sabato 15 febbraio 2014

PADRE PIO :

GLORIA AL PADRE AL FIGLIO E ALLO SPIRITO SANTO COME ERA NELL' PRINCIPIO ORA E SEMPRE NEI SECOLI DEI SECOLI !.........AMEN

venerdì 14 febbraio 2014

hanno detto: curato d'Ars

Il Curato d' Ars, quand'era seminarista, si imbatté in un esaminatore severissimo. L'esame fu un vero disastro. Alla fine il professore gli disse: "Caro Vianney, lei è un perfetto ignorante. Che cosa vuole che ne facciamo di un asino?" Al che il santo rispose: "Se Sansone è riuscito ad abbattere 3000 Filistei con una sola mascella 
d'asino, che cosa non potrà fare il Signore con un asino completo?”.



(Mc 8,1-10) Mangiarono a sazietà

VANGELO
 (Mc 8,1-10) Mangiarono a sazietà


+ Dal Vangelo secondo Marco


In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano».
Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette».
Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli.
Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò.
Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.


Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O buon Gesù, che ci inviti ad essere tuoi discepoli, spezza con me il pane della tua parola, perché in vera comunione con te io sia in comunione con tutti i miei fratelli e possa aiutarti a distribuirla. Santo Spirito possiedimi. Amen-
Ancora una volta Gesù, moltiplica il pane per la folla che lo segue; questa volta lo fa tra i pagani, proprio per significare che lui è il messia di tutti i popoli della terra, nessuno escluso. Siamo noi che cerchiamo altri dei, che cerchiamo di non seguire la parola di Dio, noi che ci costruiamo altri altari a cui dare adorazione, ma non solo.Siamo troppo spesso vittime di una vita frenetica, in cui il lavoro, il benessere, la politica, il divertimento prendono il sopravvento.Tutto per soddisfare il bisogno di cose materiali e corporali, ma mentre facciamo tutto questo, non ci rendiamo conto che la nostra anima inaridisce....siamo nel deserto, mentre crediamo di vivere a pieno la nostra vita, ci incamminiamo verso il deserto dell'anima e, verrà il giorno, che ci renderemo conto di avere fame e sete, il giorno in cui tutto quello che abbiamo, non ci basterà più, perché non ci ha saziati e, ci manca qualcosa.Quel giorno,Gesù avrà compassione di noi, quel giorno cercherà di parlare ancora al nostro cuore, come fa da sempre, ma chissà se ci degneremo di ascoltarlo. 
Egli non ci chiede di fare miracoli, ma di avere fiducia in lui, di metterci al cospetto della sua parola e di lasciare che lui faccia il resto, ma vuole la nostra collaborazione, ci spinge a cercare un modo per risolvere il problema quando si presenta, con quello che abbiamo, anche con la nostra piccolezza.
Siamo poco,forse si, ma anche una briciola nelle mani del Signore, può sfamare una moltitudine di gente e, allora, eccomi qui, con le mie briciole d'amore che cerco di distribuire, perché tutti possano conoscere Gesù come io lo conosco e anche per grazia sua, andare oltre.
Spesso mi chiedo se chi mi legge capisce, non quello che dico, perché per questo mi affido allo Spirito di Dio, ma perché lo faccio. Non è presunzione, ne voglia di apparire, credetemi, io sono qui, sempre piena di paura di sbagliare, di ferire qualcuno, di colpire nel centro di una ferita aperta, né mi sento eletta a farlo, ma penso che tutti dovremmo essere così umili da accettare di essere briciole nelle mani di Gesù e di lasciarci distribuire, perché Lui, che nella sua immensa Misericordia, ha avuto compassione di noi, possa essere riconosciuto anche attraverso noi, che siamo un suo miracolo.

Per questo motivo oggi chiudo con una preghiera:
Apri Signore gli occhi e le orecchie di tutti noi alla tua parola e sciogli la nostra lingua per benedirti e ringraziarti; mostraci con tutta la forza del tuo amore, come solo tu hai parole di vita eterna,che saziano l'anima e rendono meravigliosa la nostra vita. Amen.

giovedì 13 febbraio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Le preghiere dei santi nel cielo e delle anime giuste in terra sono profumo che non andrà mai perduto." (GF, 175).

(Lc 10,1-9) La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.

VANGELO
 (Lc 10,1-9) La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore Gesù, che hai aiutato l’ apostolo Luca a scrivere con tanto amore di Te attraverso lo Spirito Santo, aiuta anche me ti prego, fammi conoscere ogni minima cosa tu ritenga io debba conoscere, secondo la tua volontà. Grazie amen.

