sabato 19 ottobre 2013

Indulgenza plenaria per i defunti

Indulgenza plenaria per i defunti
Possiamo acquistare a favore delle anime del Purgatorio l'indulgenza plenaria (una sola volta) dal  mezzogiorno del 1° novembre fino a tutto a tutto il giorno successivo vistando una chiesa e recitando il Credo e il Padre Nostro. Sono inoltre da adempiere queste tre condizioni:
*confessione sacramentale Questa condizione può essere adempiuta parecchi giorni prima o dopo. Con una confessione si possono acquistare più indulgenze plenarie, purché permanga in noi l'esclusione di qualsiasi affetto al peccato, anche veniale.
*comunione eucaristica
*preghiera
 secondo le intenzioni del Sommo Pontefice recitando Padre Nostro e Ave Maria
La stessa facoltà alle medesime condizioni è concessa nei giorni dal 1° all' 8 novembre al fedele che devotamente visita il cimitero e anche soltanto mentalmente prega per i fedeli defunti

Il valore delle Indulgenze
La ricorrenza della Commemorazione dei Fedeli Defunti, suscita in tutti noi il ricordo di chi ci ha lasciato e il desiderio di rinnovare nella preghiera quegli affetti che con i nostri cari ci hanno tenuto uniti durante la loro vita terrena. E' ciò che esprimiamo con il termine suffragio, parola che deriva dal verbo latino suffragari che significa: soccorrere, sostenere aiutare. In vari modi la Chiesa ci insegna che possiamo suffragare le anime dei nostri cari defunti: con la celebrazione di Sante Messe, con i meriti che acquistiamo compiendo le opere di carità, con l'applicazione delle indulgenze. In particolare su questa pratica, ultimamente un po' trascurata, vogliamo soffermare il nostro pensiero.
Che cosa sono le indulgenze.
Leggiamo dal catechismo la definizione. L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele debitamente disposto, e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.
 
Al di là del linguaggio, sempre piuttosto tecnico nelle formulazioni ufficiali, cerchiamo di tradurre il tutto in termini più semplici. La teologia cattolica insegna che ogni nostro peccato ha una duplice conseguenza genera una colpa e comporta una pena.
Mentre la colpa, che possiamo concepire come la rottura o il deturpamento dell'amicizia con Dio, è rimessa dall'assoluzione sacramentale nella confessione, (attraverso la quale Dio cancella l'offesa ricevuta), la pena permane anche oltre l'assoluzione. Allontaniamo da noi ogni pensiero che si tratti di una castigo che Dio infligge, analogamente a quanto avviene nel codice penale per i reati commessi contro la legge degli uomini.
 
La pena di cui parliamo è una conseguenza che deriva dalla natura stessa del peccato, che oltre ad essere offesa a Dio è anche contaminazione e corruzione dell'uomo. I nostri peccati infatti rendono sempre più faticoso ricostruire l'amicizia con Dio e superare quella inevitabile inclinazione al male che permane anche dopo la remissione sacramentale, come conseguenza del peccato stesso. Semplificando, pensiamo ad una ferita: anche dopo che ha smesso di sanguinare continua a darci dolore, ed è un punto debole: basta un piccolo urto perché riprenda l'emorragia. Il nostri corpo deve faticare per ricostruire il tessuto nella sua integrità e solo allora possiamo dirci veramente guariti. Il peccato è una ferita dell'anima e anche dopo il nostro pentimento e l'assoluzione sacramentale rimane come una debolezza, siamo più fragili, più soggetti a ricadere proprio dove siamo già caduti, rischiamo che quella ferita non pienamente rimarginata, si riapra proprio nello stesso punto. Le indulgenze che possiamo acquistare anche per noi stessi (esempio il perdono d'Assisi o le indulgenze dell'Anno Santo) sono come un medicamento cicatrizzante, ci confermano nel proposito di rinnegare il peccato e sanciscono la nostra volontà di aderire pienamente al progetto di Dio. Pensiamo ancora cosa avviene quando l'amicizia tra due viene infranta. Essa si ricostruirà ma con fatica; anche dopo che l'offesa è stata perdonata, rimane come una difficoltà nei rapporti, finché con il tempo e la reciproca buona volontà non si rimuovono completamente le cause e i ricordi del litigio. Ora noi non possiamo certamente dubitare della volontà di Dio di riammetterci alla sua piena comunione, ma dobbiamo dubitare delle nostre capacità a staccarci completamente dal peccato e da ogni affetto malsano; è necessario un lungo cammino di conversione e di purificazione. La pena temporale non è quindi da concepire come una vendetta di Dio ma come il tempo necessario a noi per rigenerare la nostra capacità di amare Dio sopra ogni cosa. Questa pena temporale esige d'essere compiuta in questa vita come riparazione, o in Purgatorio come purificazione. Nel cammino terreno il cristiano dovrà quindi vedere come mezzi di purificazione, che facilitano il cammino verso la santità: le varie prove e la sofferenza stessa, l'impegno nelle opere di carità, la preghiera, le varie pratiche di penitenza e, non ultimo, l'acquisto delle indulgenze. Ma poiché difficilmente possiamo presumere che in questa vita riusciremo a giungere a quella perfezione che ci permetterebbe di essere, immediatamente dopo il nostro trapasso, ammessi alla piena comunione con Dio, la Giustizia Divina prevede un tempo di purificazione anche dopo la nostra morte, in quella particolare condizione, (tradizionalmente chiamata Purgatorio), nella quale si troverà la nostra anima al termine del nostro esilio terreno e in attesa di giungere alla piena comunione con Dio. Leggiamo ancora nel Catechismo: "Coloro che muoiono nell'amicizia di Dio, ma imperfettamente purificati, benché sicuri della propria salvezza eterna, vengono sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia di Dio"
 
La comunione dei Santi.
E' a questo punto necessario introdurre un altro elemento importante per la comprensione delle indulgenze che applichiamo ai nostri defunti. In questo cammino di perfezione e di purificazione non siamo soli, ma come i rocciatori impegnati in una scalata siamo legati gli uni agli altri da un legame invisibile, ma reale, che la Chiesa chiama Comunione dei Santi. Abbiamo infatti la consapevolezza di appartenere alla stessa famiglia dei figli di Dio e la certezza che quanto ognuno di noi opera o soffre, in comunione con Cristo e come offerta a Padre, produce frutti di bene a favore di tutti. Dice il Catechismo: "Noi crediamo alla comunione di tutti i fedeli in Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione, dei beati in cielo; tutti insieme formiamo una sola Chiesa. Noi crediamo che in questa comunione l'amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere."

In questo contesto possiamo affermare l'importanza delle preghiere di suffragio e le indulgenze con le quali soccorriamo i nostri defunti, abbreviando i tempi della loro purificazione. Consideriamo quindi un'opera altamente meritoria ricordare coloro che ci hanno fatto del bene, continuare a sentirci a loro vicini e solidali nel cammino di purificazione che stanno compiendo nel Purgatorio. E ancora più meritevole appare poi la preghiera rivolta a Dio per le anime più abbandonate e più bisognose delle sua Misericordia, quella devozione alle Anime Sante del Purgatorio che purtroppo sopravvive solo nelle persone più anziane. Non è da ritenersi cosa superata l'applicazione di Messe e suffragi in favore di chi pure non abbiamo conosciuto direttamente, quelle preghiere rivolte a Dio per le anime che attualmente si trovano in uno stato di attesa e di bisogno; un modo per farsi amici, come direbbe Vangelo, che "ci accolgano un giorno nelle dimore eterne".
La preghiera per i defunti
 
Rispetto per i morti
 
Presso tutte le religioni, fin dai tempi più remoti, è diffuso il rispetto, il culto per i defunti. Mausolei sono stati costruiti in loro ricordo; le imbalsamazioni in uso presso certi popoli, le offerte, i riti sacrificali, dimostrano quanto sia sentito il dovere di onorare coloro che ci hanno lasciato per una vita oltre la morte. Per molti è un preciso dovere di gratitudine per il bene ricevuto, a partire dal dono della vita, ai valori intellettuali, morali, materiali con cui i nostri cari ci hanno beneficato durante la vita. Purtroppo sovente questo nobile sentimento viene espresso in maniera errata, con ostentazione di potere e ricchezza che non servono assolutamente al defunto, tanto meno a purificarlo dai peccati commessi durante la vita. Una tomba di marmo pregiato, una cassa di legno prezioso, un funerale sfarzoso… sono il più delle volte spreco inutile di denaro che avrebbe potuto essere devoluto a opere di grande valore sociale e caritativo, di cui il defunto avrebbe goduto un grande beneficio.

