VANGELO
(Lc 21,29-33) Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O Spirito Santo, che distingui il vero dal falso, aiutami a riconoscerlo. Aiutami a capire gli insegnamenti che mi vuoi dare, non per i miei meriti, ma per Cristo, nostro Signore. Amen
Nella fede che Dio ci chiede non ci deve essere disperazione, per questo ci fa notare la pianta del fico che germoglia.Quello che Dio ci invita ad avere è l’ attenzione, la perseveranza, l’ accortezza e la ricerca della verità, per essere vigili. La vigilanza è una delle cose che spesso viene sottolineata come richiesta da Gesù. Ci dice che le sue parole non passeranno, ma che invece il cielo e la terra passeranno; è chiaro che ci invita a seguire i comandamenti e alla luce del suo vangelo ci insegna anche come seguire correttamente il volere di Dio perché si possano adempiere le sua parole: ” Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino” ed il regno di Dio sia veramente presente nel nostro cuore.Che cosa significa per me seguire i comandamenti alla luce del suo Vangelo? Questa domanda mi viene spontanea perchè devo essere certa per prima di aver iniziato un cammino di conversione e la risposta che mi sono data è molto semplice: mettere Gesù al centro della mia vita, tenermi strettamente salda alla sua parola, per vivere il più possibile come Lui ha vissuto,sperando nel Suo aiuto per vedere maturare una fede di cui vedo il germoglio. La parola del vangelo è veramente un libretto di istruzioni da cui prendere spunto per ogni attimo di vita e da come riusciremo a metterlo in pratica capiremo quanto viviamo già sulla terra il regno dei cieli.Se dovessi dire l' immagine che ho davanti agli occhi in questo momento mi viene da pensare ad un operaio che costruisce la sua casa cercando di analizzare prima bene il terreno sulla quale costruirla, per poter poggiare con cura i mattoni, ripartendo bene dalle fondamenta, per evitare che crolli alle prime scosse di vento, tenendo ben presente la parola di Dio come libretto d' istruzioni!
Vorrei conoscere la Bibbia a memoria,conoscere il greco,il latino e pure l' aramaico,ma nulla di tutto questo mi è stato donato. Quello che al Signore è piaciuto donarmi, è una grande voglia di parlargli e di ascoltarlo.Logorroica io e taciturno Lui,ma mentre io ho bisogno di parole,Lui si esprime meglio a fatti.Vorrei capire perchè questo bisogno si tramuta in scrivere, e sento che è un modo semplice,delicato e gratuito di mettere al centro la mia relazione con Dio.
giovedì 28 novembre 2013
mercoledì 27 novembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Tutte le concezioni umane, da qualunque parte
vengano, hanno il buono ed il cattivo. Bisogna saper assimilare e
prendere tutto il buono e offrirlo a Dio, ed eliminare il cattivo." (AdFP,
552).
SANTI é BEATI :
San Giacomo della Marca Religioso e sacerdote
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Monteprandone, Ascoli Piceno, 1394 - Napoli, 28 novembre 1476
E' nato a Monteprandone (Ascoli Piceno) nel 1394, fu discepolo di san
Bernardino da Siena, dal quale ricevette a 22 anni il saio francescano.
Come il maestro, anch'egli si diede alla predicazione, in Italia,
Polonia, Boemia, Bosnia e in Ungheria dove si recò per ordine del Papa.
Oratore ardente, si scagliò soprattutto contro i vizi dell'avarizia e
dell'usura. Proprio per combattere quest'ultima, san Giacomo della Marca
ideò i Monti di Pietà, dove i poveri potevano impegnare le proprie
cose, non più all'esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un
interesse minimo. Già debilitato per la vita di penitenza e colpito da
coliche fortissime, morì a Napoli, nel 1476. Le sue ultime parole
furono: «Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù». (Avvenire)
Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico Martirologio Romano: A Napoli, deposizione di san Giacomo della Marca, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per la predicazione e per l’austerità di vita.
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" Padre, io vado a predicare a Gubbio - disse Fra Giacomo a Fra Bernardino da Siena. ~ E voi dove andrete? ". " lo me ne andrò nel Regno " rispose il popolarissimo predicatore. Fra Giacomo pensava che Bernardino andasse a predicare nel Regno (di Napoli, come allora si diceva), ma il senese intendeva nel Regno dei cieli; pochi giorni dopo, infatti, seppe che il suo grande e amato maestro era partito per un altro Regno. Interruppe la predica e fece recitare a tutti gli astanti un Miserere. Poi disse: " In questo momento cade in terra una grande colonna ". In quel momento, infatti, moriva San Bernardino da Siena. Non si può parlare di San Giacomo della Marca senza ricordare il Santo senese che ebbe attorno a sé una corona di portentosi predicatori: San Giovanni da Capestrano, Alberto da Sarteano, Matteo di Girgenti e Giacomo della Marca. Giacomo si chiamava della Marca, perché era nato, nel 1394, a Monteprandone, in provincia di Ascoli Piceno, e, a 22 anni, in Santa Maria degli Angioli, aveva ricevuto il saio francescano proprio da San Bernardino. " 0 buon padre - dirà poi - io mi ricordo quand'ero novizio e tu mi tagliasti con le tue mani la mia prima tunica ". Si diede, come il maestro, alla predicazione, con grande successo, non solo in Italia, ma in Bosnia, in Boemia, in Polonia. Stava mangiando, quando gli giunse l'ordine del Papa di partire per l'Ungheria. Si alzò immediatamente, senza neppure finire di bere. L'obbedienza veniva da lui interpretata nella più assoluta e istantanea maniera. La sua vita era di estrema penitenza. Faceva sette quaresime durante l'anno, e negli altri giorni il suo cibo era formato da una scodella di fave cotte nell'acqua. Per quanto castissimo, tormentato da tentazioni, si disciplinava durante la notte. Malato, ebbe sei volte l'Estrema Unzione. Eppure resistette fino agli ottanta anni, nella faticosa vita dei predicatore volante. I temi della sua predicazione erano quelli stessi di San Bernardino, e nei temi morali, San Giacomo della Marca insisteva su quello dell'avarizia, e più che altro dell'usura. L'usura era la piaga di quei tempi, nei quali la mercatura portava alla formazione di ricchezze nelle mani di pochi intraprendenti fortunati. Le classi più povere dovevano ricorrere a prestiti, fatti da usurai, chiamati da San Bernardino " succhiatori del sangue di Cristo ". Per combattere l'usura, San Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà, dove i miseri potevano impegnare le proprie cose, non più all'esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un interesse minimo. Un altro Santo, che prese il nome del predicatore senese, Bernardino da Feltre, sarebbe diventato poi il più efficace propagatore dei Monti di Pietà, ideati da San Giacomo della Marca. Colto da terribili coliche, il magro e quasi distrutto predicatore marchigiano temeva soltanto una cosa: che il dolore fisico lo distraesse dalla preghiera, nelle ultime ore della sua vita. Ai confratelli chiedeva insistentemente perdono per il cattivo esempio che aveva dato. Morì a Napoli, nel 1476, dicendo: " Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù ". |
(Lc 21,20-28) Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
VANGELO
(Lc 21,20-28) Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore
(Lc 21,20-28) Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo e non lasciarci mai, uniscici nell'amore di Dio, e insegnaci ad affidarci solo a Te.
Sembra un annuncio di catastrofe vero? Ma andate oltre amici, quello che leggiamo è quello che è successo e risuccesso nella storia, non vuol dire che siamo alla fine dei tempi, perché la fine dei tempi nessuno sa quando verrà e come ho spesso ripetuto, non è importante, perché per ognuno di noi, la fine dei tempi è la fine della nostra vita. Abbiamo solo questo di tempo, non ne avremo altri, per vivere IL FINE DELLA NOSTRA VITA, quindi via dai nostri occhi scenari di disperazione o paura, e facciamo posto alla visione della vittoria, che si legge chiaramente anche nell'ultima riga e che Gesù spesso ci ripete.
Il bene vincerà sul male, perché la gloria del Signore sarà un giorno visibile a tutti, e Gesù tornerà in tutta la sua gloria e libererà la terra dal male. Allora anche noi saremo liberati dalla morte, apriamo la Bibbia e leggiamo in Eb. 9:27 “ E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto per una volta sola, per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che l’aspettano per la loro salvezza.” Ho aperto la Bibbia perché solo essa ci dice cosa avviene e non vi è altro luogo all’infuori di essa dove noi possiamo trovare una risposta all’interrogativo “ chi sono, cosa sarò, cosa diventerò, dove andrò ? ” Non sta a noi scegliere l’ ora della nostra morte ma è Dio che chiama il giusto e l’ingiusto. Non fa Egli stesso piovere nello stesso tempo sul campo del buono che su quello del malvagio? Accogliamo quindi il Suo insegnamento “ Vegliate, vegliate! Non sapetene il giorno né l’ora.” Mt.25:13 - Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'agnello!
Quando la nostra conversione procederà decisa, anche noi vedremo come ci sentiremo vittoriosi sul male; quando saremo liberi da quel giogo che ci schiaccia e ci rende schiavi, guidando le nostre passioni che ci condurrebbero alla perdizione dei valori e del senso della vita oltre che del paradiso.
(Lc 21,20-28) Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
Parola del Signore
(Lc 21,20-28) Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo e non lasciarci mai, uniscici nell'amore di Dio, e insegnaci ad affidarci solo a Te.
Sembra un annuncio di catastrofe vero? Ma andate oltre amici, quello che leggiamo è quello che è successo e risuccesso nella storia, non vuol dire che siamo alla fine dei tempi, perché la fine dei tempi nessuno sa quando verrà e come ho spesso ripetuto, non è importante, perché per ognuno di noi, la fine dei tempi è la fine della nostra vita. Abbiamo solo questo di tempo, non ne avremo altri, per vivere IL FINE DELLA NOSTRA VITA, quindi via dai nostri occhi scenari di disperazione o paura, e facciamo posto alla visione della vittoria, che si legge chiaramente anche nell'ultima riga e che Gesù spesso ci ripete.
Il bene vincerà sul male, perché la gloria del Signore sarà un giorno visibile a tutti, e Gesù tornerà in tutta la sua gloria e libererà la terra dal male. Allora anche noi saremo liberati dalla morte, apriamo la Bibbia e leggiamo in Eb. 9:27 “ E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto per una volta sola, per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a quelli che l’aspettano per la loro salvezza.” Ho aperto la Bibbia perché solo essa ci dice cosa avviene e non vi è altro luogo all’infuori di essa dove noi possiamo trovare una risposta all’interrogativo “ chi sono, cosa sarò, cosa diventerò, dove andrò ? ” Non sta a noi scegliere l’ ora della nostra morte ma è Dio che chiama il giusto e l’ingiusto. Non fa Egli stesso piovere nello stesso tempo sul campo del buono che su quello del malvagio? Accogliamo quindi il Suo insegnamento “ Vegliate, vegliate! Non sapetene il giorno né l’ora.” Mt.25:13 - Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'agnello!
Quando la nostra conversione procederà decisa, anche noi vedremo come ci sentiremo vittoriosi sul male; quando saremo liberi da quel giogo che ci schiaccia e ci rende schiavi, guidando le nostre passioni che ci condurrebbero alla perdizione dei valori e del senso della vita oltre che del paradiso.
martedì 26 novembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Conviene addomesticarsi coi patimenti, che piacerà a
Gesú mandarvi.
Gesú, che non può soffrire a lungo di tenervi in afflizione, verrà a
sollecitarvi ed a confortarvi con l’infondere al vostro spirito nuovo
coraggio." (AdFP, 561).
SANTI é BEATI :
Santa Bililde Duchessa
|
m. 734 (?)
Non si hanno notizie sicure sulla sua vita poiché tutta la
documentazione dipende da uno scritto di Magonza, che tutti oggi
riconoscono per un falso del secolo XII. Secondo la leggenda Bililde
nacque a Veitshochheim, presso Würzburg, e sposò il duca di Turingia.
Partito il marito per una guerra, la santa si ritirò presso lo zio
Sigiberto (o Rigiberto), vescovo di Magonza, ma, rimasta vedova molto
presto, pose fine al suo ritiro per fondare il monastero di Altinfinster
(identificato da alcuni con Hagenmiinster, nei pressi della stessa
città) dove morì. Mentre le notizie concernenti la Vita di Bililde sono
scarsamente attendibili, molte sono le testimonianze del culto. In un
calendario manoscritto di Fulda del secolo IX, oggi perduto, è
testimoniata la commemorazione di Bililde vergine. A Magonza esiste
anche oggi una piccola chiesa a lei dedicata. Sembra quindi che Bililde
non fu sposa ma una vergine di Magonza e che contribuì alla fondazione
del monastero sopra ricordato. Con tutta probabilità morì nel 734. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Magonza in Renania, in Germania, santa Bililde, vergine, fondatrice di un monastero, nel quale morì piamente. |
Non si hanno notizie sicure sulla sua vita poiché i documenti che la concernono dipendono da una carta di Magonza, che tutti oggi riconoscono per un falso del secolo XII. Secondo la leggenda, dunque, Bililde nacque a Veitshochheim, presso Wùrzburg, e sposò il duca di Turingia. Partito il marito per una guerra, la santa si ritirò presso lo zio Sigiberto (o Rigiberto), vescovo di Magonza, ma, rimasta vedova molto presto, pose fine al suo ritiro per fondare il monastero di Altinfinster (identificato da alcuni con Hagenmiinster, nei pressi della stessa città) dove morì. Mentre le notizie concernenti la Vita di Bililde sono scarsamente attendibili, certe sono le testimonianze del culto. In un calendario manoscritto di Fulda del secolo IX, oggi perduto ma consultato dal Mabillon nella biblioteca di S. Benigno a Digione, si leggevano queste parole: V Kal. dec. commemoratio sanctae Bilhildis virginis. A Magonza esiste anche oggi una piccola chiesa a lei dedicata. Si può quindi ammettere che Bililde visse presso Magonza, che fu vergine e non sposa, e che ebbe parte nella fondazione del monastero sopra ricordato. Morì probabilmente nel 734 e la sua festa ricorre il 27 novembre. |
(Lc 21,12-19) Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
VANGELO
(Lc
21,12-19) Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un
capello del vostro capo andrà perduto.
+
Dal Vangelo secondo Luca
In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Metteranno le mani su di
voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle
prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio
nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque
in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola
e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere
né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli,
dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati
da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo
andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra
vita».
Parola del Signore
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e assistici; a me che rifletto sulla parola del Signore ed a chi la legge. Fa che la Tua forza, vada a toccare le corde del cuore di ognuno di noi, per Cristo nostro Signore. Grazie amen.
