RITIRO ONLINE
maggio 2014
maggio 2014
Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza,
con la bocca di bambini e di lattanti.
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell’uomo, perché te ne curi?
Davvero l’hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
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Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi:
tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.
O Signore, Signore nostro,
quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!(dal salmo 8) |
Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.
LE VIE PER LA FELICITA’
Nelle beatitudini Gesù indica il cammino verso la vera felicità, che non è un sentimento bensì un’attitudine; non si basa su ciò che si possiede, ma su una gioia interiore, ben più profonda, che possiamo incontrare nell’intimo di noi stessi.
LA TERZA VIA: LA MITEZZA
LECTIO Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti.
«Beati i miti perché avranno in eredità la terra». (Mt 5,5).
«Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza». (Is 30,15)
«Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge». (Gal 5,16-18.22-23)
«Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni». (1Tim 6,11-12)
«Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera». (Giac 3,13.17)
MEDITATIO Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio ! Il protagonista è lo Spirito Santo.
Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore".
Terza via: la mitezza
«Beati i miti perché avranno in eredità la terra»
La terza beatitudine definisce la mitezza come via per la felicità. Miti sono coloro che sanno controllare i loro impulsi di rabbia e di ira.
In modo equivoco si può pensare che miti siano coloro che non sentono il desiderio di vendetta, quelli che vivono nella piena pace di spirito con se stessi e con gli altri. Ma ben difficilmente incontreremo persone di questo tipo. La virtù non sta nell'assenza di impulso di voler risolvere le cose con le proprie mani, ma nel controllo.
È mite chi possiede il dominio di sé, chi sa ponderare.
Attraverso il profeta Isaia, Dio ci dice che la salvezza sta nella calma: «Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d'Israele: "Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell'abbandono confidente sta la vostra forza"».
La conversione e la calma camminano insieme, poiché se i nostri comportamenti fossero mossi semplicemente dagli impulsi non potremmo essere considerati immagine e somiglianza di Dio. La conversione consiste nella presa di coscienza costante che siamo più che semplici animali, abbiamo la capacità di scegliere, siamo liberi.
Il testo biblico ci dice ancora che la nostra forza sta nella calma e nella fiducia. La calma è legata alla fiducia.
Non si tratta della quiete fisica, ma spirituale, del dono totale di sé a Dio. La forza è questa capacità interiore di superamento, di andare oltre.
Quando ci irritiamo con qualcuno e replichiamo, senza aver prima soppesato la questione, e tentiamo di risolvere il problema in modo esplosivo, la bomba che esplode sembra alleviare la nostra rabbia, ma le conseguenze ci accompagneranno a lungo. Il senso di colpa per la sofferenza causata all'altro non ci darà pace. E peggio: può produrre nell'altro una piaga profonda, che porta a mancanza di perdono o a "falso rispetto", prodotto non dall'amore ma dal timore. Questo generalmente accade con chi ha una qualche autorità. Se chi ha compiti direttivi e di governo non ottiene il rispetto grazie a un modo carismatico di fare il leader, agirà in modo autoritario, frutto di insicurezza.
Su questo, sant'Antonio Maria Claret scrisse: «Non c'è virtù più attraente della mitezza. Una vasca piena di pesci ci può dare un'idea di questo potere. Se, per esempio, tiriamo delle briciole di pane nella vasca, i pesci verranno da tutte le parti per avvicinarsi alla sponda e arrivare vicino ai nostri piedi. Se invece, anziché del pane, tireremo loro una pietra, fuggiranno tutti».
E’ realistico proporre la mitezza, oggi?
Oggi, in generale, viviamo sull'orlo di una crisi di nervi. Imponiamo alla nostra mente e al nostro corpo un ritmo giornaliero che non è quello naturale. Ogni giorno è fatto di 24 ore, ma questo tempo ci pare insufficiente per tutto quello che intendiamo fare. Abbiamo da rendere conto, dobbiamo correre, realizzare, essere intraprendenti, non ci possiamo fermare.
Ci sentiamo utili tanto quanto corriamo.
Oggi la mitezza sembra essere in contrasto con l'elasticità che il mondo richiede. I nostri comportamenti presi d'impulso riflettono le risposte rapide che dobbiamo dare quotidianamente.
Nella maggior parte dei casi, i nostri attacchi di rabbia, ira, mancanza di pazienza sono frutto del poco tempo dedicato a noi stessi.
Fermarsi, pensare, riflettere, respirare sono atteggiamenti associati con il verbo "ricreare", che significa crearsi nuovamente. Soltanto fermandoci riusciamo a sistemare le piccole e grandi collere che il nostro essere così fragile accumula con il passare degli anni.
