuetudine, i genitori si preoccuparono di dargli educazione e formazione adeguata e lo mandarono a studiare presso uno zio, san Garmon, che in seguito sarà vescovo di Manaw.
Una successiva ‘Vita’ di s. Iltud, scritta nel XII secolo da un religioso dei Chierici Regolari, fornisce notizie prive di valore certo, ma che furono purtroppo credute e così vennero tramandate, certamente questa ‘Vita’ è una raccolta di prodigi leggendari, che videro protagonista il santo abate.
Nel testo, sant’Iltud Farchog è descritto come un ottimo studente, eccellente nel campo della letteratura, ma poi preferì la carriera militare invece che la strada religiosa; prosegue il testo, che dopo aver appreso le arti dei cavalieri, il giovane si mise al servizio del cugino, re Arthur, ricevé poi l’offerta di un posto nella guardia reale del re Pawl di Penychen, nel Galles e si trasferì quindi a Nant Pawl.
Ma il Signore decise diversamente, Iltud dopo un incontro provvidenziale con l’abate gallese san Cadog, cambiò vita e volle diventare monaco a Hodnant Valley.
La suddetta ‘Vita’, cita anche che Iltud si era sposato, per lasciare poi la moglie in un modo da biasimare per farsi monaco; ma l’esistenza della moglie è poco probabile e comunque non provata.
Divenuto monaco, Iltud, con l’aiuto dell’arcivescovo san Dyfrig, costruì il monastero di Llatwitt Fawr, nel Glamorganshire; monastero che poi prenderà nel tempo il suo nome, Llaniltud Fawr.
Come molte altre abbazie del tempo, divenne un centro di spiritualità molto famoso, i suoi monaci provenivano dalle regioni dell’odierna Gran Bretagna, ma anche dalla Bretagna francese, dove poi ritornavano dopo un certo numero di anni, diffondendo la spiritualità, il sapere e la civiltà in tutta Europa, spesso fondando a loro volta nuove abbazie; fu il tipico affermarsi del monachesimo, nel periodo oscuro del Medioevo, che fra l’altro ebbe il merito di salvare, conservare e riprodurre, il patrimonio scritto, della civiltà classica e romana.
Fra i discepoli dell’abate Iltud, il più celebre fu san Sansone di Dol (485 - †565) che era stato monaco a Llantwitt e qui ordinato sacerdote, prima di lasciare l’amico-maestro per l’isola di Caldey; fra i vari santi gallesi provenienti da Llantwitt, ci fu anche s. Paolo di Leon, compagno di Sansone
Sant’Iltuto fu senz’altro uomo di grande dottrina e doni spirituali, infatti nella ‘Vita’ di s. Sansone, si narra che chiamò i due abati Isanus e Atochius, e conscio della loro prossima fine, predisse ad Atochius subito dopo la morte il paradiso e all’altro le sofferenze del purgatorio, a causa della sua avarizia.
Rimproverò più volte Sansone per gli eccessivi digiuni che faceva; la stretta amicizia con il discepolo Sansone, suscitò la gelosia di due nipoti del santo abate, anch’essi monaci, che tentarono senza successo di avvelenarlo.
Sulla morte del santo vi sono discordanze, la ‘vita’ di s. Sansone riporta che Iltud morì nel monastero di Llantwitt nel 540 ca. e lì sepolto; successivi racconti affermano invece, che egli era bretone d’origine e quindi ritornò in Bretagna per morirvi; la chiesa bretone di Landelbearon afferma di possedere la reliquia del suo teschio; il culto è diffuso sia nel Galles, dove chiese e pozzi portano il suo nome, sia in Bretagna dove probabilmente trascorse del tempo con Sansone, divenuto vescovo di Dol, appunto nella Bretagna francese.
La festa liturgica del santo abate fondatore Iltuto, si celebra il 6 novembre.


