- San Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) Papa
22 ottobre
Wadowice, Cracovia, 18 maggio 1920 - Vaticano, 2 aprile 2005
(Papa dal 22/10/1978 al 02/04/2005 ).
Nato a Wadovice, in Polonia, è il primo papa slavo e il primo Papa non
italiano dai tempi di Adriano VI. Nel suo discorso di apertura del
pontificato ha ribadito di voler portare avanti l'eredità del Concilio
Vaticano II. Il 13 maggio 1981, in Piazza San Pietro, anniversario della
prima apparizione della Madonna di Fatima, fu ferito gravemente con un
colpo di pistola dal turco Alì Agca. Al centro del suo annuncio il
Vangelo, senza sconti. Molto importanti sono le sue encicliche, tra le
quali sono da ricordare la "Redemptor hominis", la "Dives in
misericordia", la "Laborem exercens", la "Veritatis splendor" e
l'"Evangelium vitae". Dialogo interreligioso ed ecumenico, difesa della
pace, e della dignità dell'uomo sono impegni quotidiani del suo
ministero apostolico e pastorale. Dai suoi numerosi viaggi nei cinque
continenti emerge la sua passione per il Vangelo e per la libertà dei
popoli. Ovunque messaggi, liturgie imponenti, gesti indimenticabili:
dall'incontro di Assisi con i leader religiosi di tutto il mondo alla
preghiere al Muro del pianto di Gerusalemme. Così Karol Wojtyla
traghetta l'umanità nel terzo millennio. La sua beatificazione ha luogo a
Roma il 1° maggio 2011.
Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.
Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska,
che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e
suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941.
A nove anni
ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della
Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di
Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939,
il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella
fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la
deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi
chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario
maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia,
il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del
"Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra,
continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente
aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino
alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946.
Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì
il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle
opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue
vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in
Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu
coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e
poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli
universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e
teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una
tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal
sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenne professore di Teologia
Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di
Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo
nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette
l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel
(Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo
importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il
Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei
Vescovi anteriori al suo Pontificato.
Viene eletto Papa il 16
ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di
Pastore Universaledella Chiesa.
Dall’inizio del suo
Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in
Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332
parrocchie romane. I viaggi apostolici nel mondo - espressione della
costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le
Chiese - sono stati 104.
Tra i suoi documenti principali si
annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni
apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si
ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre
1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio
sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di
poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e
Identità" (febbraio 2005).
Papa Giovanni Paolo II ha celebrato
147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati -
e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha tenuto 9
concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha
presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali
ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale
straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995,
1997, 1998 [2] e 1999).
Nessun Papa ha incontrato tante persone
come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre
1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza
contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di
8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno
2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite
pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità
governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e
le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246
udienze e incontri con Primi Ministri.
Muore a Roma, nel suo
alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile
2005. I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle
Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.
Fonte:
www.karol-wojtyla.org
Vorrei conoscere la Bibbia a memoria,conoscere il greco,il latino e pure l' aramaico,ma nulla di tutto questo mi è stato donato. Quello che al Signore è piaciuto donarmi, è una grande voglia di parlargli e di ascoltarlo.Logorroica io e taciturno Lui,ma mentre io ho bisogno di parole,Lui si esprime meglio a fatti.Vorrei capire perchè questo bisogno si tramuta in scrivere, e sento che è un modo semplice,delicato e gratuito di mettere al centro la mia relazione con Dio.
lunedì 21 ottobre 2013
Meditazioni sulla preghiera del Santo Rosario a cura di Padre Angelo Bellon op
Spiritualità domenicana
Meditazioni sulla preghiera del Santo Rosario a cura di Padre Angelo Bellon op
Le invenzioni di Dio e le invenzioni di Maria
Il Profeta Isaia dice: “Manifestate tra i popoli le sue meraviglie” (Is 12,4). San Girolamo, traducendo in latino, allude più alle invenzioni di Dio che alle sue meraviglie: “Notas facite in populis adinventiones eius”.
Si potrebbe tradurre dunque: “Fate conoscere tra i popoli le sue invenzioni”.
Le invenzioni di Dio sono immense, infinite. Ogni creatura è un’invenzione di Dio e merita il nostro stupore e la nostra gratitudine.
Davide si sente indegno di narrarle. Per questo, provvede prima a purificarsi: “Lavo nell'innocenza le mie mani e giro attorno al tuo altare, Signore, per far risuonare voci di lode e per narrare tutte le tue meraviglie” (Sal 26,7).
Queste invenzioni sono così splendide e piene di amore che vanno narrate con giubilo: “Offrano a lui sacrifici di lode, narrino con giubilo le sue opere” (Sal 107,22).
Sono così perfette che neanche i santi riescono a dirle: “Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quanto ho visto. Con le parole del Signore sono state create le sue opere. Il sole con il suo splendore illumina tutto, della gloria del Signore è piena la sua opera. Neppure i santi del Signore sono in grado di narrare tutte le sue meraviglie, ciò che il Signore onnipotente ha stabilito perché l'universo stesse saldo a sua gloria” (Sir 42,15-17).
