VANGELO
(Lc 1,26-38) Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito, e guidaci come facesti con Maria alla conoscenza del volere di Dio, e come lei fa che sappiamo accettarlo.
In questo momento della Quaresima, ritornare alle origini, alla scelta di Maria, al suo si, rappresenta per noi ripercorrere un cammino a ritroso che ci fa comprendere come a volte il disegno di Dio si compia sotto ai nostri occhi senza che ce ne rendiamo conto. Per quanti di noi c'è stato un momento in cui Dio ci ha chiamato a compiere una scelta, e quanti hanno detto di si, anche se non sapevano a cosa stavano andando incontro.
Per qualcuno il cammino è stato superficiale, quasi diffidente, per altri più profondo, tutto è dovuto alla disponibilità che c'è nel nostro si, a quanto concediamo e in base a quello ci verrà concesso.
Dalla nascita alla morte di Gesù, e sembra per un attimo che tutto finisca qui, ma dopo la morte c'è la resurrezzione ed il ritorno alla casa del Padre, e Gesù è venuto per aprire la strada; anche se non è stato facile per lui, tutto ha sopportato, tutto ha dato, per la nostra salvezza.
Il disegno di Dio, era sconosciuto a Maria, agli apostoli, ma non è più sconosciuto a noi, eppure ancora ci poniamo di fronte a questo Dio che si fa uomo, pieni d’incredulità, quasi come se ci aspettassimo che qualcun altro scriva per noi la nostra storia.
E’ Dio che si fa uomo, che viene tra noi, che è pronto a vivere con noi, a vivere nel nostro cuore, a dare un valore alla nostra vita; guardiamolo negli occhi, vediamo di quanto amore è capace, e lasciamoci prendere dalla sua piccola mano… lasciamoci condurre tra le pieghe della storia della salvezza, di quel progetto che ha bisogno di noi, si, anche di noi, per scrivere la nostra storia.
Leggendo il brano penso che la piccola Maria forse, era timorosa come chiunque di noi sarebbe stato e che l’angelo la porta ad avere delle conferme. Gli dice che il Signore aveva già fatto una grazia alla cugina Elisabetta, che oltre ad essere sterile era anche vecchia… vecchia e sterile, quindi impossibilitata a concepire, ma al Signore tutto è possibile e Maria lascia la sua casa di corsa e va a trovare la cugina per avere conferma delle parole dell’angelo.
Noi nati da Adamo ed Eva, siamo liberi di scegliere come vivere, chi prendere ad esempio, se Eva madre dell'egoismo, sul cui esempio, Caino per invidia uccise Abele, o Maria, che chiede a Gesù, di manifestarsi a Canan, che lo serve seguendolo fino alla sua morte e che ancora oggi interviene nella storia per chiedere a Dio di compiere miracoli per la salvezza degli uomini, affidategli da Gesù sotto alla croce mentre rivolto a Giovanni diceva: <ecco tua madre> e a Lei disse: <donna ecco tuo figlio>.
Vorrei conoscere la Bibbia a memoria,conoscere il greco,il latino e pure l' aramaico,ma nulla di tutto questo mi è stato donato. Quello che al Signore è piaciuto donarmi, è una grande voglia di parlargli e di ascoltarlo.Logorroica io e taciturno Lui,ma mentre io ho bisogno di parole,Lui si esprime meglio a fatti.Vorrei capire perchè questo bisogno si tramuta in scrivere, e sento che è un modo semplice,delicato e gratuito di mettere al centro la mia relazione con Dio.
lunedì 24 marzo 2014
domenica 23 marzo 2014
(Lc 4,24-30) Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei.
VANGELO
(Lc 4,24-30) Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore ti prego di darmi l'umiltà di mettermi in ginocchio, all'ascolto della tua parola, per saperla comprendere grazie allo Spirito Santo, e per saperla vivere in modo da poter dimostrare ai miei fratelli più lontani, che è possibile seguirti passo passo.
Ancora una volta Gesù fa il rivoluzionario e, a chi vuole criticarlo per avere una scusa per non doverlo seguire, non pare vero. Quando afferma che nessun profeta è ben accetto nella sua patria, sa perfettamente quello che dice, è, infatti, vero che chi crede di conoscerti e ha la presunzione di sapere tutto di te, non ha interesse nei tuoi confronti. I giudei vedevano che Gesù era il figlio di Giuseppe il falegname, e non riuscivano ad accettare che in lui si rivelasse Dio, che fosse lui il messia atteso, perché credevano di sapere ogni cosa di lui, e non volevano neanche minimamente pensare di cambiare il loro modo di agire. Un po' così anche noi, che leggiamo il vangelo e continuiamo a vivere come se niente fosse, come se non dovessimo cambiare nulla nella nostra vita, nelle nostre "abitudini". Diciamo di credere, ma poi alle prime difficoltà abbiamo paura e ci dimentichiamo di chiedere al Signore la forza di affrontare ed accettare ogni cosa. Diciamo di amare Gesù, e magari non parliamo con il nostro vicino o con un nostro parente per un motivo magari futile. Diciamo di volerci donare al Signore, di accettare la croce, ma ci lamentiamo in continuazione dei nostri acciacchi. Una frase che mi ha molto colpito in questo passo è quella che raffigura Gesù, che stanco del loro sdegno, della loro indifferenza, del loro volerlo uccidere per eliminarlo dalla loro vita, gli passa in mezzo... e va oltre. Ti prego o Signore di non passare nella mia vita senza che io ti possa accogliere, in ogni occasione, ed in ogni tuo insegnamento, e che non mi senta mai come chi crede di essere sotto un giudice severo che non può capire e che si limita a giudicare e condannare, ma che mi ricordi dell'amore che tu metti in tutte le cose.
(Lc 4,24-30) Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Signore ti prego di darmi l'umiltà di mettermi in ginocchio, all'ascolto della tua parola, per saperla comprendere grazie allo Spirito Santo, e per saperla vivere in modo da poter dimostrare ai miei fratelli più lontani, che è possibile seguirti passo passo.
Ancora una volta Gesù fa il rivoluzionario e, a chi vuole criticarlo per avere una scusa per non doverlo seguire, non pare vero. Quando afferma che nessun profeta è ben accetto nella sua patria, sa perfettamente quello che dice, è, infatti, vero che chi crede di conoscerti e ha la presunzione di sapere tutto di te, non ha interesse nei tuoi confronti. I giudei vedevano che Gesù era il figlio di Giuseppe il falegname, e non riuscivano ad accettare che in lui si rivelasse Dio, che fosse lui il messia atteso, perché credevano di sapere ogni cosa di lui, e non volevano neanche minimamente pensare di cambiare il loro modo di agire. Un po' così anche noi, che leggiamo il vangelo e continuiamo a vivere come se niente fosse, come se non dovessimo cambiare nulla nella nostra vita, nelle nostre "abitudini". Diciamo di credere, ma poi alle prime difficoltà abbiamo paura e ci dimentichiamo di chiedere al Signore la forza di affrontare ed accettare ogni cosa. Diciamo di amare Gesù, e magari non parliamo con il nostro vicino o con un nostro parente per un motivo magari futile. Diciamo di volerci donare al Signore, di accettare la croce, ma ci lamentiamo in continuazione dei nostri acciacchi. Una frase che mi ha molto colpito in questo passo è quella che raffigura Gesù, che stanco del loro sdegno, della loro indifferenza, del loro volerlo uccidere per eliminarlo dalla loro vita, gli passa in mezzo... e va oltre. Ti prego o Signore di non passare nella mia vita senza che io ti possa accogliere, in ogni occasione, ed in ogni tuo insegnamento, e che non mi senta mai come chi crede di essere sotto un giudice severo che non può capire e che si limita a giudicare e condannare, ma che mi ricordi dell'amore che tu metti in tutte le cose.
sabato 22 marzo 2014
SII UMILE ( TRATTO DA :QUANDO IL MAESTRO PARLA AL CUORE DI Padre Courtois
SII UMILE
Dimènticati. Rinnègati. Interèssati a me e ti ritroverai al tuo posto, senza averlo cercato. Ciò che conta, è il cammino in avanti, l'ascensione del mio Popolo. Ciò che conta è l'insieme e ciascuno nell'insieme. Lascia che diriga la mia grande opera come intendo io. Ho bisogno molto più della tua umiltà che non della tua azione esteriore. Ti utilizzerò come meglio credo. Non hai nessun conto da chiedermi, né io ho alcun conto da renderti. Sii malleabile. Sii disponibile. Sii totalmente in mia mercé, in agguato della mia volontà. Strada facendo, ti mostrerò ciò che mi aspetto da te. Tu non vedrai immediatamente lo scopo, ma io lavorerò attraverso di te, mi si scoprirà in te sempre più spesso. Senza che te ne renda conto, farò passare attraverso di te la mia luce e la mia grazia.
Quasi tutte le difficoltà umane vengono dall'orgoglio umano. Chiedimi la grazia del distacco da tutte le vanità e ti sentirai più libero per venire a me e riempirti di me. È assolutamente nulla tutto ciò che non è me, e spesso le dignità umane fanno da schermo alla mia presenza, nella misura in cui coloro che ne sono rivestiti ne divengono prigionieri.
Io ti accolgo quando ti senti « nulla », « di poca importanza », quando fisicamente ti senti debole, annientato. Non temere, allora sono Io il tuo rimedio, il tuo soccorso e la tua forza. Tu sei nelle mie mani. Io so dove ti conduco.