Sembra incredibile come Gesù ci chieda di seguirlo senza neanche addolcirci la pillola, non ci fa nessuna promessa di gioia e benessere materiali, ma continua a mettere in risalto le difficoltà che si incontrano nel seguirlo. La croce che aspetta Lui, aspetta anche noi, ma non ci lascia soli ad affrontare le difficoltà, sarà con noi in questa lotta e se ci affideremo a Lui, non ne saremo delusi. I segni delle persecuzioni contro il popolo di Dio, ci sono sempre stati, molti sono i martiri che hanno pagato con il loro sangue la loro fede, ma questo non ci deve intimorire, perché quella che può sembrare una morte terrena , è solo l'inizio di una nuova vita.
A queste parole di Luca, possiamo aggiungere quelle di Marco " appena l’ inizio dei dolori di parto! " (Mc 13,8) che pur essendo molto dolorosi per la madre, non sono segno di morte, bensì di vita! Non sono motivo di timore, ma di speranza! Impariamo a fidarci di Dio, più di quanto ci fidiamo di noi stessi, dei nostri figli, dei nostri parenti e di ogni altro essere umano, considerando che le persecuzioni sono un' occasione per dimostrare al Signore la nostra fedeltà, infatti Gesù dice: - questo vi darà occasione di render testimonianza. - Pensiamo al povero Giobbe che fu provato fino all'inverosimile ma si mantenne fedele, perché la persecuzione non va intesa solo come un atto di violenza, ma come un perseverare nella fede anche di fronte alle difficoltà. La cosa che ci stupirà, andando avanti nel nostro cammino di fede, sarà proprio scoprire come questa sfida al fianco del nostro Dio può essere eccitante, come sapere di essere dalla parte giusta, ci farà sentire forti, proprio quando ci sentiremo deboli, perché non saremo mai soli, ma Gesù vivrà con noi e guiderà ogni nostra battaglia.Se ci sentiamo sconfortati, se ci sentiamo indegni, pensiamo solo a quanto il Signore sa trasformare chi si lascia ricreare da Lui.... " che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?"
lunedì 25 novembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Vi sono gioie tanto sublimi e dolori cosí
profondi, che la parola mal saprebbe esprimere. Il silenzio è l’ultimo
espediente dell’animo, nella ineffabile felicità come nelle supreme
pressure." (ASN, 43).
SANTI é BEATI :
_ San Leonardo da Porto Maurizio Sacerdote
26 novembre
Porto Maurizio, Imperia, 1676 - Roma, 26 novembre 1751
È il santo a cui si deve il merito di aver ideato la Via Crucis. Ligure (1676-1751), era figlio di un capitano di marina. Nato a Porto Maurizio, l'odierna Imperia, compie i suoi studi a Roma presso il Collegio romano, per poi entrare nel Ritiro di san Bonaventura, sul Palatino, dove vestirà il saio francescano. Inviato dal Papa in Corsica a ristabilire la concordia tra i cittadini, riuscì ad ottenere, nonostante le gravi divisioni tra gli abitanti, un impensabile abbraccio di pace. Il tema della Croce era al centro della sua predicazione: richiamava le folle alla penitenza e alla pietà cristiana. Alfonso Maria de' Liguori lo definì «il più grande missionario del nostro secolo». (Avvenire)
Patronato: Missioni al popolo
Etimologia: Leonardo = forte come leone, dal latino e dal tedesco
Martirologio Romano: A Roma nel convento di San Bonaventura sul Palatino, san Leonardo da Porto Maurizio, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, pieno di amore per le anime, impegnò tutta la sua vita nella predicazione, nel pubblicare libri di devozione e nel far visita ad oltre trecento missioni a Roma, in Corsica e nell’Italia settentrionale.
Giovane francescano, Leonardo aveva chiesto di andare missionario in Cina. Il Cardinale Colloredo gli aveva risposto: " La tua Cina sarà l'Italia ".
E alla fine del Seicento, l'Italia aveva abbastanza miserie e sufficienti disgrazie per essere considerata terra di missione.
Leonardo era ancora studente a Roma, quando un compagno gli propose di andare a udire una predica. Fatti pochi passi, trovarono un impiccato che ciondolava dalla forca. " Ecco la predica " dissero i due giovani.
Pochi giorni dopo, il figlio del capitano marittimo di Porto Maurizio, in Liguria, seguì due figure di frati che salivano verso il convento di San Bonaventura, sul Palatino, dove vestì l'abito dei Francescani detti " della riformella ", o " scalzati ".
Datosi alla predicazione, forse ricordando quel suppliziato pendente dalla forca, fra Leonardo ebbe sempre in mente l'altro suppliziato, pendente dalla Croce. Perciò, il suo tema preferito fu quello della Via Crucis, devozione tipicamente francescana, alla quale egli dette la più grande diffusione.
La sua predicazione aveva qualcosa di drammatico e di tragico, spesso al lume delle torce e con volontari tormenti, ai quali fra Leonardo si sottoponeva, ora ponendo la mano sulle fiaccole accese, ora flagellandosi a sangue.
Folle immense accorrevano ad ascoltarlo e rimanevano impressionate dalla sua bruciante parola, che ri-chiamava alla penitenza e alla pietà cristiana. " E’ il più grande missionario del nostro secolo " diceva Sant'Alfonso de' Liguori. Spesso l'uditorio intero, durante le sue prediche, scoppiava in singhiozzi.
Predicò in tutta l'Italia, ma la regione più battuta fu la Toscana, a causa del freddo Giansenismo, ch'egli voleva combattere prima di tutto con l'ardore del suo cuore, poi con i suoi temi più efficaci, e cioè quello del Nome di Gesù, della Madonna e della Via Crucis.
In una sua missione in Corsica, i briganti dell'isola tormentata scaricarono in aria i loro archibugi, gridando: " Viva frate Leonardo, viva la pace! ".
Tornato in Liguria, fu messa in mare una galera, intitolata, in suo onore, San Leonardo. Ma di lui, gravemente ammalato, i marinai dicevano: " La barca fa acqua ".
Consumato dalle fatiche missionarie, venne infine richiamato a Roma, dove, con le sue appassionate prediche, alle quali assisteva anche il Papa, preparò il clima spirituale per il Giubileo del 1750. In quella occasione, piantò la Via Crucis nel Colosseo, dichiarando quel luogo sacro per i Martiri. Gli storici hanno dimostrato poi che nel Colosseo non furono mai martirizzati cristiani, ma la predicazione ~ in buona fede - di San Leonardo impedì l'ulteriore rovina del monumento, considerato fino allora come una cava di buona pietra.
Fu l'ultima sua fatica. Morì l'anno dopo, e a San Bonaventura al Palatino occorsero i soldati, per tenere indietro la folla che voleva vedere il Santo e portar via le sue reliquie. " Perdiamo un amico sulla terra - disse il Papa Lambertini - ma guadagnamo un protettore in Cielo ".
Fu lui a proporre la definizione del dogma mariano dell'Immacolata Concezione, mediante una consulta-zione epistolare con tutti i pastori della Chiesa.
26 novembre
Porto Maurizio, Imperia, 1676 - Roma, 26 novembre 1751
È il santo a cui si deve il merito di aver ideato la Via Crucis. Ligure (1676-1751), era figlio di un capitano di marina. Nato a Porto Maurizio, l'odierna Imperia, compie i suoi studi a Roma presso il Collegio romano, per poi entrare nel Ritiro di san Bonaventura, sul Palatino, dove vestirà il saio francescano. Inviato dal Papa in Corsica a ristabilire la concordia tra i cittadini, riuscì ad ottenere, nonostante le gravi divisioni tra gli abitanti, un impensabile abbraccio di pace. Il tema della Croce era al centro della sua predicazione: richiamava le folle alla penitenza e alla pietà cristiana. Alfonso Maria de' Liguori lo definì «il più grande missionario del nostro secolo». (Avvenire)
Patronato: Missioni al popolo
Etimologia: Leonardo = forte come leone, dal latino e dal tedesco
Martirologio Romano: A Roma nel convento di San Bonaventura sul Palatino, san Leonardo da Porto Maurizio, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che, pieno di amore per le anime, impegnò tutta la sua vita nella predicazione, nel pubblicare libri di devozione e nel far visita ad oltre trecento missioni a Roma, in Corsica e nell’Italia settentrionale.
Giovane francescano, Leonardo aveva chiesto di andare missionario in Cina. Il Cardinale Colloredo gli aveva risposto: " La tua Cina sarà l'Italia ".
E alla fine del Seicento, l'Italia aveva abbastanza miserie e sufficienti disgrazie per essere considerata terra di missione.
Leonardo era ancora studente a Roma, quando un compagno gli propose di andare a udire una predica. Fatti pochi passi, trovarono un impiccato che ciondolava dalla forca. " Ecco la predica " dissero i due giovani.
Pochi giorni dopo, il figlio del capitano marittimo di Porto Maurizio, in Liguria, seguì due figure di frati che salivano verso il convento di San Bonaventura, sul Palatino, dove vestì l'abito dei Francescani detti " della riformella ", o " scalzati ".
Datosi alla predicazione, forse ricordando quel suppliziato pendente dalla forca, fra Leonardo ebbe sempre in mente l'altro suppliziato, pendente dalla Croce. Perciò, il suo tema preferito fu quello della Via Crucis, devozione tipicamente francescana, alla quale egli dette la più grande diffusione.
La sua predicazione aveva qualcosa di drammatico e di tragico, spesso al lume delle torce e con volontari tormenti, ai quali fra Leonardo si sottoponeva, ora ponendo la mano sulle fiaccole accese, ora flagellandosi a sangue.
Folle immense accorrevano ad ascoltarlo e rimanevano impressionate dalla sua bruciante parola, che ri-chiamava alla penitenza e alla pietà cristiana. " E’ il più grande missionario del nostro secolo " diceva Sant'Alfonso de' Liguori. Spesso l'uditorio intero, durante le sue prediche, scoppiava in singhiozzi.
Predicò in tutta l'Italia, ma la regione più battuta fu la Toscana, a causa del freddo Giansenismo, ch'egli voleva combattere prima di tutto con l'ardore del suo cuore, poi con i suoi temi più efficaci, e cioè quello del Nome di Gesù, della Madonna e della Via Crucis.
In una sua missione in Corsica, i briganti dell'isola tormentata scaricarono in aria i loro archibugi, gridando: " Viva frate Leonardo, viva la pace! ".
Tornato in Liguria, fu messa in mare una galera, intitolata, in suo onore, San Leonardo. Ma di lui, gravemente ammalato, i marinai dicevano: " La barca fa acqua ".
Consumato dalle fatiche missionarie, venne infine richiamato a Roma, dove, con le sue appassionate prediche, alle quali assisteva anche il Papa, preparò il clima spirituale per il Giubileo del 1750. In quella occasione, piantò la Via Crucis nel Colosseo, dichiarando quel luogo sacro per i Martiri. Gli storici hanno dimostrato poi che nel Colosseo non furono mai martirizzati cristiani, ma la predicazione ~ in buona fede - di San Leonardo impedì l'ulteriore rovina del monumento, considerato fino allora come una cava di buona pietra.
Fu l'ultima sua fatica. Morì l'anno dopo, e a San Bonaventura al Palatino occorsero i soldati, per tenere indietro la folla che voleva vedere il Santo e portar via le sue reliquie. " Perdiamo un amico sulla terra - disse il Papa Lambertini - ma guadagnamo un protettore in Cielo ".
Fu lui a proporre la definizione del dogma mariano dell'Immacolata Concezione, mediante una consulta-zione epistolare con tutti i pastori della Chiesa.
(Lc 21,5-11 ) Non sarà lasciata pietra su pietra.
VANGELO
(Lc 21,5-11 ) Non sarà lasciata pietra su pietra.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito del signore a fare nuove tutte le cose vieni e mostraci come interpretare la parola, i segni di cui il Signore ci parla, e più d’ogni altra cosa, insegnaci ad essere pronti per il giorno del giudizio. Fa che non vi preoccupiamo di salvare solo noi stessi, ma che siamo capaci come Gesù di rinunciare a noi stessi, per la salvezza dei fratelli. Grazie, amen.
In quei tempi, in questi tempi, in ogni tempo, l'uomo cerca di capire e d’essere pronto per quel momento, per quando l'inevitabile fine della nostra vita sulla terra, si compirà.
Ci preoccupiamo di noi, della nostra famiglia, e già ci sembra d’essere buoni e giusti se arriviamo a temere il giorno del giudizio, se ci preoccupiamo di poter essere graditi a Dio.
Eppure non era questo che Gesù faceva, non si preoccupava di se stesso, né pregava solo per la sua famiglia, ma voleva e predicava per la salvezza di tutti i suoi fratelli, di tutti i figli di Dio.
Spesso si sente parlare della croce da portare, ma non si comprende bene il senso di questa croce.La croce è una sofferenza che si deve riuscire a comprendere per sentire l'amore che l' ha fatta accettare a Gesù, per poterlo condividere sul serio, per arrivare a non giudicare chi fa del male, chi è in peccato, perché noi non siamo migliori di nessuno, ma viviamo solo situazioni e tempi diversi.
E' proprio il nostro attaccamento a quello che è materiale che è sbagliato, ma fa parte del nostro essere terreni, e per uscire da questo dannato equivoco, dobbiamo capire che il tempio non è seguire gli uomini, ma seguire Cristo.
Gesù ha lasciato che gli strappassero la vita, che lo umiliassero, lo ingiuriassero, per farci capire che neanche il suo corpo di carne doveva essere un freno all'amore che prova per noi, neanche la sofferenza più atroce gli avrebbero impedito di donarci la salvezza.
Quindi il tempio che gli uomini debbono venerare è Cristo, che si fa corpo per noi nel tabernacolo, Cristo che diventa Eucaristia, e non il tempio fatto di pietra e oro, perché del tempio non rimarrà pietra su pietra, dice il Signore.Una chiesa costruita sull'apparenza, non porta la verità; una chiesa attaccata all'oro, non vive la carità; una chiesa che esercita il potere, non parla di comunione.Gli uomini che vogliono essere pastori di Cristo, e con Cristo, devono camminare nell'amore di Cristo, non di se stessi e delle loro organizzazioni.
Gesù non ci ha promesso una vita facile, né ci propone di credere a chi ci parla di catastrofi, a chi si spaccerà per Lui, ci mette in guardia dal cercare i segni di un’imminente fine del mondo, ma c’invita a vivere la nostra umanità pensando che ha una fine inevitabile e che deve e può essere vissuta ,non come se fosse fine a se stessa, ma in funzione della nostra appartenenza alla famiglia di Dio e alla gioia che ci aspetta nel riunirci a Lui.
domenica 24 novembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Il Signore fa vedere e chiama; ma non si vuol
vedere e rispondere, perché piacciono i propri interessi.