Autore: Antonio Borrelli

(Lc 14,25-33) Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

VANGELO 
(Lc 14,25-33) Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Parola del Signore

(Lc 14,25-33) Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
(Lc 14,25-33) Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

La mia riflessione
Preghiera

Vieni o Santo Spirito ed illumina con la tua parola la mia vita,fa che io possa comprendere quello che tu vuoi che io comprenda,e alla luce della tua parola possa vivere come Dio vuole.
Gesù non è venuto per sovvertire la parola di Dio, infatti se ci riflettiamo, non ha detto nulla che mutasse i dieci comandamenti scritti su tavola di pietra, (immutevoli nel tempo) dal dito di Dio, ma ha aggiunto e precisato le leggi che Mosè e i profeti avevano aggiunto per dare un regolamento al popolo di Dio. Per questo Gesù è venuto prima in predicazione, per far capire agli uomini che Dio non vuole solo obbedienza cieca, come credevano gli ebrei, ma anche amore, perché siamo stati creati e salvati per amore.
Chiaro quindi che seguire Gesù deve essere un gesto dettato da questa consapevolezza, perché altrimenti riesce anche difficoltoso avere fede se non si riesce a capire che tutto quello che ci unisce a Dio è amore allo stato puro, sublimizzato da parte sua, che ha donato la vita per la nostra salvezza e che amandoci, non può certo volere il nostro male.
Ecco quindi il senso di lasciare tutto quello che è terreno per seguirlo, non ci vuole dire di abbandonare la nostra famiglia, ma di considerare sempre Dio, come punto focale della nostra vita perché solo da Lui può venire la nostra salvezza, solo dalle sue parole, costituite in comandamenti, solo per il nostro bene.
 Per esempio, a volte ad un uomo può capitare di conoscere una donna che vuole tutto, anche quello che onestamente non si può ottenere, con il proprio lavoro e pur di non perderla, costui scenderà a patti col diavolo, accettando di compiere furti o brogli, quell'uomo antepone il suo interesse e quello della donna alla legge di Dio e questo non è giusto, e non servirà a trovare la felicità, perché la sua unione non è costruita saldamente sull' amore reciproco, che non teme le difficoltà, ma su false fondamenta.
Leggendo queste parole capiamo che non si può vivere secondo Cristo e cercare di accumulare ricchezze, senza occuparsi dei fratelli in difficoltà, ma quello che ci dice Gesù è qualcosa di più, è un insegnamento a non fare calcoli prettamente umani, perché lui non ci fa promesse di ricchezza e potere come un potente della terra, ma di mettere in conto che la nostra fiducia deve essere sincera e totale, non deve temere le difficoltà, perché il nostro deve essere un affidarci completamente a Dio.Lasciare tutto, lasciare anche noi stessi e i nostri interessi terreni, per poter seguire Gesù, solo così potremo cominciare a capire che significa donarsi,che significa sacrificarsi per amore,condividere il volere del Padre per la salvezza dei fratelli


lunedì 4 novembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" In ogni cosa e sempre, piú rettitudine di intenzione, piú esattezza, piú puntualità, piú generosità nel servizio del Signore e allora sarai quale il Signore vuole che tu sia." (GB, 48).

San Leopoldo Mandić preghiamo per i malati.

-PER CHI SOFFRE.

Castelnovo di Cattaro (Croazia), 12 maggio 1866 - Padova, 30 luglio 1942
Nato il 12 maggio 1866 a Castelnuovo, nella Dalmazia meridionale, a sedici anni entra tra i Cappuccini di Venezia. Piccolo di statura, curvo e malfermo di salute, è uno dei santi più recenti della Chiesa cattolica. Entrato tra i Cappuccini, collabora alla riunificazione con la Chiesa ortodossa. Questo suo desiderio però non si realizza, perché nei monasteri dove viene assegnato gli vengono affidati altri incarichi. Si dedica soprattutto al ministero della Confessione e in particolare a confessare altri sacerdoti. Dal 1906 svolge questo compito a Padova. È apprezzato per la sua straordinaria mitezza. La sua salute man mano si deteriora, ma fino a quando gli è possibile non cessa di assolvere in nome di Dio e di indirizzare parole di incoraggiamento a quanti lo accostano. Muore il 30 luglio 1942. La sua tomba, aperta dopo ventiquattro anni, ne rivela il corpo completamente intatto. Paolo VI lo ha beatificato nel 1976. Giovanni Paolo II, infine, lo ha canonizzato nel 1983. (Avvenire)
Etimologia: Leopoldo = che si distingue, dal tedesco
Martirologio Romano: A Padova, san Leopoldo (Bogdano) da Castronuovo Mandic, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che arse di zelo per l’unità dei cristiani e dedicò tutta la vita al ministero della riconciliazione. 
, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che arse di zelo per l’unità dei cristiani e dedicò tutta la vita al ministero della riconciliazione. 