Ti faccio passare attraverso l'umiliazione. Accettala con amore e fiducia. È il più bel regalo che io possa farti. Anche e soprattutto se è aspra, essa comporta tali elementi di fecondità spirituale che, se vedessi le cose come le vedo io, non vorresti essere umiliato di meno. Se tu sapessi ciò che può scaturire dalle tue umiliazioni unite alle mie! La grande opera dell'amore si realizza a forza di sofferenze, di umiliazioni e di carità oblativa. Il resto è così terribilmente illusorio! Quanto tempo perduto, quante sofferenze sciupate, quanti lavori in pura perdita, perché intaccati dal verme dell'orgoglio o della vanità!
Più comprenderai che sono io ad agire negli altri attraverso ciò che ti ispiro di dire loro, più la tua influenza su di essi si intensificherà e tu vedrai diminuire l'opinione che hai di te stesso. Penserai: « Non è il frutto del mio sforzo personale, Gesù era in me. Il merito e la gloria devono ritornare a lui ».
Non inquietarti per l'affievolirsi di alcune tue facoltà, ad esempio la memoria. Non è dalla loro intensità che io giudico il valore degli uomini; il mio amore supplisce alle deficienze e alle mancanze umane. Ciò fa parte dei limiti imposti dall'età alla natura umana, e ti fa capire meglio la contingenza di ciò che passa e, dunque, di ciò che non è necessario.
È anche bene che tu ti convinca, ridimensionandoti, che da te stesso non sei nulla e non hai diritto a nulla. Utilizza con gioia tutto quel poco che ti lascio, con un senso di gratitudine per le esigue possibilità che ti sono ancora concesse. Nulla ti sarà tolto di quanto ti occorre per adempiere giorno dopo giorno la tua missione, ma lo utilizzerai in modo più puro, perché più cosciente dell'assoluta gratuità e della precarietà dei doni messi a tua disposizione.
È normale che talvolta tu sia incompreso, che le tue più oneste intenzioni siano deformate e che ti si attribuiscano sentimenti e decisioni che non vengono da te. Resta sereno e non lasciarti condizionare da cose di questo tipo. Lo stesso è accaduto per me, e ciò contribuisce alla redenzione del mondo.
Sii mite. Le occasioni per affermare il tuo buon diritto possono essere numerose, ma la logica divina non è la logica umana. Dolcezza e pazienza sono figlie del vero amore, che sa cogliere le attenuanti e stabilisce la giustizia nella vera equità.
Imita il più possibile la mia mitezza. La mia soavità non è sdolcinatezza. Il mio Spirito è al tempo stesso unione e forza, bontà e pienezza di potenza. Ricòrdati: beati i miti, poiché possederanno la terra e conserveranno il dominio di se stessi. Meglio ancora, già posseggono me e sono in grado di rivelarmi più facilmente agli altri.
Il mio grado di irradiazione in un'anima dipende dall'intimità della mia presenza. Ebbene, io non sono mai tanto presente come quando ritrovo in un cuore umano la mia dolcezza e la mia umiltà. Nella misura in cui rinunci a ogni idea di superiorità tu mi permetti di crescere in te, e questo, lo sai, è il segreto di ogni vera fecondità spirituale. Chiedimi di essere umile come io ti desidero, senza ombra di civetteria, ma in tutta semplicità.
L'umiltà facilita l'incontro dell'anima con il suo Dio e getta una luce nuova sui problemi della vita di ogni giorno. Allora io divento davvero il centro della tua vita. Per me tu agisci, scrivi, parli e preghi. Non sei più tu a vivere, sono io che vivo in te. Io divento tutto per te e tu mi ritrovi in tutti coloro ai quali ti rivolgi. La tua accoglienza, allora, è più benevola, la tua parola è più genuina portatrice del mio pensiero, i tuoi scritti sono in più giusta misura l'espressione del mio Spirito: ma quanto devi svestirti del tuo io!
La tua umiltà sia leale, fiduciosa e costante. Chiedimene la grazia. Più sarai umile, più penetrerai nella mia luce, e più la diffonderai intorno a te.
Senza condividere già la pienezza della gioia eterna che sarà tua, potrai fin da ora farne ricadere alcuni riflessi sulla tua anima e farli risplendere intorno a te.
Sii sempre più un servitore della mia bontà, della mia umiltà, della mia gioia.
Le tue umiliazioni mi sono ancora più utili dei tuoi successi. Le tue rinunce mi sono ben più utili delle tue soddisfazioni. Come puoi inorgoglirti di ciò che non ti appartiene? Tutto ciò che sei, tutto ciò che hai ti è dato soltanto in prestito, come i talenti di cui dice il Vangelo. La tua stessa collaborazione, così preziosa ai miei occhi, non è che il frutto della mia grazia, e quando ricompenserò i tuoi meriti, saranno in realtà i miei doni che io premierò. In proprio ti appartengono soltanto i tuoi errori, le tue resistenze, le tue ambiguità, che solo la mia inesauribile misericordia può cancellare.
QUANDO IL MAESTRO PARLA AL CUORE
di Padre Courtois
PRESENTAZIONE dell'edizione italiana
http://www.preghiereagesuemaria.it/libri/quando%20il%20maestro%20parla%20al%20cuore.htm
— con Andre D'aleo e altre 2 persone.
Dimènticati. Rinnègati. Interèssati a me e ti ritroverai al tuo posto, senza averlo cercato. Ciò che conta, è il cammino in avanti, l'ascensione del mio Popolo. Ciò che conta è l'insieme e ciascuno nell'insieme. Lascia che diriga la mia grande opera come intendo io. Ho bisogno molto più della tua umiltà che non della tua azione esteriore. Ti utilizzerò come meglio credo. Non hai nessun conto da chiedermi, né io ho alcun conto da renderti. Sii malleabile. Sii disponibile. Sii totalmente in mia mercé, in agguato della mia volontà. Strada facendo, ti mostrerò ciò che mi aspetto da te. Tu non vedrai immediatamente lo scopo, ma io lavorerò attraverso di te, mi si scoprirà in te sempre più spesso. Senza che te ne renda conto, farò passare attraverso di te la mia luce e la mia grazia.
Quasi tutte le difficoltà umane vengono dall'orgoglio umano. Chiedimi la grazia del distacco da tutte le vanità e ti sentirai più libero per venire a me e riempirti di me. È assolutamente nulla tutto ciò che non è me, e spesso le dignità umane fanno da schermo alla mia presenza, nella misura in cui coloro che ne sono rivestiti ne divengono prigionieri.
Io ti accolgo quando ti senti « nulla », « di poca importanza », quando fisicamente ti senti debole, annientato. Non temere, allora sono Io il tuo rimedio, il tuo soccorso e la tua forza. Tu sei nelle mie mani. Io so dove ti conduco.
Ti faccio passare attraverso l'umiliazione. Accettala con amore e fiducia. È il più bel regalo che io possa farti. Anche e soprattutto se è aspra, essa comporta tali elementi di fecondità spirituale che, se vedessi le cose come le vedo io, non vorresti essere umiliato di meno. Se tu sapessi ciò che può scaturire dalle tue umiliazioni unite alle mie! La grande opera dell'amore si realizza a forza di sofferenze, di umiliazioni e di carità oblativa. Il resto è così terribilmente illusorio! Quanto tempo perduto, quante sofferenze sciupate, quanti lavori in pura perdita, perché intaccati dal verme dell'orgoglio o della vanità!
Più comprenderai che sono io ad agire negli altri attraverso ciò che ti ispiro di dire loro, più la tua influenza su di essi si intensificherà e tu vedrai diminuire l'opinione che hai di te stesso. Penserai: « Non è il frutto del mio sforzo personale, Gesù era in me. Il merito e la gloria devono ritornare a lui ».
Non inquietarti per l'affievolirsi di alcune tue facoltà, ad esempio la memoria. Non è dalla loro intensità che io giudico il valore degli uomini; il mio amore supplisce alle deficienze e alle mancanze umane. Ciò fa parte dei limiti imposti dall'età alla natura umana, e ti fa capire meglio la contingenza di ciò che passa e, dunque, di ciò che non è necessario.
È anche bene che tu ti convinca, ridimensionandoti, che da te stesso non sei nulla e non hai diritto a nulla. Utilizza con gioia tutto quel poco che ti lascio, con un senso di gratitudine per le esigue possibilità che ti sono ancora concesse. Nulla ti sarà tolto di quanto ti occorre per adempiere giorno dopo giorno la tua missione, ma lo utilizzerai in modo più puro, perché più cosciente dell'assoluta gratuità e della precarietà dei doni messi a tua disposizione.
È normale che talvolta tu sia incompreso, che le tue più oneste intenzioni siano deformate e che ti si attribuiscano sentimenti e decisioni che non vengono da te. Resta sereno e non lasciarti condizionare da cose di questo tipo. Lo stesso è accaduto per me, e ciò contribuisce alla redenzione del mondo.
Sii mite. Le occasioni per affermare il tuo buon diritto possono essere numerose, ma la logica divina non è la logica umana. Dolcezza e pazienza sono figlie del vero amore, che sa cogliere le attenuanti e stabilisce la giustizia nella vera equità.
Imita il più possibile la mia mitezza. La mia soavità non è sdolcinatezza. Il mio Spirito è al tempo stesso unione e forza, bontà e pienezza di potenza. Ricòrdati: beati i miti, poiché possederanno la terra e conserveranno il dominio di se stessi. Meglio ancora, già posseggono me e sono in grado di rivelarmi più facilmente agli altri.
Il mio grado di irradiazione in un'anima dipende dall'intimità della mia presenza. Ebbene, io non sono mai tanto presente come quando ritrovo in un cuore umano la mia dolcezza e la mia umiltà. Nella misura in cui rinunci a ogni idea di superiorità tu mi permetti di crescere in te, e questo, lo sai, è il segreto di ogni vera fecondità spirituale. Chiedimi di essere umile come io ti desidero, senza ombra di civetteria, ma in tutta semplicità.