Capita anche, a volte, per il fatto che la voce si è sempre udita, che
non la si avverti piú; ma il Signore illumina e chiama. Sono gli uomini
che si mettono nella posizione di non poter udire piú." (AP).
SANTI é BEATI :
- Santa Caterina d'Alessandria Martire
25 novembre - Memoria Facoltativa
Alessandria d’Egitto, secoli III-IV
I testi della letteratura popolare parlano di Caterina come una bella diciottenne cristiana, figlia di nobili, abitante ad Alessandria d'Egitto. Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore di Egitto e Siria. Per l'occasione si celebrano feste grandiose, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane. Un atto obbligatorio per tutti i sudditi. Caterina però invita Massimino a riconoscere Gesù Cristo come redentore dell'umanità e rifiuta il sacrificio. Non riuscendo a convincere la giovane a venerare gli dèi, Massimino propone a Caterina il matrimonio. Al rifiuto della giovane il governatore la condanna a una morte orribile: una grande ruota dentata farà strazio del suo corpo. Sarà un miracolo a salvare la ragazza che verà però decapitata. Secondo la leggenda degli angeli porteranno miracolosamente il suo corpo da Alessandria fino al Sinai, dove ancora oggi l'altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo sarebbe avvenuto nel novembre 305. (Avvenire)
Patronato: Filosofi, Studenti, Mugnai
Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Emblema: Anello, Palma, Ruota
Martirologio Romano: Santa Caterina, secondo la tradizione vergine e martire ad Alessandria, ricolma di acuto ingegno, sapienza e forza d’animo. Il suo corpo è oggetto di pia venerazione nel monastero sul monte Sinai.
Questa è la Caterina inafferrabile, senza notizie sicure della vita e della morte. Ed è la Caterina onnipresente in Europa, per la diffusione del suo culto, che ha poi influito anche sulla letteratura popolare e sul folclore. Parlano di lei alcuni testi redatti tra il VI e il X secolo, cioè tardivi rispetto all’anno 305, indicato come quello della sua morte. Ed ecco come emerge la sua figura da questi racconti pieni di particolari fantasiosi. Caterina è una bella diciottenne cristiana, figlia di nobili e vive ad Alessandria d’Egitto.
Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore di Egitto e Siria (che si proclamerà “Augusto”, cioè imperatore, nel 307, morendo suicida nel 313). Per l’occasione si celebrano feste grandiose, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane. Un atto obbligatorio per tutti i sudditi, e quindi anche per i cristiani, ancora perseguitati. Caterina si presenta a Massimino, invitandolo a riconoscere invece Gesù Cristo come redentore dell’umanità, e rifiutando il sacrificio.
Massimino allora convoca un gruppo di intellettuali alessandrini, perché la convincano a venerare gli dèi. Ma è invece Caterina che convince loro a farsi cristiani. Per questa conversione così pronta, Massimino li fa uccidere tutti, poi richiama Caterina e le propone addirittura il matrimonio. Nuovo rifiuto, sempre rifiuti, finché il governatore la condanna a una morte orribile: una grande ruota dentata farà strazio del suo corpo.
Un nuovo miracolo salva la giovane, che poi viene decapitata: ma gli angeli portano miracolosamente il suo corpo da Alessandria fino al Sinai, dove ancora oggi l’altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo avviene il 24-25 novembre 305. E alcuni studiosi ritengono che il racconto leggendario indichi, trasfigurandola, un’effettiva traslazione del corpo sul monte, avvenuta però in epoca successiva. Dal Gebel Katherin, infine, e in data sconosciuta, le spoglie furono portate nel monastero a lei dedicato, sotto quel monte.
A una sua biografia così poco attendibile si contrappone la realtà di un culto diffuso anche fuori dall’Egitto. La troviamo raffigurata nella basilica romana di San Lorenzo, in una pittura dell’VIII secolo col nome scritto verticalmente: Ca/te/ri/na; a Napoli (sec. X-XI) nelle catacombe di San Gennaro, e più tardi in molte parti d’Italia, così come in Francia e nell’Europa centro-settentrionale, dove ispira anche poemetti, rappresentazioni sacre e “cantari”.
La sua festa annuale è vista principalmente come la festa dei giovani. In Francia, Caterina diviene la patrona degli studenti di teologia e la titolare di molte confraternite femminili; e, in particolare, la protettrice delle apprendiste sarte, che da lei prenderanno il nome destinato a durare a lungo anche in Italia: “Caterinette”.
25 novembre - Memoria Facoltativa
Alessandria d’Egitto, secoli III-IV
I testi della letteratura popolare parlano di Caterina come una bella diciottenne cristiana, figlia di nobili, abitante ad Alessandria d'Egitto. Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore di Egitto e Siria. Per l'occasione si celebrano feste grandiose, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane. Un atto obbligatorio per tutti i sudditi. Caterina però invita Massimino a riconoscere Gesù Cristo come redentore dell'umanità e rifiuta il sacrificio. Non riuscendo a convincere la giovane a venerare gli dèi, Massimino propone a Caterina il matrimonio. Al rifiuto della giovane il governatore la condanna a una morte orribile: una grande ruota dentata farà strazio del suo corpo. Sarà un miracolo a salvare la ragazza che verà però decapitata. Secondo la leggenda degli angeli porteranno miracolosamente il suo corpo da Alessandria fino al Sinai, dove ancora oggi l'altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo sarebbe avvenuto nel novembre 305. (Avvenire)
Patronato: Filosofi, Studenti, Mugnai
Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Emblema: Anello, Palma, Ruota
Martirologio Romano: Santa Caterina, secondo la tradizione vergine e martire ad Alessandria, ricolma di acuto ingegno, sapienza e forza d’animo. Il suo corpo è oggetto di pia venerazione nel monastero sul monte Sinai.
Questa è la Caterina inafferrabile, senza notizie sicure della vita e della morte. Ed è la Caterina onnipresente in Europa, per la diffusione del suo culto, che ha poi influito anche sulla letteratura popolare e sul folclore. Parlano di lei alcuni testi redatti tra il VI e il X secolo, cioè tardivi rispetto all’anno 305, indicato come quello della sua morte. Ed ecco come emerge la sua figura da questi racconti pieni di particolari fantasiosi. Caterina è una bella diciottenne cristiana, figlia di nobili e vive ad Alessandria d’Egitto.
Qui, nel 305, arriva Massimino Daia, nominato governatore di Egitto e Siria (che si proclamerà “Augusto”, cioè imperatore, nel 307, morendo suicida nel 313). Per l’occasione si celebrano feste grandiose, che includono anche il sacrificio di animali alle divinità pagane. Un atto obbligatorio per tutti i sudditi, e quindi anche per i cristiani, ancora perseguitati. Caterina si presenta a Massimino, invitandolo a riconoscere invece Gesù Cristo come redentore dell’umanità, e rifiutando il sacrificio.
Massimino allora convoca un gruppo di intellettuali alessandrini, perché la convincano a venerare gli dèi. Ma è invece Caterina che convince loro a farsi cristiani. Per questa conversione così pronta, Massimino li fa uccidere tutti, poi richiama Caterina e le propone addirittura il matrimonio. Nuovo rifiuto, sempre rifiuti, finché il governatore la condanna a una morte orribile: una grande ruota dentata farà strazio del suo corpo.
Un nuovo miracolo salva la giovane, che poi viene decapitata: ma gli angeli portano miracolosamente il suo corpo da Alessandria fino al Sinai, dove ancora oggi l’altura vicina a Gebel Musa (Montagna di Mosè) si chiama Gebel Katherin. Questo avviene il 24-25 novembre 305. E alcuni studiosi ritengono che il racconto leggendario indichi, trasfigurandola, un’effettiva traslazione del corpo sul monte, avvenuta però in epoca successiva. Dal Gebel Katherin, infine, e in data sconosciuta, le spoglie furono portate nel monastero a lei dedicato, sotto quel monte.
A una sua biografia così poco attendibile si contrappone la realtà di un culto diffuso anche fuori dall’Egitto. La troviamo raffigurata nella basilica romana di San Lorenzo, in una pittura dell’VIII secolo col nome scritto verticalmente: Ca/te/ri/na; a Napoli (sec. X-XI) nelle catacombe di San Gennaro, e più tardi in molte parti d’Italia, così come in Francia e nell’Europa centro-settentrionale, dove ispira anche poemetti, rappresentazioni sacre e “cantari”.
La sua festa annuale è vista principalmente come la festa dei giovani. In Francia, Caterina diviene la patrona degli studenti di teologia e la titolare di molte confraternite femminili; e, in particolare, la protettrice delle apprendiste sarte, che da lei prenderanno il nome destinato a durare a lungo anche in Italia: “Caterinette”.
(Lc 21,1-4) Vide una vedova povera, che gettava due monetine.
VANGELO
(Lc 21,1-4) Vide una vedova povera, che gettava due monetine.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l' hai voluta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito.
Amen.
Gli occhi di Gesù si posano su una vedova che timidamente entra nel tempio e fa la sua offerta, frettolosamente, mestamente, come chi sa che sta dando poco al Signore, ma che quel poco è tutto quello che può dare, perché non ha altro, e affida a Dio tutti i suoi desideri, i suoi sogni e le sue paure.
Non voglio soffermarmi con voi a riflettere su chi dà di più, su chi non dà mai abbastanza, ma voglio essere con voi la povera vedova che non sa neanche come arriverà alla fine della giornata, ma mette tutto quello che è a disposizione di Dio.
Non sappiamo cosa è scritto nel libro della vita per noi. A volte ci sentiamo miseri di tutto, senza nessuna possibilità, senza nulla da poter donare... ma non è così, non lo è mai.
In ognuno di noi c'è un miracolo vivente, che può trasformarsi in grazia per un altro fratello.
A volte basta un sorriso, una carezza, un orecchio prestato all'ascolto, una mano a portare la busta della spesa, un passaggio in auto... mille piccole cose che possono rompere il muro della solitudine di tante persone.
Siamo qui, su internet ed anche in questo network, troviamo delle persone che hanno bisogno di non sentirsi sole, e che trovano qui un po' di compagnia. Oggi il mondo taglia fuori chi è malato, chi non rende al massimo, chi non segue le mode, chi rifiuta di adeguarsi al pensiero moderno, e considerato che sono i numeri che fanno la massa, spesso i numeri decretano la sconfitta.
La povera vedova rappresenta la parte debole di una società che emargina chi è meno fortunato, e noi sappiamo che c'è anche chi vive proprio fuori dei margini, c'è chi ha fame, quella vera, quella che per la quale un pugno di riso rappresenta la sopravvivenza, ma noi siamo distratti da un altro tipo di mondo, quello sfavillante delle luci e degli addobbi che si prepara al Natale, siamo attirati dalle vetrine piene di bell'abbigliamento e di regali e se vediamo un barbone coperto di stracci, volgiamo lo sguardo altrove.
Come siamo poveri Signore mio, abbiamo un animo arido ed impregnato del nostro egoismo, posa il tuo sguardo su di noi e trasforma il nostro piccolo cuore di pietra in un cuore di carne per imparare ad amare, per riempirci del tuo amore.Eppure in questa pericope io voglio cercare anche altro, perchè Gesù mi ha insegnato a leggere nella disgraziia la grazia di Dio e soo che ce n'è sempre in abbondanza. Troviamo infatti nel gesto timido della vedova, la capacità di dare il suo nulla, di non fermarsi e di sperare anche nella sua utilità.Vediamo che quello che la vedova compie, non è il gesto di chi si mette in mostra nel suo offrire, ma di chi cerca invece la COMUNIONE con un Dio in cui crede .I ricchi donano solo il superfluo e trattengono per se la ricchezza e la superbia di sentirsi migliori, non credono e non sperano in una comunione di beni, perchè accorcerebbe le distanze che secondo loro si misurano proprio nel denaro e nella classe sociale.
Molto diverso è il metro di misura del Signore, che dice:
"Amerai il prossimo tuo come te stesso". Non c'è altro comandamento più importante di questo » (Mc 12,29-31).
- “Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25,40) -
sabato 23 novembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Io odio il peccato! Fortunata la nostra patria, se
essa, madre del
diritto, volesse perfezionare in questo senso le sue leggi e i suoi
costumi nella luce dell’onestà e dei principi cristiani." (GdT, 143).
L'Imitazione di Cristo ( Tommaso da Kempis )
L'imitazione di Cristo opera tradizionalmente attribuita al mistico tedesco Tommaso da Kempis (Thomas Hamerken, 1380-1471), costituisce un semplice e concreto tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo fondamentale nel tracciare una via alla ricerca di Dio, all'abbandono dell'"uomo vecchio" per costruire l'"uomo nuovo", per radicare interiormente una profonda spiritualità personale.
Imperniato sulla dialettica tra le cose di lassù e quelle terrene di quaggiù, tra l'uomo esteriore che si va disfacendo e l'uomo interiore che permane, l'Imitazione di Cristo non presenta naturalmente quelle sensibilità vive oggi, nei confronti della comunionalità ecclesiale, dell'impegno nella costruzione delle realtà terrene, della carità attuata nell'ottica della dottrina sociale della Chiesa. In questo senso è un'opera che non esaurisce tutti gli aspetti della vita cristiana e tutte le esigenze del Vangelo, ma costituisce ancor oggi, come per tanti secoli passati, un importante mattone nella costruzione di una santità cristiana perenne ed attuale. Questo piccolo libro ha costituito per secoli un preciso punti di riferimento per la spiritualità cristiana, tanto che si può considerare "il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri, letto nella vita religiosa e sacerdotale, tenuto come manuale di formazione cristiana robusta per tante generazioni di laici, di cristiani nel mondo". L'Imitazione di Cristo, il cui autore resta sconosciuto, benché possa essere collocato in ambiente monastico attorno ai secoli XIII-XIV, costituisce un semplice e concreto tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo fondamentale nel tracciare una via alla ricerca di Dio, all'abbandono dell'"uomo vecchio" per costruire l'"uomo nuovo", per radicare interiormente una profonda spiritualità personale.
L'IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITA' DEL MONDO
1. "Chi segue me non cammina nelle tenebre" (Gv 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già l'insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo dall'averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l'uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire. Senza l'amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? "Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo.
2. Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d'ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: "Non si sazia l'occhio di guardare, né mai l'orecchio è sazio di udire" (Qo 1,8). Fa', dunque, che il tuo cuore sia distolto dall'amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.