Alto un metro e quaranta, artrite alle mani, difficoltà nel parlare, occhi arrossati: davvero un poveretto da compatire. Ma il medico Enrico Rubartelli, suo amico, lo vede come un capo, "assediato, seguito e invocato da folle di tutti i ceti" a Padova. A più di 50 anni dalla morte, altri lo invocano nel suo santuario padovano con la tomba. E gli scrivono, come a un vivo: i loro messaggi riempiono ormai centinaia di migliaia di pagine.
E’ nato alle Bocche di Cattaro, terra dalmata sotto gli Asburgo. Battezzato col nome di Bogdan, entra sedicenne nel seminario cappuccino di Udine, poi è novizio a Bassano diventando fra Leopoldo, pronuncia i voti e nel 1890 è sacerdote, con un sogno preciso: spendere la vita per riconciliare con Roma i cristiani orientali separati. Il più piccolo frate dell’intero Ordine cappuccino cammina tra i primissimi sul sentiero dell’ecumenismo. Vuole andare in Oriente, e per due volte crede di fare il primo passo, quando lo mandano a Zara e a Capodistria. Ma nella guerra del 1915-18, essendo croato (ossia “suddito nemico”), deve risiedere nel Meridione d’Italia. Confessore a Padova, comincerà presto a essere “assediato”, ma nel 1923 lo destinano a Fiume, come confessore dei cattolici slavi. E la missione in Oriente sembra farsi realtà. Ma interviene il vescovo di Padova, il grande Elia Dalla Costa, e dice ai Cappuccini: "La partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto". Insomma, i padovani non ci stanno. E riescono a recuperare il piccolo confessore, che passa giorni e anni in una celletta ascoltando ogni fallimento e riaccendendo ogni speranza. E anche lui capisce: "Il mio Oriente è qui, è Padova".
Il gigante della confessione. E anche il martire, perché vi brucia tutte le sue energie, ricco di compassione per tanta gente che impara da lui a conoscersi e a riprendere fiducia. Lui però non è un tipo bonario per naturale tranquillità. Al contrario, è bellicoso e capace d’infiammarsi in scatti aspri e inattesi, come il suo compatriota san Gerolamo. E, come lui, infatti, chiede al Signore il dono della calma: "Abbi pietà di me che sono dàlmata!".
Sembra impossibile che resista, sempre più fragile, a questo genere di vita, inasprito da preghiere, penitenze, digiuni. Ed è anche vecchio: "Ma la verità non invecchia", usa ripetere; e quando nel 1942 lo portano in ospedale trova modo di confessare anche lì. Gli riscontrano però un tumore all’esofago. Torna allora in convento e muore il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di vestirsi per la Messa. E via via, come ha detto Paolo VI beatificandolo nel 1976, "la vox populi sulle sue virtù, invece che placarsi col passare del tempo, si è fatta più insistente, più documentata e più sicura". E Giovanni Paolo II, nel 1983, ha collocato padre Leopoldo tra i santi.
Il Martirologio Romano mette la festa il 30 luglio. Normalmente il santo o il beato si ricorda nel giorno della morte a meno che per motivi liturgici o pastorali segnalati da chi ha la responsabilità e valutati dal Maestro delle Cerimonie liturgiche prima della beatificazione o canonizzazione non stabilisca diversamente. Nel caso di san Leopoldo è stato chiesto, dopo la canonizzazione, la festa nel giorno non della morte ma della nascita (12 maggio).


