LAMENTAZIONI
Il libro della Lamentazioni è una lunga supplica comunitaria rivolta a Dio in occasione di una
calamità nazionale. Esso contiene cinque poemi, che esprimono il dolore degli scampati alla
catastrofe che colpì Gerusalemme nel 587 a.C
Il titolo ‘Lamentazioni’ proviene dalla prima parola:“Ah! Come …” - che apre il libro e si ripete
lungo alcuni capitoli. Essa esprime lo stupore desolato dell’autore dinanzi alla catastrofe che ha
distrutto Gerusalemme. La tradizione ha attribuito questo libro al profeta Geremia. La versione
latina della Bibbia titola il libro "Preghiera di Geremia".
Il libro della Lamentazioni è, in realtà, una lunga supplica comunitaria rivolta a Dio in
occasione di una calamità nazionale. Nasce dalla coscienza del peccato commesso dai padri che
si ripercuote nei figli.
Contiene cinque poemetti di alta qualità poetica che esprimono il dolore divenuto lamento degli
scampati alla catastrofe, rimasti in patria in mezzo alle rovine che colpì Gerusalemme nel 587
a.C.
Nella prima, seconda e quarta Lamentazione emergono elementi del canto funebre, nella terza
un lamento di cordoglio individuale, nella quinta un lamento di cordoglio collettivo. In
particolare, le prime quattro Lamentazioni si presentano come "acrostici alfabetici": i singoli
versetti cominciano con la parola delle lettere dell'alfabeto ebraico in successione.
La prima Lamentazione (1,1-22) canta la desolazione della città santa che si sente
abbandonata: “Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo!”. Il ritornello: “Nessuno la
consola” ritorna cinque volte: vv 2.9.16.17.21.
La seconda Lamentazione ( 2,1-22) esprime l'amara scoperta di sentire il Signore come un
nemico per Gerusalemme: “Come il Signore ha oscurato nella sua ira la figlia di Sion!”.
La terza (3,1-66) assomiglia ad un salmo di supplica che fa appello alla fede e alla conversione
per essere liberati, nella convinzione che nella rovina vi è una ragione di speranza: “ È bene
aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (v.26).
La quarta Lamentazione (4,1-22) descrive gli orrori dell'assedio e della caduta di
Gerusalemme da parte di un testimone sopravvissuto: “Come si è annerito l’oro,come si è
alterato l’oro migliore! Sono disperse le pietre sante all’angolo di ogni strada” (v.1).
L’ultima lamentazione, la quinta (5,1-22) non più alfabetica, si compone di 22 versetti, che
sono il numero delle lettere dell'alfabeto ebraico ed esprime a Dio il desiderio di ritornare a Lui:
“ Fa' che ritorniamo a te, Signore, e noi ritorneremo. Fa' che viviamo ancora come nei tempi
passati” (v.21).
In conclusione il libro delle Lamentazioni è un poema che esprime la complessità della
sofferenza umana colma di contraddizioni in cui un credente trova il coraggio di interpellare
Dio e così anche la via per ritrovare fiducia e speranza.
Da sapere che
Nella Bibbia ebraica le Lamentazioni sono collocate fra il libro del Qoelet e quello di
Ester, libri che, come le Lamentazioni, fanno parte degli “Scritti” o, in ebraico,
“Ketuvim”. In quella cattolica sono poste dopo il libro di Geremia.
Questo testo biblico è usato dalla liturgia ebraica e da quella cristiana, specialmente
durante la Settimana santa, soprattutto nella liturgia del Venerdì santo.
3
Vorrei conoscere la Bibbia a memoria,conoscere il greco,il latino e pure l' aramaico,ma nulla di tutto questo mi è stato donato. Quello che al Signore è piaciuto donarmi, è una grande voglia di parlargli e di ascoltarlo.Logorroica io e taciturno Lui,ma mentre io ho bisogno di parole,Lui si esprime meglio a fatti.Vorrei capire perchè questo bisogno si tramuta in scrivere, e sento che è un modo semplice,delicato e gratuito di mettere al centro la mia relazione con Dio.
