lunedì 14 ottobre 2013

DEL GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA (SANT'ALFONSO MARIA DE LIQUORI)

S. ALFONSO M. DE’ LIGUORI


DEL GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA
Per conseguire la salute eterna e tutte le grazie che desideriamo



Al Verbo Incarnato Gesù Cristo
diletto dall’eterno Padre benedetto del Signore, autore della vita, re della gloria, Salvatore del mondo, aspettato dalle genti, desiderio dei colli eterni, Padre celeste, giudice universale, mediatore tra Dio e gli uomini, maestro delle virtù, agnello senza macchia, uomo dei dolori, sacerdote eterno e vittima d’amore, speranza dei peccatori, fonte delle grazie, pastore buono, innamorato delle anime,

ALFONSO

peccatore quest’opera consacra



Dedica a Gesù ed a Maria

O Verbo Incarnato, voi avete dato il sangue e la vita per ottenere alle nostre preghiere (come già avete promesso) tanto di valore, che impetrano quanto chiedono; e noi, oh Dio! siamo così negligenti della nostra salute che neppure vogliamo domandare le grazie che ci abbisognano per salvarci! Voi, con tal mezzo di pregare, ci avete data la chiave di tutti i vostri divini tesori, e noi per non pregare vogliamo restare miseri quali siamo! Deh, Signore, illuminateci e fateci conoscere quanto valgono appresso il vostro Eterno Padre le suppliche fatte in nome di Voi e per i vostri meriti. Io vi consacro questo mio libretto, beneditelo Voi, e fate che tutti quelli che l’avranno nelle mani s’invoglino a sempre pregare, e si adoprino ad infiammare anche gli altri affinché si valgano di questo gran mezzo della loro salute.
A Voi anche raccomando questa mia operetta, o gran madre di Dio Maria: Voi proteggetela con ottenere a tutti coloro, che la leggeranno, lo spirito di pregare con ricorrere sempre in tutti i loro bisogni al vostro Figlio, ed a Voi, che siete la dispensatrice delle grazie, e siete la Madre della misericordia, che non sapete lasciare scontento alcuno che a Voi si raccomanda, e siete all’incontro la Vergine potente, che ottenete da Dio ai vostri servi, quanto chiedete.



INTRODUZIONE

Io ho dato alla luce diverse operette spirituali, ma stimo di non aver fatta opera più utile di questo libretto, in cui parlo della preghiera, per essere ella un mezzo necessario e sicuro, al fine di ottenere la salute, e tutte le grazie che per quella ci bisognano. Io non ho questa possibilità, ma se potessi, vorrei di questo libretto stamparne molte copie, quanti sono tutti i fedeli che vivono sulla terra, e dispensarle ad ognuno, affinché ognuno intendesse la necessità, che abbiamo tutti di pregare per salvarci.
Dico ciò, perché vedo da una parte quest’assoluta necessità della preghiera, tanto per altro inculcata da tutte le Sacre Scritture, e da tutti i Santi Padri; ed al contrario vedo, che i cristiani poco attendono a praticare questo gran mezzo della loro salute. E quel che più mi affligge, vedo che i predicatori e confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e penitenti; e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza. Mentre invece tutti i predicatori, confessori e tutti i libri, non dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa del pregare. Essi infatti inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza dei Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditare le Massime eterne, ed altri mezzi (non lo nego) utilissimi: ma a che servono, io dico, le prediche e meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol concedere le grazie se non a chi prega? Chiedete ed otterrete (Gv 16,24). Senza la preghiera (parlando secondo la Provvidenza ordinaria) resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi, e tutte le nostre promesse. Se non preghiamo saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione sta qui: che a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i divini precetti non bastano i lumi da noi ricevuti, e le considerazioni e i propositi da noi fatti, ma vi è bisogno di una grazia attuale di Dio; e il Signore questo aiuto attuale (come appresso vedremo) non lo concede, se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni ed i buoni propositi concepiti, servono a stimolarci a pregare nei pericoli e nelle tentazioni per ottenere il divino soccorso, che ci preservi poi dal peccato. Ma se allora non preghiamo, saremo perduti.

Ho voluto, lettore mio, premettere questo mio sentimento a tutto quello che appresso scriverò, affinché ringraziate il Signore, che, per mezzo di questo mio libretto, vi dona la grazia di riflettere maggiormente sull’importanza di questo gran mezzo della preghiera; poiché tutti quelli che si salvano (parlando degli adulti), ordinariamente per questo unico mezzo si salvano. E perciò dico, ringraziatene Dio; perché è una misericordia troppo grande quella che Egli fa a coloro ai quali dà la luce e la grazia di pregare. Io spero che voi, amato mio fratello, dopo aver letta questa breve operetta, non sarete più trascurato d’ora innanzi a ricorrere sempre a Dio coll’orazione, quando sarete tentato ad offenderlo. Se mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza di molti peccati, intendiate che questa n’è stata la cagione: la trascuratezza di pregare e di cercare a Dio l’aiuto per resistere alle tentazioni, che vi hanno assalito. Vi prego intanto di leggerlo e rileggerlo e con tutta l’attenzione, non già perché è frutto del mio ingegno, ma perché egli è mezzo che il Signore vi porge per bene della vostra eterna salute: dandovi con ciò ad intendere in modo particolare, che vi vuol salvo. E dopo averlo letto; vi prego di farlo leggere ad altri (come potrete) amici o paesani, con cui converserete. Or cominciamo in nome del Signore.
Scrisse l’Apostolo a Timoteo: Raccomando adunque prima di tutto, che si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti (1 Tm 2,1). Spiega l’Angelico san Tommaso (2, 2.ae, q. 83, art. 17), che l’orazione è propriamente il sollevare la mente a Dio. La postulazione poi è propriamente la preghiera; la quale, quando la domanda contiene cose determinate, come quando diciamo: Muoviti, o Dio, in mio soccorso... si chiama supplica. La obsecrazione è una pia adiurazione, ossia contestazione, per impetrare la grazia, come quando diciamo: Per la tua croce e passione, liberaci, o Signore. Finalmente l’azione di grazie è il ringraziamento per i benefici ricevuti, col quale, dice san Tommaso, che noi meritiamo di ricevere benefici maggiori: Rendendo grazie meritiamo beni maggiori. L’orazione presa in particolare, dice il santo Dottore, significa il ricorso a Dio; ma presa in generale, contiene tutte le altre parti di sopra nominate; e tale noi l’intenderemo nominandola da qui in avanti col nome di orazione o di preghiera.
Per affezionarci poi a questo gran mezzo della nostra salute quale è la preghiera, bisogna considerare, quanto sia ella a noi necessaria, e quanto valga ad ottenerci tutte le grazie che da Dio desideriamo, se sappiamo domandarle come si deve. Quindi parleremo prima della necessità e del valore della preghiera, e poi delle condizioni della medesima, affinché ella riesca efficace appresso Dio.


CAPO I

DELLA NECESSITA’ DELLA PREGHIERA

I. - LA PREGHIERA E’ NECESSARIA ALLA SALUTE,
DI NECESSITA DI MEZZO.

Fu già errore dei pelagiani il dire, che l’orazione non è necessaria a conseguire la salute. Diceva l’empio loro maestro Pelagio, che l’uomo in tanto solamente si perde, in quanto trascura di riconoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa! diceva Santo Agostino: Pelagio d’ogni altra cosa voleva trattare, fuorché dell’orazione (De natura et orat. c. XVII), ch’è l’unico mezzo, come teneva ed insegnava il santo, per acquistare la scienza dei santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: Se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera, e gli sarà concesso (Gc 1,5).
Sono troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo salvarci. Bisogna sempre pregare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate ed orate per non cadere in tentazione (Mt 26,41). Chiedete ed otterrete (Mt 7,7). Le suddette parole bisogna, chiedete, orate, come vogliono comunemente i teologi, significano ed importano precetto e necessità. Vicleffo diceva, che questi testi s’intendevano non già dell’orazione, ma solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro che il bene operare: ma questo fu suo errore e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo Lessio, non potersi negare senza errare nella fede, che la preghiera agli adulti è necessaria per salvarsi; constando evidentemente dalle Scritture, essere l’orazione l’unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute (De Iust. 1, 2, c. 37, dub. 3, n. 9).
La ragione è chiara. Senza il soccorso della grazia, noi non possiamo fare alcun bene. Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5). Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo non disse: niente potete compire, ma niente potete fare. Per darci con ciò ad intendere il nostro Salvatore, che noi senza la grazia, neppure possiamo cominciare a fare il bene. Anzi scrisse l’Apostolo: Da per noi neppure possiamo avere desiderio di farlo (2 Cr 3,5). Se dunque non possiamo neanche pensare al bene, tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante altre Scritture. Lo stesso Dio è quegli che fa in tutti tutte le cose (1 Cr 12,6). Farò che camminiate nei miei precetti, ed osserviate le mie leggi, e le pratichiate (Ez 36,27). In modo che, siccome scrisse san Leone I: Noi non facciamo alcun bene, fuori di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6, can. 3, disse: Se alcuno avrà detto, che senza una preventiva ispirazione, ed aiuto dello Spirito Santo, l’uomo può credere, sperare, amare o pentirsi, come bisogna, per ottenere la grazia della giustificazione, sia scomunicato (Sess. 6, can. 3).
L’autore dell’Opera imperfetta, parlando dei bruti ci dice che il Signore altri ha provveduto di corso, altri di unghie, altri di penne, affinché possano così conservare il loro essere; ma l’uomo poi l’ha formato in tal stato, che esso solo, Dio, fosse tutta la di lui virtù (Hom. 18). Sicché l’uomo è affatto impotente a procurarsi la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che quanto ha, e può avere, tutto lo riceva dal solo aiuto della sua grazia.
Ma questo aiuto della grazia, il Signore per provvidenza ordinaria, non lo concede se non a chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadio: Crediamo che niuno giunga a salute, se Dio non lo invita; niuno invitato operi la salute, se non è da Dio aiutato; niuno meriti aiuto, se non per mezzo della preghiera (De Eccl. dogm. cap. 26). Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della grazia niente noi possiamo; e posto dall’altra che tale soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? E’ vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla fede, alla penitenza, dice S. Agostino, che Dio le concede anche a coloro che non pregano; tuttavia il santo tiene poi per certo che le altre grazie (e specialmente il dono della perseveranza) non si concedono se non a chi prega (De Dono pers. c. 16).
Ond’è che i teologi comunemente con san Basilio, san Giovanni Crisostomo, Clemente Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la preghiera agli adulti è necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiamo veduto, ma anche di mezzo. Vale a dire che di provvidenza ordinaria, un fedele senza raccomandarsi a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi. Lo stesso insegna san Tommaso dicendo: Dopo il battesimo poi è necessaria all’uomo una continua orazione, affine di entrare in cielo; poiché quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i peccati, ciò nondimeno rimane il fomite del peccato che ci fa guerra internamente e il mondo e i demoni, che ci guerreggiano esternamente (3 p. q. 39, art. 5). La ragione dunque, che ci fa certi, secondo l’Angelico, della necessità che abbiamo della preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere e vincere: Colui che combatte nell’agone non è coronato, se non ha combattuto secondo le leggi (1 Tm 2,5). All’incontro senza l’aiuto divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto divino solo per l’orazione si concede; dunque senza orazione non v’è salute.
Che poi l’orazione sia l’unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma più distintamente il medesimo santo dottore in altro luogo dicendo che il Signore tutte le grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che per l’orazione (2, 2.ae, q. 83, 2). E lo stesso scrisse S. Gregorio: Gli uomini pregando meritano di ricevere ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare (Lib. i. Dial. cap. 8). Non già, dice S. Tommaso, è necessario di pregare, affinché Iddio intenda i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni per salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni (Ibid. ad 1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di pane col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie i alla salute per mezzo della preghiera, dicendo: "Chiedete ed otterrete, cercate, e troverete" (Matth. 7,7).
Noi insomma, altro non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto ci dona Dio per elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18). Il Signore, dice S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie, ma non vuol dispensarle se non a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si protesta con dire: Chiedete ed otterrete. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l’umore è necessario alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria a noi l’orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo, che: siccome il corpo senza dell’anima non può vivere, così l’anima senza l’orazione è morta, e manda cattivo odore (De or. D. l. i.). Dice, manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia a puzzare di peccati. Si chiama anche l’orazione cibo dell’anima perché senza cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l’orazione, dice S. Agostino, non può conservarsi in vita l’anima (De sal. doc. c. 28). Tutte queste similitudini che adducono questi santi Padri, denotano l’assoluta necessità, ch’essi insegnano d’esservi in pregare per conseguire la salute.

II. - SENZA LA PREGHIERA E’ IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE I COMANDAMENTI.

L’orazione inoltre è l’arma più necessaria per difenderci dai nemici: chi di questa non s’avvale, dice S. Tommaso, è perduto. Non dubita il Santo di ritenere che Adamo cadde perché non si raccomandò a Dio allora che fu tentato (P. I. q. 94, a. 4). E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli angeli ribelli: Che cioè ricevendo invano la grazia di Dio, senza pregare non seppero rimanere fedeli (Epist. adversus Pelag. haeret.). San Carlo Borromeo in una lettera Pastorale (Litt. pastor. De or. in com.) avverte, che tra tutti i mezzi che Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla preghiera: ed in ciò ha voluto che si distinguesse la sua Chiesa e Religione dalle altre sette, volendo che ella si chiamasse specialmente casa d’orazione. La casa mia sarà chiamata casa d’orazione (Mt 21,13).
Conclude S. Carlo nella suddetta lettera, che la preghiera è il principio, il progresso e il complemento di tutte le virtù. Sicché nelle tenebre, nelle miserie e nei pericoli, in cui ci troviamo (diceva re Giosafat) non abbiamo in che altro fondare le nostre speranze, che in sollevare gli occhi a Dio e dalla sua misericordia impetrare colle preghiere la nostra salvezza (2 Cron 20,12). E così anche praticava Davide; non trovando altro mezzo per non esser preda dei nemici, che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie: Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore perché Egli trarrà dal laccio i miei piedi (Sal 24,15). Sicché altro egli non faceva che pregare dicendo: A me volgi il tuo sguardo, e abbi pietà di me, perché io son solo e son povero (Ibid. 24,16). Gridai a te: dammi salute affinché osservi i tuoi precetti (Sal 118,146). Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà di me, e salvatemi: mentre io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa aiutarmi.
Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo dell’orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce e la forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia quella che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo sia assolutamente impossibile agli uomini l’osservanza della divina legge. Giansenio ancora disse che alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le presenti forze che hanno. E sin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava ancora la grazia divina a renderli possibili. E’ vero, dice S. Agostino, che l’uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni precetti con le presenti forze e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti; ma ben può con la preghiera ottenere l’aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: Iddio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ti avvisa di fare quel che puoi, e chiedere quel che non puoi, ed aiuta affinché tu lo possa (De nat. et grat. cap. XLIII). E’ celebre questo testo del Santo, che poi fu adottato e fatto dogma di fede dal Concilio di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi immediatamente soggiunse il santo Dottore: Vediamo in che modo... (cioè, come l’uomo può fare quel che non può). Per mezzo della medicina potrà quello che non può per la sua infermità (Ibid. cap. LXIX). E vuol dire che con la preghiera otteniamo il rimedio alla nostra debolezza; poiché pregando noi, Iddio ci dona la forza a far quel che noi non possiamo.
Non possiamo già credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci l’osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far le cose difficili con l’aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI, cap. LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad ottenere con l’orazione l’aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb. c. 16). E in altro luogo: La legge fu data affinché domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge (De sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la grazia; e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: La legge è buona per chi ne usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge? (Serm. 156).
E risponde: riconoscere per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino aiuto onde conseguire la salute (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, affinché poi impetriamo, col pregare, l’aiuto divino che sana la nostra debolezza.
Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che possiamo resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo con tutta umiltà alla sua misericordia (Serm. v. De Quadrag.). Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la preghiera otteniamo dalla sua misericordia l’aiuto a resistere.
Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura con l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: L’orazione è il presidio della pudicizia (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: ‘Tosto ch’io seppi come non poteva essere continente se Dio non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap 8,21). La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda certamente l’otterrà.
Pertanto dice S. Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre forze, lo possiamo nondimeno con l’aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né dicasi, che sembra un’ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini diritto; no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il modo di trovare rimedio al suo difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la colpa è sua (De perfect. iust. c. III).
Insomma, dice lo stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare (S. 55. in app.). Ed all’incontro, dice S. Francesco d’Assisi, che senza orazione non può sperarsi mai alcun buon frutto in un’anima. A torto dunque si scusano quei peccatori che dicono di non aver forza di resistere alla tentazione. Ma se voi, li rimprovera S. Giacomo, non avete questa forza, perché non la domandate? Voi non l’avete, perché non la cercate (Gc 4,2). Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli assalti dei nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l’Apostolo, e non permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: "Ma fedele è Dio, il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinché possiate sostenere" (1 Cr 10,13). Commenta Primasio: Con l’aiuto della grazia farà provenire questo, che possiate sopportare la tentazione. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte: quando noi gli domandiamo l’aiuto, allora egli ci comunica la sua fortezza, e potremo tutto, come giustamente vi prometteva lo stesso Apostolo dicendo: "Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto" (Fil 4,13). Non ha scusa dunque, dice S. Giovanni Crisostomo, chi cade perché trascura di pregare, poiché se avesse pregato, non sarebbe restato vinto dai nemici (Serm. De Moyse).

III. - DELLA INVOCAZIONE DEI SANTI.

E’ utile ricorrere alla intercessione dei Santi?

Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all’intercessione dei Santi, per ottenere le divine grazie. In quanto al dire che sia cosa lecita ed utile l’invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù Cristo, quel che noi per nostri demeriti non siamo degni di ottenere; questa è dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (In Decr. de invoc. Ss.).
Tale invocazione era condannata dall’empio Calvino, ma troppo ingiustamente. Se è lecito e profittevole l’invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che ci assistano con le loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E per noi pure pregate il Dio nostro... (Bar 1,13). E S. Paolo: ‘"Fratelli, pregate per noi" (1 Ts 1,25). E Dio medesimo volle, che gli amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per i meriti di Giobbe egli li favorisse: Andate a trovare Giobbe mio servo... e Giobbe mio servo farà orazioni per voi, e in grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza (Gb 42,8). Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito l’invocare i Santi, che in cielo più da vicino godono Dio? Ciò non è derogare all’onore che a Dio si deve, ma duplicarlo, com’è l’onorare il re non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi. Che perciò dice S. Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi, perché con le orazioni di molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per l’orazione di un solo. Che se poi dicesse taluno: ma che serve ricorrere ai Santi affinché preghino per noi, quando essi già pregano per tutti coloro che ne sono degni? Risponde lo stesso santo Dottore, che alcuno non sarebbe già degno che i Santi preghino per lui, ma ne è appunto fatto degno, perché ricorre con devozione al Santo medesimo (In 4 Sent. d. 45, q. 3 a. S.).

E’ conveniente ricorrere alle anime del Purgatorio?

Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio. Alcuni dicono che le anime purganti non possono pregare per noi, indotti dell’autorità di S. Tommaso, il quale dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò, non sono in stato di pregare, ma bensì che si preghi per esse (2, 2.ae, q. 83, a. 2). Ma molti altri Dottori, come il Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente l’affermano, dovendosi piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni, affinché quelle sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né osta, come dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l’Angelico, di non essere le anime purganti in stato di pregare: perché altro è il non essere in stato di pregare, altro il non poter pregare. E’ vero, che quelle anime sante non sono in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso, stando a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni; nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di Dio. Se mai un padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo di qualche difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare per sé, ma perché egli non può pregare per gli altri? E non sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l’affetto che gli porta il padre? Così essendo le anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in grazia, non v’è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente esse non conoscono le nostre orazioni. Ma piamente si crede, come si è detto, che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi. Santa Caterina di Bologna, quando desiderava qualche grazia, ricorreva alle anime del Purgatorio, e ben presto si vedeva esaudita. Anzi attestava, che molte grazie che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite per mezzo delle anime del Purgatorio.

