Vorrei conoscere la Bibbia a memoria,conoscere il greco,il latino e pure l' aramaico,ma nulla di tutto questo mi è stato donato. Quello che al Signore è piaciuto donarmi, è una grande voglia di parlargli e di ascoltarlo.Logorroica io e taciturno Lui,ma mentre io ho bisogno di parole,Lui si esprime meglio a fatti.Vorrei capire perchè questo bisogno si tramuta in scrivere, e sento che è un modo semplice,delicato e gratuito di mettere al centro la mia relazione con Dio.
lunedì 23 dicembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Il tuo zelo non sia amaro, non sia puntiglioso; ma
sia libero da ogni difetto; sia dolce, benigno, grazioso, pacifico e
sollevante. Ah, chi non vede, mia buona figliuola, il caro piccolo
Bambino di Betlemme, all’avvento del quale ci andiamo preparando, chi
non vede, dico, essere il suo amore per le anime incomparabile? Egli
viene per morire affine di salvare, ed è sí umile, sí dolce e sí amabile."(Epist. III, p. 465s.).
SANTI é BEATI :
Santa Paola Elisabetta Cerioli Vedova, fondatrice
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Soncino, (Cremona), 28 gennaio 1816 – Comonte (Bergamo), 24 dicembre 1865
Il giorno della vigilia di Natale ci
offre una delle figure più recentemente additate da Giovanni Paolo II
come modello di santità: si tratta di madre Paola Elisabetta Cerioli,
fondatrice dell'Istituto della Sacra Famiglia, canonizzata il 16 maggio
2004. Nata il 28 gennaio 1816 da una famiglia nobile di Soncino, in
provincia di Cremona, Costanza Cerioli (come si chiamava all'anagrafe)
andò sposa a 19 anni a un uomo molto più anziano di lei. Ebbe tre figli,
ma le morirono tutti giovanissimi: uno appena nato, il secondo a un
anno, il terzo a 16 anni. Rimasta vedova, ricca e sola a 38 anni, scelse
di spendere la vita prendendosi cura in casa sua delle bambine rimaste
orfane. In quest'opera si unirono presto a lei altre giovani: fu la
scintilla da cui scaturì l'Istituto Sacra Famiglia, nel quale prese lei
stessa i voti assumendo il nome di suor Paola Elisabetta. Presto si
affiancò anche il ramo maschile dei Fratelli della Sacra Famiglia dediti
all'apostolato tra i lavoratori agricoli. Morì il 24 dicembre 1865. (Avvenire)Martirologio Romano: A Comonte vicino a Bergamo, santa Paola Elisabetta (Costanza) Cerioli, che, morti prematuramente tutti i figli e rimasta poi vedova, impegnò risorse e forze nell’istruzione dei figli dei contadini e degli orfani senza speranza di futuro e visse nel Signore le gioie di madre, fondando l’Istituto delle Suore e la Congregazione dei Padri e dei Fratelli della Sacra Famiglia. |
Costanza Cerioli, questo il suo nome da laica, nacque il 28 gennaio 1816 a Soncino (Cremona) dai nobili e ricchi genitori Francesco Cerioli e Francesca Corniani, Era di gracile e delicata costituzione, ma dotata di grandi virtù spirituali che la madre con la sua sensibilità seppe sviluppare. Dai dieci ai sedici anni, fu affidata alle Suore della Visitazione di Alzano, dove si fece notare per la bontà dell’animo e la diligenza nello studio. Aveva 19 anni quando il 30 aprile 1835 andò sposa al nobile e ricco Gaetano Buzecchi dei conti Tassis, che aveva 60 anni (siamo nell’epoca in cui i matrimoni erano combinati per tanti motivi dai familiari) e con il marito si trasferì a Comonte, sempre nel bergamasco. Nei confronti del coniuge, tanto più anziano di lei, malato e spiritualmente lontano, Costanza Cerioli fu sempre generosa, paziente e docile; ebbe tre figli, purtroppo uno morì appena nato, un altro ad appena un anno, il terzo infine a 16 anni. Purtroppo la mortalità infantile nel secolo XIX era molto forte e tante malattie che oggi sono curabilissime, allora erano mortali; del resto la media della vita in generale era molto bassa, a confronto con quella di oggi. Rimase vedova il 25 dicembre 1854, ormai sola e ricca, nonostante avesse solo 38 anni, si isolò dal mondo e visse ritirata nella sua casa, dedicandosi alle opere di carità, in cui impegnò il suo immenso patrimonio. Iniziò prendendo in casa due orfanelle, che man mano aumentarono di numero, insieme alle persone incaricate della loro formazione ed assistenza; così l’8 dicembre 1857 fondò l’”Istituto della Sacra Famiglia” e lei la vedova Costanza diventò suora prendendo il nome di suor Paola Elisabetta e dopo qualche anno fondò anche i “Fratelli della Sacra Famiglia” dediti al lavoro ed all’apostolato nei campi agricoli. Personalmente scrisse per i suoi Istituti le sapienti Regole, che furono approvate dal vescovo di Bergamo; si consumò in questa assistenza sociale e attività religiosa, ed a soli 49 anni morì a Comonte il 24 dicembre 1865. Fu beatificata il 19 marzo 1950, durante l’Anno Santo, da papa Pio XII. E' stato proclamata santa da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004. Le Diocesi di Bergamo e Cremona ne fanno memoria liturgica il 23 gennaio. Autore: Antonio Borrelli |
(Lc 1,67-79) Ci visiterà un sole che sorge dall’alto.
VANGELO
(Lc 1,67-79) Ci visiterà un sole che sorge dall’alto.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,perché ha visitato e redento il suo popolo,e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo,come aveva bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:salvezza dai nostri nemici,e dalle mani di quanti ci odiano.Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza,del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,di concederci, liberati dalle mani dei nemici,di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,ci visiterà un sole che sorge dall’alto,per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte,e dirigere i nostri passi sulla via della pace».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Spirito Santo eterno amore,porta la tua luce nel mio cuore,fammi vivere la tua parola,fammi vedere la tua luce,fammi splendere del tuo riflesso. Amen.
Alla nascita di Giovanni, Zaccaria torna a parlare,per prima cosa benedice il Signore,perché ha capito che aveva sbagliato a dubitare,ad avere paura,e così si affida anche lui allo Spirito,sulle orme di Maria ed Elisabetta e pieno di fiducia ringrazia Dio della venuta del salvatore,come aveva promesso.Alla luce della conoscenza, anche la missione del figlio Giovanni diventa chiara e la preghiera di Zaccaria,dopo essere passata per la profezia arriva al ringraziamento.
Ricordiamo il magnificat di Maria?Ed ora il cantico di Zaccaria,la prima cosa che sale alle labbra dopo aver riconosciuto lo Spirito Santo ed essersi affidati a lui è una preghiera,perché il contatto con il Signore procura gioia,meraviglia e fiducia,una fiducia che diventa certezza,addirittura profezia…..
E poi eccolo l’avvenimento meraviglioso della nascita di Gesù,in una stalla, straniero , povero, ricercato per essere ucciso,non è certo questo il modo in cui si pensava alla nascita del Messia;ma una stella guida il cammino dei pastori e dei Magi, una luce che fa intravedere nel buio della notte,la speranza della salvezza.
Gli angeli del Signore avvisano i pastori che la salvezza è nata per il mondo…
Buon Natale a tutti coloro che sono davanti alla capanna semplice di Dio,che lo riconoscono come il Messia,e che vivono per lodare il Suo nome e testimoniare la sua venuta!
(Lc 1,67-79) Ci visiterà un sole che sorge dall’alto.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,perché ha visitato e redento il suo popolo,e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo,come aveva bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:salvezza dai nostri nemici,e dalle mani di quanti ci odiano.Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza,del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,di concederci, liberati dalle mani dei nemici,di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,ci visiterà un sole che sorge dall’alto,per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte,e dirigere i nostri passi sulla via della pace».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Spirito Santo eterno amore,porta la tua luce nel mio cuore,fammi vivere la tua parola,fammi vedere la tua luce,fammi splendere del tuo riflesso. Amen.
Alla nascita di Giovanni, Zaccaria torna a parlare,per prima cosa benedice il Signore,perché ha capito che aveva sbagliato a dubitare,ad avere paura,e così si affida anche lui allo Spirito,sulle orme di Maria ed Elisabetta e pieno di fiducia ringrazia Dio della venuta del salvatore,come aveva promesso.Alla luce della conoscenza, anche la missione del figlio Giovanni diventa chiara e la preghiera di Zaccaria,dopo essere passata per la profezia arriva al ringraziamento.
Ricordiamo il magnificat di Maria?Ed ora il cantico di Zaccaria,la prima cosa che sale alle labbra dopo aver riconosciuto lo Spirito Santo ed essersi affidati a lui è una preghiera,perché il contatto con il Signore procura gioia,meraviglia e fiducia,una fiducia che diventa certezza,addirittura profezia…..
E poi eccolo l’avvenimento meraviglioso della nascita di Gesù,in una stalla, straniero , povero, ricercato per essere ucciso,non è certo questo il modo in cui si pensava alla nascita del Messia;ma una stella guida il cammino dei pastori e dei Magi, una luce che fa intravedere nel buio della notte,la speranza della salvezza.
Gli angeli del Signore avvisano i pastori che la salvezza è nata per il mondo…
Buon Natale a tutti coloro che sono davanti alla capanna semplice di Dio,che lo riconoscono come il Messia,e che vivono per lodare il Suo nome e testimoniare la sua venuta!
domenica 22 dicembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" La fede anche noi guida, e noi dietro il suo
lume sicuri seguiamo il cammino che ci conduce a Dio, alla sua patria,
come i santi magi guidati dalla stella, simbolo di fede, giungono al
luogo desiderato." (Epist. IV, p. 886).
SANTI é BEATI :
San Giovanni da Kety (Canzio) Sacerdote
23 dicembre
- Memoria Facoltativa
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Kety, Polonia, 1390 - Cracovia, notte di Natale, 1473
«All'Ateneo da me tanto amato auguro
la benedizione della Santissima Trinità e la perpetua protezione di
Maria, Sede della Sapienza, come anche il patrocinio fedele di san
Giovanni da Kety, suo professore più di 500 anni fa». Così durante la
visita a Cracovia del 9 giugno 1979, Giovanni Paolo II ricordò il
professore santo di quell'Università. Nato a Kety cittadina polacca a
sud ovest di Cracovia nel 1390, Giovanni intraprese gli studi con
risultati subito brillanti. Docente di filosofia a 27 anni, a 34 fu
ordinato sacerdote, continuando a insegnare per alcuni anni. Ricevuto
l'incarico di parroco a Olkusz, si fece ammirare come modello di pietà e
carità verso il prossimo. Nel 1440 riprese la docenza a Cracovia
contribuendo all'educazione del principe Casimiro. Morì durante la Messa
della vigilia di Natale del 1473. Docente e amico degli ultimi, la
gente prese subito a considerarlo santo ricordando le sue lezioni di
amore tra i malnutriti e i malati. È stato canonizzato da Clemente XIII
nel 1767.Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico Martirologio Romano: San Giovanni da Kety, sacerdote, che, ordinato sacerdote, insegnò per molti anni nell’Università di Cracovia. Ricevuto poi l’incarico della cura pastorale della parrocchia di Olkusz, aggiunse alle sue virtù la testimonianza di una fede retta e fu per i suoi collaboratori e i discepoli un modello di pietà e carità verso il prossimo. Nel giorno seguente a questo, a Cracovia in Polonia, passò ai celesti gaudi. (24 dicembre: A Cracovia in Polonia, anniversario della morte di san Giovanni da Kety, la cui memoria si celebra il giorno prima di questo).