Capitolo II (Indice Capitoli)
L'UMILE COSCIENZA DI SE'
1. L'uomo, per sua natura, anela a sapere; ma che importa il sapere se non si ha il timor di Dio? Certamente un umile contadino che serva il Signore è più apprezzabile di un sapiente che, montato in superbia e dimentico di ciò che egli è veramente, vada studiando i movimenti del cielo. Colui che si conosce a fondo sente di valere ben poco in se stesso e non cerca l'approvazione degli uomini. Dinanzi a Dio, il quale mi giudicherà per le mie azioni, che mi gioverebbe se io anche possedessi tutta la scienza del mondo, ma non avessi l'amore? Datti pace da una smania eccessiva di sapere: in essa, infatti, non troverai che sviamento grande ed inganno. Coloro che sanno desiderano apparire ed essere chiamati sapienti. Ma vi sono molte cose, la cui conoscenza giova ben poco, o non giova affatto, all'anima. Ed è tutt'altro che sapiente colui che attende a cose diverse da quelle che servono alla sua salvezza. I molti discorsi non appagano l'anima; invece una vita buona rinfresca la mente e una coscienza pura dà grande fiducia in Dio. Quanto più grande e profonda è la tua scienza, tanto più severamente sarai giudicato, proprio partendo da essa; a meno che ancor più grande non sia stata la santità della tua vita.
2. Non volerti gonfiare, dunque, per alcuna arte o scienza, che tu possegga, ma piuttosto abbi timore del sapere che ti è dato. Anche se ti pare di sapere molte cose; anche se hai buona intelligenza, ricordati che sono molte di più le cose che non sai. Non voler apparire profondo (Rm 11,20;12,16); manifesta piuttosto la tua ignoranza. Perché vuoi porti avanti ad altri, mentre se ne trovano molti più dotti di te, e più esperti nei testi sacri? Se vuoi imparare e conoscere qualcosa, in modo spiritualmente utile, cerca di essere ignorato e di essere considerato un nulla. E' questo l'insegnamento più profondo e più utile, conoscersi veramente e disprezzarsi. Non tenere se stessi in alcun conto e avere sempre buona e alta considerazione degli altri; in questo sta grande sapienza e perfezione. Anche se tu vedessi un altro cadere manifestamente in peccato, o commettere alcunché di grave, pur tuttavia non dovresti crederti migliore di lui; infatti non sai per quanto tempo tu possa persistere nel bene. Tutti siamo fragili; ma tu non devi ritenere nessuno più fragile di te.
Capitolo III (Indice Capitoli)
L'AMMAESTRAMENTO DELLA VERITA'
1. Felice colui che viene ammaestrato direttamente dalla verità, così come essa è, e non per mezzo di immagini o di parole umane; ché la nostra intelligenza e la nostra sensibilità spesso ci ingannano, e sono di corta veduta. A chi giova un'ampia e sottile discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le avremo ignorate, non saremo tenuti responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra stoltezza: trascurando ciò che ci è utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che attirano la nostra curiosità e possono essere causa della nostra dannazione. "Abbiamo occhi e non vediamo" (Ger 5,21). Che c'importa del problema dei generi e delle specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera dalle molteplici nostre discussioni. Da quella sola parola discendono tutte le cose e tutte le cose proclamano quella sola parola; essa è "il principio" che continuo a parlare agli uomini (Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno giudica rettamente senza quella parola. Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l'unità e le vede tutte nell'unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace. O Dio, tu che sei la verità stessa, fa' che io sia una cosa sola con te, in un amore senza fine. Spesso mi stanco di leggere molte cose, o di ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano tutte le creature, dinanzi a te: tu solo parlami.
2. Quanto più uno si sarà fatto interiormente saldo e semplice, tanto più agevolmente capirà molte cose, e difficili, perché dall'alto egli riceverà lume dell'intelletto. Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde anche se si adopera in molteplici faccende, perché tutto egli fa a onore di Dio, sforzandosi di astenersi da ogni ricerca di sé. Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei tuoi desideri non mortificati? L'uomo retto e devoto prepara prima, interiormente, le opere esterne che deve compiere. Così non saranno queste ad indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui invece che piegherà le sue opere alla scelta fatta dalla retta ragione. Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene.
3. In questa vita ogni nostra opera, per quanto buona, è commista a qualche imperfezione; ogni nostro ragionamento, per quanto profondo, presenta qualche oscurità. Perciò la constatazione della tua bassezza costituisce una strada che conduce a Dio più sicuramente che una dotta ricerca filosofica. Non già che sia una colpa lo studio, e meno ancora la semplice conoscenza delle cose - la quale è, in se stessa, un ben ed è voluta da Dio -; ma è sempre cosa migliore una buona conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti molti vanno spesso fuori della buona strada e non danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene, proprio perché si preoccupano più della loro scienza che della santità della loro vita. Che se la gente mettesse tanta attenzione nell'estirpare i vizi e nel coltivare le virtù, quanta ne mette nel sollevare sottili questioni filosofiche non ci sarebbero tanti mali e tanti scandali tra la gente; e nei conviventi non ci sarebbe tanta dissipazione. Per certo, quando sarà giunto il giorno del giudizio, non ci verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci verrà chiesto se abbiamo saputo parlare bene, ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente. Dimmi: dove si trovano ora tutti quei capiscuola e quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita, che brillavano per i loro studi? Le brillanti loro posizioni sono ora tenute da altri; e non è detto che questi neppure si ricordino di loro. Quando erano vivi sembravano essere un gran che; ma ora di essi non si fa parola. Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata all'altezza del loro sapere; in questo caso non avrebbero studiato e insegnato invano. Quanti uomini si preoccupano ben poco di servire Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere ricercato nel mondo. Essi scelgono per sé la via della grandezza, piuttosto di quella dell'umiltà; perciò si disperde la loro mente (Rm 1,21). Grande è, in verità, colui che ha grande amore; colui che si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche gli onori più alti. Prudente è, in verità, colui che considera sterco ogni cosa terrena, al fine di guadagnarsi Cristo (Fil 3,8). Dotto, nel giusto senso della parola, è, in verità, colui che fa la volontà di Dio, buttando in un canto la propria volontà.
Capitolo IV (Indice Capitoli)
LA PONDERATEZZA NELL'AGIRE
Non dobbiamo credere a tutto ciò che sentiamo dire; non dobbiamo affidarci a ogni nostro impulso. Al contrario, ogni cosa deve essere valutata alla stregua del volere di Dio, con attenzione e con grandezza d'animo. Purtroppo, degli altri spesso pensiamo e parliamo più facilmente male che bene: tale è la nostra miseria. Quelli che vogliono essere perfetti non credono scioccamente all'ultimo che parla, giacché conoscono la debolezza umana, portata alla malevolenza e troppo facile a blaterare. Grande saggezza, non essere precipitosi nell'agire e, d'altra parte, non restare ostinatamente alle nostre prime impressioni. Grande saggezza, perciò, non andare dietro a ogni discorso della gente e non spargere subito all'orecchio di altri quanto abbiamo udito e creduto. Devi preferire di farti guidare da uno migliore di te, piuttosto che andare dietro alle tue fantasticherie; prima di agire, devi consigliarti con persona saggia e di retta coscienza. Giacché è la vita virtuosa che rende l'uomo l'uomo saggio della saggezza di Dio, e buon giudice in molti problemi. Quanto più uno sarà inutilmente umile e soggetto a Dio, tanto più sarà saggio, e pacato in ogni cosa.
Capitolo V (Indice Capitoli)
LA LETTURA DEI LIBRI DI DEVOZIONE
Nei libri di devozione si deve ricercare la verità, non la bellezza della forma. Essi vanno letti nello spirito con cui furono scritti; in essi va ricercata l'utilità spirituale, piuttosto che l'eleganza della parola. Perciò dobbiamo leggere anche opere semplici, ma devote, con lo stesso desiderio con cui leggiamo opere dotte e profonde. Non lasciarti colpire dal nome dello scrittore, di minore o maggiore risonanza; quel che ci deve indurre alla lettura deve essere il puro amore della verità. Non cercar di sapere chi ha detto una cosa, ma bada a ciò che è stato detto. Infatti gli uomini passano, "invece la verità del Signore resta per sempre" (Sal 116,2); e Dio ci parla in varie maniere, "senza tener conto delle persone" (1Pt 1,17). Spesso, quando leggiamo le Scritture, ci è di ostacolo la nostra smania di indagare, perché vogliamo approfondire e discutere là dove non ci sarebbe che da andare avanti in semplicità di spirito. Se vuoi trarre profitto, leggi con animo umile e semplice, con fede. E non aspirare mai alla fama di studioso. Ama interrogare e ascoltare in silenzio la parola dei santi. E non essere indifferente alle parole dei superiori: esse non vengono pronunciate senza ragione.
Capitolo VI (Indice Capitoli)
GLI SREGOLATI MOTI DELL'ANIMA
Ogni qual volta si desidera una cosa contro il volere di Dio, subito si diventa interiormente inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie; invece il povero e l'umile di cuore godono della pienezza della pace. Colui che non è perfettamente morto a se stesso cade facilmente in tentazione ed è vinto in cose da nulla e disprezzabili. Colui che è debole nello spirito ed è, in qualche modo, ancora volto alla carne e ai sensi, difficilmente si può distogliere del tutto dalle brame terrene; e, quando pur riesce a sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che se poi qualcuno gli pone ostacolo, facilmente si sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava, immediatamente sente in coscienza il peso della colpa, perché ha assecondato la sua passione, la quale non giova alla pace che cercava. Giacché la vera pace del cuore la si trova resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse. Non già nel cuore di colui che è attaccato alla carne, non già nell'uomo volto alle cose esteriori sta la pace; ma nel cuore di colui che è pieno di fervore spirituale.
Capitolo VII (Indice Capitoli)
GUARDARSI DALLE VANE SPERANZE E FUGGIRE LA SUPERBIA
Chi mette la sua fiducia negli uomini e nelle altre creature è un insensato. Non ti rincresca di star sottoposto ad altri, per amore di Gesù Cristo, e di sembrare un poveretto, in questo mondo. Non appoggiarti alle tue forze, ma salda la tua speranza in Dio: se farai tutto quanto sta in te, Iddio aderirà al tuo buon volere. Non confidare nel sapere tuo o nella capacità di un uomo purchessia, ma piuttosto nella grazia di Dio, che sostiene gli umili e atterra i presuntuosi. Non vantarti delle ricchezze, se ne hai, e neppure delle potenti amicizie; il tuo vanto sia in Dio, che concede ogni cosa, ed ama dare se stesso, sopra ogni cosa. Non gonfiarti per la prestanza e la bellezza del tuo corpo; alla minima malattia esse si guastano e si deturpano. Non compiacerti di te stesso, a causa della tua abilità e della tua intelligenza, affinché tu non spiaccia a Dio, a cui appartiene tutto ciò che di buono hai sortito dalla natura. Non crederti migliore di altri, affinché, per avventura, tu non sia ritenuto peggiore dinanzi a Dio, che ben conosce quello che c'è in ogni uomo (cfr. Gv 2,25). Non insuperbire per le tue opere buone, perché il giudizio degli uomini è diverso da quello di Dio, cui spesso non piace ciò che piace agli uomini. Anche se hai qualcosa di buono, pensa che altri abbia di meglio, cosicché tu mantenga l'umiltà. Nulla di male se ti metti al di sotto di tutti gli altri; molto male è invece se tu ti metti al di sopra di una sola persona. Nell'umile è pace indefettibile; nel cuore del superbo sono, invece, continua smania e inquietudine.
Capitolo VIII (Indice Capitoli)
EVITARE L'ECCESSIVA FAMILIARITA'
"Non aprire il tuo cuore al primo che capita" (Sir 8,22); i tuoi problemi, trattali invece con chi ha saggezza e timore di Dio. Cerca di stare raramente con persone sprovvedute e sconosciute; non metterti con i ricchi per adularli; non farti vedere volentieri con i grandi. Stai, invece, accanto alle persone umili e semplici, devote e di buoni costumi; e con esse tratta di cose che giovino alla tua santificazione. Non avere familiarità con alcuna donna, ma raccomanda a Dio tutte le donne degne. Cerca di essere tutto unito soltanto a Dio e ai suoi angeli, evitando ogni curiosità riguardo agli uomini. Mentre si deve avere amore per tutti, la familiarità non è affatto necessaria. Capita talvolta che una persona che non conosciamo brilli per fama eccellente; e che poi, quando essa ci sta dinanzi, ci dia noia solo al vederla. D'altra parte, talvolta speriamo di piacere a qualcuno, stando con lui, e invece cominciamo allora a non piacergli, perché egli vede in noi alcunché di riprovevole.
Capitolo IX (Indice Capitoli)
OBBEDIENZA E SOTTOMISSIONE
1. Stare sottomessi, vivere soggetti a un superiore e non disporre di sé è cosa grande e valida. E' molto più sicura la condizione di sudditanza, che quella di comando. Ci sono molti che stanno sottomessi per forza, più che per amore: da ciò traggono sofferenza, e facilmente se ne lamentano; essi non giungono a libertà di spirito, se la loro sottomissione non viene dal profondo del cuore e non ha radice in Dio. Corri pure di qua e di là; non troverai pace che nell'umile sottomissione sotto la guida di un superiore. Andar sognando luoghi diversi, e passare dall'uno all'altro, è stato per molti un inganno.
2. Certamente ciascuno preferisce agire a suo talento, ed è maggiormente portato verso chi gli dà ragione. Ma, se Dio è dentro di noi, dobbiamo pur talvolta lasciar perdere i nostri desideri, per amore della pace. C'è persona così sapiente che possa conoscere pienamente ogni cosa? Perciò non devi avere troppa fiducia nelle tue impressioni; devi ascoltare volentieri anche il parere degli altri. Anche se la tua idea era giusta, ma la abbandoni per amore di Dio seguendo quella di altri, da ciò trarrai molto profitto. Stare ad ascoltare ed accettare un consiglio - come spesso ho sentito dire - è cosa più sicura che dare consigli. Può anche accadere che l'idea di uno sia buona; ma è sempre segno di superbia e di pertinacia non volersi arrendere agli altri, quando la ragionevolezza o l'evidenza lo esigano.
Capitolo X (Indice Capitoli)
ASTENERSI DAI DISCORSI INUTILI
1. Per quanto possibile, stai lontano dall'agitarsi che fa la gente. Infatti, anche se vi si attende con purezza di intenzione, l'occuparsi delle faccende del mondo è un grosso impaccio, perché ben presto si viene inquinati dalle vanità, e fatti schiavi. Più di una volta vorrei essere stato zitto, e non essere andato in mezzo alla gente.
