Prima di andare a morire in croce Gesù
predisse agli Apostoli che nel mondo avrebbero avuto tribolazioni e
persecuzioni a causa del suo nome (Gv 15,20). Questa profezia si
verificò alla lettera nella vita e nell'opera di questo Beato spagnuolo,
che visse in un secolo ricco di eminenti personalità sacerdotali e
religiose, catalane come lui: S. Antonio Claret y Calarà (11870),
fondatore dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria; B.
Francesco Coll OP. (+1875), fondatore delle Suore Domenicane
dell’Annunziata; S. Maria Rosa Molas y Vallvé (+1876), fondatrice delle
Suore di Nostra Signora della Consolazione; B. Enrico de Osso y Cervello
(+1896), fondatore della Compagnia di S. Teresa di Gesù; S. Teresa
Jornet Ibars (+1897), fondatrice delle Piccole Suore degli Anziani
abbandonati e pronipote carnale del B. Francesco di Gesù, Maria e
Giuseppe; B. Giuseppe Mananet y Vives (+1901), fondatore dei Figli della
S. Famiglia e delle Missionarie Figlie della S. Famiglia di Nazareth;
B. Emmanuele Domingo y Sol (+1903), fondatore dell'Istituto Secolare dei
Sacerdoti Operai Diocesani del S. Cuore.
Il nostro Beato nacque il 29-12-1811 ad Aytona, nella diocesi di Lèrida
(Catalogna), settimo dei 9 figli che Giuseppe Palau, modesto contadino
ebbe da Antonia Quer, entrambi molto fedeli alla religione e alla
monarchia. Al fonte battesimale gli fu imposto il nome di Francesco.
Sotto la guida dei genitori egli crebbe pio, amante dello studio e dei
poveri. Fu il maestro delle scuole elementari che suggerì loro di fare
continuare gli studi al figlio per le spiccate doti intellettuali che in
lui aveva scorto. Tuttavia fu la sorella Rosa che lo mise in condizione
di frequentare come esterno, a 14 anni, il seminario, dandogli
ospitalità a Lérida nella casa di campagna in cui si era stabilita dopo
le nozze con il marito. In seguito, non volendo sfruttare la generosità
della sorella e desiderando vivere nel seminario come interno per
attendere meglio alla propria formazione, il Beato moltiplicò gli sforzi
nello studio in modo da essere in grado di concorrere per una borsa di
studio e vincerla.
In seminario Francesco rimase soltanto 4 anni, durante i quali si
distinse per il profitto, l’obbedienza e lo spirito di penitenza. A 21
anni, al termine del primo anno di teologia, rinunciò alla borsa di
studio e si fece carmelitano nonostante l'opposizione dei genitori e dei
superiori del seminario, che vedevano in lui un soggetto di grande
utilità per la diocesi. Pare che, al termine di una novena fatta in
onore di S. Elia, Francesco abbia visto il profeta nel gesto di
ricoprirlo con il mantello dei Carmelitani, come segno della volontà di
Dio nei suoi riguardi. Quando entrò nel noviziato dell'Ordine a
Barcellona con il nome di Fra Francesco di Gesù, Maria e Giuseppe, e vi
fece la solenne professione (15-11-1833), era già fermamente deciso a
osservarne gli obblighi benché i tempi che correvano fossero molto
tristi. In Spagna, difatti, alla morte del re Ferdinando VII (+1833),
era scoppiata una guerra civile tra sua figlia Isabella II (+1904),
sostenuta dai liberali e lo zio Don Carlos, pretendente al trono in
forza della legge salica, sostenuto dai conservatori e dal clero. Sedici
anni più tardi confesserà nel suo libro La Vita Solitaria: "Quando feci
la mia professione religiosa la rivoluzione teneva già nella sua mano
la torcia incendiaria per bruciare tutte le case religiose e il temibile
pugnale per assassinare gli individui che si erano rifugiati in esse.