Dell’obbligo di pregare per le anime del Purgatorio

Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime! Se vogliamo noi il soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle con le nostre orazioni ed opere. Dissi, è bene, ma anche deve dirsi essere questo uno dei doveri cristiani, poiché richiede la carità, che noi sovveniamo il prossimo quando il prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or è certo che i nostri prossimi sono ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non siano più in questa vita, nulladimeno non lasciano d’essere nella comunione dei Santi, dice S. Agostino. E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all’altra vita in grazia, è un’estensione di quella stessa carità, che dobbiamo verso i nostri prossimi viventi (In Ps. 37). Ond’è che noi dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle sante anime come nostri prossimi. Ed essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle.
Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante prigioniere? E’ certo, che le loro pene sono immense. Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l’uomo in questa vita (In 4 Sent. d. 45, q. 2, s. 2). E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo essere quello il medesimo fuoco dell’inferno. E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione di Dio, che affligge quelle sue sante spose; mentre quelle anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale amore, di cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento. Sicché, secondo dice il Crisostomo, questa pena della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena del senso. Ond’è che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene, anziché esser private d’un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore che può patirsi in questa vita. E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, poi risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a rispetto della minor pena, che v’è nel Purgatorio. E soggiunse, che se un uomo avesse provato quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che hanno patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che quelle pene, in quanto all’asprezza, sono le stesse che quelle dell’Inferno; in questo solo differiscono, che non sono eterne.
Le pene dunque di quelle anime sono troppo grandi; dall’altra parte non possono aiutarsi da sé; esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai lacci di povertà (Gb 36,8). Sono già destinate al regno quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza, se vogliamo credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano anche con le loro orazioni impetrare qualche sollievo) per sciogliersi da quelle catene, finché non soddisfano interamente la divina giustizia. Così appunto disse dal Purgatorio un monaco Cistercense al sacrestano del suo monastero: Aiutatemi, vi prego, con le vostre orazioni, perché io da per me niente posso ottenere. E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura, cioè che quelle anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare.
All’incontro essendo certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e principalmente con le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle sante anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porgere loro qualche aiuto, almeno con le sue orazioni. Ci muova almeno a soccorrerle, se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette spose, acciocché le abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l’acquisto dei gran meriti che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità verso di quelle sante anime, le quali all’incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio che noi loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni l’anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: beati i misericordiosi, perché questi troveranno misericordia (Mt 5,7), con molta ragione può sperare la sua salute chi attende a sovvenire quelle sante anime così afflitte, e così care a Dio. Gionata, dopo aver procurata la salute degli Ebrei con la vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da Saul suo padre per essersi cibato del miele, contro l’ordine da lui dato. Ma il popolo si presentò al re, e disse: E dovrà adunque morire Gionata, il quale ha salvato Israele (1 Re 14,45). Or così appunto dobbiamo sperare che se mai alcuno di noi ottiene con le sue orazioni, che un’anima esca dal Purgatorio e vada in Paradiso, quell’anima dirà a Dio: Signore, non permettere che si perda colui che mi ha liberato dalle pene. E se Saul concesse la vita a Gionata per le suppliche del popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel fedele per le preghiere di un’anima che gli è sposa. Inoltre, dice S. Agostino, che coloro che in questa vita avranno più soccorso quelle sante anime, nell’altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi degli altri.
Si avverta che il più gran suffragio per le anime purganti è il sentir la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io vi offro questo sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch’egli patì nella sua vita e morte; e per i meriti della sua Passione vi raccomando le anime del Purgatorio e specialmente... ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche le anime di tutti gli agonizzanti.

L’invocazione dei Santi è necessaria

Quanto si è detto delle anime purganti circa il punto, se esse possono o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a rispetto dei Santi. Poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi essere utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando dei Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia, come vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all’eresia, come tengono il Suarez, l’Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel canonizzare i Santi, principalmente come insegna l’Angelico (Quodlib. 9, art. 16, ad. l), è guidato dall’istinto infallibile dello Spirito Santo.
Ma ritorniamo al dubbio di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all’intercessione dei Santi. lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso lasciare di esporre una dottrina dell’Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser tenuto ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce, ottenersi da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano (in 4 sent. d. 15, q. 4, a. l). In altro luogo poi dello stesso libro, il Santo propone appunto il dubbio: Se dobbiamo pregare i Santi, affinché interpellino per noi (in 4 sent. dist. q. 3, a. 2). E risponde così (per far bene capire il sentimento del santo bisogna riferire l’intero suo testo): E’ l’ordine divinamente istituito nelle cose (secondo Dionisio), che per via dei mezzi ultimi si riconducano a Dio.
E però i Santi che sono nella Patria, essendo vicinissimi a Dio, l’ordine della divina legge richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel corpo pellegriniamo lungi dal Signore, veniamo ricondotti a Lui per la mediazione dei Santi. Il che appunto avviene, quando per mezzo di essi la divina bontà diffonde gli effetti suoi. E perché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere al procedimento della bontà di lui verso di noi; (Siccome i benefici di Dio ci provengono mediante i suffragi dei Santi), così fa d’uopo che noi siamo ricondotti a Dio, affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per la mediazione dei Santi. E quindi è che noi li stabiliamo nostri intercessori appresso Dio e quasi mediatori quando loro domandiamo che preghino per noi.
Si notino quelle parole: l’ordine della divina legge richiede questo; e specialmente poi si notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i benefici del Signore; così fa d’uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché dì nuovo riceviamo benefici per la mediazione dei Santi.
Sicché secondo S. Tommaso, l’ordine della divina legge richiede, che noi mortali per mezzo dei Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari alla salute. Ed all’opposizione che si fa l’Angelico, cioè: che par superfluo ricorrere ai Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare l’ordine retto, ed universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde.
E secondo quest’autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely con Silvio, che sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno noi siamo tenuti di ricorrere anche all’intercessione dei Santi, per osservare l’ordine che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che gl’inferiori si salvino implorando aiuto dai superiori.

Della intercessione della Madonna

E se così corre parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell’intercessione della divina Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che quelle di tutto il Paradiso. Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del merito con cui si guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù Cristo e Maria SS. si sono meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini (Expos. in salut. Ang.). E S. Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: Per te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di grazia, madre di salute, affinché per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato a noi (In adv. Dom. 1, 2). Col che volle dire: siccome noi non abbiamo l’accesso al Padre se non per mezzo del Figlio che è mediatore di giustizia; così non abbiamo l’accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch’è mediatrice di grazia, e che ci ottiene con la sua intercessione i beni che Gesù Cristo ci ha meritati.
E in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria ha ricevuto da Dio due pienezze di grazia. La prima è stata l’Incarnazione nel suo seno del Verbo eterno fatto Uomo. La seconda è stata la pienezza delle grazie, che per mezzo delle preghiere d’essa divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi soggiunse il Santo: Iddio pose in Maria la pienezza di ogni bene in guisa che se in noi è qualche speranza, qualche grazia’ qualche salute, riconosciamo ridondare da Lei, che ascende dal deserto ricolma di delizie. Orto di delizie, affinché d’ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i carismi, cioè, delle grazie (Serm. De Aquaed.).
Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell’intercessione di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così vuole Dio. Ma la ragione più specifica si ricava da ciò che dice S. Agostino. Egli scrisse, che Maria giustamente si dice nostra madre, perché ella ha cooperato con la sua carità, affinché nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come membri del nostro capo Gesù Cristo (De S. Virginit. e. 6). Ond’è che siccome Maria ha cooperato con la sua carità alla nascita spirituale dei fedeli, così vuole Dio, ch’ella cooperi anche alla sua intercessione a far loro conseguire la vita della grazia in questo mondo, e la vita della gloria nell’altro. E perciò la Santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti: la vita, la dolcezza, e la speranza nostra.
Quindi S. Bernardo ci esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché le sue preghiere sono certamente esaudite dal Figlio: Fa’ ricorso a Maria; lo dico francamente, certo il Figlio esaudirà la Madre. E poi soggiunse: Questa, o figlioli, è la scala dei peccatori, questa la mia massima fiducia, questa tutta la ragione di mia speranza (Serm. De Aquaed.). La chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo, se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria. La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta la ragione di sua speranza, perché Iddio, come suppone, tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria. E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché ella ottiene quando cerca, e le sue preghiere non possono essere respinte.
E con sentimento conforme a san Bernardo parlano anche sant’Efrem: Noi non abbiamo altra fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima (De Laud. B. M. V.). San Ildefonso: Tutti i beni che la divina Maestà decretò di loro compartire, stabilì di consegnarli nelle tue mani. Perciocché a te sono affidati i tesori e gli ornamenti delle grazie (De Cor. Virg. c. 15). S. Germano: Se tu ci abbandoni, che sarà di noi, o vita dei Cristiani? (De Zon. B. V.). S. Pier Damiani: Nelle tue mani sono tutti i tesori delle divine commiserazioni (De Nat. S. I.). S. Antonio: Chi domanda senza di essa tenta di volare senza ali (P. 4 tit. 15. c. 22). San Bernardino da Siena in un luogo dice: Tu sei la dispensatrice di tutte le grazie; la nostra salute è in tua mano. In altro luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine, da che fu fatta madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi si dispensano (Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8). E poi conchiude: Perciò si è che tutti i doni, le virtù, le grazie si dispensano per le mani della medesima a chi vuole, e come vuole. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: Tutta la divina natura essendo stata nell’utero della Vergine, ardisco dire, che questa Vergine dal cui seno come da un oceano della divinità derivano i fiumi di tutte le grazie, acquistò una tal quale giurisdizione sopra tutte le effusioni delle grazie.
Onde poi molti teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente hanno difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo dell’intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il Segneri, il Poirè, il Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale di Alessandro, il quale scrisse: Dio vuole che tutti i beni aspettiamo da Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine Madre, quando la invochiamo come conviene (Epist. 76 in calce, t. 4, Moral.). E ne adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: Questo è il volere di Colui che il tutto volle darci per Maria (Serm. De Aquaed.). E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù in croce dette a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così soggiunse: Quasi dicesse, niuno sarà partecipe del mio sangue se non per intercessione di mia madre. Le piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno deriveranno i rigagnoli, se non per il canale di Maria. O Giovanni discepolo, tanto sarai da me amato, quanto avrai amato Lei (Theol. ment. et cord. t. 2, 1. 10. d. 4. C. l.). Del resto è certo, che se Dio gradisce, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà che ci avvaliamo dell’intercessione di Maria, acciocché ella supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo. Parlando poi S. Tommaso della dignità di Maria, la chiama quasi infinita (1 part. q. 25. a. 6. ad 4.). Onde a ragione dicesi, che le preghiere di Maria sono più potenti appresso a Dio, che le preghiere di tutto il Paradiso insieme.

Conclusione

Terminiamo questo primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.


CAPO II

DEL VALORE DELLA PREGHIERA

I. - DELL’ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO

Sono sì care a Dio le nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a presentargli subito quelle che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S. Ilario, soprintendono alle orazioni dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio" (Cap. 18, in Matth.). Questo appunto è quel sacro fumo d’incenso, cioè le orazioni dei Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore, offertogli per mano degli Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo Apostolo, che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d’oro pieni di odori soavi, e molto graditi a Dio.
Ma per meglio intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere nelle divine scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così nell’antico come nel nuovo Testamento: Alza a me le tue grida, ed io ti esaudirò (Ger 33,3). Invocami, ed io ti libererò (Sal 49,15). Chiedete; ed otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt 7,7). Concederà il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché chi chiede riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa domanderanno, sarà loro concessa dal Padre mio (Mt 18,19). Qualunque cosa domandiate nell’orazione, abbiate fede di conseguirla, e la otterrete (Mr 11,24). Se alcuna cosa domanderete nel nome mio, io la darò (Gv 14,14). Qualunque cosa vorrete, la chiederete, e vi sarà conceduta (Gv 15,7). In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano.
Iddio ci vuol salvi, ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando adunque in questa vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiamo da combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni Crisostomo, potrà essere coronato senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). Noi siamo molto deboli, ed i nemici sono molti, ed assai potenti: come potremmo loro far fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno, come diceva l’Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Tutto potremo con l’orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà quella forza che noi non abbiamo. Scrisse Teodoreto, che l’orazione è onnipotente; ella è una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì che per la preghiera si ottiene l’acquisto di ogni bene, e lo scampo da ogni male (In Luc. 2). Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi per mezzo della preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri da tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). Sono forti le potenze dell’inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni, dice san Bernardo (Serm. 49, De modo bene viv. 5). Sì, perché con l’orazione l’anima acquista l’aiuto divino, che supera ogni potenza creata. Così si animava Davide nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò il mio Signore in aiuto, e sarò liberato da tutti i nemici (Sal 17,4). Insomma, dice S. Giovanni Crisostomo, l’orazione è un’arma valevole a vincere ogni assalto dei demoni, è una difesa, che ci conserva in qualunque pericolo; è un porto, che ci salva da ogni tempesta; ed è un tesoro insieme, che ci provvede d’ogni bene (In Ps. 145).

II. - DELLA FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.

Dio, conoscendo il gran bene che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine, (come si dice nel capo I) permette, che siamo assaliti dai nemici, affinché gli domandiamo l’aiuto che egli ci offre, e ci promette. Ma quanto si compiace allorché noi ricorriamo a Lui nei pericoli, altrettanto gli dispiace vederci trascurati nel pregare. Come il re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non gli chiede soccorso; così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente. Ben lo dichiarò Isaia, allorché da parte di Dio disse al re Achaz, che gli avesse domandato qualche segno affine di accertarsi del soccorso, che il Signore voleva dargli: Domanda a tua posta un segno al Signore tuo Dio (Is 7). L’empio re rispose: Io non voglio cercarlo, perché non voglio tentare Dio (Ibid. 12). E ciò disse perché confidava nelle sue forze di vincere i nemici senza l’aiuto divino. Ma il profeta indi lo rimproverò con dire: Udite dunque, casa di Davide: E’ egli adunque poco per voi il far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio? (Ibid. 13). Significandoci con ciò, che si rende molesto ed ingiurioso a Dio, chi lascia di domandargli le grazie che il Signore gli offre.
Poveri figli miei, dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso dei vostri peccati, non vi perdete d’animo, ricorrete a me con l’orazione, ed io vi darò la forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt 11,28). In altro luogo dice per bocca d’Isaia: "Uomini, ricorrete a me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non lasciate di venire: e vi do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che sarete a me ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve" (Is 1,18).
Che cos’è la preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un’ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità" (Hom. De Consubst. cont. Anon.). Che fa la preghiera? La preghiera, dice S. Lorenzo Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini da ciechi in illuminati, da deboli in forti, da peccatori in santi (De Perfect., c. 12). Chi ha bisogno di luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch’io sono ricorso a Dio, disse Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap 7,7). Chi ha bisogno di fortezza, la chieda a Dio, e gli sarà donata: subito ch’io ho aperta bocca a pregare, disse Davide, ho ricevuto da Dio l’aiuto (Sal 118,131). E come mai i santi Martiri acquistarono tanta fortezza da resistere ai tiranni, se non con l’orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti, e la morte?
Chi si serve insomma di questa grande arma dell’orazione, dice san Pier Crisologo, non cade in peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin da questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). Che serve dunque angustiarsi col dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia efficace e la perseveranza? Non vi affannate per niente, dice l’Apostolo, ma in ogni cosa siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell’orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie (Fil 4,6). Che serve, dice l’Apostolo, confondervi in queste angustie e timori? Via, discacciate da voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non valgono che a scemarvi la confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via della salute. Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e ringraziatelo sempre delle promesse che v’ha fatte, di concedervi i doni che bramate, sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la salute e tutto quello che desiderate.
Il Signore ci ha posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a resistere (1 Cr 10,13). E’ fedele perché subito soccorre chi l’invoca. Scrive il dotto eminentissimo cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per altro a darci sempre una grazia che sia uguale alla tentazione, ma è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci per mezzo della grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza bastante con cui possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5, par. 3). Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che umilmente lo chiede, onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere dalla tentazione. Restiamo vinti solo per nostra colpa, perché non preghiamo. Con l’orazione, scrive S. Agostino, ben si superano tutte le insidie e forze dei nemici (De sal. doc. c, 28).

III. - DIO E’ SEMPRE PRONTO AD ESAUDIRCI.

Dice S. Bernardino da Siena, che la preghiera è un’ambasciatrice fedele, ben nota al Re del Cielo, e solita d’entrare fin dentro al suo cuore, e di piegare con la sua importunità l’animo pietoso del Re a concedere ogni soccorso a noi miserabili, che gemiamo fra tanti combattimenti e miserie in questa valle di lacrime (I. 4 in Dom. 5 p. Pasc.). Ci assicura ben anche Isaia, che quando il Signore sente le nostre preghiere, subito si muove a compassione di noi e non ci lascia molto piangere, ma nello stesso punto ci risponde e concede quanto domandiamo (Is 30,19). Ed in altro luogo parla il Signore per bocca di Geremia, e di noi lagnandosi, dice: Perché voi dite che non volete più ricorrere a me, forse la mia misericordia è terra sterile per voi, che non sappia darvi alcun frutto di grazie? o terra tardiva che renda il frutto molto tardi? (Ger 2,31). Con ciò il nostro amoroso Signore volle darci ad intendere ch’egli non lascia mai d’esaudire, e subito, le nostre preghiere; e con ciò vuol anche rimproverare coloro che lasciano di pregarlo per diffidenza di non essere esauditi.
Se Dio ci ammettesse ad esporgli le nostre suppliche una volta al mese, sarebbe pur un gran favore. I re della terra danno udienza poche volte all’anno, ma Dio dà sempre udienza. Scrive il Crisostomo, che sta continuamente apparecchiato a sentire le nostre orazioni né si dà mai caso, che egli essendo pregato come si deve, non esaudisca chi lo prega (Hom. 52 in Matth.). E altrove dice, che quando noi preghiamo Dio, prima che terminiamo di esporgli le nostre suppliche, egli già n’esaudisce. Anzi di ciò ne abbiamo la promessa da Dio medesimo. Prima che abbiano finito di dire, li avrò uditi (Is 65,24). Il Signore, dice Davide, sta dappresso a tutti coloro che lo invocano con cuor verace. Egli farà la volontà di coloro che lo temono, ed esaudirà la loro preghiera, e li salverà (Sal 144,18). Ciò era quello di cui si gloriava Mosé dicendo: Non v’ha certo altra nazione, per grande che ella sia, la quale abbia tanto vicini a sé i suoi dei, come il Dio nostro è presente a tutte le nostre preghiere (Dt 4,7). Gli dei dei Gentili erano sordi a chi li invocava, perché erano misere creature che niente potevano; ma il nostro Dio, che può tutto non è già sordo alle nostre preghiere, ma sta sempre vicino a chi lo prega, e pronto a concedere tutte le grazie che gli si domandano. Signore (diceva il Salmista), ho conosciuto che Voi siete il mio Dio tutto bontà e misericordia, perché ogni volta che a Voi ricorro, subito mi soccorrete (Sal 55,10).