L'umiltà facilita l'incontro dell'anima con il suo Dio e getta una luce nuova sui problemi della vita di ogni giorno. Allora io divento davvero il centro della tua vita. Per me tu agisci, scrivi, parli e preghi. Non sei più tu a vivere, sono io che vivo in te. Io divento tutto per te e tu mi ritrovi in tutti coloro ai quali ti rivolgi. La tua accoglienza, allora, è più benevola, la tua parola è più genuina portatrice del mio pensiero, i tuoi scritti sono in più giusta misura l'espressione del mio Spirito: ma quanto devi svestirti del tuo io!
La tua umiltà sia leale, fiduciosa e costante. Chiedimene la grazia. Più sarai umile, più penetrerai nella mia luce, e più la diffonderai intorno a te.
Senza condividere già la pienezza della gioia eterna che sarà tua, potrai fin da ora farne ricadere alcuni riflessi sulla tua anima e farli risplendere intorno a te.
Sii sempre più un servitore della mia bontà, della mia umiltà, della mia gioia.
Le tue umiliazioni mi sono ancora più utili dei tuoi successi. Le tue rinunce mi sono ben più utili delle tue soddisfazioni. Come puoi inorgoglirti di ciò che non ti appartiene? Tutto ciò che sei, tutto ciò che hai ti è dato soltanto in prestito, come i talenti di cui dice il Vangelo. La tua stessa collaborazione, così preziosa ai miei occhi, non è che il frutto della mia grazia, e quando ricompenserò i tuoi meriti, saranno in realtà i miei doni che io premierò. In proprio ti appartengono soltanto i tuoi errori, le tue resistenze, le tue ambiguità, che solo la mia inesauribile misericordia può cancellare.
QUANDO IL MAESTRO PARLA AL CUORE
di Padre Courtois
PRESENTAZIONE dell'edizione italiana
http://www.preghiereagesuemaria.it/libri/quando%20il%20maestro%20parla%20al%20cuore.htm
(Gv 4,5-42) Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
VANGELO
(Gv 4,5-42) Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Parola del Signore.
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O Signore, che mi chiedi di dare da bere a chi è assetato della Tua parola, ti prego, usami, anche se sono indegna, se sono solo un otre pieno di buchi che disperde le grazie che concedi, ti prego, usami e fa che nulla della tua parola vada perso, fa che possa scorrere lì dove Tu vuoi portarla.
Prima di pregare su questo brano, pensavo a cosa avrei potuto dirvi a questo proposito. Grande errore, io non devo dirvi, ma lasciare che sia lo Spirito Santo che vi dice qualcosa attraverso la mia riflessione e quindi per prima, insieme a voi, mi metto all’ascolto.
Una donna vede uno straniero avvicinarsi al pozzo e prima di dargli da bere, lo studia, lo interroga e lo classifica. Non vede quasi l’ uomo e non riconosce in lui Gesù, lo tratta con sufficienza e quasi lo sfida; come avrebbe potuto quell’uomo straniero prendere acqua dal pozzo senza secchio? Povera stolta che non si avvede di quanto è potente la grazia di Dio, che non ha bisogno dei nostri mezzucci, ma che si disperde a fiumi e ci inonda, che ha bisogno solo del nostro assenso per essere raccolta.
L’acqua come fonte di vita, che rigenera, che fa germogliare, nutre, leviga scorrendo come sui sassi dei torrenti, trasporta… oppure immobile ristagna e imputridisce.
Gesù parla alla donna con naturalezza, ma anche ai suoi discepoli questo sembra strano, perché anche per loro la samaritana era una straniera, una diversa da loro e si meravigliano di questo Gesù così che rompe gli schemi fissati dalla differenza. Troppo spesso usiamo le parole uguaglianza, solidarietà, antirazzismo, a sproposito; perché in teoria siamo aperti a tutti,ma in pratica tendiamo a privatizzare quello che consideriamo nostro, fregandocene dei diritti degli altri di avere quello che noi abbiamo, anzi, spesso speculiamo sui loro bisogni. Quando gli altri lo fanno con noi la chiamiamo speculazione ( vedi petrolio, energia,acqua, ) ma non ci avvediamo di farlo a nostra volta.
Rifletto su quanto sia importante ricordare le parole di Gesù per essere degni di essere chiamati figli, gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, La grazia è dono che si riceve e rimane grazia perché è dono ricevuto che si restituisce, facendo ritorno al vuoto, alla gratuità. Se invece accumuliamo senza restituire diventa attaccamento e la grazia imputridisce. Davanti a Gesù noi siamo come la samaritana, che si attesta nella sua posizione senza vedere quanto è in peccato, che si preoccupa di non dare, ma riceve a piene mani dal Signore.Un particolare però mi ha colpito più di tutti, è l'orario in cui questo incontro avviene, l'ora in cui la samaritana esce per non incontrare nessuno al pozzo, col sole alto. Le altre donne sono intente nelle faccende di casa e gli uomini al lavoro. penso quanto ci somiglia questa donna che non vuole correre il rischio di essere vista, giudicata; non vuole sentirsi dire nulla sul suo modo di vivere, non ha il coraggio di uscire alla luce, perché troppi sarebbero i lati oscuri che verrebbero fuori, ma Gesù non vuole portarci alla luce per svergognarci, infatti intorno non c'è nessuno, ma perché possiamo decidere senza aspettare di essere perfetti, e testimoniare alla luce che tutti, anche i peccatori come noi, possono rinascere in Spirito e Verità.
(Gv 4,5-42) Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Parola del Signore.
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O Signore, che mi chiedi di dare da bere a chi è assetato della Tua parola, ti prego, usami, anche se sono indegna, se sono solo un otre pieno di buchi che disperde le grazie che concedi, ti prego, usami e fa che nulla della tua parola vada perso, fa che possa scorrere lì dove Tu vuoi portarla.
Prima di pregare su questo brano, pensavo a cosa avrei potuto dirvi a questo proposito. Grande errore, io non devo dirvi, ma lasciare che sia lo Spirito Santo che vi dice qualcosa attraverso la mia riflessione e quindi per prima, insieme a voi, mi metto all’ascolto.
Una donna vede uno straniero avvicinarsi al pozzo e prima di dargli da bere, lo studia, lo interroga e lo classifica. Non vede quasi l’ uomo e non riconosce in lui Gesù, lo tratta con sufficienza e quasi lo sfida; come avrebbe potuto quell’uomo straniero prendere acqua dal pozzo senza secchio? Povera stolta che non si avvede di quanto è potente la grazia di Dio, che non ha bisogno dei nostri mezzucci, ma che si disperde a fiumi e ci inonda, che ha bisogno solo del nostro assenso per essere raccolta.
L’acqua come fonte di vita, che rigenera, che fa germogliare, nutre, leviga scorrendo come sui sassi dei torrenti, trasporta… oppure immobile ristagna e imputridisce.
Gesù parla alla donna con naturalezza, ma anche ai suoi discepoli questo sembra strano, perché anche per loro la samaritana era una straniera, una diversa da loro e si meravigliano di questo Gesù così che rompe gli schemi fissati dalla differenza. Troppo spesso usiamo le parole uguaglianza, solidarietà, antirazzismo, a sproposito; perché in teoria siamo aperti a tutti,ma in pratica tendiamo a privatizzare quello che consideriamo nostro, fregandocene dei diritti degli altri di avere quello che noi abbiamo, anzi, spesso speculiamo sui loro bisogni. Quando gli altri lo fanno con noi la chiamiamo speculazione ( vedi petrolio, energia,acqua, ) ma non ci avvediamo di farlo a nostra volta.
Rifletto su quanto sia importante ricordare le parole di Gesù per essere degni di essere chiamati figli, gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, La grazia è dono che si riceve e rimane grazia perché è dono ricevuto che si restituisce, facendo ritorno al vuoto, alla gratuità. Se invece accumuliamo senza restituire diventa attaccamento e la grazia imputridisce. Davanti a Gesù noi siamo come la samaritana, che si attesta nella sua posizione senza vedere quanto è in peccato, che si preoccupa di non dare, ma riceve a piene mani dal Signore.Un particolare però mi ha colpito più di tutti, è l'orario in cui questo incontro avviene, l'ora in cui la samaritana esce per non incontrare nessuno al pozzo, col sole alto. Le altre donne sono intente nelle faccende di casa e gli uomini al lavoro. penso quanto ci somiglia questa donna che non vuole correre il rischio di essere vista, giudicata; non vuole sentirsi dire nulla sul suo modo di vivere, non ha il coraggio di uscire alla luce, perché troppi sarebbero i lati oscuri che verrebbero fuori, ma Gesù non vuole portarci alla luce per svergognarci, infatti intorno non c'è nessuno, ma perché possiamo decidere senza aspettare di essere perfetti, e testimoniare alla luce che tutti, anche i peccatori come noi, possono rinascere in Spirito e Verità.
venerdì 21 marzo 2014
(Lc 15,1-3.11-32) Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
VANGELO
(Lc 15,1-3.11-32) Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Ti prego o Spirito d'amore,fammi riconoscere il vero volto dell'amore che Dio vuole farci comprendere in questo brano del vangelo,in ogni sua più piccola sfaccettatura.
Comincerò col leggere insieme a voi, tra le righe, l'amore del Padre.
Un padre che ha lavorato sodo per non far mancare niente ai figli, che li ha educati al lavoro, alla responsabilità, ha fatto questo con tutti e due, ma all'improvviso, uno di loro, stanco e con una irrefrenabile voglia di ribellarsi al padre, decide che vuole partire, vuole andare lontano per avere tutto quello che il padre per buon senso gli negava. Il padre con il cuore infranto,non può trattenerlo,e così gli dà la sua parte di eredità e lui va. All'inizio,non si rende conto dell'errore fatto, gode di tutto quello che vuole, ma dopo un po' si rende conto che tutto quello che ora ha,non gli ha dato la felicità,ma anzi,ha ancora di meno di quello che aveva quando si sentiva sottomesso al padre, infatti nel vangelo Luca ci parla di una grave carestia in quel paese, facile da rapportare alla tristezza del suo cuore.Non aveva conquistato nulla ed aveva perso anche quello che aveva... ripensava alla sua casa, dove tutti potevano godere dei beni e dell' amore del padre, persino l' ultimo dei suoi servi, e lui se n' era andato per rincorrere cosa?