Solidarietà con i defunti 
La morte non spezza i legami che abbiamo con i defunti. Le “tre” Chiese: peregrinante, purificante, trionfante, rimangono strettamente unite come vasi comunicanti: i beni di una si riversano sulle altre. E’ una verità di fede che proclamiamo nel simbolo apostolico quando affermiamo: "credo nella comunione dei santi".

Con queste differenze. Noi che siamo ancora in vita possiamo con fiducia invocare e ottenere l’aiuto dei beati in cielo, questi sicuramente intercedono per noi, (particolarmente i nostri patroni, i parenti, gli amici, le persone che abbiamo amato). Le anime del Purgatorio invece si trovano in una condizione per la quale non possono più meritare per sé stessi; mentre noi abbiamo possibilità di aiutarli, di lenire le loro sofferenze, abbreviando la loro purificazione.

Da sempre la Chiesa accompagna i defunti, dopo la morte, con particolari riti e preghiere. La liturgia 
esequiale onora il corpo del defunto in cui Dio è stato presente mediante la Grazia dei Sacramenti e spinge lo sguardo all’ultimo avvenimento della storia, quando Cristo tornerà glorioso per ridare vita ai corpi e renderli partecipi della sua gloria.

Il più grande desiderio dell’uomo è vincere la morte, che trova la risposta certa in Gesù morto e risorto, salito al cielo per preparare un posto per ciascuno di noi. Accomiatandosi dai discepoli Gesù ha promesso: "Vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché anche voi siate dove sono io" (Gv 14,2-4). Per questo la liturgia esequiale è una celebrazione pasquale: un momento in cui i fedeli, mentre pregano per il defunto, affidandolo alla misericordia di Dio, ravvivano la propria fede e speranza in Cristo che tutti attende nel suo regno di amore.

Una delle preghiere recita: "Dio, Padre misericordioso, tu ci doni la certezza che nei fedeli defunti si compie il mistero del tuo Figlio, morto e risorto: per questa fede che noi professiamo, concedi al nostro fratello che si è addormentato in Cristo, di risvegliarsi con noi nella gioia della risurrezione".

Come aiutare i nostri defunti 
La Chiesa, madre e maestra, ci addita parecchi mezzi per suffragare le anime dei nostri cari e aiutarle a raggiungere la pienezza della vita eterna. L’aiuto più efficace è la S. Messa, la Comunione fatta in suffragio dei defunti. La celebrazione Eucaristica, rinnovando il sacrificio di Gesù, è l'atto supremo di adorazione e riparazione che possiamo offrire a Dio per le anime dei defunti.

La preghiera: un mezzo sempre efficace, alla portata di tutti, tanto più efficace quando non chiediamo aiuti e beni per noi stessi, ma perdono e salvezza per le anime dei nostri cari. Questa preghiera è tanto gradita a Dio perché coincide con la sua volontà salvifica: Egli desidera, attende di incontrarci tutti in Cielo, in quella beatitudine per la quale ci ha creati.

Oltretutto per molti di noi è un dovere di gratitudine per il bene ricevuto da parenti e amici e insieme una garanzia perché le anime, giunte in Paradiso, pregheranno per noi. Tra le preghiere tanto raccomandate dalla Madonna, la recita del Rosario, con l'aggiunta dopo il Gloria, di una invocazione per i defunti: l'Eterno riposo. Oltre la preghiera possiamo suffragare le anime con mortificazioni, sacrifici, penitenze, beneficenza e atti di carità, in riparazione dei peccati commessi mentre erano in vita.

Le Indulgenze

La Chiesa ci propone per suffragare le anime del Purgatorio anche la pratica delle "indulgenze". Queste ottengono la remissione della pena temporale dovuta per i peccati. Ogni colpa, anche dopo il perdono, lascia come un debito da riparare per il male commesso. La Chiesa traendo dal suo tesoro "spirituale", costituito dalle preghiere dei Santi e dalle opere buone compiute da tutti i fedeli, quanto è da offrire a Dio perché Egli "condoni" alle anime dei defunti quella pena che altrimenti essi dovrebbero trascorrere nel Purgatorio.

L’indulgenza più nota è legata alla commemorazione di tutti i defunti, il 2 novembre, mediante: visite alle tombe, celebrazione Eucaristica al cimitero, visita a una Chiesa.

Si può lucrare l’indulgenza plenaria a partire dal mezzogiorno del 1° novembre a tutto il 2 novembre.

Si può lucrare una sola volta ed è applicabile solo ai defunti. Visitando una Chiesa, (si reciti almeno un Padre nostro e il Credo).

A questa si aggiungono le tre solite condizioni Confessione, Comunione, preghiera secondo le intenzioni del Papa (Pater, ave, gloria).

Queste tre condizioni possono essere adempiute anche nei giorni precedenti o seguenti il 2 novembre. Nei giorni dall’1 all’8 novembre chi visita il cimitero e prega per i defunti può lucrare una volta al giorno l’indulgenza plenaria, applicabile ai defunti, alle condizioni di cui sopra.

venerdì 18 ottobre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-"Sii sempre allegramente in pace con la tua coscienza, riflettendo che ti trovi al servizio di un Padre infinitamente buono, che per sola tenerezza scende fino alla sua creatura, per elevarla e trasformarla in lui suo creatore. E fuggi la tristezza, perché questa entra nei cuori che sono attaccati alle cose del mondo." (ASN, 42).

SANTI é BEATI :

- San Cornelio il centurione

20 ottobre

Cesarea di Palestina, I secolo

Era un centurione romano noto come uomo pio e timorato, che pregava ed era generoso nelle elemosine. La sua residenza era a Cesarea di Palestina, sede del governatore romano e apparteneva alla coorte detta «Italica». Gli Atti degli Apostoli narrano che mentre un giorno verso le tre del pomeriggio, pregava Dio desideroso di conoscerne la volontà, ebbe la visione di un angelo che gli disse di mandare degli uomini a Giaffa (Ioppe) per invitare nella sua casa un uomo di nome Simone detto anche Pietro, il quale l'avrebbe istruito su quanto chiedeva. Cornelio inviò allora due servitori ed un soldato alla sua ricerca. Pietro l'Apostolo, che era in visita alle Chiese della Giudea, aveva nel frattempo avuto una visione simbolica che gli chiariva la volontà di Dio sull'ammissione dei Gentili nella Chiesa. Pertanto incontrati i messi di Cornelio, accettò l'invito e venne a Cesarea nella sua casa. Entrato, si mise a predicare il Vangelo e mentre parlava lo Spirito Santo scese su tutti i presenti, manifestandosi con il dono delle lingue. Da qui ebbe inizio l'evangelizzazione dei «gentili». (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di san Cornelio centurione, che fu battezzato da san Pietro Apostolo a Cesarea in Palestina, primizia della Chiesa dei gentili.