Su questa pagina ho già scritto molto, ma ancora una volta voglio tornare a vedere con voi quanto è difficile per Gesù trovare "operai " e lega la parola operai alla "messe" che è il raccolto del seme piantato.Il seme di cui Gesù parla non è stato piantato dagli operai, che ancora debbono intervenire nell'opera, è quindi un seme che deve essere prima cresciuto in loro, riconosciuto, accolto e raccolto.
chi sono dunque questi operai?  
Sono tutti quelli che hanno ricevuto e accolto nella loro vita l'amore di Dio rivelato in Gesù e vogliono partecipare alla testimonianza di come l'amore gratuito che gli è stato donato,può essere riversato verso tutta l'umanità,in cui si riconosce fratello con Cristo e figlio del Padre.
Gli operai del vangelo sono tutti i cristiani che avendo accolto l'amore di Dio Padre, accogliendo il Figlio Gesù, vivono illuminati, fortificati e sostenuti dallo Spirito Santo, Spirito di Verità e Carità. 
Ancora oggi gli operai della vigna sono chiamati a testimoniare attraverso vari canali la loro fede e a far conoscere Gesù e la parola di Dio,ognuno secondo il suo stato sociale di vita,io come catechista,alcuni come sacerdoti,altri come genitori,o semplicemente perchè battezzati , vivendo in modo totale il proprio battesimo. 
Oggi c'è un pò di confusione su quello che significa essere cristiani, spesso la serietà di questo fatto diventa integralismo e porta non alla predicazione,ma all'esclusione rigettando e delegittimando tutte le posizioni diverse dalla propria.Invece quello che si deve fare è vivere con integralità il nostro cristianesimo,  ossia essere cristiani in ogni ambito della vita, nelle relazioni famigliari, sociali, politiche, economiche, e così via. Totalità, significa essere cristiano con tutto me stesso, essere cristiano nei sentimenti, nel corpo, nella mente, nello spirito, nella volontà, nella libertà.L'esempio e l'amore quindi devono lasciare che il nostro vivere parli agli altri di Dio.Spesso ci troviamo in lotta con altre religioni, proprio perchè integraliste, vedi l'islamismo,ma questo non deve portarci ad avere gli stessi comportamenti,quello che invece dobbiamo fare è cercare di essere veramente seguaci di Cristo, percorrere la sua stessa via, facendo morire in noi l'uomo e la donna vecchi, e portando alla luce sempre il figlio di Dio,fratello dell'intera umanità.Non solo in chiesa, non solo nelle ore di lezione, non solo in preghiera, non solo in alcuni ambiti, ma in tutto l'arco della nostra giornata. 

SANTI é BEATI :

Beato Vincenzo Salanitro Sacerdote mercedario

14 febbraio

Ciminna, Palermo, 1591 - 26 ottobre 1626

Il Beato Vincenzo Salanitro, appartenente dell'Ordine dei Padri Mercedari, è nato e battezzato nel 1591 nella chiesa Madre di Ciminna diede tutto se stesso durante la suddetta peste che si abbattè nel '600 nella città di Palermo e proprio per questa assidua e benigna assistenza e soccorso verso i malati di peste con la conseguenza di cui anche loro sono stati anche contagiati e quindi morti; per questo gesto esso insieme ai suoi confratelli hanno avuto il glorioso attributo di martiri della carità. I resti mortali di questo nostro grande Beato li possiamo vedere all'interno della Chiesa della Mercede al Capo sotto una lapide con scritto "Hic Salanitro iacet die 26 octobris 1626". L'unica effige del Beato è collocata dentro la Chiesa Madre di Ciminna nella colonna di sinistra prima dell'altare del Santissimo Sacramento.

mercoledì 12 febbraio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" La preghiera dev’essere insistente, in quanto la insistenza denota la fede." (AdFP, 553).

SANTI é BEATI :

Beata Cristina da Spoleto
c. 1432 - 1458
Incerte sono le sue notizie relative alla famiglia (Visconti, Semenzi o Carrozzi) alle vicende della sua vita negli anni precedenti al 1450, momento in cui, per motivi sempre oscuri, abbandonò i luoghi d’origine (Milano o Brescia) per vestire l’abito delle Agostiniane scalze e dedicarsi ad opere di misericordia verso bisognosi e malati.Morì, forse ventenne, nel 1458 e il suo corpo, sepolto nella chiesa agostiniana di S. Niccolò a Spoleto, divenne subito oggetto di venerazione per le numerose grazie e i miracoli attribuiti alla sua intercessione.
Martirologio Romano: A Spoleto in Umbria, beata Cristina (Agostina) Camozzi, che, dopo la morte del marito, indulse per qualche tempo alla concupiscenza della carne, per abbracciare poi nell’Ordine secolare di Sant’Agostino una vita di penitenza, dedita alla preghiera e al servizio dei malati e dei poveri.

L'inizio della vita di questa singolare figura di donna può benissimo collocarsi quando intorno al 1450 decise di cambiare vita e, abbandonando la famiglia e i luoghi nei quali aveva vissuto, vestì l’abito delle Agostiniane secolari.
Da quel momento la sua esistenza fu un pellegrinaggio permanente alla ricerca di un luogo ove vivere nell'oblio. Dimorò presso alcuni monasteri agostiniani non rimanendo mai a lungo in nessuno di essi. La vita di preghiera, le mortificazioni, ma soprattutto le opere di misericordia verso i bisognosi, la costringevano ad allontanarsi ogni qual volta si accorgeva che era oggetto di attenzione.
Desiderosa di poter visitare i luoghi santi di Assisi e di Roma, per potersi poi spingere fino alla Terra Santa, in compagnia di un'altra terziaria, giunse a Spoleto dove soggiornò per un breve periodo, dedicandosi alla cura dei malati nell'ospedale cittadino. Dopo aver vissuto intensamente la sua nuova vita per alcuni anni, forse ancora ventenne, morì nel 1458.
Su queste notizie c'è accordo tra gli agiografi. Non così per il tempo precedente alla sua eroica decisione di fuggire dal mondo restando nel mondo, motivo per cui è conosciuta sotto varie denominazioni. Alcuni la ritengono appartenente alla famiglia dei Visconti di Milano o a quella dei Semenzi di Calvisano in Brescia. Per loro la fuga sarebbe stata motivata dal desiderio di liberarsi di quanti la volevano maritare contro i propri desideri e ideali. Altri la presentano col nome di Agostina, nata nei pressi del lago di Lugano verso il 1432-35, figlia del medico Giovanni Carrozzi e sposata ancora fanciulla con un artigiano del luogo. Rimasta presto vedova, avrebbe avuto una relazione con un cavaliere milanese dalla quale nacque un figlio morto bambino. Risposatasi perse il marito ucciso da un soldato invaghitosi di lei.
Il suo corpo venne sepolto a spese del comune di Spoleto nella chiesa agostiniana di S. Niccolò. Numerose grazie e miracoli attribuiti alla sua intercessione contribuirono ad accrescere e diffondere il culto sorto immediatamente dopo la sua morte, che Gregorio XVI ratificò nel 1834, proclamandola beata.
La sua memoria liturgica ricorre il 13 febbraio.