Chi è venuto dall’aldilà? San Leopoldo Mandic
San Leopoldo Mandic è il famoso Cappuccino con fessore a Padova, morto nel 1942. Le sue apparizioni dopo morte, numerose e ben documentate, costituiscono (come quelle degli altri santi) altrettanti indizi della sopravvivenza. Le guarigioni istantanee di malattie organiche seguite in parecchi casi alle apparizioni indicano che non si tratta di allucinazioni.
Ecco il racconto di una persona guarita.
Il fatto che, in certe apparizioni, il Santo sia stato creduto persona corporea vivente in questo mondo, che sia stato toccato, che abbia portato oggetti fisici, fa pensare ad un corpo parasornatico. Ecco il caso di Teresa Pezzo:
«Ero da molto tempo affeta da gravi disturbi al fegato. Si tentarono varie cure, ma tutto inutilmente, tanto che il 22 ottobre 1946, nonostante il persistere della febbre, venni sottoposta a gravissimo intervento chirurgico di oltre tre ore. Dopo parecchi giorni passati tra la vita e la morte, mi ripresi alquanto e andai a Bovolone presso lo zio Arciprete, monsignor Bartolomeo Pezzo. Per un po’ di giorni tutto andò bene, ma il 4 dicembre dovetti rimettermi a letto perché mi ritornarono fortissimi i dolori; la febbre risalì oltre i 40, ricominciò il vomito quasi continuo, tanto che non potevo ritenere nemmeno una goccia d’acqua. Si aggiunse un gonfiore duro e voluminoso al di sopra del taglio dell’operazione; i dolori continui e acutissimi si estendevano alla gamba e al braccio destro. Divenni così debole che non potevo quasi più parlare. Il medico curante dichiarò che si era ritornati allo stato di prima dell’operazione e forse peggio.
Dietro esortazione di un padre cappuccino, di passaggio da Bovolone, il giorno 8, domenica, cominciai la novena di Padre Leopoldo e posi una sua reliquia sulla parte ammalata. Martedì notte, mi addormentai alle 11.30. Suonava mezzanotte quando all’ improvviso mi apparve Padre Leopoldo. Era identico alla sua immagine, ma senza stola e molto più bello. La stanza, quantunque la luce fosse spenta, era illuminata a giorno. Il Padre si avanzò sino quasi al mio letto. Tra noi due avvenne il dialogo seguente:
“Mamma! Mamma!” gridai io tra gioia e lo spavento.
“Non aver paura!” disse Padre Leopoldo. “Tu ti accosti tutte le mattine alla santa comunione a letto, non è vero?’
“Sì, Padre’
“Domani” continuò Padre Leopoldo mettendomi una mano sulla spalla “alle 8 vai in chiesa, ascolta la santa messa e fai la comunione, perché sei guarita. E ogni giorno dovrai recitare una corona di Gloria Patri. Questo per tutta la vita’
“Sì, Padre, anche due!”.
“Brava! Tu hai sofferto molto nella tua vita, specie in questo ultimo periodo, ma questo, cara, lo troverai nella eternità! Tu devi sempre fare del bene al mondo e, se ti giungerà qualche brutto momento, dolori e malattie, sopporta tutto con rassegnazione e soffri tutto per amore di Dio”.
“Padre, che grazia!’
“Quando termini la novena?”.
“Lunedì “.
“Allora tornerò lunedì a mezzanotte perché ho molte cose da dirti. Intanto ti dò la benedizione”.
«Mi benedisse e scomparve dicendo: “Sia lodato Gesù Cristo!” ».
«Scomparso Padre Leopoldo, mi scossi. Credevo di aver sognato, ma mi trovai perfettamente guarita. Non più dolori al fegato, scomparso il gonfiore, i dolori alla gamba e al braccio, cessata la febbre.
La zia, che dormiva in camera con me, aveva sentito tutte le parole mie, ma non quelle di Padre Leopoldo, e non aveva visto nulla.
La mattina mi alzai, scesi frettolosa le scale, mentre il giorno prima non potevo nemmeno reggermi in piedi, andai in chiesa alla Messa delle 8, feci la santa comunione, rimasi a lungo in preghiera e poi, ritornata in canonica, mangiai con un appetito formidabile senza sentire alcun disturbo.
Ero perfettamente guarita.
Il fatto suscitò nel paese una grande impressione, perché a tutti era nota la mia dolorosa condizione, e si accese una vivissima attesa della nuova apparizione promessa. Gran numero di persone m’incaricarono di presentare a Padre Leopoldo domande su diverse cose.
Alla mezzanotte tra il 16 e il 17 dicembre, Padre Leopoldo mi comparve di nuovo, circonfuso di luce, in modo da illuminare la stanza a giorno. Mi parlò di molte cose riguardanti la mia vita spirituale e mi raccomandò in modo particolare di pregare. Poi rispose alle domande che gli presentavo. Io scrivevo le risposte man mano che Padre Leopoldo parlava, e le scrivevo alla luce della visione perché la lampada era spenta. La zia che dormiva nella stessa camera e un sacerdote fuori dalla porta udivano le mie parole, ma non vedevano nulla e non sentivano le parole del Padre. Appena questi scomparve, io accesi la lampada esclamando: “Che bellezza! Che bellezza!”. Tenevo in mano il foglio che avevo scritto sotto dettatura di Padre Leopoldo, con la penna fornitami dallo stesso Padre.
Mia zia mi disse poi che durante la visione c’era per lei nella stanza buio perfetto, mi aveva sentito far scorrere velocemente la penna sulla carta, ma che quando Padre Leopoldo scomparve e si accese la lampada, essa vide in mano mia il foglio scritto, ma non la penna con cui l’avevo scritto.
Rileggendo le risposte di quel foglio, rilevai una cosa molto importante: Padre Leopoldo si lamenta quasi con tutti che pregano poco e male, e insiste con tutti che preghino di più se vogliono che Dio li benedica». Valdi porro (Verona), 28 dicembre 1946: Teresa Pezzo.
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Novena a San Leopoldo Mandic.
O San Leopoldo, arricchito dall'Eterno divin Padre di tanti tesori di grazia a favore di quanti a te ricorrono, ti preghiamo di ottenerci una viva fede e una ardente carità, per cui ci teniamo sempre uniti a Dio nella sua santa grazia.