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mercoledì 2 ottobre 2013
I LIBRI DELLA BIBBIA --- PROVERBI----
PROVERBI
Il libro dei Proverbi è formato da una raccolta di sentenze posta sotto il nome del re Salomone,
ovvero un'antologia di detti, massime, enigmi, che sono patrimonio della sapienza popolare di
Israele.
Il Libro dei Proverbi contiene la più antica testimonianza della ricerca sapienziale dell’uomo
biblico, che nel riflettere sull’esperienza umana si avvale della sapienza egiziana e, in generale,
del vicino Oriente, ma interpretandola alla luce della sua fede religiosa. È proprio per questa
rilettura religiosa che la sapienza di Israele si distingue da quella degli altri popoli ai quali si è
pure tanto ispirata.
La chiave di lettura di questo libro è suggerita dalla dichiarazione: «Il timore del Signore è
principio della scienza» (Prv 1,7a). Il libro dei Proverbi comprende 31 capitoli che accolgono
nove raccolte di sentenze, riguardante i vri ambiti della vita e dell’esperienza umana, di varie
epoche e diversi autori. La stesura definitiva risale al periodo postesilico (V secolo a.C.).
Il libro dei Proverbi, come noi lo abbiamo, è formato da una raccolta di sentenze posta sotto il
nome del re Salomone. Il libro si apre con questa indicazione: «Proverbi di Salomone, figlio di
Davide, re d'Israele, per conoscere la sapienza e la disciplina per capire i detti profondi, per
acquistare un'istruzione illuminata, equità, giustizia e rettitudine,per dare agli inesperti
l'accortezza,ai giovani conoscenza e riflessione... per comprendere proverbi e allegorie, le
massime dei saggi e i loro enigmi (cfr. 1,1-6).
Il libro dei Proverbi è, dunque, un’antologia di detti, massime, enigmi, che sono patrimonio
della sapienza popolare di Israele, ma anche, di poemi composti da maestri della sapienza:
gente di corte, ministri, consiglieri e scrivani del re. In realtà, solo le parti più antiche (10-22 e
25-29) sono attribuite al re Salomone che, secondo 1 Re 5,12, «pronunciò tremila proverbi».
Nei «Proverbi di Salomone» il sapiente appare come un vero educatore del popolo di Dio,
specie dei giovani. L’insegnamento mira a formare i giovani, a far loro comprendere il senso
della vita umana, a educarli ad acquistare buon senso, prudenza, cautela, penetrazione,
affabilità e pazienza, autocontrollo e ottimismo, fino ad arrivare attraverso una riflessione
sull'esperienza a capire che «il principio della vera sapienza è il timore di Dio».
In due modi ci si può realizzare: con la sapienza o con la stoltezza, con la fede o l’idolatria. Alla
sapienza corrisponde la fede e alla stoltezza l’idolatria. Queste due vie corrispondono a quelle
indicate dal salmo 1. In proverbi 4,16-18 “la via dei giusti è come luce dell’aurora il cui
splendore aumenta fino all’apparire del giorno. La via degli empi invece è come l’oscurità; non
sanno in che cosa inciampano”.
Il saggio s’identifica con l’uomo religioso, lo stolto si confonde con l’ateo. La persona umana
realizza la propria felicità vivendo un giusto equilibrio umano, che proviene dalla ragione e dal
buon senso, i quali entrambi si rapportano armoniosamente alla fede del Dio biblico. Il libro
dei Proverbi termina con l’elogio della donna saggia che è felicità del marito, intraprendente e
laboriosa, lodata dai figli (30,10 -31).
Da sapere che
La sapienza personificata descritta nel libro dei proverbi nel Nuovo Testamento richiama
Gesù, sapienza eterna di Dio e Verbo incarnato, quando invita a seguirlo e ad ascoltarlo
(cfr. Prov 3,17; 8,22-36; Gv 1,1-5; Mt 11,28-30; 1Cor 1,18-31; Col 1,15-17).
La preghiera in Prov 30,7-9 chiede a Dio il dono di vivere nell’equilibrio e richiama
anche la richiesta del pane quotidiano del Padre nostro.
