giovedì 20 novembre 2014

I DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE DI SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO

I DOLORI MENTALI DI GESÙ NELLA SUA PASSIONE
DI SANTA CAMILLA BATTISTA DA VARANO

(Presentazione dello scritto)
Quello che qui segue sono quei dolori interiori di Cristo benedetto, che come ho detto mi ha comandato di scrivere.
Ma notate: quando io tornai a Camerino [nel 1484], qualche volta dicevo qualcosa di questi dolori interiori con le mie suore, per loro e mia consolazione. E, perché esse non pensassero che fossero farina del mio sacco, dicevo che una suora di quelle del monastero di Urbino aveva confidato a me queste cose.
Suor Pacifica mi pregò molte volte di scrivere queste cose. Io rispondevo che non le avrei mai scritte finché non fosse morta quella suora.
Quando mi fu comandato [da Gesù] di scriver­le, era già più di due anni che lei non mi aveva più parlato né accennato all'argomento. Però dovendo io scriverli, li indirizzai a lei perché allora era mia reverenda Abbadessa e io sua indegna vicaria, e finsi – come avevo detto – che una suora di quelle di Urbino mi avesse confidato tali cose devote, perciò qualche volta scrivo: “Quella anima santa, quella anima beata mi disse così”, e questo per dare fede all'oste, affinché i lettori non pensassero che fossi io [l'autrice].

GESÙ FIGLIO DI MARIA
Queste sono alcune devotissime cose riguardanti i dolori interiori di Gesù Cristo benedetto, che Egli per sua pietà e grazia si degnò comunicare ad una devota religiosa del nostro Ordine di santa Chiara, la quale, volendolo Dio, li confidò a me. Ora io le riferisco qui di seguito per utilità delle anime innamorate della passione di Cristo.

PRIMO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER TUTTI I DANNATI
Dopo una breve introduzione, viene presentato il primo dolore del Cuore di Cristo causato da coloro che prima di morire non si pentirono dei propri peccati. In queste pagine si trova eco della dottrina del “corpo mistico” di san Paolo sulla Chiesa che, come il corpo fisico, è formata da tante membra, i cristiani, e dal Capo che è Gesù stesso. Da qui la sofferenza che questo corpo mistico e in particolare il Capo prova se gli ven­gono strappate le membra. Ci deve far riflettere quanto Camilla Battista afferma circa la pena del Cuore di Cristo per ogni amputazione causata dal peccato mortale, impegnandoci ad evitarlo.

Vi fu un'anima molto desiderosa di cibarsi e saziarsi dei cibi, amarissimi come il veleno, della passione dell'amoroso e dolcissimo Gesù, la quale, dopo molti anni e per meravigliosa sua grazia, fu introdotta nei dolori mentali del mare amarissimo del suo Cuore appassionato.
Lei mi disse che per molto tempo aveva pregato Dio che la facesse annegare nel mare dei suoi dolori interiori e che il dolcissimo Gesù si degnò per sua pietà e grazia introdurla in quel mare amplissimo non una sola volta, ma molte volte e in modo così straordinario tanto che era costretta a dire: “Basta, Signore mio, perché non posso sostenere tanta pena!”.
E questo – credo – perché so che Egli è generoso e benigno verso chi domanda queste cose con umiltà e perseveranza.
Quell'anima benedetta mi disse che, quando si trovava in preghiera, diceva a Dio con grande fervore: “O Signore, io ti prego di introdurmi in quel sacratissimo talamo dei tuoi dolori mentali. Annegami in quel mare amarissimo perché lì io desidero morire se piace a Te, dolce vita e amore mio.
Dimmi, o Gesù mia speranza: quanto fu grande il dolore di questo tuo angustiato cuore?”.
E Gesù benedetto le diceva: “Sai quanto fu grande il mio dolore? Quanto fu grande l'amore che portavo alla creatura”.
Quell'anima benedetta mi disse che già altre volte Dio l'aveva resa capace, per quanto a Lui era piaciuto, di accogliere l'amore che Egli portava alla creatura.
E sopra l'argomento dell'amore che Cristo portava alla creatura mi disse cose devote e tanto belle che, se le volessi scrivere, sarebbe una cosa lunga. Ma poiché ora intendo narrare solo i dolori menta­li di Cristo benedetto che quella suora mi comu­nicò, tacerò il resto.
Torniamo dunque all'argomento.
Riferiva che quando Dio le diceva: “Tanto gran­de fu il dolore quanto grande era l'amore che por­tavo alla creatura”, le sembrava di venir meno a causa dell'infinita grandezza dell'amore che le veniva partecipato. Solo all'udire quella parola, bisognava che appoggiasse la testa da qualche parte per il grande affanno che le attanagliava il cuore e per la debolezza che percepiva in tutte le sue membra. E dopo che era stata alquanto così, riprendeva un po' di forze e diceva: “O Dio mio, avendomi detto quanto fu grande il dolore, dimmi quante furono le pene che hai por­tato nel tuo cuore”.
Ed Egli le rispondeva dolcemente:
“Sappi, figliola, che furono innumerevoli ed infi­nite, perché innumerevoli ed infinite sono le anime, mie membra, che si separavano da me per il peccato mortale. Ciascuna anima infatti si separa e disgiunge tante volte da me, suo Capo, per quante volte pecca mortalmente.
Questa fu una delle pene crudeli che io portai e sentii nel mio cuore: la lacerazione delle mie membra.
Pensa quanta sofferenza sente chi è martirizzato con la corda con cui vengono strappate le membra del suo corpo. Ora immagina che martirio fu il mio per tante membra da me separate quante saranno le anime dannate e ogni membro per tante volte quante peccava mortalmente. La disgiunzione di un membro spirituale rispetto a quella fisica è molto più dolorosa perché è più preziosa l'anima rispetto al corpo.
Quanto sia più preziosa l'anima del corpo non lo puoi comprendere tu e nessuna altra persona vivente, perché solo io conosco la nobiltà e l'utilità dell'anima e la miseria del corpo, perché solo io ho creato sia l'una che l'altro. Di conseguenza né tu né altri potete essere veramente capaci di comprendere le mie crudelissime e amare pene.
E adesso parlo solo di questo, cioè delle anime dannate.
Dato che nel modo di peccare si ha un caso più grave rispetto ad altro, così nel dismembramento da me provavo maggiore o minore pena da uno rispetto a un altro. Da ciò deriva la qualità e la quantità di pena.
Poiché vedevo che la loro perversa volontà sarebbe stata eterna, così la pena loro destinata è eterna; nell'inferno uno ha maggiore o minore pena rispetto all'altro per quanto più numerosi e maggiori peccati ha commesso l'uno rispetto all'altro.
Ma la pena crudele che mi straziava era vedere che le suddette infinite mie membra, cioè tutte le anime dannate, mai, mai e mai più si sarebbero riunite a me, loro vero Capo. Al di sopra di tutte le altre pene che hanno e che potranno avere eterna­mente quelle povere anime sventurate, è proprio questo “mai, mai” che in eterno le tormenta e tor­menterà.
Mi straziò tanto questa pena del “mai, mai”, che io avrei immediatamente scelto di patire non una volta sola ma infinite volte tutte le disgiunzio­ni che furono, sono e saranno, purché avessi potu­to vedere non tanto tutte, ma almeno un'anima sola riunirsi ai membri vivi o eletti che vivranno in eterno dello spirito di vita che procede da me, vera vita, che do vita ad ogni essere vivente.
Considera ora quanto mi sia cara un'anima se per riunirne a me una sola avrei voluto patire infi­nite volte tutte le pene e moltiplicate. Ma sappi anche che la pena di questo “mai, mai” tanto affligge e accora per mia divina giustizia quelle anime, che anche loro ugualmente preferirebbero mille e infinite pene pur di sperare qualche istante di riunirsi qualche volta a me, loro vero Capo.
Come fu diversa la qualità e la quantità della pena che dettero a me nel separarsi da me, così per mia giustizia la pena è corrispondente al tipo e alla quantità di ogni peccato. E dato che sopra ogni altra cosa mi afflisse quel “mai, mai”, così la mia giustizia esige che questo “mai, mai” addolori ed affligga loro più di ogni altra pena che hanno ed avranno in eterno.
Pensa dunque e rifletti quanta sofferenza per tutte le anime dannate io provai dentro di me e sentii nel mio cuore fino alla morte”.
Quell'anima benedetta mi diceva che a questo punto sorgeva nella sua anima un santo desiderio, che credeva fosse per divina ispirazione, di presentargli il seguente dubbio. Allora con gran timore e riverenza per non sembrare volesse indagare sulla Trinità e tuttavia con somma semplicità, purezza e confidenza diceva: “O dolce e addolorato Gesù mio, molte volte ho inteso dire che Tu hai portato e provato in Te, o appassionato Dio, le pene di tutti i dannati. Se ti piacesse, Signore mio, vorrei sapere se è vero che Tu hai sentito quella varietà di pene dell'inferno, quali freddo, caldo, fuoco, percosse e il dilaniare le tue membra da parte degli spiriti infernali. Dimmi, o mio Signore, sentisti tu questo, o mio Gesù?
Solo per riferire quanto sto scrivendo, mi pare che mi si liquefaccia il cuore ripensando alla tua benignità nel parlare tanto dolcemente e a lungo con chi veramente ti cerca e desidera”.
Allora Gesù benedetto rispondeva graziosa­mente e a lei pareva che tale domanda non gli fosse dispiaciuta, ma l'avesse gradita: “Io, figliola mia, non sentii questa diversità delle pene dei dannati nel modo che tu dici, perché erano membra morte e staccate da me, loro corpo e Capo.
Ti faccio questo esempio: se tu avessi una mano oppure un piede o qualsiasi altro membro, mentre viene tagliato o separato da te tu sentiresti grande e indicibile dolore e sofferenza; ma dopo che quel­la mano è stata tagliata, anche se fosse buttata nel fuoco, la straziassero o la dessero in pasto ai cani o ai lupi, tu non sentiresti né sofferenza né dolore, perché è ormai un membro putrido, morto e com­pletamente separato dal corpo. Ma sapendo che fu un tuo membro, soffriresti molto nel vederlo getta­to sul fuoco, straziato da qualcuno oppure divora­to da lupi e cani.
Proprio così avvenne per me riguardo alle innu­merevoli mie membra o anime dannate. Finché durò lo smembramento e quindi ci fu speranza di vita io sentii impensabili ed infinite pene e anche tutti gli affanni che esse patirono durante questa vita, perché fino alla loro morte vi era speranza di potersi riunire a me, se lo avessero voluto.
Ma dopo la morte non provai più alcuna pena perché erano ormai membra morte, putride, staccate da me, tagliate e del tutto escluse dal vivere in eterno in me, vera vita.
Considerando però che erano state mie vere e proprie membra, mi causava una pena impensabile e incomprensibile il vederli nel fuoco eterno, in bocca agli spiriti infernali e in preda ad altre innumerevoli sofferenze.
Questo dunque è il dolore interiore che provai per i dannati”.
SECONDO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER TUTTI I MEMBRI ELETTI
Sin dall'inizio di questo capitolo è Gesù che parla, dicendo che la sofferenza per lo strappo di un membro dal corpo fu provata dal suo cuore anche quando peccava un credente che poi si sarebbe pentito, salvandosi. Tale sofferenza è paragonabile ad un membro malato che provoca dolore a tutta la parte sana del corpo.
Vi troviamo anche pensieri riguardanti le pene sofferte da chi si trova nel purgatorio.
Alcune espressioni, attribuite alla suora che aveva raccontato le confidenze divine, confermano la gravità del peccato, anche veniale.
“L'altro dolore che mi trafisse il cuore fu per tutti gli eletti.
Sappi infatti che tutto ciò che mi afflisse e tormentò per i membri dannati, allo stesso modo mi afflisse e tormentò per la separazione e disgiunzione da me di tutti i membri eletti che avrebbero peccato mortalmente.
Quanto erano grandi l'amore che eternamente avevo per loro e la vita alla quale essi si univano operando il bene e da cui si separavano peccando mortalmente, altrettanto era grande il dolore che sentii per loro, vere mie membra.
Il dolore che provai per i dannati differiva da quello che sentii per gli eletti solo in questo: per i dannati, essendo membra morte, non provai più la loro pena dato che erano separati da me con la morte; per gli eletti invece sentii e provai ogni loro pena e amarezza in vita e dopo la morte, cioè nella vita le sofferenze e i tormenti di tutti i martiri, le penitenze di tutti i penitenti, le tentazioni di tutti i tentati, le infermità di tutti i malati e poi persecuzioni, calunnie, esili. In breve, provai e sentii così chiaramente e vivamente ogni sofferenza piccola o grande di tutti gli eletti ancora in vita, come tu vivamente proveresti e sentiresti se ti percuotessero l'occhio, la mano, il piede o qualche altro membro del tuo corpo.
Pensa allora quanti furono i martiri e quante specie di torture sostenne ciascuno di essi e poi quante furono le sofferenze di tutti gli altri mem­bri eletti e la varietà di quelle pene.
Considera questo: se tu avessi mille occhi, mille mani, mille piedi e mille altre membra e in ognu­no di essi provassi mille diverse pene che contem­poraneamente provocano un unico lancinante dolore, non ti sembrerebbe raffinato supplizio?
Ma le mie membra, figliola mia, non furono migliaia né milioni, ma infinite. E nemmeno la varietà di quelle pene furono migliaia, ma innume­revoli, perché tali furono le pene dei santi, martiri, vergini e confessori e di tutti gli altri eletti.
In conclusione, come non ti è possibile com­prendere quali e quante siano le forme di beatitu­dine, di gloria e di premi preparati in paradiso per i giusti o eletti, così non puoi comprendere o sape­re quante siano state le pene interiori che io sop­portai per i membri eletti. Per divina giustizia biso­gna che a queste sofferenze corrispondano le gioie, le glorie e i premi; ma io provai e sentii nella loro diversità e quantità le pene che gli eletti, avrebbero sofferto dopo la morte in purgatorio a causa dei loro peccati, chi più e chi meno secondo quanto avevano meritato. Questo perché non erano membra putride e staccate come i dannati, ma erano membra vive che vivevano in me Spirito di vita, prevenute con la mia grazia e benedizione.
Allora, tutte quelle pene che tu mi chiedevi se le avessi sentite per i membri dannati, non le sentii o provai per la ragione che ti ho detto; ma riguardo agli eletti sì, perché sentii e provai tutte le pene del purgatorio che loro avrebbero dovuto sostenere.
Ti faccio questo esempio: se la tua mano per qualche motivo si slogasse o rompesse e, dopo che un esperto l'abbia rimessa a posto, qualcuno la mettesse sul fuoco o la picchiasse oppure la portasse in bocca al cane, proveresti un dolore fortissimo perché è membro vivo che deve ritornare perfettamente unito al corpo; così io ho provato e sentito dentro di me tutte le pene del purgatorio che i miei membri eletti dovevano patire perché erano membra vive che attraverso quelle sofferenze dovevano riunirsi perfettamente a me, loro vero Capo.
Tra le pene dell'inferno e quelle del purgatorio non c'è alcuna diversità o differenza, salvo che quelle dell'inferno mai, mai, mai avranno fine, mentre quelle del purgatorio sì; e le anime che si trovano qui, volentieri e con gioia si purificano e, benché nel dolore, soffrono in pace rendendo grazie a me, somma giustizia.
Questo è ciò che riguarda il dolore interiore che ho sofferto per gli eletti”.