Gloria al Padre
...

O San Leopoldo, fatto dal divin Salvatore strumento perfetto della sua infinita misericordia nel sacramento della penitenza, ti preghiamo di ottenerci la grazia di confessarci spesso e bene, per poter avere sempre l'anima nostra monda da ogni colpa e realizzare in noi la perfezione alla quale Egli ci chiama.

Gloria al Padre
...

O San Leopoldo, vaso eletto dei doni dello Spirito Santo, da te abbondantemente trasfusi in tante anime, ti preghiamo di ottenerci di essere liberati da tante pene e afflizioni che ci opprimono, o di avere la forza di sopportare tutto con pazienza per acquistarci meriti per il cielo.

Gloria al Padre
...

O San Leopoldo, che durante la tua vita mortale nutristi un tenerissimo amore alla Madonna, nostra dolce madre, e ne fosti ricambiato con tanti favori, ora che sei felice vicino a Lei, pregala per noi affinché guardi alle nostre miserie e si mostri sempre nostra madre misericordiosa.

Ave Maria
...

O San Leopoldo, che avesti sempre tanta compassione per le umane sofferenze e consolasti tanti afflitti, vieni in nostro aiuto; nella tua bontà non ci abbandonare, ma consola anche noi concedendoci la grazia che domandiamo. Così sia.

"Abbiamo in cielo un Cuore di Madre. La Madonna, madre nostra, che ai
 piedi della Croce soffrì quanto è possibile ad una creatura umana, comprende i nostri dolori e ci consola." 
San Leopoldo Mandic

SANTI é BEATI :

- San Domenico Mau Martire

5 novembre

m. 1858

Sacerdote domenicano vietnamita, fu vittima della persecuzione anticristiana nel 1858.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Vicino al fiume Hung Yên nel Tonchino, ora Viet Nam, san Domenico M?u, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che, al tempo della persecuzione perpetrata dall’imperatore T? D?c, fu condotto a mani giunte, come se si stesse recando all’altare, al martirio della decapitazione per Cristo, con l’accusa di aver portato in pubblico la corona del Rosario ed esortato i cristiani a testimoniare la fede.