Non ignoravo il pericolo opprimente al quale mi esponevo... ciò
nonostante mi impegnai con voti solenni in uno stato, le cui regole
credevo di poter praticare fino alla morte, indipendentemente da
qualsiasi umano avvenimento".
A Barcellona il Beato continuò a studiare teologia benché non sentisse
attrattiva per il sacerdozio. Pur di vivere la vita carmelitana sarebbe
rimasto volentieri nell'Ordine anche come semplice fratello laico. Il
25-7-1835 il suo convento fu assalito e incendiato dai rivoluzionari
liberali. Trovò rifugio con altri confratelli in una casa vicina, ma
dopo alcuni giorni fu condotto nella cittadella, spogliato dell'abito
religioso e mandato a Lérida munito di un passaporto. L'esclaustrato,
che amava di più la vita solitaria che quella attiva, stabilì la sua
residenza tra i monti di Vich. Soltanto dopo diversi mesi si ricongiunse
ad Aytona con i suoi familiari, dove, più per obbedienza al suo
Patrovinale che per intima aspirazione, si preparò al sacerdozio, che
ricevette il 2-4-1836 dal vescovo di Barbastro.
Nel paese nativo P. Francesco rimase due anni vivendo in una grotta
distante due chilometri dal paese, svolgendo sporadicamente le veci del
parroco e rifiutando qualsiasi offerta da parte dei fedeli per le sue
prestazioni. In seguito, in considerazione delle necessità delle diocesi
della Catalogna, rimaste quasi tutte senza pastori, decise di uscire
dal suo isolamento per darsi con ardore alla predicazione, vestito da
carmelitano, un po' ovunque, anche nelle caserme dei soldati in armi,
tra i quali diffuse l'abitino del Carmine e combattè la bestemmia.
Quando però Berga, quartiere generale delle truppe di Don Carlos, cadde
nelle mani dei sostenitori di Isabella II, il Beato cercò rifugio a
Perpignan (Francia) con suo fratello Giovanni e i resti dell'esercito
sconfitto.
Durante il suo esilio P. Francesco occupò il tempo nello scrivere la sua
prima opera intitolata La lotta dell'anima con Dio standosene solo in
una grotta dei dintorni, accanto a quella del fratello, immerso nella
meditazione, nella preghiera e nei digiuni continuati. Verso la fine del
1842 il Beato si trasferì nel comune di Caylus, appartenente alla
diocesi di Montauban, ospite del visconte del castello di Mondésir,
facente parte della parrocchia di St. -Pierre Livron. Non è improbabile
che abbia conosciuto il suo benefattore in Spagna in qualche campo di
carlisti. Nell'interno del bosco che attorniava il castello, il Beato
visse da eremita per cinque anni in una grotta trasformata in cappella
nella quale, con il permesso della curia di Montauban, celebrava la
Messa e confessava coloro che accorrevano a lui attratti dalla fama
della sua vita penitente. A Mondésir egli divenne l’"oracolo" del paese.
Ogni tanto lo percorreva tenendo in mano una croce e predicando a tutti
con grande vigore le verità eterne. Dalla sua grotta, però, non sarebbe
uscito mai, tanto amava stare solo con Dio. Soleva dire che gli era
stata lasciata in eredità dal profeta Elia. L'ordinario del luogo, Mons.
Giovanni Doney, il 24-9-1844 gli volle fare visita per dargli a
intendere quanto lo stimasse.
A partire dal mese di aprile 1846 il P. Francesco stabilì la sua dimora
in un terreno che comperò vicino al santuario di Notre-Dame di Livron,
che sorgeva presso la chiesa parrocchiale, con l'evidente intento di
fondare un'istituzione stabile di indole eremitico-ascetica con l'aiuto
di Teresa Christià, ex-clarissa di Perpignan, che aveva abbandonato il
monastero per motivi di salute e che, in seguito ai suggerimenti del P.