Mitezza e autocontrollo
La mitezza è viva soltanto nelle persone capaci di autocontrollo. Ma è impossibile avere il controllo di sé senza conoscersi, e nessuno si conosce se non ha il tempo di osservarsi. Una cosa dipende dall'altra. Non basta dire: «Il mio proposito per quest'anno è di vivere la mitezza» se dentro di noi sentimenti e impulsi ribollono senza che sappiamo cosa fare con essi.
Più che domandarci: «Cosa sto sentendo?», è più terapeutico chiedersi: «Perché sto sentendo questa cosa?». La risposta non sarà facile, ci vuole molto coraggio per ammettere certe cose che ci riguardano. Possiamo dire, mentendo, nel tentativo di ingannarci: «Ma io non so quello che mi sta accadendo».
Mitezza e conoscenza di me stesso
Sappiamo sempre cosa sta succedendo, conosciamo il nome e il cognome del problema, ma ammettere che proviamo questo o quello può dare l'impressione che non siamo sufficientemente capaci (peccato di vanità, di immagine che abbiamo di noi stessi). Così è più facile coprire i sentimenti con un velo pietoso e convincerci che siamo vittime di qualcosa che non possiamo dominare.
Per questo si usa dire che le persone che vivono con noi, spesso, ci conoscono bene, poiché gli altri sono capaci di vedere in noi cose che noi non vogliamo vedere. Quando gli amici e i parenti sono sinceri e vogliono il nostro bene, ci potranno dire: «Sto osservando qualcosa in te...». E questo potrà avvenire nella misura in cui saremo aperti, in cui desideriamo crescere. Tuttavia il timore della verità che in generale proviamo fa sì che teniamo a distanza quelli che potrebbero aprirci gli occhi.
Quando non riusciamo ad aprirci all'altro, a rispettare le sue idee, ad accettarlo come lui è, è segno che non riusciamo ad aprirci, a rispettare e ad accettare.
La mitezza è una manifestazione esterna della relazione che abbiamo con noi stessi.
Nel vangelo di Matteo, Gesù afferma che tutto ciò che esterniamo, che esce da noi - atteggiamenti, gesti, parole, azioni - è il risultato di ciò che abbiamo dentro: «Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che rendono impuro l'uomo» (Mt 15, 18-20).
Mitezza e conversione del cuore
Non basta fare dell'ascesi nel tentativo di cambiare i comportamenti considerati sbagliati; è necessaria una profonda conversione del cuore. L'ascesi è la serratura della porta ma non la chiave.
In preparazione ai voti perpetui, con altri tre amici andai in Cile per il secondo noviziato, un'esperienza di due mesi.
Fu un periodo difficile della mia vita: stavo affrontando una serie di problemi, dubbi e tutto questo era di più di quanto le circostanze richiedessero; mi accorsi che ritornavo ad essere piuttosto aggressivo. Anche se cercavo di controllarmi, finivo sempre per dare una risposta sgradevole che feriva le persone che mi stavano attorno.
Secondo il programma, dovevamo fare gli esercizi spirituali ignaziani, che prevedevano un mese di silenzio, preghiera e riflessione. Iniziai questo mese ancora più aggressivo.
Ogni fine pomeriggio avevo un colloquio con un padre che mi seguiva, un gesuita anziano e profondamente sapiente. All'inizio cercai di evitare un colloquio profondo, parlavo di cose superficiali, ma lui, con sguardo sereno, rispettò il mio percorso. Col tempo ho acquisito una maggior fiducia in lui e mi sono aperto di più. Con grande sapienza mi ha detto:
«Figlio mio, Dio non ti ha scelto perché sei perfetto, ti ha chiamato perché ti ama, non cercare di fuggire. Quando Dio ci affida una missione, ci dà pure gli strumenti per lavorare alla nostra opera, ma nessuno può lavorare se è interiormente agitato. L'inquietudine è il risultato della nostra non-adesione, cioè della nostra mancanza di fiducia.
L'inquietudine produce agitazione interiore e la manifestiamo attraverso l'aggressività verso gli altri. Una persona è felice quando sa e confida pienamente in Dio che sostiene la sua esistenza.
I grandi mistici e amici di Dio ci sono noti per la mitezza che hanno vissuto. Niente li turba e sono profondamente felici, poiché sanno guardare il mondo con gli occhi di Dio e non con quelli umani, e Dio ci guarda con il cuore. Recita sempre questa preghiera: "Gesù mite e umile di cuore, fa' che il mio cuore sia simile al tuo". Gesù farà la sua parte, se tu farai la tua. Abbi fiducia!».