Si era perduto!Ecco la nuda e cruda verità, si sentiva perduto e disperato e con fatica, perchè era molto orgoglioso, decide di tornare dal padre. Chissà cosa pensava ,chissà come sarebbe stato accolto,certamente non si sentiva degno,ma avrebbe trovato le parole per chiedere scusa? Quanti pensieri prima di incamminarsi,quanto tempo perso in inutili elucubrazioni...
Appena il padre lo vede da lontano gli corse incontro e lo abbracciò, lo strinse forte e ordinò ai suoi servi di portare il vestito più bello, l'anello e i calzari e gli restituisce la sua dignità di uomo e di figlio, e così anche il figlio ingrato capisce quanto è grande la gioia del padre per il suo ritorno, quanto è grande il suo amore!
Ed ora passiamo all'altro figlio, quello che aveva sempre fatto il volere del padre, quello che gli era stato sempre vicino....cosa succede in lui?
Non gli sembra giusto che per il padre questo ritorno sia motivo di gioia, non accetta che sia messo sul suo stesso piano, forse invidia, forse rabbia,o forse solo dolore, ma qualcosa lo spinge a voler giudicare il modo di agire del padre, addirittura criticarlo... quante volte noi ci mettiamo in questa condizione? Ecco quello che per me è un punto fondamentale di questo brano del vangelo, il punto in cui la mia riflessione, mi ha portato a capire che noi troppo spesso giudichiamo, condanniamo e vogliamo decidere chi fa il bene e chi il male, dimenticando troppo spesso che Dio non la pensa come noi, ma noi dobbiamo pensare come lui! Noi cerchiamo la vendetta, la giustizia a modo nostro, Dio non vuole la vendetta, nè che i figli muoiano lontani da lui, ma che si convertano e si salvino.
giovedì 20 marzo 2014
VOCE DI SAN PIO :
-" Sí, io amo la croce, la croce sola; l’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesú." (Epist. I, p. 335).
SANTI é BEATI :
Santa Benedetta Cambiagio Frassinello Religiosa
|
Langasco, Genova, 2 ottobre 1791 - Ronco Scrivia, Genova, 21 marzo 1858
Figlia di contadini, nacque il 2 ottobre 1791, nell'entroterra genovese.
Nel 1804 si trasferì a Pavia. Pur sentendosi votata alla vita religiosa
accettò, per esigenze familiari, di sposare Giovan Battista
Frassinello, operaio e fervente cristiano, originario di Ronco Scrivia.
Non ebbero figli. Allora Benedetta, con il consenso del marito, cercò di
realizzare il desiderio di consacrarsi interamente a Dio. Accolta dalle
suore Orsoline di Caprioglio, nel Bresciano, dovette lasciare per
motivi di salute. Rifugiatasi nella preghiera, ebbe la visione di san
Girolamo Emiliani che la guarì. Mentre il marito entrò come fratello
laico tra i Somaschi, lei avviò un'opera di assistenza per le fanciulle
povere. Nel 1827 fondò a Pavia la prima scuola popolare. Dalle ragazze
che la frequentavano prese avvio la Congregazione delle Suore di Nostra
Signora delle Provvidenza. Dodici anni dopo a Ronco Scrivia nascerà la
Casa della Provvidenza. Morì a Ronco Scrivia il 21 marzo 1858. È stata
canonizzata da Giovanni Paolo II il 19 maggio 2002. (Avvenire)Etimologia: Benedetta = che augura il bene, dal latino Martirologio Romano: A Ronco Scrivia in Liguria, santa Benedetta Cambiagio Frassinello, che spontaneamente rinunciò insieme al marito alla vita coniugale e fondò l’Istituto delle Suore Benedettine della Provvidenza per la formazione cristiana delle giovani povere e abbandonate. |
Benedetta Cambiagio nacque il 2 ottobre 1791 nell’entroterra genovese in una famiglia di contadini, ultima di sette fratelli. Quando nel 1804 una folta colonia di contadini si spostarono verso Pavia, anche la sua famiglia si aggregò ad essi. Nella nuova residenza trascorsero gli anni e Benedetta ormai adulta, pur sentendosi votata per la vita religiosa, si indirizzò verso il matrimonio per esigenze familiari. Giunta ai 25 anni, si unì in matrimonio con Giovan Battista Frassinello, originario di Ronco Scrivia, operaio emigrato anch’egli a Pavia, fervente cristiano. Purtroppo dalla loro unione non nacquero figli, allora Benedetta con il consenso del marito, cercò di realizzare il sogno della sua gioventù, quello di dedicarsi alla vita consacrata; dopo un fallito tentativo con le cappuccine di Genova, venne accolta dalle suore Orsoline di Capriolo in provincia di Brescia, ma dovette lasciare dopo pochi mesi a causa della salute malferma. Rifugiatosi nella preghiera, ebbe la visione di s. Girolamo Emiliani il quale miracolosamente la guarì. Il marito entrò come fratello laico tra i somaschi e lei prese a mendicare casa per casa dando così inizio ad un’opera di assistenza per la fanciulle povere e abbandonate. Nel 1827 fondava a Pavia la prima scuola popolare della città; quattro anni dopo le fanciulle superavano il centinaio e altre persone di buona volontà le si affiancarono per aiutarla nello scopo. Esse costituirono il primo gruppo della nascente Congregazione delle Suore di Nostra Signora della Provvidenza, che Benedetta fondò in quel periodo. Trascorsero dodici anni di intenso e fruttuoso lavoro ma gli anticlericali locali presero ad osteggiarla furiosamente, al punto che la fondatrice dovette lasciare Pavia e cercare un nuovo posto e insieme a tre suore aprì a Ronco Scrivia (città natale di suo marito) una scuola, con l’accoglienza anche di ragazze benestanti e altre opere di carità. Fu chiamata “Casa della Provvidenza” ed è attualmente la casa madre della Comunità. Le sue suore furono chiamate dal popolo ‘benedettine’ facendo riferimento al nome della fondatrice. Morì a Ronco Scrivia il 21 marzo 1858 e sepolta nel cimitero del paese, durante la seconda guerra mondiale nel 1944, un furioso bombardamento alleato sconvolse il piccolo cimitero e le sue reliquie furono disperse. Le sue suore tornarono a Pavia più di un secolo dopo, nel 1961, nell’Istituto “Benedetta Cambiagio”. Beatificata da papa Giovanni Paolo II il 10 maggio 1987, è stata poi elevata agli onori degli altari come santa il 19 maggio 2002 dallo stesso pontefice. Elevato esempio di sana vita coniugale, impregnata di virtù cristiana reciproca dei due coniugi. Antonio Borrelli E' la penultima di cinque figli di Giuseppe Cambiagio e Francesca Ghiglione. Sono piccoli proprietari di campagna, che verso il 1804 devono emigrare, come altre famiglie contadine impoverite dalla guerra napoleonica. Si stabiliscono a Pavia, dove nel 1812 va sposa la maggiore delle figlie, Maria. In Benedetta sembra crescere la spinta alla vita contemplativa. Ma nel 1816 eccola sposa, a 25 anni, nella basilica di San Michele. E pure lo sposo è di origine ligure: Giovanni Battista Frassinello, nato a Ronco Scrivia. Seguono due anni di vita coniugale, senza figli, e poi marito e moglie si trovano a fare quasi da padre e da madre a Maria, la sorella maggiore di Benedetta: è tornata a Pavia malata di cancro, accolta in casa da loro due, e assistita per anni. Accanto al letto dell’ammalata, matura in essi una doppia vocazione: in Benedetta riprende forza l’aspirazione dei suoi anni giovanili alla vita religiosa; e una “chiamata” simile raggiunge Giovanni, che entra come novizio tra i Somaschi. Lei invece viene accolta fra le Orsoline di Capriolo (Brescia). Ma il suo fisico non regge, deve tornare a Pavia e mettersi a letto. Qui arriva una guarigione di sorprendente rapidità, che lei attribuisce all’intercessione di Girolamo Emiliani, il santo che ha fondato i Somaschi, pionieri dell’istruzione popolare. Guarita, dunque, e definitivamente orientata. A 36 anni, sull’esempio di Girolamo Emiliani, Benedetta dedicherà la vita alla promozione culturale e all’educazione religiosa delle bambine abbandonate. Raccoglie alcune volontarie, mette a disposizione quello che ha di suo, si fa questuante. Trova anche l’aiuto di alcuni generosi (e tra questi si deve ricordare Angelo Domenico Pozzi). Il vescovo di Pavia, monsignor Luigi Tosi, decide allora che Giovanni Frassinello, lasciata la casa dei Somaschi, affianchi Benedetta nel suo lavoro di fondatrice. Così, nell’autunno del 1826, insieme rinnovano davanti al vescovo il voto di castità. Nel 1827 apre la prima scuola popolare, con l’aiuto delle prime volontarie. Col tempo, l’autorità civile (quella austro-ungarica) le conferirà il titolo di “Promotrice della pubblica istruzione”. Ma lei nel 1838 deve lasciare Pavia e la scuola, con Giovanni e con alcune ragazze: troppe avversioni, anche da parte di preti. Si stabilisce a Ronco Scrivia, paese natale del marito, Regno di Sardegna e diocesi di Genova. Qui, l’arcivescovo cardinale Tadini promuoverà i riconoscimenti canonici per le suore-insegnanti, che si chiameranno Benedettine della Divina Provvidenza. E il terzo millennio le vedrà all’opera in Italia, Spagna, Burundi, Costa d’Avorio, Perú, Brasile; impegnate, come dice la loro regola, a «prestarsi volentieri dove è maggiore l’urgenza di fare del bene». Benedetta vede solo i primi sviluppi dell’opera, tra cui la nascita di una casa ricovero a Pavia. La malattia di cui morirà (nell’ora e nel giorno da lei previsti) la coglie mentre sta andando ad aprire una nuova casa. Sepolta a Ronco Scrivia, i suoi resti sono andati dispersi nella distruzione del cimitero durante la seconda guerra mondiale, per un bombardamento anglo-americano nel 1944. Giovanni Paolo II l’ha beatificata nel 1987 e poi canonizzata nel 2002. Autore: Domenico Agasso |
(Mt 21,33-43.45) Costui è l’erede. Su, uccidiamolo!
