sabato 17 novembre 2012

8 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO VII
L'esercizio.
E in primo luogo l'esercizio dell'intelletto, che va guardato dall'ignoranza e dalla curiosità
Se la diffidenza di noi e la confidenza in Dio tanto necessarie in questa battaglia saranno sole,
non solamente non avremo vittoria su noi stessi, ma precipiteremo in molti mali. Perciò, oltre a
queste, ci è necessario l'esercizio,  che è la terza cosa proposta sopra. Questo esercizio si deve
fare principalmente con l'intelletto e con la volontà. Quanto all'intelletto deve essere da noi
guardato da due cose che sogliono combatterlo.
L'una è l'ignoranza, che lo oscura e gli impedisce la conoscenza del vero, che è il suo oggetto
proprio. Perciò con l'esercizio lo si deve rendere lucido e chiaro, perché possa vedere e
discernere bene quanto ci è necessario per purificare l'anima dalle passioni disordinate e ornarla
delle sante virtù. Questo lume in due modi si può ottenere.
Il primo e più importante è l'orazione, pregando lo Spirito Santo che si degni infonderlo nei
nostri cuori. Questo lo farà sempre, se in verità cercheremo Dio solo; se cercheremo di fare la
sua santa volontà e se sottoporremo ogni cosa insieme al nostro giudizio alla decisione del padre
spirituale.
L'altro modo è un continuo esercizio di profonda  e leale considerazione delle cose per vedere
come siano, se buone o cattive: e ciò secondo come insegna lo Spirito Santo e non come
appaiono all'esterno, si rappresentano ai sensi e giudica il mondo.
Questa considerazione, fatta come si conviene, ci fa chiaramente conoscere che si debbono avere
per nulla, per vanità e bugia tutte quelle cose che il cieco e corrotto mondo ama e desidera, e che
con vari modi e mezzi si va procurando; che gli onori e i piaceri terreni non sono altro che vanità
e afflizione di spirito; che le ingiurie e le infamie, che il mondo ci dà, portano vera gloria e le
tribolazioni quiete; che perdonare i nemici e fare loro del bene è magnanimità e una delle
maggiori somiglianze con Dio; che vale più il disprezzo del mondo che l'esserne padrone; che
l'obbedire volentieri per amore di Dio alle più vili creature è cosa più magnanima e generosa del
comandare ai grandi prìncipi; che l'umile conoscenza di noi stessi si deve apprezzare più
dell'altezza di tutte le scienze; che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccoli che siano,
merita maggior lode che l'espugnare molte città (cfr. Pro 16,32), superare potenti eserciti con le
armi in mano, fare miracoli e risuscitare i morti.

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