lunedì 30 settembre 2013

SANTI é BEATI :

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San Girolamo (o Gerolamo) Sacerdote e dottore della Chiesa

30 settembre

Stridone (confine tra Dalmazia e Pannonia), ca. 347 - Betlemme, 420

Fece studi e enciclopedici ma, portato all'ascetismo, si ritirò nel deserto presso Antiochia, vivendo in penitenza. Divenuto sacerdote a patto di conservare la propria indipendenza come monaco, iniziò un'intensa attività letteraria. A Roma collaborò con papa Damaso, e, alla sua morte, tornò a Gerusalemme dove partecipò a numerose controversie per la fede, fondando poco lontano dalla Chiesa della Natività, il monastero in cui morì. Di carattere focoso, soprattutto nei suoi scritti, non fu un mistico e provocò consensi o polemiche, fustigando vizi e ipocrisie. Scrittore infaticabile, grande erudito e ottimo traduttore, a lui si deve la Volgata in latino della Bibbia, a cui aggiunse dei commenti, ancora oggi importanti come quelli sui libri dei Profeti.

Patronato: Archeologi, Bibliotecari, Studiosi

Etimologia: Girolamo = di nome sacro, dal greco

Emblema: Cappello da cardinale, Leone

Martirologio Romano: Memoria di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa: nato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, uomo di grande cultura letteraria, compì a Roma tutti gli studi e qui fu battezzato; rapito poi dal fascino di una vita di contemplazione, abbracciò la vita ascetica e, recatosi in Oriente, fu ordinato sacerdote. Tornato a Roma, divenne segretario di papa Damaso e, stabilitosi poi a Betlemme di Giuda, si ritirò a vita monastica. Fu dottore insigne nel tradurre e spiegare le Sacre Scritture e fu partecipe in modo mirabile delle varie necessità della Chiesa. Giunto infine a un’età avanzata, riposò in pace.

San Girolamo è un Padre della Chiesa che ha posto al centro della sua vita la Bibbia: l’ha tradotta nella lingua latina, l’ha commentata nelle sue opere, e soprattutto si è impegnato a viverla concretamente nella sua lunga esistenza terrena, nonostante il ben noto carattere difficile e focoso ricevuto dalla natura.

Girolamo nacque a Stridone verso il 347 da una famiglia cristiana, che gli assicurò un’accurata formazione, inviandolo anche a Roma a perfezionare i suoi studi. Da giovane sentì l'attrattiva della vita mondana (cfr Ep. 22,7), ma prevalse in lui il desiderio e l'interesse per la religione cristiana. Ricevuto il battesimo verso il 366, si orientò alla vita ascetica e, recatosi ad Aquileia, si inserì in un gruppo di ferventi cristiani, da lui definito quasi «un coro di beati» (Chron. Ad ann. 374) riunito attorno al Vescovo Valeriano. Partì poi per l'Oriente e visse da eremita nel deserto di Calcide, a sud di Aleppo (cfr Ep. 14,10), dedicandosi seriamente agli studi. Perfezionò la sua conoscenza del greco, iniziò lo studio dell'ebraico (cfr Ep. 125,12), trascrisse codici e opere patristiche (cfr Ep. 5,2). La meditazione, la solitudine, il contatto con la Parola di Dio fecero maturare la sua sensibilità cristiana. Sentì più pungente il peso dei trascorsi giovanili (cfr Ep. 22,7), e avvertì vivamente il contrasto tra mentalità pagana e vita cristiana: un contrasto reso celebre dalla drammatica e vivace "visione", della quale egli ci ha lasciato il racconto. In essa gli sembrò di essere flagellato al cospetto di Dio, perché «ciceroniano e non cristiano» (cfr Ep. 22,30).

Nel 382 si trasferì a Roma: qui il Papa Damaso, conoscendo la sua fama di asceta e la sua competenza di studioso, lo assunse come segretario e consigliere; lo incoraggiò a intraprendere una nuova traduzione latina dei testi biblici per motivi pastorali e culturali. Alcune persone dell’aristocrazia romana, soprattutto nobildonne come Paola, Marcella, Asella, Lea ed altre, desiderose di impegnarsi sulla via della perfezione cristiana e di approfondire la loro conoscenza della Parola di Dio, lo scelsero come loro guida spirituale e maestro nell’approccio metodico ai testi sacri. Queste nobildonne impararono anche il greco e l’ebraico.

