martedì 17 dicembre 2013

(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, figlio di Davide.

VANGELO DI MERCOLEDI 18 DICEMBRE

(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, figlio di Davide.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa «Dio con noi».Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Parola del Signore!


 RIFLESSIONE DI LELLA :

PREGHIERA


Vieni Signore mio,con il tuo Santo spirito,ad aiutare la mia mente a capire quello che Tu ritieni giusto che io debba capire e a liberare la mia mente da tutto il resto.

Matteo continua a raccontarci la storia della nascita di Gesù,vedendola dalla parte di Giuseppe.

La notte di Giuseppe! Questo dovrebbe essere il titolo di questa pagina di vangelo; ve la immaginate la notte del povero Giuseppe? Dubbi, angosce, paura, delusione… credo che nella sua mente sia passato veramente di tutto, e molto probabilmente ha anche pianto e a lungo, perché alla fine è crollato in un sonno profondo….

Ecco ora l’uomo Giuseppe finisce di comportarsi da uomo, ora stremato si lascia andare, allenta le difese, smette di pensare, e il Signore riesce ad intervenire mandando un suo angelo.

Quello che mi colpisce e mi fa riflettere è proprio questo, quando l’uomo ha provato tutto, ha pensato tutto, si arrende a Dio, e da lì in poi tutto è possibile.Giuseppe, semplice falegname, aveva come promessa sposa la piccola Maria; una fanciulla mite e sicuramente degna del massimo rispetto, tanto che anche a lui riesce difficile pensare male di lei, quando le dice che aspetta un bambino.

Giuseppe sa di non averla toccata, come può essere successa una cosa simile? E adesso che sarà di lei? Anche oggi come 2000 anni fa una ragazza che deve affrontare una gravidanza da sola si trova in mille difficoltà, dirlo alla famiglia, il giudizio della gente, ma in quei tempi era ancora peggio; una ragazza era messa al pubblico sdegno ed addirittura lapidata. Egli sente che non può farle questo, ma non può neanche sposarla! Non la sta giudicando, ma non comprende; le sue intenzioni erano altre: una casa, dei figli suoi, una bottega di falegname….. ed ora questa cosa gli sembra inaccettabile.

Molti uomini cercano di capire come una Vergine possa aver partorito ed essere restata tale, ed a questo proposito io vorrei dire: che questo possa essere un dubbio legittimo in chi non crede in Gesù Cristo, è normale, ma quando si riesce a scoprire ed accettare il mistero dell’incarnazione di Dio, perché questi dubbi? Perché resistere al miracolo della fede? Perché cercare di capire e limitare Dio? Che tipo di fede è questa?

Nella nostra vita avremo avuto e avremo sempre dei momenti in cui ci sarà difficile comprendere i disegni di Dio, ma se ci affidiamo a lui, tutto ci sarà poi comprensibile. Senza il Sì di Maria e di Giuseppe noi non saremmo qui dopo 2000 anni a parlare dei disegni di Dio, non aspetteremmo ancora una volta un Natale che ci rappresenta la nascita di “Dio con noi”, non spereremmo in un mistero ancora più grande di noi, in cui un piccolo esserino che sceglie di nascere in una stalla e morire su una croce, cambierà la storia della nostra vita!

Ma quando Dio decide di intervenire nel mondo, non ci chiede il permesso, anzi, a volte sconvolge i nostri piani ed è proprio quello che ha fatto con Giuseppe, che, poverino, credeva di aver già programmato la sua vita.

Se la nostra vita, non è sconvolta dall’arrivo di Gesù, se non cambia nulla, c’è qualcosa che non quadra, forse non è a Gesù che diamo ascolto, ma al nostro IO che grida più forte di DIO!

La vita del mondo ci spinge a cercare il benessere e la sicurezza nelle cose materiali, nel lavoro la solidità del futuro, ecc. e seguendo questi schemi è facile che quando qualcuno dei paletti su cui poniamo le basi della nostra esistenza, ci viene a mancare, ci sentiamo franare la terra sotto ai piedi e temiamo che tutto possa crollare, ma se la nostra vita è basata su solide fondamenta e sulla fede, niente, neanche la prova più dura, ci metterà paura, perché in ogni cosa cercheremo di accettare e di riconoscere la mano del Signore e faremo riferimento a Lui.

Non sarà sempre facile, Gesù ci ha avvertito che seguirlo non è una passeggiata, ma ci ha anche convinto che è l’unica via possibile per la nostra salvezza.

San Giuseppe, tu che hai ascoltato la voce dell’angelo mandato dal Signore, proteggici e guidaci come hai fatto con il piccolo Gesù, che ti fu affidato da Dio, e guidaci nella vita verso il progetto di Dio per noi. Grazie, amen.

lunedì 16 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Circa la vostra lettura c’è poco da ammirare e quasi niente da edificarsi. Vi è assolutamente necessario che a simili letture aggiungiate quella dei Libri santi (= sacra Scrittura), tanto raccomandata da tutti i santi padri. Ed io non posso esimervi da queste letture spirituali, troppo premendomi la vostra perfezione. Conviene che deponiate il pregiudizio che avete (se volete da simili letture ricavare il tanto insperato frutto) intorno allo stile ed alla forma con cui questi Libri sono esposti. Sforzatevi nel far questo e raccomandate la cosa al Signore. In questo vi è un grave inganno ed io non posso nascondervelo." (Epist. II, p. 141s.).

SANTI é BEATI :

San Giovanni de Matha Sacerdote
Faucon (Alpes-de-Haute-Provence, Francia), 23 giugno 1154 - Roma, 17 dicembre 1213
Provenzale, docente di teologia a Parigi, prete a 40 anni, Giovanni de Matha lasciò la cattedra, divenendo sacerdote. Durante la sua prima messa, il 28 febbraio 1193, gli accade qualcosa di straordinario. Mentre celebrava gli comparve una visione: un Uomo dal volto radioso, che teneva per mani due uomini con catene ai piedi, l'uno nero e deforme, l'altro pallido e macilento; quest'uomo gli indicò di liberare queste povere creature incatenate per motivi di fede. Giovanni De Matha comprese immediatamente che quell'uomo era Gesù Cristo Pantocratore, che rappresentava la Trinità, e gli uomini in catene erano gli schiavi cristiani e musulmani. Capì, quindi, che sarebbe stata questa la sua missione di sacerdote: quella di liberare gli schiavi cristiani in Africa. Si ritirò in campagna per meditare sull'impresa e fondò, nel 1194, in Cerfroid, a poco meno di cento chilometri da Parigi, con quattro eremiti l'Ordine della Santissima Trinità (“Ordo Sanctae Trinitatis et redemptionis captivorum”), dall'austera regola. Ottenuta l'approvazione di Innocenzo III il 17 dicembre 1198 con la bolla Operante divinae dispositionis, partì per il Marocco. Iniziarono così i primi riscatti di schiavi. Il tema era allora molto sentito, tanto che san Pietro Nolasco fondò nel 1218, con lo stesso scopo, i Mercedari. Giovanni morì a Roma - dove il Papa gli aveva donato la chiesa di San Tommaso in Formis sul Celio -, ma nel Seicento il suo corpo venne portato a Madrid. Fu santificato nel 1666.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Roma sul monte Celio, san Giovanni de Matha, sacerdote, che, francese di origine, istituì l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi.