2. Ma perché andiamo parlando e chiacchierando così volentieri con altri, anche se poi è raro che, quando torniamo a star zitti, non abbiamo qualche guasto alla coscienza? Parliamo così volentieri perché, con queste chiacchiere, cerchiamo di consolarci a vicenda, e speriamo di sollevare il nostro animo oppresso dai vari pensieri. Inoltre molto ci diletta discorrere e fantasticare delle cose che amiamo assai e che desideriamo, o di ciò che sembra contrastarci. Ma spesso purtroppo tutto questo è vano e inutile; giacché una simile consolazione esteriore va molto a scapito di quella interiore e divina.
3. Non dobbiamo passare il nostro tempo in ozio, ma in vigilie e in orazioni; e, se possiamo o dobbiamo parlare, dire cose edificanti. Infatti, mentre il malvezzo e la trascuratezza del nostro progresso spirituale ci induce facilmente a tenere incustodita la nostra lingua, giova assai al nostro profitto interiore una devota conversione intorno alle cose dello spirito; tanto più quando ci si unisca, nel nome di Dio, a persone animate da pari spiritualità.
Capitolo XI (Indice Capitoli)
LA CONQUISTA DELLA PACE INTERIORE E L'AMORE DEL PROGRESSO SPIRITUALE
1. Se non ci volessimo impicciare di quello che dicono o di quello che fanno gli altri, e di cose che non ci riguardano, potremmo avere una grande pace interiore. Come, infatti, è possibile che uno mantenga a lungo l'animo tranquillo se si intromette nelle faccende altrui, se va a cercare all'esterno i suoi motivi di interesse, se raramente e superficialmente si raccoglie in se stesso? Beati i semplici, giacché avranno grande pace. Perché mai alcuni santi furono così perfetti e pieni di spirito contemplativo? Perché si sforzarono di spegnere completamente in sé ogni desiderio terreno, cosicché - liberati e staccati da se stessi - potessero stare totalmente uniti a Dio, con tutto il cuore. Noi, invece, siamo troppo presi dai nostri sfrenati desideri, e troppo preoccupati delle cose di quaggiù; di rado riusciamo a vincere un nostro difetto, anche uno soltanto, e non siamo ardenti nel tendere al nostro continuo miglioramento. E così restiamo inerti e tiepidi. Se fossimo, invece, totalmente morti a noi stessi e avessimo una perfetta semplicità interiore, potremmo perfino avere conoscenza delle cose di Dio, e fare esperienza, in qualche misura, della contemplazione celeste. Il vero e più grande ostacolo consiste in ciò, che non siamo liberi dalle passioni e dalle brame, e che non ci sforziamo di entrare nella via della perfezione, che fu la via dei santi: anzi, appena incontriamo una difficoltà, anche di poco conto, ci lasciamo troppo presto abbattere e ci volgiamo a consolazioni terrene.
2. Se facessimo di tutto, da uomini forti, per non abbandonare la battaglia, tosto vedremmo venire a noi dal cielo l'aiuto del Signore. Il quale prontamente sostiene coloro che combattono fiduciosi nella sua grazia; anzi, ci procura occasioni di lotta proprio perché ne usciamo vittoriosi. Che se facciamo consistere il progresso spirituale soltanto in certe pratiche esteriori, tosto la nostra religione sarà morta. Via, mettiamo la scure alla radice, cosicché, liberati dalle passioni, raggiungiamo la pace dello spirito. Se ci strappassimo via un solo vizio all'anno diventeremmo presto perfetti. Invece spesso ci accorgiamo del contrario; troviamo cioè che quando abbiamo indirizzata la nostra vita a Dio eravamo più buoni e più puri di ora, dopo molti anni di vita religiosa. Il fervore e l'avanzamento spirituale dovrebbe crescere di giorno in giorno; invece già sembra gran cosa se uno riesce a tener viva una particella del fervore iniziale.
3. Se facessimo un poco di violenza a noi stessi sul principio, potremmo poi fare ogni cosa facilmente e gioiosamente. Certo è difficile lasciare ciò a cui si è abituati; ancor più difficile è camminare in senso contrario al proprio desiderio. Ma se non riesci a vincere nelle cose piccole e da poco, come supererai quelle più gravi? Resisti fin dall'inizio alla tua inclinazione; distaccati dall'abitudine, affinché questa non ti porti, a poco a poco, in una situazione più ardua. Se tu comprendessi quanta pace daresti a te stesso e quanta gioia procureresti agli altri, e vivendo una vita dedita al bene, sono certo che saresti più sollecito nel tendere al tuo profitto spirituale.
Capitolo XII (Indice Capitoli)
I VANTAGGI DELLE AVVERSITA'
1. E' bene per noi che incontriamo talvolta difficoltà e contrarietà; queste, infatti, richiamano l'uomo a se stesso, nel profondo, fino a che comprenda che quaggiù egli è in esilio e che la sua speranza non va riposta in alcuna cosa di questo mondo. E' bene che talvolta soffriamo contraddizione e che la gente ci giudichi male e ingiustamente, anche se le nostre azioni e le nostre intenzioni sono buone. Tutto ciò suol favorire l'umiltà, e ci preserva dalla vanagloria. Invero, proprio quando la gente attorno a noi ci offende e ci scredita, noi aneliamo con maggior forza al testimone interiore, Iddio.
2. Dovremmo piantare noi stessi così saldamente in Dio, da non avere necessità alcuna di andar cercando tanti conforti umani. Quando un uomo di buona volontà soffre tribolazioni e tentazioni, o è afflitto da pensieri malvagi, allora egli sente di aver maggior bisogno di Dio, e di non poter fare nulla di bene senza di lui. E si rattrista e piange e prega, per il male che soffre; gli viene a noia che la vita continui; e spera che sopraggiunga la morte (2 Cor 1,8), così da poter scomparire e dimorare in Cristo (Fil 1,23). Allora egli capisce che nel mondo non può esserci completa serenità e piena pace.
Capitolo XIII (Indice Capitoli)
RESISTERE ALLE TENTAZIONI
1. Finché saremo al mondo, non potremo essere senza tribolazioni e tentazioni; infatti sta scritto nel libro di Giobbe che la vita dell'uomo sulla terra (Gb 7,1) è tutta una tentazione. Ognuno dovrebbe, dunque, stare attento alle tentazioni e vigilare in preghiera (1Pt 4,7), affinché il diavolo non trovi il punto dove possa esercitare il suo inganno; il diavolo, che mai non posa, ma va attorno cercando chi possa divorare (1Pt 5,8). Nessuno è così avanzato nella perfezione e così santo da non aver talvolta delle tentazioni. Andare esenti del tutto da esse non possiamo. Tuttavia, per quanto siano moleste e gravose, le tentazioni spesso sono assai utili; perché, a causa delle tentazioni, l'uomo viene umiliato, purificato e istruito. I santi passarono tutti per molte tribolazioni e tentazioni, e progredirono; invece coloro che non seppero sostenere le tentazioni si pervertirono e tradirono. Non esiste una istituzione così perfetta, o un luogo così nascosto, dove non si trovano tentazioni e avversità. L'uomo non è mai del tutto esente dalla tentazione, fin che vive. Ciò per cui siamo tentati è dentro di noi, poiché siamo nati nella concupiscenza. Se vien meno una tentazione o tribolazione, un'altra ne sopraggiunge e c'è sempre qualcosa da sopportare, perché abbiamo perduto il bene della nostra felicità. Molti, di fronte alle tentazioni, cercano di fuggire, ma cadono poi in esse anche più gravemente. Non possiamo vincere semplicemente con la fuga; ma è con la sopportazione e con la vera umiltà che saremo più forti di ogni nemico. Ben poco progredirà colui che si allontana un pochino e superficialmente dalle tentazioni, senza sradicarle: tosto ritorneranno ed egli sarà ancor peggio. Vincerai più facilmente, a poco a poco, con una generosa pazienza e con l'aiuto di Dio; più facilmente che insistendo cocciutamente nel tuo sforzo personale. Accogli frequentemente il consiglio di altri, quando sei nella tentazione; e non essere aspro con colui che è tentato, ma dagli conforto, come desidereresti fosse fatto a te.
2. Causa prima di ogni perversa tentazione è la mancanza di stabilità spirituale e la scarsezza di fiducia in Dio; giacché, come una nave senza timone viene spinta qua e là dalle onde, così l'uomo infiacchito, che abbandona i suoi propositi, viene in vario modo tentato. Come il fuoco serve a saggiare il ferro (Sir 31,26), così la tentazione serve a saggiare la santità di una persona (Sir 27,6). Quali possibilità ciascuno abbia in potenza, spesso non lo sappiamo; ma la tentazione dispiega palesemente ciò che siamo. Tuttavia bisogna vigilare, particolarmente intorno all'inizio della tentazione; poiché il nemico si vince più facilmente se non gli si permette per nulla di varcare le porte della nostra mente; e se gli si sbarra la strada al di là della soglia, non appena abbia bussato. Di qui il detto: "resisti agli inizi; è troppo tardi quando si prepara la medicina" (Ovidio, Remedia amoris, II,91). Infatti, dapprima viene alla mente un semplice pensiero, di poi una forte immaginazione, infine un compiacimento, un impulso cattivo e un'acquiescenza. E così, piano piano, il nemico malvagio penetra del tutto, proprio perché non gli si è resistito all'inizio. E quanto più a lungo uno ha tardato torpidamente a resistere, tanto più si è, via via, interiormente indebolito, mentre il nemico è andato crescendo di forze contro di lui.
3. Alcuni sentono le maggiori tentazioni al principio della loro conversione a Dio; altri invece alla fine. Alcuni sono fortemente turbati pressoché per tutta la vita; altri sentono tentazioni piuttosto lievi: secondo quanto dispongono la sapienza e la giustizia di Dio, le quali pesano la condizione e i meriti di ciascuno e preordinano ogni cosa alla salvezza degli eletti. Perciò non dobbiamo lasciarci cogliere dalla disperazione, quando siamo tentati. Dobbiamo invece, pregare Iddio ancor più fervorosamente, affinché si degni di aiutarci in ogni tentazione; Lui che, in verità, secondo quanto dice Paolo (1Cor 10,13), farà in modo che la tentazione sia accompagnata dai mezzi per poterla sopportare. Abbassiamo, dunque, in umiltà, l'anima nostra sotto la mano di Dio, quando siamo tentati e tribolati, giacché il Signore salverà gli umili di spirito e li innalzerà (1Pt 5,6; Sal 33,19). Quanto uno abbia progredito si dimostra nella tentazione e nella tribolazione; qui sta il suo maggior merito; qui appare più chiaramente la sua virtù. Non è gran cosa esser devoti e fervorosi quando non si hanno difficoltà; sapere invece sopportare se stessi nel momento dell'avversità dà a sperare in un grande avanzamento spirituale. Avviene che alcuni sono al riparo da grandi tentazioni, ma sono spesso sconfitti nelle piccole tentazioni di ogni giorno; e così, umiliati per essere caduti in cose tanto da poco, non ripongono più fiducia in se stessi, nelle cose più grandi.
Capitolo XIV (Indice Capitoli)
EVITARE I GIUDIZI TEMERARI
1. Rivolgi gli occhi a te stesso e stai attento a non giudicare quel che fanno gli altri. In tale giudizio si lavora senza frutto; frequentemente ci si sbaglia e facilmente si cade in peccato. Invece, nel giudizio e nel vaglio di se stessi, si opera sempre fruttuosamente. Spesso giudichiamo secondo un nostro preconcetto; e così, per un nostro atteggiamento personale, perdiamo il criterio della verità. Se il nostro desiderio fosse diretto soltanto a Dio, non ci lasceremmo turbare così facilmente dalla resistenza opposta dal nostro senso umano. Di più, spesso, c'è qualcosa, già nascosto, latente in noi, o sopravveniente dall'esterno, che ci tira di qua o di là. Molti, in tutto ciò che fanno, cercano se stessi, senza neppure accorgersene. Sembrano essere in perfetta pace quando le cose vanno secondo i loro desideri e i loro gusti; se, invece, vanno diversamente, subito si agitano e si rattristano.
2. Avviene di frequente che nascono divergenze tra amici e concittadini, persino tra persone pie e devote, per diversità nel modo di sentire e di pensare. Giacché è difficile liberarsi da vecchi posizioni abituali, e nessuno si lascia tirare facilmente fuori dal proprio modo di vedere. Così, se ti baserai sui tuoi ragionamenti e sulla tua esperienza, più che sulla forza propria di Gesù Cristo, raramente e stentatamente riuscirai ad essere un uomo illuminato; Dio vuole, infatti, che noi ci sottomettiamo perfettamente a lui, e che trascendiamo ogni nostro ragionamento grazie ad un fiammeggiante amore.
Capitolo XV (Indice Capitoli)
LE OPERE FATTE PER AMORE
1. Non si deve fare alcun male, per nessuna cosa al mondo né per compiacenza verso chicchessia; talora, invece, per giovare a uno che ne ha bisogno, si deve senza esitazione lasciare una cosa buona che si sta facendo, o sostituirla con una ancora più buona: in tal modo non si distrugge l'opera buona, ma soltanto la si trasforma in meglio.
2. A nulla giova un'azione esterna compiuta senza amore; invece, qualunque cosa, per quanto piccola e disprezzata essa sia, se fatta con amore, diventa tutta piena di frutti. In verità Iddio non tiene conto dell'azione umana in sé e per sé, ma dei moventi di ciascuno. Opera grandemente colui che agisce con rettitudine; opera lodevolmente colui che si pone al servizio della comunità, più che del suo capriccio. Accade spesso che ci sembri amore ciò che è piuttosto attaccamento carnale; giacché è raro che, sotto le nostre azioni, non ci siano l'inclinazione naturale, il nostro gusto, la speranza di una ricompensa, il desiderio del nostro comodo. Chi ha un amore vero e perfetto non cerca se stesso, in alcuna sua azione, ma desidera solamente che in ogni cosa si realizzi la gloria di Dio. Di nessuno è invidioso colui che non tende al proprio godimento, né vuole personali soddisfazioni, desiderando, al di là di ogni bene, di avere beatitudine in Dio. Costui non attribuisce alcunché di buono a nessuno, ma riporta il bene totalmente a Dio; dal quale ogni cosa procede, come dalla sua fonte e, nel quale, alla fine, tutti i santi godono pace. Oh, chi avesse anche una sola scintilla di vera carità, per certo capirebbe che tutto ciò che è di questa terra è pieno di vanità.