Dopo la morte di Papa Damaso, Girolamo lasciò Roma nel 385 e intraprese un pellegrinaggio, dapprima in Terra Santa, silenziosa testimone della vita terrena di Cristo, poi in Egitto, terra di elezione di molti monaci (cfr Contra Rufinum 3,22; Ep. 108,6-14). Nel 386 si fermò a Betlemme, dove, per la generosità della nobildonna Paola, furono costruiti un monastero maschile, uno femminile e un ospizio per i pellegrini che si recavano in Terra Santa, «pensando che Maria e Giuseppe non avevano trovato dove sostare» (Ep. 108,14). A Betlemme restò fino alla morte, continuando a svolgere un'intensa attività: commentò la Parola di Dio; difese la fede, opponendosi vigorosamente a varie eresie; esortò i monaci alla perfezione; insegnò la cultura classica e cristiana a giovani allievi; accolse con animo pastorale i pellegrini che visitavano la Terra Santa. Si spense nella sua cella, vicino alla grotta della Natività, il 30 settembre 419/420.

La preparazione letteraria e la vasta erudizione consentirono a Girolamo la revisione e la traduzione di molti testi biblici: un prezioso lavoro per la Chiesa latina e per la cultura occidentale. Sulla base dei testi originali in greco e in ebraico e grazie al confronto con precedenti versioni, egli attuò la revisione dei quattro Vangeli in lingua latina, poi del Salterio e di gran parte dell'Antico Testamento. Tenendo conto dell'originale ebraico e greco, dei Settanta, la classica versione greca dell’Antico Testamento risalente al tempo precristiano, e delle precedenti versioni latine, Girolamo, affiancato poi da altri collaboratori, poté offrire una traduzione migliore: essa costituisce la cosiddetta "Vulgata", il testo "ufficiale" della Chiesa latina, che è stato riconosciuto come tale dal Concilio di Trento e che, dopo la recente revisione, rimane il testo "ufficiale" della Chiesa di lingua latina. E’ interessante rilevare i criteri a cui il grande biblista si attenne nella sua opera di traduttore. Li rivela egli stesso quando afferma di rispettare perfino l’ordine delle parole delle Sacre Scritture, perché in esse, dice, "anche l’ordine delle parole è un mistero" (Ep. 57,5), cioè una rivelazione. Ribadisce inoltre la necessità di ricorrere ai testi originali: «Qualora sorgesse una discussione tra i Latini sul Nuovo Testamento, per le lezioni discordanti dei manoscritti, ricorriamo all'originale, cioè al testo greco, in cui è stato scritto il Nuovo Patto. Allo stesso modo per l'Antico Testamento, se vi sono divergenze tra i testi greci e latini, ci appelliamo al testo originale, l'ebraico; così tutto quello che scaturisce dalla sorgente, lo possiamo ritrovare nei ruscelli» (Ep. 106,2). Girolamo, inoltre, commentò anche parecchi testi biblici. Per lui i commentari devono offrire molteplici opinioni, «in modo che il lettore avveduto, dopo aver letto le diverse spiegazioni e dopo aver conosciuto molteplici pareri – da accettare o da respingere –, giudichi quale sia il più attendibile e, come un esperto cambiavalute, rifiuti la moneta falsa» (Contra Rufinum 1,16).

Confutò con energia e vivacità gli eretici che contestavano la tradizione e la fede della Chiesa. Dimostrò anche l'importanza e la validità della letteratura cristiana, divenuta una vera cultura ormai degna di essere messa confronto con quella classica: lo fece componendo il De viris illustribus, un'opera in cui Girolamo presenta le biografie di oltre un centinaio di autori cristiani. Scrisse pure biografie di monaci, illustrando accanto ad altri itinerari spirituali anche l'ideale monastico; inoltre tradusse varie opere di autori greci. Infine nell'importante Epistolario, un capolavoro della letteratura latina, Girolamo emerge con le sue caratteristiche di uomo colto, di asceta e di guida delle anime.