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«All’Ateneo da me tanto amato auguro la benedizione della Santissima Trinità e la perpetua protezione di Maria, Sede della Sapienza, come anche il patrocinio fedele di san Giovanni da Kety, suo professore più di 500 anni fa». Così Giovanni Paolo II, in visita a Cracovia il 9 giugno 1979, ha ricordato il “professore santo” di quell’università. Giovanni da Kety (una cittadina polacca a sud-ovest di Cracovia), detto anche Giovanni Canzio, intraprende gli studi con risultati subito brillanti. E a 27 anni è docente di filosofia. Poi intraprende anche studi di teologia, e a 34 anni viene ordinato sacerdote, ma continua a insegnare per alcuni anni, perché questa è la sua passione. Più tardi viene inserito nel clero della collegiata di San Floriano in Cracovia: una chiesa che è stata costruita nel XII secolo in un paese ancora di campagna, poi raggiunto e assorbito dallo sviluppo della città, divenuta capitale della Polonia. Compie una breve esperienza parrocchiale in provincia e poi torna a stabilirsi nuovamente in Cracovia, risalendo sull’amata cattedra universitaria. In qualità di precettore dei prìncipi della casa reale polacca, talvolta non poteva esimersi dal partecipare a qualche festa. mondana. Un giorno si presentò a un banchetto in abiti dimessi e venne messo alla porta da un domestico. Giovanni andò a mutarsi d'abito e tornò alla villa dove si dava il ricevimento. Questa volta poté entrare, ma durante il pranzo un malaccorto inserviente gli rovesciò un bicchiere sul vestito. Giovanni sorrise rassicurante: "E’ giusto che anche il mio abito abbia la sua parte: è grazie a lui che sono potuto entrare qui". Ma “stabilirsi” è un’espressione impropria. Infatti il professore Giovanni ama la strada quanto la cattedra, gli affamati di sapere e gli affamati di pane. Ama la strada, poi, come “luogo” tipico dei poveri, sempre alla ricerca di un aiuto. E sul loro percorso amaro, i poveri di Cracovia incontrano spesso Giovanni il Professore; lo vedono entrare nei loro miseri rifugi, portando loro quello che spesso è necessario a lui. Ne sfama tanti, non con le ricchezze che non possiede, ma con la sua paga di insegnante e con i suoi digiuni. E poi la strada, per lui, è quella del pellegrinaggio. Il suo viaggio più lungo è quello in Terrasanta, compiuto a piedi fin dov’era possibile. Poi va pellegrino a Roma. Per quattro volte. E sempre assolutamente a piedi, andata e ritorno. Umile camminatore e compagno di viandanti e di poveri lungo le antiche “vie” che conducono al Sud, al Paese del sole, Giovanni diventa anche il consigliere e il sostenitore dei suoi concittadini più indifesi e soli. Autorevole maestro quando siede in cattedra, gli si attribuiscono anche commenti alla Bibbia e a san Tommaso. Ma ciò che spinge la gente di Cracovia a “gridarlo santo” dopo la morte sono le lezioni di amore che teneva lungo le strade e nelle case, tra malnutriti e ammalati. Nel 1600, papa Clemente VIII lo proclama venerabile, e il suo corpo viene più tardi trasferito nella chiesa di Sant’Anna in Cracovia. Nel 1767, papa Clemente XIII lo iscrive tra i santi. Al ricordo di Giovanni è consacrata una cappella nella chiesa di San Floriano, dove a metà del XX secolo iniziava il suo servizio di vicario parrocchiale il giovane sacerdote Karol Wojtyla. In Polonia viene ricordato il 20 ottobre. È stato proclamato patrono dell'arcidiocesi di Cracovia, degli insegnanti delle scuole cattoliche e della “Caritas”. |
(Lc 1,57-66) Nascita di Giovanni Battista.
VANGELO
(Lc 1,57-66) Nascita di Giovanni Battista.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Parola del Signore
(Lc 1,57-66) Nascita di Giovanni Battista.
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Signore mio ti prego, inondami del tuo Spirito di sapienza, fa che io possa trarre da questa lettura tutto quello che vuoi concedermi di sapere. Io non merito nulla per me, sono la più stupida dei tuoi fratelli, ma sto cercando di fare quello che tu vuoi, sto cercando di testimoniare la tua parola, aiutami o mio tutto, a non essere me, ma a lasciare che tu occupi il mio posto.
Oggi c'è internet, c'è il telefono, e le notizie volano nell'etere in tempo reale, ma pensiamo per un attimo ai tempi in cui Elisabetta partorì il piccolo Giovanni, andiamo tra le famiglie dell'epoca, intente nei loro lavori, chi a filare, chi a guardare le pecore e così via, un po' come le scenette che montiamo sui nostri presepi in questi giorni.
Ma lo sapete che Elisabetta ha avuto un figlio? Ma chi ? L'anziana moglie del vecchio Zaccaria? Com’è potuto succedere? E un miracolo!
Dio meraviglia per primi Zaccaria ed Elisabetta, che in quei mesi avevano avuto modo di capire che avevano sbagliato a mettere in dubbio la potenza della grazia di Dio, ma eccoli ora che coraggiosamente accettano la volontà di Dio in tutto e per tutto.
Si chiamerà Giovanni, come ha detto l'Angelo del Signore, non come il padre Zaccaria, come imporrebbero le regole del tempo. Questo gesto così semplice racchiude in se una cosa molto grande, l'accettazione del volere di Dio, dell'appartenenza alla stirpe Divina.
Giovanni vuol dire " Dio fa grazia " e con questa è entrato nella vita di Zaccaria e nella nostra, anche se sicuramente i poveri vecchi, non potevano mai immaginare che dopo 2000 anni ancora ci ricordiamo di loro per questo.
La nostra vita non è mai fine a se stessa, perché tutti facciamo parte di un progetto d'amore di nostro Signore, dobbiamo imparare a rendercene conto, a diventare coscienti di questo e vivere di conseguenza.
Poco tempo fa, parlando con un amico ateo (almeno così lui si definiva) mi chiese se questo non era rinunciare a vivere una vita fatta di tante cose belle, ho risposto che era semplicemente una questione di scegliere quali erano le cose belle per noi, in che modo intendevamo vivere, a chi volevamo fare riferimento, qual era la parte che volevamo far prevalere.
Giovanni non è solo un bambino, ma è un segno del Signore, è qualcosa d’inspiegabile attraverso le leggi naturali, nato da una donna sterile ed un uomo molto anziano, ma attraverso di lui il Signore parlerà al mondo, presenterà un miracolo ancora più grande, presenterà quel figlio Dio, che s’incarnerà in una Vergine e cambierà la nostra storia. E noi chi siamo per il Signore? In che modo sapremo partecipare e saremo parte attiva della famiglia Divina? Saremo capaci di scegliere di farne parte? Ci lasceremo guidare dalla mano di Dio?
sabato 21 dicembre 2013
SANTI é BEATI :
- Santa Francesca Saverio Cabrini Vergine
22 dicembre
Sant'Angelo Lodigiano, Lodi, 15 luglio 1850 – Chicago, Stati Uniti, 22 dicembre 1917
Una fragile quanto straordinaria maestrina di Sant'Angelo Lodigiano. In questo ritratto si colloca la figura di Francesca Saverio Cabrini. Nata nella cittadina lombarda nel 1850 e morta negli Stati Uniti in terra di missione, a Chicago. Orfana di padre e di madre, Francesca avrebbe voluto chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua malferma salute. Prese allora l'incarico di accudire a un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. La giovane, da poco diplomata maestra, fece molto di più: invogliò alcune compagne a unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore, poste sotto la protezione di un intrepido missionario, san Francesco Saverio, di cui ella stessa, pronunciando i voti religiosi, assunse il nome. Portò il suo carisma missionario negli Stati Uniti, tra gli italiani che vi avevano cercato fortuna. Per questo divenne la patrona dei migranti. Nel giorno della morte il suo corpo venne traslato a New York alla «Mother Cabrini High School», vicino ai suoi «figli». (Avvenire)
Patronato: Emigranti
Etimologia: Francesca = libera, dall'antico tedesco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Chicago in Illinois negli Stati Uniti d’America, santa Francesca Saverio Cabrini, vergine, che fondò l’Istituto delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù e si adoperò in tutti i modi nell’assistere gli emigrati con insigne carità.
Tra il 1901 e il 1913 emigrarono in America ben quasi cinque milioni di italiani, di cui oltre tre milioni provenivano dal meridione. Un vero morbo sociale, un salasso, come lo hanno definito parecchi politici e sociologi. Accanto ai drammi che l'emigrazione ebbe a suscitare, merita ricordare una santa italiana, festeggiata il 22 dicembre, che a questo fenomeno guardò con gli occhi umanissimi di donna, di cristiana, meritando così il titolo di “madre degli emigranti”: Santa Francesca Saverio Cabrini.
Nata a Sant’Angelo Lodigiano il 15 luglio 1850 e rimasta orfana di padre e di madre, Francesca desiderava chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua salute malferma. Accettò allora l'incarico di accudire un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. Da poco diplomata maestra, la ragazza fece ben di più: convinse alcune compagne ad unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore; era il 1880.
Ispirandosi al grande San Francesco Saverio, sognava di salpare per la Cina, ma il Papa le indicò quale luogo di missione l’America, dove migliaia e migliaia di emigranti italiani vivevano in drammatiche e disumane condizioni. Anche lei nella prima delle sue ventiquattro traversate oceaniche condivise i disagi e le incertezze dei nostri compatrioti, poi con straordinario coraggio affrontò la metropoli di New York, badando agli orfani e agli ammalati, costruendo case, scuole e un grande ospedale. Passò poi a Chicago, quindi in California, onde allargare ancora la sua opera in tutta l'America, sino all'Argentina.
A chi si congratulava con lei per l’evidente successo di cotante opere, Madre Cabrini soleva rispondere in sincera umiltà: “Tutte queste cose non le ha fatte forse il Signore?”.
La morte la colse in piena attività durante l’ennesimo viaggio a Chicago il 22 dicembre 1917. Il suo corpo venne trionfalmente traslato a New York presso la chiesa annessa alla “Mother Cabrini High School”, perché fosse vicino ai suoi “figli”. Nei suoi quaderni di viaggio aveva scritto “Oggi è tempo che l'amore non sia nascosto, ma diventi operoso, vivo e vero”. Papa Pio XII l’ha canonizzata nel 1946.