Volesse dunque Iddio che io mi potessi ricorda­re delle devote parole che lei a questo punto con un pianto dirotto riferiva, dicendo che, essendo stata resa capace di comprendere – per quanto era pia­ciuto al Signore – la gravità del peccato, conosce­va ora quanta pena e martirio aveva dato al suo amatissimo Gesù separandosi da Lui, sommo Bene, per unirsi a cose tanto vili di questo mondo che offrono occasioni di peccare.
Mi ricordo anche che lei, parlando tra molte lacrime, esclamava:
“Oh, Dio mio, molte volte ti ho procurato grandi ed infinite pene, o dannata o salva che io sia. O Signore, non ho mai saputo che il peccato ti offen­desse tanto, credo allora che mai avrei peccato neppure leggermente. Tuttavia, Dio mio, non tener conto di ciò che dico, perché nonostante questo farei anche peggio se la tua pietosa mano non mi sostenesse.
Però tu, dolce e benigno mio amante, non mi sembri più un Dio ma piuttosto un inferno perché queste tue pene che mi fai conoscere sono tante. E veramente mi sembri più che infernale”.
Così molte volte, per santa semplicità e compassione, lo chiamava inferno.
TERZO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER LA GLORIOSA VERGINE MARIA
Un terzo motivo di profonda sofferenza al cuore dell'uomo-Dio fu il dolore della sua dolcissima Madre. Per la particolare tenerezza che Maria nutriva verso questo Figlio che era contemporaneamente Figlio dell'Altissimo, il suo dolore fu straordinario rispetto a quello di altri genitori che possono fare l'esperienza di assistere al martirio di un figlio.
Gesù, oltre il vedere soffrire la Madre, provò grande sofferenza nel sentirsi impedito di poterle risparmiare il dolore.