Capitolo XVI (Indice Capitoli)
SOPPORTARE I DIFETTI DEGLI ALTRI
1. Quei difetti, nostro od altrui, che non riusciamo a correggere, li dobbiamo sopportare con pazienza, fino a che Dio non disponga altrimenti. Rifletti che, per avventura, questa sopportazione è la cosa più utile per te, come prova di quella pazienza, senza della quale ben poco contano i nostri meriti. Tuttavia, di fronte a tali difficoltà, devi chiedere insistentemente che Dio si degni di venirti in aiuto e che tu riesca a sopportarle lietamente. Se uno, ammonito una volta e un'altra ancora, non si acquieta, cessa di litigare con lui; rimetti invece ogni cosa in Dio, affinché in tutti noi, suoi servi, si faccia la volontà e la gloria di Lui, che ben sa trasformare il male in bene. Sforzati di essere paziente nel tollerare i difetti e le debolezze altrui, qualunque essi siano, giacché anche tu presenti molte cose che altri debbono sopportare.
2. Se non riesci a trasformare te stesso secondo quella che pure è la tua volontà, come potrai pretendere che gli altri si conformino al tuo desiderio? Vogliamo che gli altri siano perfetti; mentre noi non correggiamo le nostre manchevolezze. Vogliamo che gli altri si correggano rigorosamente; mentre noi non sappiamo correggere noi stessi. Ci disturba una ampia libertà degli altri; mentre non sappiamo negare a noi stessi ciò che desideriamo. Vogliamo che gli altri siano stretti entro certe regole; mentre noi non ammettiamo di essere un po' più frenati. In tal modo, dunque, è chiaro che raramente misuriamo il prossimo come noi stessi. Se fossimo tutti perfetti, che cosa avremmo da patire dagli altri, per amore di Dio? Ora, Dio così dispone, affinché apprendessimo a portare l'uno i pesi dell'altro (Gal 6,2). Infatti non c'è alcuno che non presenti difetti o molestie; non c'è alcuno che basti a se stesso e che, di per sé, sia sufficientemente saggio. Occorre, dunque, che ci sopportiamo a vicenda, che a vicenda ci consoliamo, che egualmente ci aiutiamo e ci ammoniamo. Quanta virtù ciascuno di noi abbia, ciò appare al momento delle avversità: non sono le occasioni che fanno fragile l'uomo, ma esse mostrano quale esso è.
Capitolo XVII (Indice Capitoli)
LA VITA NEI MONASTERI
1. Se vuoi mantenere pace e concordia con gli altri, devi imparare a vincere decisamente te stesso in molte cose. Non è cosa facile stare in un monastero o in un gruppo, e viverci senza lamento alcuno, mantenendosi fedele sino alla morte. Beato colui che vi avrà vissuto santamente e vi avrà felicemente compiuta la vita. Se vuoi stare saldo al tuo dovere e avanzare nel bene, devi considerarti esule pellegrino su questa terra. Per condurre una vita di pietà, devi farti stolto per amore di Cristo.
2. Poco contano l'abito e la tonsura; sono la trasformazione della vita e la completa mortificazione delle passioni, che fanno il monaco. Chi tende ad altro che non sia soltanto Dio e la salute dell'anima, non troverà che tribolazione e dolore. Ancora, non avrà pace duratura chi non si sforza di essere il più piccolo, sottoposto a tutti. Qui tu sei venuto per servire, non comandare. Ricordati che sei stato chiamato a sopportare e a faticare, non a passare il tempo in ozio e in chiacchiere. Qui si provano gli uomini, come si prova l'oro nel fuoco (cfr. Sir 27,6). Qui nessuno potrà durevolmente stare, se non si sarà fatto umile dal profondo del cuore, per amore di Dio.
Capitolo XVIII (Indice Capitoli)
GLI ESEMPI DEI GRANDI PADRI SANTI
1. Guarda ai luminosi esempi dei grandi santi padri, nei quali rifulse una pietà veramente perfetta e vedrai come sia ben poco, e quasi nulla, quello che facciamo noi. Ahimé!, che cosa è la nostra vita, paragonata alla vita di quei santi? Veramente santi, e amici di Cristo, costoro servirono il Signore nella fame e nella sete; nel freddo, senza avere di che coprirsi; nel faticoso lavoro; nelle veglie e nei digiuni; nelle preghiere e nelle pie meditazioni; spesso nelle ingiurie e nelle persecuzioni. Quante tribolazioni, e quanto gravi, hanno patito gli apostoli, i martiri, i testimoni della fede, le vergini e tutti gli altri che vollero seguire le orme di Cristo; essi infatti, ebbero in odio se stessi in questo mondo, per possedere le loro anime nella vita eterna. Quale vita rigorosa, e piena di rinunce, vissero questi grandi padri nel deserto; quante lunghe e gravi tentazioni ebbero a sopportare; quanto spesso furono tormentati dal diavolo; quante ripetute e fervide preghiere offrirono a Dio; quali dure astinenze seppero sopportare. Come furono grandi l'ardore e il fervore con i quali mirarono al loro progresso spirituale; come fu coraggiosa la battaglia che essi fecero per vincere i loro vizi; come fu piena e retta la loro intenzione, che essi tennero sempre volta a Dio! Lavoravano per tutta la giornata, e la notte la passavano in continua preghiera; ma neppure durante il lavoro veniva mai meno in loro l'orazione interiore. Tutto il loro tempo era impiegato utilmente; e a loro sembrava troppo corta ogni ora dedicata a Dio; ancora, per la grande soavità della contemplazione, dimenticavano persino la necessità di rifocillare il corpo. Rinunciavano a tutte le ricchezze, alle cariche, agli onori, alle amicizie e alle parentele; nulla volevano avere delle cose del mondo; mangiavano appena quanto era necessario alla vita e si lamentavano quando si dovevano sottomettere a necessità materiali.
2. Erano poveri di cose terrene, molto ricchi invece di grazia e di virtù; esteriormente miserabili, ricompensati però interiormente dalla grazia e dalla consolazione divina; lontani dal mondo, ma vicini a Dio, amici intimi di Dio,; si ritenevano un nulla ed erano disprezzati dagli uomini, ma erano preziosi e cari agli occhi di Dio. Stavano in sincera umiltà, vivevano in schietta obbedienza; camminavano in amore e sapienza: per questo progredivano spiritualmente ogni giorno, e ottenevano tanta grazia presso Dio. Essi sono offerti come esempio per tutti coloro che si sono dati alla vita religiosa; essi ci devono indurre all'avanzamento nel bene, più che non ci induca al rilassamento la schiera delle persone poco fervorose.
3. Quanto fu grande l'ardore di questi uomini di Dio, quando diedero inizio alle loro istituzioni. Quale devozione nella preghiera, quale slancio nella vita, quale rigore in esso vigoreggiò; quanto rispetto e quanta docilità sotto la regola del maestro fiorì in tutti loro. Restano ancora certi ruderi abbandonati, ad attestare che furono veramente uomini santi e perfetti, costoro, che con una strenua lotta, schiacciarono il mondo. Oggi, invece, già uno è ritenuto buono se non tradisce la fede; se riesce a sopportare con pazienza quel che gli tocca. Tale è la nostra attuale condizione di negligente tiepidezza, che ben presto cadiamo nel fervore iniziale; pigri e stanchi, già ci viene a noia la vita. Voglia il cielo che in te non si vada spegnendo del tutto l'avanzamento nelle virtù; in te che frequentemente hai avuto sotto gli occhi gli esempi dei santi.
Capitolo XIX (Indice Capitoli)
COME SI DEVE ADDESTRARE COLUI CHE SI E' DATO A DIO
1. La vita di colui che si è dato a Dio deve essere rigogliosa di ogni virtù, cosicché, quale egli appare esteriormente alla gente, tale sia anche interiormente. Anzi, e a ragione, di dentro vi deve essere molto più di quanto appare di fuori; giacché noi siamo sotto gli occhi di Dio, e a lui dobbiamo sommo rispetto, ovunque ci troviamo; Dio, dinanzi al quale dobbiamo camminare puri come angeli. Ogni giorno dobbiamo rinnovare il nostro proposito e spronare noi stessi al fervore, come fossimo appena venuti, oggi, alla vita del monastero. Dobbiamo dire: aiutami, Signore Iddio, nel mio buon proposito e nel santo servizio che ti è dovuto; concedimi di ricominciare oggi radicalmente, perché quel che ho fatto fin qui è nulla. Il nostro progresso spirituale procede di pari passo con il nostro proposito. Grande vigilanza occorre per chi vuol avanzare nel bene; ché, se cade spesso colui che ha forti propositi, che cosa sarà di colui che soltanto di rado si propone alcunché, e con poca fermezza? Svariati sono i modi nei quali ci accade di abbandonare il nostro proposito; anche la semplice omissione di un solo esercizio di pietà porta quasi sempre qualche guasto. In verità, la fermezza di proposito dei giusti dipende, più che dalla loro saggezza, dalla grazia di Dio, nel quale essi ripongono la loro fiducia, qualunque meta riescano a raggiungere, giacché l'uomo propone ma chi dispone è Dio, le cui vie noi non conosciamo. Se talvolta, per fare del bene o per essere utili ai fratelli, si omette un abituale esercizio di pietà, esso potrà facilmente essere recuperato più tardi; che se, invece, quasi senza badare, lo si tralascia per malavoglia o negligenza, ciò costituisce già una colpa, e deve essere sentito come una perdita.
2. Per quanto ci mettiamo tutto l'impegno possibile, sarà facile che abbiamo a cadere ancora, in varie occasioni. Tuttavia dobbiamo fare continuamente qualche proponimento preciso, specialmente in contrapposto a ciò che maggiormente impedisce il nostro profitto spirituale. Cose esterne e cose interiori sono necessarie al nostro progresso spirituale, perciò, le une come le altre, dobbiamo esaminarle attentamente e metterle nel giusto ordine. Se non riesci a stare sempre concentrato in te stesso, raccogliti di tempo in tempo, almeno una volta al giorno, la mattina o la sera: la mattina per fare i tuoi propositi, la sera per esaminare come ti sei comportato, cioè come sei stato, nelle parole, nonché nei pensieri, con i quali forse hai più spesso offeso Dio o il prossimo. Armati, come un soldato, contro le perversità del diavolo. Tieni a freno la gola; così terrai più facilmente a freno ogni altra cattiva tendenza del corpo. Non stare mai senza far nulla: sii occupato sempre, a leggero o a scrivere, a pregare o a meditare, o a fare qualche lavoro utile per tutti. Gli esercizi corporali di ciascuno siano compiuti separatamente; né tutti possono assumersene ugualmente. Se non sono esercizi di tutta la comunità, non devono essere palesati a tutti, giacché ciò che è personale si fa con maggior profitto nel segreto. Tuttavia guarda di non essere tardo alle pratiche comunitarie; più pronto, invece, a quelle tue proprie. Che, compiuto disciplinatamente e interamente il dovere imposto, se avanza tempo, ritornerai a te stesso, come vuole la tua devozione personale. Non è possibile che tutti abbiano a fare il medesimo esercizio, giacché a ciascuno giova qualcosa di particolare. E poi si amano esercizi diversi secondo i momenti: alcuni ci sono più graditi nei giorni di festa, altri nei giorni comuni. Inoltre, nel momento della tentazione e nel momento della pacifica tranquillità, abbiamo bisogno di esercizi ben diversi. Infine quando siamo nella tristezza ci piace pensare a certe cose; ad, invece quando siamo nella Letizia del Signore.
3. Nelle feste più solenni dobbiamo rinnovare gli esercizi di pietà ed implorare con fervore più grande l'aiuto dei santi. I nostri proponimenti devono andare da una ad altra festività, come se in quel punto dovessimo lasciare questo mondo e giungere alla festa eterna. Per questo, nei periodi di particolare devozione, dobbiamo prepararci con cura, e mantenerci in più grande pietà, attenendoci più rigorosamente ai nostri doveri, quasi stessimo per ricevere da Dio il premio delle nostre fatiche. Che se tale premio sarà rimandato, dobbiamo convincerci che non eravamo pienamente preparati e che non eravamo ancora degni della immensa gloria, che ci sarà rivelata (Rm 8,18) nel tempo stabilito; e dobbiamo fare in modo di prepararci meglio alla morte. "Beato quel servo - dice Luca evangelista - che il padrone, al suo arrivo, avrà trovato sveglio e pronto. In verità vi dico che gli darà da amministrare tutti i suoi beni" (Lc 12,44; cfr. Lc 12,37).
Capitolo XX (Indice Capitoli)
L'AMORE DELLA SOLITUDINE E DEL SILENZIO
1. Cerca il tempo adatto per pensare a te e rifletti frequentemente sui benefici che vengono da Dio. Tralascia ogni cosa umanamente attraente; medita argomenti che ti assicurino una compunzione di spirito, piuttosto che un modo qualsiasi di occuparti. Un sufficiente spazio di tempo, adatto per dedicarti a buone meditazioni, lo troverai rinunciando a fare discorsi inutilmente oziosi e ad ascoltare chiacchiere sugli avvenimenti del giorno. I più grandi santi evitavano, per quanto possibile, di stare con la gente e preferivano stare appartati, al servizio di Dio. E' stato detto: ogni volta che andai tra gli uomini ne ritornai meno uomo di prima (Seneca, Epist. VII, 3). E ne facciamo spesso esperienza, quando stiamo a lungo a parlare con altri. Tacere del tutto è più facile che evitare le intemperanze del discorrere, come è più facile stare chiuso in casa che sapersi convenientemente controllare fuori casa. Perciò colui che vuole giungere alla spiritualità interiore, deve, insieme con Gesù, ritirarsi dalla gente. Soltanto chi ama il nascondimento sta in mezzo alla gente senza errare; soltanto chi ama il silenzio parla senza vaneggiare; soltanto chi ama la sottomissione eccelle senza sbagliare; soltanto chi ama obbedire comanda senza sgarrare; soltanto colui che è certo della sua buona coscienza possiede gioia perfetta.