Autore:
P. Bruno Silvestrini O.S.A.

(Mc 7,24-30) I cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli.

VANGELO
 (Mc 7,24-30) I cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli. 
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Ti prego o Santo Spirito,
di entrare nel mio cuore, ed aiutarmi a capire e vivere la tua parola, perchè la tua luce possa riflettere attraverso di essa nella mia vita. 

Questo brano ci fa vedere un Gesù che non è disponibile a donarsi a chi no sa cosa vuole. Il motivo per cui io inserisco anche le letture oltre al vangelo, è per poter leggere nella sua completezza la parola di Dio, così come ce la propone la Chiesa. Nella prima lettura vediamo come Salomone, in vecchiaia, si fa coinvolgere nell'adorazione ad altri dei, perchè il cervello è ormai offuscato dalle troppe mogli, e perchè ha abbandonato la vera devozione a Dio. Grazie però alle opere e alla fede di Davide suo padre ,Dio non gli toglierà il regno finchè è in vita, ma per colpa sua lo toglierà dalle mani del figlio. Già questo ci dovrebbe far riflettere su quello che comporta la negazione di Dio, l'adorazione di falsi dei, o peggio ancora di maghi e spiriti maligni ,una maledizione che a causa del nostro esempio, trascineremmo anche nelle generazioni future e che invece a volte, affrontiamo con troppa disinvoltura e leggerezza.
La donna del Vangelo, non sta cercando Gesù perchè crede che sia il Messia, ma solo perchè è disperata, per la malattia della figlia, si rivolge a Lui come si rivolgerebbe a un altro qualsiasi dio, o a un mago. Ma Gesù non è come gli altri, non cerca affermazioni per se e per il suo potere, che viene dal Padre, ma si commuove per questa donna che soffre nel vedere la figlia posseduta ,la tratta con amore ed  è proprio qui che la differenza la sconvolge e le apre gli occhi.
Chiunque si sarebbe fatto grande ai suoi occhi, approfittando della sua disperazione.... ma Gesù non è come gli altri, vuole che la donna capisca la differenza tra lui e gli altri. Gli dice che lui non è il suo dio, ma è il Dio degli ebrei, e che è per loro che è venuto; ma noi che stiamo imparando a conoscere Gesù,sappiamo che non è così che lui ragiona, anzi, è sempre in rotta con loro perchè compie guarigioni e si intrattiene con i pagani.  Allora la sua è una provocazione, vuole colpire la donna costringendola a rendersi conto, del fatto chela fede va riposta solo nel vero Dio,perchè gli altri dei non appagano. La fede nel Dio vero è quello che compie miracoli, e solo quando vede che la donna è disposta alla fede, che per fede vera gli chiede di aiutarla, solo allora, le dice di andare e vedere il miracolo che è stato compiuto grazie alla sua fede.

martedì 11 febbraio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Salvare le anime, pregando sempre." (LCS, 1 ott. 1971, 30).

SANTI é BEATI :