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Il libro dei Proverbi è formato da una raccolta di sentenze posta sotto il nome del re Salomone,
ovvero un'antologia di detti, massime, enigmi, che sono patrimonio della sapienza popolare di
Israele.
Il Libro dei Proverbi contiene la più antica testimonianza della ricerca sapienziale dell’uomo
biblico, che nel riflettere sull’esperienza umana si avvale della sapienza egiziana e, in generale,
del vicino Oriente, ma interpretandola alla luce della sua fede religiosa. È proprio per questa
rilettura religiosa che la sapienza di Israele si distingue da quella degli altri popoli ai quali si è
pure tanto ispirata.
La chiave di lettura di questo libro è suggerita dalla dichiarazione: «Il timore del Signore è
principio della scienza» (Prv 1,7a). Il libro dei Proverbi comprende 31 capitoli che accolgono
nove raccolte di sentenze, riguardante i vri ambiti della vita e dell’esperienza umana, di varie
epoche e diversi autori. La stesura definitiva risale al periodo postesilico (V secolo a.C.).
Il libro dei Proverbi, come noi lo abbiamo, è formato da una raccolta di sentenze posta sotto il
nome del re Salomone. Il libro si apre con questa indicazione: «Proverbi di Salomone, figlio di
Davide, re d'Israele, per conoscere la sapienza e la disciplina per capire i detti profondi, per
acquistare un'istruzione illuminata, equità, giustizia e rettitudine,per dare agli inesperti
l'accortezza,ai giovani conoscenza e riflessione... per comprendere proverbi e allegorie, le
massime dei saggi e i loro enigmi (cfr. 1,1-6).
Il libro dei Proverbi è, dunque, un’antologia di detti, massime, enigmi, che sono patrimonio
della sapienza popolare di Israele, ma anche, di poemi composti da maestri della sapienza:
gente di corte, ministri, consiglieri e scrivani del re. In realtà, solo le parti più antiche (10-22 e
25-29) sono attribuite al re Salomone che, secondo 1 Re 5,12, «pronunciò tremila proverbi».
Nei «Proverbi di Salomone» il sapiente appare come un vero educatore del popolo di Dio,
specie dei giovani. L’insegnamento mira a formare i giovani, a far loro comprendere il senso
della vita umana, a educarli ad acquistare buon senso, prudenza, cautela, penetrazione,
affabilità e pazienza, autocontrollo e ottimismo, fino ad arrivare attraverso una riflessione
sull'esperienza a capire che «il principio della vera sapienza è il timore di Dio».
In due modi ci si può realizzare: con la sapienza o con la stoltezza, con la fede o l’idolatria. Alla
sapienza corrisponde la fede e alla stoltezza l’idolatria. Queste due vie corrispondono a quelle
indicate dal salmo 1. In proverbi 4,16-18 “la via dei giusti è come luce dell’aurora il cui
splendore aumenta fino all’apparire del giorno. La via degli empi invece è come l’oscurità; non
sanno in che cosa inciampano”.
Il saggio s’identifica con l’uomo religioso, lo stolto si confonde con l’ateo. La persona umana
realizza la propria felicità vivendo un giusto equilibrio umano, che proviene dalla ragione e dal
buon senso, i quali entrambi si rapportano armoniosamente alla fede del Dio biblico. Il libro
dei Proverbi termina con l’elogio della donna saggia che è felicità del marito, intraprendente e
laboriosa, lodata dai figli (30,10 -31).
Da sapere che
La sapienza personificata descritta nel libro dei proverbi nel Nuovo Testamento richiama
Gesù, sapienza eterna di Dio e Verbo incarnato, quando invita a seguirlo e ad ascoltarlo
(cfr. Prov 3,17; 8,22-36; Gv 1,1-5; Mt 11,28-30; 1Cor 1,18-31; Col 1,15-17).
La preghiera in Prov 30,7-9 chiede a Dio il dono di vivere nell’equilibrio e richiama
anche la richiesta del pane quotidiano del Padre nostro.