L’ amoroso e benedetto Gesù continuava: “Ascolta, ascolta, figliola mia; non dire subito così, perché devo ancora dirti cose amarissime e specialmente circa quell'acuto coltello che passò e trafisse la mia anima, cioè il dolore della mia pura e innocente Madre, che per la mia passione e morte doveva essere tanto afflitta e accorata che mai fu né sarà una persona più addolorata di lei.
Perciò in paradiso l'abbiamo giustamente glori­ficata ed innalzata e premiata sopra tutte le schie­re angeliche ed umane.
Noi facciamo sempre così: quanto più la crea­tura in questo mondo è per amor mio afflitta, abbassata ed annientata in se stessa, tanto più nel regno dei beati per giustizia divina è innalzata, glorificata e premiata.
E dato che in questo mondo non ci fu una madre o alcuna persona più angustiata della mia dolcissima e accorata madre, così lassù non c'è, né vi sarà mai persona simile a lei.
E come in terra lei fu simile a me per pene e afflizioni, così in cielo è simile a me per potenza e gloria, però senza la mia divinità di cui siamo partecipi solo noi tre divine persone, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ma sappi che tutto quello che soffrii e sopportai io, Dio umanato, soffrì e patì la mia poveri e santissima Madre: salvo che io soffrii in grado pio alto e perfetto perché ero Dio e uomo, mentre lei era pura e semplice creatura priva affatto di divinità.
Mi afflisse talmente il suo dolore che, se fosse piaciuto al mio eterno Padre, sarebbe stato per me un sollievo se i suoi dolori fossero ricaduti sopra la mia anima e lei fosse rimasta libera da ogni sofferenza; è vero che le mie sofferenze e ferite sarebbero state come raddoppiate con una freccia acuminata e velenosa, ma ciò sarebbe stato per me grandissimo sollievo e lei sarebbe rimasta senza alcuna pena. Ma perché il mio indescrivibile martirio doveva essere senza alcuna consolazione, non mi fu concessa tale grazia benché più volte l'avessi domandata per tenerezza filiale e con molte lacrime”.
Allora, racconta la suora, le sembrava che le venisse meno il cuore per il dolore della gloriosa Vergine Maria. Dice che provava una certa tensione interiore da non poter proferire altra parola che questa:
“O Madre di Dio, non ti voglio più appellare Madre di Dio quanto piuttosto Madre di dolore, Madre di pena, Madre di tutte le afflizioni che si possano contare e pensare. Ebbene, d'ora in poi ti chiamerò sempre Madre di dolore.
Egli mi pare un inferno e tu mi sembri altrettanto. Allora come ti posso appellare se non Madre di dolore? Anche tu sei proprio un secondo infer­no”.
E aggiungeva:
“Basta, Signore mio, non mi parlare più dei dolori della tua benedetta Madre, perché sento di non poterli più sopportare. Mi basta questo finché sarò in vita, anche se potessi vivere mille anni”.

QUARTO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER LA SUA INNAMORATA DISCEPOLA MARIA MADDALENA
La dolorosa esperienza di Maria Maddalena, presente alla passione del Signore, fu seconda solo a quella della Vergine Maria, perché lei amava senza riserve Gesù, diremmo noi come suo “sposo”, mancando il quale lei non si dette pace. Questa è l'esperienza delle anime consacrate, specie quelle contemplative come lo fu Camilla Battista la cui vicenda possiamo riconoscere nell'espressione dettale da Gesù: “Così vuol essere ogni anima quando mi ama e desidera affettuosamente: non si dà pace né riposa se non in me solo, suo amato Dio”. Simile a Maria Maddalena, la Beata durante la dolorosa prova della notte spirituale non si dette pace.


Allora Gesù, tacendo su tale argomento perché vedeva che lei non poteva più sopportarlo, inco­minciò a dirle:
“E che dolore pensi tu che io abbia sostenuto per la pena e l'afflizione della mia diletta discepola e benedetta figliola Maria Maddalena?
Mai potreste comprenderlo né tu né altra perso­na, perché da lei e da me hanno avuto fondamento e origine tutti i santi amori spirituali che mai furo­no e saranno. Infatti la mia perfezione, di me che sono il Maestro che ama, e l'affetto e la bontà di lei, discepola amata, non possono essere compresi se non da me. Qualche cosa ne potrebbe compren­dere chi ha fatto esperienza dell'amore santo e spi­rituale, amando e sentendosi amato; mai però in quella misura, perché non esiste un tale Maestro e neppure una tale discepola, poiché di Maddalena non ne fu ne sarà mai altra che ella sola.
Giustamente si dice che dopo la mia amatissi­ma Madre non ci fu persona che più di lei si afflig­gesse per la mia passione e morte. Se un altro si fosse afflitto più di lei, dopo la mia risurrezione io sarei apparso a lui prima che a lei; ma poiché dopo la mia benedetta Madre fu lei più afflitta e non altri, così dopo la mia dolcissima Madre fu lei la prima ad essere consolata.
Io resi capace il mio amatissimo discepolo Giovanni, nel gioioso abbandono sul mio sacratis­simo petto durante la desiderata e intima cena, di vedere chiaramente la mia risurrezione e l'immenso frutto che sarebbe scaturito agli uomini dalla mia passione e morte. Sicché, per quanto il mio amato fratello Giovanni abbia provato dolore e sofferenza per la mia passione e morte più di tutti gli altri discepoli pur sapendo quanto dicevo, non pensare che abbia superato l'innamorata Maddalena. Lei non aveva la capacità di comprendere cose alte e profonde come Giovanni, il quale non avrebbe mai impedito – se gli fosse stato possibile – la mia passione e morte per l'immenso bene che ne sarebbe provenuto.
Ma non era così per l'amata discepola Maddalena. Infatti quando mi vide spirare, parve a lei che le venissero a mancare il cielo e la terra, perché in me erano tutta la sua speranza, tutto il suo amore, pace e consolazione, giacché mi amava senza ordine e misura.
Per questo anche il suo dolore fu senza ordine e misura. E potendolo conoscere solo io, lo portai volentieri nel mio cuore e provai per lei ogni tenerezza che per santo e spirituale amore si può provare e sentire, perché mi amava svisceratamente.
E osserva, se vuoi saperlo, che gli altri discepoli dopo la mia morte ritornarono alle reti che avevano abbandonato, perché non erano ancora del tutto staccati dalle cose materiali come invece questa santa peccatrice. Lei invece non ritornò alla vita mondana e scorretta; anzi, tutta infuocata e bruciante di santo desiderio, non potendo più spe­rare di vedermi vivo, mi cercava morto, convinta che nessun'altra cosa poteva ormai piacerle o sod­disfarla se non io suo caro Maestro, vivo o morto che fossi.
Che ciò sia vero lo prova il fatto che lei, per tro­vare me morto, ritenne secondaria e pertanto lasciò la viva presenza e compagnia della mia dol­cissima Madre, che è la più desiderabile, amabile e piacevole che dopo di me si può avere.
E anche la visione e i dolci colloqui con gli angeli le sembrarono niente.

Così vuoi essere ogni anima quando mi ama e desidera affettuosamente: non si dà pace né riposa se non in me solo, suo amato Dio.
Insomma, fu tanto il dolore di questa mia bene­detta cara discepola che, se io somma potenza non l'avessi sostenuta, sarebbe morta.
Questo suo dolore si ripercuoteva nel mio appassionato cuore, perciò fui molto afflitto ed angustiato per lei. Ma non permisi che lei venisse meno nel suo dolore, dato che di lei volevo fare ciò che poi feci, cioè apostola degli apostoli per annunziare loro la verità della mia trionfale risurrezione, come essi poi fecero a tutto il mondo.
La volevo fare e la feci specchio, esempio, modello di tutta la beatissima vita contemplativa nella solitudine di trentatré anni rimanendo ignota al mondo, durante i quali lei poté gustare e provare gli ultimi effetti dell'amore per quanto è possibile gustare, provare, sentire in questa vita terrena.
Questo è tutto quello che riguarda il dolore che provai per la mia diletta discepola”.

QUINTO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE PER I SUOI AMATI E CARI DISCEPOLI
Gesù, dopo aver scelto gli apostoli tra molti altri discepoli, nei tre anni di vita comune li trattò con particolare familiarità per istruirli e prepa­rarli alla missione a cui li destinava. Proprio per lo speciale rapporto di amore che intercorse tra Cristo e gli apostoli, Egli provò una sofferenza particolare nel suo cuore prendendo su di sé le sofferenze a cui essi sarebbero andati incontro per testimoniare la sua risurrezione.

“L'altro dolore che accoltellava l'anima mia era la continua memoria del santo collegio degli Apostoli, colonne del cielo e fondamento della mia Chiesa in terra, che io vedevo come sarebbe stato disperso quali pecorelle senza pastore e conoscevo tutte le pene e martirii che avrebbero dovuto patire per me.
Sappi dunque che mai un padre ha amato con tanto cuore i figli né un fratello i fratelli né un maestro i discepoli come io amavo gli Apostoli benedetti, dilettissimi miei figlioli, fratelli e discepoli.
Benché io abbia sempre amato tutte le creature con amore infinito, tuttavia ci fu un particolare amore per quelli che effettivamente vissero con me.
Di conseguenza provai un particolare dolore per loro nella mia afflitta anima. Per essi infatti, più che per me, pronunciai quell'amara parola: 'La mia anima è triste fino alla morte', data la grande tenerezza che provavo nel lasciarli senza di me, loro padre e fedele maestro. Ciò mi procurava tanta angustia che questa separazione fisica da loro mi sembrava una seconda morte.
Se si riflettesse attentamente sulle parole dell'ultimo discorso che rivolsi loro, non ci sarebbe un cuore tanto indurito da non commuoversi di fronte a tutte quelle affettuose parole che mi sgorgarono dal cuore, che sembrava scoppiarmi in petto per l'amore che portavo loro.
Aggiungi che vedevo chi sarebbe stato crocifis­so a causa del mio nome, chi decapitato, chi scor­ticato vivo e che comunque tutti avrebbero chiuso l'esistenza per amore mio con vari martirii.
Per poter comprendere quanto questa pena mi fosse pesante, fai questa ipotesi: se tu avessi una persona che ami santamente e alla quale per causa tua e proprio perché l'ami vengano indirizzate parole ingiuriose oppure fatto qualche cosa che le dispiace, oh, come ti farebbe veramente male che proprio tu sia la causa di tale sofferenza per lei che tu ami tanto! Vorresti invece e cercheresti che lei per causa tua potesse avere sempre pace e gioia.
Ora proprio io, figliola mia, diventavo per loro causa non di parole ingiuriose, ma della morte, e non per uno solo ma per tutti. E di questo dolore che provai per loro non ti posso dare altro esem­pio: ti basti quanto ho detto, se vuoi provare com­passione per me”.