VANGELO
(Mt 21,33-43.45) Costui è l’erede. Su, uccidiamolo!
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo;questo è stato fatto dal Signore ed una meraviglia ai nostri occhi”?Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O Spirito di Dio, insegnami a stare in ascolto della tua parola, per comprendere l’ essenza del tuo messaggio e saperlo rendere attuale nella mia vita.
Ancora una parabola sulla vigna, ma questa volta, vediamo che il padrone della vigna, la lascia in mano ai contadini perché la coltivino. Ma questi non vogliono dare al Signore il raccolto, non vogliono riconoscerlo come padrone, né tanto meno riconoscere il Figlio come padrone, per questo decidono di ucciderlo. Questo è quello che l’uomo fa quando diventa superbo e vuole fare a meno di Dio, vuole guidare la propria vita, senza riconoscerla come un dono, perdendo di vista che quella vigna è già sua, che non ha bisogno di uccidere e rubare niente, perché tutto quello che è del Padre ,è dei figli.
Ma Gesù che è stato ucciso, è diventato la pietra su cui poggia la Chiesa, Questa chiesa che spesso noi non vediamo come la nostra casa, ma come un’ istituzione che ci è estranea, come un regno di pochi, questa Chiesa che alcuni credono di loro proprietà, e che altri non accettano… Quanta competizione, quanto cercare di mettersi in mostra, quanto guardare i propri interessi. Che c’entra tutto questo con Gesù? Che ha a che fare con la mitezza ed il coraggio di Maria? Non è stando ai primi posti che si fa la volontà di Dio, ma anzi, Gesù ci diffida dal farlo, ci invita ad essere servitori per essere eredi del regno. Chi è stato chiamato a coltivare la vigna, lo fa nel nome di Dio, o lo fa nel suo interesse? Lavora su se stesso per poter portare frutti al regno di Dio, con la parola e l’esempio? Ognuno di noi dovrebbe farsi un esame di coscienza per scoprire come ci comportiamo, per capire se questo atteggiamento del tutto ci è dovuto ci appartiene, e fino a che punto vogliamo continuare a rifiutare di essere partecipi eredi con Cristo, del regno dei cieli. Cos’ altro deve fare Dio per farci comprendere quanto è grande il suo amore più che dare la vita del suo Figlio per la nostra redenzione?
mercoledì 19 marzo 2014
VOCE DI SAN PIO :
-" Tieniti fortemente e costantemente a Dio
unita, consacrandogli tutti i tuoi affetti, tutti i tuoi travagli, tutta
te stessa, attendendo con pazienza il ritorno del bel sole, allorquando
piacerà allo sposo visitarti con la prova delle aridità, delle
desolazioni e dei bui di spirito." (Epist. III, p. 670).
SANTI é BEATI :
Beato Francesco di Gesù Maria Giuseppe (Francisco Palau y Quer) Sacerdote carmelitano
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Aytona, Spagna, 29 dicembre 1811 - Tarragona, Spagna, 20 marzo 1872
Francisco Palau y Quer nacque il 29 dicembre 1811 ad Aytona (Spagna).
Nel 1828 entrò nel seminario di Lèrida. Completato il triennio di studi
filosofici e concluso il primo corso di teologia, nel 1832 passò
nell'Ordine dei Carmelitani Scalzi dove l'anno successivo emise i voti.
Costretto da circostanze politiche a vivere da exclaustrato, potè
ricevere l'Ordinazione Sacerdotale a Barbastro nel 1836. Dopo un lungo
periodo di permanenza in Francia (1840 - 1851), ritornò in Spagna e si
dedicò al ministero della predicazione e delle missioni popolari,
specialmente a Barcellona e nelle Isole Baleari. Fu lì che negli anni
1860 - 1861 si occupò dell'organizzazione di alcuni gruppi femminili
dando origine a quelle che oggi si chiamano le Suore Carmelitane
Missionarie Teresiane e le Suore Carmelitane Missionarie. Fondò anche
una famiglia di Fratelli della Carità, oggi estinta. Morì a Tarragona il
20 marzo 1872.Martirologio Romano: A Tarragona in Spagna, beato Francesco di Gesù Maria Giuseppe Palau y Quer, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, che durante il suo ministero sostenne atroci vessazioni e, accusato ingiustamente, fu relegato nell’isola di Ibiza, dove morì abbandonato a se stesso. |
Prima di andare a morire in croce Gesù predisse agli Apostoli che nel mondo avrebbero avuto tribolazioni e persecuzioni a causa del suo nome (Gv 15,20). Questa profezia si verificò alla lettera nella vita e nell'opera di questo Beato spagnuolo, che visse in un secolo ricco di eminenti personalità sacerdotali e religiose, catalane come lui: S. Antonio Claret y Calarà (11870), fondatore dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria; B. Francesco Coll OP. (+1875), fondatore delle Suore Domenicane dell’Annunziata; S. Maria Rosa Molas y Vallvé (+1876), fondatrice delle Suore di Nostra Signora della Consolazione; B. Enrico de Osso y Cervello (+1896), fondatore della Compagnia di S. Teresa di Gesù; S. Teresa Jornet Ibars (+1897), fondatrice delle Piccole Suore degli Anziani abbandonati e pronipote carnale del B. Francesco di Gesù, Maria e Giuseppe; B. Giuseppe Mananet y Vives (+1901), fondatore dei Figli della S. Famiglia e delle Missionarie Figlie della S. Famiglia di Nazareth; B. Emmanuele Domingo y Sol (+1903), fondatore dell'Istituto Secolare dei Sacerdoti Operai Diocesani del S. Cuore. Il nostro Beato nacque il 29-12-1811 ad Aytona, nella diocesi di Lèrida (Catalogna), settimo dei 9 figli che Giuseppe Palau, modesto contadino ebbe da Antonia Quer, entrambi molto fedeli alla religione e alla monarchia. Al fonte battesimale gli fu imposto il nome di Francesco. Sotto la guida dei genitori egli crebbe pio, amante dello studio e dei poveri. Fu il maestro delle scuole elementari che suggerì loro di fare continuare gli studi al figlio per le spiccate doti intellettuali che in lui aveva scorto. Tuttavia fu la sorella Rosa che lo mise in condizione di frequentare come esterno, a 14 anni, il seminario, dandogli ospitalità a Lérida nella casa di campagna in cui si era stabilita dopo le nozze con il marito. In seguito, non volendo sfruttare la generosità della sorella e desiderando vivere nel seminario come interno per attendere meglio alla propria formazione, il Beato moltiplicò gli sforzi nello studio in modo da essere in grado di concorrere per una borsa di studio e vincerla. In seminario Francesco rimase soltanto 4 anni, durante i quali si distinse per il profitto, l’obbedienza e lo spirito di penitenza. A 21 anni, al termine del primo anno di teologia, rinunciò alla borsa di studio e si fece carmelitano nonostante l'opposizione dei genitori e dei superiori del seminario, che vedevano in lui un soggetto di grande utilità per la diocesi. Pare che, al termine di una novena fatta in onore di S. Elia, Francesco abbia visto il profeta nel gesto di ricoprirlo con il mantello dei Carmelitani, come segno della volontà di Dio nei suoi riguardi. Quando entrò nel noviziato dell'Ordine a Barcellona con il nome di Fra Francesco di Gesù, Maria e Giuseppe, e vi fece la solenne professione (15-11-1833), era già fermamente deciso a osservarne gli obblighi benché i tempi che correvano fossero molto tristi. In Spagna, difatti, alla morte del re Ferdinando VII (+1833), era scoppiata una guerra civile tra sua figlia Isabella II (+1904), sostenuta dai liberali e lo zio Don Carlos, pretendente al trono in forza della legge salica, sostenuto dai conservatori e dal clero. Sedici anni più tardi confesserà nel suo libro La Vita Solitaria: "Quando feci la mia professione religiosa la rivoluzione teneva già nella sua mano la torcia incendiaria per bruciare tutte le case religiose e il temibile pugnale per assassinare gli individui che si erano rifugiati in esse. Non ignoravo il pericolo opprimente al quale mi esponevo... ciò nonostante mi impegnai con voti solenni in uno stato, le cui regole credevo di poter praticare fino alla morte, indipendentemente da qualsiasi umano avvenimento". A Barcellona il Beato continuò a studiare teologia benché non sentisse attrattiva per il sacerdozio. Pur di vivere la vita carmelitana sarebbe rimasto volentieri nell'Ordine anche come semplice fratello laico. Il 25-7-1835 il suo convento fu assalito e incendiato dai rivoluzionari liberali. Trovò rifugio con altri confratelli in una casa vicina, ma dopo alcuni giorni fu condotto nella cittadella, spogliato dell'abito religioso e mandato a Lérida munito di un passaporto. L'esclaustrato, che amava di più la vita solitaria che quella attiva, stabilì la sua residenza tra i monti di Vich. Soltanto dopo diversi mesi si ricongiunse ad Aytona con i suoi familiari, dove, più per obbedienza al suo Patrovinale che per intima aspirazione, si preparò al sacerdozio, che ricevette il 2-4-1836 dal vescovo di Barbastro. Nel paese nativo P. Francesco rimase due anni vivendo in una grotta distante due chilometri dal paese, svolgendo sporadicamente le veci del parroco e rifiutando qualsiasi offerta da parte dei fedeli per le sue prestazioni. In seguito, in considerazione delle necessità delle diocesi della Catalogna, rimaste quasi tutte senza pastori, decise di uscire dal suo isolamento per darsi con ardore alla