IV. - DOMANDIAMO A DIO COSE GRANDI

E’ meglio pregare che meditare

Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco, e Dio è tutto liberale, dice l’Apostolo, con chi lo chiama in aiuto (Rm 12). Giacché dunque, ci esorta S. Agostino, abbiamo a che fare con un Signore d’infinita potenza, e d’infinita ricchezza; non gli cerchiamo cose piccole e vili, ma domandiamogli qualche cosa di grande (In Ps. 62). Se uno cercasse al re una vile moneta, un quattrino, mi pare che costui farebbe al re un disonore. All’incontro noi onoriamo Dio, onoriamo la sua misericordia e la sua liberalità, allorché vedendoci miseri come siamo, ed indegni di ogni beneficio, gli cerchiamo nondimeno grazie grandi, affidati alla bontà di Dio, ed alla sua fedeltà per la promessa fatta di concedere a chi lo prega qualunque grazia che gli domanda: qualunque cosa vorrete, la chiederete e vi sarà concessa (Gv 15,7). Diceva S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che il Signore si sente così onorato, e tanto si consola quando gli cerchiamo le grazie, che in certo modo egli ci ringrazia, poiché così allora par che noi gli apriamo la via a beneficarci ed a contentare il suo genio, ch’è di fare bene a tutti. E persuadiamoci, che quando noi cerchiamo le grazie a Dio, egli ci dà sempre più dì quello che domandiamo: Che se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera (Gc 1,5). Così dice S. Giacomo, per dimostrarci che Dio non è come gli uomini, avaro dei suoi beni. Gli uomini ancorché ricchi, ancorché pii e liberali, quando dispensano elemosine, sono sempre stretti di mano, e per lo più donano meno di ciò che loro si domanda, perché la loro ricchezza, per quanto sia grande, è sempre ricchezza finita, onde quanto più danno, tanto più loro viene a mancare. Ma Dio dona i suoi beni, quando è pregato, abbondantemente, cioè, con la mano larga, dando sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua ricchezza è infinita; quanto più dà, più gli resta da dare. Perché soave sei tu, o Signore, e benigno e di molta misericordia per quei che t’invocano (Sal 85,4). Voi, mio Dio, diceva Davide, siete troppo liberale e cortese con chi v’invoca. Le misericordie che voi gli usate sono tanto abbondanti, che superano le sue domande.
In questo adunque, dice il Crisostomo, ha da consistere tutta la nostra attenzione, in pregare con confidenza, sicuri che pregando si apriranno a nostro favore tutti i tesori del Cielo. L’orazione è un tesoro: chi più prega, più ne riceve. Dice S. Bonaventura, che ogni volta che l’uomo ricorre devotamente a Dio con la preghiera, guadagna beni che valgono più che tutto il mondo (De perf. vitae, c. S). Alcune anime devote impiegano gran tempo nel leggere e in meditare, ma poco attendono a pregare. Non v’ha dubbio, che la lettura spirituale, e la meditazione delle verità eterne siano cose molto utili, ma assai più utile, dice S. Agostino, è il pregare. Nel leggere e meditare noi intendiamo i nostri obblighi, ma con l’orazione otteniamo la grazia di adempirli (In Ps. 75). Che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare, e poi non farlo, se non renderci più rei innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo quanto vogliamo, non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempirle.
E perciò, riflette S. Isidoro, che in nessun altro tempo il demonio più s’affatica a distoglierci col pensiero delle cure temporali, che quando si accorge, che noi stiamo pregando, e cercando le grazie a Dio (Lib. 3, Sent. e. 7). E perché? perché vede il nemico che in nessun altro tempo noi guadagniamo più tesori di beni celesti che quando preghiamo. Il frutto più grande dell’orazione mentale è questo: il domandare a Dio le grazie che ci abbisognano per la perseveranza, e per la salute eterna. Per questo principalmente l’orazione mentale è moralmente necessaria all’anima per conservarsi in grazia di Dio, se la persona non si raccoglie in tempo della meditazione a domandare gli aiuti che gli sono necessari per la perseveranza, non lo farà in altro tempo. Infatti senza meditare, non penserà al bisogno che ha di chiederli. All’incontro chi ogni giorno fa la sua meditazione ben vedrà i bisogni dell’anima, i pericoli in cui si trova, la necessità che ha di pregare; e così pregherà ed otterrà le grazie che lo faranno poi perseverare e salvarsi. Diceva parlando di sé Padre Segneri, che a principio della meditazione egli più si tratteneva in fare affetti, che in preghiere; ma conoscendo poi la necessità, e l’immenso utile della preghiera, d’indi in poi per lo più, nella molta orazione mentale ch’egli faceva, si applicava a pregare.
Io strideva come un tenero rondinino, diceva il devoto re Ezechia (Is 38,14). I pulcini delle rondini non fanno altro che gridare, cercando con ciò l’aiuto e l’alimento alle loro madri. Così dobbiamo sempre gridare, chiedendo a Dio soccorso per evitare la morte del peccato, e per avanzarci nel suo santo amore. Riferisce il padre Rodriguez, che i padri antichi, i quali furono i nostri primi maestri di spirito, fecero consiglio fra di loro, per vedere qual fosse l’esercizio più utile e più necessario per la salute eterna, e risolsero esser il replicare spesso la breve orazione di Davide: Muoviti, o Dio, in mio soccorso (Sal 69,1). Lo stesso (scrive Cassiano) deve fare chi vuol salvarsi, dicendo sempre: Dio mio, aiutatemi, Dio mio, aiutatemi. Questo dobbiamo fare dal principio che ci svegliamo la mattina, poi seguitarlo a fare in tutti i nostri bisogni e in tutte le applicazioni in cui ci troviamo, così spirituali, come temporali; e più specialmente poi quando ci vediamo molestati da qualche tentazione o passione. Dice S. Bonaventura, che alle volte più presto si ottiene la grazia con una breve preghiera, che con molte altre opere buone (De prof. rel. 1. 2. c. 65).
Soggiunge S. Ambrogio, che chi prega, già ottiene, poiché lo stesso pregare è ricevere. Quindi scrisse S. Crisostomo che non vi è uomo più potente di un uomo che prega; perché costui si rende partecipe della potenza di Dio. Per salire alla perfezione, diceva S. Bernardo, vi bisogna la meditazione e la preghiera; con la meditazione vediamo quel che ci manca, con la preghiera riceviamo quel che ci bisogna (De S. Andr. Serm. I).

Conclusione

Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile, come abbiamo veduto, secondo la divina Provvidenza ordinaria, ma pregando, il salvarsi è cosa sicura e facilissima. Non è necessario per salvarsi andare tra gli infedeli e dar la vita; non è necessario ritirarsi nei deserti a cibarsi di erbe. Che ci vuole a dire: Dio mio, aiutami, assistimi, abbi pietà di me? Vi è cosa più facile di questa? e questo poco basterà a salvarci, se saremo attenti a farlo. Specialmente esorta S. Lorenzo Giustiniani, a sforzarci di fare orazione almeno in principio di qualunque azione (Lig. vit. de or. e. 16). Attesta Cassiano, che i Padri esortavano sommamente a ricorrere a Dio con brevi ma frequenti preghiere. "Niuno faccia, diceva S. Bernardo, poco conto della sua orazione, giacché ne fa conto Iddio il quale, o ci dona allora ciò che cerchiamo, o ciò che è più utile per noi" (Serm. v, De Quadrag.). Ed intendiamo, che se non preghiamo, per noi non v’è scusa, perché la grazia di pregare è data a ognuno: in mano nostra sta l’orare, sempre che vogliamo, come di sé parlando, diceva Davide: Meco avrò l’orazione a Dio, che è mia vita; dirò a Dio: tu sei mio aiuto (Sal 41,9-10). Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina Legge, e perseverare sino alla morte; se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non avremo pregato.

CAPO III

DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA


I. - PREGARE PER SE STESSO

In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). E’ promessa adunque di Gesù Cristo, che, quando, in nome suo, domanderemo al Padre, tutto il Padre ci concederà; ma sempre si intende quando domanderemo con le dovute condizioni. Molti, dice S. Giacomo, cercano e non ottengono, perché malamente cercano (Gc 4,3). Onde S. Basilio, seguendo il detto dell’Apostolo, dice: "Appunto talvolta chiedi, e non ottieni, perché malamente hai domandato, o infedelmente, o con leggerezza, o chiedesti cose non convenienti, o hai desistito" (Const. mon. e. i, vers. fin.). Infedelmente, cioè con poca fede, ossia poca confidenza: con leggerezza; con poco desiderio di avere la grazia: cose non convenienti, cercando beni non giovevoli alla salute: hai desistito, senza perseveranza. Pertanto S. Tommaso riduce a quattro le condizioni richieste nella preghiera, acciocché si ottenga il suo effetto; cioè che l’uomo domandi: per se stesso, le cose necessarie alla salute, devotamente e con perseveranza (Qu. 83, a. 7, ad 2).

Ha Dio promesso di esaudire la preghiera fatta per gli altri?

La prima condizione dunque della preghiera è che si faccia per sé; poiché l’Angelico tiene che un uomo non può impetrare agli altri ex condigno (a titolo di giustizia) la vita eterna, e per conseguenza neppure quelle grazie che appartengono alla loro salute; mentre la promessa, come dice, sta fatta non per gli altri ma solamente a coloro che pregano: Ve la concederà (Gv 16,23). Ma ciò nonostante, vi sono molti dottori (CORN. A LAPID., Sylvest., Tolet., Habert et alii) che tengono l’opposto, appoggiati all’autorità di san Basilio, il quale insegna che l’orazione in virtù della divina promessa, ha infallibilmente il suo effetto, anche per gli altri per cui si prega, purché gli altri non vi mettano positivo impedimento. E si fondano sulle Scritture: Orate l’un per l’altro per essere salvati; imperciocché molto può l’assidua preghiera del giusto (Gc 5,16). Orate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano (Mt 5,44). E meglio sul testo di S. Giovanni: Chi sa che il proprio fratello pecca di peccato, che non mena a morte, chieda, e sarà data la vita a quello che pecca non a morte (Gv 5,16). Spiegano quel che pecca non a morte, S. Agostino, Beda, sant’Ambrogio ed altri, purché quel peccatore non sia tale che intenda di vivere ostinato sino alla morte; poiché per costui si richiederebbe una grazia molto straordinaria. Del resto per gli altri peccatori non rei di tanta malizia, l’apostolo promette a chi per essi prega, la loro conversione: chieda, sarà data la vita a quello che pecca (Mt 5,44).

Dobbiamo pregare per i peccatori

Per altro non si mette in dubbio, che le orazioni degli altri molto giovano ai peccatori, e sono molto gradite a Dio; e Dio si lamenta dei servi suoi che non gli raccomandano i peccatori, come se ne lamentò con S. Maria Maddalena de’ Pazzi; onde le disse un giorno: "Vedi, figlia mia, come i cristiani stanno nelle mani del demonio; se i miei diletti con le loro orazioni non li liberassero, resterebbero divorati". Ma specialmente ciò lo desidera il Signore dai sacerdoti e dai religiosi. Diceva la suddetta Santa alle sue monache: "Sorelle, Iddio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora perché noi lo plachiamo a favore dei peccatori". E il Signore stesso un giorno disse alla medesima: "Io ho dato a voi, elette spose, la città di rifugio, cioè la Passione di Gesù Cristo, acciocché abbiate dove ricorrere per aiutare le mie creature: perciò ricorrete ad essa, ed ivi porgete aiuto alle mie creature, che periscono, e mettete la vita per esse". Quindi la Santa infiammata di santo zelo, cinquanta volte al giorno offriva a Dio il Sangue del Redentore per i peccatori, e si consumava per desiderio della loro conversione, dicendo: "Oh che pena è, o Signore, il vedere di poter giovare alle tue creature, con mettere la vita per esse, e non poterlo fare!". Del resto ella in ogni esercizio raccomandava i peccatori a Dio, e si scrive nella sua vita, che quasi non passava ora del giorno, che la Santa non pregasse per essi; frequentemente anche si levava di notte, e andava al SS. Sacramento a pregare per i peccatori: e con tutto ciò una volta fu ritrovata a piangere dirottamente, ed interrogata perché, rispose: "Perché mi pare di non far niente per la salute dei peccatori". Giungeva ad offrirsi per la loro conversione patire anche le pene dell’inferno, purché ivi non avesse a odiare Dio; e più volte fu compiaciuta da Dio d’esser afflitta con gravi dolori ed infermità per la salute dei peccatori. Specialmente pregava per i sacerdoti, vedendo che la loro buona vita era cagione della salute degli altri, e la mala vita cagione della rovina di molti; e perciò pregava il Signore, che punisse le colpe sopra di lei, dicendo: "Signore, fammi tante volte morire, e tornare a vivere, sino ch’io soddisfaccia per essi alla tua giustizia". E narrasi nella sua Vita, che la Santa con le sue orazioni liberò molte anime dalle mani di Lucifero.
Ho voluto dire qualche cosa più particolare dello zelo di questa santa. Del resto tutte le anime, che sono veramente innamorate di Dio, non cessano di pregare per i poveri peccatori. E com’è possìbile, che una persona che ama Dio, vedendo l’amore che porta alle anime, e quel che ha fatto e patito Gesù Cristo per la loro salute, e il desiderio che ha questo Salvatore, che noi preghiamo per i peccatori; com’è possibile, dico, che possa poi vedere con indifferenza tante povere anime, che, vivono senza Dio, schiave dell’inferno, e non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e forza a quelle infelici per uscire dallo stato miserabile in cui dormono, e vivono perdute? E’ vero, che Dio non ha promesso di esaudirci, quando coloro, per cui preghiamo, mettono positivo impedimento alla loro conversione; ma molte volte il Signore per sua bontà, a riguardo delle orazioni dei suoi servi, con grazie straordinarie si è compiaciuto di ridurre a stato di salute i peccatori più accecati e ostinati. Pertanto non lasciamo mai, nel dire o sentir la Messa, nel far la Comunione, la Meditazione, o la visita del Santissimo Sacramento, di raccomandare sempre a Dio i poveri peccatori. E dice un dotto autore, che chi prega per gli altri, tanto più presto vedrà esaudite le preghiere che per se stesso. Sia detto ciò di passaggio, ma ritorniamo a vedere le altre condizioni che richiede S. Tommaso, affinché la preghiera abbia effetto.

II. - CHIEDERE COSE NECESSARIE ALLA SALUTE ETERNA.
L’altra condizione che il Santo assegna è che si domandino quelle grazie, che bisognano alla salute: cose necessarie alla salute; poiché la promessa alla preghiera non è fatta per le grazie temporali, che non sono necessarie alla salute dell’anima. Dice S. Agostino spiegando le parole del Vangelo, nel nome mio, riferite di sopra, che "non si chiede nel nome del Salvatore, tutto ciò che si chiede contro l’affare della salute" (Tract., 102 in Joan.). Alle volte noi cerchiamo alcune grazie temporali, e Dio non ci esaudisce; ma non ci esaudisce, dice lo stesso S. Dottore, perché ci ama, e vuole usarci misericordia (Ap. S. Prosp. Sent. 212). Il medico che ama l’infermo, non gli concede quelle cose, le quali vede che gli farebbero nocumento. Oh quanti se fossero infermi o poveri, non cadrebbero nei peccati, in cui cadono essendo sani o ricchi! E perciò il Signore taluni che gli cercano la sanità del corpo, o i beni di fortuna, glieli nega, perché li ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perdere la sua grazia, o almeno d’intiepidirsi nella vita spirituale. Del resto con ciò non intendo dire, essere difetto il chiedere a Dio le cose necessarie alla vita presente, per quanto convengono alla salute eterna, come lo chiedeva il Savio, dicendo: Concedimi quel che è necessario al mio vivere (Pro 30,8). Né è -difetto, dice S. Tommaso (2.a, 2.ae, q. 83. a. XVI) l’avere per tali beni una sollecitudine ordinata. Il difetto sta nel desiderare e cercare questi beni temporali, e l’aver per essi una sollecitudine disordinata; come in essi consistesse tutto il nostro bene. Perciò quando noi domandiamo a Dio queste grazie temporali, dobbiamo domandarle sempre con rassegnazione, e colla condizione se sono per giovarci all’anima. E quando vediamo che il Signore non ce le concede, teniamo per certo ch’egli ce le nega per l’amore che ci porta, e perché vede che ci sarebbero dannose alla salute spirituale.
Molte volte noi chiediamo a Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio neppure ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che allora Dio ciò permette anche per nostro maggior bene. Non sono le tentazioni ed i mali pensieri, che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi. Quando l’anima nella tentazione si raccomanda a Dio, e col suo aiuto resiste, oh, come avanza allora nella perfezione, e viene a stringersi di più con Dio! e perciò il Signore non l’esaudisce. Pregava san Paolo istantemente per essere liberato dalle tentazioni d’impurità: Mi è stato dato lo stimolo della carne, un angelo di Satana che mi schiaffeggia. Sopra di che tre volte pregai il Signore, che me ne fosse tolto (2Cr 12,7-8). Ma il Signore gli rispose: Basta a te la mia grazia. Sicché anche nelle tentazioni dobbiamo pregare Dio con rassegnazione, dicendo: Signore, liberatemi da questa molestia, se è espediente il liberarmene: e se no, almeno datemi l’aiuto per resistere. E qui fa quel che dice S. Bernardo, che quando noi cerchiamo a Dio qualche grazia, Egli o ci dona quella, o qualche cosa più utile di quella. Dio molte volte ci lascia a patire nella tempesta, al fine di provare la nostra fedeltà, e per nostro maggior profitto. Sembra, che allora Egli sia sordo alle nostre preghiere; ma no, stiamo sicuri, che Dio allora ben ci sente e ci aiuta di nascosto, fortificandoci con la sua grazia a resistere ad ogni insulto dei nemici. Ecco come Egli stesso ce ne assicura per bocca del Salmista: M’invocasti nella tribolazione, ed io ti liberai: ti esaudii nella cupa tempesta: feci prova di te alle acque di contraddizione (Sal 80,7).
Le altre condizioni finalmente, che assegna S. Tommaso alla preghiera, sono che si preghi devotamente, e con perseveranza. Devotamente, s’intende con umiltà e confidenza; con perseveranza, senza lasciar di pregare sino al la morte. Or di queste condizioni, cioè dell’umiltà, confidenza e perseveranza, che sono le più necessarie alla preghiera, bisogna qui di ciascuna distintamente parlare.


III. - PREGARE CON UMILTÀ.

Quanto l’umiltà sia necessaria alla preghiera.