Autore: Fabio Arduino
“La vostra Cina saranno gli Stati Uniti”
Francesca nacque nel 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, in una numerosa famiglia di contadini benestanti e cristianamente praticanti. Nella sua famiglia imparò non solo il fervore religioso e un certo spirito di iniziativa, ma anche un sincero amore alla patria italiana, non frequente in quei tempi. Questo giusto sentimento patriottico che cercò di risvegliare o di tenere desto nei numerosi emigranti italiani negli Stati Uniti.
onseguito il diploma magistrale e l’abilitazione, anche per accudire insieme alla sorella Rosa l’altra sorella handicappata Maddalena, accettò subito il lavoro di supplente nella scuola vicina di Vidardo. Qui insegnò due anni. Un episodio ci rivela il carattere e la determinazione di Francesca. Riuscì infatti a vincere la battaglia contro il sindaco anticlericale del paese: ottenne il permesso all’insegnamento della dottrina cristiana in classe nonostante la proibizione governativa. Lei però desiderava ardentemente diventare missionaria. Sogno che non poté realizzare subito. Fece anche i voti religiosi entrando nella Casa della Provvidenza di Codogno. Furono anni difficili, (“ho pianto molto” dirà lei stessa) che lei affrontò con coraggio e praticando la virtù dell’obbedienza.
Ma la Provvidenza le venne incontro nella persona del Vescovo di Lodi che le propose di fondare un istituto religioso per l’assistenza degli emigrati italiani in America. L’America non era la Cina che lei sognava, ma l’ideale missionario si poteva concretizzare ugualmente. Fondò presto Le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, con case in Lombardia, ed una anche a Roma. Il secondo intervento provvidenziale arrivò con Mons. Giovanni B. Scalabrini. Questi cercava un ramo femminile al suo Istituto, e stimava molto la Cabrini. Lei però temendo di perdere l’autonomia dell’istituto, resistette alla proposta. Ma accettò subito la direzione di una scuola e di un asilo a New York. Questo significava l’addio per sempre alla Cina. D’altra parte, ed ecco il terzo intervento provvidenziale, era stato nientemeno che il Papa Leone XIII a dirle paternamente: “Non a Oriente, Cabrini, ma all’Occidente. L’Istituto è ancora giovane. Ha bisogno di mezzi. Andate negli Stati Uniti, ne troverete. E con essi un grande campo di lavoro. La vostra Cina sono gli Stati Uniti, vi sono tanti italiani emigrati che hanno bisogno di assistenza”.
Francesca partì nel 1889. Destinazione l’America, città New York. Era sicura della volontà di Dio, e del campo di lavoro missionario. Ma le difficoltà non si fecero attendere. Uno dei primi che si mise a ‘remare contro’ di lei e il suo progetto fu addirittura l’arcivescovo Corrigan. Fece la parte dell’avvocato del diavolo scoraggiando quel manipolo di suore temerarie e... italiane che sembravano avere tanta fede ma, ahimè, poco “money”. Anche per le opere del Signore, pensava lui, ci vuole molto “denaro”. Che, poverette, non avevano. Non era più saggio tornare in Italia? La Cabrini gli oppose un argomento spirituale... la benedizione del Papa, e uno materiale: l’amicizia di una ricca cattolica americana, moglie di un emigrato italiano illustre, Luigi Palma de Cesnola, direttore del Metropolitan Museum.
Non si sa se il prelato fu convinto da questi due “argomenti”, ma è sicuro che la Cabrini continuò per la sua strada e il suo progetto. “Le suore aprirono una prima scuola femminile in un modesto appartamento offerto dalla contessa de Cesnola, ma si impegnarono anche in un lavoro di assistenza e di insegnamento nei quartieri più degradati della città, compiendo ogni giorno chilometri di strada ed entrando senza paura in ambienti spaventosi per miseria e violenza. Madre Cabrini dimostrò subito di saper affiancare alla sua attività di educatrice religiosa una spiccata sensibilità per i problemi degli emigranti italiani: “Gli italiani qui sono trattati come schiavi... bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita” (L. Scaraffia).
Ella lavorò tutta la vita, con innumerevoli viaggi, per aiutare ad inserire gli emigrati nella realtà sociale americana, facendone dei buoni cittadini, ma nello stesso tempo rafforzando in loro anche l’identità italiana e cattolica. In questa promozione sociale Francesca usò una tecnica il cui principio era: convincere gli italiani ricchi ad aiutare gli altri italiani meno favoriti. Ed alcuni dei suoi benefattori, convinti e incalliti anticlericali, la aiutavano trascinati dal suo carisma più che dalle motivazioni teologiche.
“Si è detto che se Cristoforo Colombo ha scoperto l’America, la Cabrini ha scoperto tutti gli italiani in America. Ma pur sentendosi autentica patriota e quantunque circostanze particolari la inducessero a rendersi cittadina americana nel 1909, il suo ideale missionario rimase sempre quello genuino, senza confini di razze e di geografia” (G. Pelliccia).
Spiritualità e messaggio di Francesca Cabrini
Continuò con coraggio nel suo lavoro di fondazioni di nuovi istituti e di rafforzamento di quelli esistenti e soprattutto nel seguire l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, da lei fondato. E questo fino alla fine della sua vita, che si spense a Chicago, durante uno di questi viaggi, nel 1917. Lasciando dietro di sé in eredità alla chiesa tutta e al mondo un fiorente istituto religioso e la sua personale santità e testimonianza di carità apostolica a beneficio particolarmente degli emigrati italiani (ma non solo).
Fu dichiarata santa da Pio XII il 7 luglio 1946 e nel 1950 proclamata “Celeste Patrona di tutti gli Emigranti”. Due anni dopo, in considerazione del suo lavoro per gli Italo-americani, il Comitato Americano per l’Emigrazione Italiana le decretava un importante riconoscimento dichiarandola “La Immigrata Italiana del Secolo”. Per gli emigrati italo-americani è semplicemente “la loro santa”: la sua opera geniale, coraggiosa la fece stimare anche in ambienti non benevoli verso il cattolicesimo, e aiutò enormemente a far cambiare idea sui nostri connazionali emigrati.
Francesca Cabrini non la ricordiamo per le sue opere teologiche o per grandi rivelazioni e miracoli. Niente di tutto questo. Noi la ricordiamo per la sua santità semplice, umile, fatta non di tante ore di preghiera, ma per tutte le ore delle giornate, di tutta la sua vita, passate a “lavorare, sudare, faticare per Dio, per la sua gloria, per farlo conoscere ed amare”. Una santità fatta non di rapimenti o di rivelazioni mistiche, ma di grande impegno sociale per Dio. Non fu rapita in estasi nella contemplazione di Dio, ma consumò la vita “lavorando” per lo stesso Dio. Con gioia. Un giorno, infatti, fermò una suora che era sul punto di imbarcarsi per andare nelle missioni, solo perché salutando parenti e amici, aveva affermato che faceva volentieri “il sacrificio”. Sembrava che per lei si trattasse di una rinuncia da fare, che le mancasse la gioia di partire e “lavorare per Dio”. Madre Cabrini la fermò dicendole: “Iddio non vuole importi sacrifici così gravi”.
Il Papa Pio XI esaltava il suo nome come un “poema di attività, un poema di intelligenza, un poema soprattutto di carità”. E prima ancora era stato lo stesso Leone XIII che già nel 1898, affermava di lei: “È una santa vera, ma così vicina a noi che diventa la testimone della santità possibile a tutti”. Una santità “accostevole” imitabile da tutti, perché consiste nel fare bene e per amore di Dio quelli che sono i nostri doveri. Questo richiama la famosa frase e programma di santità consigliato da Don Bosco a Domenico Savio, smanioso di farsi santo a forza di penitenze: bastava l’esatto adempimento dei propri doveri quotidiani.
La santità e “la spiritualità intensa di madre Cabrini si realizzò soprattutto nelle opere, nella sua continua attività finalizzata ad opporre del bene al male. La preghiera stava nei fatti, non nelle parole. La sua vita è segnata da una perpetua attività” (L. Scaraffia). Fatta tutta per Dio e per correre dietro al Cristo. Diceva: “Con la tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro a Te sino alla fine della corsa, e ciò per sempre, per sempre. Aiutami o Gesù, perché voglio fare ciò ardentemente, velocemente”.
Lavorare per Dio nella gioia (anche quando si pensa di avere diritto a tutt’altro). Non amava lamentarsi nelle difficoltà e raccomandava alle sue figlie non solo tanto lavoro ma anche il coraggio, fondato sulla fede, che si esprime nel sorriso: “Ci sentiamo male? Sorridiamo lo stesso”.
22 dicembre
Sant'Angelo Lodigiano, Lodi, 15 luglio 1850 – Chicago, Stati Uniti, 22 dicembre 1917
Una fragile quanto straordinaria maestrina di Sant'Angelo Lodigiano. In questo ritratto si colloca la figura di Francesca Saverio Cabrini. Nata nella cittadina lombarda nel 1850 e morta negli Stati Uniti in terra di missione, a Chicago. Orfana di padre e di madre, Francesca avrebbe voluto chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua malferma salute. Prese allora l'incarico di accudire a un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. La giovane, da poco diplomata maestra, fece molto di più: invogliò alcune compagne a unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore, poste sotto la protezione di un intrepido missionario, san Francesco Saverio, di cui ella stessa, pronunciando i voti religiosi, assunse il nome. Portò il suo carisma missionario negli Stati Uniti, tra gli italiani che vi avevano cercato fortuna. Per questo divenne la patrona dei migranti. Nel giorno della morte il suo corpo venne traslato a New York alla «Mother Cabrini High School», vicino ai suoi «figli». (Avvenire)
Patronato: Emigranti
Etimologia: Francesca = libera, dall'antico tedesco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Chicago in Illinois negli Stati Uniti d’America, santa Francesca Saverio Cabrini, vergine, che fondò l’Istituto delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù e si adoperò in tutti i modi nell’assistere gli emigrati con insigne carità.
Tra il 1901 e il 1913 emigrarono in America ben quasi cinque milioni di italiani, di cui oltre tre milioni provenivano dal meridione. Un vero morbo sociale, un salasso, come lo hanno definito parecchi politici e sociologi. Accanto ai drammi che l'emigrazione ebbe a suscitare, merita ricordare una santa italiana, festeggiata il 22 dicembre, che a questo fenomeno guardò con gli occhi umanissimi di donna, di cristiana, meritando così il titolo di “madre degli emigranti”: Santa Francesca Saverio Cabrini.
Nata a Sant’Angelo Lodigiano il 15 luglio 1850 e rimasta orfana di padre e di madre, Francesca desiderava chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua salute malferma. Accettò allora l'incarico di accudire un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. Da poco diplomata maestra, la ragazza fece ben di più: convinse alcune compagne ad unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore; era il 1880.