Questo provenzale di Faucon, docente di teologia all’Università di Parigi, si fa prete tardi, sui 40 anni. Poi lascia la cattedra, perché un "segno gli ha rivelato la sua vera missione": dedicarsi al riscatto degli schiavi cristiani in Africa. La pirateria mediterranea, negli assalti in mare e nelle scorrerie a terra, rastrella gente giovane e va a venderla sui mercati nordafricani. Giovanni de Matha si ritira per riflettere a Cerfroid, una campagna solitaria a 70 km da Parigi, dove spiega l’idea a quattro eremiti, che l’accettano di colpo. In tre anni nasce la struttura. Ossia l’Ordine della Santissima Trinità (abito bianco con croce rossa e azzurra sul petto, cappa e cappuccio neri). Si basa su comunità piccole e agili, con regola austera e niente ambizioni estetiche per le chiese e i riti. L’elemosina raccolta da appositi collettori va per un terzo al mantenimento dei monaci, per un terzo all’assistenza di malati e pellegrini, e per un terzo al riscatto degli schiavi. Ottenuta l’approvazione del papa Innocenzo III, nel 1199 parte la prima spedizione per il Marocco.
I Trinitari (così li chiamano) visitano mercati, prigioni, luoghi di lavoro, trattano con autorità e padroni, e liberano con regolare scrittura di riscatto i primi duecento schiavi; un notaio registra tutto, e così si farà sempre. I marsigliesi si commuovono vedendo sbarcare quei duecento, con Giovanni de Matha che li accompagna alla cattedrale cantando il salmo In exitu Israël de Aegypto. (Il problema degli schiavi è all’ordine del giorno: con una missione analoga nel 1218 san Pietro Nolasco fonderà a Barcellona i Mercedari).
Nel 1209 l’Ordine avrà 30 case, e 600 verso il 1250, soprattutto in Francia e Spagna. Agli ex schiavi malati o senza famiglia dà accoglienza nei suoi ospizi. Tra il 1199 e il 1207 il fondatore si lancia in un attivismo frenetico, per aumentare i centri di accoglienza, trovare denaro da ricchi e da poveri, moltiplicare le spedizioni di riscatto. Papa Innocenzo gli dona a Roma la chiesa abbaziale di San Tommaso in Formis sul Celio, dove Giovanni crea un altro ospizio. E qui muore il 17 dicembre 1213. Nel 1665 due frati trinitari tolgono il suo corpo dalla chiesa (il convento ha cambiato proprietà) e lo portano a Madrid.
L’ordine soccombe poi alle soppressioni regie e rivoluzionarie del Sette-Ottocento, ma rinasce nel XIX secolo, con case impegnate in Europa e in America nelle missioni, assistenza ospedaliera e ministero. Manca una storia completa dei riscatti: il religioso che vi lavorava, padre Domenico dell’Assunta, fu ucciso nella guerra civile spagnola (1936) e il materiale andò perduto. Ricordiamo tuttavia un nome: quello di Miguel de Cervantes, futuro autore di Don Chisciotte. Catturato da un pirata albanese e venduto sul mercato di Algeri nel 1575, sarà liberato cinque anni dopo dal trinitario spagnolo fra Juan Gil.

Autore:
Domenico Agasso

(Mt 1,1-17) Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.

VANGELO 
(Mt 1,1-17) Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo di Dio ,illuminami , fa che io possa riconoscermi in questa famiglia, in questa stirpe ,come Figlia Di Dio. Vieni, datore di doni, riempimi di sapienza per poter conoscere tutto quello che Dio mi concede di sapere ,per seguire la luce che indica la via segnata dalla stella fino all'umile stalla dove nacque Gesù e, da lì in poi vivere con il Figlio, il volere del Padre, alla luce del tuo Spirito. Amen.

La genealogia di Gesù, è riportata in due versioni nei Vangeli, quella di Matteo e quella di Luca, abbastanza dissimili tra loro, per vari motivi, ma questa è la parte che interessa gli studiosi teologi, o quelli che amano spaccare il capello in quattro.Io non sto ad indagare sulle differenze,vi dico solo che probabilmente Luca sta riportando la genealogia di Maria mentre Matteo sta riportando quella di Giuseppe. Attraverso entrambe i lignaggi Gesù è un discendente di Davide e quindi corrisponde alle caratteristiche del Messia. Tracciare la genealogia dal lato materno è una pratica insolita, ma era insolita anche la nascita da una vergine. La spiegazione di Luca è che Gesù era il figlio di Giuseppe, “così si pensava”(Luca 3:23)
Ma la fede in Gesù Cristo segna la fine di tutte le diatribe possibili, riunisce tutto i popoli della terra, ci rende tutti figli di Dio.
Nasce dalla famiglia di Davide, è vero, ma nella sua storia terrena manda i suoi discepoli ad ammaestrare i popoli di tutta la terra, è il primo grande eroe dell’unità, in un mondo che non sa far altro che dividersi, Lui rivoluziona tutto e ci dice che pur essendo diversi, di etnie ,razze, popoli, colori, tutti siamo figli dello stesso Dio, fratelli in Cristo. Non serve sapere altro, ma vivere questo è secondo me, già sufficiente per entrare a far parte di questo benedetto Regno di Dio.
Una famiglia è unita da legami di sangue, d’amore e, se solo pensassimo ogni giorno, prima di adirarci con un nostro fratello, che in lui scorre lo stesso dna di figlio di Dio, forse potremmo pian piano, riuscire a vivere in pace e letizia.
Oggi il Vangelo, sembra solo una lunga lista di nomi, per ricordarci che la genealogia di Gesù,è riconoscibile nella storia, e Matteo che è ebreo, la scrive per gli ebrei.Eppure sappiamo che molti di loro non hanno riconosciuto in Gesù il Messia che aspettavano,.....perchè? Perchè aspettavano un re, un vincitore, un conquistatore, uno che li avrebbe resi ricchi e potenti, conquistato terre per loro, un trascinatore che li avrebbe vendicati..... Ed ecco che invece Gesù, viene in un umile stalla, e anche se non trova posto tra la sua gente, attira già da neonato, moltitudine di folle da ogni parte, che guardando al cielo, e seguendo una stella ed il canto degli angeli, vengono a vedere il Bambino Gesù.
Non sanno ancora bene chi è; vengono per conoscerlo e si avvicinano alla culla con venerazione e curiosità. Salutano Maria e Giuseppe e portano i loro doni, chi poco chi tanto, ma tutti lo fanno con il cuore. Persino i re venuti da lontano, non conoscendolo si erano dapprima messi d' accordo con Erode, che lo cercava per ucciderlo, per denunciare dov'era quel bambino che avrebbe cambiato la storia del mondo.Ma Dio scrive una storia diversa da quella degli uomini e davanti a quel piccolo capiscono per dono Divino, che debbono tornare per un altra via, che debbono prendere un' altra direzione, per aiutare Gesù nel suo disegno di salvezza. Dio ha scritto per noi la storia della salvezza, possiamo cone molti non accoglierla, nonostante sia confermata dalla storia, oppure correre da Gesù Bambino, fare festa intorno a Lui, riconoscendo chè è nato il salvatore del mondo e, come i re magi, aiutarlo nel suo progetto di salvezza.

domenica 15 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

 -" Orsú, mia diletta figliuola, bisogna attentamente coltivare questo cuore ben formato, e niente risparmiare di ciò che può essere utile alla di lui felicità; e, sebbene in ogni stagione, cioè in ogni età, ciò può e deve farsi, questa, però, nella quale tu sei, è la piú adatta." (Epist. III, p. 418).