Palau, aveva deciso di vivere dedita al servizio del Santuario in
compagnia di due signorine. Maria Bois e Giovanna Gracias.
Dopo l'acquisto del terreno il Beato volle fare un viaggio in Spagna con
l'intento di riunirsi alla sua famiglia. Portò con sé l'ultima sua
opera intitolata Quidditas Ecclesiae, in quattro libri, che non riuscì a
fare stampare e che in seguito andò perduta. In Francia tornò in
compagnia del padre, del cognato e di un nipote, ma il vescovo di
Montauban non gli fu più favorevole come prima perché le sue discepole,
con il loro genere di vita, suscitarono riserve e critiche da parte
tanto delle autorità civili quanto di quelle ecclesiastiche. Il Beato,
dal comune di Claylus si trasferì allora in quello di Loze con il
fratello Giovanni e si stabilì sopra un terreno vasto e selvaggio che
aveva comprato a Cantayrac, evidentemente per conservare la propria
libertà d'azione. Mons. Doney, però, continuò ad essergli ostile per
l'austerità di vita che conduceva nelle grotte umide e buie, l'abito
carmelitano che continuava a portare e, soprattutto, per le numerose
persone che accorrevano a prendere parte alle sue Messe con discapito di
quelle parrocchiali. Nella regione tutti sapevano che dormiva sulla
paglia, che pregava e meditava buona parte della notti inginocchiato per
terra, che si nutriva quasi esclusivamente di pane acqua, erbe, patate
lesse e qualche frutto della regione e che, all'opposizione del vescovo
rispondeva soltanto con la "pazienza e la preghiera". Di tutti era
quindi considerato un eremita "straordinario".
P. Francesco un bel giorno decise di trasferirsi a
St.-Paul-de-Fenouillet, nella diocesi di Perpignan, dove comperò un
campo alberato nell'intento di consolidare il suo piano di vita
solitaria per sé e per i gruppi maschili e femminili che si andavano
costituendo. Frattanto, poiché Mons. Doney persisteva a negargli la
facoltà di celebrare la Messa nella diocesi e la situazione
politico-religiosa in Spagna era migliorata, in seguito al concordato
stipulato il 16-3-1851 tra il governo e la Santa Sede, il Beato prese la
decisione di abbandonare per sempre la Francia. Avrebbe voluto
stabilirsi nella sua diocesi di origine, Lérida, ma il vescovo Mons.
Cirillo Uriz y Labayru, il quale personalmente era contrario ai
"beateri" e ai fratelli esclaustrati, gli fece sapere che la sua
presenza in diocesi non era gradita a causa dei vari gruppi di discepole
che vi contava e che egli aveva già dissolti il 2-4-1852. Il suo
successore, Mons. Mariano Puiglatt, non si dimostrò più tenero nei
riguardi del Beato. Difatti, nel 1863 gli proibì di predicare in una
chiesa della sua diocesi, il mese di Maggio. Invece di protestare, il
perfetto carmelitano gli rispose: "Essendo V. Ecc. mio prelato... può
con autorità, libertà e senza raggiri, avvisare, correggere, castigare,
tagliare e bruciare, certo che i suoi avvisi, correzioni e castighi
saranno ricevuti sempre come pegno del suo amore e della sua
sollecitudine pastorale verso questo suo suddito sacerdote".
Respinto dalla sua diocesi, P. Francesco si trasferì a Barcellona dove
Mons. Domingo Costa y Borràs, che ben lo conosceva e apprezzava, essendo
stato vescovo di Lérida, lo chiamò a lavorare per la
ricristianizzazione della sua turbolenta diocesi. Le zone di periferia
rigurgitavano infatti, di operai provenienti da varie regioni della
Spagna, ed erano privi di una solida e continuata formazione
catechetica. Il Beato, oltre a dedicarsi alla predicazione e farsi
animatore della costruzione di nuove chiese, fondò una vera e propria
scuola di catechismo per adulti con programma, metodo d'insegnamento e
statuto propri. La chiamò Scuola delle Virtù e fu frequentata da oltre
2000 adulti. Dopo 3 anni, però, in concomitanza con gli scioperi ad
oltranza di molti operai, fu sciolta dalle autorità civili, pressate dai
nemici della Chiesa. Il fondatore, nonostante le sue energiche proteste
orali e scritte, fu confinato nell'isola Ibiza, nelle Baleari, con il
falso pretesto che fomentava idee sovversive.