Ispirandosi al grande San Francesco Saverio, sognava di salpare per la Cina, ma il Papa le indicò quale luogo di missione l’America, dove migliaia e migliaia di emigranti italiani vivevano in drammatiche e disumane condizioni. Anche lei nella prima delle sue ventiquattro traversate oceaniche condivise i disagi e le incertezze dei nostri compatrioti, poi con straordinario coraggio affrontò la metropoli di New York, badando agli orfani e agli ammalati, costruendo case, scuole e un grande ospedale. Passò poi a Chicago, quindi in California, onde allargare ancora la sua opera in tutta l'America, sino all'Argentina.
A chi si congratulava con lei per l’evidente successo di cotante opere, Madre Cabrini soleva rispondere in sincera umiltà: “Tutte queste cose non le ha fatte forse il Signore?”.
La morte la colse in piena attività durante l’ennesimo viaggio a Chicago il 22 dicembre 1917. Il suo corpo venne trionfalmente traslato a New York presso la chiesa annessa alla “Mother Cabrini High School”, perché fosse vicino ai suoi “figli”. Nei suoi quaderni di viaggio aveva scritto “Oggi è tempo che l'amore non sia nascosto, ma diventi operoso, vivo e vero”. Papa Pio XII l’ha canonizzata nel 1946.
Autore: Fabio Arduino
“La vostra Cina saranno gli Stati Uniti”
Francesca nacque nel 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, in una numerosa famiglia di contadini benestanti e cristianamente praticanti. Nella sua famiglia imparò non solo il fervore religioso e un certo spirito di iniziativa, ma anche un sincero amore alla patria italiana, non frequente in quei tempi. Questo giusto sentimento patriottico che cercò di risvegliare o di tenere desto nei numerosi emigranti italiani negli Stati Uniti.
onseguito il diploma magistrale e l’abilitazione, anche per accudire insieme alla sorella Rosa l’altra sorella handicappata Maddalena, accettò subito il lavoro di supplente nella scuola vicina di Vidardo. Qui insegnò due anni. Un episodio ci rivela il carattere e la determinazione di Francesca. Riuscì infatti a vincere la battaglia contro il sindaco anticlericale del paese: ottenne il permesso all’insegnamento della dottrina cristiana in classe nonostante la proibizione governativa. Lei però desiderava ardentemente diventare missionaria. Sogno che non poté realizzare subito. Fece anche i voti religiosi entrando nella Casa della Provvidenza di Codogno. Furono anni difficili, (“ho pianto molto” dirà lei stessa) che lei affrontò con coraggio e praticando la virtù dell’obbedienza.
Ma la Provvidenza le venne incontro nella persona del Vescovo di Lodi che le propose di fondare un istituto religioso per l’assistenza degli emigrati italiani in America. L’America non era la Cina che lei sognava, ma l’ideale missionario si poteva concretizzare ugualmente. Fondò presto Le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, con case in Lombardia, ed una anche a Roma. Il secondo intervento provvidenziale arrivò con Mons. Giovanni B. Scalabrini. Questi cercava un ramo femminile al suo Istituto, e stimava molto la Cabrini. Lei però temendo di perdere l’autonomia dell’istituto, resistette alla proposta. Ma accettò subito la direzione di una scuola e di un asilo a New York. Questo significava l’addio per sempre alla Cina. D’altra parte, ed ecco il terzo intervento provvidenziale, era stato nientemeno che il Papa Leone XIII a dirle paternamente: “Non a Oriente, Cabrini, ma all’Occidente. L’Istituto è ancora giovane. Ha bisogno di mezzi. Andate negli Stati Uniti, ne troverete. E con essi un grande campo di lavoro. La vostra Cina sono gli Stati Uniti, vi sono tanti italiani emigrati che hanno bisogno di assistenza”.
Francesca partì nel 1889. Destinazione l’America, città New York. Era sicura della volontà di Dio, e del campo di lavoro missionario. Ma le difficoltà non si fecero attendere. Uno dei primi che si mise a ‘remare contro’ di lei e il suo progetto fu addirittura l’arcivescovo Corrigan. Fece la parte dell’avvocato del diavolo scoraggiando quel manipolo di suore temerarie e... italiane che sembravano avere tanta fede ma, ahimè, poco “money”. Anche per le opere del Signore, pensava lui, ci vuole molto “denaro”. Che, poverette, non avevano. Non era più saggio tornare in Italia? La Cabrini gli oppose un argomento spirituale... la benedizione del Papa, e uno materiale: l’amicizia di una ricca cattolica americana, moglie di un emigrato italiano illustre, Luigi Palma de Cesnola, direttore del Metropolitan Museum.
Non si sa se il prelato fu convinto da questi due “argomenti”, ma è sicuro che la Cabrini continuò per la sua strada e il suo progetto. “Le suore aprirono una prima scuola femminile in un modesto appartamento offerto dalla contessa de Cesnola, ma si impegnarono anche in un lavoro di assistenza e di insegnamento nei quartieri più degradati della città, compiendo ogni giorno chilometri di strada ed entrando senza paura in ambienti spaventosi per miseria e violenza. Madre Cabrini dimostrò subito di saper affiancare alla sua attività di educatrice religiosa una spiccata sensibilità per i problemi degli emigranti italiani: “Gli italiani qui sono trattati come schiavi... bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita” (L. Scaraffia).
Ella lavorò tutta la vita, con innumerevoli viaggi, per aiutare ad inserire gli emigrati nella realtà sociale americana, facendone dei buoni cittadini, ma nello stesso tempo rafforzando in loro anche l’identità italiana e cattolica. In questa promozione sociale Francesca usò una tecnica il cui principio era: convincere gli italiani ricchi ad aiutare gli altri italiani meno favoriti. Ed alcuni dei suoi benefattori, convinti e incalliti anticlericali, la aiutavano trascinati dal suo carisma più che dalle motivazioni teologiche.
“Si è detto che se Cristoforo Colombo ha scoperto l’America, la Cabrini ha scoperto tutti gli italiani in America. Ma pur sentendosi autentica patriota e quantunque circostanze particolari la inducessero a rendersi cittadina americana nel 1909, il suo ideale missionario rimase sempre quello genuino, senza confini di razze e di geografia” (G. Pelliccia).
Spiritualità e messaggio di Francesca Cabrini
Continuò con coraggio nel suo lavoro di fondazioni di nuovi istituti e di rafforzamento di quelli esistenti e soprattutto nel seguire l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, da lei fondato. E questo fino alla fine della sua vita, che si spense a Chicago, durante uno di questi viaggi, nel 1917. Lasciando dietro di sé in eredità alla chiesa tutta e al mondo un fiorente istituto religioso e la sua personale santità e testimonianza di carità apostolica a beneficio particolarmente degli emigrati italiani (ma non solo).
Fu dichiarata santa da Pio XII il 7 luglio 1946 e nel 1950 proclamata “Celeste Patrona di tutti gli Emigranti”. Due anni dopo, in considerazione del suo lavoro per gli Italo-americani, il Comitato Americano per l’Emigrazione Italiana le decretava un importante riconoscimento dichiarandola “La Immigrata Italiana del Secolo”. Per gli emigrati italo-americani è semplicemente “la loro santa”: la sua opera geniale, coraggiosa la fece stimare anche in ambienti non benevoli verso il cattolicesimo, e aiutò enormemente a far cambiare idea sui nostri connazionali emigrati.
Francesca Cabrini non la ricordiamo per le sue opere teologiche o per grandi rivelazioni e miracoli. Niente di tutto questo. Noi la ricordiamo per la sua santità semplice, umile, fatta non di tante ore di preghiera, ma per tutte le ore delle giornate, di tutta la sua vita, passate a “lavorare, sudare, faticare per Dio, per la sua gloria, per farlo conoscere ed amare”. Una santità fatta non di rapimenti o di rivelazioni mistiche, ma di grande impegno sociale per Dio. Non fu rapita in estasi nella contemplazione di Dio, ma consumò la vita “lavorando” per lo stesso Dio. Con gioia. Un giorno, infatti, fermò una suora che era sul punto di imbarcarsi per andare nelle missioni, solo perché salutando parenti e amici, aveva affermato che faceva volentieri “il sacrificio”. Sembrava che per lei si trattasse di una rinuncia da fare, che le mancasse la gioia di partire e “lavorare per Dio”. Madre Cabrini la fermò dicendole: “Iddio non vuole importi sacrifici così gravi”.
Il Papa Pio XI esaltava il suo nome come un “poema di attività, un poema di intelligenza, un poema soprattutto di carità”. E prima ancora era stato lo stesso Leone XIII che già nel 1898, affermava di lei: “È una santa vera, ma così vicina a noi che diventa la testimone della santità possibile a tutti”. Una santità “accostevole” imitabile da tutti, perché consiste nel fare bene e per amore di Dio quelli che sono i nostri doveri. Questo richiama la famosa frase e programma di santità consigliato da Don Bosco a Domenico Savio, smanioso di farsi santo a forza di penitenze: bastava l’esatto adempimento dei propri doveri quotidiani.
La santità e “la spiritualità intensa di madre Cabrini si realizzò soprattutto nelle opere, nella sua continua attività finalizzata ad opporre del bene al male. La preghiera stava nei fatti, non nelle parole. La sua vita è segnata da una perpetua attività” (L. Scaraffia). Fatta tutta per Dio e per correre dietro al Cristo. Diceva: “Con la tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro a Te sino alla fine della corsa, e ciò per sempre, per sempre. Aiutami o Gesù, perché voglio fare ciò ardentemente, velocemente”.
Lavorare per Dio nella gioia (anche quando si pensa di avere diritto a tutt’altro). Non amava lamentarsi nelle difficoltà e raccomandava alle sue figlie non solo tanto lavoro ma anche il coraggio, fondato sulla fede, che si esprime nel sorriso: “Ci sentiamo male? Sorridiamo lo stesso”.
(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.
VANGELO
(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Signore mio,con il tuo Santo spirito,ad aiutare la mia mente a capire quello che Tu ritieni giusto che io debba capire e a liberare la mia mente da tutto il resto.
Matteo continua a raccontarci la storia della nascita di Gesù,vedendola dalla parte di Giuseppe.
La notte di Giuseppe! Questo dovrebbe essere il titolo di questa pagina di vangelo; ve la immaginate la notte del povero Giuseppe? Dubbi, angosce, paura, delusione… credo che nella sua mente sia passato veramente di tutto, e molto probabilmente ha anche pianto e a lungo, perché alla fine è crollato in un sonno profondo….
Ecco ora l’uomo Giuseppe finisce di comportarsi da uomo, ora stremato si lascia andare, allenta le difese, smette di pensare, e il Signore riesce ad intervenire mandando un suo angelo.