SESTO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER L’INGRATITUDINE DEL SUO AMATO DISCEPOLO GIUDA TRADITORE
Gesù aveva scelto Giuda Iscariota come apostolo insieme agli altri undici, anche a lui aveva concesso il dono di compiere miracoli e gli aveva dato particolari incarichi. Nonostante questo egli progettò il tradimento che, ancor prima che si realizzasse, lacerò il cuore del Redentore.
Al'ingratitudine di Giuda si contrappose la sensibilità dell'apostolo Giovanni, che si sarebbe accorto della sofferenza del suo Signore, secondo quanto scrive la Varano in queste pagine cariche di profonda commozione.

“Ancora un altro sviscerato e intenso dolore mi affliggeva continuamente e mi feriva il cuore. Era come un coltello con tre punte acutissime e vele­nose che continuamente trapassava come una saet­ta e torturava il mio cuore amareggiato come la mirra: cioè la perfidia e ingratitudine del mio amato discepolo Giuda iniquo traditore, la durezza e perversa ingratitudine del mio eletto e prediletto popolo giudaico, la cecità e maligna ingratitudine di tutte le creature che furono, sono e saranno.
Considera prima di tutto quanto fu grande l'in­gratitudine di Giuda.
Io lo avevo eletto nel numero degli apostoli e, dopo avergli perdonato tutti i peccati, lo resi ope­ratore di miracoli e amministratore di quanto mi veniva donato e gli mostrai sempre continui segni di particolare amore perché tornasse indietro dall’iniquo suo proposito. Ma quanto più amore gli mostravo, tanto più progettava cattiverie contro di me.
Con quanta amarezza credi tu che io ruminassi nel mio cuore queste cose e tante altre?
Ma quando venni a quel gesto affettuoso e umile di lavargli i piedi insieme a tutti gli altri, allora il mio cuore si liquefece in un pianto svisce­rato. Uscivano veramente fontane di lacrime dai miei occhi sopra i suoi disonesti piedi, mentre nel mio cuore esclamavo:
‘O Giuda, che ti ho fatto perché tu così crudelmente mi tradisca? O sventurato discepolo, non è questo l'ultimo segno d'amore che ti voglio mostrare? O figliolo di perdizione, per quale motivo ti allontani così dal tuo padre e maestro? O Giuda, se desideri trenta denari, perché non vai dalla Madre tua e mia, pronta a vendere se stessa per scampare te e me da un pericolo così grande e mortale?
O discepolo ingrato, io ti bacio con tanto amore i piedi e tu con grande tradimento mi bacerai la bocca? Oh, che pessimo contraccambio mi darai! Io piango la tua perdizione, o caro e diletto figliolo, e non la mia passione e morte, perché non sono venuto per altro motivo'.
Queste ed altre parole simili gli dicevo con il cuore, rigandogli i piedi con le mie abbondantissime lacrime.
Però lui non se ne accorgeva perché io stavo inginocchiato davanti a lui con la testa inclinata come avviene nel gesto di lavare i piedi altrui, ma anche perché i miei folti lunghi capelli, stando così piegato, mi coprivano il volto bagnato di lacrime.
Ma il mio diletto discepolo Giovanni, poiché gli avevo rivelato in quella dolorosa cena ogni cosa della mia passione, vedeva e annotava ogni mio gesto; si accorse allora dell'amaro pianto che avevo fatto sopra i piedi di Giuda. Egli sapeva e capiva che ogni mia lacrima aveva origine dal tenero amore, come quello di un padre in prossi­mità della morte che sta servendo il proprio unico figlio e gli dice in cuor suo: 'Figliolo, stai tran­quillo, questo è l'ultimo affettuoso servizio che ti potrò fare'. E io feci proprio così a Giuda quando gli lavai e baciai i piedi accostandomeli e stringen­doli con tanta tenerezza alla mia sacratissima fac­cia.
Tutti questi miei gesti e modi non consueti stava notando il benedetto Giovanni evangelista, vera aquila dagli alti voli, che per grande meraviglia e stupore era più morto che vivo. Essendo egli anima umilissima, si sedette all'ultimo posto di modo che lui fu l'ultimo davanti al quale mi ingi­nocchiai per lavare i piedi. Fu a questo punto che non si poté più contenere ed essendo io a terra e lui seduto, mi buttò le braccia al collo e mi strinse a lungo come fa una persona angustiata, versando abbondantissime lacrime. Egli mi parlava col cuore, senza voce, e diceva:
‘O caro Maestro, fratello, padre, Dio e Signore mio, quale forza d'animo ti ha sorretto nel lavare e baciare con la tua sacratissima bocca quei male­detti piedi di quel cane traditore? O Gesù, mio caro Maestro, ci lasci un grande esempio. Ma noi poverelli che faremo senza di te che sei ogni nostro bene? Che farà la sventurata tua povera madre quando le racconterò questo tuo gesto di umiltà? E
ora, per farmi spezzare il cuore, vuoi lavare i miei piedi maleodoranti e sporchi di fango e polvere e baciarli con la tua bocca dolcissima come il miele?
O Dio mio, questi nuovi segni d'amore sono per me innegabile fonte di maggior dolore'.
Dette queste ed altre simili parole che avrebbero fatto intenerire un cuore di sasso, si lasciò lavare porgendo i piedi con molta vergogna e riverenza.
Ti ho detto tutto questo per darti qualche notizia del dolore che provai nel mio cuore per l'ingratitudine e per l'empietà di Giuda traditore, che per quanto da parte mia gli avevo dato amore e segni di affetto, tanto mi rattristò con la sua pessima ingratitudine”.

SETTIMO DOLORE
CHE CRISTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER L’INGRATITUDINE DEL SUO PREDILETTO POPOLO GIUDAICO
Il racconto di questo dolore è breve, ma suffi­ciente a descrivere la pena interiore di Cristo per il popolo ebraico dal quale aveva assunto la natu­ra umana. Dopo i benefici straordinari concessi ai padri, il Figlio di Dio incarnato durante la vita terrena aveva operato ogni genere di bene in favo­re del popolo, il quale al momento della passione lo ricambiò con il grido: “A morte, a morte!“, che lacerò il suo cuore più che i suoi orecchi.
“Pensa un poco (figliola mia) quanto grande fu il colpo come di freccia con cui mi trafisse e mi accorò il popolo giudaico, ingrato ed ostinato.
Io l'avevo reso popolo santo e sacerdotale e l'a­vevo eletto a mia parte di eredità, al di sopra di tutti gli altri popoli della terra.
L'avevo liberato dalla schiavitù d'Egitto, dalle mani del Faraone, lo avevo condotto a piedi asciut­ti attraverso il Mare Rosso, per lui ero stato colon­na ombrosa di giorno e luce nella notte.
Lo nutrii di manna per quaranta anni, gli detti con la mia propria bocca la Legge sul monte Sinai, gli concessi tante vittorie contro i suoi nemici.
Assunsi natura umana da lui e per tutto il tempo della mia vita dialogai con lui e gli mostrai la via del cielo. Durante quel tempo gli feci molti bene­fici, quali dare luce ai ciechi, l'udito ai sordi, il camminare ai paralitici, la vita ai loro morti.
Ora quando intesi che con tanto furore gridava­no che fosse rilasciato Barabba e io fossi condan­nato a morte e crocifisso, mi parve che mi scop­piasse il cuore.
Figliola mia, non lo può comprendere se non chi lo prova, che dolore sia ricevere ogni male da chi ha ricevuto ogni bene!
Quanto è duro per chi è innocente sentirsi urlare da tutta la gente: 'Muoia! muoia!', mentre a chi è prigioniero come lui ma si sa che merita mille morti viene gridato dal popolo: 'Viva! Viva!'.
Queste sono cose da meditare e non da raccontare”.