P. Francesco non si perse d'animo, anzi, continuò a dirigere le sue
figlie spirituali residenti a Lérida, Aytona e Balaguer, le quali,
nonostante l'ordine di chiusura delle loro case, avevano trovato la
maniera di continuare di fatto il loro genere di vita. Dall'esilio
coatto l’8-5-1854 scrisse ad alcuni suoi amici: "Non vedrò per tutta la
vita se non persecuzioni, giacché il mio spirito disprezza il mondo e
per conservare il mio benessere non devierò mai dal mio cammino... Io
non sogno altro che sofferenze, contraddizioni e lotte, ne desidero per
questo altra via che quella della croce". Con la loro collaborazione si
preoccupò di mettere in salvo quello che apparteneva alla soppressa
Scuola delle Virtù e riuscì a farsi mandare nell'isola l'immagine della
SS. Vergine in essa venerata, in onore della quale fece costruire una
cappella tuttora meta di pellegrinaggi.
Per due anni P. Francesco visse in una grotta di Es Cubells nella
parrocchia di S. Giuseppe, che un signore gli aveva messo a disposizione
con un pezzo di terra da cui trarre gli alimenti necessari. In seguito,
avendo scoperto nell'isolotto chiamato Vedrà, una grotta ancora più
solitaria e inaccessibile, vi si trasferì perché la solitudine
costituiva "il suo cielo". Per potersi dedicare a pieno titolo
all'attività pastorale in tutte le isole Baleari, egli sollecitò e
ottenne, dalla S. Congregazione di Propaganda Fide, il titolo e la
facoltà di missionario apostolico benché fosse ritenuto inabile a
disimpegnare incarichi stabili di ministero perché, a furia di vivere in
grotte buie e umide, era diventato sordo e aveva contratto una malattia
cronica. Ciò nonostante, quando lasciava la solitudine per predicare
nei paesi di Ibiza, Maiorca e Minorca, le chiese erano insufficienti a
contenere la gente che accorreva a udirlo o a prendere parte alle Messe,
che celebrava con straordinaria devozione. Con la sua voce possente, la
sua statura bassa e tarchiata, agli occhi dei fedeli assumeva l'aspetto
di un profeta. Infatti di solito non riusciva a terminare le sue
prediche senza che la sua voce non fosse affogata dal loro pianto.
Dopo tre anni di confino il Beato inviò successivamente due suppliche
alla regina Isabella II per ottenere che fosse revocata l'ingiusta
sentenza di cui era stato vittima. Ottenne fortunatamente la libertà
soltanto quando, il 1-5-1860, essa fu concessa ai confinati politici.
Nel frattempo a Madrid era stata trattata giudizialmente la sua vicenda
ed era stata trovata immune da qualsiasi colpevolezza. A chiarire la sua
posizione aveva giovato anche la pubblicazione nella capitale del suo
scritto intitolato La Scuola della Virtù Vendicata (1859).