Quello che mi colpisce e mi fa riflettere è proprio questo, quando l’uomo ha provato tutto, ha pensato tutto, si arrende a Dio, e da lì in poi tutto è possibile.Giuseppe, semplice falegname, aveva come promessa sposa la piccola Maria; una fanciulla mite e sicuramente degna del massimo rispetto, tanto che anche a lui riesce difficile pensare male di lei, quando le dice che aspetta un bambino.
Giuseppe sa di non averla toccata, come può essere successa una cosa simile? E adesso che sarà di lei? Anche oggi come 2000 anni fa una ragazza che deve affrontare una gravidanza da sola si trova in mille difficoltà, dirlo alla famiglia, il giudizio della gente, ma in quei tempi era ancora peggio; una ragazza era messa al pubblico sdegno ed addirittura lapidata. Egli sente che non può farle questo, ma non può neanche sposarla! Non la sta giudicando, ma non comprende; le sue intenzioni erano altre: una casa, dei figli suoi, una bottega di falegname….. ed ora questa cosa gli sembra inaccettabile.
Molti uomini cercano di capire come una Vergine possa aver partorito ed essere restata tale, ed a questo proposito io vorrei dire: che questo possa essere un dubbio legittimo in chi non crede in Gesù Cristo, è normale, ma quando si riesce a scoprire ed accettare il mistero dell’incarnazione di Dio, perché questi dubbi? Perché resistere al miracolo della fede? Perché cercare di capire e limitare Dio? Che tipo di fede è questa?
Nella nostra vita avremo avuto e avremo sempre dei momenti in cui ci sarà difficile comprendere i disegni di Dio, ma se ci affidiamo a lui, tutto ci sarà poi comprensibile. Senza il Sì di Maria e di Giuseppe noi non saremmo qui dopo 2000 anni a parlare dei disegni di Dio, non aspetteremmo ancora una volta un Natale che ci rappresenta la nascita di “Dio con noi”, non spereremmo in un mistero ancora più grande di noi, in cui un piccolo esserino che sceglie di nascere in una stalla e morire su una croce, cambierà la storia della nostra vita!
Ma quando Dio decide di intervenire nel mondo, non ci chiede il permesso, anzi, a volte sconvolge i nostri piani ed è proprio quello che ha fatto con Giuseppe, che, poverino, credeva di aver già programmato la sua vita.
Se la nostra vita, non è sconvolta dall’arrivo di Gesù, se non cambia nulla, c’è qualcosa che non quadra, forse non è a Gesù che diamo ascolto, ma al nostro IO che grida più forte di DIO!
La vita del mondo ci spinge a cercare il benessere e la sicurezza nelle cose materiali, nel lavoro la solidità del futuro, ecc. e seguendo questi schemi è facile che quando qualcuno dei paletti su cui poniamo le basi della nostra esistenza, ci viene a mancare, ci sentiamo franare la terra sotto ai piedi e temiamo che tutto possa crollare, ma se la nostra vita è basata su solide fondamenta e sulla fede, niente, neanche la prova più dura, ci metterà paura, perché in ogni cosa cercheremo di accettare e di riconoscere la mano del Signore e faremo riferimento a Lui.
Non sarà sempre facile, Gesù ci ha avvertito che seguirlo non è una passeggiata, ma ci ha anche convinto che è l’unica via possibile per la nostra salvezza.
San Giuseppe, tu che hai ascoltato la voce dell’angelo mandato dal Signore, proteggici e guidaci come hai fatto con il piccolo Gesù, che ti fu affidato da Dio, e guidaci nella vita verso il progetto di Dio per noi. Grazie, amen.
venerdì 20 dicembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Madre mia Maria, conducimi teco nella grotta
di Betlemme e fammi inabissare nella contemplazione di ciò che di grande
e sublime è per svolgersi nel silenzio di questa grande e bella notte."
(Epist. IV, p. 868).
SANTI é BEATI :
Beato Domenico Spadafora da Randazzo Domenicano
|
Randazzo, 1450 - Monte Cerignone, 21 dicembre 1521
Nasce a Randazzo, in Sicilia, nel 1450 dalla nobile famiglia Spadafora,
oriunda di Costantinopoli, così chiamata perché aveva la dignità di
portare la spada sguainata davanti all'imperatore. Domenico entra
nell'Ordine Domenicano, nel convento di Santa Zita a Palermo. Inviato a
Padova per gli studi, conseguito il dottorato, torna in Sicilia.
Frattanto gli abitanti di Monte Cerignone, nello Stato di Urbino, avendo
in grande venerazione una cappelletta con una miracolosa immagine della
Madonna e desiderando innalzarle una chiesa con religiosi che si
dedicassero alla cura spirituale della popolazione, pensano ai
Domenicani. Per la nuova fondazione viene scelto Domenico. Nel 1491
sorgono così la chiesa e il convento che il religioso guiderà fino alla
morte, il 21 dicembre 1521. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Montecerignone nelle Marche, beato Domenico Spadafora, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che si adoperò attivamente nel ministero della predicazione. |
Domenico Spadafora, nacque a Randazzo nel 1450, dalla nobilissima e antichissima famiglia Spadafora, oriunda di Costantinopoli, così chiamata perché aveva la dignità di portare la spada sguainata davanti all’Imperatore. Domenico, disprezzata ogni umana grandezza, deciso ad onorare e servire il Signore dei Signori entrò nell’Ordine Domenicano, nel fiorentissimo Convento di Santa Zita a Palermo, fondato da Pietro Geremia. Inviato allo Studio di Padova per compiervi gli studi, se mirabili furono i suoi progressi nella scienza, più mirabili furono quelli nell’acquisto delle solide virtù. Conseguito il dottorato, e tornato in Patria, la sua santità e il suo sapere non poterono restare nascosti e il Maestro Generale lo chiamò accanto a sé come suo Socio. Frattanto gli abitanti di Monte Cerignone, nello Stato di Urbino, avendo in grande venerazione in una cappelletta una miracolosa immagine della Madonna, e desiderando innalzarle una chiesa con religiosi che la ufficiassero e si dedicassero alla cura spirituale delle popolazioni circostanti, pensarono ai Domenicani. Si rivolsero perciò al Maestro Generale per ottenere dei padri che iniziassero l’opera si vantaggiosa alle anime per la gloria della Vergine, a cui l’Ordine professa speciale devozione. La loro richiesta fu accolta, e per la nuova fondazione fu scelto Domenico. Nel 1491 sorsero così la chiesa e il Convento di cui egli fu guida sapiente fino alla morte. Nella fervente comunità fiorirono le leggi e lo spirito dell’Ordine, con immensa edificazione dei popoli circostanti. Da tutto il Montefeltro si ricorreva a Domenico come a un santo, e come tale fu venerato dopo morte, avvenuta il 21 dicembre 1521. Sepolto nella chiesa conventuale, il suo corpo, nel 1545, è stato trovato incorrotto. Dal 1677 è venerato nella chiesa di Santa Maria in Reclauso a Monte Cerignone. Papa Benedetto XV il 12 gennaio 1912 ha confermato il culto. Se ne fa memoria oggi anniversario della traslazione delle reliquie avvenuta nel 1677. Autore: Franco Mariani |
(Lc 1,39-45) A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?
VANGELO
(Lc 1,39-45) A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e aiutami a percepire il volere di Dio in ogni piccola sillaba della scrittura. Fa che io possa sempre accettare quello che il Signore mi chiede, che possa non aver mai dubbi e che mi renda sempre disponibile a tutto quello che decide per me.
In questo brano vediamo che Maria inizia da subito a vivere il suo sì a Dio, mettendosi al servizio della cugina Elisabetta, anziana e incinta per grazia di Dio del piccolo Giovanni, che precederà Gesù nella sua missione.
Due modi diversi di rispondere alla chiamata di Dio, quello di Maria, forse l'unico della storia, incondizionato e perfetto, l'altro quello d’Elisabetta e Zaccaria suo marito, che mettono davanti al Signore, come tutti in fondo facciamo, la propria umanità. Ma il miracolo di Dio si compie ugualmente, nonostante la nostra titubanza, ed allora ecco che, se riusciamo a lasciarci condurre, possiamo far parte di quest’avvenimento, così com’è stato per loro, sarà anche per noi.
C’è chiesto di arrenderci a Gesù, di riconoscerlo la dove non riusciamo a vederlo, perché questo vuol dire accettare di far parte di un progetto Divino, che ci fa vivere in questo mondo, non solo per il proprio gusto di farlo, ma per esserne partecipi. A Dio nulla è impossibile, se ancora non riusciamo a convincerci di questo, vuol dire che lo sentiamo lontano, forse indifferente al nostro destino, e questo è forse la cosa più sbagliata che possiamo fare, perché non riusciamo così a toccare l'amore di Dio.
Viene tra noi, si fa piccolo, accetta di nascere povero, umile, senza nulla, eppure è Dio; pensiamoci, quando ci lamentiamo di tutto quello che ci manca, cerchiamolo nella semplicità delle piccole cose di apprezzarlo, nel nostro vivere quotidiano e di abbracciarlo, condividendo con Lui la nostra vita. Cominciamo da questo Natale, perché sia il nostro Natale con Gesù.
(Lc 1,39-45) A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e aiutami a percepire il volere di Dio in ogni piccola sillaba della scrittura. Fa che io possa sempre accettare quello che il Signore mi chiede, che possa non aver mai dubbi e che mi renda sempre disponibile a tutto quello che decide per me.
In questo brano vediamo che Maria inizia da subito a vivere il suo sì a Dio, mettendosi al servizio della cugina Elisabetta, anziana e incinta per grazia di Dio del piccolo Giovanni, che precederà Gesù nella sua missione.
Due modi diversi di rispondere alla chiamata di Dio, quello di Maria, forse l'unico della storia, incondizionato e perfetto, l'altro quello d’Elisabetta e Zaccaria suo marito, che mettono davanti al Signore, come tutti in fondo facciamo, la propria umanità. Ma il miracolo di Dio si compie ugualmente, nonostante la nostra titubanza, ed allora ecco che, se riusciamo a lasciarci condurre, possiamo far parte di quest’avvenimento, così com’è stato per loro, sarà anche per noi.
C’è chiesto di arrenderci a Gesù, di riconoscerlo la dove non riusciamo a vederlo, perché questo vuol dire accettare di far parte di un progetto Divino, che ci fa vivere in questo mondo, non solo per il proprio gusto di farlo, ma per esserne partecipi. A Dio nulla è impossibile, se ancora non riusciamo a convincerci di questo, vuol dire che lo sentiamo lontano, forse indifferente al nostro destino, e questo è forse la cosa più sbagliata che possiamo fare, perché non riusciamo così a toccare l'amore di Dio.