Di Cornelio si parla negli ‘Atti degli Apostoli’ cap. 10, egli era un centurione romano noto come uomo pio e timorato, che pregava ed era largo di elemosine.
La sua residenza era a Cesarea di Palestina, sede del governatore romano e apparteneva alla coorte detta ‘Italica’; è probabile che sapesse del cristianesimo e che il suo cuore fosse turbato e alla ricerca di Dio, non accontentandosi più degli dei pagani.
E mentre un giorno verso le tre del pomeriggio, pregava Dio desideroso di conoscerne la volontà, ebbe la visione di un angelo che chiamandolo per nome, gli disse che le sue preghiere e le sue elemosine erano gradite a Dio, e poi gli disse di mandare degli uomini a Giaffa (Ioppe) ad invitare nella sua casa, un uomo di nome Simone detto anche Pietro, che era ospite di un certo Simone conciatore, nella sua casa in riva al mare, il quale l’avrebbe istruito su quanto chiedeva.
Cornelio inviò allora due servitori ed un soldato alla sua ricerca; Pietro l’Apostolo, che era in visita alle Chiese della Giudea, aveva nel frattempo avuta una visione simbolica che gli chiariva la volontà di Dio sull’ammissione dei Gentili nella Chiesa.
Pertanto incontrati i messi di Cornelio, accettò l’invito e venne a Cesarea nella sua casa. Cornelio attorniato dai familiari, quando lo vide, lo accolse con gli onori dovuti ad un inviato di Dio, prostrandovisi davanti, ma Pietro lo esortò ad alzarsi dicendo: “Alzati anche io sono un uomo!”, quindi entrato prese a predicare di Gesù il Risorto “per il quale ottengono la remissione dei peccati, tutti coloro che credono in Lui”.
E mentre proseguiva nel suo parlare apostolico, ecco lo Spirito Santo scendere su tutti i presenti, manifestandosi con il dono delle lingue; dietro il verificarsi di questa nuova Pentecoste, Pietro comprende chiaramente la volontà di Dio, quindi li battezza aggregandoli alla Chiesa, senza la prescritta circoncisione della legge mosaica, per cui anche i pagani potevano così essere ammessi nella nuova religione, che inizialmente sembrava riservata solo agli ebrei circoncisi.
Da qui parte l’inizio ufficiale dell’evangelizzazione dei Gentili e della loro ammissione “non come ospiti e forestieri, ma come cittadini e membri della famiglia di Dio”. A questo punto finisce la narrazione apostolica che riguarda Cornelio il centurione, tutto quanto poi si sa sul suo futuro, non ha carattere di certezza, anzi è argomento di diverse interpretazioni fra la Chiesa latina e la Chiesa Greca, che nei suoi ‘Menologi’ lo classifica a volte come vescovo a volte come martire.
Egli certamente soffrì per la fede in Skepsi in Misia, dove i greci lo pongono se non come vescovo, come ‘prefetto’ ecclesiastico di quella città, con la sua predicazione ‘testimoniò’ unitamente ai patimenti, quel Gesù che così prodigiosamente gli si era rivelato.
Le sue sofferenze inflitte da Demetrio prefetto della città, ebbero fine quando questi, veduti i miracoli operati dal centurione, anche in favore di sua moglie e del figlio, si convertì al cristianesimo e non solo lo liberò dal carcere, ma lo ricoprì di onori.
Quindi Cornelio fu si incarcerato, ma poi morì in pace; tutti i menologi greci portano la sua ricorrenza al 13 settembre. La sua casa, tramutata in chiesa, fu visitata dalla matrona romana santa Paola, alla fine del IV secolo, nel suo pellegrinaggio in Terra Santa, descritto da s. Girolamo.
Inoltre la Chiesa Greca lo ricorda insieme con i santi martiri Demetrio, la moglie Evanzia e il figlio Demetriano, convertiti da Cornelio; la Chiesa Latina lo ricordava da solo il 12 febbraio, i vari ‘Martirologi’ occidentali lo qualificavano come vescovo di Cesarea di Palestina, ma il silenzio su ciò di autorevoli storici ecclesiastici dell’antichità, come Eusebio di Cesarea e Origine, tanto legati a Cesarea, non fa confermare questo episcopato.
La recente edizione del ‘Martyrologium Romanum’ porta s. Cornelio il centurione al 20 ottobre.


Autore: Antonio Borrelli

(Lc 12,8-12) Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire.

VANGELO
(Lc 12,8-12) Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato.
Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

Parola del Signore
Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire.
Lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O mio amato Signore,non lasciarmi mai sola,anche se non merito la tua grazia,stammi vicino sempre, per non permettere che io sbagli e che mi senta mai sola senza il tuo aiuto.

Credo che ognuno di noi leggendo questa pagina possa ritrovarsi un po’ timoroso ed impaurito.
Era sicuramente un messaggio per i primi discepoli di Gesù,ma ormai siamo abituati a leggere anche
nell’ attualità le pagine del vangelo, perché ci siamo ormai resi conto che non è un libro antico, ma sempre attuale, specialmente se pensiamo a tutto quello che succede al giorno d’oggi, a quanto la Chiesa ed i cristiani in genere siano perseguitati; alla pacifica invasione da parte dell’islam che avviene in ogni paese d’Europa e quanto pericoli essa in fondo nasconda.
Siamo dei Cristiani strani noi, litighiamo addirittura tra di noi, ma in fondo non siamo peggiori di altri, solo che a volte sembra quasi che ci vergogniamo rispetto al mondo di avere fede .
Gesù non è certo un malvivente di cui ci dobbiamo vergognare, ma quello che ci fa essere così tiepidi è che ci vergogniamo di noi stessi, di non essere capaci di amare allo stesso modo, neanche i parenti più stretti; mentre l’amore che Lui ci ha dimostrato è immenso ed allora, a causa della nostra incapacità, mettiamo in dubbio persino l'amore di Dio.
L ’orgoglio umano è la cosa più stupida di cui siamo pieni, e pur di non riconoscere le proprie mancanze, preferiamo pensare di tutto, così la mente spazia dall’ateismo alla new age, dall’islam al buddismo e così via…
Ma la cosa più importante che leggiamo in questa pagina è che esiste un peccato che non potrà mai essere perdonato quello della bestemmia contro lo Spirito Santo,e sarà bene che proviamo a capire in che cosa consiste se non vogliamo perderci.
Facciamo riferimento alle parole di Gesù: "Quando sarà venuto [lo Spirito Santo], convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio." (Giovanni 16:8)
Quindi dubitare dell’amore di Dio e della possibilità di essere salvati è opporsi all'opera dello Spirito Santo, così come facevano i farisei a cui Gesù si rivolgeva. Peccare contro lo Spirito Santo significa questo: rifiutare volontariamente fino alla fine l'opera della salvezza che Egli vuol fare nel nostro cuore.
 Rifiutare il perdono vuol dire rifiutare di essere amati da Dio,non riconoscerlo come padre e non accettare di lasciarsi abbracciare da Lui.In questo periodo vedo intorno a me e leggo nel webb tante cose diverse, anche tante interpretazioni date alle parole e ai gesti del Papa, e se posso, vorrei ricordare che la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo, che la via  che percorre è quella indicata da Gesù.L'apertura ai peccatori non è l'apertura al peccato, e rifiutare il perdono per tutti i peccatori vuol dire voler decidere al posto di Dio. Siamo tutti fratelli, tutti figli di Dio, sia che ci comportiamo da tali o no, questo non cambia, possiamo decidere di vivere da Caino o da Abele, possiamo decidere di stare dalla parte di chi vuole solo i fratelli che gli fanno comodo, o accettare anche i fratelli scomodi; possiamo decidere di seguire lo Spirito di Gesù o lo spirito del mondo, ma non possiamo nascondere a Dio i veri sentimenti del nostro cuore.  In Luca 12: 1 Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. 2 Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3 Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti.4 A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. 5 Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. 

giovedì 17 ottobre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Né ti devi confondere a saper conoscere se hai consentito o no. Il tuo studio e la tua vigilanza siano rivolti alla rettitudine d’intenzioni che devi tenere nell’opera e nel combattere sempre valorosamente e generosamente le arti maligne del cattivo spirito. " (Epist. III, p. 622).

SANTI é BEATI :

- San Luca Evangelista

18 ottobre

Antiochia di Siria - Roma (?) - Primo secolo dopo Cristo

Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico», è soprattutto l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l’infanzia di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta fra tutte le donne». Il cuore dell’opera, invece, è costituito da una serie di capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all’Asia Minore, alla Grecia fino a Roma.
Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l’orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.

Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi

Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino

Emblema: Bue

Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

I medici-chirurghi sono cristianamente sotto la protezione dei Santi Cosma e Damiano, i martiri guaritori anargiri vissuti nel III secolo e attivi gratuitamente in Siria. Anche altri santi “minori “ sono invocati, specialmente per alcune branche specialistiche come l’oculistica e l’odontoiatria. Ma il principe patrono della categoria è, senza ombra di dubbio, San Luca evangelista, che una lunga tradizione vuole originario di Antiochia, tanto da essere denominato “il medico antiocheno”.
Come è noto, tale importante città, che corrisponde all’attuale Antakia nella Turchia sudorientale, fu fondata quale capitale del regno di Siria nel 301 a.C.; vi fiorì una numerosa colonia giudaica e fu poi sede di una delle più antiche comunità cristiane. Luca, il cui nome è probabilmente abbreviazione di Lucano, vi nacque come pagano, ma diventò proselita o quanto meno simpatizzante della religione ebraica.
Egli non era discepolo di Gesù di Nazaret; si convertì dopo, pur non figurando nemmeno come uno dei primitivi settantadue discepoli. Diventò membro della comunità cristiana antiochena, probabilmente verso l’anno 40. Fu poi compagno di San Paolo (Tarso, inizio I° secolo/ forse 8 d.C.-Roma, 67 ca.) in alcuni suoi viaggi. Lo si trova con l’apostolo delle genti a Filippi, Gerusalemme e Roma. Sostanzialmente suo discepolo, condivise la visione universale paolina della nuova religione e, allorché decise di scrivere le proprie opere, lo fece soprattutto per le comunità evangelizzate da Paolo, ossia in genere per convertiti dal paganesimo. Si incontrò tuttavia anche con San Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme, con San Pietro, più a lungo con San Barnaba e forse con San Marco.
La qualifica di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La sua cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le comunità di cui faceva parte; potrebbe addirittura avere curato la Madre del Signore. Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli uomini erano piuttosto notevoli. Prove ne siano lo stile e l’uso della lingua greca nonché la struttura stessa dei suoi scritti: il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. La data di composizione degli Atti viene fatta risalire agli anni 63-64, quella del Vangelo ad un anno o due prima. Luca coltivava anche l’arte e la letteratura. Un’antica tradizione lo vuole addirittura autore di alcune “Madonne” che si venerano ancora ai nostri giorni, come in Santa Maria Maggiore a Roma.
Egli è il solo evangelista a dilungarsi sull’infanzia di Gesù ed a narrare episodi della vita della Madonna che gli altri tre non hanno riferito. Le fonti della sua narrazione furono i racconti dei discepoli e delle donne che vissero al seguito di Gesù; quasi sicuramente i Vangeli di Matteo e di Marco, che lui conosceva. Con la precisione cronologica e spesso geografica con la quale riferì delle vicende del Vangelo, così egli, insieme a tanta passione, raccontò negli Atti i primi passi della comunità cristiana dopo la Pentecoste.
Per alcuni studiosi Luca avrebbe scritto parecchio nella regione della Beozia, regione dell’antica Grecia confinante a sud con il golfo di Corinto e l’Attica. Tale regione fu sede di regni importanti come quello di Tebe. Per i Greci addirittura l’evangelista sarebbe morto in quei luoghi all’età di ottantaquattro anni, senza essersi mai sposato e senza avere avuto figli. Per altri invece egli sarebbe morto in Bitinia, regione nord-occidentale dell’odierna Turchia.
Per la verità nulla di certo si sa della vita di Luca dopo la morte di San Paolo. Addirittura non si conosce sicuramente se egli abbia terminato la propria esistenza terrena con una morte naturale oppure come martire appeso ad un olivo. Ovviamente ignoto è il luogo della prima sepoltura. Vi sono tre città soprattutto che si appellano ad una tradizione di traslazione del corpo dell’evangelista: Costantinopoli, Padova e Venezia. Sono città quindi intorno alle quali e dalle quali si diffuse il suo culto. Recentissimi studi avrebbero dimostrato che sue sono le spoglie mortali, eccezione fatta per il capo, conservate a Padova nella basilica benedettina di Santa Giustina. In tale città veneta sarebbero giunte per sottrarle alla distruzione degli iconoclasti e là già nel XIV secolo fu per loro costruita una cappella ed un’Arca, detta appunto di San Luca.
II simbolo di San Luca evangelista è il vitello, animale sacrificale. II 18 ottobre viene celebrata nella Chiesa universale la sua solennità, la solennità di Colui che Dante ha definito lo “scriba della mansuetudine di Cristo” per il predominio, nel suo Vangelo, di immagini di mitezza, di gioia e di amore.


Autore: Mario Benatti

(Lc 10,1-9) La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.

VANGELO DI VENERDì 18 OTTOBRE
 (Lc 10,1-9) La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore Gesù, che hai aiutato l’ apostolo Luca a scrivere con tanto amore di Te attraverso lo Spirito Santo; aiuta anche me ti prego, fammi conoscere ogni minima cosa tu ritenga io debba conoscere, secondo la tua volontà. Grazie amen.

Non serve essere dotti, capaci o santi per servire il Signore, con queste parole Luca ci ricorda che quello che viene chiesto ad un discepolo, non è prendere, ma lasciare. Il discorso forse è un po’ forte, ma anche se non preso alla lettera, il senso è molto chiaro. Non attaccatevi a nulla di terreno, perché non vi serve ed anche per distinguerci dagli altri. Al tempo di Gesù, c’erano diversi movimenti religiosi : esseni, farisei, zeloti.  Anche loro cercavano un nuovo modo di convivere in comunità ed avevano i loro missionari. Ma costoro, quando andavano in missione, erano prevenuti. Portavano bastone e bisaccia per mettervi il proprio cibo. Non si fidavano del cibo che non sempre era “ puro ”. Al contrario degli altri missionari, i discepoli di Gesù riceveranno raccomandazioni diverse che ci aiutano a capire i punti fondamentali della missione di annunciare la Buona Notizia. Gesù li obbliga a confidare nell’ ospitalità, perché chi va senza niente, va perché confida nella gente e pensa che sarà ricevuto. Con questo atteggiamento loro criticano le leggi di esclusione, insegnate dalla religione ufficiale e mostrano, mediante una nuova pratica, che avevano altri criteri di comunità. Devono partecipare alla vita ed al lavoro della gente, e la gente li accoglierà nella sua comunità e condividerà con loro casa e cibo. Ciò significa che devono aver fiducia nella condivisione, spieghiamo ora la critica contro coloro che rifiutano il messaggio: scuotere la polvere dei piedi, come protesta contro di loro, perché non rifiutano solo qualcosa di nuovo. Sembra che Gesù, invece, inviti a scuotere qualcosa che i discepoli proveranno dentro di loro al momento del rifiuto. Vuole che escano da quella casa in pace, senza rancore, senza disprezzo, senza rimpianto, perché loro saranno stati portatori di relazione, di incontro, di Parola di salvezza. Il rifiuto è una chiusura di possibilità, ma non dovrà mettere in discussione la loro fede, il loro aver camminato a lungo in nome di questa e la loro testimonianza. Scuoteranno, allora, la polvere della delusione da sotto le scarpe, scuoteranno la polvere dell’attaccamento e dell’ostinazione, della stanchezza per non essere riuscita a trasmettere il tesoro che portano dentro, per riprendere, poi, il cammino con speranza e per essere nuovamente pronti a creare ponti di relazione, nel nome di Gesù, Ponte di relazione tra il Padre e l’umanità. Perché Gesù non manda ognuno per conto proprio? Li manda a coppie, perché nessuno può fare verità da solo. L’andare è sempre dialogico, coniugato. Andranno in due perché per l’uno ci sarà, a fianco, sempre l’altro a ricordargli la strada, quando la smarrirà, a difenderlo dal pericolo, a ricordargli l’amore di Dio, quando non lo sentirà e a portarlo a discernimento sulla sua verità, quando sarà necessario. Il due della missione diventa, criterio, di verità. Non si fa Chiesa singolarmente.<Là dove due o tre di voi saranno riuniti nel mio nome, io sarò con loro>..dice il Signore.Quando parliamo ,parliamo per essere missionari di Cristo come Lui ci esorta a fare o siamo pieni di supponenza e cerchiamo solo di apparire?Vi prego di riflettere bene su questa domanda,perché troppo spesso,si trova gente(riferito a noi discepoli,sacerdoti,catechisti ecc.)che si erge sugli altari,dimenticando che Gesù invece scende in mezzo a noi.Il popolo di Dio,ha bisogno della parola di Gesù,non delle nostre parole ,per riempire il vuoto che ha dentro.

mercoledì 16 ottobre 2013

Santa eucarestia

VOCE DI SAN PIO :

-"In quanto alle prove spirituali, alle quali la paterna bontà del celeste Padre ti va assoggettando, ti prego di star rassegnata e possibilmente tranquilla alle assicurazioni di chi tiene il luogo di Dio, in cui ti ama e ti de-sidera ogni bene e nel cui nome ti parla. Soffri, è vero, ma rassegnata; soffri, ma non temere, perché Dio è con te e tu non l’offendi, ma l’ami; soffri, ma credi pure che Gesú stesso soffre in te e per te e con te. Gesú non ti ha abbandonata quando fuggivi da lui, molto meno ti abbandonerà adesso, ed in seguito, che vuoi amarlo. Dio tutto può rigettare in una creatura, perché tutto sa di corruzione, ma non può giammai rigettare in essa il desiderio sincero di volerlo amare. Quindi se non vuoi convincerti ed essere sicura della celeste pietà per altri motivi, devi assicurarti almeno per questo e star tranquilla e lieta." (Epist. III, p. 618).