Il P. Francesco invece di ritornare a vivere nelle grotte, si sentì
spinto a mettersi al completo servizio della Chiesa, che divenne da quel
momento la sua "amata", mediante la predicazione per tutta la
Catalogna, gli esorcismi, gli scritti e la fondazione di Associazioni
maschili e femminili del Terz'Ordine Carmelitano. Per le sue opere
impegnava gli aiuti che riceveva dai benefattori nonché la piccola
pensione che il governo concedeva a tutti gli esclaustrati. Grande fu la
ripugnanza che provò nel seguire il nuovo genere di vita che Dio
esigeva da lui. Lo confidò egli stesso il 27-10-1860 a Giovanna Gracias,
sua discepola, nella lettera che le scrisse da Madrid dove stava
predicando nella chiesa di S. Isidoro: "Riesce orribile al mio spirito e
al mio corpo viaggiare senza punto fisso, abbandonato alle attenzioni
degli amici... Tuttavia... quando Dio mi chiama, non c'è niente di
quello che mi si pone davanti che non assalti e calpesti per quanto
terribile e sgradevole esso sia". Alla stessa persona scrisse
nell'agosto del 1861: "La mia unione, le mie nozze spirituali con la
Chiesa costituiscono l'oggetto unico e principale che occupa i miei
esercizi. Di questo ho piena la testa e il cuore e non so pensare altra
cosa e assorbe talmente le mie potenze e i miei sensi, che in cinque
giorni sono riuscito a stento a consumare un pane. Ciò nonostante sto
bene e non sento il bisogno di mangiare".
E’ in questo contesto di profonda unione mistica con il mistero della
Chiesa che il Beato si sentì chiamato a lottare contro i demoni e a
fondare gruppi di Terziari e Terziarie Carmelitani, per l'insegnamento
religioso all'infanzia e la cura degli infermi a domicilio, viventi
insieme di propria volontà in forma privata, senza fisionomia
giuridico-canonica e tanto meno civile. Essi non potevano prefiggersi
altri fini perché la Chiesa e lo Stato il 25-8-1859 avevano convenuto
che in Spagna gli istituti di stampo contemplativo non avessero diritto
di cittadinanza. Il P. Francesco l'8-l-1867 fu nominato direttore dei
Terziari e delle Terziarie Carmelitani, dal Procuratore Generale e
Commissario dei Carmelitani Scalzi, il P. Pasquale di Gesù e Maria. Tale
nomina lo mise in grado di conferire una strutturazione formale e
giuridica a tutte le comunità esistenti in Spagna. Le costituzioni che
redasse per loro furono stampate a Barcellona un mese prima della sua
morte.
Dal 1860 al 1872 il Beato fondò 6 comunità di Fratelli, i quali
praticamente cessarono di esistere con la guerra civile del 1936, e 6
comunità di Sorelle le quali, dopo la sua morte, diedero origine a due
congregazioni riconosciute dalla S. Sede: le Carmelitane Missionarie
Teresiane di Tarragona e le Carmelitane Missionarie di Barcellona. Verso
la fine del 1864 fino alla morte, il P. Francesco si convinse di essere
chiamato da una forza interna irresistibile, sconvolgente, a guarire
gli ossessi. Per questa sua vera o presunta missione egli operò e
redasse il settimanale El Ermitano per ottenere che fosse rimesso in
auge nella Chiesa l'esorcistato, ma fu osteggiato, punito e perfino
carcerato. Teatro degli esorcismi da lui praticati, fu la casa di Santa
Cruz di Vallcarca, presso Barcellona e, più precisamente, la cappella
che vi aveva fatto costruire per la Messa festiva, appartenente alla
comunità dei Fratelli, nota poi con il nome di Els Penitens. Quando il
Beato iniziò pubblicamente la sua attività di esorcista, il centro di
Vallcarca divenne inevitabilmente una specie di ricovero privato per i
numerosi malati che, di loro iniziativa, accorrevano a lui per essere
curati ed eventualmente anche esorcizzati. Il 13-4-1866 Mons. Pantaleone
Montserrat, vescovo di Barcellona, gli proibì di continuare gli
esorcismi ed egli ubbidì. Da quel giorno si limitò soltanto a pregare
per coloro che continuavano ad accorrere a lui e a consolarli, ma, nello
stesso tempo, sentì più forte che mai, in sé, la spinta a fare
intervenire nella questione l'autorità suprema della Chiesa.