OTTAVO DOLORE
CHE CRISTO BENEDETTO PORTO’ NEL SUO CUORE
PER L’INGRATITUDINE DI TUTTE LE CREATURE
Questo capitolo presenta alcune delle pagine più belle della Varano che riconosce gli innumerevoli benefici divini: «Tu, Signore, per grazia sei nato nell'anima mia... Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, par­lare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risu­scitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente...». Contemporaneamente sente il peso della propria ingratitudine: «Tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per mia malizia e poco amore che porto a te». Di fronte all'infinito amore divino e al dolore del Salvatore la Beata sente la gravità del peccato anche minimo, perciò si identifica in coloro che hanno flagellato e crocifisso Gesù e, dimenticando tutti gli altri peccatori, si ritiene sintesi dell'ingra­titudine di tutte le creature.
Illuminata da Cristo, sole di giustizia, quell'anima benedetta espone questa ingratitudine con parole pronunciate per sé e per ogni creatura con riferimento alle grazie e ai benefici ricevuti.
Dice infatti che si sentiva nel cuore tanta umiltà che veramente confessava a Dio e a tutta la corte celeste di aver ricevuto da Dio più doni e benefici di Giuda e addirittura di averne ricevuti più lei sola di tutto il popolo eletto messo insieme e che lei aveva tradito Gesù molto peggio e più ingratamente di Giuda e che molto peggio e più ostinatamente di quel popolo ingrato lei lo aveva condannato a morte e crocifisso.
E con questa santa riflessione lei collocava la sua anima sotto i piedi dell'anima del dannato e maledetto Giuda e da quell'abisso elevava voci, urla e pianti al suo amato Dio da lei offeso, quali: “Signore mio benigno, come potrò ringraziarti per ciò che hai sofferto per me che ti ho trattato mille volte peggio di Giuda?
Tu avevi reso lui tuo discepolo, mentre hai eletto me tua figlia e sposa.
A lui hai perdonato i peccati, a me pure per tua pietà e grazia hai perdonato tutti i peccati come se non li avessi mai fatti.
A lui desti l'incarico di dispensare le cose materiali, a me ingrata hai dispensato tanti doni e grazie del tuo tesoro spirituale.
A lui hai concesso la grazia di fare miracoli, a me hai fatto più che un miracolo conducendomi volontariamente in questo luogo e nella vita con­sacrata.
O Gesù mio, io ti ho venduto e tradito non una volta come lui, ma mille ed infinite volte. O mio Dio, sai bene che peggio di Giuda io ti ho tradito col bacio quando, anche sotto parvenza di amicizia spirituale, ti ho abbandonato e mi sono accostata ai lacci di morte.
E se tanto ti ha turbato l'ingratitudine di quel popolo eletto, cosa sarà stata ed è per te la mia ingratitudine? Io ti ho trattato peggio di loro, ben­ché abbia ricevuto da te, mio vero bene, molti più benefici di loro.
O Signore mio dolcissimo, io con tutto il cuore ti ringrazio che, come gli ebrei dalla schiavitù egiziana, mi hai strappato dalla schiavitù del mondo, dai peccati, dalle mani del crudele faraone qual è il demonio infernale che dominava a suo piacimento l'anima mia poverella.
O mio Dio, condotta a piedi asciutti attraverso l'acqua del mare delle vanità mondane, per tua grazia sono passata alla solitudine del deserto della santa religione claustrale dove molte volte mi hai nutrito con la tua dolcissima manna, ricolma di ogni sapore. Ho infatti sperimentato che tutti i piaceri del mondo sono nauseabondi di fronte alla pur minima tua consolazione spirituale.
Ti ringrazio, Signore e Padre mio benigno, che molte volte sul monte Sinai della santa orazione mi hai dato con la tua dolcissima santa Parola la legge scritta con il dito della tua pietà sulle tavole di pietra del mio durissimo cuore ribelle.
Ti ringrazio, Redentore mio benignissimo, per tutte le vittorie che mi hai dato su tutti i miei nemici, i vizi capitali: tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per la mia malizia e il poco amore che porto a te, mio desiderato Dio.
Tu, Signore, per grazia sei nato nell'anima mia e mi hai mostrato la via e donato la luce e il lume della verità per giungere a Te, vero paradiso. Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, parlare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risuscitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente.
Ma chi ti ha crocifisso? lo.
Chi ti ha flagellato alla colonna? Io.
Chi ti ha coronato di spine? Io.
Chi ti ha abbeverato di aceto e fiele? Io”.

Rifletteva in tal modo su tutti questi dolorosi misteri piangendo con molte lacrime, secondo la grazia che Dio le dava.
E concludendo diceva:
“Signore mio, sai perché ti dico che io ti ho fatto tutte queste cose? Perché alla tua luce ho visto la luce, cioè [ho capito] che molto più ti afflissero e procurarono dolori i peccati mortali che io ho commesso, di quanto allora non ti affliggessero e procurassero dolori le persone che ti inflissero tutti quegli strazi fisici.
Allora, Dio mio, non è necessario che tu mi fac­cia conoscere il dolore che ti dette l'ingratitudine di tutte le creature, perché, dopo che mi hai fatto la grazia di conoscere almeno in parte la mia ingrati­tudine, posso ora - sempre per la grazia che mi infondi – riflettere quanto ti hanno fatto tutte le creature complessivamente.
In questa riflessione quasi vengo meno per lo stupore che suscitano, o Gesù mio, la tua immensa carità e la pazienza verso di noi, tue creature ingratissime, poiché mai, mai tu smetti di provvedere a tutti i nostri bisogni spirituali, materiali e temporali.
E come non si possono conoscere, Dio mio, le cose innumerevoli che hai compiuto per queste tue ingrate creature in cielo, in terra, nell'acqua, nell'aria, così non riusciremo a comprendere la nostra ingratissima ingratitudine.
Confesso allora e credo che solo tu, Dio mio, puoi conoscere e sapere quanta e quale sia stata la nostra ingratitudine che come freccia avvelenata ti ha trafitto il cuore tante volte quante sono le creature che furono, sono e saranno e ogni volta che ognuna di esse ha esercitato tale ingratitudine.
Riconosco dunque e dichiaro per me e per tutte le creature tale verità: come non passa un istante né ora né giorno né mese che non usiamo appieno i tuoi benefici, così non passa un istante né un'ora né un giorno né un mese senza molte e infinite ingratitudini.
E io credo e riconosco che questa nostra pessima ingratitudine sia stata uno dei più crudeli dolori della tua afflitta anima”.

(Sottoscrizioni finali)

Concludo queste poche parole sui dolori inte­riori di Gesù Cristo a sua lode, venerdì 12 settem­bre dell'anno del Signore 1488. Amen.
Potrei riferire molte altre cose che mi disse quella suora, ad utilità e consolazione dei lettori; ma Dio sa che per prudenza mi trattengo nono­stante l'impulso interiore especialmente perché quell'anima benedetta si trova ancora nel carcere di questa misera vita.
Forse un'altra volta in futuro Dio mi ispirerà di riferire altre sue parole che ora per prudenza tac­cio.


PREGHIERE TRATTE DA “I DOLORI MENTALI DI CRISTO”
DELLA BEATA CAMILLA BATTISTA DA VARANO

La Beata nel corpo dell'opera si esprime con preghiere che possiamo utilizzare facendo nostro quanto lei esprimeva al Signore durante i colloqui e le meditazioni, chiedendole che ci aiuti nella riflessione e nella preghiera.

Preghiera di pentimento e di fiducia
(cap. II dei Dolori Mentali)

Dio mio, molte volte ti ho procurato grandi ed infinite pene, o dannata o salva che io sia.
O Signore, non ho mai saputo che il peccato ti offendesse tanto, credo allora che mai avrei peccato neppure leggermente.
Tuttavia, Dio mio, non tener conto di ciò che dico, perché nonostante questo farei anche peggio se la tua pietosa mano non mi sostenesse.

PREGHIERA DI PENTIMENTO DEI PROPRI PECCATI
(cap. VIII dei Dolori Mentali)