Che cosa possiamo imparare noi da San Girolamo? Mi sembra soprattutto questo: amare la Parola di Dio nella Sacra Scrittura. Dice San Girolamo: "Ignorare le Scritture è ignorare Cristo". Perciò è importante che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura. Questo nostro dialogo con essa deve sempre avere due dimensioni: da una parte, dev'essere un dialogo realmente personale, perché Dio parla con ognuno di noi tramite la Sacra Scrittura e ha un messaggio ciascuno. Dobbiamo leggere la Sacra Scrittura non come parola del passato, ma come Parola di Dio che si rivolge anche a noi e cercare di capire che cosa il Signore voglia dire a noi. Ma per non cadere nell'individualismo dobbiamo tener presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella verità nel nostro cammino verso Dio. Quindi essa, pur essendo sempre una Parola personale, è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva. Il luogo privilegiato della lettura e dell'ascolto della Parola di Dio è la liturgia, nella quale, celebrando la Parola e rendendo presente nel Sacramento il Corpo di Cristo, attualizziamo la Parola nella nostra vita e la rendiamo presente tra noi. Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l'eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l'eterno, la vita eterna.

E così concludo con una parola di San Girolamo a San Paolino di Nola. In essa il grande Esegeta esprime proprio questa realtà, che cioè nella Parola di Dio riceviamo l'eternità, la vita eterna. Dice San Girolamo: «Cerchiamo di imparare sulla terra quelle verità la cui consistenza persisterà anche nel cielo» (Ep. 53,10).


Autore: Papa Benedetto XVI (Udienza generale 14 Novembre 2007)





Con quest’uomo intrattabile hanno un debito enorme la cultura e i cristiani di tutti i tempi. Ha litigato con sprovveduti, dotti, santi e peccatori; fu ammirato e detestato. Ma rimane un benefattore delle intelligenze e la Chiesa lo venera come uno dei suoi padri più grandi. Nato da famiglia ricca, riceve il battesimo a Roma, dove va a studiare. Studierà per tutta la vita, viaggiando dall’Europa all’Oriente con la sua biblioteca di classici antichi, sui quali si è formato. Nel 375, dopo una malattia, Gerolamo passa alla Bibbia, con passione crescente. Studia il greco ad Antiochia; poi, nella solitudine della Calcide (confini della Siria), si dedica all’ebraico. Riceve il sacerdozio ad Antiochia nel 379 e nel 382 è a Roma. Qui, papa Damaso I lo incarica di rivedere il testo di una diffusa versione latina della Scrittura, detta Itala, realizzata non sull’originale ebraico, bensì sulla versione greca detta dei Settanta. A Roma fa anche da guida spirituale a un gruppo di donne della nobiltà. E intanto scaglia attacchi durissimi a ecclesiastici indegni (un avido prelato riceve da lui il nome “Grasso Cappone”).
Alla morte di Damaso I (384), va in Palestina con la famiglia della nobile Paola. Vive in un monastero a Betlemme, scrivendo testi storici, dottrinali, educativi e corrispondendo con gli amici di Roma con immutata veemenza. Perché così è fatto. E poi perché, francamente, troppi ipocriti e furbi inquinano ora la Chiesa, dopo che l’imperatore Teodosio (ca. 346-395) ha fatto del cristianesimo la religione di Stato, penalizzando gli altri culti.
Intanto prosegue il lavoro sulla Bibbia secondo l’incarico di Damaso I. Ma, strada facendo, lo trasforma in un’impresa mai tentata. Sente che per avvicinare l’uomo alla Parola di Dio bisogna andare alla fonte. E così, per la prima volta, traduce direttamente in latino dall’originale ebraico i testi protocanonici dell’Antico Testamento. Lavora sulla pagina e anche sul terreno, come dirà: "Mi sono studiato di percorrere questa provincia (la Giudea) in compagnia di dotti ebrei". Rivede poi il testo dei Vangeli sui manoscritti greci più antichi e altri libri del Nuovo Testamento. Gli ci vorrebbe più tempo per rifinire e perfezionare l’enorme lavoro. Ma, così come egli lo consegna ai cristiani, esso sarà accolto e usato da tutta la Chiesa: nella Bibbia di tutti, Vulgata, di cui le sue versioni e revisioni sono parte preponderante, la fede è presentata come nessuno aveva fatto prima dell’impetuoso Gerolamo.
E impetuoso rimane, continuando nelle polemiche dottrinali con l’irruenza di sempre, perfino con sant’Agostino, che invece gli risponde con grande amabilità. I suoi difetti restano, e la grandezza della sua opera pure. Gli ultimi suoi anni sono rattristati dalla morte di molti amici, e dal sacco di Roma compiuto da Alarico nel 410: un evento che angoscia la sua vecchiaia.


Autore: Domenico Agasso

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