SANTI é BEATI :

Beato Onorato (Venceslao) Kazminski Cappuccino
Biala (Polonia), 16 ottobre 1829 - Nowe-Miasto, 16 dicembre 1916
Onorato, al secolo Vencesalo Kozminski, nacque a Biala Podlaska il 16 ottobre 1829. Ricevuta la prima educazione in famiglia e compiuti gli studi primari a Plock, si reco a Varsavia per gli studi di architettura. Nel 1846 subì una crisi religiosa, superata la quale entro nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini a Varsavia, e venne ordinato sacerdote il 27 dicembre 1852. Si dedico ad un'intensa azione pastorale fondando ben 26 Istituti religiosi, di cui 18 esistono tutt'oggi. Fu scrittore fecondo, direttore spirituale e confessore ricercatissimo. Morì a Nowe Miasto il 16 dicembre 1916. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1988.
Martirologio Romano: Nella città di Nowe Miasto in Polonia, beato Onorato da Biała Podlaska (Fiorenzo) Kazminsky, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che si adoperò egregiamente nel servire i penitenti, nel predicare la parola di Dio e nel confortare in carcere i prigionieri.

Venceslao Kozminski nasce nel 1829, la famiglia lo educò cristianamente e lo fece studiare presso il ginnasio di Plock. Frequentando l'ambiente della scuola di belle arti di Varsavia, influenzato dall'illuminismo, abbandonò la fede. Arrestato nel 1846 dalla polizia zarista, poiché sospettato di far parte di una organizzazione politica, rinchiuso nel carcere di Varsavia, vi trascorse un anno durante il quale contrasse il tifo e temette la condanna a morte. Durante questo periodo aveva ricercato e trovato nuovamente la fede in Dio.
Nel 1848 entrò nel noviziato di Lubartòw, alla vestizione gli fu dato il nome di fra Onorato, fu ordinato sacerdote il 27 dicembre 1852, subito iniziò l'insegnamento ai chierici cappuccini, impegnato nella predicazione e nella direzione dei terziari francescani.
Nel 1863 i russi decretarono l'abolizione degli ordini religiosi, Onorato venne trasferito prima a Zahroczym e quindi a Nowe-Miasto.
Lottò contro il potere zarista che voleva staccare la chiesa polacca da quella di Roma, per mezzo della devozione mariana e della diffusione del terz'ordine francescano. Di sicuro fu molto difficile operare in un paese dove era vietato fare apostolato e formare novizi, per questo motivo diffuse i valori evangelici interpretati dal terz'ordine formando varie congregazioni, queste vivevano il vangelo di Cristo così come si trovavano nella vita ordinaria, senza saio, senza convento, nascosti ma vivi nella fede. Queste congregazioni furono approvate dalla santa sede il 21 giugno 1889, ma in seguito a denunce furono imposte delle restrizioni a queste comunità.
Nel 1905 per motivi di salute non esercitò più il ministero nei confessionali ed inizio una importante corrispondenza epistolare con i propri figli spirituali, circa 4000 lettere manoscritte sono conservate negli archivi di Varsavia, oltre alle sue numerose prediche, ad una "enciclopedia mariana" e ad un diario spirituale.
Dal 1895 fu commissario generale dei cappuccini sotto la dominazione russa.
Morì all'età di 87 anni il 16 dicembre 1916, dal 1975 il suo corpo riposa nella chiesa di Nowe-Miasto.
Il 16 ottobre 1988 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato.

Autore:
Carmelo Randello

(Mt 21,23-27) Il battesimo di Giovanni da dove veniva?

VANGELO
(Mt 21,23-27) Il battesimo di Giovanni da dove veniva?
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo, e svelaci le parole di Gesù; fa che il nostro animo e la nostra mente siano puri davanti al Signore, e che la malizia umana non c’impedisca di capire e di riconoscere il Messia.
Certo che l’intelligenza di Gesù, a volte ci lascia senza parole; il fatto che ci stupisce è che, senza neanche innervosirsi, riesce a trovare le parole giuste per far chiudere nella trappola da soli quelli che gli tendono la trappola. I sadducei ed i capi dei sacerdoti, non riconobbero in Giovanni un profeta, coloro che dovevano guidare il popolo verso Dio, non seppero leggere i segni delle sacre scritture ed ora che Giovanni era morto, i loro dubbi non si erano per niente chiariti, eppure già il loro pensiero era di insidiare Gesù.
Chi è Gesù?Chi lo autorizza a fare quello che fa?
Forse è il momento di domandarci chi è per noi, e se noi lo autorizziamo a guidare la nostra vita, e se facciamo come chi si sente più giusto, più saggio, più importante, e cerchiamo di metterlo a tacere.


(Mt 11,2-11) Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

VANGELO
(Mt 11,2-11) Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo, e liberati nel mio cuore, inebriami e donami la luce della parola di Dio, perché desidero con tutto il cuore essere fedele al mio Dio, servirlo e lodarlo. Aiutami!
Questa è la pagina in cui vediamo come tutti siamo preda dell’errore e del nostro io, anche se prescelti, come Giovanni Battista e vicini a Gesù come gli apostoli.
Non basta quindi essere sicuri di voler seguire Gesù, perché il dubbio, l’inganno, il nostro io sono sempre in agguato. Probabilmente Giovanni passava un momento di scoraggiamento, era in prigione, e sapendo che Gesù era vicino, probabilmente si aspettava da Lui una qualsiasi dimostrazione di salvezza, era un uomo come noi, anche se sicuramente migliore, ed aveva anche lui paura di morire. Il Signore risponde ai discepoli di Giovanni in maniera molto chiara, gli dice che quel loro maestro, quell’uomo che loro avevano seguito dal deserto, era un profeta, e ancora di più, era quello di cui si parlava nell’antico testamento colui che spianerà la via al Messia, non era una canna che ondeggiava al vento, eppure quell’uomo che era il più grande, era l’ultimo di una storia che cambiava, e che attraverso il sacrificio di Gesù sarebbe stata la storia della salvezza per tutti gli uomini, che grazie al suo sacrificio potevano entrare nel regno dei cieli.

sabato 14 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Temere di perderti fra le braccia della bontà divina è piú curioso del timore del bambino stretto fra le braccia materne." (Epist. III, p. 638).

SANTI é BEATI :

Santa Maria Crocifissa (Paola) di Rosa Vergine
Brescia, 6 novembre 1813 - 15 dicembre 1855
Suo padre è un imprenditore bresciano; la madre, nobile bergamasca, muore nel 1824 quando Paola Francesca ha 11 anni. A quell'età entra nel collegio della Visitazione per gli studi, e ne esce a 17 anni. Nonostante il padre per lei preferisca il matrimonio, la giovane decide di restare fedele al voto di castità fatto in istituto. Viene così mandata a dirigere una fabbrica di filati di seta di proprietà dal padre ad Acquafredda. Ma Paola organizza aiuti per i bisognosi e si dedica all'istruzione religiosa femminile, aiutata da alcune ragazze. Insieme, da infermiere volontarie, lavorano per aiutare le vittime del colera del 1836, in due scuole per sordomuti, nella tremenda primavera del 1849, durante le «Dieci Giornate», quando la città si ribella agli austriaci. Nel 1851 la comunità ottiene la prima approvazione come congregazione religiosa, col nome di Ancelle della Carità. Nel 1852, Paola Francesca pronuncia i voti e come religiosa diventa suor Maria Crocifissa. Morirà a Brescia nel 1855. (Avvenire)
Etimologia: Paola = piccola di statura, dal latino
Emblema: Giglio

Martirologio Romano: A Brescia, santa Maria Crocifissa Di Rosa, vergine, che consacrò i suoi beni e tutta se stessa alla salvezza spirituale e materiale del prossimo e fondò l’Istituto delle Ancelle della Carità.