Signore mio benigno, come potrò ringraziarti per ciò che hai sofferto per me che ti ho trattato mille volte peggio di Giuda?
Tu avevi reso lui tuo discepolo, mentre hai elet­to me tua figlia e sposa.
A lui hai perdonato i peccati, a me pure per tua pietà e grazia hai perdonato tutti i peccati come se non li avessi mai fatti.
A lui desti l'incarico di dispensare le cose materiali, a me ingrata hai dispensato tanti doni e grazie del tuo tesoro spirituale.
A lui hai concesso la grazia di fare miracoli, a me hai fatto più che un miracolo conducendomi volontariamente in questo luogo e nella vita con­sacrata.
O Gesù mio, io ti ho venduto e tradito non una volta come lui, ma mille ed infinite volte.
O Dio mio, sai bene che peggio di Giuda io ti ho tradito col bacio quando, anche sotto parvenza di amicizia spirituale, ti ho abbandonato e mi sono accostata ai lacci della morte.
E se tanto ti ha turbato l'ingratitudine di quel popolo eletto, cosa sarà stata ed è per te la mia ingratitudine? Io ti ho trattato peggio di loro, ben­ché abbia ricevuto da te, mio vero bene, molti più benefici di loro.
O Signore mio dolcissimo, io con tutto il cuore ti ringrazio che, come gli ebrei dalla schiavitù egi­ziana, mi hai strappato dalla schiavitù del mondo, dai peccati, dalle mani del crudele faraone qual è il demonio infernale che dominava a suo piacimento l'anima mia poverella.
O mio Dio, condotta a piedi asciutti attraverso l'acqua del mare delle vanità mondane, per tua grazia sono passata alla solitudine del deserto della santa religione claustrale dove molte volte mi hai nutrito con la tua dolcissima manna, ricolma di ogni sapore. Ho infatti sperimentato che tutti i pia­ceri del mondo sono nauseabondi di fronte alla pur minima tua consolazione spirituale.
Ti ringrazio, Signore e Padre mio benigno, che molte volte sul monte Sinai della santa orazione mi hai dato con la tua dolcissima santa Parola la legge scritta con il dito della tua pietà sulle tavole di pietra del mio durissimo cuore ribelle.
Ti ringrazio, Redentore mio benignissimo, per tutte le vittorie che mi hai dato su tutti i miei nemi­ci, i vizi capitali: tutte le volte che ho vinto, da te solo e per te è venuta la mia vittoria, mentre tutte le volte che ho perso e perdo è stato ed è per la mia malizia e il poco amore che porto a te, mio desi­derato Dio.
Tu, Signore, per grazia sei nato nell'anima mia e mi hai mostrato la via e donato la luce e il lume della verità per giungere a Te, vero paradiso. Nelle tenebre e oscurità del mondo tu mi hai fatta capace di vedere, udire, parlare, camminare, perché veramente io ero cieca, sorda e muta a tutte le cose spirituali; mi hai risuscitata in Te, vera vita che dai vita a ogni cosa vivente.
Ma chi ti ha crocifisso? Io.
Chi ti ha flagellato alla colonna? Io.
Chi ti ha coronato di spine? lo.
Chi ti ha abbeverato di aceto e fiele? Io.
Signore mio, sai perché ti dico che io ti ho fatto tutte queste cose? Perché alla tua luce ho visto la luce, cioè [ho capito] che molto più ti afflissero e procurarono dolori i peccati mortali che io ho commesso, di quanto allora non ti affliggessero e procurassero dolori le persone che ti inflissero tutti quegli strazi fisici.
Allora, Dio mio, non è necessario che tu mi faccia conoscere il dolore che ti dette l'ingratitudine di tutte le creature, perché, dopo che mi hai fatto la grazia di conoscere almeno in parte la mia ingratitudine, posso ora - sempre per la grazia che mi infondi – riflettere su quanto ti hanno fatto tutte le creature complessivamente.
In questa riflessione quasi vengo meno per lo stupore che suscitano, o Gesù mio, la tua immensa carità e la pazienza verso di noi, tue creature ingratissime, poiché mai, mai tu smetti di provvedere a tutti i nostri bisogni spirituali, materiali e temporali.
E come non si possono conoscere, Dio mio, le cose innumerevoli che hai compiuto per queste tue ingrate creature in cielo, in terra, nell'acqua, nel­l'aria, così non riusciremo a comprendere la nostra ingratissima ingratitudine.
Confesso allora e credo che solo tu, Dio mio, puoi conoscere e sapere quanta e quale sia stata la nostra ingratitudine che come freccia avvelenata ti ha trafitto il cuore tante volte quante sono le crea­ture che furono, sono e saranno e ogni volta che ognuna di esse ha esercitato tale ingratitudine.
Riconosco dunque e dichiaro per me e per tutte le creature tale verità: come non passa un istante né ora né giorno né mese che non usiamo appieno i tuoi benefici, così non passa un istante né un'ora né un giorno né un mese senza molte e infinite ingratitudine.
E io credo e riconosco che questa nostra pessi­ma ingratitudine sia stata uno dei più crudeli dolo­ri della tua afflitta anima.

PREGHIERA ALLA VERGINE MARIA
(cap. III dei Dolori Mentali)

O Madre di Dio, non ti voglio più appellare Madre di Dio quanto piuttosto Madre di dolore, Madre di pena, Madre di tutte le afflizioni che si possano contare e pensare.
Ebbene, d'ora in poi ti chiamerò sempre Madre di dolore.

PREGHIERA NELLE AFFLIZIONI

Signore Gesù Cristo, che con la meditazione dei tuoi dolori interiori hai attratto a sublimi vette di santità la beata Camilla Battista, sollevaci dalle miserie di questa vita con il tuo infinito amore.
Tu che le hai fatto dono di vedere scritto il suo nome a lettere d'oro nel tuo sacratissimo Cuore, fa che non venga mai meno la certezza che ci ami e che le sofferenze di questa vita sono scala per giungere alla gloria.
Per sua intercessione, donaci prima di tutto di corrispondere alla salvezza che ci hai meritato con la tua passione e la tua morte e, se è tua volontà, donaci la grazia particolare che, ti chiediamo (esporre la grazia richiesta).

(Lc 19,45-48) Avete fatto della casa di Dio un covo di ladri.

VANGELO 
 (Lc 19,45-48) Avete fatto della casa di Dio un covo di ladri. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Parola del Signore
.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e inonda il mio cuore del tuo amore e della tua sapienza. Assistimi con la grazia dell' amore di Dio, che mi permette, benché indegna, di essere illuminata nella mente e nel cuore, perchè tu, o Signore, ami anche i poveri peccatori come me. 

Il tempio è la casa di Dio, la casa di preghiera per tutte le nazioni, ma Gesù vede che nel suo tempio si fa commercio, che ci sono venditori di colombe, che pensano ai loro interessi invece che a quelli di Dio.
Come sembra attuale questa parola!
L'uomo rimane sempre lo stesso, anche dopo millenni dalla venuta di Gesù, non è cambiato molto, come se la salvezza non ci riguardasse, come se potessimo raggiungerla per diritto o per una serie di pratiche da svolgere, come se la preghiera e la fede fossero una cambiale di cui esigere il pagamento.
Come vorrei che si potesse sempre trovare nelle nostre chiese chi insegna a pregare, chi si occupa dei fratelli, chi è disponibile all'ascolto, chi non giudica, chi aiuta gli anziani e i poveri; oggi, tranne alcune eccezioni, la Chiesa è tutt' altro, ma non dobbiamo avere paura, dobbiamo pregare e credere nella forza dello Spirito Santo, che molto spesso purtroppo, sottovalutiamo. 
Avere fede, chiedere, implorare il Signore e Lui farà di noi dei coraggiosi Cristiani, pronti a tutto, che saranno in grado di vincere sulle forze del male.
Anche se non è semplice cambiare, non dobbiamo pensare di non poter da soli combattere contro certi atteggiamenti, ma dobbiamo in primo luogo, riconoscerli anche in noi.
Preghiamo per la Chiesa, per gli uomini e le donne di questa Chiesa sballottata tra mille intemperie! 
Preghiamo per poter imparare a non cercare Gesù solo per curiosità, come tanti che lo seguivano e pendevano dalle sue labbra aspettando da Lui che gli cambiasse la vita.
Gesù ci ha insegnato come cambiare le nostre priorità, come seguirlo nell'amore, come trovare la pace e la serenità che cerchiamo inutilmente nel mondo, ma noi vorremmo solo che tutto fosse migliore, ma secondo le nostre regole.
Vorrei tanto Signore, poter fare del mio cuore una casa di preghiera, per questo ti chiedo di fermarti, di farmi vedere con il tuo Spirito di Sapienza, quali sono tutte le cose che intralciano il mio cammino verso il tuo altare, verso il tuo Volto Santo.

Don Gio': Il sogno di Dio





Don Giovanni Bertocchi nasce nel 1975, ad Alzano Lombardo (BG) poi va a risiedere a Clusone (BG)
Sin da ragazzo don Giovanni Bertocchi sente forte la presenza di Dio nella sua vita. Il 4 dicembre 1990 annotava: «Spesso mi ritrovo a pensare che io sono un sogno di Dio. Io vedo Dio che sogna la nostra storia» A 14 anni entra in seminario a Bergamo. 
Un ministero breve, nel tempo, solo quattro anni di sacerdozio, ma la fecondità ne è stata grandissima. La sua opera continua ancora in coloro che lo hanno conosciuto e amato.

mercoledì 19 novembre 2014

(Lc 19,41-44) Se avessi compreso quello che porta alla pace!

VANGELO 
 (Lc 19,41-44) Se avessi compreso quello che porta alla pace! 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito di Dio, e illumina il mio cuore e la mia mente, fa che la parola del Signore sia presente in tutto il suo significato, come tu vuoi. Per Cristo nostro Signore.

Quanta tristezza nel cuore di Gesù, quanto dolore, vedersi rifiutato, vedere che è tutto inutile, che non riesce ad entrare nel cuore degli uomini ed in particolar modo, in quelli del tempio, lo riempie d’angoscia. Non capiscono che non sarà nel tempio costituito tra le mura di Gerusalemme che troveranno la salvezza, perché, come tutto ciò che è materiale, sarà distrutto, ma in quello che sarà costituito dal suo corpo offerto sulla croce che non sarà mai distrutto, ma risorgerà dopo la morte.
Essere membra di quel corpo, vuol dire vivere con il Signore anche questa sofferenza per i fratelli che sì perdono, che si oppongono a Lui, che non riescono a vivere la salvezza che da Dio c’è proposta.
Non è rifugiandosi in una chiesa di mattoni che ci salveremo, ma vivendo in comunione con Cristo. Questo dobbiamo tenerlo presente, sempre, perché troppo spesso vediamo atteggiamenti di chiusura alla comprensione e alla carità, proprio da quelle persone che frequentano assiduamente il tempio e che invece di servire la comunità, amano essere considerati importanti, e questo è sintomo di estrema superbia.
Certi integralismi degli uomini, hanno allontanato i fedeli a loro affidati, come pecore ai pastori, dal cuore di Dio e non per rispetto al nome del Signore, ma per non voler perdere il potere e non saper vedere con quanto amore Dio è sceso tra i suoi figli e non sentire quanta e quale misericordia c’è nelle parole di Gesù che grazie alla sua chiesa ci sono state riferite dagli evangelisti.
Mi sembra di leggere questa grande amarezza nel cuore di Gesù, quella di chi parla d’amore, cerca di salvarci e riceve solo ingiurie e ostilità, perché sembra quasi che noi uomini di tutti i tempi, non riusciamo a capire che in quello che il Signore ci dice, non c’è un desiderio di sottometterci al suo nome, ma di elevarci nel suo Spirito.
Senza di Lui noi siamo preda del nostro nemico, che ci può distruggere e solo con Gesù potremo salvarci, col suo aiuto. Ho spesso davanti agli occhi la scena dei due ladroni crocefissi accanto a Gesù, quello che rifiuta fino alla fine di riconoscere in Cristo il figlio di Dio e muore da solo e quello che salva la sua vita morendo con lui e dicendo semplicemente, ricordati di me, quando sarai in paradiso.

martedì 18 novembre 2014

(Lc 19,11-28) Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?