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I LIBRI DELLA BIBBIA ---- LETTERA AGLI EFESINI
I LIBRI DELLA BIBBIA
LETTERA AGLI EFESINI
La lettera agli Efesini è una lettera "circolare" a tutti i credenti, per confermarli nei valori e
negli impegni della vita nuova offerta da Cristo, superando la tentazione del sincretismo
religioso
Paolo si presenta come prigioniero, ma di Cristo (3,1; 4,1). La sua prigionia sociale è
conseguenza della sua scelta radicale per Gesù che l’ha conquistato e inviato ad annunziarlo a
tutti (Fil 3,12). La lettera agli Efesini - deutero paolina - ha molte somiglianze con quella ai
Colossesi. Come questa manifesta una seria preoccupazione per la mentalità sincretista, che
dilagava e disorientava i cristiani del primo secolo d.C. verso i valori non cristiani, ma,
diversamente da quella ai Colossesi, tratta questo problema in modo più pacato e con ulteriori
approfondimenti teologici.
Più che una lettera indirizzata a una comunità concreta, la lettera agli Efesini è una
‘circolare’ o ‘lettera enciclica’, inviata - come dice il testo - a tutti i credenti: “ a tutti coloro che
amano il Signore nostro Gesù Cristo” (cfr. 6,24). L’ articolazione dei contenuti è chiara: tra la
presentazione (1,1-2) e i saluti finali (6,21-24) vi è il corpo della lettera, introdotto, a sua
volta, da una solenne benedizione iniziale (1,3-14). Questa benedizione, che ha la forma di un
testo liturgico, mentre riprende i temi della benedizione (berakah) ebraica (1,3-14) annuncia
che in Cristo la benedizione divina è finalmente compiuta. Si sono realizzati la volontà divina di
salvezza, la figliolanza adottiva in Gesù e il mistero della ricapitolazione di tutte le cose in
Cristo.
Alla preghiera di benedizione segue la prima parte della lettera (1,15-3,21) che descrive la
rivelazione del mistero di Dio in Cristo e della Chiesa sua presenza concreta nella storia,
sacramento di unità, luogo di unione tra giudei e pagani, ma anche dell’intera umanità (1,15-
3,21). Gesù è definito ‘nostra pace’ (2,14) perché la pace non è assenza esteriore di guerra,
ma il frutto della relazione con Lui che distrugge l’inimicizia e riconcilia i diversi e i nemici. Dio
è presentato Padre di tutti (4,6); non solo misericordioso, ma ricco di misericordia che ci ama
con grande amore (2,4). I verbi, tutti al tempo indicativo, suscitano un atteggiamento di
contemplazione e stupore dinanzi alla salvezza realizzata.
La seconda parte (4,1-6,20), con i verbi all’imperativo, indica le caratteristiche della vita nuova
del cristiano. La vita etica scaturisce naturalmente dall’essere salvati da Gesù e dal vivere in
lui. La contemplazione si fa azione concreta cristiana. I cristiani impegnati a «imparare Cristo»
(4,20) testimoniano la loro fede nelle scelte etiche concrete, a partire dalla vita familiare. La
famiglia è una piccola Chiesa (5,21- 6,4) i rapporti familiari riproducono l’amore gratuito di
Gesù per la sua Chiesa, per la quale ha dato la vita. La vita cristiana è dinamica. La bellissima
metafora dell’abito vecchio da buttare e di quello nuovo da indossare in continuazione ne
descrive il dinamismo.
I cristiani si svestono dell’uomo vecchio, che è vita senza Cristo e nel peccato, per
indossare l’uomo nuovo, cioè i valori di Cristo ricevuto nel battesimo, che si fa realtà
concreta: «vi esorto di comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con
ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di
conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace… » (4,1-3)
Da sapere che
Paolo si presenta come prigioniero, ma di Cristo (3,1; 4,1). La sua prigionia sociale è
conseguenza della sua scelta radicale per Gesù che l’ha conquistato e inviato ad
annunziarlo a tutti (Fil 3,12).
La benedizione iniziale (1,3-14) è una delle preghiere più usate della liturgia cattolica,
soprattutto come Inno nella preghiera serale del Vespro.