Suo padre, Clemente Di Rosa, è un cospicuo imprenditore bresciano. La madre, Camilla Albani, appartiene alla nobiltà bergamasca, e viene a mancare quando lei, Paola Francesca, ha soltanto 11 anni. A quell’età entra nel collegio della Visitazione per gli studi, e ne esce a 17 anni. Il padre comincia a parlarle di matrimonio, ma non se ne farà nulla, perché lei vuole restare fedele al voto di castità fatto in istituto.
Niente matrimonio, dunque. Il padre la mette subito ai lavori, allora, mandandola a dirigere una sua fabbrica di filati di seta ad Acquafredda, un paese del Bresciano in riva al fiume Chiese, con una settantina di operaie. Siamo nel regno Lombardo-Veneto che, malgrado il nome, è una provincia “a statuto speciale” dell’Impero austro- ungarico, governata dall’arciduca Ranieri d’Asburgo col titolo di viceré (austriaco è pure l’arcivescovo di Milano, il cardinale Gaetano Gaysruck, spesso però in polemica con i governanti).
Così, la giovane manager col voto di castità si impegna nell’azienda di famiglia. E al tempo stesso organizza aiuti per i poveri e gli ammalati in necessità, e si dedica all’istruzione religiosa femminile, aiutata da alcune ragazze. Insieme si fanno infermiere volontarie e lavorano senza alcun riconoscimento civile o ecclesiastico. Nel 1836 la Lombardia è colpita dal colera, che fa 32 mila morti e si estende anche al Veneto e all’Emilia. Con le sue ragazze, Paola Francesca fa servizio volontario nel lazzaretto, assiste chi è malato in casa, si occupa degli orfani. Dà anche vita a due scuole per sordomuti. Nel 1840 si trova a capo di 32 ragazze con esperienza infermieristica e preparate persino all’istruzione religiosa, ma ancora senza approvazioni ufficiali, senza “personalità giuridica”. Questo è dovuto pure alla situazione politica del tempo, a qualche ostacolo locale; e il risultato è sempre uno solo: ufficialmente Paola Francesca e tutte le ragazze non esistono. Ma per i bresciani esistono, sì: loro le vedono all’opera, e soprattutto ne ammirano il coraggio nella tremenda primavera del 1849, durante le “Dieci Giornate”; ossia quando la città si ribella agli austriaci (vincitori della guerra contro il Regno di Sardegna) e subisce poi la rappresaglia ordinata dal feldmaresciallo Haynau. In mezzo alla tragedia, loro sono lì a soccorrere i feriti e a fare coraggio. E finalmente nel 1851 l’intrepida comunità ottiene la prima approvazione della Santa Sede come congregazione religiosa, col nome di Ancelle della Carità.
Nel 1852, Paola Francesca pronuncia i voti e come religiosa diventa suor Maria Crocifissa (ha voluto chiamarsi come la sua sorella maggiore, morta nel1839). Guidate da lei, le Ancelle della Carità incominciano a estendere la loro opera in Lombardia e nel Veneto, ma ormai le resta poco da vivere, anche se è ancora giovane. Si ammala nella casa delle Ancelle in Mantova, e di lì ritorna a Brescia solo per morirvi, a 42 anni. Pio XII Pacelli la proclamerà santa nel1954. Le sue spoglie sono custodite nella Casa madre di Brescia.

Autore:
Domenico Agasso

venerdì 13 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Chi si attacca alla terra, ad essa resta attaccato. È meglio staccarsi poco per volta, anziché tutto una volta. Pensiamo sempre al cielo." (CE, 64).

SANTI é BEATI :

San Venanzio Fortunato
Valdobbiadene (Treviso), ca. 530 - Poitiers (Francia), 14 dicembre 607 ca.
Etimologia: Venanzio = il cacciatore, dal latino
Martirologio Romano: A Poitiers in Aquitania, ora in Francia, san Venanzio Fortunato, vescovo, che narrò le gesta di molti santi e celebrò in eleganti inni la santa Croce.