SANTI é BEATI :

- Sant' Osea Profeta

17 ottobre

Israele, VIII sec. A.C.

San Osea è il profeta ebraico Hoseah (=salvato dal Signore), vissuto nell'VIII secolo prima di Cristo. Figlio di Beerì, Osea è originario del regno del nord, Osea inizia la sua predicazione sotto Geroboamo II e la prosegue sotto i successori di questo. Il dramma personale di Osea, che lo spinge alla sua azione profetica è raccontato nei primi tre capitoli del libro della Bibbia che porta il suo nome. Probabilmente Osea aveva sposato una donna che amava e che l'aveva abbandonato, ma egli ha continuato ad amarla e l'ha ripresa dopo averla messa alla prova. E' evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d'Israele, che conme una donna infedele ha provocato le ire del suo sposo divino. Osea condanna le classi dirigenti di Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo al loro ministero, conducendo il popolo alla rovina. Egli tuona contro le ingiustizie e le violenze, ma soprattutto contro l'infedeltà religiosa, un messaggio vecchio di quasi tre milleni, ma sempre attuale.

Etimologia: Osea = salvato dal Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Osea, profeta, che, non solo con le parole, ma anche con la vita, mostrò all’infedele popolo di Israele il Signore come Sposo sempre fedele e mosso da infinita misericordia.

Il ‘Martirologio Romano’, ricorda al 17 novembre il profeta Osea, l’ebraico Hoseah, il cui nome significa “salvato dal Signore”.
Osea apre nella Bibbia la serie dei cosiddetti “Profeti Minori”, ma in realtà la sua è una testimonianza di alto profilo e si basa su un’esperienza personale e familiare, che viene presa a simbolo religioso per tutto il popolo ebraico.
Contemporaneo del profeta Amos, Osea visse e operò nel regno settentrionale d’Israele, di cui era anche originario, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.; più precisamente predicò al popolo la Parola di Dio, in un periodo di tempo racchiuso tra il 750 e il 754 a.C., mentre si maturava la rovina di quel regno scismatico (721 a.C.) che si era separato dal regno di Giuda, dopo la morte di Salomone (931 a.C.).
Figlio di Beeri, Osea scrisse i suoi oracoli profetici al tempo di Ezechia re di Giuda e di Geroboamo II re d’Israele; il libro omonimo consta di 14 capitoli, i cui primi tre, sviluppano la sofferta storia personale e familiare del profeta.
Dietro ordine di Dio, egli sposò una prostituta di nome Gomer, figlia di Diblaim (forse era una sacerdotessa dei culti della fertilità a sfondo sessuale, del dio Baal dei cananei), dalla quale ebbe tre figli dai nomi simbolici, il primo Izreel, dal nome della città dove abitavano d’estate i re d’Israele; la seconda figlia ebbe il nome chiesto da Dio di “Non-amata” e il terzo il nome sempre dettato da Dio, di “Non-popolo-mio”.
E la situazione familiare di Osea sarà il filo conduttore di tutto il Libro, perché la moglie Gomer, pur essendo amata dal profeta, dopo qualche tempo riprese a prostituirsi con numerosi amanti, abbandonando il marito ed i figli; i cui nomi simbolici riflettono la dolorosa situazione familiare.
Ma l’amore di Osea per la moglie infedele, gli fa superare il furore che ne scaturiva, convincendo Gomer a ritornare in famiglia dove c’era amore e perdono; nel capitolo 3 egli descrive così la ricongiunzione:
[Il Signore mi disse: “Và di nuovo, ama la donna amata da suo marito, benché adultera, come il Signore ama i figli d’Israele, benché essi si volgano verso altri dei e amino le schiacciate di uve passe”. Io dunque me la comprai per quindici pezzi d’argento e una misura e mezza di orzo. Poi le dissi: “Per un lungo periodo rimarrai al tuo posto con me, non ti prostituirai e non sarai di un altro e neppure io verrò da te”.
Perché per un lungo periodo i figli d’Israele saranno senza re e senza principe, senza sacrificio e senza stele… Dopo ciò i figli d’Israele si convertiranno, cercheranno il Signore loro Dio e Davide loro re, trepidanti accorreranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni].
È evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d’Israele, che come una moglie infedele ha provocato le ire del suo Sposo divino; per la prima volta nella Bibbia, Dio viene esaltato come lo Sposo del suo popolo, perché l’alleanza che lo lega ad esso, è un patto d’amore.
Il profeta Osea nei capitoli successivi, condanna le classi dirigenti d’Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo, trascurando il loro ministero, portando il popolo alla rovina.
Egli si scaglia contro le violenze e le ingiustizie, soprattutto contro l’infedeltà religiosa, ma poi il profeta, con pagine di eccezionale vigore, descrive l’amore di Dio con mirabili accenti di intimità e tenerezza, che sebbene tradito, continua vivo e pieno di sollecitudine, al fine di ricondurre a sé il popolo infedele.
A partire da Osea, la raffigurazione dell’alleanza tra Jahvé e Israele, non sarà più modellata, come al Sinai, sulla base di un rapporto tra un re e un suo vassallo, cioè un rapporto ‘politico’ tra due personaggi; viene invece rappresentata come una relazione d’amore tra due sposi, con aspetti di comunione, spontaneità, intimità; tema che verrà ripreso dai profeti successivi, sia pure in forme diverse, costituendo un simbolismo efficace anche per il Nuovo Testamento.
Al di là del simbolismo, con cui Osea ha scritto il suo oracolo profetico, per richiamare l’infedele popolo d’Israele, gli studiosi sono concordi nel ritenere vere le disavventure familiari del profeta, che egli trasfigura facendole diventare una parabola dell’intera vicenda del popolo, che di fronte all’amore fedele da parte del Signore, la “sposa” Israele, aveva risposto con l’infedeltà dell’idolatria cananea, definita appunto come prostituzione e adulterio.

(Lc 11,47-54) Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.

VANGELO
 (Lc 11,47-54) Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Parola del Signore
(Lc 11,47-54) Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.
(Lc 11,47-54) Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
 Vieni o Spirito del Signore per illuminare la mia mente, perché anch’io non commetta errori che mi allontanano da te e non impedisca ad altri di vedere e di capire, per questo togli da me quello che è mio e fa posto solo alle tue parole. Usami e accompagnami con la tua grazia, Signore, perché, sorretta dal tuo paterno aiuto, non mi stanchi mai di operare il bene. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


Le parole dure del Signore non ci devono allontanare, perché sono dette per ammonire, per correggere, non per escludere, ma per avvicinare. Sono infatti,  le parole di chi è verità, e servono proprio per chi non si avvede della verità e si erge a possessore di chissà quale verità, mentre solo attraverso la parola di Dio e la persona del Cristo che è la via si può arrivare a lei.
Non soltanto questi dottori della legge antichi e moderni, mettono dei fardelli che poi non portano per primi, ma danno anche una visione del Signore errata, non calcolando che è venuto sulla terra a morire per noi e per redimerci dal peccato che ci avrebbe escluso dal regno di Dio.
Questo è un qualcosa di fondamentale per la nostra fede, perché è un gesto che solo un amore immenso e misericordioso poteva realizzare; dobbiamo vedere quindi alla luce di questo amore la figura di Gesù Cristo, alla luce della sua parola vivere la nostra vita, collegando strettamente i nostri interessi ai suoi, perché sono strettamente collegati.
E’ quello che chiamiamo condivisione, comunione d’ intenti, quello che deve portarci a vivere con Gesù la croce, a fare del nostro corpo un tempio in cui realizzare il progetto di Dio, non il tempio del nostro IO.Noi non siamo niente e non andiamo da nessuna parte se non siamo Figli di Dio, se non accettiamo che sia Lui l’inizio ed il fine ultimo della nostra vita.