Il Signore ben guarda le preghiere dei suoi servi, ma dei servi umili (Sal 101,18). Altrimenti non le riguarda, ma le ributta. Dio resiste ai superbi, e agli umili dà la grazia (Gc 6,6). Dio non sente le orazioni dei superbi, che confidano nelle loro forze, e perciò li lascia nella loro propria miseria; ed in tale stato essi, privi del divino soccorso senza dubbio si perderanno. Ciò piangeva Davide: Io, diceva, ho peccato, perché non sono stato umile (Sal 118,67). E lo stesso avvenne a S. Pietro, il quale quantunque fosse stato avvisato da Gesù Cristo, che in quella notte tutti essi discepoli dovevano abbandonarlo: Tutti voi patirete scandalo per me in questa notte (Mt 26,31), egli nondimeno invece di conoscere la sua debolezza, e di domandare aiuto al Signore per non essergli infedele, troppo fidando nelle sue forze, disse, che se tutti l’avessero abbandonato, egli non l’avrebbe mai lasciato: Quando anche tutti fossero per patire scandalo per te, non sarà mai che io sia scandalizzato (Mt 26,33). E ancorché il Redentore nuovamente gli predicesse, che in quella notte prima di cantare il gallo l’avrebbe negato tre volte, pure fidando nel suo animo si vantò dicendo:
Quand’anche dovessi morire teco, non ti negherò (Ibid. 35). Ma che avvenne? Appena il miserabile entrò nella casa del Pontefice e fu rimproverato per discepolo di Gesù Cristo, egli tre volte infatti lo negò con giuramento, dicendo di non averlo mai conosciuto (Ibid. 72). Se Pietro si fosse umiliato, e avesse domandata al Signore la grazia della costanza, non lo avrebbe negato.
Dobbiamo tutti persuaderci, che noi stiamo come sulla cima di un monte sospesi sull’abisso di tutti i peccati, e sostenuti dal solo filo della grazia; se questo filo ci lascia, noi certamente cadiamo in tale abisso, e commetteremo le scelleratezze più orrende: Se Dio non mi avesse soccorso, sarei caduto in mille peccati, ed ora starei nell’inferno (Sal 93,17); così diceva il Salmista, e così deve dire ognuno di noi. Questo intendeva ancora san Francesco di Assisi, quando diceva, ch’esso era il peggiore peccatore del mondo. Ma, padre mio, gli disse il compagno, questo che dite, non è vero; vi sono molti nel mondo che certamente sono peggiori di voi. Sì che è troppo vero quel che dico, rispose il Santo, perché se Dio non mi tenesse le mani sopra, io commetterei tutti i peccati.
E’ di fede che senza l’aiuto della grazia non possiamo noi fare alcuna opera buona, e neppure avere un buon pensiero. Gli uomini, dice S. Agostino, senza la grazia, nulla possono fare di bene o col pensare, o con l’operare (De correct. et grat. c. II). Come l’occhio non può vedere senza la luce, così diceva il Santo, l’uomo non può fare alcun bene senza la grazia. E prima già lo disse l’Apostolo: Non perché noi siamo idonei a pensare alcuna cosa da noi come da noi, ma la nostra idoneità è da Dio (2 Cr 3,5). E prima dell’Apostolo lo disse già Davide: Se il Signore non edifica egli la casa, invano si affaticano quelli che la edificano (Sal 126,1). Indarno si affatica l’uomo a farsi santo, se Dio non vi mette la sua mano: Se il Signore non sarà egli il custode della città, indarno vigila colui che la custodisce (Ibid.). Se Dio non custodisce l’anima dai peccati, invano attenderà ella a custodirsi con le sue forze. E perciò si protestava poi il santo Profeta: Dunque non voglio sperare nelle mie armi ma solo in Dio che può salvarmi (Sal 42,7).
Onde chi ritrovasi fatta qualche cosa di bene, o non si trova caduto in maggiori peccati di quelli che ha commessi, dica con san Paolo: Per la grazia del Signore, sono quel che sono (1 Cr 15,10). E per la stessa ragione non deve lasciar di tremare e temere di cadere in ogni occasione: Per la qual cosa chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere (1 Cr 10,12). E con ciò il santo Apostolo vuole avvertirci, che sta in gran pericolo di caduta, chi si tiene sicuro di non cadere. E ne assegna la ragione in altro luogo dove dice: Imperocché se alcuno si tiene di esser qualche cosa, mentre non è nulla, questi seduce se stesso (Gal 6,3). Onde scrisse saggiamente sant’Ambrogio che in molti la presunzione di esser fermi è di ostacolo alla loro fermezza; nessuno certamente sarà fermo, se non chi si crede infermo (Serm. 76, n. 6. E. Bn.). Se taluno dice di non aver timore, è segno che costui fida in se stesso, e nei suoi propositi fatti; ma questi con tal confidenza perniciosa da sé medesimo viene sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi a Dio ed allora certamente cadrà. E così parimenti bisogna che ciascuno si guardi di ammirarsi con qualche vanagloria dei peccati degli altri; deve allora più presto tenersi in quanto a sé, per peggiore degli altri e dire: Signore, se voi non mi aveste aiutato avrei fatto peggio. Altrimenti permetterà il Signore, in castigo della sua superbia, che cada in colpe maggiori e più orrende. Pertanto ci avvisa l’Apostolo a procurarci l’eterna salute; ma come? sempre temendo e tremando (Fil 2,12). Sì, perché quegli che molto teme di cadere, diffida delle sue forze, perciò riponendo la sua confidenza in Dio, a Lui ricorrerà nei pericoli; Dio lo soccorrerà, e così vincerà le tentazioni, e si salverà.
S. Filippo Neri, camminando un giorno per Roma, andava dicendo: Sono disperato. Un certo religioso lo corresse: ma il Santo allora disse: Padre mio, sono disperato di me, ma confido in Dio. Così bisogna che facciamo noi, se vogliamo salvarci; bisogna che viviamo sempre disperati delle nostre forze; poiché così facendo, imiteremo S. Filippo, il quale, dal primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: Signore, tenete oggi le mani sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce.
Questa dunque per concludere, è tutta la grande scienza di un cristiano, dice sant’Agostino, il conoscere che niente egli è, niente può (In Ps. 70). Perciò così non cesserà di procurarsi da Dio con le preghiere quella forza che non ha, e che gli bisogna per resistere alle tentazioni e per fare il bene, ed allora farà tutto col soccorso di quel Signore, che non sa negare niente a chi lo prega con umiltà. La preghiera di un’anima umile penetra i cieli, e presentandosi al trono divino, di là non parte senza che Dio la guardi e l’esaudisca (Ecli 35). E siasi quest’anima resa rea di quanti peccati si voglia, Dio non sa disprezzare il cuore che si umilia (Sal 50,19). Quando il Signore è severo con i superbi e resiste alle loro domande, altrettanto è benigno e liberale con gli umili (Gc 4,6). Questo appunto disse un giorno Gesù a S. Caterina da Siena: Sappi o figlia, che chi umilmente persevera a chiedermi le grazie, farà acquisto di tutte le virtù" (Ap. Blos in concl. c. 3).

Dobbiamo preferire la via comune alla via straordinaria

Giova qui addurre un bell’avvertimento, che fa alle anime spirituali che desiderano di farsi sante, il dotto e piissimo mons. Palafox vescovo d’Osma, nell’annotazione che fa sulla lettera XVIII di S. Teresa. Ivi la Santa scrive al suo confessore, e gli dà conto di tutti i gradi d’orazione soprannaturale, con cui il Signore l’aveva favorita. All’incontro il citato prelato scrive che queste grazie soprannaturali, che Dio si degnò di fare a S. Teresa, ed ha fatte ad altri santi, non sono necessarie per giungere alla santità, poiché molte anime senza di esse vi sono giunte: e per contrario molte vi sono giunte, e poi si sono dannate. Pertanto dice di esser cosa superflua anzi presuntuosa, il desiderare e cercare tali doni soprannaturali, mentre la vera ed unica strada per diventare un’anima santa è l’esercitarsi nelle virtù, nell’amare Dio; al che si arriva per mezzo dell’orazione, e col corrispondere ai lumi ed aiuti di Dio, il quale altro non vuole che vederci santi (1 Ts 4,3).
Quindi il suddetto pio scrittore, parlando dei gradi dell’orazione soprannaturale, di cui scriveva la Santa, cioè dell’orazione di quiete, del sonno e sospensione delle potenze, dell’estasi, del ratto, del volo ed impeto di spirito e della ferita spirituale; saggiamente scrive e dice, che in quanto all’orazione di quiete, ciò che noi dobbiamo desiderare e domandare a Dio è, che ci liberi dall’attacco e dal desiderio dei beni mondani, che non danno pace, ma apportano inquietudine ed afflizione allo spirito: vanità delle vanità, ben li chiamò Salomone, afflizione di spirito (Ecli 1,2.14). Il cuore dell’uomo non troverà mai vera pace, se non si vuota di tutto ciò che non è Dio, per lasciare luogo al di Lui santo amore, affinché egli solo tutto lo possieda. Ma ciò l’anima da sé non può farlo; bisogna che l’ottenga dal Signore con replicate preghiere.
In quanto al sonno e sospensione delle potenze, dobbiamo chiedere a Dio la grazia di tenerle sopite per tutto il temporale, e solamente svegliate per considerare la divina bontà e per ambire l’amor divino, ed i beni eterni.
In quanto all’unione delle potenze, preghiamo che ci doni la grazia di non pensare, di non cercare, e di non volere se non quello che vuole Iddio; poiché tutta la santità e la perfezione dell’amore consiste nell’unire la nostra volontà con la volontà del Signore.
In quanto all’estasi e ratto, preghiamo Dio, che ci tragga fuori dall’amor disordinato di noi stessi e delle creature per tirarci tutti a sé.
In quanto al volo di spirito, preghiamolo a darci la grazia di vivere tutti staccati da questo mondo, e far come fanno le rondini che anche per alimentarsi non si fermano sulla terra, ma volando prendono il loro alimento: viene a dire che ci serviamo di questi beni temporali per quanto bisogna a sostenere la vita, ma sempre volando, senza fermarci sulla terra a cercare i gusti mondani.
In quanto all’impeto di spirito, preghiamo Dio, che ci doni il coraggio e la fortezza di farci violenza quanto bisogna per resistere agli assalti dei nemici, per superare le passioni, per abbracciare il patire anche in mezzo alle desolazioni e tedii spirituali.
In quanto finalmente alla ferita d’amore, siccome la ferita con il suo dolore rinnova sempre la memoria del suo male, così dobbiamo pregare Iddio di ferirci talmente il cuore col suo santo amore, che abbiamo sempre a ricordarci della sua bontà, e dell’affetto che ci ha portato; e con ciò viviamo continuamente amandolo e compiacendolo con le nostre opere ed affetti.
Ma tutte queste grazie non si ottengono senza l’orazione; e con l’orazione, purché ella sia umile, confidente e perseverante, tutto si ottiene.

IV. - PREGARE CON FIDUCIA.

Eccellenza e necessità della fiducia

L’avvertimento principale che ci fa l’Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la preghiera ottenere da Dio le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura di essere esauditi se preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede senza niente esitare (Gc 1,6). Insegna S. Tommaso, che l’orazione, siccome prende la forza di meritare dalla carità, così all’incontro ha efficacia di impetrare dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo stesso insegna S. Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene le divine misericordie (Serm. III, De annunt.).
Troppo si compiace il Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché allora noi veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che egli col crearci ha inteso di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio Dio, dice il profeta regale, tutti quelli che sperano in voi, poiché essi saranno eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi (Sal 5,11). Iddio protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7). Oh, le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano in Dio! Chi spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22). Sì, perché dice David: il Signore tiene gli occhi rivolti a tutti coloro che lo temono e confidano nella sua bontà per liberarli col suo aiuto dalla morte del peccato (Sal 32,18-19). Ed in altro luogo dice il medesimo Dio: Perché egli ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò... lo trarrò (dalla tribolazione), e lo glorificherò (Sal 90,14-15). Si noti la parola perché egli ha confidato in me, io lo proteggerò, lo libererò dai suoi nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente gli darò la gloria eterna. Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro speranza in Dio dice: Questi lasceranno di esser deboli come sono, ed acquisteranno in Dio una gran fortezza; non mancheranno, anzi neppure proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma correranno e voleranno come aquile (Is 40,31). Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa lo stesso Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere, cioè nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle nostre industrie, ed ai mezzi umani (Is 30,15).
E dove mai s’è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto? (Ecli 2,11). Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi mai a perdere: In te ho posta la mia speranza, non resti io confuso giammai (Sal 30,1). E che forse, dice sant’Agostino, Iddio può essere ingannatore, mentre egli si offre a sostenerci nei pericoli, se a lui ci appoggiamo, e poi vorrà da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? David chiama beato chi confida nel Signore (Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo stesso profeta, chi confida in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina misericordia (Sal 31,10). Sicché costui sarà talmente d’ogni intorno cinto e guardato da Dio, che resterà sicuro dai nemici e dal pericolo di perdersi.
Perciò l’Apostolo tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio, la quale (ci avvisa) certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35). Quale sarà la nostra fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio; se sarà grande la fiducia, grandi saranno ancora le grazie. Scrive S. Bernardo, che la divina misericordia è una fonte immensa; chi vi porta il vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta maggior abbondanza di beni (Serm. 3, De annunt.). E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal 32,22). Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore, lodando la sua confidenza: Va’, e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt 8,13). E rivelò il Signore a S. Geltrude che chi lo prega con confidenza, gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non può non esaudirlo in tutto ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Climaco, fa violenza a Dio, ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28).
Accostiamoci adunque, ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia, a fine di ottenere misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb 4,16). Il trono della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede alla destra del Padre, non in trono di giustizia, ma di grazia, per ottenerci il perdono, se ci ritroviamo in peccato, e l’aiuto a perseverare, se godiamo la sua amicizia. A questo trono bisogna che ricorriamo sempre con fiducia, cioè con quella confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza stabile e sicura. Chi all’incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che costui non pensi di ricevere niente: Imperocché chi esita è simile al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Non si pensi dunque un tal uomo di ottenere cosa alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà perché la sua ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia di esaudire le sue domande. Non hai ricevuto la grazia, dice S. Basilio, perché l’hai domandata senza confidenza (Const. Monac. c. 2). Disse Davide, che la nostra confidenza in Dio dev’essere ferma come un monte, che non si muove a qualunque urto di vento: Coloro che confidano nel Signore, sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme (Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci ammonì il Redentore, se vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia grazia che domandiate, state sicuri di averla e così l’otterrete (Mr 11,24).

Fondamento della nostra fiducia

Ma dove, dirà taluno, io miserabile debbo fondare questa confidenza certa di ottenere quel che domando? dove? sulla promessa fatta da Gesù Cristo Cercate ed avrete (Gv 16,24). Come possiamo dubitare, dice sant’Agostino, di non essere esauditi, quando Iddio che è la stessa verità promette di concederci ciò che pregando gli domandiamo? Certamente il Signore non ci esorterebbe a chiedergli le grazie, se non ce le volesse concedere (Serm. 105). Ma questo è quello a cui Egli tanto ci esorta, e tante volte ce lo replica nelle sacre Scritture: pregate, domandate, cercate ecc., ed otterrete quanto desiderate. E perché noi lo preghiamo con la confidenza dovuta, il Salvatore ci ha insegnato nell’orazione del Pater noster, che noi ricorrendo a Dio per ricevere le grazie necessarie alla nostra salute (che già nel Pater noster tutte si contengono), lo chiamiamo non Signore, ma Padre, Pater noster. Mentre vuole, che noi chiediamo a Dio le grazie con quella confidenza, con la quale il figlio povero o infermo cerca il sostentamento o la medicina al suo proprio padre. Se un figlio sta per morire di fame, basta che lo palesi al padre, e questi subito lo provvederà di cibo. E se ha ricevuto qualche morso di serpe velenoso, basterà che presenti al padre la ferita ricevuta, perché il padre applichi il rimedio che già tiene.
Fidati dunque alle divine promesse, domandiamo sempre con confidenza, non vacillanti, ma stabili e fermi, come dice l’Apostolo (Eb 10,23). Come è certo intanto, che Dio è fedele nelle sue promesse, così deve essere certa ancora la nostra confidenza, che egli ci esaudisca quando lo preghiamo. E se qualche volta, ritrovandoci forse noi in stato di aridità, o disturbati da qualche difetto commesso, non proviamo nel pregare quella confidenza sensibile che vorremmo sentire, sforziamoci ugualmente a pregare, perché Dio non lascerà di esaudirci. Anzi allora meglio ci esaudirà, poiché allora pregheremo più diffidati da noi, e solo confidati nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega. Oh, come piace al Signore in tempo di tribolazioni, di timori e di tentazioni il nostro sperare, anche contro la speranza, cioè contro quel sentimento di diffidenza che proviamo allora per causa della nostra desolazione. Di ciò l’Apostolo loda il patriarca Abramo: il quale contro alla speranza credette (Rm 4,18).
Dice S. Giovanni, che chi ripone una ferma confidenza in Dio, certamente si santifica come egli pure è santo (1 Gv 3,3). Perché Dio fa abbondare le grazie in tutti coloro che in lui confidano. Con questa confidenza tanti martiri, tante verginelle, tanti fanciulli, nonostante lo spavento dei tormenti che loro preparavano i tiranni, hanno superato i tormenti e le sofferenze.
Talvolta, dico, noi preghiamo, ma ci sembra che Dio non voglia ascoltarci; deh, non lasciamo allora di perseverare a pregare ed a sperare! Diciamo allora con Giobbe: Quand’anche mi desse la morte, in lui spererò (Gb 13,15). Quasi dicesse: Dio mio, ancorché mi discacciaste dalla vostra faccia, io non lascerò di pregarvi, e di sperare nella vostra misericordia. Facciamo così, e ne avremo quel che vorremo dal Signore. Così fece la donna Cananea, ed essa ottenne tutto ciò che volle da Gesù Cristo. Questa donna, avendo la sua figlia invasata dal demonio, pregò il Redentore che ne la liberasse: Abbi pietà di me, Signore, figlio di Davide: mia figlia è malamente tormentata dal demonio (Mt 15,22). Il Signore le rispose ch’egli non era stato mandato per i Gentili, come ella era, ma per i Giudei. Ma quella non si perdette d’animo, e ritornò a pregare con confidenza: Signore, voi potete consolarmi, mi avete da consolare. Replicò Gesù Cristo: Ma il pane dei figli non è bene darlo ai cani. Ma, Signor mio, ella soggiunse, anche ai cagnolini si dispensano le briciole di pane che cadono dalla mensa. Allora il Salvatore, vedendo la grande confidenza di questa donna, la lodò, e le fece la grazia, dicendo: O donna, grande è la tua fede: ti sia fatto, come desideri. E chi mai, dice l’Ecclesiastico, ha chiamato Dio in suo aiuto, e Dio l’ha disprezzato e non l’ha soccorso? (Ecli 2,12).
Dice S. Agostino, che la preghiera è una chiave, la quale apre il cielo a nostro bene: nello stesso punto in cui la nostra preghiera sale a Dio, discende a noi la grazia che domandiamo (Serm. 47). Scrisse il profeta regale, che vanno unite insieme le nostre suppliche con la misericordia di Dio: Benedetto Dio, il quale non ha allontanato da me né la mia orazione, né la sua misericordia (Sal 65,19). E dice il medesimo S. Agostino, che quando noi ci troviamo pregando il Signore, dobbiamo star sicuri, che egli già ci esaudisce (In Ps. 45).
Ed io, dico la verità, non mai mi sento più consolato nello spirito, e con maggior confidenza di salvarmi, che quando mi trovo pregando Dio, ed a lui mi raccomando. E lo stesso penso, che avvenga a tutti gli altri fedeli, poiché gli altri segni della nostra salvezza sono tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza, è verità certa ed infallibile, com’è infallibile, che Dio non può mancare alle sue promesse.
Quando ci vediamo deboli ed impotenti a superare qualche passione o qualche difficoltà, per eseguire ciò che il Signore da noi domanda, diciamo animosi con l’Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Non diciamo, come dicono alcuni: Non posso, non mi fido. Con le forze nostre non possiamo certamente niente, ma col divino aiuto possiamo tutto. Se Dio dicesse ad uno: prendi questo monte sulle tue spalle, e portalo, perché io ti aiuto; non sarebbe colui uno sciocco, un infedele, se rispondesse: io non lo voglio prendere, perché non ho forza di portarlo? E così, quando noi ci conosciamo miseri ed infermi quali siamo, e ci troviamo più combattuti dalle tentazioni, non ci perdiamo d’animo, alziamo gli occhi a Dio, e diciamo con David: Con l’aiuto del mio Signore io vincerò, e disprezzerò tutti gli assalti dei miei nemici (Sal 117,7). E quando ci troviamo in qualche pericolo di offendere Dio, o in altro affare di conseguenza, e confusi non sappiamo che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio dicendo: Il Signore è la mia luce e mia salute: che ho io da temere? (Sal 26,1). E siamo sicuri, che Iddio allora ben ci illuminerà, e ci salverà da ogni danno.