predicazione, vestito da carmelitano, un po' ovunque, anche nelle caserme dei soldati in armi, tra i quali diffuse l'abitino del Carmine e combattè la bestemmia. Quando però Berga, quartiere generale delle truppe di Don Carlos, cadde nelle mani dei sostenitori di Isabella II, il Beato cercò rifugio a Perpignan (Francia) con suo fratello Giovanni e i resti dell'esercito sconfitto. Durante il suo esilio P. Francesco occupò il tempo nello scrivere la sua prima opera intitolata La lotta dell'anima con Dio standosene solo in una grotta dei dintorni, accanto a quella del fratello, immerso nella meditazione, nella preghiera e nei digiuni continuati. Verso la fine del 1842 il Beato si trasferì nel comune di Caylus, appartenente alla diocesi di Montauban, ospite del visconte del castello di Mondésir, facente parte della parrocchia di St. -Pierre Livron. Non è improbabile che abbia conosciuto il suo benefattore in Spagna in qualche campo di carlisti. Nell'interno del bosco che attorniava il castello, il Beato visse da eremita per cinque anni in una grotta trasformata in cappella nella quale, con il permesso della curia di Montauban, celebrava la Messa e confessava coloro che accorrevano a lui attratti dalla fama della sua vita penitente. A Mondésir egli divenne l’"oracolo" del paese. Ogni tanto lo percorreva tenendo in mano una croce e predicando a tutti con grande vigore le verità eterne. Dalla sua grotta, però, non sarebbe uscito mai, tanto amava stare solo con Dio. Soleva dire che gli era stata lasciata in eredità dal profeta Elia. L'ordinario del luogo, Mons. Giovanni Doney, il 24-9-1844 gli volle fare visita per dargli a intendere quanto lo stimasse. A partire dal mese di aprile 1846 il P. Francesco stabilì la sua dimora in un terreno che comperò vicino al santuario di Notre-Dame di Livron, che sorgeva presso la chiesa parrocchiale, con l'evidente intento di fondare un'istituzione stabile di indole eremitico-ascetica con l'aiuto di Teresa Christià, ex-clarissa di Perpignan, che aveva abbandonato il monastero per motivi di salute e che, in seguito ai suggerimenti del P. Palau, aveva deciso di vivere dedita al servizio del Santuario in compagnia di due signorine. Maria Bois e Giovanna Gracias. Dopo l'acquisto del terreno il Beato volle fare un viaggio in Spagna con l'intento di riunirsi alla sua famiglia. Portò con sé l'ultima sua opera intitolata Quidditas Ecclesiae, in quattro libri, che non riuscì a fare stampare e che in seguito andò perduta. In Francia tornò in compagnia del padre, del cognato e di un nipote, ma il vescovo di Montauban non gli fu più favorevole come prima perché le sue discepole, con il loro genere di vita, suscitarono riserve e critiche da parte tanto delle autorità civili quanto di quelle ecclesiastiche. Il Beato, dal comune di Claylus si trasferì allora in quello di Loze con il fratello Giovanni e si stabilì sopra un terreno vasto e selvaggio che aveva comprato a Cantayrac, evidentemente per conservare la propria libertà d'azione. Mons. Doney, però, continuò ad essergli ostile per l'austerità di vita che conduceva nelle grotte umide e buie, l'abito carmelitano che continuava a portare e, soprattutto, per le numerose persone che accorrevano a prendere parte alle sue Messe con discapito di quelle parrocchiali. Nella regione tutti sapevano che dormiva sulla paglia, che pregava e meditava buona parte della notti inginocchiato per terra, che si nutriva quasi esclusivamente di pane acqua, erbe, patate lesse e qualche frutto della regione e che, all'opposizione del vescovo rispondeva soltanto con la "pazienza e la preghiera". Di tutti era quindi considerato un eremita "straordinario". P. Francesco un bel giorno decise di trasferirsi a St.-Paul-de-Fenouillet, nella diocesi di Perpignan, dove comperò un campo alberato nell'intento di consolidare il suo piano di vita solitaria per sé e per i gruppi maschili e femminili che si andavano costituendo. Frattanto, poiché Mons. Doney persisteva a negargli la facoltà di celebrare la Messa nella diocesi e la situazione politico-religiosa in Spagna era migliorata, in seguito al concordato stipulato il 16-3-1851 tra il governo e la Santa Sede, il Beato prese la decisione di abbandonare per sempre la Francia. Avrebbe voluto stabilirsi nella sua diocesi di origine, Lérida, ma il vescovo Mons. Cirillo Uriz y Labayru, il quale personalmente era contrario ai "beateri" e ai fratelli esclaustrati, gli fece sapere che la sua presenza in diocesi non era gradita a causa dei vari gruppi di discepole che vi contava e che egli aveva già dissolti il 2-4-1852. Il suo successore, Mons. Mariano Puiglatt, non si dimostrò più tenero nei riguardi del Beato. Difatti, nel 1863 gli proibì di predicare in una chiesa della sua diocesi, il mese di Maggio. Invece di protestare, il perfetto carmelitano gli rispose: "Essendo V. Ecc. mio prelato... può con autorità, libertà e senza raggiri, avvisare, correggere, castigare, tagliare e bruciare, certo che i suoi avvisi, correzioni e castighi saranno ricevuti sempre come pegno del suo amore e della sua sollecitudine pastorale verso questo suo suddito sacerdote". Respinto dalla sua diocesi, P. Francesco si trasferì a Barcellona dove Mons. Domingo Costa y Borràs, che ben lo conosceva e apprezzava, essendo stato vescovo di Lérida, lo chiamò a lavorare per la ricristianizzazione della sua turbolenta diocesi. Le zone di periferia rigurgitavano infatti, di operai provenienti da varie regioni della Spagna, ed erano privi di una solida e continuata formazione catechetica. Il Beato, oltre a dedicarsi alla predicazione e farsi animatore della costruzione di nuove chiese, fondò una vera e propria scuola di catechismo per adulti con programma, metodo d'insegnamento e statuto propri. La chiamò Scuola delle Virtù e fu frequentata da oltre 2000 adulti. Dopo 3 anni, però, in concomitanza con gli scioperi ad oltranza di molti operai, fu sciolta dalle autorità civili, pressate dai nemici della Chiesa. Il fondatore, nonostante le sue energiche proteste orali e scritte, fu confinato nell'isola Ibiza, nelle Baleari, con il falso pretesto che fomentava idee sovversive. P. Francesco non si perse d'animo, anzi, continuò a dirigere le sue figlie spirituali residenti a Lérida, Aytona e Balaguer, le quali, nonostante l'ordine di chiusura delle loro case, avevano trovato la maniera di continuare di fatto il loro genere di vita. Dall'esilio coatto l’8-5-1854 scrisse ad alcuni suoi amici: "Non vedrò per tutta la vita se non persecuzioni, giacché il mio spirito disprezza il mondo e per conservare il mio benessere non devierò mai dal mio cammino... Io non sogno altro che sofferenze, contraddizioni e lotte, ne desidero per questo altra via che quella della croce". Con la loro collaborazione si preoccupò di mettere in salvo quello che apparteneva alla soppressa Scuola delle Virtù e riuscì a farsi mandare nell'isola l'immagine della SS. Vergine in essa venerata, in onore della quale fece costruire una cappella tuttora meta di pellegrinaggi. Per due anni P. Francesco visse in una grotta di Es Cubells nella parrocchia di S. Giuseppe, che un signore gli aveva messo a disposizione con un pezzo di terra da cui trarre gli alimenti necessari. In seguito, avendo scoperto nell'isolotto chiamato Vedrà, una grotta ancora più solitaria e inaccessibile, vi si trasferì perché la solitudine costituiva "il suo cielo". Per potersi dedicare a pieno titolo all'attività pastorale in tutte le isole Baleari, egli sollecitò e ottenne, dalla S. Congregazione di Propaganda Fide, il titolo e la facoltà di missionario apostolico benché fosse ritenuto inabile a disimpegnare incarichi stabili di ministero perché, a furia di vivere in grotte buie e umide, era diventato sordo e aveva contratto una malattia cronica. Ciò nonostante, quando lasciava la solitudine per predicare nei paesi di Ibiza, Maiorca e Minorca, le chiese erano insufficienti a contenere la gente che accorreva a udirlo o a prendere parte alle Messe, che celebrava con straordinaria devozione. Con la sua voce possente, la sua statura bassa e tarchiata, agli occhi dei fedeli assumeva l'aspetto di un profeta. Infatti di solito non riusciva a terminare le sue prediche senza che la sua voce non fosse affogata dal loro pianto. Dopo tre anni di confino il Beato inviò successivamente due suppliche alla regina Isabella II per ottenere che fosse revocata l'ingiusta sentenza di cui era stato vittima. Ottenne fortunatamente la libertà soltanto quando, il 1-5-1860, essa fu concessa ai confinati politici. Nel frattempo a Madrid era stata trattata giudizialmente la sua vicenda ed era stata trovata immune da qualsiasi colpevolezza. A chiarire la sua posizione aveva giovato anche la pubblicazione nella capitale del suo scritto intitolato La Scuola della Virtù Vendicata (1859). Il P. Francesco invece di ritornare a vivere nelle grotte, si sentì spinto a mettersi al completo servizio della Chiesa, che divenne da quel