martedì 15 ottobre 2013

LA DURA VITA DEI CRISTIANI IN PAKISTAN " Autore: Nicola Morcavallo "

- «La domenica dopo l’attentato suicida, le chiese erano piene. I cristiani pachistani hanno sì paura, ma non perdono la loro fede». Così monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, ha raccontato il coraggio dei suoi fedeli a margine della conferenza “Vittime della legge nera-La libertà religiosa in Pakistan”, organizzata da Aiuto alla Chiesa che Soffre in collaborazione con la Pontificia Università della Santa Croce. L’incontro, tenutosi lo scorso 10 ottobre, è stato aperto dai saluti del professor Norberto González Gaitano, docente di Opinione Pubblica presso la Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale dell’Università della Santa Croce. Poi il direttore di ACS-Italia, Massimo Ilardo, ha ricordato lo storico impegno della fondazione pontificia nella tutela della libertà religiosa, e presentato alcuni esempi di paesi in cui essa è negata o limitata, quali Cina, Eritrea e Corea del Nord. Monsignor Coutts ha approfondito le drammatiche conseguenze della legge sulla blasfemia: norma introdotta dal dittatore Zia-ul-Haq nel 1986, che punisce con l’ergastolo chiunque profani il Corano e condanna a morte chi insulta il profeta Maometto. «Anche se è nata per proteggere l’onore del Profeta Maometto e impedire dissacrazioni del Corano – ha spiegato il presule – questa legge può essere facilmente usata in modo improprio. È infatti molto facile per un musulmano accusare chiunque di blasfemia, perfino un altro musulmano». Seppure la maggior parte delle accuse sono infondate, la cosiddetta legge nera rappresenta un potente strumento per ritorsioni personali. Un’arma particolarmente efficace se la persona contro la quale si punta il dito è un cristiano, infatti non è richiesta alcuna prova a sostegno dell’accusa formulata ed il presunto bestemmiatore viene immediatamente incarcerato. «Diventa molto difficile per la persona accusata provare la propria innocenza – ha continuato – e quando le emozioni della gente, incitata dai locali leader islamici, prendono il sopravvento possono scatenarsi veri e propri massacri». Come accaduto a Gojra, nel 2009, dopo che dei bambini avevano trasformato dei vecchi fogli di giornale in coriandoli per festeggiare un matrimonio. Su quelle pagine erano stati trascritti dei versetti del Corano e così una folla di centinaia di persone inferocite, a caccia del blasfemo, hanno appiccato il fuoco a quasi cento case. Otto persone sono morte tra le fiamme. Dall’entrata in vigore della legge fino alla metà del 2011 si contano ben 1081 accuse di blasfemia. «La legge sulla blasfemia rappresenta uno degli elementi tragici del sistema giuridico internazionale», ha affermato Roberto Fontolan, direttore del Centro internazionale di Comunione e Liberazione. Tuttavia la “legge nera” non è l’unica causa di sofferenza per la piccola minoranza cristiana pachistana. «I non musulmani sono considerati cittadini di seconda classe – ha aggiunto monsignor Coutts – e sono discriminati in molti modi, specie in ambito lavorativo o scolastico. Nelle scuole statali, gli alunni non musulmani sono penalizzati negli studi e non è insolito che agli studenti sia assegnato un tema dal titolo:“Invita un tuo amico non musulmano a convertirsi all’Islam”».

PREGHIERI AL PADRE CELESTE :

- PADRE NOSTRO

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male. amen!

TI ADORO

Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio
di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte. Ti offro
le azioni della giornata: fa che siano tutte secondo la tua santa volontà per
la maggior tua gloria. Preservami dal peccato e da ogni male. La tua
grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen.

PREGHIERA DI ABBANDONO AL PADRE

Padre mio, io mi abbandono a te: fa di me ciò che ti piacerà. Qualunque cosa tu faccia, io ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, perché la tua volontà si faccia in me, in tutte le tue creature. Non desidero altro, o mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani. Te la dono, o mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo ed è per me un bisogno d’amore il donarmi, il rimettermi senza misura tra le tue mani, con infinita fiducia, perché tu sei mio Padre. amen!

VOCE DI SAN PIO :

-"Rammentatevi, o figliole, che io sono nemico dei desideri inutili, non meno di quello che lo sia dei desideri pericolosi e cattivi, poiché, sebbene ciò che si desidera sia buono, nulladimeno il desiderio è sempre difettoso in riguardo a noi, specie allorquando è misto a soverchia sollecitudine, giacché Dio non esige questo bene, ma un altro nel quale vuole che ci esercitiamo." (Epist. III, p. 579).

SANTI é BEATI :

-
Santa Margherita Maria Alacoque Vergine
16 ottobre e 17 ottobre - Memoria Facoltativa
Verosvres, Autun, Francia, 1647 - Paray-le-Monial, 17 ottobre 1690
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché dovette vincere la resistenza dei genitori per entrare, a ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da san Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì «vittima al Cuore di Gesù». Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. Il beato Claudio La Colombière divenne preziosa guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nell'autobiografia, le sue esperienze ascetiche. Per ispirazione della santa, nacque la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica dei primi Nove Venerdì del mese. Morì il 17 ottobre 1690. (Avvenire)
Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino
Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Santa Margherita Maria Alacoque, vergine, che, entrata tra le monache dell’Ordine della Visitazione della beata Maria, corse in modo mirabile lungo la via della perfezione; dotata di mistici doni e particolarmente devota al Sacratissimo Cuore di Gesù, fece molto per promuoverne il culto nella Chiesa. A Paray-le-Monial nei pressi di Autun in Francia, il 17 ottobre, si addormentò nel Signore.
(17 ottobre: A Paray-le-Monial nel territorio di Autun in Francia, transito di santa Margherita Maria Alacoque, vergine, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).





La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è legata alla diffusione della devozione del Sacro Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa, quando soffiò sulla Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta dell'Illuminismo.
All'origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque. Del primo abbiamo già parlato il 19 agosto. dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il primo e più fervido propagatore del nuovo culto.
Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le fu facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì " vittima al Cuore di Gesù ". In cambio ricevette grazie straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. " Ha bisogno di minestra ", dicevano, non per scherno, ma per troppo umana prudenza.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il Beato Claudio La Colombière, che divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
" Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini ", le venne detto un giorno, nel rapimento di una visione. t una frase restata quale luminoso motto della devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: " Il mio cuore si dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi onorano ". E ancora: " I preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per trarre gli uomini dall'abisso di perdizione ".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza, abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza, si diffuse nel mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso " su di un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce ". E’ l'immagine che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.

Autore:
Piero Bargellini

(Lc 11,42-46) Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.


VANGELO
 (Lc 11,42-46) Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo».Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».

Parola del Signore
(Lc 11,42-46) Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.
(Lc 11,42-46) Guai a voi, farisei; guai a voi dottori della legge.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e aiutami a comprendere quali sono le cose che piacciono a Dio, quali sono le virtù che devo esaltare e quali i difetti da reprimere, per essere come Dio ci vuole.

In questo brano non voglio vedere il rimprovero di Gesù ai farisei e ai dottori della legge come tale, ma proprio come fatto ad ognuno di noi.
Spesso ci confrontiamo con la fede in Dio, così come facciamo con la legge degli uomini, cercando degli aggiustamenti o delle scorciatoie, ma se questo non è giusto per le cose terrene, ancor meno è adatto a quelle spirituali.
Io credo che anzi, per essere il più possibile conformi a Cristo Gesù, dobbiamo lottare con tutta la veridicità e la forza di cui siamo capaci, per migliorare noi stessi.
<Quelli che appartengo a Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni.> Questa frase di Paolo, ci deve far comprendere come per entrare in comunione con Gesù, dobbiamo cercare anche di capire che certi comportamenti che la parola di Dio c’indica di seguire, ci sono le condizioni essenziali per essere di Cristo.
Non dobbiamo pensare che sia impossibile, perché non siamo tenuti a fare tutto da soli, ma grazie allo Spirito Santo, tutto potrà essere facilitato.
Esercitare le virtù e combattere i peccati, è andare alla scuola di Gesù, e bisogna capire che come nella vita, più noi ci affiniamo alla sua scuola, più saremo felici d’essere suoi, perché ci avvicineremo sempre un po’ di più a Lui.
Io sono come tutti voi, piena di difetti e di vizi, ma cerco di combatterli per amore di Dio, proprio come si fa quando ci s’innamora qui sulla terra, nella normalità, là dove si cerca di far felice l’amato, per dimostrare il nostro amore e la nostra dedizione.
Questo è un cammino che si fa in due, e vedrete che chiedendo aiuto al Signore, non ci sarà negato, ma non fermiamoci all’ esteriorità della fede, riempiamoci di Gesù e viviamo il più possibile in unione vera con Lui attraverso lo Spirito Santo.

lunedì 14 ottobre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Non bisogna agire con moti violenti, se non si vuole correre il rischio di nulla guadagnare. È necessario rivestirsi di grande prudenza cristiana." (Epist. III, p. 416).