Nativo del Vietnam, già sacerdote, chiese ed ottenne di entrare nell'Ordine Domenicano. Esercitò a lungo e con entusiasmo il suo ministero apostolico, anche quando infuriava la cruenta persecuzione anticristiana. Rinchiuso in carcere, continuò a prodigarsi per il bene delle anime, confortando e assistendo i cattolici che pativano la prigionia con lui oppure meditando intensamente e pregando. Così, con animo sereno e forte, si preparò a ricevere la gloria del martirio attraverso la decapitazione: era il 5 novembre 1858.


Fonte:
Convento San Domenico, Bologna

(Lc 14,15-24) Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia.

VANGELO 
(Lc 14,15-24) Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia.
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE 
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e indica alla mia mente il pensiero di Gesù perchè  questo passo del Vangelo possa entrare fin dentro le mie ossa ed essere la struttura portante della mia vita.

A me sembra che Gesù stia parlando in quel tempo,così come parlerebbe proprio oggi, tempo in cui ognuno crede di sapere cosa è importante per Dio e cosa è importante per l'uomo.
Vediamo che l'invito è aperto a tutti,ma ancora cerchiamo di escludere quello o quell'altro,come se il discorso di Gesù non lo ascoltassimo neppure.
Aprire le porte ai ciechi, agli storpi, ai poveri,  questa è l'indicazione del Signore,allargare le braccia alla carità,alla comprensione e alla comunione con i fratelli,ed invece che cosa facciamo?
Proprio come allora la nostra risposta al Signore, è identica a quella degli invitati al grande banchetto.
C' è sempre qualcosa da fare di più importante, qualcosa di più urgente, ed intanto il tempo passa e non decidiamo mai di accettare quell'invito.
C'è poi chi ci prova, chi cerca di corrispondere al richiamo del Signore,ma spesso concediamo al Signore i ritagli del nostro tempo, basti pensare alle nostre funzioni, con l'orologio alla mano, ed il pensiero altrove, come per compiere più un dovere che per vivere con intensità l'incontro con l'amato.
Vero è che oggi dobbiamo faticare per riconoscere nella nostra messa Gesù, che dopo averlo tolto dal centro dell'altare e spostato di lato, con tutto quell'andare e vieni sull'altare anche il Signore è relegato un po' come un figurante.
Vero è che pochi sono quei sacerdoti che tendono a scomparire  per mettere al centro Cristo.
Vero è che ascoltiamo senza assumerci nessun impegno.
Vero è che usciamo dalla messa nello stesso modo in cui siamo entrati,senza che il Signore sia riuscito a penetrarci il cuore.
Vero è che passiamo davanti al nostro bisogno di felicità senza fare nulla, continuando a cercarla dove non si può trovare, proprio come passiamo davanti al derelitto, senza riconoscere in lui il Signore.
Eppure solo il Signore mantiene le promesse,solo il Signore è vita e verità,allora perchè continuiamo a rimandare di accettare quell'invito,per seguire l'invito di satana,che ci porta a cercare nel benessere del mondo il nostro cibo...ricordiamo che lui ha già mentito e che sempre ci ha ingannato.
"Quello che aveva promesso Satana non si avverò, perchè non si raggiunge  la conoscenza disobbedendo  alla parola di Dio, ma il timore di Dio è il principio della sapienza."
(Proverbi 1:7)


domenica 3 novembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Figliuola, per tendere alla perfezione bisogna fare la piú grande attenzione ad agire in tutto per piacere a Dio e cercare di evitare i piú piccoli difetti; fare il proprio dovere e tutto il resto con piú generosità." (FSP, 79).