momento la sua "amata", mediante la predicazione per tutta la Catalogna, gli esorcismi, gli scritti e la fondazione di Associazioni maschili e femminili del Terz'Ordine Carmelitano. Per le sue opere impegnava gli aiuti che riceveva dai benefattori nonché la piccola pensione che il governo concedeva a tutti gli esclaustrati. Grande fu la ripugnanza che provò nel seguire il nuovo genere di vita che Dio esigeva da lui. Lo confidò egli stesso il 27-10-1860 a Giovanna Gracias, sua discepola, nella lettera che le scrisse da Madrid dove stava predicando nella chiesa di S. Isidoro: "Riesce orribile al mio spirito e al mio corpo viaggiare senza punto fisso, abbandonato alle attenzioni degli amici... Tuttavia... quando Dio mi chiama, non c'è niente di quello che mi si pone davanti che non assalti e calpesti per quanto terribile e sgradevole esso sia". Alla stessa persona scrisse nell'agosto del 1861: "La mia unione, le mie nozze spirituali con la Chiesa costituiscono l'oggetto unico e principale che occupa i miei esercizi. Di questo ho piena la testa e il cuore e non so pensare altra cosa e assorbe talmente le mie potenze e i miei sensi, che in cinque giorni sono riuscito a stento a consumare un pane. Ciò nonostante sto bene e non sento il bisogno di mangiare". E’ in questo contesto di profonda unione mistica con il mistero della Chiesa che il Beato si sentì chiamato a lottare contro i demoni e a fondare gruppi di Terziari e Terziarie Carmelitani, per l'insegnamento religioso all'infanzia e la cura degli infermi a domicilio, viventi insieme di propria volontà in forma privata, senza fisionomia giuridico-canonica e tanto meno civile. Essi non potevano prefiggersi altri fini perché la Chiesa e lo Stato il 25-8-1859 avevano convenuto che in Spagna gli istituti di stampo contemplativo non avessero diritto di cittadinanza. Il P. Francesco l'8-l-1867 fu nominato direttore dei Terziari e delle Terziarie Carmelitani, dal Procuratore Generale e Commissario dei Carmelitani Scalzi, il P. Pasquale di Gesù e Maria. Tale nomina lo mise in grado di conferire una strutturazione formale e giuridica a tutte le comunità esistenti in Spagna. Le costituzioni che redasse per loro furono stampate a Barcellona un mese prima della sua morte. Dal 1860 al 1872 il Beato fondò 6 comunità di Fratelli, i quali praticamente cessarono di esistere con la guerra civile del 1936, e 6 comunità di Sorelle le quali, dopo la sua morte, diedero origine a due congregazioni riconosciute dalla S. Sede: le Carmelitane Missionarie Teresiane di Tarragona e le Carmelitane Missionarie di Barcellona. Verso la fine del 1864 fino alla morte, il P. Francesco si convinse di essere chiamato da una forza interna irresistibile, sconvolgente, a guarire gli ossessi. Per questa sua vera o presunta missione egli operò e redasse il settimanale El Ermitano per ottenere che fosse rimesso in auge nella Chiesa l'esorcistato, ma fu osteggiato, punito e perfino carcerato. Teatro degli esorcismi da lui praticati, fu la casa di Santa Cruz di Vallcarca, presso Barcellona e, più precisamente, la cappella che vi aveva fatto costruire per la Messa festiva, appartenente alla comunità dei Fratelli, nota poi con il nome di Els Penitens. Quando il Beato iniziò pubblicamente la sua attività di esorcista, il centro di Vallcarca divenne inevitabilmente una specie di ricovero privato per i numerosi malati che, di loro iniziativa, accorrevano a lui per essere curati ed eventualmente anche esorcizzati. Il 13-4-1866 Mons. Pantaleone Montserrat, vescovo di Barcellona, gli proibì di continuare gli esorcismi ed egli ubbidì. Da quel giorno si limitò soltanto a pregare per coloro che continuavano ad accorrere a lui e a consolarli, ma, nello stesso tempo, sentì più forte che mai, in sé, la spinta a fare intervenire nella questione l'autorità suprema della Chiesa. In Spagna, nel settembre del 1868 si verificarono luttuosi eventi che culminarono nella detronizzazione e nella cacciata della regina Isabella II. In quella circostanza il P. Francesco si radicò ancora di più nella persuasione che era necessario rimettere in auge il ministero permanente dell'esorcismo, per contrastare l'azione del demonio nella società. Si servì per diffondere la sua idea ancora di El Ermitano come pure per elevare, a più riprese, la sua energica protesta contro la giunta provinciale di Barcellona, perché aveva ordinato la chiusura della residenza di Santa Cruz di Vallcarca. Nel frattempo raccolse in quaderni i casi di ossessi che riteneva di avere liberati dal demonio e li fece pervenire a Pio IX. Nella segreteria papale furono letti, ma si pensò che il P. Palau fosse "o un illuso o un malizioso". Nel 1870 si recò personalmente a Roma per presentare ai Padri Conciliari di lingua spagnuola il suo proclama riguardo all’esorcistato, ma non ebbe seguito. Lo stesso S. Antonio M. Claret riteneva che di ossessi nel mondo ce ne fosse uno sparuto numero. Appena il Beato ottenne dalle autorità la licenza di riaprire il complesso di Santa Cruz di Vallcarca, escogitò il sistema di adattare una parte dell'edificio, diretto da suo fratello Giovanni e dal suo discepolo Gabriele Brunet, a ospedale, ma il 28-10-1870 l'autorità civile, sostenuta dal vicario capitolare di Barcellona, fece arrestare il P. Francesco che fungeva da cappellano e viveva in una grotta sotterranea, i dirigenti e 39 ricoverati. Lo stabilimento era di natura strettamente privata, non in contravvenzione con le leggi dello stato. L'autorità ecclesiastica aveva soltanto autorizzato la celebrazione della Messa nell'attigua cappella, e il P. Francesco non faceva altro che pregare in essa per gli ospitalizzati che si ritenevano posseduti dal demonio, leggere loro brani del Vangelo e aspergerli con l'acqua benedetta. Dopo la liberazione dal carcere egli intentò causa contro i suoi persecutori. Di fronte alle storture, il sangue gli saliva alla testa. Il processo si concluse il 9-10-1871 con sentenza pienamente assolutoria da parte del Tribunale di Prima Istanza, confermata in seguito anche dal Tribunale di Appello quando l'interessato stava ormai per morire. P. Francesco Palau aveva sortito da natura un fisico molto robusto, ma le lunghe dimore nelle grotte, i digiuni pressoché costanti, le prolungate vigilie, le continue incomprensioni delle autorità civili e religiose glielo avevano a poco a poco fiaccato. L'ultimo e più grave colpo alla sua salute egli lo ricevette nel febbraio del 1872 quando, nell'ospedale di Calasanz, assistette con alcune sue discepole gli appestati. Recatesi successivamente a visitare la casa delle Sorelle di Tarragona contrasse la polmonite, che lo portò alla tomba il 20 marzo dello stesso anno. Fino all'ultimo respiro egli aveva dato segno di grande pietà. Il direttore di El Ermitano scrisse di lui: "Con l'ardire dell'apostolo, la chiaroveggenza del profeta e la fortezza del martire, né il carcere, né l'esilio, né le privazioni... furono sufficienti ad abbatterlo e a farlo retrocedere un solo istante dalla via che aveva imboccato fino dal momento in cui si era consacrato al servizio di Dio". Giovanni Paolo II ne riconobbe l'eroicità delle virtù il 10-11-1986 e lo beatificò il 24-4-1988. La Chiesa lo ricorda il 20 Marzo, mentre i Carmelitani Scalzi ne fanno memoria il 7 Novembre. Autore: Guido Pettinati |
(Lc 16,19-31) Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
VANGELO
(Lc 16,19-31) Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’ acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo spirito e aiutami a capire il desiderio di Dio, aiutami a non sbagliare strada e a non perdermi nelle tentazioni della vita, aiutami a seguire solo i lumini che portano al regno di Dio e a non farmi abbagliare dalle luci sfavillanti del mondo che illude.
Quante volte Gli apostoli ci hanno riportato le parole di Gesù che dicevano di non cercare le ricchezze nel mondo. Sembrano un poco discorsi per stolti, come si fa a non esserne attirati, tutto è così sfavillante, basta un pochino di corruzione, bastano le amicizie giuste, uno scambio di voti, e si aprono tante possibilità, che chi è” fuori dal giro” se le scorda. Bei vestiti, cene e feste, e il mondo cammina in quel senso, senza curarsi dei poveri cui manca tutto, degli ammalati che sono soli e abbandonati alle loro famiglie spesso in gran difficoltà. Quando qualcuno vive nella più completa indigenza e non riesce a mettere un pasto al giorno sulla tavola, molti fingono di non vedere, o peggio ancora, li criticano per la loro condizione, accusandoli di non saper darsi da fare per migliorare la propria condizione. Un terzo del mondo ha fame, ma noi non vogliamo saperlo, tanto che possiamo fare? Ancora queste faccine di bambini denutriti e pieni di mosche mentre stiamo mangiando? Che schifo! Ma se non ci sono i soldi per nutrirli perché fanno i figli? Ed una parte di mondo soffre ed è costretta dal nostro egoismo a soffrire anche in silenzio, per non darci fastidio.