Il frutto della mitezza: possedere la terra
Sembra un'utopia affermare che i miti possederanno la terra, quando ancora oggi assistiamo a tante lotte e guerre tra popoli e nazioni per il possesso di determinate regioni del nostro pianeta.
Sembra utopia, ma non lo è, poiché Gesù parla di un possedere che va oltre uno steccato o un muro che delimita un pezzo di terra e fa dire al suo proprietario: «Questo è mio!».
Possedere la terra ha a che vedere con l'universalità e non con dei territori. Le nazioni possono opprimere, le persone possono armarsi per possedere questo o quel pezzo di terra. Nella storia universale, i grandi leader mondiali useranno le armi per conquistare i loro interessi; ma saranno dimenticati, i loro ideali falliranno.
Invece, coloro che pianteranno una bandiera in difesa della vita vivendo la mitezza, che "porgeranno l'altra guancia", saranno capaci di conquistare l'ammirazione e il rispetto in tutto il mondo.
Essi non saranno mai dimenticati: Madre Teresa di Calcutta, Nelson Mandela, suor Dorothy, Chico Mendes, il Mahatma Gandhi, Francesco di Assisi, Rita da Cascia, Giorgio La Pira e tanti, tanti altri. In questo elenco non può mancare il Figlio di Dio fatto uomo, che ci ha mostrato il volto del Padre, Gesù Cristo. Questi sì possederanno la terra, e la possederanno per sempre.
Questi ideali non morranno. Sappiamo bene di essere fatti a immagine e somiglianza di Dio. Dio è amore, per questo non c'è rivoluzione più forte e più duratura dell'amore: essa non avrà mai fine. Nessuno può far tacere la voce dell'amore.
Raccoglieremo ciò che abbiamo seminato. Se siamo mansueti, possederemo il cuore di coloro che vivono con noi, possederemo la terra nella misura in cui uniremo la nostra voce alla voce di tanti uomini e donne che in tutto il mondo predicano e difendono la mitezza come asse di trasformazione.
ORATIO Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.
Signore della Vita, che bello!...
Oggi ci doni la santità, la perfezione,
la felicità.
Che bello! tutti doni che
da tempo ormai desideriamo e forse,
proprio perché troppo umani e arrendevoli,
abbiamo smesso di cercare!
Eppure, Signore della Vita,
ci ricordi che questi doni
sono già nostri.
Che Bello!
Ridillo ancora, Signore,
che Santi lo siamo già,
che perfetti lo siamo già,
che ricchi lo siamo già,
che felici lo siamo già.
Dillo e ridillo a noi
poveri umani ancora troppo,
troppo attaccati alla terra,
sporchi di terra che, come porci,
cerchiamo le perle nel fango..
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Aiutaci ad alzare lo sguardo
e vedere il cielo, il sole e la pioggia
per me, per te, per voi, per noi.
Poveri, ricchi, violenti, buoni,
assassini, ladri, genitori,
figli, politici, dittatori,
soldati e drogati, malati e sani.
Dillo ancora ogni giorno,
Signore della Vita,
che sopra e dentro di noi
c’è Santità, Perfezione,
Ricchezza, Felicità,
perché tutto è già stato dato
e troppo di più da Te a noi
fin dall’origine di ogni nascita!
Grazie Signore!
Che bello!
Desiderare d’essere come Te!
(liberamente tratto da una preghiera di Alberto Signorini)
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CONTEMPLATIO Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù.
È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!
Per Cristo, con Cristo e in Cristo
a te, Dio Padre Onnipotente,
nell’unità dello Spirito Santo,
ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen
ACTIO Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più.
Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita!
Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.
Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
Arrivederci!
(spunti liberamente tratti da una riflessione di padre Erlin, missionario claretiano)
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Maria, donna del terzo giorno
(tratto da: don Tonino Bello – “Maria, donna dei nostri giorni”)
Vorrei che fosse Maria in persona a entrare in casa vostra, a spalancarvi la finestra, e a darvi l'augurio di buona Pasqua.
Un augurio immenso quanto le braccia del condannato, stese sulla croce.
Molti si chiedono sorpresi perché mai il vangelo, mentre ci parla di Gesù apparso nel giorno di Pasqua a tantissime persone, come la Maddalena, le pie donne e i discepoli, non ci riporti, invece, alcuna apparizione alla Madre da parte del Figlio risorto.
Io una risposta ce l'avrei: perché non c'era bisogno!
Non c'era bisogno, cioè, che Gesù apparisse a Maria, perché lei, l'unica, fu presente alla risurrezione.