SANTI e BEATI :

- San Carlo Borromeo Vescovo

4 novembre

Arona, Novara, 1538 - Milano, 3 novembre 1584

Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant'Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all'interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un'opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentanto. Durante la peste del 1576 assistì personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. (Avvenire)

Patronato: Catechisti, Vescovi

Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo.
(3 novembre: A Milano, anniversario della morte di san Carlo Borromeo, vescovo, la cui memoria si celebra domani).

Quella che oggi ci giunge dalla pagina del Calendario, è la voce di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell'apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione.
"Le anime - dice questa voce, la voce di San Carlo Borromeo - si conquistano con le ginocchia ". Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.
Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle " Notti Vaticane ". Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, " più esecutore di ordini che consigliere ". Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.
Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.
Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.
Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l'ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d'archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell'Arcivescovo di Milano.
Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.
Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.
Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.
Fino all'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.
Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant'Ambrogio.


Fonte:
Archivio Parrocchia

(Lc 14,12-14) Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.

VANGELO DI LUNEDì 4 NOVEMBRE
(Lc 14,12-14) Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’ essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; aiutami a servirti con questa pagina di vangelo.

Che grande uomo Gesù! Ricordo che quando ero piccola, vinsi un concorso di religione, il concorso ”veritas” alle elementari, parlando di Gesù e del fatto che era un tipo buffo, perché faceva sempre il contrario di quello che facevano gli altri.
Questo brano lo conferma in pieno, chi penserebbe di offrire una cena a gente sconosciuta?
Eppure questa è la via della carità, quella che lui ci indica, che poi è la stessa che Lui ha percorso.
Infatti per carità d’ amore siamo stati invitati al banchetto del regno di Dio; per compassione amorevole Gesù ha dato la sua vita in remissione dei nostri peccati ed ancora per caritatevole amore si è donato a noi nell’ Eucarestia.
L’ amore vero, quello che non conosce ostacoli, quello che vuole solo e principalmente il bene dell’ amato, e che non è mai abbastanza amato, è solo quello di Gesù, come diceva piangendo San Francesco, come urlava santa Teresina…. Nessuno amerebbe dei tipi come noi, ingrati ,egoisti, superbi e traditori… ed è questo che ci chiede di fare, amare gli altri come lui ci ama.
Non è facile… ma se ci proviamo sempre un po’ di più, riusciremo a capire che l’amore per gli altri, è il dono più grande che possiamo fare a noi stessi.

sabato 2 novembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Un giorno un suo figlio gli chiese: Come posso, Padre, aumentare l’amore? Risposta: Col fare con esattezza e rettitudine di intenzione i propri doveri, osservando la legge del Signore. Se questo farai con costanza e perseveranza, crescerai nell’amore." (LdP, 91).

SANTI é BEATI :

- Santi Valentino e Ilario di Viterbo Martiri

3 novembre

Martirologio Romano: A Viterbo, santi Valentino, sacerdote, e Ilario, diacono, martiri.

Come tanti documenti, che in qualche modo parlano di martiri dei primi secoli, anche quello inerente i santi Valentino ed Ilario, è del secolo VIII, cioè scritto 3-4 secoli dopo il presunto periodo della loro morte e ciò comporta per questi documenti, una certezza storica ipotetica.
La ‘passio’ composta nell’VIII secolo racconta che Valentino era un prete e Ilario un diacono e durante la persecuzione di Diocleziano (243-313) furono uccisi e sepolti il 3 novembre, in un luogo chiamato “Camillarius”.
Chi fossero nella vita è difficile accertarlo, ma data la loro dignità, si potrebbe pensare che fossero addetti alla cura di una chiesa rurale e qui uccisi.
In un documento del 788 si ha qualche conferma di quanto detto, in esso si parla di una ‘cella s. Valentini in Silice’, cioè una chiesetta con sepolcro posta sulla via Cassia, a due km da Viterbo.
Ma anche se non è nominato nel documento, nella chiesetta vi era anche il corpo di s. Ilario, perché l’abate di Farfa Sicardo (831-842) li trasportò ambedue nella chiesa dell’abbazia.
I corpi dei due martiri rimasero nella celebre abbazia di Farfa, fino al secolo XV, ma alcune tradizioni di Viterbo dicono fino al 1303, quando le reliquie sarebbero state portate nella cattedrale della città.
Alcuni antichi Martirologi, portano la celebrazione al 4 novembre, mentre altri, compreso il ‘Martirologio Romano’, la portano al 3 novembre.