Anche i peccatori debbono aver fiducia

Ma io sono peccatore, dice taluno, e nella Scrittura si legge: Iddio non esaudisce i peccatori (Gv 9,31). Risponde S. Tommaso con Sant’Agostino che ciò fu detto dal cieco, il quale parlava allorché non era stato illuminato ancora perfettamente, e perciò non fa autorità (2, 2.ae, q. 83, art. 16. ad 1). Per altro, soggiunge l’Angelico, che ciò sta ben detto, parlando della domanda che fa il peccatore, in quanto è peccatore, cioè quando egli domanda per desiderio di seguitare a peccare: per esempio, si chiedesse aiuto per vendicarsi del suo nemico, o per seguire altra sua prava intenzione. E lo stesso dicesi di quel peccatore che prega Dio a salvarlo, senza avere alcun desiderio di uscire dallo stato di peccato... Vi sono alcuni infelici che amano le catene, con le quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perché sono preghiere temerarie e abominevoli. E qual maggior temerità di colui che domanda grazia ad un principe, che non solo ha più volte offeso, ma che pensa di seguitare ad offendere? E così s’intende quel che dice lo Spirito Santo, esser detestabile e odiosa a Dio, la preghiera di colui che volta le orecchie per non ascoltare ciò che Dio comanda (Pro 28,9). A questi tali dice il Signore: Non occorre che voi mi preghiate, perché io volterò gli occhi da voi, e non vi esaudirò (Is 1,15). Tale era appunto l’orazione dell’empio re Antioco, che pregava Dio, e prometteva grandi cose, ma fintamente, e col cuore ostinato nella colpa, pregando solo per sfuggire il castigo che lo sovrastava: perciò il Signore non diede orecchio alle sue preghiere, ma lo fece morire roso dai vermi (2 Mc 9,13).
Altri poi che peccano per fragilità, o per impeto di qualche gran passione, o gemono sotto il giogo del nemico e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio; l’orazione di costoro, se ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore il quale dice, che ognuno che domanda, riceve, e chi cerca la grazia, la ritrova (Mt 7,8). Ognuno, spiega l’autore dell’opera imperfetta, o giusto sia o peccatore (Homil. XVIII). Ed in san Luca, parlando Gesù Cristo di colui che chiede tutti i pani che aveva all’amico, non tanto per l’amicizia, quanto per la di lui importunità disse: Vi dico che quando anche non si levasse a darglieli per la ragione che quegli è un suo amico, si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Sicché la preghiera perseverante ottiene da Dio la misericordia anche a coloro che non sono suoi amici. Quel che non si ottiene per l’amicizia, dice il Crisostomo, si ottiene per la preghiera. Anzi dice lo stesso Santo che vale più appresso a Dio l’orazione, che l’amicizia; e che l’orazione compie ciò che l’amicizia non aveva compiuta (Hom. Non esse desp.). E S. Basilio non dubita, che anche i peccatori ottengono quel che chiedono, se sono perseveranti in pregare (Const. Monast. c. i.). Lo stesso dice S. Gregorio: Alzi le grida anche il peccatore, e la sua orazione giungerà a Dio (In Ps. 6, Paenitent.). Lo stesso scrive san Girolamo, dicendo che anche il peccatore può chiamare Iddio suo Padre, se lo prega ad accettarlo di nuovo per figlio, con l’esempio del figlio prodigo, che lo chiamava padre. Padre, ho peccato, ancorché non fosse stato ancora perdonato (Epist. ad Damas. De filio prod.). Se Dio non esaudisse i peccatori, disse sant’Agostino, invano il Pubblicano avrebbe domandato il perdono (In Io. tract.). Ma ci attesta il Vangelo, che il Pubblicano col pregare, ben ottenne il perdono (Lc 18,15).
Ma sopra tutti esamina più a minuto questo punto il Dottore Angelico (2, 2.ae, q. 83, c. 16), e non dubita di asserire, che anche il peccatore è esaudito, se prega; dicendo, che sebbene la sua orazione non è meritoria, ha nondimeno la forza d’impetrare; poiché l’impetrazione non si appoggia alla giustizia, ma alla divina bontà. Così appunto pregava Daniele: Porgi, Dìo mio, il tuo orecchio e ascolta... poiché sulla fidanza non della nostra giustizia, ma delle molte tue misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia (Dn 9,18). Allorché dunque preghiamo, dice S. Tommaso, non è necessario l’essere amici di Dio, per impetrarne le grazie che cerchiamo; la stessa preghiera ci rende suoi amici (Comp. Theol. p. 2, c. 2). Inoltre aggiunge S. Bernardo una bella ragione, dicendo che tal preghiera del peccatore di uscire dal peccato, nasce dal desiderio di tornare in grazia di Dio; or questo desiderio è un dono che, certamente non gli viene dato da altri, che da Dio medesimo. A che dunque, dice poi il Santo, darebbe Iddio al peccatore un tal desiderio, se non volesse esaudirlo? E ben di ciò ve ne sono tanti esempi nelle stesse divine Scritture, di peccatori che pregando sono stati liberati dal peccato. Così fu liberato il re Acab (1 Re 21). Così il re Manasse (1 Sam 33). Così il re Nabucco (Dn 6). Così il buon ladrone. Gran cosa e gran valore della preghiera! Due peccatori muoiono sul Calvario accanto a Gesù Cristo, uno perché prega (ricordati di me) (Lc 23,42), si salva; l’altro perché non prega, si danna!
Insomma dice il Crisostomo (Hom. De Moyse): Nessun peccatore pentito ha pregato il Signore e non ha ottenuto quanto ha desiderato. Ma che servono più autorità e ragioni a ciò dimostrare, mentre Gesù medesimo dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò’? (Mt 11,28). Per aggravati, s’intendono comunemente, secondo S. Gìrolamo, S. Agostino ed altri, i peccatori che gemono sotto il peso delle loro colpe, i quali ricorrendo a Dio ben saranno da lui, giusta tal promessa, ristorati e salvati colla sua grazia. Ah! che non tanto noi, dice S. Giovanni Crisostomo, desideriamo d’esser perdonati, quanto anela Dio di perdonarci! (In act., Hom. 36). Non vi è grazia, soggiunge il Santo, che non si ottenga colla preghiera, ancorché questa si faccia da un peccatore il più perduto che sia, se ella è perseverante (Hom. 33 in Matth.). E notiamo quel che dice San Giacomo: Se alcuno è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente, e nol rimprovera (Gc 1,5). Tutti coloro adunque che ricorrono coll’orazione a Dio, egli non lascia d’esaudirli e di colmarli di grazie: dà a tutti abbondantemente. Ma si faccia special riflessione alla parola che segue: e nol rimprovera. Ciò significa che non fa Iddio come fanno gli uomini, che quando viene a domandare loro qualche favore, taluno, che prima in qualche occasione li ha offesi, subito gli rimproverano l’oltraggio da lui ricevuto. Non fa così il Signore con chi lo prega, fosse anche il maggior peccatore del mondo, quando gli domanda qualche grazia utile alla sua eterna salute, non gli rimprovera già i disgusti che ha dati, ma come se non l’avesse mai offeso, subito l’accoglie, lo consola, l’esaudisce, e abbondantemente l’arricchisce dei suoi doni. Sopra tutto per animarci a pregare, il Redentore dice: In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). Come dicesse: Orsù peccatori, non vi disanimate, non fate che i vostri peccati vi trattengano di ricorrere al mio Padre, e di sperare da esso la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti di ottenere le grazie che chiedete, ma solo avete demeriti per ricevere castighi; fate così, andate al Padre in nome mio, per i meriti miei chiedete le grazie che volete, ed io vi prometto e vi giuro, in verità, in verità vi dico (dice sant’Agostino esser questa una specie di giuramento), che quanto domanderete, il mio Padre vi concederà. O Dio! e qual maggior consolazione può avere un peccatore dopo le sue rovine, che sapere con certezza che quanto chiederà a Dio in nome di Gesù Cristo, tutto riceverà?
Dico, tutto, circa la salute eterna, perché intorno ai beni temporali già abbiamo detto di sopra che il Signore, anche pregato, alle volte non ce li concede, vedendo che tali beni ci nuocerebbero all’anima. Ma in quanto ai beni spirituali la sua promessa di esaudirci non è condizionata, ma assoluta; e perciò esorta S. Agostino che quelle cose che Dio assolutamente promette, noi dobbiamo domandarle con sicurezza di riceverle (Serm. 354, E. B.). E come mai, scrive il Santo, può negarci qualcosa il Signore, allorché noi lo preghiamo con confidenza, quando desidera più esso di dispensarci le sue grazie, che noi di averle? (Serm. 105).
Dice il Crisostomo che il Signore si adira con noi solo quando noi trascuriamo di cercargli i suoi doni (In Matth., Hom. 23). E come mai può succedere che Iddio non voglia esaudire un’anima, che gli cerca cose tutte di suo gusto? Quando l’anima gli dice: Signore, io non vi cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri, onori; ma solo vi domando la grazia vostra, liberatemi dal peccato, datemi una buona morte, datemi il Paradiso, datemi il Santo amor vostro (ch’è quella grazia, come dice san Francesco di Sales, che deve chiedersi a Dio sopra tutte le altre), datemi rassegnazione nella vostra volontà; com’è possibile che Dio non voglia esaudirla? E quali domande mai, dice sant’Agostino, esaudirete voi, mio Dio, se non esaudirete queste che sono tutte secondo il vostro cuore? (De Civ. Dei, LXXII. c. 8). Ma sopra tutto deve ravvivarsi la nostra confidenza, allorché chiediamo a Dio le grazie spirituali, ciò che disse Gesù Cristo. Se voi, dice il Redentore (Lc 11,13), che siete così cattivi, così attaccati ai vostri interessi, perché pieni d’amor proprio, non sapete negare ai vostri figli ciò che vi domandano; quanto più il vostro Padre celeste, che vi ama più d’ogni padre terreno, vi concederà i beni spirituali, allorché voi lo pregherete?


V. - PREGARE CON PERSEVERANZA
Necessità della perseveranza

E’ necessario dunque che le nostre preghiere siano umili e confidenti; ma ciò non basta per conseguire la perseveranza finale e con quella la salute eterna. Le preghiere particolari otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno, ma se non sono perseveranti, non otterranno la perseveranza finale, la quale, perché contiene il cumulo di molte grazie insieme, richiede moltiplicate preghiere, e continuate sino alla morte. La grazia della salute non è una sola grazia, ma una catena di grazie, le quali tutte poi si uniscono con la grazia della perseveranza finale. Ora a questa catena di grazie deve corrispondere un’altra catena, per così dire, delle nostre preghiere. Se noi trascurando di pregare spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la catena delle grazie che ci devono ottenere la salute e non ci salveremo.
E’ vero che la perseveranza finale non si può da noi meritare, come insegna il Concilio di Trento, dicendo: Non può ottenersi da nessun altro, se non da Colui che ha la potenza di rendere stabile quello che sta, acciocché perseverantemente stia (Sess. VI. c. 13). Nulladimeno, dice S. Agostino, che questo gran dono della perseveranza in qualche modo ben può meritarsi con le preghiere, cioè pregando impetrarsi (De dono persev. e. 6). E soggiunge il P. Suarez, che chi prega infallibilmente l’ottiene. Ma per ottenerlo e salvarsi, dice san Tommaso, è necessaria una perseverante e continua preghiera (P. 3. q. 39, a. 5). E prima lo disse più volte il nostro medesimo Salvatore: Bisogna sempre orare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate adunque in ogni tempo, pregando di essere fatti degni di schivare tutte queste cose che debbono avvenire; e di star con fiducia dinanzi al Figliolo dell’Uomo (Lc 21,36). Lo stesso sta detto prima nel Vecchio Testamento: Nessuna cosa ti ritenga dal sempre orare (Ecli 18,22). Benedici Dio in ogni tempo e pregalo, che regga i tuoi andamenti (Tb 4,20). Quindi l’Apostolo inculcava ai suoi discepoli, che non lasciassero mai di pregare: Orate senza interruzione (1 Ts 5,17). Siate perseveranti nell’orazione, vegliando in essa (Col 4,2). Bramo adunque che gli uomini preghino in ogni luogo (1 Tm 2,8). Il Signore certamente vuole dare la perseveranza, e la vita eterna. Ma dice S. Nilo, non vuol concederla se non a chi perseverantemente gliela domanda (De orat., c. XXXII). Molti peccatori con l’aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio, ed a ricevere il perdono; ma poi perché lasciano di cercare la perseveranza, tornano a cadere e perdono tutto.

Occorre chiedere di continuo la perseveranza finale

Né basta, dice il Bellarmino, chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte; dobbiamo cercarla sempre, in ogni giorno sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la cerca in un giorno, per quel giorno l’otterrà; ma se non la cerca nel domani, domani cadrà.
E ciò è quel che vuole darci ad intendere il Signore nella parabola di quell’amico, che non volle dare i pani a colui che glieli domandava, se non dopo molte ed importune richieste, dicendo: Quando anche non si levasse a darglieli per la ragione, che quegli è suo amico, si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Ora se un tale amico, dice S. Agostino, solo per liberarsi dell’importunità di lui, gli darebbe anche contro sua voglia i pani che chiede; quanto più Dio, ch’essendo bontà infinita ha tanto desiderio di comunicarci i suoi beni, ci donerà le sue grazie, quando gliene cerchiamo? (Serm. 61). Tanto più che Egli stesso ci esorta a chiederle, e gli dispiace se non le domandiamo. Ben vuole dunque il Signore concederci la salute e tutte le grazie per quella, ma vuole che noi non lasciamo di continuamente domandargliele sino all’importunità. Dice Cornelio a Lapide sul citato Evangelo: Dio vuole che perseveriamo nell’orazione sino a renderci importuni. Gli uomini della terra non possono sopportare gli importuni, ma Dio non solo ci sopporta, ma ci desidera importuni in cercargli le grazie, e specialmente la santa perseveranza. Dice S. Gregorio, che Dio vuole che gli si faccia violenza con le preghiere, poiché una tal violenza non già lo sdegna, ma lo placa (In Ps. 6, Poenit.).
Sicché per ottenere la perseveranza, bisogna che ci raccomandiamo sempre a Dio, la mattina, la sera, nella Meditazione, nella Messa e nella Comunione. E specialmente in tempo di tentazione, con dire, e replicare: Signore, aiutami, tienimi le mani sopra, non mi abbandonare, abbi pietà di me. Vi è cosa più facile di questa, che dire: Signore, aiutami, assistimi? Sulle parole del Salmista: Meco avrò l’orazione a Dio, che è mia vita (Sal 41,8), dice la Glossa: Taluno dirà: non posso digiunare. fare elemosina. Ove gli si dica, prega; non può similmente rispondere; perché non v’è cosa più facile che il pregare. Ma bisogna che non lasciamo mai di pregare, bisogna che continuamente facciamo, per così dire, forza a Dio, affinché ci soccorra, ma forza che gli è cara e gradita. Questa violenza è grata a Dio (Apol. c. 29), scrisse Tertulliano. E S. Girolamo disse, che le nostre preghiere, quanto sono più perseveranti ed importune tanto più sono accette a Dio (Hom. in Matth.).
Beato quell’uomo, dice Dio, che mi ascolta, e vigila continuamente alle porte della mia misericordia (Pro 7,34). Ed Isaia dice: Beati coloro che sino alla fine aspettano pregando, la loro salute dal Signore (Is 30, 18). Perciò nel Vangelo ci esorta Gesù Cristo a pregare, ma in qual modo? Chiedete, e vi sarà dato: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Lc 11,9). Bastava aver detto chiedete: che serviva aggiungere quel cercate, e picchiate? Ma no, che non fu superfluo l’aggiungerli; con ciò ha voluto il Redentore insinuarci, che noi dobbiamo fare, come fanno i poveri che vanno mendicando: questi se non ricevono l’elemosina che chiedono e sono licenziati, non lasciano di domandarla, e di tornarla a chiedere, e se più non comparisse il padrone della casa, si mettono a bussare le porte, sino a rendersi molto importuni e molesti. Ciò vuole Dio che facciamo ancor noi: che preghiamo, e torniamo a pregare, e non lasciamo mai di pregare che ci assista, che ci soccorra, che ci dia luce, ci dia forza, e non permetta che mai abbiamo a perdere la sua grazia.
Dice il dotto Lessio che non può esser scusato da colpa grave chi non prega stando in peccato, o in pericolo di morte; o pure chi per notabile tempo trascura di pregare, cioè (come dice) per uno o due mesi. Ma ciò s’intende fuori del tempo di tentazioni; poiché chi si ritrova combattuto da qualche grave tentazione egli senza dubbio pecca, gravemente, se non ricorre per resistere a quella, vedendo che altrimenti si mette a prossimo, anzi certo pericolo di cadere.

Motivi per cui Dio differisce di concederci la perseveranza finale

Ma dirà taluno: giacché il Signore può e vuole darmi la santa perseveranza, perché non me la concede tutta in una volta, quando gliela domando? Sono molte le ragioni che ne assegnano i santi Padri. Iddio non la concede in una volta, e la differisce: primieramente per meglio provare la nostra confidenza; inoltre, dice S. Agostino, acciocché maggiormente noi la sospiriamo. Scrive il Santo che i doni grandi richiedono gran desiderio giacché i beni presto ricevuti non si tengono poi in quel pregio, che si tengono quelli che per lungo tempo sono stati desiderati (Serm. 61). Inoltre lo fa, acciocché noi non ci scordiamo di Lui: se noi stessimo sicuri già della perseveranza e della nostra salute, e non avessimo continuo bisogno dell’aiuto di Dio, per conservarci nella sua grazia e salvarci, facilmente ci scorderemmo di Dio. Il bisogno fa che i poveri frequentino le case dei ricchi. Onde il Signore per tirarci a sé, come dice S. Giovanni Crisostomo, per vederci spesso ai piedi suoi, affinché possa così maggiormente beneficarci, a questo fine si trattiene di darci la grazia compita della salute sino al tempo della nostra morte (Hom. XXX in Gen.). Inoltre lo fa, secondo lo stesso Crisostomo, affinché noi col proseguire nella preghiera ci stringiamo maggiormente a Lui con dolci legami d’amore (In Ps. 4). Quel continuo nostro ricorrere a Dio con le preghiere, e quell’aspettare con confidenza da Lui le grazie che desideriamo, oh, che grande incentivo e vincolo d’amore egli è, per infiammarci e legarci più strettamente con Dio!
Ma sino a quando si ha da pregare? Sempre, risponde il medesimo Santo, sino che riceviamo la sentenza favorevole della salute eterna, vale a dire sino alla morte: Non cessare (di pregare), finché non ottieni (Hom. XXIV in Matth.). E soggiunge che colui il quale dice: Io non lascerò di pregare fintanto che non mi salvo, quegli certamente si salverà. Se dirai: se non otterrò, non cesserò (dal pregare), certamente otterrai. Scrive l’Apostolo, che molti corrono al pallio, ma quell’uomo solamente lo riceve, che giunge a prenderlo: Non sapete voi che quelli che corrono nello stadio, corrono veramente tutti, ma uno solo riporta la palma? Correte in guisa da far vostro il premio (1 Cr 9,24). Non basta dunque il pregare per salvarci, bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio promette, ma promette solamente a coloro che sono costanti a pregarlo sino alla fine.