Viene tra noi, si fa piccolo, accetta di nascere povero, umile, senza nulla, eppure è Dio; pensiamoci, quando ci lamentiamo di tutto quello che ci manca, cerchiamolo nella semplicità delle piccole cose di apprezzarlo, nel nostro vivere quotidiano e di abbracciarlo, condividendo con Lui la nostra vita. Cominciamo da questo Natale, perché sia il nostro Natale con Gesù.
giovedì 19 dicembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Povertà, umiltà, abiezione, disprezzo
circondano il Verbo fatto carne; ma noi dall’oscurità in cui questo
Verbo fatto carne è avvolto comprendiamo una cosa, udiamo una voce,
intravediamo una sublime verità. Tutto questo l’hai fatto per amore, e
non ci inviti che all’amore, non ci parli che di amore, non ci dai che
prove di amore." (Epist. IV, p. 866s.).
SANTI é BEATI :
Sant' Ursicino del Giura Eremita e fondatore
|
Giura svizzero, † 620 ca.
Ursicino era un monaco irlandese, compagno di san Colombano. Questi,
cacciato dalla Gallia nel 610 si diresse in Svizzera con Gallo,
Sigisberto, Fromond e, appunto, Ursicino (Ursanne). Gli ultimi due si
spinsero sulle montagne del Giura in cerca di luoghi per la vita
eremitica. Si narra che Ursicino abbia proposto di lanciare in aria
dalla cima di un monte un bastone per avere dal cielo l’indicazione
giusta. I due si divisero: il bastone di Ursicino finì, infatti, vicino a
una grotta nella valle del fiume Doubs. Qui costruì una cappella
dedicata a San Pietro e un monastero, alla cui comunità dette la regola
di Colombano. Morì intorno al 620. Poi il monastero passò ai benedettini
e fu costruita una Collegiata, distrutta nel 1793. Intorno al monastero
sorse Saint Ursanne, paese che giocò un ruolo importante nella storia
della diocesi di Basilea. Ursicino è venerato anche a Besançon e
Magonza. (Avvenire)
Martirologio Romano: Sul massiccio del Giura presso il fiume Duby in territorio svizzero, sant’Ursicino, che, discepolo di san Colombano, condusse dapprima vita eremitica in solitudine e poi, scoperto, attirò molti a questo genere di vita. |
Il culto di s. Ursicino (in francese Ursanne), eremita nel Giura, è attestato in questa regione svizzera, sin dalla terza parte del secolo VII; infatti già prima del 675 l’abate Germano di Moûtier-Grandval, aveva costruito una chiesa in suo onore presso Grandval. Inoltre un antico documento, riporta che s. Vandregisilo abate († 668), costruì verso il 630 un monastero nel medesimo luogo dove riposava Ursicino. Il sarcofago del santo eremita, databile al VII secolo, è sempre venerato nella bella chiesa di S. Ursanne, situata nell’ansa del fiume Doubs, che nasce nel Giura francese e penetra in territorio svizzero per breve tratto, formando la suddetta ansa, sulla cui riva si trova la chiesa. Per quanto riguarda la vita di s. Ursicino, tutto ciò che gli agiografi hanno considerato e diffuso, proviene da un antico documento, citato per primo dal gesuita Claudio Sudan (1579-1665) nella sua opera “Basilea sacra”, ma che purtroppo non trascrisse alla lettera. Il documento era una leggenda liturgica in 24 lezioni, che fu composta su disposizione del vescovo Ugo I di Besançon, diocesi a cui apparteneva allora l’eremita Ursicino. Questa ‘Vita’, andata smarrita, raccontava che Ursicino era un monaco irlandese, compagno di s. Colombano (543-615), l’abate che dall’Irlanda emigrò in Francia e poi in Italia, dove fondò nel 614 il monastero di Bobbio. Ursicino che aveva seguito insieme ai monaci Gallo, Sigisberto, Fromond, l’abate Colombano nella Gallia di allora, quando nel 610 dovettero lasciare Luxeuil in territorio francese, si divise dal suo maestro diretto in Italia e con Fromond, si spinse sulla catena montuosa del Giura franco-svizzero, in cerca di un luogo adatto per una vita eremitica. La tradizione racconta che Ursicino, propose al compagno monaco, di lanciare dalla cima di un monte, i loro bastoni in aria, lasciando che il cielo desse così l’indicazione giusta nel punto di ricaduta. I bastoni caddero in luoghi diversi e i due compagni si divisero, quello di Ursicino cadde vicino ad una grotta, nella valle del fiume Doubs, dove si ritirò in eremitaggio. In questo luogo costruì una cappella dedicata a S. Pietro e che prenderà il suo nome, S: Ursanne; ben presto la sua fama attirò vari discepoli, per cui Ursicino fondò un monastero per loro, sotto la regola di s. Colombano. Dopo una decina d’anni di esemplare vita eremitica, sant’Ursicino morì verso il 620; il suo nome lo si ritrova nelle litanie dei santi venerati a Besançon del secolo XI e nel martirologio della stessa diocesi al 20 dicembre. Il monastero da lui fondato nella valle del Doubs, subì nel tempo vari cambiamenti, passato ai benedettini, nel 1040 era dipendente da quello di Moûtier-Grandval, poi fu assegnato nel 1077 ai vescovi di Basilea; uno di loro vi istituì nel 1119 una collegiata, che durò fino al 1793 quando fu distrutta. Intorno al monastero sorse il paese di Saint Ursanne; è venerato in tutto il Giura del Nord, a Besançon, Magonza, Basilea, le sue immagini lo mostrano con in mano un libro e dei gigli. Autore: Antonio Borrelli |
(Luca 1,26-38.) “Ti saluto, o piena di grazia”
VANGELO DI VENERDI 20 DICEMBRE
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,26-38.
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito, e guidaci come facesti con Maria alla conoscenza del volere di Dio, e come lei fa che sappiamo accettarlo.
Anche oggi ricontempliamo il vangelo dell’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria. Nei giorni scorsi abbiamo visto come ha risposto Maria a questa chiamata inaspettata e abbiamo parlato dell’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta; ieri abbiamo assistito al mutismo e allo sconcerto di Zaccaria, oggi proviamo a capire che cosa cambia questo avvenimento nella nostra storia.Per gli ebrei che non l’hanno riconosciuto, la speranza non è ancora nata, e la salvezza non è stata riconosciuta, ma per noi cristiani chi è questo piccolo uomo che ancora deve nascere eppure già viene ricercato per essere ucciso? Gesù è il cambiamento che avviene, l’ uomo nuovo che nasce per noi e per farci vivere non più come semplici uomini, ma per riconoscerci in lui figli dello stesso Dio. Con Lui siamo riscattati dal peccato, ma dobbiamo essere anche coerenti con la nostra nuova condizione. Nulla è impossibile a Dio, nulla è impossibile all’uomo che ha fede, spesso Gesù ci ripeterà che è la fede che salva, che guarisce, e noi dobbiamo fare tesoro di ogni attimo di vita di Gesù, per farlo nostro, cominciando proprio dalla semplicità nella quale è nato, che getta le basi sulle quali fondare la nostra fede, nell’ umiltà.
Mentre leggo questa pagina del Vangelo. Mi torna alla mente quella in cui Giovanni ci racconta l’incontro tra Gesù, Filippo e Natanaèle, che asseriva:
«Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Natanaèle è divenuto poi l’apostolo San Bartolomeo, perché Gesù, che conosceva il suo cuore gli disse: ”Ecco un israelita in cui non c’è falsità”
Da Nazareth è “ venuta ” all’esistenza la Vergine Maria, “ concepita ” Immacolata nella Santa Casa di Nazareth; da Nazareth è “ venuto ” all’esistenza Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Salvatore degli uomini, incarnatosi nel seno verginale di Maria nella Santa Casa di Nazareth
Da Nazareth è venuta la salvezza per l’umanità.
Il disegno di Dio, era sconosciuto a Maria, a Natanaèle, agli apostoli, ma non è più sconosciuto a noi, eppure ancora ci poniamo di fronte a questo Dio che si fa uomo, pieni d’incredulità, quasi come se ci aspettassimo che qualcun altro scriva per noi la nostra storia.
E’ Dio che si fa uomo, che viene tra noi, che è pronto a vivere con noi, a vivere nel nostro cuore, a dare un valore alla nostra vita; guardiamolo negli occhi, vediamo di quanto amore è capace, e lasciamoci prendere dalla sua piccola mano… lasciamoci condurre tra le pieghe della storia della salvezza, di quel progetto che ha bisogno di noi, si, anche di noi, per scrivere la nostra storia.
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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,26-38.
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
.
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito, e guidaci come facesti con Maria alla conoscenza del volere di Dio, e come lei fa che sappiamo accettarlo.
Anche oggi ricontempliamo il vangelo dell’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria. Nei giorni scorsi abbiamo visto come ha risposto Maria a questa chiamata inaspettata e abbiamo parlato dell’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta; ieri abbiamo assistito al mutismo e allo sconcerto di Zaccaria, oggi proviamo a capire che cosa cambia questo avvenimento nella nostra storia.Per gli ebrei che non l’hanno riconosciuto, la speranza non è ancora nata, e la salvezza non è stata riconosciuta, ma per noi cristiani chi è questo piccolo uomo che ancora deve nascere eppure già viene ricercato per essere ucciso? Gesù è il cambiamento che avviene, l’ uomo nuovo che nasce per noi e per farci vivere non più come semplici uomini, ma per riconoscerci in lui figli dello stesso Dio. Con Lui siamo riscattati dal peccato, ma dobbiamo essere anche coerenti con la nostra nuova condizione. Nulla è impossibile a Dio, nulla è impossibile all’uomo che ha fede, spesso Gesù ci ripeterà che è la fede che salva, che guarisce, e noi dobbiamo fare tesoro di ogni attimo di vita di Gesù, per farlo nostro, cominciando proprio dalla semplicità nella quale è nato, che getta le basi sulle quali fondare la nostra fede, nell’ umiltà.
Mentre leggo questa pagina del Vangelo. Mi torna alla mente quella in cui Giovanni ci racconta l’incontro tra Gesù, Filippo e Natanaèle, che asseriva:
«Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Natanaèle è divenuto poi l’apostolo San Bartolomeo, perché Gesù, che conosceva il suo cuore gli disse: ”Ecco un israelita in cui non c’è falsità”
Da Nazareth è “ venuta ” all’esistenza la Vergine Maria, “ concepita ” Immacolata nella Santa Casa di Nazareth; da Nazareth è “ venuto ” all’esistenza Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Salvatore degli uomini, incarnatosi nel seno verginale di Maria nella Santa Casa di Nazareth
Da Nazareth è venuta la salvezza per l’umanità.
Il disegno di Dio, era sconosciuto a Maria, a Natanaèle, agli apostoli, ma non è più sconosciuto a noi, eppure ancora ci poniamo di fronte a questo Dio che si fa uomo, pieni d’incredulità, quasi come se ci aspettassimo che qualcun altro scriva per noi la nostra storia.
E’ Dio che si fa uomo, che viene tra noi, che è pronto a vivere con noi, a vivere nel nostro cuore, a dare un valore alla nostra vita; guardiamolo negli occhi, vediamo di quanto amore è capace, e lasciamoci prendere dalla sua piccola mano… lasciamoci condurre tra le pieghe della storia della salvezza, di quel progetto che ha bisogno di noi, si, anche di noi, per scrivere la nostra storia.