Nel 535 circa, a Duplavilis (l’attuale Valdobbiadene in provincia di Treviso) nasce Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato. Della sua terra e della sua gente dà notizia egli stesso nel IV libro della Vita di San Martino, quando indica al suo poema la strada da percorrere per raggiungere Ravenna e gli raccomanda di passare per Valdobbiadene: “Avanza attraverso Ceneda e vai a visitare i miei amici di Duplavilis: è la terra dove sono nato, la terra del mio sangue e dei miei genitori. Qui c’è l’origine della mia stirpe, ci sono mio fratello e mia sorella, tutti i miei nipoti che nel mio cuore io amo di un amore fedele. Valli a salutare, ancora ti chiedo, anche se di fretta”.
Era di antica e nobile famiglia romana, ebbe sicuramente un fratello e una sorella di nome Tiziana (la cita scrivendo alla badessa Agnese) e molti nipoti.
La vicina Ceneda contende a Valdobbiadene i natali dell’ultimo grande poeta della latinità. Ma Paolo Diacono, che scrive alla fine dell’VIII secolo e cita espressamente questo brano, non ha dubbi sulla nascita valdobbiadenese.
I primi studi li compie probabilmente nel Trevigiano (forse proprio a Treviso, forse ad Asolo, forse a Oderzo). Nel 557 circa si reca ad Aquileia per studiare. È possibile che da parte del vescovo di Aquileia, Paolino, venga già ora la proposta di prendere i voti sacerdotali (stando ad una testimonianza dello stesso Venanzio), ma egli rifiuta.
Nel 560 si trasferisce a Ravenna dove studia grammatica, retorica, poetica (e forse anche giurisprudenza), secondo le notizie che ci dà Paolo Diacono.
È affetto da una grave malattia agli occhi. Ne è colpito anche il suo amico Felice, il futuro vescovo di Treviso, colui che fermerà Alboino e i Longobardi sul Piave. Venanzio e Felice si ungono gli occhi con l’olio della lampada che brucia nella cripta dedicata a San Martino nella basilica di Giovanni e Paolo e guariscono.
Nell’autunno del 565 Venanzio lascia Ravenna e si reca in Gallia, nel regno di Austrasia, per sciogliere il voto di pregare sulla tomba di Martino a Tours. I motivi di un viaggio che lo avrebbe portato lontano dalla sua patria (mai ci sarebbe stato ritorno) sono stati variamente interpretati. Si è a lungo ipotizzato che Venanzio fosse diventato inviso al governo bizantino e fosse dunque indotto a cercare la protezione di Sigiberto. Venanzio avrebbe preso posizione a favore dello scisma dei Tre Capitoli e dunque sarebbe stato dalla parte della situazione scismatica di Aquileia. Ma non abbiamo notizia di una militanza in tal senso e nulla autorizza a dire che si tratti di fuga per motivi di pericolo personale. Del resto, se quella di Venanzio era una fuga dal governo imperiale, la corte di Sigiberto non rappresentava un rifugio sicuro perché i reali d’Austrasia non erano in quell’epoca in cattivi rapporti con Costantinopoli.
Tra l’altro è questo il periodo durante il quale Radegonda, che viveva sotto la giurisdizione di Sigiberto, otteneva dall’imperatore una reliquia della Santa Croce.
Venanzio non arriva in Austrasia come un “trovatore errante”. Il fatto che gli sia stata inviata incontro una scorta di eminenti funzionari della corte di Austrasia prova che aveva ricevuto un invito, in qualche modo ufficiale. Dunque non un romantico precursore della figura del poeta maledetto, non un ricercato dalla polizia imperiale.
Il contrario semmai, come suggeriscono recenti studi ed ipotesi. Venanzio era probabilmente un inviato dell’imperatore d’Oriente presso le corti franche e in particolare alla corte di Metz. Non dobbiamo pensare certo ad un agente segreto che agisce sotto copertura e che si avvale del suo ruolo di poeta mondano per nascondere oscuri e sottili maneggi. Più semplicemente l’imperatore, preoccupato dalla minaccia longobarda, cercava alleanze nelle Gallie. Il re di Metz, che possedeva anche la Provenza, poteva tornargli molto utile.
Venanzio, senza dubbio già noto per il suo talento di poeta, era uomo prezioso per convincere il re e i suoi grandi, riuniti nel giorno delle nozze. Venanzio arriva infatti a Metz, capitale dell’Austrasia nel 566, proprio nei giorni in cui Sigiberto sposa Brunechilde, figlia di Atanagildo re dei Visigoti, matrimonio di enorme importanza politica: si presenta con un epitalamio e una elegia in gloria dei sovrani (Carm. VI 1, e 1a, il secondo per la conversione di Brunechilde al cattolicesimo). Nello stesso anno è a Parigi dove conosce il vescovo Germano. Visita anche, assieme a Sigoaldo, uomo di fiducia di Sigiberto, Magonza, Colonia, Treviri.
La sua cultura e la sua raffinata conoscenza della lingua latina lo rendono popolarissimo e ricercato. Intesse tutta una serie di relazioni. Tra gli altri, gode della stima di Dinamio, scrittore e futuro governatore della Provenza, la regione più romanizzata. Durante l’inverno del 567 (forse nei primi mesi del successivo) raggiunge Tours. Se ne allontana subito e vi fa ritorno nel 568, diventando intimo del nuovo vescovo, Gregorio.
Si muove in continuazione. Le tappe del suo viaggio sono Poitiers, Tolosa, forse la Spagna, Saintes, ancora Poitiers dove conosce Radegonda (520-587). Radegonda, già moglie di Clotario I, era stata consacrata da Medardo, vescovo di Noyon, e aveva fondato a Saix, vicino a Poitiers un monastero in cui si era ritirata.
In questo periodo Venanzio appare caratterizzato da una grande inquietudine. Desidera far conoscere la sua opera letteraria e trovare un preciso ruolo. Nel monastero di Saix, Venanzio, che non ha ancora preso i voti, svolge il lavoro di economo.
Tra il 568 e il 576, dividendosi tra servizio al monastero e vita mondana, compone le sue opere più importanti. Quando Radegonda ottiene l’invio dei frammenti della Croce dall’Oriente, Venanzio compone il De excidio Thuringiae, ispirato dalle vicende familiari di Radegonda e dedicato al cugino di lei, Amalafrido, che militava nell’esercito imperiale. L’arrivo delle reliquie viene salutato dai due inni Pange, lingua e Vexilla regis prodeunt ancora vivissimi nella liturgia.
Nell’estate del 575 scrive la Vita di San Martino in 4 libri, ultimo grande poema della classicità. Poema epico a tutti gli effetti, come dimostra anche la scelta del verso, l’esametro. Martino viene proposto come atleta di Dio: modello di monaco e soprattutto modello di presule.
È infatti il primo vescovo che allarga il concetto di diocesi al territorio extraurbano, che esce dalle mura cittadine e fonda parrocchie rurali, che le visita in continuazione e per le quali inaugura un’opera fondamentale di formazione dei preti. Con quest’opera Venanzio si pone come irripetibile momento di sintesi tra i valori della civiltà galloceltica e quella della società galloromana. Nel segno di un alto ideale cristiano di cui proprio Martino è emblema.
Nel 576 Venanzio pubblica una prima raccolta dei Carmina.
Amato e ricercato, Venanzio è il cultore della lingua di Cicerone e Virgilio. Alla corte di re Childeberto appare come il degno erede dell’eleganza e della cultura latine. In quel gioco di rapporti e relazioni, in quella corte ricca ed elegante, ha un ruolo importante e decisivo. È lui, il poeta in cui rivivono Orazio e Lucrezio, ad avere il gioioso compito di dare lustro e decoro alla figura del suo sovrano.
Nel quinquennio 574-579 si colloca l’ordinazione sacerdotale di Venanzio.
Si allarga la sfera delle sue conoscenze e relazioni: tra gli altri Leonzio, vescovo di Bordeaux, e sua moglie Placidina, nipote di Sidonio Apollinare e pronipote dell’imperatore Avito. Conosce e apprezza anche Felice, vescovo di Nantes, e Bertrando che era succeduto a Leonzio nella sede episcopale di Bordeaux.
Nel 584 era stato assassinato Chilperico, figlio di Clotario, nel quadro della guerra civile che lo aveva visto opposto a suo fratello Sigiberto (morto nel 575): Tours e Poitiers ritornano alla corona di Austrasia con la firma del trattato di Andelot nel 587, tra Gontrando e Childeberto II.
Proprio il 13 agosto di quel 587 muore Radegonda. Venanzio resta nel monastero (diretto fin dalla fondazione da Agnese, allieva e amica di Radegonda) come direttore spirituale ed elemosiniere. Agnese stessa muore di lì a poco.
Venanzio accetta di accompagnare Gregorio che Childeberto aveva convocato a Metz in previsione di una ambasceria presso suo zio Gontrando per studiare l’applicazione del trattato di Andelot. Childeberto lo accoglie trionfalmente e durante il viaggio Venanzio visita Treviri, Coblenza e il castello di Andernach.
Quindi Venanzio rientra a Poitiers. Nel 590, diciassettesimo anno della sua ordinazione, Gregorio celebra la dedicazione della cattedrale di Tours e Venanzio scrive i tituli per degli affreschi che illustrano la vita di San Martino.
Quando (592-593) muore il vescovo di Poitiers, Platone, e Venanzio viene designato a suo successore. È consacrato dall’amico Gregorio, vescovo di Tours. Il 14 dicembre 603 Venanzio muore.
La sua produzione è, per la maggior parte, compresa negli 11 libri di Carmina Miscellanea. La Vita di San Martino è l’unica vita scritta in versi. Ne ha scritto altre 6, tutte in prosa. Sono le vite di Sant’Ilario vescovo di Poitiers, San Germano vescovo di Parigi, Sant’Albino vescovo di Angers, San Paterno vescovo di Avranches, Santa Radegonda, San Marcello vescovo di Parigi. Qualcuno gli ha attribuito anche la vita di Amanzio vescovo di Rodez, la vita di Remigio vescovo di Reims, la vita di San Medardo vescovo di Noyon, la vita di Leobino vescovo di Chartres, la vita di San Maurilio vescovo di Angers, una passio dei martiri Dionigi (Saint Denis), Rustico ed Eleuterio.

Autore: Gian Domenico Mazzocato




Una malattia agli occhi ha cambiato la sua vita. Nato al tempo del regno gotico (governato da Amalasunta, figlia di Teodorico, per conto del figlio Atalarico, minorenne) per gli studi è andato “all’estero”, ossia a Ravenna, capitale dei domini bizantini d’Italia: uno dei grandi poli culturali d’Europa. Ha studiato grammatica e retorica, ed ecco questa infermità alla vista e poi la guarigione. Venanzio l’attribuisce all’intercessione di san Martino di Tours: perciò decide di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia. Un pellegrinaggio dal quale non ritornerà più.
Già all’andata è stato bene accolto, nelle soste, da famiglie signorili, conquistate dalle sue poesie in latino, che tutti giudicano sublimi. In verità non è sempre così, ma tra tanti personaggi analfabeti la sua cultura stupisce e incanta. Giunto a Tours, prega sulla tomba di san Martino (al quale dedicherà un poema) e poi passa a Poitiers. Qui conosce un personaggio eccezionale, non perché è una regina, ma perché è singolarmente colta in mezzo a re e principi che non sanno leggere. E' Radegonda, dalla vita infelice: figlia del re di Turingia, sposata per forza a Clotario I re di Neustria (attuale Francia del Nord-Ovest), ha poi avuto un fratello ucciso da lui; e lo ha lasciato. A Poitiers, con la figlia adottiva Agnese, ha fondato e dirige un monastero.
L’incontro con queste donne dà un nuovo indirizzo alla vita di Venanzio, ammirato da entrambe per i suoi versi, e al tempo stesso attratto dal loro modo di vivere la fede. Diventa sacerdote, prende la direzione spirituale del monastero e continua a scrivere. I temi dominanti della sua poesia religiosa sono il culto della Croce, la pietà mariana, il senso della morte, la guida spirituale dei fedeli. Ha una buona conoscenza dei Vangeli, dei salmi, di Isaia e di alcuni Padri della Chiesa, oltre che di numerosi autori latini non cristiani. Il suo inno Vexilla regis prodeunt, in onore della Croce, viene cantato tuttora nella settimana santa, e altri sono stati inseriti nel Breviario. In latino, poi, scrive la vita di sette santi di Gallia, tra cui quella di Radegonda, morta nel 587.
Nel 595-97, consacrato vescovo di Poitiers, diviene una figura eminente nella Gallia lacerata da guerre tra i regni e stragi di famiglia. La sua opera di poeta cristiano ispirata a sincera pietà, e la tenerezza che anima certi suoi versi, sono una rara testimonianza di umanità e di fede, nella barbarie del tempo. Venanzio muore un 14 dicembre, forse del 607, e presto lo si venera come santo. “Santo e beato” lo proclama l’iscrizione sulla sua tomba nella cattedrale di Poitiers. L’ha composta verso il 785 Paolo Diacono, storico dei Longobardi, invocando la sua intercessione.
Autore:
Domenico Agasso