Conclusione: che non dobbiamo mai cessare di pregare

Sicché se vogliamo salvarci, dobbiamo fare come faceva Davide, che teneva sempre gli occhi rivolti al Signore, per implorare il suo soccorso, e non restare vinto dai suoi nemici: Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore: perché egli trarrà dai lacci i miei piedi (Sal 24,15). Siccome il demonio, non lascia di tenderci continue insidie per divorarci, secondo quel che scrive san Pietro (1 Pt 5,8), così dobbiamo noi continuamente star con le armi alla mano, per difenderci da un tal nemico, e dire col Profeta regale: Io non lascerò mai di combattere, sino a tanto che non vedrò sconfitti i miei avversari (Sal 17,37). Ma come potremo noi ottenere questa vittoria, così per noi importante e così difficile? Solo con le preghiere, ci risponde sant’Agostino, ma preghiere perseverantissime. E sino a quando? Sino che durerà il combattimento. Siccome di continuo dobbiamo combattere, così, dice S. Bonaventura, di continuo dobbiamo chiedere a Dio l’aiuto per non essere vinti (De uno conf. Serm. 5). Guai, dice il Savio, a chi in questa battaglia lascia di pregare! (Ecli 2,16). Noi ci salveremo, ci avvisa l’Apostolo, ma con questa condizione: se saremo costanti a pregare sempre con confidenza sino alla morte (Eb 3,6).
Diciamo dunque con lo stesso Apostolo, animati dalla misericordia di Dio, e dalle sue promesse: chi avrà da dividerci dall’amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione, il pericolo di perdere i beni di questa terra? le persecuzioni dei demoni o degli uomini? i tormenti dei tiranni? (Rm 8,35). No, egli diceva, niuna tribolazione, niuna angustia, pericolo, persecuzione o tormento potrà mai separarci dall’amore di Cristo: perché vinceremo tutto col divino aiuto, e combattendo per amore di quel Signore che ha data la vita per noi (Rm 8,37).
Il P. Ippolito Denazzo in quel giorno in cui risolse di lasciar la prelatura di Roma, e di darsi tutto a Dio, con l’entrare nella Compagnia di Gesù, temendo della sua infedeltà per causa della debolezza, diceva a Dio: Signore, or che mi sono dato tutto a voi, per pietà non mi abbandonate. Ma sentì dirsi da Dio nel suo cuore: Tu non mi abbandonare. Più presto, gli diceva Iddio, io dico a te che non mi lasci. E così finalmente il servo di Dio, confidato nella divina bontà e nel suo aiuto, concluse dicendo: Dunque, mio Dio, voi non lascerete me, ed io non lascerò voi.
Se vogliamo in conclusione che Dio non ci lasci, non dobbiamo lasciar noi di pregarlo sempre a non abbandonarci. Facendo così certamente egli sempre ci assisterà, e non permetterà mai che lo perdiamo, e ci separiamo dal suo amore. Ed a questo fine non solamente procuriamo di chiedere sempre la perseveranza finale, e le grazie necessarie per ottenerla, ma cerchiamo nello stesso tempo la grazia di seguire a pregare. Questo fu appunto quel gran dono che egli promise ai suoi eletti per bocca del Profeta: E spanderò sopra la casa di Davide, sopra Gerusalemme lo spirito di grazia e di orazione (Zc 12,10). Oh che grazia grande è lo spirito delle preci, cioè la grazia che Dio concede ad un’anima di sempre pregare! Non lasciamo adunque di chiedere sempre a Dio questa grazia, e questo spirito di preghiera, perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la perseveranza, ed ogni altro dono che desideriamo, poiché non può mancare la sua promessa di esaudire chi lo prega. Con questa speranza di sempre pregare, possiamo tenerci per salvi (Rm 8,24). Questa speranza, diceva il Venerabile Beda, ci darà l’entrata sicura nella Città del Paradiso (In Solemn. omn. Ss. Hom. 2).



ESERCIZI DEVOTI DA PRATICARSI

Dal

Regolamento di vita d’un cristiano
e
La vera sposa dì Cristo

di sant’Alfonso

Sarà molto bene che i genitori, maestri e maestre facciano imparare a memoria questi Atti ai figlioli e alle figliole, acciocché li facciano poi in tutta la vita.

Atti da farsi ogni mattino

In alzarsi la mattina faccia il segno della croce, e poi dica:

Mio Dio, vi adoro e v’amo con tutto il mio cuore.
Vi ringrazio di tutti i benefici, e specialmente di avermi conservato in questa notte.
Vi offro quanto farò e patirò in questo giorno, in unione delle azioni e patimenti di Gesù e di Maria, con intenzioni di acquistare tutte le indulgenze che posso.
Propongo di fuggire ogni peccato, e specialmente il tale... (è bene si faccia il proposito particolare su quel difetto, dove si suole più spesso cadere), e vi prego per l’amore di Gesù a darmi la perseveranza. Propongo, particolarmente nelle cose contrarie di uniformarmi alla vostra santa volontà, con dir sempre: Signore, sia fatto quel che volete voi.
Gesù, mio tenetemi la vostra santa mano sul capo. Maria SS., custoditemi voi sotto il vostro manto. E voi, Eterno Padre, aiutatemi per amore di Gesù e di Maria. Angelo mio Custode, Santi miei avvocati, assistetemi.
Un Pater, Ave e Credo, con tre Ave alla purità di Maria.

Cominciando a lavorare o studiare, dica: Signore, vi offerisco questa fatica.

Andando a mensa: Dio mio, benedite questo cibo e me, acciocché io non vi commetta difetto, e tutto sia a gloria vostra.

Dopo il pranzo: Vi ringrazio, Signore, di aver fatto bene a chi vi è stato nemico.

Quando suona l’ora: Gesù mio, vi amo; non permettete che io vi offenda, né ch’io mai m’abbia a separare da voi.

Nelle cose avverse: Signore, così avete voluto voi; così voglio.

In tempo di tentazioni replichi spesso: Gesù e Maria.

Quando conosce o dubita di qualche difetto o peccato commesso dica subito: Dio mio, me ne pento, per aver offeso voi, bontà infinita; non voglio farlo più. E se è stato peccato grave subito se ne confessi.

Atti da farsi ogni sera

Prima di porvi a riposare, fate l’esame della coscienza in questo modo:
1. ringraziare primieramente Dio di tutti i benefici ricevuti;
2, indi dare un’occhiata a tutte le azioni fatte e alle parole dette nella giornata, pentendovi di tutti i difetti commessi;
3 poi fate gli atti cristiani: di fede, di speranza, di carità, dì dolore. E terminate il tutto con il dire il Rosario e le Litanie della SS. Vergine.

Modo di sentire la Messa

Per sentire con devozione la Messa bisogna intendere che il Sacrificio dell’altare è lo stesso che si fece un giorno sul Calvario, con questa differenza che ivi si sparse realmente il Sangue di Gesù Cristo, e qui si sparge solo misticamente. Se voi vi foste trovato allora sul Calvario, con qual devozione e tenerezza avreste assistito a quel grande Sacrificio! Ravvivate dunque la fede e pensate che la stessa azione di allora si fa sull’altare, e che tal sacrificio non solo si offre dal sacerdote, ma da tutti gli assistenti: sicché in certo modo tutti fanno l’ufficio di sacerdoti nel dirsi la Messa, nella quale si applicano a noi in particolare i meriti della Passione del Salvatore.
Inoltre bisogna sapere che per quattro fini è stato istituito il Sacrificio della Messa:

1. per onorare Dio;

2. per soddisfare ai nostri peccati;

3. per ringraziarlo dei benefici;

4. per ottenere le grazie.

E’ bene dunque dividere la Messa in quattro parti.

l. Dal principio sino alla fine del Vangelo.

Offrite quel Sacrificio a Dio per onorarlo, dicendo così:
Mio Dio, adoro la vostra maestà infinita; vorrei onorarvi come voi meritate; ma quale onore posso darvi io, misero peccatore? vi offro l’onore che vi rende Gesù su questo altare.

2. Dal Vangelo sino all’Elevazione.

Offrite il Sacrificio in soddisfazione dei vostri peccati, dicendo: Signore, io detesto e mi pento sopra ogni male di tutti i disgusti che vi ho dati. In soddisfazione di essi offro il vostro Figlio che di nuovo si sacrifica per noi su quest’altare; e per i meriti suoi vi prego a perdonarmi e a darmi la santa perseveranza.

3. Dall’Elevazione sino alla Comunione.

Offrite Gesù all’Eterno Padre in ringraziamento di tutte le grazie che v’ha fatte, dicendo:
Signore, io non ho come ringraziarvi; vi offro il Sangue di Gesù Cristo in questa Messa e in tutte le Messe che attualmente si celebrano sulla terra.

4. Dalla Comunione sino alla fine.

Domanderete con confidenza le grazie che vi bisognano, e specialmente il dolore dei peccati, la perseveranza e l’amor divino; e raccomanderete a Dio specialmente i vostri parenti, i peccatori e le anime del purgatorio.
Io già non riprovo che nella Messa diciate anche le vostre orazioni vocali; ma nello stesso tempo vorrei che non lasciate di rendere a Dio i mentovati quattro debiti, di onore, di soddisfazione, di ringraziamento e di preghiera. E vi prego di sentir quante Messe potete. Ogni Messa, intesa nel modo che vi ho presentato, vi frutterà un tesoro di meriti.

Apparecchio alla Confessione

Prima di confessarsi il penitente domandi lume a Dio, acciocché gli faccia conoscere i peccati commessi, e gli dia grazia di averne un vero dolore e proposito di emendarsi. E in modo particolare si raccomandi a Maria Addolorata, affinché gli impetri tal dolore. Indi farà i seguenti atti:

Atto prima della Confessione

O Dio d’infinita maestà, ecco ai piedi vostri il traditore che vi ha tornato ad offendere, ma ora umiliato vi cerca il perdono. Signore, non mi discacciate. Voi non disprezzerete un cuore che s’umilia. Vi ringrazio che mi avete aspettato sino a questo punto e non mi avete fatto morire in peccato, mandandomi all’inferno come io meritavo. Spero, Dio mio, mentre mi avete aspettato, che per i meriti di Gesù Cristo mi perdoniate in questa confessione tutte le offese che vi ho fatte, delle quali, perché mi ho meritato l’inferno e perduto il Paradiso, me ne pento e mi addoloro. Ma sopra tutto, non tanto per l’inferno meritato, quanto perché ho offeso voi, bontà infinita, me ne dispiace con tutta l’anima mia. Io vi amo, o Sommo bene; e perché vi amo, mi dolgo di tutte le ingiurie che vi ho fatte. Io vi ho voltate le spalle, vi ho perduto il rispetto, disprezzata la vostra grazia, la vostra amicizia; insomma, Signore, volontariamente, vi ho perduto. Perdonatemi, per amor di Gesù Cristo, tutti i peccati miei mentre io me ne pento con tutto il cuore, li odio, li detesto e li abbomino sopra ogni male. E mi pento non solo dei peccati mortali, ma anche de’ veniali, perché ancora questi sono stati di vostro disgusto. Propongo per l’avvenire con la grazia vostra, di non offendervi più volontariamente. Sì, mio Dio, prima morire, che mai più peccare!

Se si è confessato di qualche peccato in cui è recidivo è bene che faccia proposito particolare di non cadervi più, con promettere di fuggire l’occasione e di pigliare i mezzi dati dal confessore, o che egli da se stesso giudica più efficaci per emendarsi.

Atto dopo la Confessione

Caro mio Gesù, quanto sono obbligato! Per i meriti del vostro sangue spero oggi di essere già perdonato: Ve ne ringrazio sommamente. Spero di venire in cielo a lodare per sempre le vostre misericordie. Dio mio, se finora tante volte vi ho perduto, io non vi voglio perdere più. Dio, oggi avanti voglio cambiare vita veramente. Voi meritate tutto il mio amore; io vi voglio amare davvero; non voglio vedermi più separato da voi. Io già vi ho promesso, ora vi torno a promettere di voler prima morire che offendervi. Vi prometto ancora di fuggirne l’occasione e di prendere il tal mezzo (determinate quale) per non più cadere. Ma, Gesù mio, voi sapete la mia debolezza; datemi la grazia d’esservi fedele sino alla morte e di ricorrere a voi quando sarò tentato.
Maria SS., aiutatemi; voi siete la Madre della perseveranza, in voi stanno le speranze mie.

Apparecchio alla santa Comunione

Non vi è mezzo più efficace per liberarsi dai peccati, per avanzarsi nel divino amore che la S. Comunione. Ma perché dunque alcune anime con tante Comunioni si trovano sempre con la stessa tiepidezza, con gli stessi difetti? Ciò avviene per la poca disposizione e poco apparecchio che vi portano. Due cose per questo apparecchio sono necessarie. La prima è togliere dal cuore quegli affetti che sono di impedimento all’amor divino. La seconda è avere un gran desiderio di amare Iddio. E questa, dice S. Francesco di Sales, ha da essere la principale intenzione nel comunicarsi, di crescere cioè nel divino amore. Solo per amore, dice il Santo, deve riceversi un Dio che per solo amore a noi si dona. Perciò si facciano i seguenti atti.

Atti prima della Comunione

Amato mio Gesù, vero figlio di Dio, che per me un giorno moriste in croce in un mare di dolori e di disprezzi, io fermamente credo che state nel SS. Sacramento e per questa fede sono pronto a dar la vita.
Caro mio Redentore, io spero nella vostra bontà e nei meriti del vostro sangue, che venendo a me questa mattina mi accendiate tutto del vostro santo amore e mi doniate tutte quelle grazie che mi bisognano per essere ubbidiente e fedele sino alla morte.
Ah! mio Dio, vero e unico amante dell’anima mia; che più potevate voi fare per obbligarmi ad amarvi? Non vi è bastato, amor mio, di morire per me; avete voluto di più istituire il SS. Sacramento e farvi cibo mio per donarvi tutto a me, e così stringervi ed unirvi tutto con una creatura così ingrata come sono io. E voi stesso mi invitate a ricevervi e tanto desiderate che io vi riceva.
O amore immenso! - un Dio darsi tutto a me! - O Dio mio, o amabile infinito, degno d’amore infinito, io vi amo sopra ogni cosa, vi amo con tutto il cuore, vi amo più di me stesso, più della vita mia; vi amo perché ve lo meritate, e vi amo ancora per compiacervi, giacché tanto desiderate l’amor mio. Uscite dall’anima mia, affetti terreni; solo a voi, Gesù mio, mio tesoro, mio tutto, vi voglio dare tutto il mio amore. Voi in questa mattina vi date tutto a me; io mi do a voi. Accettatemi ad amarvi, mentre io non voglio altro che voi. Vi amo, o mio Redentore, ed unisco il mio misero amore all’amore che vi portano gli Angeli ed i Santi e che vi porta Maria vostra Madre e il vostro Eterno Padre. O potessi io farvi amare quanto voi meritate! Ecco, o Gesù mio, che già mi accosto a cibarmi delle vostre sacrosante carni. Ah Dio mio, e chi sono io? e chi siete voi? Voi siete un Signore d’infinita bontà ed io sono un verme schifoso, lordo di tanti peccati, che tante volte vi ho discacciato dall’anima mia. Signore, io non sono degno neppure di stare alla vostra presenza. Ma voi per vostra bontà mi chiamate a ricevervi; ecco già vengo, umiliato e confuso per tanti disgusti che vi ho dati, ma tutto confidato nella vostra pietà e nell’amore che mi portate. Quanto mi dispiace, o amabile mio Redentore, d’avervi tanto oltraggiato per il passato! Voi siete giunto a dar la vita per me, ed io tante volte ho disprezzato la vostra grazia e il vostro amore e vi ho cambiato per niente. Mi pento e mi dispiace con tutto il cuore più d’ogni male, ogni offesa che vi ho fatto, grave o leggera, perché è stata offesa di voi, bontà infinita. Io spero che mi avete già perdonato; ma se non mi avete perdonato ancora, perdonatemi, Gesù mio, prima che vi riceva. Deh, ricevetemi presto nella vostra grazia, giacché volete venire tra breve ad alloggiare dentro di me.
Venite dunque, Gesù mio, venite nell’anima mia che vi desidera, unico ed infinito mio bene, mia vita, mio amore, mio tutto; io vorrei ricevervi questa mattina con quell’amore con cui vi hanno ricevuto le anime più innamorate di voi, e con quel fervore con cui vi riceveva la vostra SS. Madre.
O Vergine beata e madre mia Maria, datemi voi il vostro Figlio, dalle vostre mani intendo di riceverlo. Ditegli che io sono il vostro servo, che così egli con più amore mi stringerà al suo cuore ora che viene a me.

Atti dopo la santa Comunione

Il tempo dopo la Comunione è tempo prezioso da guadagnare tesori di grazie, poiché gli atti e le preghiere allora, stando l’anima unita con Gesù Cristo, hanno altro merito e valore che fatti in altro tempo. Scrive S. Teresa che il Signore sta allora nell’anima come in trono di misericordia e le dice: Figlia, cercami quel che vuoi: a questo fine io sono venuto in te per farti bene. Oh, quali favori speciali ricevono quelli che si trattengono a parlare con Gesù Cristo, dopo la Comunione! Il P. Giovanni d’Avila dopo la Comunione non lasciava mai di trattenersi due ore in orazione. E S. Luigi Gonzaga se ne stava tre giorni a ringraziare Gesù Cristo. Faccia dunque la persona i seguenti atti e procuri in tutto il resto del giorno di seguire con affetti e preghiere di mantenersi unita con Gesù che la mattina ha ricevuto.

Ecco, Gesù mio, già siete venuto! Ora state dentro di me e già siete fatto tutto mio. Siate il benvenuto, amato mio Redentore! lo vi adoro e mi butto ai piedi vostri, ed ancora vi abbraccio, vi stringo al mio cuore e vi ringrazio d’esservi degnato di entrare nel petto mio. O Maria, o Santi avvocati, o Angelo mio custode ringraziatelo voi per me. Giacché dunque, o divino mio Re, siete venuto a visitarmi con tanto amore, io vi dono la mia volontà, la mia libertà e tutto me stesso. Voi tutto a me vi siete donato; io tutto a voi mi dono. Io non voglio più esser mio; da oggi innanzi voglio esser vostro e tutto vostro. Tutta vostra voglio che sia l’anima mia, il corpo mio, le mie potenze, i sensi miei, acciocché tutti s’impieghino in servirvi e darvi gusto. A voi consacro tutti i miei pensieri, i miei desideri, gli affetti miei, tutta la mia vita. Basta Gesù mio, quanto vi ho offeso; la vita che mi resta, io voglio spenderla tutta in amare voi che mi avete tanto amato.
Accettate, o Dio dell’anima, il sacrificio che vi fa questo misero peccatore che altro non desidera che amarvi e compiacervi. Fate voi in me e disponete di me e di tutte le cose mie come vi piace. Distrugga in me il vostro amore tutti gli affetti che a voi non piacciono, acciocché io sia tutto vostro, e viva solo per darvi gusto.
Io non vi cerco beni di terra, non piaceri, non onori; datemi, vi prego, per i meriti della vostra Passione, o Gesù mio, un continuo dolore dei miei peccati; datemi la vostra luce, che mi faccia conoscere la vanità de’ beni mondani e il merito che voi avete d’essere amato. Distaccatemi dagli attacchi alla terra e legatemi tutto al vostro santo amore, affinché la mia volontà altro non voglia se non quello che volete voi. Datemi pazienza e rassegnazione nelle infermità, nella povertà e in tutte le cose contrarie al mio amor proprio. Datemi mansuetudine verso chi mi disprezza. Datemi una santa morte. Datemi il vostro santo amore. E sopra tutto vi prego di donarmi la perseveranza nella grazia vostra fino alla morte. O Eterno Padre, Gesù vostro figlio mi ha promesso che voi mi darete tutto ciò che vi domando in suo nome. In nome dunque e per i meriti di questo Figlio vi domando il vostro amore e la santa perseveranza, acciocchè un giorno venga ad amarvi con tutte le vostre misericordie, sicuro di non avere più a separarmi da voi.
O Maria Santissima, Madre e speranza mia, impetratemi voi quelle grazie che desidero; ed ottenetemi voi stessa che io vi ami assai, Regina mia, e sempre mi raccomandi a voi in tutti i miei bisogni.
Viva Gesù nostro Amore e Maria nostra Speranza.

(Lc 11,37-41) Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.

VANGELO 
(Lc 11,37-41) Date in elemosina, ed ecco, per voi tutto sarà puro.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».

Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o mio Signore alla mia tavola, e parlami come facesti col fariseo, dimmi dove sbaglio, aiutami a condividere con te questa mia vita che da sola non ha senso né scopo; insegnami ad essere tua in tutto e per tutto, grazie al Tuo Santo Spirito. Grazie amen.