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mercoledì 18 dicembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Le tue tenerezze conquidono il mio cuore e
resto preso dal tuo amore, o celeste Bambino. Lascia che al contatto del
tuo fuoco l’anima mia si liquefaccia per amore, ed il tuo fuoco mi
consumi, mi bruci, m’incenerisca qui ai tuoi piedi e resti liquefatto
per amore e magnifichi la tua bontà e la tua carità." (Epist. IV, p.
871s.).
SANTI é BEATI :
San Berardo di Teramo Vescovo
|
m. 1123
Patronato: Teramo
Etimologia: Berardo = forte come l'orso, dal tedesco Emblema: Bastone pastorale |
Berardo nacque verso la metà del secolo XI nel castello di Pagliara, presso Castelli, dalla nobile famiglia omonima. I Pagliara avevano il titolo di conti, ereditato, forse, dai più antichi conti dei Marsi, e dominavano nella Valle Siciliana o Siliciana, che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso. Non conosciamo il nome del padre e della madre di Berardo. mentre molto si parla di un suo fratello, Rinaldo, e di una sua sorella, Colomba, che ha tuttora in Abruzzo titolo e culto di santa. Presso il castello di Pagliara esisteva il monastero benedettino di S. Salvatore: di qui la vocazione benedettina di Berardo Da Montecassino, dove aveva iniziato la vita monastica ed era divenuto sacerdote, B., desideroso di maggiore raccoglimento, si ritirò nel celebre monastero di S. Giovanni in Venere, in Abruzzo, del quale era stato abate un Odorisio, suo parente, elevato poi agli onori della porpora da Alessandro II. Alla fine del 1115, morto Uberto, vescovo di Teramo, Berardo fu eletto a succedergli. Fece il suo ingresso nella chiesa cattedrale di S. Maria Maggiore e si rivelò padre, pastore, riformatore zelante, oltre che principe feudale giusto e prudente. Il Cartulario della Chiesa Teramana, ritrovato da Giovanni Muzi, riporta una sua donazione al capitolo della chiesa di S. Maria al Mare (I'attuale chiesa dell'Annunziata) a Giulianova. Dopo aver adempiuto al suo ufficio con singolare semplicità di animo, pietà e carità di pastore, Berardo morì l'anno 1123, settimo del suo episcopato, il 19 dicembre la Chiesa aprutina ne celebra tuttora la festività in questo giorno tra il fervore sempre vivo dei teramani. Si conservano ancora, in due artistici reliquiari, il capo del santo e un suo braccio, con i quali il vescovo, sulla scalea della cattedrale, benedice il popolo dopo il solenne pontificale della festa. Autore: Vincenzo Gilla Gremigni |
(Lc 1,5-25) La nascita di Giovanni Battista è annunciata dall’angelo.
VANGELO DI GOVEDI 19 DICEMBRE
Lc 1,5-25) La nascita di Giovanni Battista è annunciata dall’angelo.
+ Dal Vangelo secondo Luca
Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome
Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di
Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e
osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore.
Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due
erano avanti negli anni.Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue
funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua
classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale,
di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso.
Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora
dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra
dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso
da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua
preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e
tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si
rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al
Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito
Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al
Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la
potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i
ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben
disposto». Zaccarìa disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo?
Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose:
«Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a
parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e
non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché
non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».Intanto
il popolo stava in attesa di Zaccarìa, e si meravigliava per il suo
indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro,
capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e
restava muto.Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo
quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per
cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei
giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».
Parola del Signore
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RIFLESSIONE DI LELLA
PREGHIERA :
Vieni
o Santo Spirito, ti prego, vieni e soffermati su di me che voglio
capire; vieni e aiutami a discernere quello che tu vuoi insegnarmi da
quello che viene dalla mia scarsa intelligenza, e aiutami a vedere
quello che tu vuoi insegnarmi.
Zaccaria
è nella tenda del Signore e si preoccupa di quello che pensa la gente
di fuori, del tempo che passa, di quello che deve dire…. preoccupazioni
inutili, perché il Signore lo rende muto. Per gli ebrei la sterilità era
una grave disgrazia, tanto che c’era la possibilità di ripudiare la
moglie o di fare figli con le schiave, perché la discendenza era molto
importante.Zaccaria ed Elisabetta dedicavano la loro vita al tempio e
mentre era in preghiera, ecco che il Signore si china verso di lui e
accoglie quella che era la preghiera di sempre del povero Zaccaria.Uno
si aspetta che a quel punto, alla promessa dell’angelo, egli venga preso
dalla gratitudine, ed invece ecco giungere per prima la paura, il
dubbio… Non basta essere del tempio per saper riconoscere la verità, e
questo perché non sempre si riesce a staccarci dalla parte umana, non
sempre si decide veramente per Dio, magari le intenzioni iniziali ci
sono, le promesse sono state fatte, ma poi ci si allontana dal servizio
con i dubbi e le tentazioni prettamente umane.Oggi vorrei invitarvi a
pregare per i sacerdoti, perché sono le mani consacrate attraverso le
quali passa la nostra salvezza, perché sono i discepoli consacrati di
Gesù,e poverini,se noi siamo tentati,loro lo sono molto di più.
martedì 17 dicembre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Tutte le feste della Chiesa sono belle… la Pasqua,
sí, è la glorificazione… ma il Natale ha una tenerezza, una dolcezza
infantile che mi prende tutto il cuore." (GdR, 75).
SANTI é BEATI :
Beata Nemesia (Giulia) Valle Vergine
|
Aosta, 26 giugno 1847 - Borgaro Torinese, Torino, 18 dicembre 1916
Giulia (1847-1916), in gioventù
entrò nella Congregazione delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida
Thouret. Trascorse molti anni a Tortona come insegnante e superiora
dell'Istituto S. Vincenzo. Fu molto amata e stimata dalle sue
consorelle, dalle alunne e dalle loro famiglie. Fu, poi, maestra delle
novizie a Borgaro Torinese. Nella sua Congregazione era considerata una
"regola vivente", praticata nell'umiltà, nel sacrificio e nella fedeltà.
Le sue virtù sono state dichiarate eroiche nel 2002.Martirologio Romano: A Borgaro vicino a Torino, beata Nemesia (Giulia) Valle, vergine dell’Istituto delle Suore della Carità, che, insigne nel formare i giovani e guidarli all’amore del Vangelo, percorse sempre la via dei precetti del Signore nella carità verso il prossimo. |
Non si sceglie la vocazione religiosa per sfuggire a qualcosa, ma per ottenere tutto, almeno questo fu l’indirizzo che prese suor Nemesia Valle, che Giovanni Paolo II beatificherà il prossimo 25 aprile. Maddalena, Teresa, Giulia nasce il 26 giugno 1847 ad Aosta. Non ha ancora compiuto 5 anni e muore sua madre. Giulia e il fratellino Francesco vengono trasferiti a Donnaz nel 1853, dove vivono i parenti materni. Poi la bambina viene inserita nel collegio di Besançon, dove si trovano le Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret. Ore di solitudine e di smarrimento per la piccola che si sente abbandonata. Ritorna a casa quando ha 16 anni e suo padre, Anselmo Valle, sempre molto preso con la sua attività di commerciante, si è risposato. Per lei ancora più solitudine, ancora più dolore. Colma di attenzioni e tenerezze il fratello, alquanto insofferente alla matrigna. Giulia sopporta rimproveri, dispetti e umiliazioni, mentre Francesco litiga continuamente con la seconda moglie del padre e a 16 anni, dopo una delle ennesime liti decide di andarsene da casa e con il consenso del padre lascia la famiglia in cerca di fortuna. Dopo la partenza del fratello l’esistenza di Giulia fu più triste e più dura, per trovare conforto cerca rifugio in chiesa, dove si ferma a pregare. La nuova abitazione della famiglia Valle è ora a Pont. St. Martin. Anche qui, nel profondo della solitudine e della sofferenza, si lega alle Suore di santa Giovanna Antida Thouret, dedite a qualunque attività caritativa, con un’attenzione tutta particolare all’educazione e alla cura degli infermi. Maturò qui la sua vocazione e quando il padre le rivelò l’intenzione di un giovane di sposarla, lei, che fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di parlarne, gli spiega: «Ho promesso al Signore di consacrare la mia vita a salvare le anime. Non desidero che di farmi suora». Il 7 settembre 1866 il padre l’accompagnò nella Casa provinciale di Santa Margherita di Vercelli. Dopo aver conseguito il diploma di insegnante il 29 settembre 1867 diventa suor Nemesia, Figlia di San Vincenzo. A partire dal 1839 le Suore della Carità di Sant’Antida Thouret, su invito del vescovo, aprono a Tortona, in via Passalacqua, nei pressi del seminario, una scuola, dove vengono accolte anche le orfanelle con le quali suor Nemesia si fa madre premurosa. Proprio alle orfanelle faceva scrivere su dei bigliettini, brevi tratti del Vangelo e li faceva seminare nelle vie più frequentate di Tortona o sulle panchine delle piazze affinché la gente li leggesse e rafforzasse il proprio spirito di fede, trovando giovamento e conforto. Beneficava tutti, anche fuori dalla realtà dell’istituto: seminaristi e soldati, mendicanti, poveri, madri di famiglia, ammalati. Al mattino, molto presto, scivolava, inosservata, fra le vie più nascoste di Tortona, a portare beni e parole di conforto ai poveri più poveri e dimenticati. Nel 1886 diventa Superiora dell’Istituto San Vincenzo a Tortona, dove rimarrà per oltre 30 anni. È la prima ad alzarsi, è l’ultima ad andare a letto. Prima della colazione ogni ambiente dell’Istituto di Tortona ha già ricevuto il suo sorriso. Suor Nemesia è alla porta, in parlatorio, in città, cuce, è in preghiera, di notte è al suo tavolo per scrivere a chi ha bisogno di sostegno, conforto, consiglio. Durante il colera che colpì la città nel 1890 non esitò ad aprire la porta dell’Istituto che in breve tempo si riempì di pazienti, ma fu disposta addirittura a cedere la propria camera per i malati, trovando lei posto sul