Mt 17,10-13 Elìa è già venuto, e non l'hanno riconosciuto.

VANGELO 
Mt 17,10-13 Elìa è già venuto, e non l'hanno riconosciuto.
Dal Vangelo secondo Matteo

Mentre scendevano dal monte, i discepoli domandarono a Gesù: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?».

Ed egli rispose: «Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro».

Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.




LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O Santo Spirito che mi fosti donato il giorno del battesimo in Cristo Gesù,tu che sei nascosto mel mio cuore,soffocato dal mio io inutile,ti prego vieni ad illuminarmi e a farmi capire come vivere la Parola,del Signore,per l'amore misericordioso che il Padre ci elargisce,riempimi di Te.amen.


E’ venuto il Signore nella nostra vita? Si siamo cristiani, crediamo in Dio creatore e Signore, in Gesù Cristo, ma veramente gli abbiamo dato il posto che gli spetta?
Gesù trasforma la nostra fede in fuoco vivo, e noi siamo fuoco vivo?
Bruciamo di amore inestinguibile verso tutti gli uomini? Bruciamo d’amore per Lui? Quanto e come preghiamo il Signore? Con le labbra o con il cuore? Molti quando il Signore ha bussato gli hanno aperto, ma poi…. visto che era così difficile seguirlo, visto che ci chiedeva di essere fedeli, onesti, umili….. hanno preferito lasciarlo lì, in un angolino del cuore, giusto il tempo di pregarlo quando ci serve qualcosa?Se questo è il Messia che è venuto.. anche noi non l’abbiamo riconosciuto!Facciamo un bell’ esame di coscienza, e svegliamoci! Dio ci ama e ci vuole felici, ci ha insegnato che la felicità non è quella che crediamo noi, il benessere materiale, a tutti i costi, e neanche la salute a tutti i costi, perché chi vive Gesù, sa accettare anche la croce, ma chi non vuole riconoscerlo, non lo farà, nascondendosi dietro a mille scuse, ed ancora il Signore busserà alla nostra porta… amore infinito che aspetta solo che aprendo diciamo: eccomi, sono qui, trasformani in quello che solo grazie a te posso diventare, fammi lasciare a terra il pesante bagaglio della mia nullità, dei miei falsi idoli ai quali non mi rendo neanche conto di dare un valore e sollevami su ali d' aquila!

giovedì 12 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" È per mezzo delle prove che Dio vincola a sé le anime a lui dilette." (ASN, 44).

SANTI é BEATI :

Sant' Odilia (Ottilia) di Hohenbourg Badessa
† Hohenbourg, Alsazia, VII sec.
Guarita dalla cecità, si fece monaca benedettina e governò l'abbazia di Hohenburg che ora porta il suo nome: Odilienberg. Morì nel 720.
Patronato: Alsazia, Malattie degli occhi
Martirologio Romano: Nel territorio di Strasburgo nell’antica Burgundia in Francia, santa Ottilia, vergine e prima badessa del monastero di Hohenbourg fondato da suo padre, il duca Adalríco.

Le notizie cronologiche sono scarse; Odilia o Ottilia, figlia del duca Adalrico di Alsazia, regione della Francia orientale, ma che nei secoli passati fu più volte della Francia o della Germania; nacque dunque in Alsazia nel secolo VII, cieca dalla nascita e secondo la leggenda, il padre l’affidò ad una domestica.
Costei condusse la bambina al monastero di Balma (Baume-les-Dames) e si racconta che nel momento in cui il vescovo s. Erardo la battezzava, riacquistò la vista. Restò a Balma per un certo tempo, poi Odilia fu ricondotta a casa da suo fratello Ugo; il padre Alderico fondò per lei il monastero di Hohenbourg in Alsazia di cui divenne la prima badessa e lì visse santamente.
Sempre secondo la leggenda, lei stessa fondò il monastero di Niedemunster. Morì il 13 dicembre di un anno della fine del secolo VII. La badessa e il monastero di Hohenbourg sono menzionati in una donazione fatta alla badessa Adela nel 783; la prima ‘Vita’ di s. Odilia fu scritta agli inizi del secolo X da un cappellano di Hohenbourg, per la maggior parte leggendaria.
La regola osservata nel monastero fu quella benedettina, integrata da altre particolarità, questo sembra dipendere dalla parentela fra Adalrico e sua figlia Odilia con Leodegaro, il grande diffusore del monachesimo benedettino.
La santa badessa fu sepolta ad Hohenbourg nella chiesa di S. Giovanni, questa chiesa e la tomba furono nominate per la prima volta da papa Leone IX il 17 dicembre 1050. Le reliquie hanno una storia a sé, alcune vennero trasferite in altri posti, l’imperatore Carlo IV il 4 maggio 1353 ricevette il braccio destro, oggi conservato a Praga.
Altre che erano ad Odilienberg furono salvate dalla rivoluzione francese nel 1795, anche se il sarcofago perse allora il suo rivestimento di marmo, nel 1842 furono deposte in un cofano sotto l’altare.
Le reliquie invece che furono portate ad Einsiedeln nel sec. XVII, furono distrutte dai rivoluzionari nel 1798. Il culto per s. Odilia fu molto diffuso per tutto il Medioevo, in tutte le abbazie germaniche e in alcune regioni francesi; ancora oggi è molto venerata nelle diocesi di Monaco, Meissen, Strasburgo e nelle abbazie benedettine femminili austriache.
Il Martirologio Romano seguendo l’antica celebrazione del sec. XII a San Gallo, la ricorda al 13 dicembre.
S. Odilia dal 1807 è patrona dell’Alsazia, dove riceve un grande culto popolare, il Mont-Sainte-Odile è un luogo di pellegrinaggio assai frequentato, dove viene celebrata il giorno dell’anniversario della traslazione, avvenuta il 7 luglio 1842.
Cappelle in suo onore sono costruite su colline e montagne, è invocata specialmente per la guarigione degli occhi, delle orecchie o dei mali di testa, infatti essa è rappresentata in vesti di badessa, con un libro aperto su cui posano due occhi.
A volte è raffigurata mentre libera dal Purgatorio l’anima di suo padre Alderico, inoltre a volte porta in mano un calice, che si riferisce ad un episodio della ‘Vita’ per cui Odilia gravemente malata e poi morta senza aver ricevuto il Viatico, grazie alle preghiere delle sue consorelle addolorate, risuscitò e fattosi portare il calice con le particole, si comunicò da se stessa, morendo subito dopo.
Il suo nome è Odilia ma dal sec. XV in Baviera e poi in Alsazia fu adottata la versione Ottilia.