2. Però, anche nei santi, questo senso di sicurezza ebbe fondamento nel timore di Dio. Essi brillarono per straordinarie virtù e per grazia, ma non per questo furono meno fervorosi e intimamente umili. Il senso di sicurezza dei cattivi scaturisce, invece, dalla superbia e dalla presunzione; e , alla fine, si muta in inganno di se stessi. Non sperare di avere sicurezza in questo mondo, anche se sei ritenuto buon monaco o eremita devoto; spesso, infatti, coloro che sembravano eccellenti agli occhi degli uomini sono stati messi nelle più gravi difficoltà. Per molte persone è meglio dunque non essere del tutto esenti da tentazioni ed avere sovente da lottare contro di queste, affinché non siamo troppo sicure di sé, non abbiamo per caso a montare in superbia o addirittura a volgersi sfrenatamente a gioie terrene. Quale buona coscienza manterrebbe colui che non andasse mai cercando le gioie passeggere e non si lasciasse prendere dal mondo! Quale grande pace, quale serenità avrebbe colui che sapesse stroncare ogni vano pensiero, meditando soltanto intorno a ciò che attiene a Dio e alla salute dell'anima, e ponendo ben fissa ogni sua speranza in Dio! Nessuno sarà degno del gaudio celeste, se non avrà sottoposto pazientemente se stesso al pungolo spirituale. Ora, se tu vuoi sentire dal profondo del cuore questo pungolo, ritirati nella tua stanza, lasciando fuori il tumulto del mondo, come sta scritto: pungolate voi stessi, nelle vostre stanze (Sal 4,4). Quello che fuori, per lo più, vai perdendo, lo troverai nella tua cella; la quale diventa via via sempre più cara, mentre reca noi soltanto a chi vi sta di mal animo. Se, fin dall'inizio della tua venuta in convento, starai nella tua cella, e la custodirai con buona disposizione d'animo, essa diventerà per te un'amica diletta e un conforto molto gradito.
3. Nel silenzio e nella quiete l'anima devota progredisce e apprende il significato nascosto delle Scritture; nel silenzio e nella quiete trova fiumi di lacrime per nettarsi e purificarsi ogni notte, e diventa tanto più intima al suo creatore quanto più sta lontana da ogni chiasso mondano. Se, dunque, uno si sottrae a conoscenti e ad amici, gli si farà vicino Iddio, con gli angeli santi. E' cosa migliore starsene appartato a curare il proprio perfezionamento, che fare miracoli, dimenticando se stessi. Cosa lodevole, per colui che vive in convento, andar fuori di rado, evitare di apparire, persino schivare la gente. Perché mai vuoi vedere ciò che non puoi avere? "Il mondo passa, e passano i suoi desideri" (1Gv 2,17). I desideri dei sensi portano a vagare con la mente; ma, passato il momento, che cosa ne ricavi se non un peso sulla coscienza e una profonda dissipazione? Un'uscita piena di gioia prepara spesso un ritorno pieno di tristezza; una veglia piena di letizia rende l'indomani pieno di amarezza; ogni godimento della carne penetra con dolcezza, ma alla fine morde e uccide. Che cosa puoi vedere fuori del monastero, che qui tu non veda? Ecco, qui hai il cielo e la terra e tutti glie elementi dai quali sono tratte tutte le cose. Che cosa altrove potrai vedere, che possa durare a lungo sotto questo sole? Forse credi di poterti saziare pienamente; ma a ciò non giungerai. Ché, se anche tu vedessi tutte le cose di questo mondo, che cosa sarebbe questo, se non un sogno senza consistenza? Leva i tuoi occhi in alto, a Dio, e prega per i tuoi peccati e per le tue mancanze. Lascia le vanità alla gente vana; e tu attendi invece a quello che ti ha comandato Iddio. Chiudi dietro di te la tua porta, chiama a te Gesù, il tuo diletto, e resta con lui nella cella; ché una sì grande pace altrove non la troverai. Se tu non uscirai e nulla sentirai dal chiasso mondano, resterai più facilmente in una pace perfetta. E poiché talvolta sentire cose nuove reca piacere, occorre che tu sappia sopportare il conseguente turbamento dell'animo.
Capitolo XXI (Indice Capitoli)
LA COMPUNZIONE DEL CUORE
1. Se vuoi fare qualche progresso conservati nel timore di Dio, senza ambire a una smodata libertà; tieni invece saldamente a freno i tuoi sensi, senza lasciarti andare a una stolta letizia. Abbandonati alla compunzione di cuore, e ne ricaverai una vera devozione. La compunzione infatti fa sbocciare molte cose buone, che, con la leggerezza di cuore, sogliono subitamente disperdersi. E' meraviglia che uno possa talvolta trovare piena letizia nella vita terrena, se considera che questa costituisce un esilio e se riflette ai tanti pericoli che la sua anima vi incontra. Per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima; anzi, spesso ridiamo stoltamente, quando, in verità, dovremmo piangere. Non esiste infatti vera libertà, né santa letizia, se non nel timore di Dio e nella rettitudine di coscienza. Felice colui che riesce a liberarsi da ogni impaccio dovuto a dispersione spirituale, concentrando tutto se stesso in una perfetta compunzione. Felice colui che sa allontanare tutto ciò che può macchiare o appesantire il suo spirito. Tu devi combattere da uomo: l'abitudine si vince con l'abitudine. Se impari a non curarti della gente, questa lascerà che tu attenda tranquillamente a te stesso. Non portare dentro di te le faccende degli altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te stesso, prima che ad altre persone, anche care. Non rattristarti se non ricevi il favore degli uomini; quello che ti deve pesare, invece, è la constatazione di non essere del tutto e sicuramente nella via del bene, come si converrebbe a un servo di Dio e a un monaco pieno di devozione.
2. E' grandemente utile per noi, e ci dà sicurezza di spirito, non ricevere molte gioie in questa vita; particolarmente gioie materiali. Comunque, è colpa nostra se non riceviamo consolazioni divine o ne proviamo raramente; perché non cerchiamo la compunzione del cuore e non respingiamo del tutto le vane consolazioni che vengono dal di fuori. Riconosci di essere indegno della consolazione divina, e meritevole piuttosto di molte sofferenze, Quando uno è pienamente compunto in se stesso, ogni cosa di questo mondo gli appare pesante e amara. L'uomo retto, ben trova motivo di pianto doloroso. Sia che rifletta su di sé o che vada pensando agli altri, egli comprende che nessuno vive quaggiù senza afflizioni; e quanto più severamente si giudica, tanto maggiormente si addolora. Sono i nostri peccati e i nostri vizi a fornire materia di giusto dolore e di profonda compunzione; peccato e vizi dai quali siamo così avvolti e schiacciati che raramente riusciamo a guardare alle cose celesti. Se il nostro pensiero andasse frequentemente alla morte, più che alla lunghezza della vita, senza dubbio ci emenderemmo con maggior fervore. Di più, se riflettessimo nel profondo del cuore alle sofferenze future dell'inferno e del purgatorio, accetteremmo certamente fatiche e dolori, e non avremmo paura di un duro giudizio. Invece queste cose non penetrano nel nostro animo; perciò restiamo attaccati alle dolci mollezze, restiamo freddi e assai pigri. Spesso, infatti, è sorta di spirituale povertà quella che facilmente invade il nostro misero corpo. Prega dunque umilmente il Signore che ti dia lo spirito di compunzione; e di', con il profeta: nutrimi, o Signore, "con il pane delle lacrime; dammi, nelle lacrime, copiosa bevanda" (Sal 79,6).
Capitolo XXII (Indice Capitoli)
LA MEDITAZIONE DELLA MISERIA UMANA
1. Dovunque tu sia e dovunque ti volga, sei sempre misera cosa; a meno che tu non ti volga tutto a Dio. Perché resti turbato quando le cose non vanno secondo la tua volontà e il tuo desiderio? Chi è colui che tutto ha secondo il suo beneplacito? Non io, non tu, né alcun altro su questa terra. Non c'è persona al mondo, anche se è un re o un papa, che non abbia qualche tribolazione o afflizione. E chi è dunque che ha la parte migliore? Senza dubbio colui che è capace di sopportare qualche male per amore di Dio. Dice molta gente, debole e malata nello spirito: guarda che vita beata conduce quel tale; come è ricco e grande, come è potente e come è salito in alto! Ma, se poni mente ai beni eterni, vedrai che tutte queste cose passeggere sono un nulla, anzi qualcosa di molto insicuro e particolarmente gravoso, giacché le cose temporali non si possono avere senza preoccupazioni e paure. Per la felicità non occorre che l'uomo possieda beni terreni in sovrabbondanza; basta averne una modesta quantità, giacché la vita di quaggiù è veramente una misera cosa. Quanto più uno desidera elevarsi spiritualmente, tanto più la vita presente gli appare amara, perché constata pienamente le deficienze dovute alla corrotta natura umana. Invero mangiare, bere, star sveglio, dormire, riposare, lavorare, e dover soggiacere alle altre necessità che ci impone la nostra natura, tutto ciò, in realtà, è una miseria grande e un dolore per l'uomo religioso; il quale amerebbe essere sciolto e libero da ogni peccato. In effetti l'uomo che vive interiormente si sente schiacciato, come sotto un peso, dalle esigenze materiali di questo mondo; ed è perciò che il profeta prega fervorosamente di essere liberato, dicendo: "Signore, toglimi da queste necessità" (Sal 24,17).
2. Guai a quelli che non riconoscono la loro miseria. Guai, ancor più, a quelli che amano questa vita miserabile e destinata a finire; una vita alla quale tuttavia certa gente - anche se, lavorando o elemosinando, mette insieme appena appena il necessario - si abbarbica, come se potesse restare quaggiù in eterno, senza darsi pensiero del regno di Dio. Gente pazza, interiormente priva di fede; gente sommersa dalle cose terrene, tanto da gustare solo ciò che è materiale. Alla fine, però, constateranno, con pena, quanto poco valessero - anzi come fossero un nulla - le cose che avevano amato. Ben diversamente, i santi di Dio, e tutti i devoti amici di Cristo; essi non andavano dietro ai piaceri del corpo o a ciò che rende fiorente questa vita mortale. La loro anelante tensione e tutta la loro speranza erano per i beni eterni; il loro desiderio - per non essere tratti al basso dall'attaccamento alle cose di quaggiù - si elevava interamente alle cose invisibili, che non vengono meno. O fratello, non perdere la speranza di progredire spiritualmente; ecco, ne hai il tempo e l'ora. Perché, dunque, vuoi rimandare a domani il tuo proposito? Alzati, e comincia all'istante, dicendo: è questo il momento di agire; è questo il momento di combattere; è questo il momento giusto per correggersi. Quando hai dolori e tribolazioni, allora è il momento per farti dei meriti. Giacché occorre che tu passi attraverso il "fuoco e l'acqua" prima di giungere nel refrigerio (Sal 65,12). E se non farai violenza a te stesso, non vincerai i tuoi vizi. Finché portiamo questo fragile corpo, non possiamo essere esenti dal peccato, né vivere senza molestie e dolori. Ben vorremmo aver tregua da ogni miseria; ma avendo perduto, a causa del peccato, la nostra innocenza, abbiamo perduto quaggiù anche la vera felicità. Perciò occorre che manteniamo in noi una ferma pazienza, nell'attesa della misericordia divina, "fino a che sia scomparsa l'iniquità di questo mondo" (Sal 56,2) e le cose mortali "siano assunte dalla vita eterna" (2Cor 5,4).
3. Tanto è fragile la natura umana che essa pende sempre verso il vizio. Ti accusi oggi dei tuoi peccati e domani commetti di nuovo proprio ciò di cui ti sei accusato. Ti proponi oggi di guardarti dal male, e dopo un'ora agisci come se tu non ti fossi proposto nulla. Ben a ragione, dunque, possiamo umiliarci; né mai possiamo avere alcuna buona opinione di noi stessi, perché siamo tanto deboli e instabili. Inoltre, può andare rapidamente perduto per negligenza ciò che a stento, con molta fatica, avevamo alla fine raggiunto, per grazia di Dio. E che cosa sarà di noi alla fine, se così presto ci prende la tiepidezza? Guai a noi, se pretendessimo di riposare tranquillamente, come se già avessimo raggiunto pace e sicurezza, mentre, nella nostra vita, non si vede neppure un indizio di vera santità. Occorrerebbe che noi fossimo di nuovo plasmati, quasi in un buon noviziato, a una vita irreprensibile; in tal modo potremo sperare di raggiungere un certo miglioramento e di conseguire un maggior profitto spirituale.
Capitolo XXIII (Indice Capitoli)
LA MEDITAZIONE DELLA MORTE
1. Ben presto la morte sarà qui, presso di te. Considera, del resto, la tua condizione: l'uomo oggi c'è e domani è scomparso; e quando è sottratto alla vista, rapidamente esce anche dalla memoria. Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di cuore dell'uomo: egli pensa soltanto alle cose di oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se avrai retta la coscienza, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che sfuggire alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? Il domani è una cosa non sicura: che ne sai tu se avrai un domani? A che giova vivere a lungo, se correggiamo così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre una vita lunga corregge i difetti; anzi spesso accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo passare santamente anche una sola giornata in questo mondo. Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla loro conversione a Dio; ma scarso è sovente il frutto della loro emendazione. Certamente morire è cosa che mette paura; ma forse è più pericoloso vivere a lungo. Beato colui che ha sempre dinanzi agli occhi l'ora della sua morte ed è pronto ogni giorno a morire. Se qualche volta hai visto uno morire, pensa che anche tu dovrai passare per la stessa strada. La mattina, fa conto di non arrivare alla sera; e quando poi si farà sera non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo che, in qualunque momento, la morte non ti trovi impreparato.
2. Sono molti coloro che muoiono in un istante, all'improvviso; giacché "il Figlio dell'uomo verrà nell'ora in cui non si pensa che possa venire" (Mt 24,44; Lc 12,40). Quando sarà giunto quel momento estremo, comincerai a giudicare ben diversamente tutta la tua vita passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto negligente e tanto fiacco. Quanto é saggio e prudente l'uomo che, durante la vita, si sforza di essere quale desidera esser trovato al momento della morte! Ora, una piena fiducia di morire santamente la daranno il completo disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di progredire nelle virtù, l'amore del sacrificio, il fervore nella penitenza, la rinuncia a se stesso e il saper sopportare ogni avversità per amore di Cristo. Mentre sei in buona salute, molto puoi lavorare nel bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando sarai ammalato. Giacché sono pochi quelli che, per il fatto di essere malati, diventano più buoni; così come sono pochi quelli che, per il fatto di andare frequentemente in pellegrinaggio, diventano più santi. Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la tua salvezza, facendo affidamento sui suffragi degli amici e dei parenti; tutti costoro ti dimenticheranno più presto di quanto tu non creda. Perciò, più che sperare nell'aiuto di altri, è bene provvedere ora, fin che si è in tempo, mettendo avanti un po' di bene. Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente in cose meritorie per la vita eterna. Verrà il momento nel quale chiederai almeno un giorno o un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della morte. Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu passa allora essere pieno di fiducia.