San Damiano di Roma Martire

Fara Novarese, centro situato lungo la strada che collega la Valsesia a Novara ai piedi della collina morenica che giunge fino a Briona, venera, con grande devozione, come suo santo patrono San Damiano. Le sue reliquie furono donate alla comunità dal sacerdote don Francesco Maria Solari, originario di Borgomanero e nipote del parroco di Fara don Marc’Antonio Solari, egli per qualche anno svolse il suo ministero pastorale come cappellano a servizio di don Francesco Marescotti. Successivamente, non si conosce con precisione per quale motivo, il sacerdote si trasferì a Roma dove, in due occasioni differenti, ricevette il dono di diverse reliquie di corpi santi, che furono poi da lui stesso destinati alla sua diocesi. Il 10 novembre 1647, su mandato del vescovo Alessandro Vittrizio, collaboratore del cardinal vicario dell’Urbe Ginetti, furono consegnate al Solari alcune reliquie e l’intero corpo santo di Damiano, provenienti, come anche quelle ricevute il 19 gennaio 1650 per mano del religioso cappuccino Fra Angelo da Borgomanero, dalla catacomba di Calepodio.Tutti i resti ossei furono fatti pervenire, il 14 febbraio 1650, alla curia diocesana di Novara per l’ufficiale riconoscimento canonico, che venne compiuto da Monsignor Gabriele Tornielli vicario generale del vescovo Antonio Tornielli, in vista della loro traslazione alla chiesa di Fara, cui per volontà di don Solari erano stati donati. La comunità provvide alla realizzazione di cinque cassette lignee adatte a contenere le reliquie che furono sistemate il 18 giugno del 1651, per opera di don Alessandro Pernati prefetto del capitolo della cattedrale; alla cerimonia era presente, oltre al donatore delle reliquie, anche una delegazione di Fara, composta dal parroco don Marescotti e da due rappresentanti laici della comunità: Antonio Porzio e Giovanni Antonio Arienta. Essi trasportarono poi i reliquiari in paese, dove furono collocati in una nicchia ricavata nel muro dell’altare laterale sinistro a fianco dell’altare maggiore, che mutò l’originaria dedicazione alle Sante Anna ed Agata, in quella dei Santi Martiri. Dopo quasi un secolo, durante il quale i fedeli locali iniziarono a nutrire una particolare devozione per le reliquie di Damiano, considerato compatrono accanto ai Santi Pietro, Fabiano e Sebastiano, si decise di comporre i resti in un'unica urna nella forma di un corpo umano, essendo tramontata l’usanza di separare il capo dal resto delle ossa come avveniva nel seicento, quando il cranio era considerato la reliquia più insigne rispetto a tutte le altre parti del corpo. Grazie all’intraprendenza del parroco don Ercole Poroli, nel 1743 si procedette alla ricognizione delle ossa che, ancora in buono stato di conservazione, furono ricomposte anatomicamente, rivestite con un abito dalla tipica foggia di soldato romano e sistemate nella nuova urna appositamente realizzata, come testimonia il verbale redatto il 2 luglio 1744 a conclusione delle operazioni, dal notaio Carlo Francesco Tettoni. Anche l’altare fu rinnovato a partire dall’anno successivo 1745 e fu inaugurato due anni dopo, con solenni festeggiamenti. Ben presto però si fece strada l’idea di costruire, secondo il gusto dell’epoca, un’apposita cappella dove collocare il corpo santo, da realizzare come scurolo sopraelevato su di un lato dell’edificio. I lavori, iniziati nel 1787, si conclusero nel 1801 e furono diretti da Giorgio Oldani di Viggiù, coadiuvato, per l’esecuzione della decorazione parietale e la realizzazione delle statue simboleggianti le virtù cristiane, dal novarese Gaudenzio Prinetti; l’anno successivo 1802 l’urna fu collocata nella cappella dove ancora oggi si può vedere. All’interno dell’urna, invece del ricorrente “vaso di sangue”, è collocata una lucerna di terracotta in ottimo stato di conservazione e proveniente, con molta probabilità, dal loculo catacombale in cui giacevano le spoglie di Damiano. La reliquia di Damiano venerata a Fara fu considerata appartenente all’omonimo santo di cui il Martirologio Romano, su indicazioni già presenti in alcune versioni di quello Geronimiano, fa memoria al 12 febbraio, ponendone il martirio generalmente in Africa o, in alcune versioni, più precisamente in Alessandria e presentandolo come un soldato martirizzato per la sua adesione alla fede cristiana.A prescindere dalla scarsità delle notizie che riguardano questo martire africano, non è testimoniato alcun suo legame con la catacomba romana di Calepodio, da cui proviene con sicurezza il santo in questione. Non offre validi dati storici nemmeno la storia della vita del santo presente nel Libro della Cavatta dal 1739 – 1760, scritta nel 1744 dal sacerdote Pietro Francesco de Comitibus, che si richiama alle tradizionali notizie raccolte negli Acta Sanctorum. Secondo il racconto, Damiano sarebbe stato un soldato romano di stanza in Africa al tempo del sovrano vandalo Trasemondo, per suo ordine martirizzato il 12 febbraio del 504, in un luogo non lontano da Cartagine. Il suo corpo, sepolto da altri cristiani, sarebbe poi stato traslato da “un comandante di corte” in Italia “dopo un lungo viaggio per terra e per mare” e deposto nella catacomba romana, dove venne poi recuperato e destinato alla chiesa di Fara. Non è possibile indicare su quali basi si giustifica un’eventuale traslazione delle sue reliquie a Roma, né dire con più precisione quando e per opera di chi questa sarebbe avvenuta; potrebbe trattarsi forse di uno dei tanti trasferimenti di reliquie, dal Nord Africa alla penisola italiana, compiuti proprio nell’età vandala, ma non se ne trova traccia nei testi antichi. Ugualmente, nella catacomba romana di Calepodio, non è stata ritrovata fino ad oggi qualche testimonianza che ricordi la presenza di una sepoltura venerata riferibile ad un martire di nome Damiano. E’ dunque necessario distinguere tra l’esistenza storica del santo martire africano e quella di un altro santo di nome, proprio o imposto, Damiano, appartenuto alla comunità cristiana di Roma del quali non si possiede alcuna notizia, se si eccettua la sua sepoltura nella catacomba di Calepodio. La comunità farese ha comunque avuto particolare venerazione nei confronti di Damiano, che tutt’ora festeggia due volte l’anno: il 12 febbraio, per l’identificazione di cui si è parlato e la prima domenica di luglio, in ricordo dell’arrivo della reliquia in paese. A scadenza periodica si tennero poi particolari festeggiamenti, che prevedevano anche la processione dell’urna per le strade del borgo: nel 1787, nel 1802, nel 1903 da cui si contarono i venticinque anni tradizionali che portarono a quelle del 1928, del 1953 e del 1978, l’ultima è avvenuta nell’agosto 2003. Anche nell’onomastica personale è evidente la devozione al santo, il cui nome fu imposto, ed in parte lo è ancora, a numerosi individui maschi del luogo. L’iconografia, per altro molto scarsa, ritrae il presunto martire in abiti da milite romano, come si può vedere nell’affresco sulla volta dello scurolo lui dedicato, su quella della navata centrale della chiesa o in altre produzioni della devozione popolare, come immagini o statue.
E' venerato a Fara Novarese il 12 febbraio e la prima domenica di luglio.