( Mt 11,16-19 )Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell'uomo. (Venerdì 13 Dicembre 2013 )

-( Mt 11,16-19 )Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell'uomo. (Venerdì 13 Dicembre 2013 )


SANTA LUCIA, vergine e martire - Memoria
Colore Liturgico Rosso
Antifona
Vieni, sposa di Cristo, ricevi la corona
che il Signore da sempre ha preparato per te.
Colletta
Riempi di gioia e di luce il tuo popolo, Signore,
per l’intercessione gloriosa
della santa vergine e martire Lucia,
perché noi, che festeggiamo la sua nascita al cielo,
possiamo contemplare con i nostri occhi la tua gloria.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Prima Lettura
Is 48,17-19
Se tu avessi prestato attenzione ai miei comandi!
Dal libro del profeta Isaìa

Così dice il Signore, tuo redentore,
il Santo di Israele:

«Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti insegno per il tuo bene,
che ti guido per la strada su cui devi andare.

Se avessi prestato attenzione ai miei comandi,
il tuo benessere sarebbe come un fiume,
la tua giustizia come le onde del mare.
La tua discendenza sarebbe come la sabbia
e i nati dalle tue viscere come i granelli d'arena.
Non sarebbe mai radiato né cancellato
il suo nome davanti a me».
Salmo
Dal Salmo 1
R. Chi ti segue, Signore, avrà la luce della vita.
Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte. R.

È come albero piantato lungo corsi d'acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene. R.

Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina. R.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.

Il Signore viene, andiamogli incontro:
egli è il principe della pace.

Alleluia.
Vangelo
( Mt 11,16-19 )Non ascoltano né Giovanni né il Figlio dell'uomo.
  Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse alle folle:
 «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
"Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!".
 È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: "È indemoniato". È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: "Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori".
 Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Vieni o Santo Spirito e conduci la nostra intelligenza, vivificata dal tuo Spirito, sui sentieri dove tu ti riveli nella tenebra luminosa del silenzio. Dà a noi occhi limpidi per contemplarti, e un umile cuore per lasciarci contemplare da te.

Un detto proverbiale dice: -L’erba del vicino è sempre più verde.-
Si sa che i proverbi non sbagliano mai; non siamo mai contenti di quello che succede intorno a noi. Vennero i profeti, prima di Gesù che parlavano nel nome di Dio, ma non li ascoltarono; venne Giovanni e lo presero per pazzo, ma nel dubbio gli tagliarono la testa; venne Gesù e lo crocefissero, ancora oggi viene dal cielo Maria, e la gente va a vedere il miracolo ,attirata dalla straordinarietà della cosa, ma la percentuale delle persone che si rende veramente conto di quanto amore c’è in tutto questo, che non si limita ad ascoltare i messaggi, ma cerca di fare di tutto per viverli, è ben misera.
Siamo duri di cuore e la storia non ci insegna nulla, eppure ci viene chiesta  la santità, ed io credo che veramente, se solo riuscissimo a vivere almeno al 50% la grazia del Signore, se sapessimo apprendere dalle parole del vangelo e dai messaggi di Maria la voglia del Signore di inondarci di grazie, forse capiremmo cosa vuol dire “essere davanti al Signore”, ”vivere nel regno di Dio”.
La difficoltà di essere umili, di rinunciare a quello spicchio di mondo frivolo per vivere in preghiera, di annullare i propri desideri per ascoltare quelli del Signore, io vorrei veramente riuscire a capire che cosa mi sto perdendo! Cerco di ascoltare, di afferrare, mi sembro un aspirapolvere a volte che cerca di raccattare le briciole di questo amore e che non riesce a stringerle tra le mani se non per qualche secondo.
Facciamo di questo avvento la nostra grande occasione, facciamoci aiutare dalla Madre perfetta, dalla migliore collaboratrice di Dio ad essere come Lei, perché solo attraverso Lei potremo sperare di far nascere in noi Gesù, solo attraverso il grembo immacolato che è stato prescelto da Dio come sua prima dimora .
Sto “leggendo” il segreto di Maria  di San Luigi Maria Grignion de Montfort e vi invito a  leggerlo ed assaporarlo
------------------------------------------------------------------



mercoledì 11 dicembre 2013

SANTI é BEATI :

Beato Giacomo Capocci da Viterbo
Viterbo, 1255 circa - Napoli, 1307/8
Nacque a Viterbo intorno al 1255, ma non si hanno notizie dei suoi anni giovanili. Nel 1272 entrò tra gli Eremitani di sant'Agostino, di cui vestì l'abito nel convento viterbese della Santissima Trinità. Studiò teologia a Parigi dove conseguì il dottorato in teologia nel 1293. Insegnò a Napoli dal 1300 per due anni, quando Bonifacio VIII, lo nominò arcivescovo di Benevento e poi di Napoli. Qui si guadagnò la fiducia del re Carlo II d'Angiò e del figlio Roberto, duca di Calabria, che lo aiutò nella costruzione della nuova Cattedrale. Il 13 maggio 1306 avviò, su richiesta di Clemente V, la causa di canonizzazione di Celestino V. A questa causa si dedicò con zelo fino alla morte, avvenuta a Napoli alla fine del 1307. La sua unica opera pubblicata per intero è il «De regimine christiano», scritta nel 1303 in occasione della lotta tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello. Il suo culto fu confermato ufficialmente da Pio X nel 1911. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Napoli, commemorazione del beato Giacomo Capocci, vescovo, che da eremita di Sant’Agostno fu chiamato a reggere la Chiesa di Benevento e poi quella di Napoli, che illuminò tutte con saggezza, dottrina e prudenza.

Discendente forse, della nobile famiglia Capocci, nacque a Viterbo intorno al 1255, ma non si hanno notizie dei suoi anni giovanili. Abbracciata ben presto la vita religiosa, entrò nel 1272 tra gli Eremitani di s. Agostino, di cui vestì l’abito nel convento viterbese della Santissima Trinità. Prima del 1275 fu inviato a Parigi a studiare teologia nello Studio del suo Ordine, dove frequentò le lezioni di Egidio Romano, che lo ebbe poi sempre in grande stima. Tornato in patria nel 1281-82, ricoprì dapprima la carica di primo Definitore della provincia romana nel 1283, quindi fu Visitatore nel 1284 e poi di nuovo Definitore nel 1285, esercitando nel frattempo, con ogni probabilità, anche le funzioni di Lettore in qualche convento della medesima provincia.
Insieme forse con Egidio Romano, ritornò a Parigi nel 1286 per riprendervi gli studi teologici, conseguendo il Baccellierato nel 1288 e, al termine del prescritto tirocinio, il Dottorato nel 1293. Su designazione di Egidio Romano, eletto Priore Generale dell'Ordine, fu nominato nello stesso anno Maestro Reggente dello Studio parigino, rimanendo in carica sino al 1299. Tornato in Italia nel 1300, insegnò per due anni nello Studio di Napoli, che dovette lasciare perché nominato da Bonifacio VIII, il 3 settembre 1302, arcivescovo di Benevento; il 6 o il 12 dicembre successivo venne trasferito alla sede di Napoli, dove, pastore veramente zelante, seppe guadagnarsi la stima e la venerazione del re Carlo II d'Angiò e del figlio Roberto, duca di Calabria, che lo aiutò nella costruzione della nuova cattedrale.
Il 13 maggio 1306 cominciò a trattare la causa di canonizzazione del santo pontefice Celestino V, che gli era stata espressamente affidata da Clemente V e nella quale egli pose ogni cura, tanto da recarsi personalmente a raccogliere testimonianze sui luoghi stessi dove Pietro di Morrone aveva condotto la sua vita penitente; ed in tale attività seguitò sino alla morte, avvenuta a Napoli, con fama di santità.
Considerato uno dei maggiori teologi scolastici, per l’acume del suo ingegno, meritò l’onorifico titolo di doctor speculativus. L’unica opera pubblicata per intero del b. Giacomo è il De regimine christiano, scritta nel 1303 in occasione della lotta tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, e che può considerarsi il primo trattato sistematico sulla Chiesa.
Morì a Napoli verso la fine del 1307 o all’inizio del 1308.
La memoria di Giacomo, subito circondata di venerazione, divenne ben presto oggetto di culto pubblico, confermato ufficialmente da Papa San Pio X solo nel 1911.
La memoria liturgica ricorre il 12 dicembre.