Dov’ è Gesù? Perché Dio non interviene? Gesù è proprio lì che puoi trovarlo, lì dove noi non vogliamo guardare, tra gli ultimi della terra, là dove il dolore non ha voce, dove si muore in silenzio. Andando a fare una passeggiata nei centri commerciali, vediamo i nostri bambini fare i capricci in continuazione per l’ultimo gioco alla moda, per lo zainetto firmato, e per tutte quelle cose che vogliono avere, e per quanto in difficoltà, i genitori oggi non sono capaci di negargli niente. Stiamo creando dei mostri d’ egoismo, potremmo insegnare loro che con i soldi di un gelato, potremmo adottare un bambino a distanza e garantirgli il diritto di mangiare e studiare, ma non siamo capaci di dirglielo, perché preferiamo non sapere, non vederlo!! Non domandiamo allora dov’ è Gesù, perché Dio non fa niente… noi siamo le mani e gli occhi di Dio, quello che faremo al più piccolo dei nostri fratelli ci sarà restituito da Gesù. Decidiamo finché siamo in vita di fare qualcosa per gli altri e per la nostra anima, perché verrà per tutti il giorno in cui dovremo rendere conto di quello che NON ABBIAMO FATTO.
In questo brano, Luca, ci racconta una parabola che Gesù racconta ai farisei, ma che potrebbe raccontare anche a noi nei giorni nostri.
Noi che siamo presi da mille progetti, da mille traguardi da raggiungere per migliorare la nostra posizione sociale, per avere la macchina più bella, la casa più bella, la vacanza più esotica.. e non pensiamo che con il nostro lusso, o addirittura con quello che noi definiamo normalità, potremmo sfamare chi MUORE DI FAME.
Non è solo una questione di ricchezza materiale, ma di indifferenza totale delle disgrazie altrui.
A volte una parola buona , un pò di pazienza, un pò di fiducia, possono salvare una persona dalla disperazione, ma sembra che il mondo vada troppo di fretta per perdere tempo in queste piccole e banali cose, neanche il tempo di un sorriso, di chiedere come stai? Di saper ascoltare, di saper porgere una spalla su cui piangere.
Troppo tardi ci renderemo conto di aver sbagliato, perchè se non entriamo da subito in contatto vero con la parola di Dio, non capiremo, che non basta non sbagliare, ma che a volte è proprio la nostra indifferenza il peccato peggiore. Non aspettiamo di trovarci davanti al giudizio di Gesù per sapere se abbiamo dato da mangiare all'affamato, vestito l'ignudo, confortato la vedova o l'afflitto. Apriamo gli occhi al nostro prossimo, a quello che è più vicino a noi, a quello che il Signore ci manda davanti, a quello che non conosciamo, ed in questo modo, con le opere di misericordia e carità, salveremo la nostra anima.
Beati i poveri e gli afflitti,perchè di essi sarà il regno dei cieli.
Non è la ricchezza che ci condanna, ma l'indifferenza.
martedì 18 marzo 2014
VOCE DI SAN PIO :
- " La Vergine Addolorata ci ottenga dal suo santissimo
Figliuolo di farci penetrare sempre più nel mistero della croce. "
SANTI é BEATI :
Beata Sibillina Biscossi Domenicana
|
Pavia 1287 - 1367
La Beata Sibillina Biscossi, nata a Pavia nel 1287 e morta nel 1367, era
orfana di padre e di madre. Appena ebbe la forza di sfaccendare, venne
messa a servizio. Ma a 12 anni divenne cieca. Fu allora raccolta dalle
Terziarie domenicane di Pavia. Nei primi anni la bambina infelice pregò a
lungo, con la speranza che san Domenico le concedesse il miracolo della
vista. Poi capì che la sua cecità poteva essere luce e orientamento per
gli altri. Accettò la privazione e si fece reclusa in una celletta
attigua alla chiesa, dove restò dai 15 agli 80 anni, nella più severa
penitenza, vestita d'estate e d'inverno col medesimo saio, mangiando
scarsamente e dormendo sopra una tavola di legno, senza né pagliericcio
né copertura. Visitata da prelati e da potenti, da devoti e da dubbiosi,
ella fu la Sibilla cristiana, che rispondeva a tutte le richieste di
consiglio e di conforto. Era l'occhio luminoso di tutta la città di
Pavia, che riconosceva nella cieca veggente una maestra di spirito. (Avvenire)
Etimologia: Sibillina (diminut. di Sibilla) = che fa conoscere la volontà di Dio, dal greco Martirologio Romano: A Pavia, beata Sibillina Biscossi, vergine, che, rimasta cieca dall’età di dodici anni, visse per sessantacinque anni in clausura presso la chiesa dell’Ordine dei Predicatori, illuminando con la sua luce interiore i molti che ricorrevano a lei. |
Sibillina nacque dalla onorata famiglia Biscossi, e fin dai primissimi anni mostrò grande inclinazione alla pietà. A dodici anni, colpita da una dolorosa infermità, rimase del tutto cieca. Sebbene la santa fanciulla accettasse con rassegnazione la dolorosa prova, non cessò però di chiedere a Dio di volerle ridare la vista, tanto necessaria a lei che doveva trarre dal lavoro delle mani il pane d’ogni giorno. Un giorno, mentre così pregava, le apparve il Santo Patriarca Domenico, il quale le mostrò una luce tanto meravigliosa, che le tolse per sempre il desiderio della luce e d’ogni altra cosa di questo mondo. E così, a quindici anni, vestita dell’Abito del Terz’Ordine, e accesa da cosi santo amore, si ritirò in un angusto romitorio, accanto alla chiesa dei Frati Predicatori, iniziando una vita che possiamo definire eroica. Più eroico ancora fu il perseverarvi per 67 anni, senza mai abbandonare la sua cella. Con cuore di martire sopportò le tenebre della cecità, la solitudine completa, i rigori di una severa penitenza. Ma il segreto di tanto coraggio essa l’attinse nell’amorosa contemplazione del Crocifisso. Qui attinse anche la celeste sapienza che la rese maestra e consolatrice di innumerevoli anime che accorrevano a lei, riportandone luce e conforto. Le fu rivelata l’ora della sua morte, avvenuta il 19 marzo 1367, alla veneranda età di ottant'anni, attorniata dai religiosi dell’Ordine, che l’assistettero nell’ora suprema. Fu illustre per miracoli. Il suo corpo è sepolto nella cattedrale di Pavia. Papa Pio IX il 17 agosto 1854 ha confermato il culto. L'Ordine Domenicano la ricorda il 18 aprile. Autore: Franco Mariani |
Beata Sibillina Biscossi Domenicana
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Pavia 1287 - 1367
La Beata Sibillina Biscossi, nata a Pavia nel 1287 e morta nel 1367, era
orfana di padre e di madre. Appena ebbe la forza di sfaccendare, venne
messa a servizio. Ma a 12 anni divenne cieca. Fu allora raccolta dalle
Terziarie domenicane di Pavia. Nei primi anni la bambina infelice pregò a
lungo, con la speranza che san Domenico le concedesse il miracolo della
vista. Poi capì che la sua cecità poteva essere luce e orientamento per
gli altri. Accettò la privazione e si fece reclusa in una celletta
attigua alla chiesa, dove restò dai 15 agli 80 anni, nella più severa
penitenza, vestita d'estate e d'inverno col medesimo saio, mangiando
scarsamente e dormendo sopra una tavola di legno, senza né pagliericcio
né copertura. Visitata da prelati e da potenti, da devoti e da dubbiosi,
ella fu la Sibilla cristiana, che rispondeva a tutte le richieste di
consiglio e di conforto. Era l'occhio luminoso di tutta la città di
Pavia, che riconosceva nella cieca veggente una maestra di spirito. (Avvenire)
Etimologia: Sibillina (diminut. di Sibilla) = che fa conoscere la volontà di Dio, dal greco Martirologio Romano: A Pavia, beata Sibillina Biscossi, vergine, che, rimasta cieca dall’età di dodici anni, visse per sessantacinque anni in clausura presso la chiesa dell’Ordine dei Predicatori, illuminando con la sua luce interiore i molti che ricorrevano a lei. |
Sibillina nacque dalla onorata famiglia Biscossi, e fin dai primissimi anni mostrò grande inclinazione alla pietà. A dodici anni, colpita da una dolorosa infermità, rimase del tutto cieca. Sebbene la santa fanciulla accettasse con rassegnazione la dolorosa prova, non cessò però di chiedere a Dio di volerle ridare la vista, tanto necessaria a lei che doveva trarre dal lavoro delle mani il pane d’ogni giorno. Un giorno, mentre così pregava, le apparve il Santo Patriarca Domenico, il quale le mostrò una luce tanto meravigliosa, che le tolse per sempre il desiderio della luce e d’ogni altra cosa di questo mondo. E così, a quindici anni, vestita dell’Abito del Terz’Ordine, e accesa da cosi santo amore, si ritirò in un angusto romitorio, accanto alla chiesa dei Frati Predicatori, iniziando una vita che possiamo definire eroica. Più eroico ancora fu il perseverarvi per 67 anni, senza mai abbandonare la sua cella. Con cuore di martire sopportò le tenebre della cecità, la solitudine completa, i rigori di una severa penitenza. Ma il segreto di tanto coraggio essa l’attinse nell’amorosa contemplazione del Crocifisso. Qui attinse anche la celeste sapienza che la rese maestra e consolatrice di innumerevoli anime che accorrevano a lei, riportandone luce e conforto. Le fu rivelata l’ora della sua morte, avvenuta il 19 marzo 1367, alla veneranda età di ottant'anni, attorniata dai religiosi dell’Ordine, che l’assistettero nell’ora suprema. Fu illustre per miracoli. Il suo corpo è sepolto nella cattedrale di Pavia. Papa Pio IX il 17 agosto 1854 ha confermato il culto. L'Ordine Domenicano la ricorda il 18 aprile. Autore: Franco Mariani |
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