3. Stolto, perché vai pensando di vivere a lungo, mentre non sei sicuro di avere neppure una giornata? Quante persone sono state ingannate, inaspettatamente tolte a questa vita! Quante volte hai sentito dire che uno è morto di ferite e un altro è annegato; che uno, cadendo dall'alto, si è rotto la testa; che uno si è soffocato mentre mangiava e un altro è morto mentre stava giocando? Chi muore per fuoco, chi per spada; chi per una pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, comunque destino è la morte; e passa rapidamente come un'ombra la vita umana. Chi si ricorderà di te, dopo che sarai scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio caro, fai ora tutto quello che sei in grado di fare, perché non conosci il giorno della tua morte; né sai che cosa sarà di te dopo. Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in tempo. Non pensare a nient'altro che alla tua salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio. Fatti ora degli amici, venerando i santi di Dio e imitando le loro azioni, "affinché ti ricevano nei luoghi eterni, quando avrai lasciato questa vita" (Lc 16,9). Mantienti, su questa terra, come uno che è di passaggio; come un ospite, che non ha a che fare con le faccende di questo mondo. Mantieni libero il tuo cuore, e rivolto al cielo, perché non hai stabile dimora quaggiù (Eb 13,14). Al cielo rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime, affinché, dopo la morte, la tua anima sia degna di passare felicemente al Signore. Amen.
Capitolo XXIV (Indice Capitoli)
IL GIUDIZIO DIVINO E LA PUNIZIONE DEI PECCATI
1. In ogni cosa tieni l'occhio fisso al termine finale; tieni l'occhio, cioè, a come comparirai dinanzi al giudice supremo; al giudice che vede tutto, non si lascia placare con doni, non accetta scuse; e giudica secondo giustizia (cfr. Is 11,4). Oh!, sciagurato e stolto peccatore, come potrai rispondere a Dio, il quale conosce tutto il male che hai fatto; tu che tremi talvolta alla vista del solo volto adirato di un uomo? Perché non pensi a quel che avverrà di te nel giorno del giudizio, quando nessuno potrà essere scagionato e difeso da altri, e ciascuno costituirà per se stesso un peso anche troppo grave? E' adesso che la tua fatica è producente; è adesso che il tuo pianto e il tuo sospiro possono piacere a Dio ed essere esauditi; è adesso che il tuo dolore può ripagare il male compiuto e renderti puro.
2. Un grave e salutare purgatorio l'ha colui che sa sopportare. Questi, ricevendo ingiustizie, si dispiace della cattiveria altrui, più che del male patito; è pronto a pregare per quelli che lo contrastano e perdona di cuore le loro colpe; non esita a chiedere perdono agli altri; è più incline ad aver compassione che ad adirarsi; fa violenza sovente a se stesso e si sforza di sottoporre interamente la carne allo spirito. Stroncare ora i vizi e purgarsi ora dai peccati è miglior cosa che lasciarli da purgare in futuro. Invero noi facciamo inganno a noi stessi amando le cose carnali, contro l'ordine stabilito da Dio. Che altro divorerà, quel fuoco, se non i tuoi peccati? Perciò, quanto più indulgi a te stesso quaggiù, seguendo la carne, tanto più duramente pagherai poi, preparando fin d'ora materiale più abbondante per quelle fiamme. Ciascuno sarà più gravemente punito in ciò in cui ebbe a peccare. Colà i pigri saranno incalzati da pungoli infuocati; e i golosi saranno tormentati da grande sete e fame. Colà sui lussuriosi e sugli amanti dei piaceri saranno versati in abbondanza pece ardente e zolfo fetido; e gli invidiosi, per il grande dolore, daranno in ululati, quali cani rabbiosi. Non ci sarà vizio che non abbia il suo speciale tormento. Colà i superbi saranno pieni di ogni smarrimento; e gli avari saranno oppressi da gravissima miseria. Un'ora trascorsa colà, nella pena, sarà più grave di cento anni passati qui in durissima penitenza. Nessuna tregua, colà, nessun conforto per i dannati; mentre quaggiù talora ci si stacca dalla fatica e si gode del sollievo degli amici.
3. Devi darti da fare adesso, e piangere i tuoi peccati, per poter essere senza pensiero nel giorno del giudizio. In quel giorno, infatti, i giusti staranno in piena tranquillità in faccia a coloro che li oppressero (Sap 5,1) e li calpesteranno. Starà come giudice colui che ora si sottomette umilmente al giudizio degli uomini. In quel giorno, grande speranza avranno il povero e l'umile, e sarà pieno di paura il superbo; apparirà che è stato saggio in questo mondo colui che ha saputo essere stolto e disprezzato per amore di Cristo. In quel giorno sarà cara ogni tribolazione che sia stata sofferta pazientemente, e "ogni iniquità chiuderà la sua bocca" (Sal 106,42); l'uomo pio sarà nella gioia, mentre sarà nel dolore chi è vissuto senza fede. In quel giorno il corpo tribolato godrà più che se fosse stato nutrito di delizie; risplenderà la veste grossolana e quella fine sarà oscurata; una miserabile dimora sarà più ammirata che un palazzo dorato. In quel giorno una pazienza che non sia venuta mai meno, gioverà più che tutta la potenza della terra; la schietta obbedienza sarà glorificata più che tutta l'astuzia del mondo. In quel giorno la pura e retta coscienza darà più gioia che la erudita dottrina; il disprezzo delle ricchezze varrà di più che i tesori di tutti gli uomini. In quel giorno avrai maggior gioia da una fervente preghiera che da un pranzo prelibato; trarrai più gioia dal silenzio che avrai mantenuto, che da un lungo parlare. In quel giorno le opere buone varranno di più che le molte parole; una vita rigorosa è una dura penitenza ti saranno più care di ogni piacere di questa terra.
4. Impara a patire un poco adesso, affinché allora tu possa essere liberato da patimenti maggiori. Prova te stesso prima, quaggiù, per sapere di che cosa sarai capace allora. Se adesso sai così poco patire, come potrai sopportare i tormenti eterni? Se adesso un piccolo patimento ti rende così incapace di sopportazione, come ti renderà la Geenna? Ecco, in verità, non le puoi avere tutte e due, queste gioie: godere in questa vita e poi regnare con Cristo. Che ti gioverebbe, se, fino ad oggi, tu fossi sempre vissuto tra gli onori e i piaceri, e ora ti accadesse di morire improvvisamente? Tutto, dunque, è vanità, fuorché amare Iddio e servire a Lui solo. E perciò, colui che ama Dio con tutto il suo cuore non ha paura né della morte, né della condanna, né del giudizio, né dell'inferno. Un amore perfetto porta con tutta sicurezza a Dio; chi invece continua ad amare il peccato ha paura e - ciò non fa meraviglia - della morte e del giudizio. Se poi non hai ancora amore bastante per star lontano dal male, è bene che almeno la paura dell'inferno ti trattenga; in effetti, chi non tiene nel giusto conto il timore di Dio non riuscirà a mantenersi a lungo nella via del bene, ma cadrà ben presto nei lacci del diavolo.
Capitolo XXV (Indice Capitoli)
CORREGGERE FERVOROSAMENTE TUTTA LA NOSTRA VITA
1. Che tu sia attento e preciso, nel servire Iddio; ripensa frequentemente alla ragione per la quale sei venuto qui, lasciando il mondo. Non è stato forse per vivere in Dio e farti tutto spirito? Che tu sia, dunque, fervoroso, giacché in breve tempo sarai ripagato dei tuoi sforzi; né avrai più, sul tuo orizzonte, alcun timore e dolore faticherai qui per un poco, e poi troverai una grande pace, anzi, una gioia perpetua. Se sarai costante nella fede e fervoroso nelle opere, Dio, senza dubbio, sarà giusto e generoso nella ricompensa. Che tu mantenga la santa speranza di giungere alla vittoria, anche se non è bene che tu ne abbia alcuna sicurezza, per non cadere in stato di torpore o di presunzione. Una volta, un tale, dibattuto interiormente tra il timore e la speranza, sfinito dal doloro, si prostrò in chiesa davanti ad un altare dicendo tra sé: "Oh! Se sapessi di poter perseverare!". E subito, di dentro, udì una risposta, che veniva da Dio: "Perché, se tu sapessi di poter perseverare, che cosa vorresti fare? Fallo adesso, quello che vorresti fare, e sarai del tutto tranquillo". Allora, rasserenato e confortato, egli si affidò alla volontà di Dio, e cessò in lui quella angosciosa incertezza; egli non volle più cercar di sapere quel che sarebbe stato di lui in futuro, e si diede piuttosto a cercare "quale fosse la volontà del Signore: volontà di bene e di perfezione", (Rm 12, 2) per intraprendere e portare a compimento ogni opera buona. Dice il profeta: "Spera nel Signore e fa il bene; abita la terra e nutriti delle sue ricchezze" (Sal 36,3).
2. Una sola cosa è quella che distoglie molta gente dal progresso spirituale e dal fervoroso sforzo di correzione: lo sgomento di fronte agli ostacoli e l'asprezza di questa lotta. Invero avanzano nelle virtù coloro che si sforzano di superare virilmente ciò che è per essi più gravoso, e che più li contrasta; giacché proprio là dove più si vince se stessi, mortificandosi nello spirito, più si guadagna, e maggior grazia si ottiene. Certo che non tutti gli uomini hanno pari forze per vincere se stessi e per mortificarsi. Tuttavia, uno che abbia tenacia e buon volere, anche se le sue passioni sono più violente, riuscirà a progredire più di un altro, pur buono, ma meno fervoroso nel tendere verso le virtù. Due cose giovano particolarmente al raggiungimento di una totale emendazione: il fare violenza a se stessi, distogliendosi dal male, a cui ciascuno è portato per natura; e il chiedere insistentemente il bene spirituale di cui ciascuno ha maggior bisogno. Inoltre tu devi fare in modo di evitare soprattutto ciò che più spesso trovi brutto in altri. Da ogni parte devi saper trarre motivo di profitto spirituale. Così, se ti capita di vedere o di ascoltare dei buoni esempi, devi ardere dal desiderio di imitarli; se, invece, ti pare che qualcosa sia degno di riprovazione, devi guardarti dal fare altrettanto; se talvolta l'hai fatto, procura di emendarti. Come il tuo occhio giudica gli altri, così, a tua volta, sarai giudicato tu dagli altri. Quale gioia e quale dolcezza, vedere dei frati pieni di fervore e di devozione, santi nella vita interiore e nella loro condotta; quale tristezza, invece, e quale dolore, vedere certi frati, che vanno di qua e di là, disordinatamente, tralasciando di praticare proprio ciò per cui sono stati chiamati! Gran danno procura, questo dimenticarsi delle promesse della propria vocazione, volgendo i desideri a cose diverse da quelle che ci vengono ordinate.
3. Ricordati della decisione che hai presa, e poni dinanzi ai tuoi occhi la figura del crocifisso. Riflettendo alla vita di Gesù Cristo, avrai veramente di che vergognarti, ché non hai ancora cercato di farti più simile a lui, pur essendo stato per molto tempo nella vita di Dio. Il monaco che si addestra con intensa devozione sulla vita santissima e sulla passione del Signore, vi troverà in abbondanza tutto ciò che gli può essere utile e necessario; e non dovrà cercare nulla di meglio, fuor di Gesù. Oh, come saremmo d'un colpo pienamente addottrinati se avessimo nel nostro cuore Gesù crocifisso! Il monaco pieno di fervore sopporta ogni cosa santamente e accetta ciò che gli viene imposto; invece quello negligente e tiepido trova una tribolazione sull'altra ed è angustiato per ogni verso, perché gli manca la consolazione interiore, e quella esterna gli viene preclusa. Il monaco che vive fuori della regola va incontro a piena rovina. Infatti chi tende ad una condizione piuttosto libera ed esente da disciplina sarà sempre nell'incertezza, poiché ora non gli andrà una cosa, ora un'altra. Come fanno gli altri monaci, così numerosi, che vivono ben disciplinati dalla regola del convento? Escono di rado e vivono liberi da ogni cosa; mangiano assai poveramente e vestono panni grossolani; lavorano molto e parlano poco; vegliano fino a tarda ora e si alzano per tempo; pregano a lungo, leggono spesso e si comportano strettamente secondo la regola. Guarda i Certosini, i Cistercensi, e i monaci e le monache di altri Ordini, come si alzano tutte le notti per cantare le lodi di Dio. Ora, sarebbe vergognoso che, in una cosa tanto meritoria, tu ti lasciassi prendere dalla pigrizia, mentre un grandissimo numero di monaci comincia i suoi canti di gioia, in unione con Dio. Oh!, se noi non avessimo altro da fare che lodare il Signore, nostro Dio, con tutto il cuore e con tutta la nostra voce. Oh!, se tu non avessi mai bisogno di mangiare, di bere, di dormire; e potessi invece, lodare di continuo il Signore, e occuparti soltanto delle cose dello spirito. Allora saresti più felice di adesso, che sei al servizio del tuo corpo per varie necessità. E volesse il Cielo che non ci fossero, queste necessità, e ci fossero soltanto i pasti spirituali dell'anima, che purtroppo gustiamo ben di rado.
4. Quando uno sarà giunto a non cercare il proprio conforto in alcuna creatura, allora egli comincerà a gustare perfettamente Dio; allora accetterà di buon grado ogni cosa che possa succedere; allora non si rallegrerà, o rattristerà, per il molto o il poco che possieda. Si rimetterà del tutto e con piena fiducia in Dio: in Dio, che per lui sarà tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del quale nulla muove o va interamente perduto; in Dio, e per il quale ogni cosa vive, servendo senza esitazione al suo comando. Abbi sempre presente che tutto finisce e che il tempo perduto non ritorna. Non giungerai a possedere forza spirituale, se non avrai sollecitudine e diligenza. Se comincerai ad essere spiritualmente malato. Se invece ti darai tutto al fervore, troverai una grande pace, e sentirai più lieve la fatica, per la grazia di Dio e per la forza dell'amore. Tutto può, l'uomo fervido e diligente. Impresa più grande delle sudate fatiche corporali è quella di vincere i vizi e di resistere alle passioni. E colui che non sa evitare le piccole mancanze, cade, a poco a poco, in mancanze maggiori. Sarai sempre felice, la sera, se avrai spesa la giornata fruttuosamente. Vigila su te stesso, scuoti e ammonisci te stesso; checché facciano gli altri, non dimenticare te stesso. Il tuo progresso spirituale sarà pari alla violenza che avrai fatto a te stesso. Amen.
FINISCONO LE ESORTAZIONI UTILI
PER LA VITA DELLO SPIRITO
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