Bellissima lezione sull’arte dell’apparire da parte di Gesù. Non siamo certo buoni cristiani se lo sembriamo, se seguiamo le regole, se facciamo la carità ecc, ma solo se c’ impegniamo con tutto noi stessi, ad essere come Lui ci vuole.
Troppe volte ci fermiamo all’ingresso del cuore e non riusciamo ad aprirci completamente né a Gesù né ai fratelli, e questo ci fa vivere una fede fatta di religiosità, non d’amore, e senza amore, siamo contenitori vuoti, siamo senza Dio.
Guardiamo i comportamenti degli altri, ma non cerchiamo di guardare la relazione che noi abbiamo con gli altri, come se stare per conto nostro fosse sufficiente ad essere buoni, come per non essere contagiati, ma tra quelli con i quali non abbiamo nessun legame, ci sono i nostri fratelli, anche quelli peccatori, anche quelli che non credono, anche quelli che pensano d’essere più vicini di noi alla verità; non essere legati a loro, vuol dire non aver compreso che Dio ci ama tutti, che è Lui che stabilisce le regole e non noi, che non possiamo essere Cristiani se siamo ancora pieni di noi e dei nostri pregiudizi. Per appartenere a Cristo dobbiamo donare a Lui questa nostra vita terrena e farlo aderire come pelle viva alla nostra, per vivere di Lui.

domenica 13 ottobre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-"Povere sventurate quelle anime che si gettano nel turbinío delle preoccupazioni mondane; piú esse amano il mondo, piú le loro passioni si moltiplicano, piú i loro desideri si accendono, piú si trovano incapaci ai loro progetti; ed ecco le inquietudini, le impazienze, gli urti terribili che spezzano i loro cuori, che non palpitano di carità e di santo amore. Preghiamo per queste anime disgraziate, miserabili, che Gesú le perdoni e le tragga con la sua infinita misericordia a sé." (Epist. III, p. 1092).

SANTI é BEATI :

-San Donaziano di Reims Vescovo

14 ottobre

Reims, † 389 ca.

Martirologio Romano: A Bruges nel territorio dell’odierno Belgio, commemorazione di san Donaziano, vescovo di Reims, le cui reliquie si conservano in questa città.

Vi sono perlomeno sei santi che portano questo nome, originari della Francia o dell’Africa, tre di essi sono martiri e tre sono vescovi e fra questi vi è s. Donaziano vescovo di Reims.
Forse è più conosciuto per le opere d’arte che lo raffigurano, che per la sua vita; si sa solo che fu il settimo vescovo di Reims, città della Francia settentrionale, che qualche decennio dopo vide il battesimo di re Clodoveo e l’inizio della conversione al cristianesimo dei Franchi.
Donaziano visse e fu vescovo nel IV secolo, il suo episcopato deve essere stato memorabile, perché è raffigurato sempre con manto solenne, mitria e pastorale; morì nel 389 ca.
Stranamente più che della sua vita, si sa qualcosa delle sue reliquie; le quali nel secolo IX furono date a s. Anscario di Corbie, deposte poi a Thouront, nell’863 esse furono traslate a Bruges, in quel tempo capitale della contea di Fiandra (Belgio).
In questa città si instaurò un diffuso culto per il santo vescovo della Gallia (Francia), al punto che ancora oggi la cattedrale e la diocesi stessa di Bruges, sono poste sotto il nome di s. Donaziano.
La Rivoluzione Francese dissacrante, arrivò anche qui e nel 1799 distrusse la cattedrale; nel 1806 le reliquie furono deposte in una nuova cassa. Il culto per il santo è particolarmente sentito nelle Fiandre, specie a Bruges, perciò si può capire che l’iconografia che lo riguarda è stata prodotta specie in questa città, in cui sorse la “Scuola di Bruges”, scuola che iniziò la grande pittura fiamminga del secolo XV.
E san Donaziano, insieme alla Madonna in trono con il Bambino e san Giorgio che presenta il committente, canonico Van der Paele, è raffigurato nel grande capolavoro del pittore fiammingo Jan van Eyck, questo quadro è conservato appunto nel Museo Comunale delle Belle Arti di Bruges.
In questo ed in altri quadri il santo vescovo, oltre gli attributi tipici della sua dignità vescovile, porta in mano anche una ruota con cinque ceri accesi, in memoria di un prodigio, avvenuto con il suo corpo finito nel fiume. San Donaziano è invocato contro le inondazioni ed i disastri provocati dalle acque.
Il ‘Martirologio Romano’ ed i ‘Propri’ di Reims e Bruges, lo celebrano il 14 ottobre.


Autore: Antonio Borrelli

PREGHIERA di (Don Serafino Falvo - S. Ellero (FI)) : PADRE DAMMI GESU'

- PADRE! Dammi il dono più bello, più grande e più prezioso che possiedi: Gesù!

PADRE! Quando sono ammalato dammi Gesù, per­ché Egli è la Salute.

PADRE! Quando mi sento triste dammi Gesù, per­ché Egli è la Gioia.

PADRE! Quando mi sento debole dammi Gesù, per­ché Egli è la Forza.

PADRE! Quando mi sento solo dammi Gesù, per­ché Egli è l'Amico.

PADRE! Quando mi sento legato dammi Gesù, per­ché Egli è la Libertà.

PADRE! Quando mi sento scoraggiato dammi Gesù, perché Egli è la Vittoria.

PADRE! Quando mi sento nelle tenebre dammi Gesù, perché Egli è la Luce.

PADRE! Quando mi sento peccatore dammi Gesù, perché Egli è il Salvatore.

PADRE! (Quando ho bisogno d'amore dammi Gesù, perché Egli è Amore.

PADRE! Quando ho bisogno di pane dammi Gesù, perché Egli è il Pane della Vita.

PADRE! Quando ho bisogno di denaro dammi Gesù, perché Egli è la ricchezza infinita.

PADRE! a qualsiasi mia richiesta, per qualsiasi mio bisogno, rispondimi con una sola parola, la tua Parola eterna: Gesù! (Don Serafino Falvo - S. Ellero (FI))

VOCE DI SAN PIO :

-" Ti affanni, mia buona figliola, a cercare il sommo Bene. Ma, in verità, è dentro di te e ti tiene distesa sulla nuda croce alitando forza per sostenere il martirio insostenibile e ancora per amare amaramente l'Amore. Quindi il timore di vederlo perduto e disgustato senza avvedertene è tanto quanto egli è vicino e stretto a te. Vano è parimenti l'ansia dell'avvenire, giacchè il presente stato è una crocefissione dell'amore." (FdL, 78).

SANTI é BEATI :

- Santa Parasceve la Giovane Eremita

13 ottobre

Epibatai (Costantinopoli), secolo X

Parasceve è una santa dell'Oriente cristiano. Originaria di Epibatai, nei pressi di Costantinopoli, visse e morì nel X secolo. Nobili di famgilia, lei e il fratello Eutimio rimasero orfani e decisero di abbracciare la vita religiosa. Dopo un periodo in monastero Parasceve si sentì chiamata alla vita eremitica nel deserto dove visse in tutta la sua durezza l'ideale ascetico. Ma un giorno ebbe una visione: un angelo le chiese di ritornare tra la gente dove era nata. Così, dopo un pellegrinaggio a Costantinopoli, tornò a Epibatai dove continuò a vivere da penitente. Morì quasi sconosciuta. Ma alcuni anni più tardi la si riscoprì per via di un miracolo: durante una pestilenza, mentre scavavno la fossa a un cadavere, un gruppo di uomini si imbatté nel corpo di Parasceve che emanava un misterioso profumo. Fu l'inizio di una fama di santità che si diffuse soprattutto fra i popoli slavi dei Balcani, che la venerano col nome di Petka. (Avvenire)

Emblema: Palma



La ‘Vita’ di santa Parasceve la Giovane, fu scritta dal metropolita di Mira, Matteo nel XVII secolo, dopo l’ultimo trasferimento delle reliquie in Moldavia nel 1641, sei secoli dopo la morte della santa eremita, quindi bisogna darne il valore relativo a questo lasso di tempo.
Parasceve nacque ad Epibatai, centro marittimo, distante un giorno di cammino da Costantinopoli; visse e morì molto probabilmente nel secolo X.
Appartenenti a nobile famiglia, lei e il fratello Eutimio, rimasero presto orfani e decisero ambedue di abbracciare la vita religiosa; Eutimio per le sue virtù, fu fatto vescovo di Madito e Parasceve, dopo un certo numero di anni trascorsi in un monastero, si ritirò come eremita in una zona desertica, emulando la santa vita delle antiche monache-eremite d’Egitto e della Siria: lunghe preghiere, veglie notturne e frequenti digiuni.
Mangiava qualcosa solo il sabato e la domenica e dormiva sulla nuda terra; ebbe una notte la visione di un angelo, il quale esortandola a perseverare nel suo sforzo di vita penitente, le raccomandò comunque di ritornare nel suo luogo natio.
Parasceve allora lasciò l’eremo e si recò a Costantinopoli e da pellegrina visitò i santuari, mettendosi sotto la protezione della Vergine nella chiesa di Blacherne; poi si ritirò ad Epibatai, dove continuò nelle pratiche di penitenza, mortificazione e preghiera, per il resto della sua vita; quando morì fu sepolta da gente che nemmeno la conosceva e il suo ricordo si spense.
Ma in epoca successiva, un miracolo riportò a fiorire il suo ricordo; nelle vicinanze di Epibatai, viveva uno stilita, un giorno alcuni marinai, gettarono ai piedi della sua colonna, il corpo di un loro compagno morto di peste. Il cadavere andò in putrefazione, emanando un lezzo così forte, che lo stilita pregò che qualcuno venisse a dargli sepoltura, alcuni uomini scavando la fossa, trovarono un corpo sotterrato che emanava un profumo così delicato da superare il puzzo del cadavere dell’appestato.
Un certo Giorgio facente parte del gruppo dei seppellitori, la notte ebbe un sogno, in cui gli veniva chiesto di deporre il corpo ritrovato in una bara, rivelandogli anche il nome di Parasceve, nata e cresciuta ad Epibatai.
Essa diventò la patrona della cittadina, anche perché in un altro sogno, avuto da una vicina di Giorgio, nella stessa notte, prometteva che avrebbe aiutato tutti coloro che con fede, sarebbero ricorsi a lei.
Le reliquie furono portate nella chiesa dei Ss. Apostoli, dove avvennero molti miracoli; esse superarono la sottrazione di numerose reliquie da Costantinopoli, da parte dei conquistatori Franchi, che nel 1204 le portavano in Occidente.
Ma nel 1230-31 il corpo di santa Parasceve fu ceduto dall’imperatore latino di Costantinopoli al re conquistatore bulgaro Giovanni II Asen (1218-1241) che lo trasportò a Turnovo in Bulgaria, dove accolto con solennità dal patriarca Basilio, fu deposto nella basilica del palazzo imperiale.
Quando nel 1393 i Turchi s’impadronirono di Turnovo, allora capitale della Bulgaria, le reliquie furono trasferite a Belgrado, dove rimasero fino al 1521, quando la città venne conquistata da Solimano il Magnifico. Saputo della grande venerazione che i cristiani portavano a quelle reliquie, il sultano le inviò a Costantinopoli, dove il patriarca le fece deporre nella chiesa della Pammacaristos.
Ma anche qui non durò a lungo il riposo delle reliquie, quando nel 1586 Murad III tolse ai cristiani il santuario, esse con altre reliquie furono portate nella chiesa di S. Demetrio Kanabu e poi a S. Giorgio del Phanar nel 1612 e finalmente nel 1641 giunsero a Jasi in Moldavia, dove si trovano tuttora.
Dopo la traslazione a Turnovo la santa con il nome di Petka o Petnica ebbe grande popolarità tra il popolo bulgaro e ben presto divenne Patrona nazionale; del resto ella ha avuto sempre un culto particolare presso i popoli slavi balcanici, anche perché si credeva che i suoi genitori fossero slavi.
La sua festa ricorre il 13 ottobre.


Autore: Antonio Borrelli

CORONCINA AL SACRO CUORE PER CHIEDERE LE VIRTU'


CORONCINA AL SACRO CUORE PER CHIEDERE LE VIRTU' Con la prima preghiera si domanda la virtù della fede. Amabilissimo Cuore di Gesù, che per eccesso di amore hai voluto restartene con noi sino alla consumazione dei secoli nell'adorabile Eucaristia, e qui ti offri vittima, continua per noi, dimentica le ingratitudini, perdona le colpe, i sacrilegi e i disprezzi che ti abbiamo fatto, e col perdono donaci una fede viva e operosa. Padre nostro - Ave, o Maria - Gloria Con la seconda preghiera si domanda la virtù della speranza Sacratissimo Cuore di Gesù: tesoro ricchissimo delle divine misericordie, fiducioso delle tue promesse rivestimi ti prego di tutte le virtù del tuo Santissimo Cuore, perché diventi un vero tuo servo; adornami della tua mansuetudine, della tua umiltà, della tua illibatezza e santità. Padre nostro - Ave, o Maria - Gloria Con la terza preghiera si domanda la virtù della carità Amorosissimo Cuore di Gesù, sorgente vivifica ed immacolata di gaudio e di vita eterna, tesoro infinito della divinità, fornace ardentissima del divino amore, tu solo sei il mio rifugio, tu la sede del mio riposo, tu il mio tutto. O Cuore amatissimo, infiamma questo mio cuore di quel vivo amore di cui avvampi, affinché amando te ed il prossimo per amore tuo, io possa esser felice in questa e nell'altra vita. Amen. Padre nostro - Ave, o Maria - Gloria Rivolgiamoci a Maria, consacriamoci a Lei e confidando nel suo Cuore materno, diciamole: Per gli alti pregi del Tuo Cuore pieno di dolcezza, impetrami, o Grande Madre di Dio e madre mia Maria, una vera e stabile devozione al Sacro Cuore di Gesù, Tuo Figlio, perché racchiuso in esso con i miei pensieri ed affetti adempia tutti i miei doveri e serva sempre Gesù con alacrità di cuore, specialmente in questo giorno Cuore di Gesù infiammato di amore per noi. Infiamma i nostri cuori d'amore per Te! Preghiamo: Fa, o Signore, che lo Spirito Santo c'infiammi di quell'amore che il Signore nostro Gesù Cristo dal profondo del Suo Cuore riversò sulla terra, desiderando vivamente che arda sempre più. Il quale vive e regna per tutti i secoli. Amen. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen

(Lc 11,29-32) A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.

VANGELO 
(Lc 11,29-32) A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona». 

Parola del Signore
(Lc 11,29-32) A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o  Santo Spirito di Dio, ad indicarmi i segni che contano per il mio Signore, a dirmi cosa è giusto che veda e che faccia per non sbagliare ai Suoi occhi, perché solo questo io voglio.

 Prima di tutto, facciamo mente locale alla storia di Giona, prendendo questo riassunto da wikipedia:
Nel capitolo 1 la Parola del Signore è rivolta a Giona, figlio di Amittai, e gli viene comandato di andare a predicare a Ninive, la Grande Città. Giona invece fugge a Tarsis via nave; di questa localizzazione si dirà più sotto. Ma la nave è investita da un temporale e rischia di essere colata a picco dalla violenza delle onde. Giona allora ritrova improvvisamente il proprio coraggio e svela ai compagni di viaggio che la colpa dell'ira divina è sua, poiché ha rifiutato di obbedire a JHWH; perché la nave sia salva, egli deve essere gettato in mare.
E così, ecco nel capitolo 2 l'episodio che ha ispirato generazioni di scrittori ed artisti. Giona è gettato in mare, ma un "grande pesce" (da nessuna parte è precisato che si tratti di una balena) lo inghiotte. Dal ventre del pesce, dove rimane tre giorni e tre notti, Giona rivolge a Dio un'intensa preghiera, che ricorda uno dei Salmi. Allora, dietro comando divino, il pesce vomita Giona sulla spiaggia.
Nel capitolo 3, Giona ottempera la sua missione e va a predicare ai niniviti. Questi, contro ogni aspettativa, gli credono, proclamano un digiuno, si vestono di sacco e Dio decide di risparmiare la città. Ma qui riemerge l'istinto ribelle di Giona: lui non è contento del perdono divino, voleva la punizione della città di Ninive. Così, nel capitolo 4, si siede davanti alla città e chiede a Dio di farlo morire.
L'episodio più gustoso del libretto si trova proprio nel capitolo 4. Il Signore fa spuntare un ricino sopra la sua testa per apportargli ombra, ed egli se ne rallegra. Ma all'alba del giorno dopo un verme rode il ricino che muore, il sole e il vento caldo flagellano Giona, che invoca di nuovo la morte. Allora l'autore riporta le parole di Dio, divenute celeberrime:
« Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita; ed io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali? »
Ed ora passiamo a riflettere sulla parola di oggi, in primo luogo, mettendoci di fronte a Gesù con tutti i nostri difetti, ritrovandoci purtroppo, insieme a quelle persone che seguivano Gesù in cerca di segni e non per ascoltare la sua parola e metterla in pratica.
Facendo questo invece, potremmo vedere i segni dentro di noi e sarebbero dei segni di quanto Dio può operare in ogni uomo che segue la sua parola con fede. Giona ragiona con il suo cervello e mette in dubbio quello che Dio gli chiede di fare, non ha fede, ma poi, viste le conseguenze del suo rifiuto al Signore, si pente e ammette la sua colpa. Gli uomini lo gettano in mare per salvarsi, ma il Signore gli concede ancora la possibilità di redimersi e dopo tre giorni lo fa ritrovare sulla spiaggia. Compie la sua missione e nonostante il suo pensiero negativo, il popolo di Ninive si converte, ma lui ancora non ha capito e vorrebbe che Dio punisse quel popolo, dimenticando che anche lui aveva disobbedito a Dio, e che anche lui allora era degno di essere punito. Come facciamo presto noi uomini a giudicare e a condannare gli altri, proprio l'altro giorno abbiamo riflettuto sulle parole " rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori."
Dio ama il suo popolo, i suoi figli, non cerca vendetta né cieca obbedienza, ma come un Padre misericordioso, invia suo Figlio tra noi per aiutarci a comprendere il senso del suo amore. Se non crediamo che il Cristo sia la più alta espressione dell’ amore di Dio e non seguiamo la sua parola, non ha senso che cerchiamo dei segni di prodigio negli avvenimenti che ci circondano.,perché il prodigio che conta per il Signore è la conversione di tutti i suoi figli alla sua parola, perché attraverso i suoi insegnamenti riusciamo a passare per quella porta stretta che ci fa entrare nel regno dei cieli, già da questa terra.
Seguiamo la parola di Gesù, ascoltiamola con il cuore e cerchiamo di farla entrare in noi con avidità, perché diventi l’unica strada da percorrere, non giriamo la testa in cerca di segni, perché da soli non saremmo neanche in grado di riconoscere il vero dal falso, e solo grazie all’ azione dello Spirito Santo, e per grazia di Dio, possiamo farlo.

sabato 12 ottobre 2013

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero (Lc 17,11-19)

VANGELO
 (Lc 17,11-19) Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.
+ Dal Vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Parola del Signore
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero (Lc 17,11-19)
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero (Lc 17,11-19)

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo di Dio, su di me ed insegnami a lasciarmi penetrare dalla tua sapienza. Fa che nulla ostacoli la nostra unione, per il nostro Signore Gesù Cristo, che mi ha affidato alle tue cure per l’eternità. Grazie amen.

Il Vangelo di oggi ci parla di un Gesù che opera miracoli in terra straniera, tra peccatori e pagani, di un maestro che è riconosciuto anche da chi non è di Gerusalemme e che non disdegna di fermarsi a guarire coloro che gli si rivolgono con fiducia.
Purtroppo anche se ricevono la grazia da Gesù tutti e dieci i lebbrosi, soltanto uno torna indietro a ringraziare, gli altri invece si comportano come se niente fosse, e non sentono neanche il bisogno di ringraziare. Sembra brutto vero?
Eppure noi lo facciamo tante volte al giorno, quando diamo per scontato che quello che va bene è merito nostro o comunque del caso, e ci ricordiamo di Dio soltanto quando qualcosa non va per il verso giusto.
A volte siamo veramente ridicoli, chiediamo la perfezione, la salute, la sicurezza… tutte cose che premiano la nostra presenza fisica, ma non cerchiamo mai il benessere spirituale, quello che ci dà invece la forza di affrontare la vita anche quando non va secondo i nostri canoni.
La lebbra che ci avvelena è quella dell’anima, sempre inquieta, sempre alla ricerca di una felicità esteriore che guarisce solo quando troviamo Gesù, ci lasciamo guarire e ci fermiamo vicino a lui, ossia, per dirla con le parole del vangelo, torniamo indietro, ci convertiamo a Lui, cambiamo vita per vivere l'amore con Lui.Se ascoltiamo la sua parola, ma non la facciamo nostra, non possiamo essere trasformati e salvati, ma restiamo solo degli uditori sonnecchianti che non riescono a percepire la voce dell'amore e della volontà di Dio. 

venerdì 11 ottobre 2013

PREGHIERA : " BENIGNO CREATORE DEGLI ASTRI "

- Benigno Creatore degli astri,
eterna Luce dei credenti,
o Gesù, Redentore di tutti,
ascolta le preghiere dei supplici.