VANGELO
(Lc 19,11-28) Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito di Dio e illumina la mia mente, metti la tua sapienza al mio servizio, perché io possa servirti.
Prima di tutto, dobbiamo considerare che i talenti che il Signore ci mette a disposizione, a volte non sono così chiari neanche a noi stessi, infatti, spesso facciamo della nostra vita un groviglio di cose senza senso, commettendo errori che ci portano a perdere gran parte del nostro tempo a rimpiangere quello che abbiamo perduto ed a commiserarci o arrabbiarci per quello che non abbiamo. Cominciamo a capire qualcosa sempre troppo tardi, e ad apprezzarci per quello che siamo, solo se ci guardiamo con gli occhi di chi ci apprezza per le nostre doti, ma spesso sono falsi apprezzamenti, rispetto a false doti. Quello che invece in questa parabola si vuole rilevare, è l’aspetto cristiano della cosa, quello che ci fa considerare, anche con nostro estremo disappunto, che noi non siamo niente e non abbiamo niente senza il nostro Dio.
Diamo per scontato che quello che abbiamo è nostro, che ci appartiene, ma non è vero, è tutto dono di Dio, perché la vita stessa è dono. Nella parabola dopo aver distribuito i doni, il nobile parte e lascia i suoi servi da soli per tornare ad esprimere il suo giudizio.
Ci chiediamo perché ad ognuno doni diversi; perché a chi più e a chi meno, ma nessuno di noi fa quella che è l’unica cosa giusta da fare: guardare al nostro dono. Vedere di far crescere quel seme che il Signore ha messo nel nostro cuore, semplicemente cercando di svilupparlo così come facciamo con tutti i nostri sensi, con tutta la nostra persona.
Impariamo ad usare la parola, ma non tutto quello che diciamo è uguale, e nessuno se ne meraviglia. Abbiamo la vista e sappiamo grazie a questa leggere, ma non tutti sappiamo leggere nello stesso modo.
Pochi giorni fa leggevo la storia di un grande attore che fu chiamato a leggere una pagina del vangelo e la lesse in modo perfetto, fermandosi nei punti giusti, con la giusta intonazione, ma quando toccò al piccolo prete di campagna, alla gente che ascoltava, quella pagina non riempì solo le orecchie, ma il cuore e i sentimenti vibrarono come corde di violino….
Il piccolo seme di figlio di Dio cresce in noi, cerchiamo di non farlo avvizzire, di non farlo soffocare dalla gramigna, cerchiamo di mettere tutto nelle mani di Dio, cominciando dalla nostra vita, saprà lui come farla fruttare.

lunedì 17 novembre 2014

preghiera


(Lc 19,1-10) Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

VANGELO
(Lc 19,1-10) Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Di Dio e fa che la mia mente non sia offuscata dalle mie idee, ma fa che io possa veramente svuotarmi di me stessa per fare posto a quello che Tu imprimi nella mia mente e nel mio cuore.
Prima che Gesù passasse di lì, Zaccheo era solo un uomo che viveva la sua vita secondo gli schemi del mondo, in fondo come tutti quelli che si sono ben inseriti, che hanno un bel lavoro, che hanno raggiunto un certo benessere e che non guardano tanto per il sottile, pur di raggiungere il loro scopo.
Era un piccolo uomo che in fondo aveva tutto, ed era riuscito ad apparire soddisfatto, ma evidentemente non era poi così, perchè nonostante sia appagato dal suo lavoro che gli rende bene (esattore dei tributi) cerca di nascosto Gesù, forse un po’ per curiosità, forse per gelosia verso chi vede guarito dall’ incontro col Signore, ma non vuole essere lui ad andare a chiedere e si nasconde tra le foglie di un sicomoro, come per osservare senza essere visto. Ma Gesù lo vede e legge nel suo cuore, perché quello che non è possibile agli uomini, è possibile a Dio e la sua risposta non si fa attendere: - «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
Come la trova non importa, sa che è la casa di un peccatore, è il cuore di una persona che non ha certo vissuto un’esistenza pulita, ma a Gesù non importa, non è venuto per i giusti, ma per i peccatori, l’ ha detto tante volte.
La sua insoddisfazione era latente e si percepisce anche dal fatto che si rende subito conto di dover fare qualcosa per rimettersi in riga, come restituire il maltolto e fare la carità ai bisognosi e a Gesù non è sfuggito al bisogno di pace di Zaccheo. Lo ha scorto e lo ha chiamato, ed ecco che tutto quello che contava prima per Zaccheo, non conta più nulla, è disposto a rinunciare a tutto pur di diventare suo discepolo.
La risposta del Signore è immediata, alla chiamata accorata del pentimento, corrisponde la salvezza, che è per tutti i figli di Dio che si smarriscono nel mondo e vogliono essere riaccolti nella casa del Padre, anche per i più ostinati peccatori, perché Gesù è venuto per offrire se stesso per la salvezza di chi si è perduto.
Zaccheo era una strana persona, che in fondo ci somiglia, perché trova giustificazione a tutto quello che compie, anche ai soprusi e alle azioni disoneste, quasi legittimandole, ma di fronte alla luce di Dio, si arrende. Il fatto di sentirsi accettato da Gesù, abbracciato nonostante, come tutti i peccatori, non se ne senta degno, lo riempie di gioia e lo fa capitolare; immediatamente si converte e promette di riparare al male compiuto restituendo il maltolto ed aiutando i poveri.
Quest’uomo ha capito che la vera conversione viene da Gesù e che in lui si resta soltanto vivendo da fratelli, e amando il prossimo così come siamo amati e perdonati dal Signore.
Mettere immediatamente le nostre scarpe nelle sue impronte per seguire ogni suo passo, per non sbagliare strada, perché Dio ci cerca con amore, ci perdona per amore e non ci giudica, ma ci aiuta a diventare migliori. L’idea che noi abbiamo prevalente di un Dio che giudica è dovuta ai nostri sensi di colpa, verso chi sentiamo come un Padre buono, ma non riusciamo a ricambiare e sappiamo di non meritare.Come spesso mi trovo a ripetere, l’amore di Gesù è veramente singolare, non ha schemi prefissati, ma è veramente a 360°, è per tutti. 

domenica 16 novembre 2014

Riflessione (traccia) 33 domenica ordinario A

(Lc 18,35-43) Che cosa vuoi che io faccia per te? Signore, che io veda di nuovo!

VANGELO
(Lc 18,35-43) Che cosa vuoi che io faccia per te? Signore, che io veda di nuovo!
+ Dal Vangelo secondo Luca

Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.

Parola del Signore




La mia riflessione
Preghiera
O Dio che mi ha voluto in questo mondo, per partecipare alla vita, fa che io possa sempre camminare al tuo fianco e che mi lasci condurre sempre e solo dal Tuo Santo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Voglio seguirti Signore, dammi la mano, guidami se io sono cieca, fa che io sappia sempre riconoscere la tua mano che mi guida e non mi lasci condurre da chi mi tira da tutte le parti.
Spesso siamo costretti a gridare: dove sei Signore? Vieni a salvarmi, perché ci sembra che Dio ci perda di vista, ma siamo noi che non riusciamo a vederlo, noi che passiamo sotto alla croce come se la cosa non ci riguardasse, noi che non vogliamo condividere il dolore, ma solo la gloria. Eppure la gloria passa dalla croce e, se io sono così fortunata di sentire che la mia è leggera, voglio gridare ancora Gesù, per la croce di quei fratelli che sembrano soccombere sotto al suo peso.
Siamo ciechi se siamo insensibili al dolore dei fratelli, se non sappiamo aiutare chi si sta facendo trascinare verso la perdizione.
Essere cristiano, vuol dire essere corpo di Cristo, non mi stancherò mai di ripeterlo, quindi tutti siamo indispensabili gli uni agli altri, per far vivere questo corpo, e tutti dobbiamo fare la nostra parte, come se fossimo dei piccoli medici che sanano le parti ferite e la medicina è la nostra preghiera, che se urlata con la voce del cuore, arriverà al Signore.
Amiamo fratelli, amiamo chi è lontano, chi sbaglia, chi non sa perdonare, chi ha il cuore ferito, chi non conosce il Signore; amiamo e chiediamo al Signore di donare anche a loro la fede, amiamo e con amore sincero andiamo controcorrente e cerchiamo di combattere contro l’ indifferenza,  di saper aiutare nel bisogno i fratelli invece di mettere a tacere la nostra coscienza, cerchiamo di saper ascoltare più che parlare, cerchiamo di sentirci tutti parte dello stesso corpo.
Ascoltiamo ed ascoltiamoci, cerchiamo dentro di noi le nostre paure, le nostre incertezze, la nostra piccola fede che urla, aiutami Signore! 
Fa che io veda le mie infermità, che io riconosca la mia piccolezza, perchè è nella mia superbia che io divento piccola; nella mia mancanza d' amore che divento egoista; nella mia inquietudine che ti cerco; nella rabbia che ti perdo; nell'orgoglio che ti rifiuto.
Fa questo per me Signore mio, fa che io veda !

sabato 15 novembre 2014

(Mt 25,14-30) Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

VANGELO 
(Mt 25,14-30) Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone. 
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Parola del Signore.