Autore:
Damiano Pomi

SANTI é BEATI :


Beato Paolo da Barletta Religioso Agostiniano
Barletta, inizio XVI sec. - S. Tommaso (India), 13 maggio 1580
Nel 1580 moriva il frate Paolo da Barletta. Entrato fin da giovane nell'ordine di Sant'Agostino, man mano crebbe sempre più in lui il desiderio di vivere in una maggiore perfezione, tanto da allontanarsi dalla patria per «andare dove nessuno lo conoscesse di persona, se non Dio solo». Infatti, saputo del voto dell'Osservanza, che in quel tempo si conduceva nella Provincia portoghese dell'Ordine, ottenne licenza di trasferirvisi. Dal carattere gioviale ma particolarmente dedito a preghiera e penitenza, visse intensamente il rapporto con il Mistero della passione e della morte di Gesù. Inviato come missionario nell'isola di San Thomé, nelle Indie Orientali, lavorò instancabilmente alla diffusione del Vangelo. Fra Paolo accettò con rassegnazione la sua ultima malattia, vista come ulteriore purificazione. Dopo la sua morte la sua fama di santità crebbe soprattutto tra i cristiani di San Thomé, ma lasciò un segno indelebile anche nella memoria di Barletta, sua città natale, che lo ricorda oggi. (Avvenire)

Il 13 maggio 1580 moriva in grande concetto di santità il frate agostiniano Paolo da Barletta, dopo aver condotto “una vita evangelica, rivelando il messaggio di Dio”, così come scrive il Lanteri.
Ci è sconosciuto l’anno di nascita, così come anche la sua casata di appartenenza. Le notizie che abbiamo sul suo conto possiamo le desumiamo dalle cronache dell’Ordine Agostiniano, di cui fu membro.
Entrato fin da giovane nell’ordine di Sant’Agostino, man mano crebbe sempre più in lui il desiderio di vivere in una maggiore perfezione, tanto da allontanarsi dalla patria per “andare dove nessuno lo conoscesse di persona, se non Dio solo”. Infatti, saputo del voto dell’Osservanza, che in quel tempo si conduceva presso la Provincia Portoghese dell’Ordine, ottenne licenza da parte del Generale, fra Tadeo Perozino, di trasferirsi presso la suddetta Provincia.
Tutte le fonti a noi note ci parlano di lui come di un uomo di Dio, particolarmente dedito all’orazione e alla contemplazione, oltre che a una vita austera di penitenza. Nelle lunghe ore di preghiera che trascorreva personalmente durante la giornata fu singolarmente attratto verso il Mistero della Passione e Morte di nostro Signore Gesù Cristo. Un testimone dell’epoca racconta: “El modo, con que estaba en el coro, era de mucha edificacion”. Nel contempo, essendo di carattere gioviale, fra Paolo in ricreazione infondeva tanta allegria in mezzo ai confratelli che lo avevano in grande considerazione.
Inviato come missionario nell’isola di San Thomé, nelle Indie Orientali, si sottopose a enormi fatiche per la diffusione della Buona Novella di Cristo in mezzo agli indigeni di quelle terre lontane. Ma, nonostante la stima creatasi attorno alla sua persona, a causa di fraintendimenti, non mancarono da parte del Priore del convento persecuzioni che seppe accettare con pazienza e letizia evangelica. Provata la sua innocenza, per riabilitare il suo nome, lo stesso Priore scrisse edificanti lettere, indirizzate in varie parti della Provincia, nelle quali rese note le grandi virtù di quest’uomo di Dio, di quanto ingiustamente aveva sofferto e dell’ammirabile pazienza con la quale, senza scusarsi, lo aveva tollerato.
Fra Paolo accettò con rassegnazione la sua ultima malattia, vista come ulteriore purificazione che lo rese puro e accetto a Dio. Sapendo che si avvicinava l’ora della morte, si preparò con serenità e gioia all’incontro definitivo col Signore. Ne diede notizia al suo superiore e ai confratelli, chiedendo loro di essere aiutato a festeggiare in vista di quel momento così importante della sua vita. Fra Antonio della Purificazione, comunicando agli altri confratelli la dipartita del santo frate barlettano, ne esaltò le virtù: “che tanta ammirazione aveva destato, perché spessissimo era rapito da uno stato di estasi e aveva delle premonizioni sul futuro”.
Il nostro concittadino agostiniano rimase nella memoria dei suoi confratelli come esempio di preghiera e di instancabile operaio del Vangelo, umile e obbediente. Fanno menzione di lui alcune relazioni della Chiesa locale di San Thomé scritte da don fr. Alexo de Meneses, da fr. Antonio della Purificazione, dal Maestro Herrera, da fr. Pedro Calvo, dell’Ordine dei Domenicani e dal Maestro fr. Duarte Pacheco, che ne diffuse la sua vita.
La sua fama di santità andò sempre più crescendo tra i cristiani del luogo, tanto da meritargli a furore di popolo il titolo di Beato. Perciò, quantunque la medesima fama avesse raggiunto anche la sua città natale, si ritenne opportuno non rivendicarne le spoglie, vero e proprio oggetto di culto da parte degli indigeni di San Thomé.
Barletta, fiera di questo suo figlio, ha voluto perpetuare ai posteri la sua memoria dedicandogli una traversa della centrale via Regina Margherita, nei pressi della chiesa di Sant’Agostino, anticamente officiata dai suoi confratelli agostiniani, e ricordandolo liturgicamente il 12 febbraio.

Autore:
Sac. Sabino Lattanzio

Ciò che esce dall’ uomo è quello che rende impuro l’uomo.

VANGELO (Mc 7,14-23)
Ciò che esce dall’ uomo è quello che rende impuro l’uomo.
+ Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».


Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE

PREGHIERA

Ti prego Spirito Santo, confortami; aiutami e dammi la possibilità di comprendere la vera parola che tu vuoi che entri nel mio cuore, perché solo quello che tu vuoi, esca dalla mia bocca.