divano. Tortona la ama fortemente e doloroso sarà il distacco quando suor Nemesia verrà improvvisamente trasferita: la sua nuova mansione è quella di essere maestra delle novizie di Borgaro Torinese, il cui castello è la sede di una nuova casa provinciale dove tuttora prosegue l’attività delle Suore di Carità. Umiliazione, sconforto, infinita tristezza. La pena è molta, lacerante lo sradicamento dalla realtà che aveva realizzato la sua persona, per questo continua a ripetere: «Dio solo! Dio solo!». Ritorna a quella solitudine delle sue valli aostane. Gli anni del “successo” e della “notorietà” sono terminati. Ora, nel silenzio, suor Nemesia procede nel suo cammino di santità e di ascesi senza rumore. È sempre più stanca, più curva, perseguitata dall’incomprensione della sua Superiora. Esiste ancora oggi a Borgaro, dove fu maestra di più di 500 novizie, un vecchio solaio, si tratta del «solaio di suor Nemesia»: lì si rifugiava, affaticata dal tempo e dalle umiliazioni, fra i bauli delle novizie, offrendo la sua solitudine estrema a Dio. Colpita da polmonite suor Nemesia morì il 18 dicembre 1916 e il suo corpo rimase caldo e flessibile per due giorni. Suor Nemesia aveva molto amato e «l’amore donato», diceva, «è la sola cosa che rimane», quell’amore la porterà alla beatificazione e «la santità non consiste nel fare molte cose o nel farne di grandi, ma nel fare ciò che Dio chiede a noi, con pazienza, con amore, donando noi stesse a lui, soprattutto con la fedeltà al proprio dovere, frutto di grande amore. Santo è chi si consuma, al proprio posto di ogni giorno, per il Signore». Autore: Cristina Siccardi Giulia Valle nacque ad Aosta il 26 giugno 1847, donando tanta felicità ad una coppia giovane e benestante che aveva già perso prematuramente i due figli precedenti; seguì la nascita di Vincenzo. Purtroppo gli anni sereni furono pochi, la mamma morì giovanissima, Giulia aveva solo quattro anni. Il padre era spesso via per affari, ospiti della casa un po’ austera del nonno paterno, i due fratelli percepirono tutta la tristezza di essere orfani. Si trasferirono, in seguito, presso i parenti materni, dove, in un'atmosfera più tranquilla, ricevettero in casa una buona istruzione. Giulia aveva un carattere forte, simile alle montagne che circondano la sua città, e sentimenti puri, come l'aria che si respira tra quei monti. Arrivò ad un certo punto la decisione di iscriverla ad un collegio, venne scelto uno lontano da casa, a Besançon, gestito dalle Suore della Carità di S. Giovanna Antida. Più di tutto le pesò il distacco dal fratello, verso cui provava l'affetto di una madre. In collegio trovò serenità e accoglienza; i quattro anni lì trascorsi segneranno il suo futuro. Dopo una vacanza premio a Bordeaux e Parigi tornò in famiglia. Il padre, trasferitosi nel frattempo a Pont St. Martin, aveva una nuova moglie: per i due fratelli si rivelò una matrigna. Se Giulia era più remissiva, Vincenzo non riusciva proprio a sopportarla: a 16 anni lasciò la casa. In un lungo abbraccio le promise che avrebbe scritto, per motivi sconosciuti Giulia non avrà mai più sue notizie. Questo dolore l'accompagnerà per tutta la vita. Molti anni dopo, quando ormai anziana per abitudine non amava parlare della sua adolescenza, gli unici sospiri che manifestava erano per lui. Giulia aveva 18 anni e partito il fratello, solo una cosa nessuno poteva toglierle: la fede. Strinse un forte legame con la piccola comunità di suore presente nel paese; erano della stessa congregazione di Besançon. Un giorno, com'era naturale, arrivò una buona proposta di matrimonio. Il padre glielo comunicò con un certo orgoglio, ma Giulia, risoluta, trovò il coraggio di manifestare la volontà di diventare suora della carità. Era una decisione meditata a fondo. Il padre non nascose il disappunto, ma nemmeno la ostacolò. L'8 settembre 1866 sarà lui che la condurrà in carrozza a Vercelli dove, nel monastero di S. Margherita, c’era il noviziato. Era un nuovo distacco, definitivo, per una vita nuova. Incontrò le difficoltà di tutte le novizie: doveva assimilare le regole dell'istituto e dimenticare le comodità del passato. Un giorno, mentre era intenta con altre compagne a riordinare una stanza, dalla strada sentì una musica che tante volte aveva ballato. Abbracciato un cuscino, improvvisò una danza nell'allegria generale. Non tardò ad arrivare la punizione che lei accettò serenamente. Cresceva intanto la sua spiritualità, secondo il carisma della fondatrice "Dio solo", ripeteva "veramente in Dio solo dobbiamo mettere tutta la nostra felicità". Il modello a cui guardava era la Madonna. Perfezionò la sua formazione, alternando lo studio ai lavori di cucina, per lei inusuali. Il 29 settembre 1867 indossò l'abito, divenendo suor Nemesia. Due mesi dopo, conseguito il diploma di maestra, fu destinata all'Istituto S. Vincenzo di Tortona che comprendeva un collegio, una scuola e un orfanotrofio. Vi resterà 35 anni. Le fu affidata una prima elementare. All'inizio sembrò soccombere di fronte all'esuberanza delle bambine, ma la bontà e l'umiltà, che sempre premiano, ebbero la meglio. Diceva: "Sii paziente, sii umile: ci guadagnerai sempre!". Purtroppo, com'era all'epoca consuetudine, vi era un trattamento differente tra le orfanelle e le educande, suor Nemesia fece il possibile per eliminarlo almeno nell'insegnamento. Cercò di trasmettere l’amore per la bellezza del creato attraverso lo studio e l'osservazione dell'arte e della natura. Un'alunna, dopo tanti anni, dirà: "ci conosceva ad una ad una, sapeva capirci". Il 15 ottobre 1873 fece la professione. Oltre ai voti di povertà, castità, obbedienza, c'era quello peculiare della congregazione: assistere materialmente e spiritualmente i poveri. Lo realizzò appieno per il resto della vita. Dopo qualche anno si dedicò esclusivamente all'insegnamento del francese, ma era la sua bontà ad affascinare tutti, dentro e fuori la Casa. Bontà non significò debolezza, quando era necessario rimproverava, anche severamente. Nel 1886, alla morte della superiora di cui era il braccio destro, era naturale che fosse lei la designata alla successione. Provò uno smarrimento iniziale, per la consapevolezza dell'alta responsabilità e per il fatto che non avrebbe avuto più tanto tempo da dedicare alle sue ragazze. Poi comprese che come superiora sarebbe stata più libera nelle opere di carità, soprattutto fuori dall'istituto. "Al mattino prestissimo scivolava, non notata, fra le vie più nascoste a portare essa stessa, con il dono materiale, il conforto della sua bontà ai poveri più poveri e dimenticati". Gli impegni erano tanti, doveva anche far quadrare i conti sempre in rosso, ma se qualcuno chiedeva di parlarle ascoltava attentamente, come se non avesse nessun altro pensiero. Non mancarono gli attriti con le consorelle, ma la sua calma era disarmante. Sferruzzava continuamente, anche quando parlava con persone importanti, provvedendo così alla biancheria delle orfanelle, dei seminaristi per cui aveva una speciale predilezione e anche dei soldati del vicino distretto militare. Le generazioni si susseguivano: tutti volevano mantenere i rapporti con suor Nemesia, andavano anche per presentare un fidanzato o far conoscere un bimbo appena nato. Lei, che non aveva conosciuto il calore materno, ebbe sempre un'attenzione particolare per le orfanelle, cercava di aiutarle anche quando lasciavano l'istituto. I soldi non bastavano mai, ma nonostante ciò aiutava le missioni. Il direttore spirituale dell'istituto, don Giuseppe Carbone, fattosi cappuccino, partì per l'Eritrea. Lei lo sostenne e con tante iniziative raccolse denaro per aiutarlo. Nacque così il primo circolo missionario della città. Incoraggiò pure un altro direttore dell'istituto, Don Daffra, quando fu eletto vescovo di Ventimiglia. Gli preparò, con l'amore di una mamma, gli abiti pontificali. "Oh, il cuore di Suor Nemesia!" esclamavano tutti. Aiutò come poté il giovane S. Luigi Orione e ospitò più volte la B. Teresa Grillo Michel. Restò sempre umile, "Lodata da tanti ammiratori delle sue Opere, sapeva con una parolina, con uno scherzo piacevole, declinare le lodi e riversarle dolcemente sugli interlocutori". Nel 1901, per ristabilirsi da una malattia, la beata Nemesia soggiornò per qualche tempo nei pressi dei Santuari di Crea e di Varallo. Il 10 maggio 1903, dopo 35 anni trascorsi a Tortona, arrivò l'ordine che nessuno si aspettava: partire per un nuovo incarico. Una nuova comunità nasceva vicino a Torino per accogliere le tante vocazioni di quegli anni: occorreva una maestra delle novizie straordinaria. Non riuscì a guardare negli occhi coloro ai quali doveva dare l’addio, partì alle 4 del mattino salutando con una lettera. " Vi assicuro che, col pensiero vi seguirò in cappella, in classe, in giardino…vi ho mandato il mio bacio e l'abbraccio materno”. Il vuoto che lasciava era enorme. Soggiornò una notte a Torino dove le avevano preparato una stanza con i dovuti onori, lei non si fece riconoscere e dormì sistemata alla meglio. A Borgaro Torinese, nel Castello dei Birago, ancora da adattare, nasceva una nuova provincia religiosa. Il suo compito di maestra delle novizie era tra i più delicati, vi mise tutto l'impegno possibile. Lavorava al loro fianco per dare il buon esempio, anche se ormai avanti negli anni non era un problema per lei inginocchiarsi pubblicamente davanti alla superiora. In tredici anni formò circa 500 novizie, con la corrispondenza le seguì anche negli incarichi successivi. Tra i suoi scritti leggiamo: " Se la notte, il deserto e il silenzio sono sordi, Colui che ti ha creato ti ascolterà sempre" "Stammi allegra, santamente allegra! Canta, canta sempre! Non inquietarti: attendi al presente! ". Grande devota dell'Eucaristia, un giorno, per il suo onomastico, chiese in regalo l'esposizione del Santissimo per tutta la giornata. Amava spesso ritirarsi in solaio per pregare da sola. Il 10 dicembre 1916, mentre imperversava la Seconda Guerra Mondiale, si ammalò di polmonite. Nella malattia, che durò pochi giorni, rispettò l'ordine del silenzio datole dalla superiora per risparmiare le forze. Si spense alle 21,10 del 18 dicembre. Nella stanza si diffuse un profumo soave di rose e viole, il Signore ricompensava così colei che per tutta la vita l'aveva amato nel servizio del prossimo. Tante volte aveva ripetuto: "L'amore che si dona è l'unica cosa che rimane”. Beatificata da Giovanni Paolo II il 25 aprile 2004, le sue spoglie mortali sono venerate nella chiesa dell'Istituto di Borgaro Torinese. Preghiera composta dalla B. Nemesia: "O Vergine tutta pura, Madre del Santo Amore che devi all'umiltà tutta la tua grandezza, io non trovo più giusto titolo per supplicarti di aiutarmi a vincere la mia superbia. O Beatissima Madre non chiedo altro che uno dei tuoi sguardi: guardami e poi, se poi ti accontenterai di vedermi così povera … allora anch'io mi accontenterò di rimanere tale". Informazioni: Suore della Carità Borgaro Torinese Tel. 011 4701005 Autore: Daniele Bolognini |
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