SANTI é BEATI :

- Santa Teresa di Gesù (d'Avila) Vergine e Dottore della Chiesa

15 ottobre

Avila, Spagna, 1515 - Alba de Tormes, Spagna, 15 ottobre 1582

Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent'anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un'intensa attività come riformatrice dell'Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l'autorizzazione del generale dell'Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell'intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)

Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Memoria di santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa: entrata ad Ávila in Spagna nell’Ordine Carmelitano e divenuta madre e maestra di una assai stretta osservanza, dispose nel suo cuore un percorso di perfezionamento spirituale sotto l’aspetto di una ascesa per gradi dell’anima a Dio; per la riforma del suo Ordine sostenne molte tribolazioni, che superò sempre con invitto animo; scrisse anche libri pervasi di alta dottrina e carichi della sua profonda esperienza.


Al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice del Carmelo, Madre delle Carmelitane Scalze e dei Carmelitani Scalzi; "mater spiritualium" (titolo sotto la sua statua nella basilica vaticana); patrona degli scrittori cattolici (1965) e Dottore della Chiesa (1970): prima donna, insieme a S. Caterina da Siena, ad ottenere tale titolo; nata ad Avila (Vecchia Castiglia, Spagna) il 28 marzo 1515; morta ad Alba de Tormes (Salamanca) il 4 ottobre 1582 (il giorno dopo, per la riforma gregoriana del calendario fu il 15 ottobre); beatificazione nel 1614, canonizzazione nel 1622; festa il 15 ottobre.
La sua vita va interpretata secondo il disegno che il Signore aveva su di lei, con i grandi desideri che Egli le mise nel cuore, con le misteriose malattie di cui fu vittima da giovane (e la malferma salute che l'accompagnò per tutta la vita), con le "resistenze" alla grazia di cui lei si accusa più del dovuto. Entrò nel Carmelo dell'Incarnazione d'Avila il 2 novembre 1535, fuggendo di casa. Un pò per le condizioni oggettive del luogo, un pò per le difficoltà di ordine spirituale, faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua "conversione", a 39 anni. Ma l'incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione.
Nel 1560 ebbe la prima idea di un nuovo Carmelo ove potesse vivere meglio la sua regola, realizzata due anni dopo col monastero di S. Giuseppe, senza rendite e "secondo la regola primitiva": espressione che va ben compresa, perchè allora e subito dopo fu più nostalgica ed "eroica" che reale. Cinque anni più tardi Teresa ottenne dal Generale dell'Ordine, Giovanni Battista Rossi - in visita in Spagna - l'ordine di moltiplicare i suoi monasteri ed il permesso per due conventi di "Carmelitani contemplativi" (poi detti Scalzi), che fossero parenti spirituali delle monache ed in tal modo potessero aiutarle. Alla morte della Santa i monasteri femminili della riforma erano 17. Ma anche quelli maschili superarono ben presto il numero iniziale; alcuni con il permesso del Generale Rossi, altri - specialmente in Andalusia - contro la sua volontà, ma con quella dei visitatori apostolici, il domenicano Vargas e il giovane Carmelitano Scalzo Girolamo Graziano (questi fu inoltre la fiamma spirituale di Teresa, al quale si legò con voto di far qualsiasi cosa le avesse chiesto, non in contrasto con la legge di Dio). Ne seguirono incresciosi incidenti aggravatisi per interferenze di autorità secolari ed altri estranei, sino all'erezione degli Scalzi in Provincia separata nel 1581. Teresa potè scrivere: "Ora Scalzi e Calzati siamo tutti in pace e niente ci impedisce di servire il Signore". Teresa è tra le massime figure della mistica cattolica di tutti i tempi. Le sue opere - specialmente le 4 più note (Vita, Cammino di perfezione, Mansioni e Fondazioni) - insieme a notizie di ordine storico, contengono una dottrina che abbraccia tutta la vita dell'anima, dai primi passi sino all'intimità con Dio al centro del Castello Interiore. L' Epistolario, poi, ce la mostra alle prese con i problemi più svariati di ogni giorno e di ogni circostanza. La sua dottrina sull'unione dell'anima con Dio (dottrina da lei intimamente vissuta) è sulla linea di quella del Carmelo che l'ha preceduta e che lei stessa ha contribuito in modo notevole ad arricchire, e che ha trasmesso non solo ai confratelli, figli e figlie spirituali, ma a tutta la Chiesa, per il cui servizio non badò a fatiche. Morendo la sua gioia fu poter affermare: "muoio figlia della Chiesa".


Autore: Anthony Cilia

SANTI é BEATI :

- Santa Maddalena da Nagasaki Martire

15 ottobre

Nishizaka, Giappone, 1611 – Nagasaki, Giappone, 15 ottobre 1634

Nacque nel 1611 nei pressi di Nagasaki. Figlia di nobili cristiani martirizzati per la fede, descritta come gracile, delicata e bella si consacrò a Dio, guidata spiritualmente dai beati Francesco di Gesù e Vincenzo di sant'Antonio agostiniani recolletti, che l'ammisero come terziaria. Nel frattempo la persecuzione contro i cristiani si faceva sempre più pressante a tal punto che nel 1629 fu costretta a nasconderti sulle montagne, aiutando i cristiani perseguitati dove visitava i malati, battezzava i bambini, confortava le persone maltrattate. Nel settembre del 1634 si presentò ai giudici proclamandosi cristiana. Neppure le promesse di un vantaggioso matrimonio e le torture piegarono la sua fede. Venne così condannata al tormento della fossa dove sopravvisse per 13 giorni. Il suo martirio destò molta impressione. Beatificata nel 1981 a Manila, fu canonizzata da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1987 a Roma. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, santa Maddalena, vergine e martire, forte d’animo tanto nel promuovere la fede quanto nel sopportare per tredici giorni il supplizio della forca sotto l’imperatore Yemitsu.