Autore: Antonio Borrelli

(Lc 19,1-10) Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

VANGELO
 (Lc 19,1-10) Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Parola del Signore
(Lc 19,1-10) Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
(Lc 19,1-10) Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Di Dio e fa che la mia mente non sia offuscata dalle mie idee, ma fa che io possa veramente svuotarmi di me stessa per fare posto a quello che Tu imprimi nella mia mente e nel mio cuore.

Prima che Gesù passasse di lì, Zaccheo era solo un uomo che viveva la sua vita secondo gli schemi del mondo, in fondo come tutti quelli che si sono ben inseriti, che hanno un bel lavoro, che hanno raggiunto un certo benessere e che non guardano tanto per il sottile, pur di raggiungere il loro scopo.
Era un piccolo uomo che in fondo aveva tutto, ed era riuscito ad apparire soddisfatto, ma evidentemente non era poi così, perchè nonostante sia appagato dal suo lavoro che gli rende bene (esattore dei tributi) cerca di nascosto Gesù, forse un po’ per curiosità, forse per gelosia verso chi vede guarito dall’ incontro col Signore, ma non vuole essere lui ad andare a chiedere e si nasconde tra le foglie di un sicomoro, come per osservare senza essere visto.Ma Gesù lo vede e legge nel suo cuore, perché quello che non è possibile agli uomini, è possibile a Dio e la sua risposta non si fa attendere: - «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
Come la trova non importa, sa che è la casa di un peccatore, è il cuore di una persona che non ha certo vissuto un’esistenza pulita, ma a Gesù non importa, non è venuto per i giusti, ma per i peccatori, l’ ha detto tante volte. 
La sua insoddisfazione era latente e si percepisce anche dal fatto che si rende subito conto di dover fare qualcosa per rimettersi in riga, come restituire il maltolto e fare la carità ai bisognosi e  a Gesù non è sfuggito al bisogno di pace di Zaccheo. Lo ha scorto e lo ha chiamato, ed ecco che tutto quello che contava prima per Zaccheo, non conta più nulla, è disposto a rinunciare a tutto pur di diventare suo discepolo.
La risposta del Signore è immediata, alla chiamata accorata del pentimento, corrisponde la salvezza, che è per tutti i figli di Dio che si smarriscono nel mondo e vogliono essere riaccolti nella casa del Padre, anche per i più ostinati peccatori, perché Gesù è venuto per offrire se stesso per la salvezza di chi si è perduto.
Zaccheo era una strana persona, che in fondo ci somiglia, perché trova giustificazione a tutto quello che compie, anche ai soprusi e alle azioni disoneste, quasi legittimandole, ma di fronte alla luce di Dio, si arrende. Il fatto di sentirsi accettato da Gesù, abbracciato nonostante, come tutti i peccatori, non se ne senta degno, lo riempie di gioia e lo fa capitolare; immediatamente si converte e promette di riparare al male compiuto restituendo il maltolto ed aiutando i poveri.
Quest’uomo ha capito che la vera conversione viene da Gesù e che in lui si resta soltanto vivendo da fratelli, e amando il prossimo così come siamo amati e perdonati dal Signore.
Mettere immediatamente le nostre scarpe nelle sue impronte per seguire ogni suo passo, per non sbagliare strada, perché Dio ci cerca con amore, ci perdona per amore e non ci giudica, ma ci aiuta a diventare migliori. L’idea che noi abbiamo prevalente di un Dio che giudica è dovuta ai nostri sensi di colpa, verso chi sentiamo come un Padre buono, ma non riusciamo a ricambiare e sappiamo di non meritare.Come spesso mi trovo a ripetere, l’amore di Gesù è veramente singolare, non ha schemi prefissati, ma è veramente a 360°, è per tutti.