In Spagna, nel settembre del 1868 si verificarono luttuosi eventi che
culminarono nella detronizzazione e nella cacciata della regina Isabella
II. In quella circostanza il P. Francesco si radicò ancora di più nella
persuasione che era necessario rimettere in auge il ministero
permanente dell'esorcismo, per contrastare l'azione del demonio nella
società. Si servì per diffondere la sua idea ancora di El Ermitano come
pure per elevare, a più riprese, la sua energica protesta contro la
giunta provinciale di Barcellona, perché aveva ordinato la chiusura
della residenza di Santa Cruz di Vallcarca. Nel frattempo raccolse in
quaderni i casi di ossessi che riteneva di avere liberati dal demonio e
li fece pervenire a Pio IX. Nella segreteria papale furono letti, ma si
pensò che il P. Palau fosse "o un illuso o un malizioso". Nel 1870 si
recò personalmente a Roma per presentare ai Padri Conciliari di lingua
spagnuola il suo proclama riguardo all’esorcistato, ma non ebbe seguito.
Lo stesso S. Antonio M. Claret riteneva che di ossessi nel mondo ce ne
fosse uno sparuto numero.
Appena il Beato ottenne dalle autorità la licenza di riaprire il
complesso di Santa Cruz di Vallcarca, escogitò il sistema di adattare
una parte dell'edificio, diretto da suo fratello Giovanni e dal suo
discepolo Gabriele Brunet, a ospedale, ma il 28-10-1870 l'autorità
civile, sostenuta dal vicario capitolare di Barcellona, fece arrestare
il P. Francesco che fungeva da cappellano e viveva in una grotta
sotterranea, i dirigenti e 39 ricoverati. Lo stabilimento era di natura
strettamente privata, non in contravvenzione con le leggi dello stato.
L'autorità ecclesiastica aveva soltanto autorizzato la celebrazione
della Messa nell'attigua cappella, e il P. Francesco non faceva altro
che pregare in essa per gli ospitalizzati che si ritenevano posseduti
dal demonio, leggere loro brani del Vangelo e aspergerli con l'acqua
benedetta. Dopo la liberazione dal carcere egli intentò causa contro i
suoi persecutori. Di fronte alle storture, il sangue gli saliva alla
testa. Il processo si concluse il 9-10-1871 con sentenza pienamente
assolutoria da parte del Tribunale di Prima Istanza, confermata in
seguito anche dal Tribunale di Appello quando l'interessato stava ormai
per morire.
P. Francesco Palau aveva sortito da natura un fisico molto robusto, ma
le lunghe dimore nelle grotte, i digiuni pressoché costanti, le
prolungate vigilie, le continue incomprensioni delle autorità civili e
religiose glielo avevano a poco a poco fiaccato. L'ultimo e più grave
colpo alla sua salute egli lo ricevette nel febbraio del 1872 quando,
nell'ospedale di Calasanz, assistette con alcune sue discepole gli
appestati. Recatesi successivamente a visitare la casa delle Sorelle di
Tarragona contrasse la polmonite, che lo portò alla tomba il 20 marzo
dello stesso anno. Fino all'ultimo respiro egli aveva dato segno di
grande pietà. Il direttore di El Ermitano scrisse di lui: "Con l'ardire
dell'apostolo, la chiaroveggenza del profeta e la fortezza del martire,
né il carcere, né l'esilio, né le privazioni... furono sufficienti ad
abbatterlo e a farlo retrocedere un solo istante dalla via che aveva
imboccato fino dal momento in cui si era consacrato al servizio di Dio".
Giovanni Paolo II ne riconobbe l'eroicità delle virtù il 10-11-1986 e
lo beatificò il 24-4-1988.
La Chiesa lo ricorda il 20 Marzo, mentre i Carmelitani Scalzi ne fanno memoria il 7 Novembre.
Autore: Guido Pettinati
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