Maddalena nacque nel 1611 a Nishizaka, nei pressi di Nagasaki in Giappone, figlia di nobili e ferventi cristiani. Narrano gli antichi manoscritti che fosse una giovane gracile, delicata e bella. I suoi genitori e fratelli furono condannati a morte per la loro fede cattolica e martirizzati quando essa era ancora giovanissima.
Nel 1624 conobbe due agostiniani recolletti, Francesco di Gesù e Vincenzo di Sant’Antonio, poi anch’essi martiri e beati. Attratta dalla profonda spiritualità dei due missionari, Maddalena si consacrò a Dio come terziaria agostiniana recolletta. Da allora il suo abito fu quello religioso, le sue uniche occupazioni la preghiera, la lettura di libri santi e l’apostolato. Divenne in seguito terziaria domenicana. I tempi erano assai difficili e la persecuzione che infuriava contro i cristiani era divenuta sempre più sistematica e crudele. Maddalena infondeva coraggio ai cristiani, insegnava il catechismo ai fanciulli, domandava l’elemosina ai commercianti portoghesi per i poveri.
Nel 1629 cercò rifugio tra le montagne di Nagasaki, condividendo le sofferenze e le angosce dei suoi concittadini perseguitati, incoraggiandoli a mantenersi forti nella fede, riportando sulla retta via quanti, vinti dalle torture, avevano rinnegato Cristo, visitando i malati, battezzando i bambini, portando a tutti parole e gesti di conforto.
Di fronte alle apostasie di parecchi cristiani terrorizzati dalle torture alle quali erano sottoposti e desiderosa di unirsi eternamente a Cristo, Maddalena pensò di sfidare i tiranni. Vestita con l’abito di terziaria, nel settembre 1634 si presentò ai giudici, portando con se solamente un piccolo fagotto pieno di libri santi per poter pregare e meditare in carcere. Neppure le promesse di un vantaggioso matrimonio e le torture subite riuscirono a piegare la sua ferma volontà.
Ai primi di ottobre fu allora sottoposta al tormento della forca e della fossa: sospesa per i piedi, con la testa ed il petto sommersi in una fossa sottostante, coperta con tavole per renderle più difficile la respirazione. La coraggiosa giovane resistette al tormento per tredici giorni, invocando durante il supplizio i nomi di Gesù e Maria e cantando inni al Signore. L’ultima notte un acquazzone inondò la fossa e Maddalena morì affogata. Era il 15 ottobre 1634. I tiranni bruciarono il suo corpo e sparsero le ceneri nel mare, onde evitare una venerazione delle sue reliquie da parte dei cristiani.
Per procedere alla sua elevazione agli onori degli altari Maddalena fu aggregata ad un gruppo complessivo di sedici martiri domenicani di varie nazionalità, tutti uccisi in terra giapponese, capeggiati da Lorenzo Ruiz, primo santo di origini filippine. Il gruppo fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 18 febbraio 1981 a Manila nelle Filippine e canonizzato a Roma dal medesimo pontefice il 18 ottobre 1987.
Mentre la commemorazione della singola Santa Maddalena da Nagasaki ricorre nel Martyrologium Romanum in data odierna nell’anniversario del suo martirio, la festa collettiva di questo gruppo di martiri è fissata dal calendario liturgico al 28 settembre.

Sant'Alfonso Maria de’ Liguori




Alfonso Maria de’ Liguori, uomo
di ampia cultura, missionario, fondatore, vescovo, scrittore fecondo, pittore, poeta, musicista (ben noto è il “Tu scendi dalle stelle”), è senza dubbio un grande protagonista della storia della Chiesa e della storia tout court.

 Nasce a Marianella (NA)il 27/09/1696
da una nobile famiglia. Il papà, Giuseppe, era comandante della nave Capitana della flotta del Regno di Napoli; la mamma, Anna Caterina Cava­lieri, era della famiglia dei Principi di Presicce.

A 12 anni sostiene con Giambattista Vico (noto filosofo, storico e giurista) l'esame di retorica e viene iscritto all'università.

Il 21 gennaio 1713, a poco più di 16 anni, si laurea in utroque jure (ossia in diritto civile e diritto canonico).

Svolge l'attività forense, che pratica nel rispetto della verità, diventando presto uno dei più rinomati giureconsulti; è titolare del Sedile di Portanova. Si dedica anche alle opere di misericordia assumendosi, nel 1715, il compito di visitare e di assistere i malati del più grande ospedale di Napoli, chiamato degli Incurabili.

Nello stesso tempo studia filosofia, lettere e matematica: suona il clavicembalo e compone; dipinge
e scrive poesie.

Nel luglio del 1723, lasciato il foro dopo un processo perduto per intrallazzi politici, decide di farsi sacerdote e studia teologia.

 Il 21 dicembre 1726, all'età di trent'anni, riceve l'ordinazione sacerdotale. Grande amico del popolo, al quale insegna che tutti sono chiamati alla santità, ognuno nel proprio stato, Alfonso si circonda, ovunque, di ecclesiastici e di laici di ogni ceto, organizzandoli in numerose associazioni.

Si dedica in modo particolare ai ceti
più umili, compiendo innumerevoli missioni nelle campagne e nei paesi rurali e prodigandosi in un intenso apostolato nei quartieri più poveri
di Napoli, dove organizza, fin dal 1727, le “Cappelle Serotine”, frequentate da artigiani e da “lazzari”, cioè dal popolo minuto, che si radunavano la sera, dopo il lavoro, per due ore di preghiera e di catechismo. L'opera ha una rapida diffusione e diventa una scuola di rieducazione civile e morale.

Alfonso si rivolge al popolo con i mezzi pastorali più idonei e più efficaci, rinnovando la predicazione nei metodi e nei contenuti, collegandola con un'arte oratoria semplice e immediata.

Il suo carattere positivo lo orienta verso i problemi più immediati della vita dei credenti, scossi nella fede e nelle certezze tradizionali da nuovi movimenti culturali e religiosi, soprattutto l'illuminismo e il giansenismo.

 Nel 1732, Alfonso, volendo evangelizzare con più efficacia le popolazioni del Mezzogiorno, specialmente quelle più abbandonate e più sprovviste di aiuti spirituali, fonda a Scala, sulla Costiera amalfitana, la Congregazione del SS. Salvatore, poi denominata del Santissimo Redentore.

Nel 1762, a sessantasei anni, viene nominato vescovo della diocesi di Sant'Agata dei Goti, nel Beneventano. Nella grande carestia organizza soccorsi ai più poveri, e vende anche la sua carrozza. Nel nuovo compito sviluppa un'attività che ha dell'incredibile, nella duplice direzione del ministero diretto e dell'apostolato della penna.

Dopo 13 anni, consumato da un'artrosi cervicale e lombare, rinuncia all'episcopato. Gli ultimi dodici anni li trascorre a Pagani. Nonostante la malattia, è ancora attivissimo: scrive libri, prega, riceve persone e dirige la Congregazione. Muore a Pagani il 1 ° agosto 1787, a quasi 91 anni di età, in una casa del suo istituto religioso.

 Il 20 febbraio 1807, a meno di vent'anni dalla morte, Pp Pio VII (Barnaba Chiaramonti) ne proclama l'eroicità delle virtù e il 15 settembre 1815 lo beatifica.

Pp Gregorio XVI (Bartolomeo Mauro Alberto Cappellari) lo canonizza nel 1839, il Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti) lo proclama Dottore della Chiesa nel 1871 col titolo di Doctor zelantissimus e il Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli) lo assegna come patrono dei confessori e moralisti nel 1950.

 S. Alfonso fu autore di oltre 100 opere scritte. Produsse sia opere “popolari”, quindi di spessore facilmente accessibile a tutti, sia opere esegetiche trattanti ad esempio la teologia (in particolare quella morale “Theologia Moralis” stampata già nel 1748), l’apologetica, la dogmatica. Queste opere, tradotte nelle principali lingue del mondo, hanno nutrito e continuano a nutrire intere generazioni di cristiani, rendendo più facile il loro cammino verso la santità.

 Lo stemma della “Congregatio Sanctissimi Redemptoris” (Congregazione del SS. Redentore) compare, per la prima volta, nella forma e composizione odierna, sui documenti delle costituzioni capitolari del 1764 dove se ne fa una descrizione completa.

Tale stemma consiste in una croce latina, con ai lati una lancia  e una canna con la spugna, sita sopra tre monti. Accanto alla croce compaiono, a sinistra l’acronimo di Gesù e a destra il monogramma di Maria. Al di sopra
della croce troviamo l’occhio raggiante sovrastato da una corona. Tutt’intorno allo stemma poi c’è la legenda COPIOSA APUD EUM REDEMPTIO (cf. Salmo 129,7).

I redentoristi fanno della Croce il simbolo per eccellenza da tenere sempre presente nella loro vita spirituale e accanto ad essa tutto ciò che comprende e ne scaturisce, per cui troviamo la lancia con cui fu colpito Gesù quando era ormai morto sulla croce, la canna con all’estremità una spugna che servì a “dissetare” Gesù crocifisso, le lettere di Gesù e di Maria accanto alla croce  a simboleggiare il dolore sofferto e inferto a entrambi.

Al di sopra di tutto ciò c’è l’occhio raggiante e vigile di Dio sempre presente nel raccoglimento, nella preghiera dei congregati intorno alla Passione di Gesù. Ed ecco che alle estremità dello stemma ci sono i due messaggi di speranza: la corona che presagisce a chi muore nella Congregazione un posto in Paradiso e la legenda che esplicita il senso della Redenzione copiosa in Cristo e che quindi estende a tutti anche oltre le capacità umane di redimere e di convertire la misericordia di Dio.