Gesù dopo aver parlato del modo giusto di concepire le letture, spiega ai discepoli che non sono le cose esterne che possono inquinare il corpo dell'uomo, perché così come entrano queste escono, ma che è quello che è insito dentro al cuore dell'uomo,che può danneggiarlo veramente.
E' inutile pensare che ci sono dei cibi impuri, delle persone impure e non vedere che sono i sentimenti di divisione, di odio ed altri cattivi pensieri che sono nel nostro cuore che ci allontanano dalla serenità dell’animo.
C'è un altro passo del Vangelo che dice di guardare il trave nel nostro occhio e non la pagliuzza nell'occhio del nostro fratello, tutto questo per far capire che la fede, non è apparenza, non può essere una cosa che sembra quella più giusta, ma deve essere quella giusta. Non possiamo farci una religione su misura, come i farisei, fatta di simbolismi e di ipocrisie, né possiamo pensare di essere credibili se predichiamo bene e razzoliamo male.Con questo non voglio dire che non possiamo sbagliare, siamo essere umani, sicuramente facciamo molti errori, ma io non credo che si possa capire il discorso evangelico se non lo si vive. Gesù spiega alla folla e poi torna a ripetere ai suoi discepoli quello che vuol dire,proprio perché vuole che abbiano bene in mente e nel cuore quello che intende.Potremmo dire che Gesù ci sta mostrando un libretto di istruzioni per l’amore assoluto e totale, perché possiamo riconoscere quali sono le cose che fanno bene e quelle che fanno male.Vivere con onestà la fede, ci porta a non essere ipocriti, a non dover mentire per apparire migliori, proprio perché la libertà che ci ha donato Dio è quella di chi non cerca di costringerci, ma vuole che capiamo qual è il nostro bene!

lunedì 10 febbraio 2014

(Mc 7,1-13) Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

VANGELO
 (Mc 7,1-13) Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.
+ Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:“Questo popolo mi onora con le labbra,ma il suo cuore è lontano da me.Invano mi rendono culto,insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
 PREGHIERA
 Ti chiedo Mio Signore, di illuminare la mia mente, di aprirla alla comprensione della tua parola, perché il mio cuore possa distinguere la verità tra la tua parola e quello che la mia mente umana inserisce come sovrastruttura a questa.

Con Korbàn (traslitterazione dell'ebraico קרבן, plurale קרבנות Korbanòt, dalla radice קרב "avvicinare", "accostare" a Dio) si intende il sacrificio cruento (cioè che veniva macellato e/o distrutto tramite il fuoco) o incruento (cioè che non veniva distrutto ma offerto ai sacerdoti o al Tempio di Gerusalemme) proprio dell'antica religione ebraica.
 Con questa ricerca inizia la mia riflessione alla parola del Signore.
Come spesso ripeto, io sono una persona semplice, la mia cultura non va oltre le medie inferiori e questo mi porta a non conoscere il significato di alcune parole che vengono utilizzate nei testi sacri, che sono molto antichi e spesso citano parole che risalgono all'ebraico antico e aramaico.  Intorno a Gesù, c' era tanta gente; anche i farisei e i giudei del tempio, che si accostavano a lui più per criticarlo che per ascoltarlo. Veniva infatti a portare una parola nuova che per loro era sconvolgente.
Erano infatti molto legati alle tradizioni, ma il problema non era la tradizione in se stessa,ma il fatto che rispettando le regole che loro stessi avevano imposto,trascuravano quello che era il messaggio fondamentale dell'amore di Dio. Gli ebrei si ritenevano gli unici degni di questo rapporto filiale con Dio, consideravano tutti gli altri impuri ed indegni ed anche tra di loro poi facevano una rigida selezione, escludendo gli ammalati, i lebbrosi, insomma, con le loro regole, chiudevano a molti le porte del paradiso. Non ci scandalizziamo molto però, perché ancora oggi c'è chi si nasconde dietro alle regole per escludere i fratelli dalla comunità religiose,come se fossimo noi a dettare queste regole dimenticando spesso che Dio non ama il peccato, ma ama il peccatore.  Gesù non accetta queste regole create per selezionare, per dividere e per escludere dalla vita di tutti i giorni la parola di Dio, li chiama ipocriti, perché con la scusa di dover conservare l'offerta per il tempio di Dio, magari trascuravano di aiutare il padre e la madre, che invece era un comandamento della legge di Mosè.  Ma quello che Gesù portava in quei contesti, non era solo il messaggio dell'amore di Dio, ma anche un nuovo olocausto, che poneva fine a tutte quelle regole dettate dagli uomini. Era Lui che si offriva, per volere del Padre, come olocausto sulla croce, per la salvezza di tutti gli uomini.  Riflettiamo se anche noi per esempio, mentre ci rechiamo in chiesa, non facciamo finta di non vedere il povero che chiede l' elemosina vicino alla porta; si è vero, spesso sono zingari che approfittano della nostra bontà, ma se invece di irrigidire il nostro cuore, pensassimo a quanto noi siamo più fortunati e quanto non saremmo meno ricchi, se dessimo anche una piccola moneta, forse entreremmo in chiesa con più predisposizione all' ascolto della parola. Stiamo andando veramente a fare la comunione con Cristo, o solo un rito senza senso? Quali sono i nostri criteri di umanità e fratellanza con gli altri? Siamo disposti per esempio nelle scuole, ad accettare che qualche bambino che non conosce bene la nostra lingua, abbia il tempo di assimilarla? Siamo disponibili ad aiutare le donne in gravidanza che vivono in difficoltà ad avere il loro bambino, ad aiutare i malati ad avere la giusta assistenza, o semplicemente ci trinceriamo dietro ad un freddo” ci debbono pensare le istituzioni” lasciando queste persone sole con i loro problemi?
Il discorso è molto ampio e Gesù spera che tocchi il cuore di chi si trincera dietro a regole ottuse, dietro a ricchezze accumulate egoisticamente, come succede troppo spesso.

domenica 9 febbraio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Le mie preghiere, delle quali mi fai istanza, non ti mancano mai, perché non mi posso dimenticare di te che mi costi tanti sacrifici. Ti ho partorito a Dio nell’estremo dolore del cuore. Confido nella carità che nelle tue preghiere non ti dimentichi di chi porta la croce per tutti." (Epist. III, p. 983).