Tu che, affinché la terra non perisse
coi danni del maligno,
spinto da impeto d'amore,
divenisti medicina della debole umanità.

Tu che, per espiare
la comune empietà del mondo,
nasci dal grembo della Vergine
destinato alla croce,
quale vittima innocente (intacta).

Non appena la potenza di questa gloria
e il Nome risuona,
il cielo e gli inferi
si curvano col ginocchio tremante.

Te supplichiamo, Supremo Giudice
dell'ultimo giorno,
con le armi della grazia celeste
difendici dai nemici.

Virtù, onore, lode e gloria
a Dio Padre col Figlio,
insieme con lo Spirito Paraclito,
nei secoli dei secoli. Amen.

VOCE DI SAN PIO :

-"Non ti affaticare intorno a cose che generano sollecitudine, perturbazioni ed affanni. Una sola cosa è necessaria: sollevare lo spirito ed amare Dio." (CE, 10).

SANTI é BEATI :

- Nostra Signora del Pilar

12 ottobre



La festa «pilarica» del 12 ottobre è la giornata della hispanidad: la giornata della Spagna e di tutte le nazioni di lingua e cultura spagnola.
Il più antico santuario non solo della Spagna, ma probabilmente della cristianità tutta è quello della «Beata Vergine del Pilar» a Saragoza, che da secoli chiama milioni di pellegrini.
La tradizione vuole che la cappella primitiva venisse costruita da san Giacomo il Maggiore verso il 40 d.C. in memoria della prodigiosa apparizione della Vergine, giunta in bilocazione da Gerusalemme a Saragoza per confortare l’apostolo molto deluso dei risultati della sua predicazione. Il «Pilar» è la colonna di alabastro sulla quale la Madonna avrebbe posato i piedi.
Alcuni mistici, come la venerabile Maria d’Agreda e Anna Caterina Emmerick confermarono questa antica narrazione attraverso le loro visioni e rivelazioni.
Storicamente, comunque, è provato che la chiesa di «Sancta Maria intra muros» a Saragoza esisteva ancora prima dell’invasione araba, avvenuta nel 711. Il monaco Aimoinus, giunto in Spagna nell’anno 855 alla ricerca delle reliquie di san Vincenzo, scrisse che «la chiesa dedicata alla Vergine a Saragozza era la madre di tutte le chiese della città, e che san Vincenzo vi aveva esercitato le funzioni di diacono al tempo del vescovo Valerio». Nel 1118 Saragoza, liberata dal dominio musulmano, ritornò capitale del Regno di Aragona e nel 1294 «Santa Maria del Pilar» venne restaurata ed ampliata.
Al tempo dell’unificazione della Spagna, avvenuta nel XV secolo, per opera del re di Aragona Ferdinando il Cattolico e della regina Isabella di Castiglia, sua sposa, il culto della «Madonna del Pilar» si affermò in campo nazionale e con la scoperta dell’America il culto raggiunse anche il Nuovo Mondo. Nel 1492, infatti, avvenne la cacciata definitiva dei Saraceni dalla Spagna mentre Cristoforo Colombo si avviava, alla sua stessa insaputa, alla scoperta dell’America con le tre caravelle di cui una si chiamava proprio Santa Maria. Ma non basta, la terra del Nuovo Mondo venne trovata il 12 di ottobre, festa della Madonna del Pilar.
Nel 1640 un miracolo eccezionale, sul quale Vittorio Messori ha indagato in maniera approfondita fino a scriverne un libro, ha reso ancora più celebre nel mondo il santuario di Saragozza.
Un giovane di 17 anni, Miguel-Juan Pellicer di Calanda, conducendo un giorno un carro aggiogato a due muli, cadde dalla cavalcatura andando a finire sotto una ruota del carro che gli spezzò la tibia della gamba destra. Soccorso immediatamente si ritenne urgente l’amputazione della gamba stessa a circa quattro dita dalla rotula. Prima dell’operazione il giovane si era recato al Santuasrio del Pilar per fare le sue devozioni e ricevere i sacramenti; subito dopo l’intervento era ritornato a ringraziare la Madonna per averlo tenuto in vita. Non potendo più lavorare si unì agli altri mendicanti che domandavano l’elemosina fuori dalla chiesa; intanto, ogni volta che veniva rinnovato l’olio delle 77 lampade d’argento accese nella Cappella della Vergine, egli si strofinava con quell’olio la sua piaga, benché il medico avesse sconsigliato quel procedimento perché avrebbe ritardato la cicatrizzazione del moncherino. Miguel-Juan tornò a Calanda e con una gamba di legno ed una gruccia mendicò anche nei paesi limitrofi.
Il 29 marzo 1640 rientrò a casa e dopo aver invocato la Madonna del Pilar si addormentò. Al mattino, svegliandosi, si ritrovò con due gambe: la gamba destra, amputata da due anni e cinque mesi era segnata al polpaccio dalle stesse cicatrici presenti già prima dell’infortunio. Venne subito istituita una Commissione d’inchiesta, nominata dall’arcivescovo e nel corso di accurati accertamenti la gamba sepolta nel cimitero dell’ospedale non fu più trovata. La fama dell’eccezionale miracolo fu causa della realizzazione del grandioso Santuario attuale, iniziato nel 1681 e consacrato il 10 ottobre 1872.
All’inizio della navata centrale è situata la «Santa Cappella», dove si venera una piccola statua della Vergine con il Bambino del XIV secolo, la quale poggia i piedi sul «Pilar» ricoperto di bronzo e argento, e che viene rivestita con manti diversi a seconda dei tempi liturgici e delle circostanze. Tale immagine fu incoronata il 20 maggio 1905 con una corona tempestata da circa diecimila perle preziose e fu solennemente benedetta da papa san Pio X.
Il Museo del Pilar, custodito nella Sacristia de la Virgen è ricco di oggetti preziosi fra cui i manti della statua, che spesso sono stati richiesti da illustri moribondi che desideravano morire sotto il manto come avvenne per re Alfonso XIII, morto in esilio a Roma nel 1941.
Una devozione tutta speciale alla Madonna del Pilar di Saragozza appartenne al beato Guillaume-Jospeh Chaminade che il Pontefice ha elevato all’onore degli altari il 3 settembre del 2000. Vissuto all’epoca della Rivoluzione francese, Chaminade rimase in Francia come clandestino. Durante i giorni del «Terrore» capitava di incontrare per le strade di Bordeaux un operaio con abiti rattoppati che, girando con un paiolo in testa, si fermava sotto le finestre delle case ripetendo: «Stagnaro!». Era padre Chaminade che si recava in incognito dalle famiglie per esercitare il suo ministero. Nel 1797 venne arrestato e condannato all’esilio, fu così che decise di trasferirsi a Saragozza grazie all’intensa devozione che lo legava alla Madonna. Per vivere modellava statuette e il resto del tempo lo trascorreva in preghiera inginocchiato davanti all’immagine miracolosa della Vergine del Pilar. Proprio in una di tali meditazioni la Madonna lo illuminò sulla sua nuova missione: la fondazione, che avverrà nel 1817, di un nuovo Ordine religioso chiamato la «Società di Maria».


Autore: Cristina Siccardi

(Lc 11,27-28) Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio.

VANGELO
 (Lc 11,27-28) Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo, vieni Amore di Dio, e inonda il mio cuore e la mia mente perché ti appartengono.

Stupende queste poche parole di Gesù, sembra quasi di immaginare la scena…attorniato dalla folla ha appena scacciato un demonio da un muto e sta parlando alla gente dei pericoli che corrono i figli di Dio assediati dai demoni, quando una donna (e torniamo a vedere il coraggio delle donne di esprimersi davanti a Gesù) levò il suo grido tra la gente, esprimendo il suo senso di compiacimento per la madre di Gesù,che suona così: ” che gioia per lei essere Tua Madre mio Signore! ”
Ma la gioia non è nell’essere madre di Gesù , la gioia è nell’ascoltare ed accettare la parola di Dio come ha fatto Lei, in questo è da considerare beata, nell’aver saputo dire quel si che ha permesso la salvezza dell’umanità..
La mentalità della donna che è sicuramente mamma, rappresenta quello che tutte le mamme pensano, il figlio è qualcosa che dà quello che possiamo definire il diritto di orgoglio materno, perché la mamma si sente realizzata nella sua educazione e nella sua crescita, ma questa è appunto la mentalità terrena; noi sappiamo che invece Maria, sfuggì a questo concetto, concedendosi completamente a Dio ,affidandosi interamente alla sua volontà, accettando già dal momento del concepimento l’idea di un figlio che non gli appartiene, ma che è dono di Dio. Se oggi ogni donna accettasse un figlio come dono di Dio, il mondo sarebbe sicuramente migliore, ma troppe sono le persone tra noi che pensano di avere diritto di vita e di morte sui propri figli, e molte quelle che considerano un figlio non come un regalo che è il coronamento di un progetto come la famiglia, ma come un optional aggiuntivo su cui proiettare i nostri sogni e le nostre frustrazioni.
Nel magnificat la Madonna si sentì piena di grazia e sentì che molte sarebbero state le generazioni che l’avrebbero chiamata “beata”. Oggi voglio regalarvi un canto molto bello, sicuramente conosciuto ai più:
http://www.youtube.com/watch?v=Me4gaFciBj8
buon ascolto.

giovedì 10 ottobre 2013

SANTI é BEATI :

- Divina Maternità di Maria Santissima

11 ottobre

Il Titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più Glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua Ragion d'Essere, il motivo di tutti i Suoi Privilegi e delle Sue Grazie. Per noi il Titolo racchiude tutto il Mistero dell'Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia Sorgente per Maria di Lodi e per noi di Gioia. Sant'Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una Prova Sicura della nostra Fede. La Chiesa quindi non Celebra alcuna Festa della Vergine Maria senza Lodarla per questo Privilegio. E così Saluta la Beata Madre di Dio, nell'Immacolato Concepimento, nella Natività, nell'Assunzione e noi nella Recita Frequentissima dell'Ave Maria facciamo altrettanto.

L'Eresia Nestoriana.

"Theotókos", Madre di Dio, è il Nome con cui nei Secoli è stata Designata Maria Santissima. Fare la Storia del Dogma della Maternità Divina sarebbe fare la Storia di tutto il Cristianesimo, perché il Nome era entrato così profondamente nel cuore dei Fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto Madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato. Era allora Vescovo di Alessandria San Cirillo, l'Uomo Suscitato da Dio per Difendere l'Onore della Madre del Suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: "Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se Nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la Fede che ci hanno Trasmesso gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la Dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri".

Il Concilio di Efeso.

Nestorio non cambiò pensiero e l'Imperatore convocò un Concilio, che si aprì ad Efeso il 24 Giugno 431 sotto la Presidenza di San Cirillo, Legato del Papa Celestino. Erano presenti 200 Vescovi i quali Proclamarono che "la Persona di Cristo è Una e Divina e che la Santissima Vergine deve essere Riconosciuta e Venerata da tutti quale Vera Madre di Dio". I Cristiani di Efeso Intonarono Canti di Trionfo, Illuminarono la Città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i Vescovi "venuti - gridavano essi - per Restituirci la Madre di Dio e Ratificare con la loro Santa Autorità ciò che era Scritto in tutti i cuori". Gli sforzi di Satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un Magnifico Trionfo alla Madonna e, se vogliamo Credere alla Tradizione, i Padri del Concilio, per Perpetuare il Ricordo dell'Avvenimento, aggiunsero all'Ave Maria le Parole: "Santa Maria, Madre di Dio, Pregate per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte". Milioni di persone recitano ogni giorno questa Preghiera e Riconoscono a Maria la Gloria di Madre di Dio, che un Eretico aveva preteso negare.

Maria Vera Madre di Dio.

Riconoscere che Maria è Vera Madre di Dio è cosa facile. "Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Papa Pio XI nell'Enciclica Lux Veritatis, Colei che l'ha Generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la Persona di Gesù Cristo è Una e Divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo Uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l'Anima umana, così Maria ha acquistato la Maternità Divina per aver Generato l'Unica Persona del Figlio Suo".

Maria e Gesù.

La Maternità Divina Unisce Maria con il Figlio con un Legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha Generato il Figlio, l'Uomo-Dio, con la Sua Stessa Sostanza e Gesù è Premio della Sua Verginità ed Appartiene a Maria per la Generazione e per la Nascita nel Tempo, per l'Allattamento con il quale lo nutrì, per l'Educazione che gli diede, per l'Autorità Materna Esercitata su di Lui.

Maria e il Padre.

La Maternità Divina Unisce in Modo Ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio Stesso di Dio, Imita e Riproduce nel Tempo la Generazione Misteriosa con la quale il Padre Generò il Figlio nell'Eternità, Restando così Associata al Padre nella Sua Paternità. "Se il Padre ci Manifestò un'Affezione così Sincera, dandoci Suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l'Amore che aveva per Te, o Maria, gli fece Concepire ben altri Disegni a Tuo riguardo e ha Stabilito che Gesù fosse Tuo come è Suo e, per realizzare con Te una Società Eterna, volle che Tu fossi la Madre del Suo Unico Figlio e volle essere il Padre del Tuo Figlio" (Discorso sopra la Devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.

La Maternità Divina Unisce Maria allo Spirito Santo, perché per Opera dello Spirito Santo ha Concepito il Verbo nel Suo Seno. In questo Senso Papa Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Enc. Divinum Munus, 9 Maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il Santuario Privilegiato, per le Inaudite Meraviglie che ha Operate in Lei.
"Se Dio è con tutti i Santi, afferma San Bernardo, è con Maria in Modo tutto Speciale, perché tra Dio e Maria l'Accordo è così Totale che Dio non solo si è Unita la Sua Volontà, ma la Sua Carne e con la Sua Sostanza e quella della Vergine ha fatto un Solo Cristo, e Cristo se non deriva come Egli è, né Tutto Intero da Dio, né Tutto Intero da Maria, è tuttavia Tutto Intero Dio e Tutto Intero di Maria, perché non ci sono due Figli, ma c'è un Solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L'Angelo dice: "Ti Saluto, o Piena di Grazia, il Signore è con Te. È con Te non solo il Signore Figlio, che Rivestisti della Tua Carne, ma il Signore Spirito Santo dal quale Concepisti e il Signore Padre, che ha Generato Colui che Tu Concepisti. È con Te il Padre che fa sì che Suo Figlio sia Tuo Figlio; è con Te il Figlio, che, per Realizzare l'Adorabile Mistero, apre il Tuo Seno Miracolosamente e Rispetta il Sigillo della Tua Verginità; è con Te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio Santifica il Tuo Seno. Sì, il Signore è con Te" (3a Omelia Super Missus Est).

Maria Nostra Madre.

Salutandoti Oggi con il Bel Titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che "avendo dato la Vita al Redentore del Genere Umano, Sei per questo Fatto Stesso Divenuta Madre Nostra Tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio Suo, Dio ti ha Inculcato Sentimenti del tutto Materni, che respirano solo Amore e Perdono" (Pio XI Enc. Lux Veritatis).
Dalla Gloria del Cielo ove Sei, ricordati di noi, che ti Preghiamo con tanta Gioia e Confidenza. "L'Onnipotente è con Te e Tu Sei Onnipotente con Lui, Onnipotente per Lui, Onnipotente dopo di Lui", come dice San Bonaventura. Tu puoi Presentarti a Dio non tanto per Pregare quanto per Comandare, Tu sai che Dio Esaudisce Infallibilmente i Tuoi Desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma Tu Sei Divenuta Madre di Dio per Causa Nostra e "non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a Te sia stato abbandonato. Animati da questa Confidenza, o Vergine delle Vergini, o Nostra Madre, veniamo a Te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci Prostriamo ai Tuoi Piedi. Madre del Verbo Incarnato, non disprezzare le nostre Preghiere, Degnati di esaudirle" (San Bernardo).

La Festa dell'Undici Ottobre.

Il 1931 ricorreva il XV° Centenario del Concilio di Efeso e Papa Pio XI pensò che sarebbe stata "cosa utile e gradita per i Fedeli Meditare e Riflettere sopra un Dogma così Importante" come quello della Maternità Divina e, per lasciare una Testimonianza Perpetua della sua Devozione alla Madonna, Scrisse l'Enciclica Lux Veritatis, Restaurò la Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma e Istituì una Festa Liturgica, che "avrebbe contribuito a sviluppare nel Clero e nei Fedeli la Devozione verso la Grande Madre di Dio, presentando alle Famiglie come Modelli, Maria e la Sacra Famiglia di Nazareth", affinché siano sempre più rispettati la Santità del Matrimonio e l'Educazione della Gioventù. Che cosa implichi per Maria la Dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle Feste del Primo Gennaio e del 25 Marzo, ma l'Argomento è Inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.


Autore: Dom Prosper Guéranger

SANTI é BEATI :

- Santi Taraco, Probo e Andronico Martiri

11 ottobre

+ Anazarbo, Cilicia, 10 ottobre 304 circa

Martirologio Romano: Ad Ainvarza in Cilicia, nell’odierna Turchia, santi Táraco, Probo e Androníco, martiri, che durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano diedero la vita per testimoniare la fede in Cristo.

Esisteva originariamente una “passio” greca dei santi martiri Taraco, Probo ed Andronico, poi tradotta in latino, dalla qualòe fu tratto l’elogio inserito nel Martirologio d’Usuardo ed in seguito anche nel Martyrologium Romanum. Non pochi studiosi ritennero tale narrazione autentica e degna di fede, anche se molti dettagli in essa contenuti sono frutto dei luoghi comuni dell’agiografia leggendaria, così come la comparsa dei martiri in tre differenti città sarebbe inspiegabile dal punto di vista giuridico.
Pare che Taraco fosse cittadino romano di Claudianopoli in Isauria ed aveva lasciato l’esercito in quanto cristiano., Probo era di Side ed Andronico proveniva da una nobile famiglia di Efeso. In odio alla loro fede i tre vennero processati e torturati barbaramente a Tarso ed a Mopsuestia, per essere infine decapitati presso Anazarbo il 10 ottobre 304. Non a torto Taraco, Probo ed Andronico possone essere considerati i più celebri martiri della Cilicia, il cui culto in breve tempo si diffuse in tutto l’Oriente ed in molte altre lontane regioni.
I martirologi geronimiano e romano li commemorano all’11 ottobre, ma il primo li menzziona anche in altre date: 5 aprile, 13 maggio, 27 settembre, 9, 10 e 12 ottobre. In quest’ultima data i tre martiri sono commemorati dai sinassari bizantini. Aussenzio, vescovo di Mopsuestia, nel V secolo edificò una basilica in loro onore fuori le mura della città, facendo pervenire da Anazarbo alcune reliquie. Il 7 maggio 483 anche Martirio, vescovo di Gerusalemme, depose sotto l’altare del monastero di Sant’Eutimio alcune reliquie dei tre martiri. Severo di Antiochia il 6 settembre 515 pronunziò un panegerico in loro onore. A Costantinopoli, capitale imperiale, furono dedicate ben due chiese alla loro memoria.


Autore: Fabio Arduino

VOCE DI SAN PIO :

-" Non temere sul tuo spirito: sono scherzi, predilezioni e prove dello Sposo celeste, che vuole assomigliarti a lui. Gesú guarda le disposizioni ed i buoni voleri dell’anima tua, che sono ottimi; e questi accetta e premia, e non già la tua impossibilità e incapacità. Quindi stai tranquilla." (Epist. III, p. 461).