I teologi, per la verità, ci dicono che questo evento fu sottratto agli occhi di tutti, si svolse nelle insondabili profondità del mistero e, nel suo attuarsi storico, non ebbe alcun testimone.
Io penso, però, che un'eccezione ci fu: Maria, l'unica, dovette essere presente a questa peripezia suprema della storia.
Come fu presente, l'unica, al momento dell'incarnazione del Verbo.
Come fu presente, l'unica, all'uscita di lui dal suo grembo verginale di carne. E divenne la donna del primo sguardo su Dio fatto uomo.
Così dovette essere presente, l'unica, all'uscita di lui dal grembo verginale di pietra: il sepolcro «nel quale nessuno era stato ancora deposto». E divenne la donna del primo sguardo dell'uomo fatto Dio.
Gli altri furono testimoni del Risorto. Lei, della Risurrezione.
Del resto, se il legame di Maria con Gesù fu così stretto che ne ha condiviso tutta l'esperienza redentrice, è impensabile che la risurrezione, momento vertice della salvezza, l'abbia vista dissociata dal Figlio.
Sarebbe l'unica assenza.
A darci conferma, comunque, di quanto la vicenda della Madre sia incastrata con la Pasqua del Figlio, ci sono nel vangelo almeno due pagine, in cui la frase «terzo giorno», sigla cronologica che designa la risurrezione, è riferita alla presenza, se non proprio al protagonismo, di Maria.
La prima pagina è di Luca. Racconta la scomparsa di Gesù dodicenne nel tempio e il suo ritrovamento al «terzo giorno». Gli studiosi sono ormai concordi nell'interpretare quest'episodio come una profezia velata del tempo in cui Gesù compì il suo passaggio da questo mondo al Padre, sempre a Gerusalemme, in una Pasqua di tanti anni dopo.
La seconda pagina è di Giovanni. Riguarda le nozze di Cana, durante le quali l'intervento di Maria, anticipando l'«ora» di Gesù, introduce sul banchetto degli uomini il vino della nuova alleanza pasquale, e fa esplodere anzitempo la «gloria» della risurrezione. Ebbene, anche questo episodio è introdotto da un marchio di origine controllata: «Il terzo giorno».
Maria, dunque, è colei che ha a che fare col «terzo giorno», a tal punto che non solo è la figlia primogenita della Pasqua, ma in un certo senso ne è anche la madre.
Santa Maria, donna del terzo giorno, destaci dal sonno della roccia. E l'annuncio che è Pasqua pure per noi, vieni a portarcelo tu, nel cuore della notte.
Non aspettare i chiarori dell'alba. Non attendere che le donne vengano con gli unguenti. Vieni prima tu, coi riflessi del Risorto negli occhi e con i profumi della tua testimonianza diretta.
Quando le altre Marie arriveranno nel giardino, con i piedi umidi di rugiada, ci trovino già desti e sappiano di essere state precedute da te, l'unica spettatrice del duello tra la Vita e la Morte. Solo tu ci puoi assicurare che la morte è stata uccisa davvero, perché l'hai vista esanime a terra.
Santa Maria, donna del terzo giorno, donaci la certezza che, nonostante tutto, la morte non avrà più presa su di noi. Che le ingiustizie dei popoli hanno i giorni contati. Che i bagliori delle guerre si stanno riducendo a luci crepuscolari. Che le sofferenze dei poveri sono giunte agli ultimi rantoli. Che la fame, il razzismo, la droga sono il riporto di vecchie contabilità fallimentari. Che la noia, la solitudine, la malattia sono gli arretrati dovuti ad antiche gestioni. E che, finalmente, le lacrime di tutte le vittime delle violenze e del dolore saranno presto prosciugate come la brina dal sole della primavera.
Santa Maria, donna del terzo giorno, strappaci dal volto il sudario della disperazione e arrotola per sempre, in un angolo, le bende del nostro peccato.
A dispetto della mancanza di lavoro, di case, di pane, confortaci col vino nuovo della gioia e con gli azzimi pasquali della solidarietà.
Donaci un po' di pace. Impediscici di intingere il boccone traditore nel piatto delle erbe amare. Liberaci dal bacio della vigliaccheria. Preservaci dall'egoismo.
E regalaci la speranza che, quando verrà il momento della sfida decisiva, anche per noi come per Gesù, tu possa essere l'arbitra che, il terzo giorno, omologherà finalmente la nostra vittoria.
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Statua lignea all’interno
della chiesa della
Casa Circondariale Rebibbia
Nuovo Complesso
Roma
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