SANTI é BEATI :

Santa Scolastica Vergine

10 febbraio

Norcia, Perugia, ca. 480 - Montecassino, Frosinone, ca. 547

Scolastica ci è nota dai “Dialoghi” di san Gregorio Magno. Vergine Saggia, antepose la carità e la pura contemplazione alle semplici regole e istituzioni umane, come manifestò nell’ultimo colloquio con il suo fratello s. Benedetto, quando con la forza della preghiera “poté di più, perché amò di più”. (Mess. Rom.)

Patronato: Suore

Emblema: Colomba, Giglio

Martirologio Romano: Memoria della deposizione di santa Scolastica, vergine, che, sorella di san Benedetto, consacrata a Dio fin dall’infanzia, ebbe insieme con il fratello una tale comunione in Dio, da trascorrere una volta all’anno a Montecassino nel Lazio un giorno intero nelle lodi di Dio e in sacra conversazione.

Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già "fuggendo dal mondo" verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.
La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.
Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza...
Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.
Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547.

Autore: Domenico Agasso

(Mc 6,53-56) Quanti lo toccavano venivano salvati.

VANGELO
 (Mc 6,53-56) Quanti lo toccavano venivano salvati.
+ Dal Vangelo secondo Marco


In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.


Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore dammi la possibilità di toccare il tuo mantello,fa che il tuo Spirito mi sfiori e sarò salva.
In questa pagina Marco,pone l'accento sul fatto che la gente accorre da tutte le parti presentandosi a Gesù,per essere guariti. Riconoscere di aver bisogno del Signore è la prima cosa che ci serve per cominciare a creare un buon rapporto con Lui-
È la voglia di fede che li spinge a cercarlo, a voler toccare almeno un lembo del suo vestito, perché quelli che riuscivano a farlo,venivano salvati.
Vediamo di capire che cosa può voler dire questo: certamente che per essere salvati bisogna cercare di conoscere Gesù, bisogna avvicinarsi a Lui, fino a toccarlo,per riconoscerlo tra tutti gli altri, avere quella fede sana che ci fa muovere verso di lui, la fede di chi si riconosce peccatore, indegno dell' amore di Dio.
Gli ultimi, gli emarginati, gli ammalati, tutte le persone alle quali nessuno dà retta, nessuno dà fiducia,si rivolgono a Gesù e Lui è sempre disponibile per loro,sempre pronto a servire, a insegnare, perché per questo è venuto.
Rivolgiamoci quindi con fiducia al Signore,non pensiamo di essere sufficienti a noi stessi, non cerchiamo i potenti terreni, ne maghi e stregoni,la cronaca insegna che non ci porteranno da nessuna parte se non all'insoddisfazione o alla rovina.
Abbiamo Gesù il più grande dei guaritori dell'anima e del corpo, vediamo quanto la santità di chi si fida ciecamente di Lui, si veda nelle opere e nel cuore, quanto neanche la più grande sofferenza smorzi quella fede, imitiamo i santi, ma più di tutti, e per primo imitiamo Gesù, seguiamo il maestro e potremo avvicinarci tanto da poter toccare il suo mantello.

sabato 8 febbraio 2014

LA VITA DELLA MADONNA (Anna Caterina Emmerick)

LA VITA DELLA MADONNA

Secondo le contemplazioni
della pia Suora STIGMATIZZATA
Anna Caterina Emmerick
- Dai Diari di Clemente Brentano - (Compreso il periodo della vita e della Passione di
Gesù)
http://www.resuscicanti.altervista.org/annacatemmerickvitamadonna.pdf


SANTI é BEATI :

Beato Leopoldo da Alpandeire Marquez Sanchez Cappuccino

9 febbraio

“Vedi, fratello, diventiamo religiosi per allontanarci dal mondo, e ora finiamo perfino sui giornali”, fu il commento che fece fra' Leopoldo da Alpandeire Marquez Sánchez (1864 – 1956) a un confratello nel suo 50° anniversario di vita religiosa, fatto che venne riportato da alcuni giornali della sua città.
Oggi, a più di mezzo secolo dalla sua morte, questo umile frate cappuccino, con la barba bianca e lo sguardo sereno, torna a fare notizia: sarà beatificato questa domenica 12 settembre 2010 a Granada in una cerimonia presieduta da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Benedetto XVI.
“La sua santità non ha consistito nel realizzare grandi opere sociali, creando ospedali o grandi ONG”, ha detto parlando a ZENIT di fra' Leopoldo il suo vicepostulatore, padre Alfonso Ramírez Peralbo OFMCap. “Non apparteneva a dinastie nobili, non parlava da cattedre o pulpiti, perché non brillava per il suo sapere. Non aveva neanche lasciato il suo convento per diventare missionario in terre lontane”.
Per padre Ramírez, fra' Leopoldo ha raggiunto la santità nelle piccole cose: “Faceva ogni cosa come se fosse la prima volta. Era quella freschezza di ogni suo atto, ripetuto in modo monotono, che dava un senso soprannaturale e riempiva tutta la sua vita”.
Oggi i pellegrini che visitano ogni anno la tomba di fra' Leopoldo sono oltre 800.000. “Credo che questo dica tutto”, ha commentato il vicepostulatore.
Per la beatificazione di questo frate si attende la presenza di circa 300.000 fedeli provenienti da varie località, soprattutto dal sud della Spagna, dove la devozione nei suoi confronti è maggiore. La cantante andalusa Rosa López aprirà la cerimonia con il canto dell'Ave Maria, accompagnata dal pianista Alfonso Berrío.