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito del Signore a completare con la tua sapienza, i doni che Dio ci ha voluto fare dal momento della nostra creazione nel Suo pensiero divino.

Ho riflettuto spesso su questa pagina del Vangelo ( http://bricioledivangelo.blogspot.it/2014/08/mt-2514-30-sei-stato-fedele-nel-poco.html ) ma oggi vorrei pensare ad altro; a questi benedetti talenti così diversamente distribuiti !Da bambina ho imparato che Dio è buono e giusto, come conciliare questo con questa diversità di talenti? Come si spiega con il fatto che  c'è chi nasce più fortunato e chi meno?
nell'88 comperai un libro che si intitola "ABBRACCIATA DALLA LUCE",che consiglio di leggere ( file:///C:/Users/ISABELLA/Downloads/Eadie%20Betty%20J.%20-%20ABBRACCIATA%20DALLA%20LUCE%20(3).pdf )in cui molte sono le risposte che,romanzate o no, a me piace accettare come probabili, specialmente da pag 42 in poi. Invece di pensare alla differenza di talenti,cerchiamo di non sprecarne neanche una briciola, perchè se non li facciamo fruttare,se non riusciamo ad unirli a quelli dei nostri fratelli,non riusciremo mai a raggiungere l'unità con Dio e con i fratelli, perchè per come la vedo io noi siamo una parte di un insieme. 

venerdì 14 novembre 2014

(Lc 18,1-8) Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.

VANGELO 

(Lc 18,1-8) Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo e riempi il mio cuore della tua sapienza e dell’ amore di Dio, perché solo con questo amore nel cuore io posso leggere e capire i concetti che Gesù vuole esprimere con la sua parola.

Un brano questo che mette in risalto l’ importanza di pregare sempre ed incessantemente; ma non di una preghiera fatta di parole ripetitive, ma che diventa vita in comune con Dio.
Ci sono tante “scuole di preghiera”, ma probabilmente la più alta è quella dello Spirito Santo, che dona a piene mani la gioia della preghiera a chi la invoca in continuazione.
La vedova chiede giustizia, questa piccola donna insiste presso il suo re, fino a che non ottiene di essere accontentata, ma non per amore o per pietà, solo per stanchezza. Se un re che non è misericordioso, ma disonesto, sa dare giustizia, quanta ne darà il nostro Padre celeste?
Nella prima lettura leggiamo una scena che ha quasi del comico, Mosè che alza le mani in preghiera e la sua gente vince,  ma poi si stanca e i suoi soldati cominciano a perdere, allora, capendo quanto è importante nella lotta la preghiera a Dio, si siede e due uomini gli tengono le braccia alzate al cielo.
Che cosa è la preghiera? Perché con tanta insistenza c’è chiesta da Gesù? Forse gode nell’ essere adulato il nostro Dio? È quindi un Dio vanitoso? No, anzi tutto il contrario. È per noi che ci chiede di insistere nella preghiera, perché possa levigarci l’ anima e renderla piena della grazia di Dio, è per entrare e rimanere in noi che Gesù ci chiede di pregare continuamente, di fare della nostra vita preghiera.
Farci scavare dalla parola di Dio e dalla preghiera, farci scavare dei profondi solchi che Dio riempie del suo amore, perché noi gliene diamo la possibilità, perché vogliamo essere con Lui una cosa sola. Quando si sta con una persona che fa tutto per amore nostro, s’ impara ad amarla, e quest’ amore diventa reciproco; ma se noi trascuriamo di stare con chi ci ama, se lo ignoriamo, se lo facciamo soffrire con la nostra lontananza, non possiamo certo dire di amarlo.
Sempre meno fede nel mondo e sempre più egoismo, basta leggere i giornali e vediamo come la cattiveria e la stupidità umana ogni giorno toccano il limite, e si pensa che sia il massimo, ma poi un altro delitto ancora più orribile, un’altra strage, un’altra violenza…sembra che il male non abbia mai fine….

E il bene dov’è?  È qui silenzioso, in quella donna che assiste il marito invalido; in quel vecchio stanco che con le ossa doloranti va a prendere il nipotino a scuola ogni giorno; in quella moglie che stanca e imbruttita dalla miseria, prepara una cena frugale ma amorevole per il marito che torna sempre più amareggiato e che con un sorriso stanco la accarezza con gli occhi; è in quella figlia che assiste la mamma ammalata e i fratelli più piccoli senza mai lamentarsi; è in quel soldato che per portare la libertà ad una popolazione schiava dei prepotenti, vive lontano di casa, e spesso muore per gente che neanche conosce, ma che si sente cittadino del mondo. Quando tornerà come ci troverà? Dalla parte dei buoni o da quella dei cattivi?

giovedì 13 novembre 2014

Fare i conti con l'amore


(Lc 17,26-37) Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.

VANGELO
(Lc 17,26-37) Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. 
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».
Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e illumina il mio cure e la mia mente. Fa che oggi parola del Signore mi diventi chiara alla luce della tua sapienza, per Cristo nostro Signore. Amen.
Gesù continua a richiamare la nostra attenzione al momento in cui verrà il suo regno, ma non lo fa cercando di addolcirci la pillola, perché tutte le sue parole sono già un avvertimento,e non dobbiamo pensare di dover cercare i segni e gli avvertimenti,ma dobbiamo invece cercare di essere pronti in qualunque momento ,per quel giorno,perché è questo che conta e da questo dipende la nostra salvezza.L’esempio che ci fa Luca è molto chiaro,Lot è stato avvisato dall’ angelo che avrebbe distrutto quella città che era dedita al vizio e al peccato,come ai tempi di Noè facevano gli abitanti della terra,e dice a Lot come fare per mettersi in Salvo.Pone il punto sul fatto di non avere desideri per le cose terrene,né rimpianto per una vita smodata,né curiosità su come e quando verrà quel giorno ,ma attenzione a non pensare di essere giusti e di non aver bisogno di mantenere salda la nostra fede,perché sarà facile cadere se non sapremo mantenere vivo il nostro amore per il Signore,se non sapremo morire a noi stessi e vivere in Cristo Gesù.

mercoledì 12 novembre 2014

(Lc 17,20-25) Il regno di Dio è in mezzo a voi.

VANGELO
 (Lc 17,20-25) Il regno di Dio è in mezzo a voi. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!».Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e guidami alla conoscenza del pensiero di Dio. Fa che io non veda altro che quello che Tu mi vuoi mostrare, che possa sempre più rinunciare al mio io per il mio Dio. Catastrofi, segni ed eventi, tutti cercano di scrutare il futuro, e questo denota paura e curiosità da parte della gente, ma troppo spesso si ferma al “cercare dei segni “fuori di noi. Per quello che io riesco a percepire, tutto questo ha solo un senso d’avvertimento, un richiamo, un monito per tenerci desti e deciderci per fare definitivamente la nostra scelta, ma è molto relativo rispetto a quello che dovremmo fare. Gesù c’invita a non cercare questi segni, ma a vivere già su questa terra da figli di Dio, ad essere partecipi del progetto di salvezza che il Padre ha per tutti i suoi figli, e ad entrare in quella che io definisco con molto coraggio e molta semplicità, la nostra famiglia divina. Svegliarsi al mattino e riconoscerci dal primo istante di veglia appartenenti a Dio tracciando il segno della croce, cominciare a trafficare per casa, al lavoro, in famiglia ed in ogni nostro interesse tenendo presente continuamente che la nostra vita sulla terra non è solo un passaggio inutile, una prova alla quale siamo sottoposti per vedere se superiamo un esame, ma uno scegliere di essere già da adesso come il Signore ci desidera. Dio non è un dittatore, né un prepotente, ma scegliere per lui ci costringe a scelte che vanno controcorrente, addirittura in alcune occasioni ci portano a fare delle scelte ben precise, e spesso dolorose, perché conversione significa tornare indietro, alla nostra origine, al nostro piccolo dna di figli di Dio, che abbiamo nel cuore e che per anni, purtroppo abbiamo soffocato cercando di appartenere a questa terra più che a questo cielo. Solo un anno fa c’era una persona su fb che mi chiedeva di aiutarlo a credere, a pregare, ad affidarsi a Dio, in un paio di mesi l’ho sentito trasformarsi da pulcino impaurito a credente sincero, pronto ad affrontare la malattia ed offrirla a Maria per le anime che come lui erano lontane da Gesù. Ho vissuto in diretta un corso accelerato d’amore da parte di Dio per questo suo figlio che aveva perso la strada di casa ed in un momento drammatico della sua vita, se n’era reso conto ed aveva chiesto una mano per tornare a casa. La porta stretta è qui amici, è la decisione di non volere altro di appartenere a Dio, di essere abbracciati quando la paura vorrebbe farti soccombere alla disperazione, la scelta di fidarsi di Dio e di mettere nelle sue mani la nostra vita. Santi si, e da subito!