LETTERA AGLI EFESINI
La lettera agli Efesini è una lettera "circolare" a tutti i credenti, per confermarli nei valori e
negli impegni della vita nuova offerta da Cristo, superando la tentazione del sincretismo
religioso
Paolo si presenta come prigioniero, ma di Cristo (3,1; 4,1). La sua prigionia sociale è
conseguenza della sua scelta radicale per Gesù che l’ha conquistato e inviato ad annunziarlo a
tutti (Fil 3,12). La lettera agli Efesini - deutero paolina - ha molte somiglianze con quella ai
Colossesi. Come questa manifesta una seria preoccupazione per la mentalità sincretista, che
dilagava e disorientava i cristiani del primo secolo d.C. verso i valori non cristiani, ma,
diversamente da quella ai Colossesi, tratta questo problema in modo più pacato e con ulteriori
approfondimenti teologici.
Più che una lettera indirizzata a una comunità concreta, la lettera agli Efesini è una
‘circolare’ o ‘lettera enciclica’, inviata - come dice il testo - a tutti i credenti: “ a tutti coloro che
amano il Signore nostro Gesù Cristo” (cfr. 6,24). L’ articolazione dei contenuti è chiara: tra la
presentazione (1,1-2) e i saluti finali (6,21-24) vi è il corpo della lettera, introdotto, a sua
volta, da una solenne benedizione iniziale (1,3-14). Questa benedizione, che ha la forma di un
testo liturgico, mentre riprende i temi della benedizione (berakah) ebraica (1,3-14) annuncia
che in Cristo la benedizione divina è finalmente compiuta. Si sono realizzati la volontà divina di
salvezza, la figliolanza adottiva in Gesù e il mistero della ricapitolazione di tutte le cose in
Cristo.
Alla preghiera di benedizione segue la prima parte della lettera (1,15-3,21) che descrive la
rivelazione del mistero di Dio in Cristo e della Chiesa sua presenza concreta nella storia,
sacramento di unità, luogo di unione tra giudei e pagani, ma anche dell’intera umanità (1,15-
3,21). Gesù è definito ‘nostra pace’ (2,14) perché la pace non è assenza esteriore di guerra,
ma il frutto della relazione con Lui che distrugge l’inimicizia e riconcilia i diversi e i nemici. Dio
è presentato Padre di tutti (4,6); non solo misericordioso, ma ricco di misericordia che ci ama
con grande amore (2,4). I verbi, tutti al tempo indicativo, suscitano un atteggiamento di
contemplazione e stupore dinanzi alla salvezza realizzata.
La seconda parte (4,1-6,20), con i verbi all’imperativo, indica le caratteristiche della vita nuova
del cristiano. La vita etica scaturisce naturalmente dall’essere salvati da Gesù e dal vivere in
lui. La contemplazione si fa azione concreta cristiana. I cristiani impegnati a «imparare Cristo»
(4,20) testimoniano la loro fede nelle scelte etiche concrete, a partire dalla vita familiare. La
famiglia è una piccola Chiesa (5,21- 6,4) i rapporti familiari riproducono l’amore gratuito di
Gesù per la sua Chiesa, per la quale ha dato la vita. La vita cristiana è dinamica. La bellissima
metafora dell’abito vecchio da buttare e di quello nuovo da indossare in continuazione ne
descrive il dinamismo.
I cristiani si svestono dell’uomo vecchio, che è vita senza Cristo e nel peccato, per
indossare l’uomo nuovo, cioè i valori di Cristo ricevuto nel battesimo, che si fa realtà
concreta: «vi esorto di comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con
ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di
conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace… » (4,1-3)
Da sapere che
Paolo si presenta come prigioniero, ma di Cristo (3,1; 4,1). La sua prigionia sociale è
conseguenza della sua scelta radicale per Gesù che l’ha conquistato e inviato ad
annunziarlo a tutti (Fil 3,12).
La benedizione iniziale (1,3-14) è una delle preghiere più usate della liturgia cattolica,
soprattutto come Inno nella preghiera serale del Vespro.
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