Autore:
P. Bruno Silvestrini O.S.A.

VOCE DI SAN PIO :

-" Dubitare è il più grande insulto alla divinità." (CE, 35)

(Mt 11,11-15 Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista.)

VANGELO
(Mt 11,11-15 Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista.)
 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse alle folle:

«In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono.

Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell'Elìa che deve venire.

Chi ha orecchi, ascolti!».


(Mt 11,11-15 Non ci fu uomo più grande di Giovanni Battista.)

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito Vieni, Spirito di Consiglio e di Fortezza, e rendici coraggiosi testimoni del Vangelo ricevuto. Sostieni chi è perseguitato; incoraggia chi è emarginato; dona forza a chi è imprigionato; concedi perseveranza a chi è calpestato e torturato; ottieni la palma della vittoria a chi, ancora oggi, viene condotto al martirio.
Gesù sa che il cuore degli uomini è duro,che niente sembra,riuscire a poter essere accettato quando non si vuole e che a nulla servono le parole dei profeti ,se chi ascolta non vuole recepire il messaggio.
La missione di Giovanni, è ben definita già dalla sua nascita,ricordiamo che il bambino sussultò nella pancia della madre Elisabetta,al riconoscere il Signore nel grembo di Maria.
In questo brano sembra quasi che Gesù stia dando un giudizio su Giovanni, ma non è così secondo me, ma sta mettendo in evidenza come tutto sarà diverso dopo la sua morte in croce,dopo che dal vecchio si passerà al nuovo testamento, perché il battista profeta annuncia la sua venuta, ma è con la sua morte in croce che Gesù cambierà le cose, perché è morendo che germoglierà il perdono per tutti i figli di Dio. Infatti,contrariamente a quello che anche Giovanni pensava,Gesù non viene per castigare,ma per redimere,non per condannare,ma per salvare.
Giovanni annunciò il Messia, ma gli sfuggiva il mistero più profondo della sua dottrina,del suo insegnamento. Gesù annuncia che siamo tutti figli di Dio,dello stesso Padre e pertanto fratelli .E’ questo che fa la differenza tra il vecchio e il nuovo e che rende tutti importanti allo stesso modo agli occhi di Dio.

martedì 10 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Lo spavento è un male peggiore del male medesimo." (CE, 33).

SANTI é BEATI :

San Damaso I Papa
11 dicembre - Memoria Facoltativa
Roma, 305? - Roma, 384
(Papa dal 01/10/366 al 11/12/384)
Spagnolo di origine, ma probabilmente nato a Roma, Damaso divenne Papa nel 366, dopo la pace costantiniana. Si adoperò affinché la catacombe non cadessero in rovina e non fosse perduta la memoria dei martiri. Man mano che ne rintracciava le tombe, le ornava di poetiche epigrafi di sua composizione. Ma non fu solo archeologo e letterato. Agì con fermezza di fronte al rappresentante del potere civile, l'imperatore, e commissionò a san Girolamo la traduzione in latino della Bibbia. Morì nel 384.

Patronato: Archeologi
Martirologio Romano: San Damaso I, papa, che, nelle difficoltà dei suoi tempi, convocò molti sinodi per difendere la fede nicena contro gli scismi e le eresie, incaricò san Girolamo di tradurre in latino i libri sacri e onorò i sepolcri dei martiri adornandoli di versi.
Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Damaso è un nome di origine greca, con una storia antichissima, perché lo troviamo già nell'omerica Iliade. Deriva da un verbo che voleva dire " domare ", ed è probabilmente forma abbreviata di un nome composto, come " domatore di cavalli " o simili.
La familiarità del nome di Damaso è legata alla grande suggestione che da millenni, le Catacombe romane hanno esercitato sui cristiani. Perché Damaso, Papa del IV secolo e Santo della Chiesa, fu il più antico esploratore e archeologo delle catacombe romane.
Spagnolo d'origine, ma probabilmente nato a Roma, Damaso venne eletto Papa, non senza contrasti, nel 366. Infatti, la sua elezione fu gravemente turbata dallo scisma di Ursino (o Ursicino). Su testimonianza di Ammiano Marcellino sappiamo che il popolo si divise in due fazioni, che lottarono tra loro con spirito irriducibile: basti pensare che in un solo giorno, nella basilica di Sicinino si contarono ben 137 morti.
La pace costantiniana aveva consentito ai Cristiani di costruire liberamente chiese e grandi basiliche. Furono perciò abbandonati gli antichi e nascosti luoghi di culto che, vuotati dalle reliquie dei " Santi " sembravano destinati a cadere in rovina.
Papa Damaso riportò la tradizione verso le Catacombe, facendo eseguire lavori dì consolidamento e di ampliamento. Egli impedì così gli effetti irreparabili del completo abbandono di quei sepolcreti sotterranei.
Via via che rintracciava e identificava le tombe dei Martiri, Papa Damaso, che era buon letterato le contrassegnava con epigrafi poetiche esaltanti le virtù di quegli antichi compagni di fede, noti o ignoti.
Non si pensi però che il Papa se ne stesse quasi nascosto dentro le Catacombe, a comporre le sue elaborate e poetiche epigrafi. Al contrario, fu Pontefice degno del proprio tempo, e tenne alto il prestigio della Chiesa romana, in un'epoca ricca di personaggi altissimi, come Sant'Ambrogio di Milano, San Girolamo e Sant'Agostino.
La passione di archeologo era nutrita, in Damaso, da una profonda pietà, e la sua azione apostolica era guidata da un alto senso di responsabilità. Sotto di lui si consolidò l'autorità della Chiesa romana, e l'eresia ariana venne quasi a spegnersi.
Davanti all'Imperatore, egli affermò sempre, con serena fermezza, l'" autorità della Sede
Apostolica ", secondo l'espressione coniata proprio sotto di lui. Fu lui che ordinò a San Girolamo la traduzione latina e la revisione della Bibbia; fu lui che ottenne, a Roma, la separazione dello Stato dal Paganesimo. Seppe legare alla Sede Apostolica tutte le Chiese e ottenne dal potere civile il massimo rispetto.
Onorando la memoria dei Martiri, nelle Catacombe, egli affermava l'unicità e la continuità di quella Chiesa per la quale i testimoni della fede avevano versato il proprio sangue; ribadiva la sovranità dello spirituale sul temporale, esaltando non i grandi del mondo, ma i campioni di Cristo.
Nella cosiddetta Cripta dei Papi, da lui esplorata nelle Catacombe di San Callisto, egli scrisse, alla fine di una lunga iscrizione: " Qui io, Damaso, desidererei far seppellire i miei resti, ma temo di turbare le pie ceneri dei Santi ". Sì preparò infatti la sepoltura, con umiltà e discrezione, in un luogo solitario, lungo la Via Ardeatina.