Infanzia e gioventù piene di pietà

Francisco Tomás, il suo nome di battesimo, nacque ad Alpandeire, un piccolo paese situato all'estremità della serra di Jarestepar, a sud di Ronda, nella provincia di Málaga.
Da piccolo allevava pecore e capre e coltivava la terra, compiti che svolgeva mentre recitava il rosario. “Chi lo ha conosciuto racconta che quando diceva 'Ave Maria, piena di grazia' sembrava che stesse vedendo e parlando con Nostra Signora”, ha riferito padre Ramírez.
Fin da piccolo coltivò virtù come la generosità e il distacco dai beni: “Condivideva la sua merenda con altri pastorelli più poveri di lui, dava le proprie scarpe a un povero che ne aveva bisogno o consegnava il denaro guadagnato nella vendemmia di Jerez ai poveri che incontrava sulla via del ritorno”, ha aggiunto il vicepostulatore.

Vocazione di cappuccino

Francisco Tomás scoprì la sua vocazione dopo aver ascoltato la predicazione di due cappuccini a Ronda nel 1894, per celebrare la beatificazione del cappuccino fra' Diego José de Cádiz.
A 35 anni vestì l'abito nel convento di Siviglia, cambiando il proprio nome da Francisco Tomás a Leopoldo, secondo gli usi dell'Ordine. “Il suo ingresso nella vita religiosa non fu una conversione clamorosa, non rappresentò un cambiamento radicale della sua vita. Fu solo un sublimare impegni e atteggiamenti coltivati fino a quel momento”, ha spiegato padre Ramírez.
“Il suo amore per Dio, la preghiera, il lavoro, il silenzio, la devozione per la Vergine e la penitenza caratterizzavano già la sua vita”, ha rimarcato. “La croce e la passione di Cristo sarebbero stati da quel momento oggetto di meditazione e imitazione”.
Il 16 novembre 1900 fece la sua prima professione; da allora si dedicò all'orto nei conventi di Siviglia, Antequera e Granada. Il 23 novembre 1903 emise a Granada i voti perpetui.

La strada, il suo nuovo chiostro

Nel 1914 fra' Leopoldo si recò di nuovo a Granada, dove rimase fino alla morte e ricevette l'incarico di elemosiniere. “Da quel momento le montagne, le valli, le vie polverose, le strade sarebbero state il tempio e il chiostro della sua vita cappuccina”, ha raccontato padre Ramírez.
Nonostante la sua grande sensibilità per la vita contemplativa, il contatto con gli uomini divenne il suo nuovo mezzo per raggiungere la santità. Lungi dal distrarlo, ciò lo aiutava a uscire da se stesso. “Fu un'occasione per caricare su di sé il peso degli altri, per comprendere, aiutare, servire, amare. Era, come ha detto un suo devoto, 'distinto ma non distante'”.
Lo si vedeva per le strade a piedi nudi, lo sguardo rivolto verso il cielo e il rosario in mano. Attirava così l'attenzione e l'aiuto dei passanti. Ogni volta che riceveva un'elemosina recitava tre Ave Maria. “Solo ascoltarle, dicono alcuni, faceva venire i brividi”, ha segnalato padre Alfonso grazie alle testimonianze che ha raccolto come vicepostulatore.
Durante la persecuzione religiosa spagnola del 1936, fra' Leopoldo non fu esente da calunnie o rifiuti: “Ricevette insulti e minacce di morte. Quasi tutti i giorni lo prendevano a sassate, e una volta sfuggì alla lapidazione perché alcuni uomini intervennero in sua difesa”.
Nel 1953 cadde dalle scale, fratturandosi il femore. Riprese a camminare con l'aiuto di due bastoni. “Così poté dedicarsi totalmente a Dio, che era stato l'unica passione della sua vita”, ha detto il vicepostulatore.
Fra' Leopoldo morì 9 febbraio 1956. “La notizia provocò un grido di dolore che da ogni angolo della città confluiva verso l'umile convento”, ha scritto fra' Angel de León in un articolo intitolato “El día en que murió Fray Leopoldo” (“Il giorno in cui fra' Leopoldo è morto”), pubblicato sulla pagina web ufficiale della beatificazione (http://www.frayleopoldo.org/).
Migliaia di abitanti di Granada accorsero a vedere il suo corpo senza vita. “La sua cripta è testimone dello scorrere silenzioso di infinite lacrime di riconoscenza. Molti uomini messi alla prova dalla vita narrano prodigi sperimentati sulla propria carne o su quella di persone care”, scrive fra' Ángel.
La fama di fra' Leopoldo si diffuse “a macchia d'olio, senza alcuna forma di propaganda”. Il suo vicepostulatore dice che il frate “testimoniò il mistero di Cristo povero e crocifisso con l'esempio e la parola, al ritmo umile e orante della vita quotidiana”.

Autore: Carmen Elena Villa

VOCE DI SAN PIO :

-" Quando tu ti troverai appresso Dio nell’orazione, considera la tua verità; parlagli se puoi, e se non puoi, fermati, fatti vedere e non ti pigliare altro fastidio." (Epist. III, p. 983).