Ma tra tutte le invenzioni di Dio, tre sono così grandi e sbalorditive da togliere addirittura il fiato: la sua incarnazione, la maternità divina di Maria, i sacramenti e tra tutti in particolare quello dell’Eucaristia.
Di fronte a Cristo, Dio e uomo, di fronte a Maria, Madre di Dio, e di fronte al SS. Sacramento viene da dire insieme con S. Tommaso: muto s’umilia tutto il pensier mio (tibi se cor meum totum subicit quia te contemplans totum deficit).
Ma oltre alle invenzioni di Dio, vi sono anche le invenzioni di Maria, che la Chiesa, mutuando l’espressione della Sacra Scrittura, venera come la Madre del bell’amore, del timore, della scienza e della santa speranza (Sir 24,24).
Per questo si può dire che le invenzioni di Maria sono tutte invenzioni di amore, di scienza e di santa speranza.
Fra tutte, una delle più eccellenti è il Santo Rosario, che Lei ha donato al mondo principalmente attraverso l’Ordine di san Domenico, “il suo Ordine”.
Si potrebbe tradurre dunque: “Fate conoscere tra i popoli le sue invenzioni”.
Le invenzioni di Dio sono immense, infinite. Ogni creatura è un’invenzione di Dio e merita il nostro stupore e la nostra gratitudine.
Davide si sente indegno di narrarle. Per questo, provvede prima a purificarsi: “Lavo nell'innocenza le mie mani e giro attorno al tuo altare, Signore, per far risuonare voci di lode e per narrare tutte le tue meraviglie” (Sal 26,7).
Queste invenzioni sono così splendide e piene di amore che vanno narrate con giubilo: “Offrano a lui sacrifici di lode, narrino con giubilo le sue opere” (Sal 107,22).
Sono così perfette che neanche i santi riescono a dirle: “Ricorderò ora le opere del Signore e descriverò quanto ho visto. Con le parole del Signore sono state create le sue opere. Il sole con il suo splendore illumina tutto, della gloria del Signore è piena la sua opera. Neppure i santi del Signore sono in grado di narrare tutte le sue meraviglie, ciò che il Signore onnipotente ha stabilito perché l'universo stesse saldo a sua gloria” (Sir 42,15-17).
Ma tra tutte le invenzioni di Dio, tre sono così grandi e sbalorditive da togliere addirittura il fiato: la sua incarnazione, la maternità divina di Maria, i sacramenti e tra tutti in particolare quello dell’Eucaristia.
Di fronte a Cristo, Dio e uomo, di fronte a Maria, Madre di Dio, e di fronte al SS. Sacramento viene da dire insieme con S. Tommaso: muto s’umilia tutto il pensier mio (tibi se cor meum totum subicit quia te contemplans totum deficit).
Ma oltre alle invenzioni di Dio, vi sono anche le invenzioni di Maria, che la Chiesa, mutuando l’espressione della Sacra Scrittura, venera come la Madre del bell’amore, del timore, della scienza e della santa speranza (Sir 24,24).
Per questo si può dire che le invenzioni di Maria sono tutte invenzioni di amore, di scienza e di santa speranza.
Fra tutte, una delle più eccellenti è il Santo Rosario, che Lei ha donato al mondo principalmente attraverso l’Ordine di san Domenico, “il suo Ordine”.
Mirabili somiglianze tra i Sacramenti e il Santo Rosario
Nel Rosario contempliamo una sapienza soprannaturale analoga a quella che i teologi ammirano nei Sacramenti.
I sacramenti sono elementi materiali (segni) che mettono in contatto con realtà soprannaturali (la grazia).
Essi toccano l’uomo nella sua totalità di anima e di corpo. Attraverso i segni viene coinvolto il corpo, per mezzo della grazia santificante viene coinvolta l’anima.
Quando vengono celebrati, Dio passa in mezzo agli uomini. È Cristo infatti che li celebra e dona la sua grazia.
Analogamente la preghiera del Rosario tocca l’uomo nella sua totalità: il suo corpo mediante la recitazione vocale, la sua anima mediante la contemplazione.
E come nei Sacramenti le realtà materiali sono indissociabili dalle parole, così nel Rosario la preghiera vocale e la contemplazione del mistero formano un tutt’uno indivisibile.
E se nei sacramenti Cristo passa in mezzo agli uomini per benedire e per salvare, per purificare e santificare, perché da lui esce una virtù che sana tutti (Lc 6,19), così similmente, quando si prega con il Rosario, Cristo passa e ognuno può dire dentro di sé: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me” (Mc 10,47).
I sacramenti sono elementi materiali (segni) che mettono in contatto con realtà soprannaturali (la grazia).
Essi toccano l’uomo nella sua totalità di anima e di corpo. Attraverso i segni viene coinvolto il corpo, per mezzo della grazia santificante viene coinvolta l’anima.
Quando vengono celebrati, Dio passa in mezzo agli uomini. È Cristo infatti che li celebra e dona la sua grazia.
Analogamente la preghiera del Rosario tocca l’uomo nella sua totalità: il suo corpo mediante la recitazione vocale, la sua anima mediante la contemplazione.
E come nei Sacramenti le realtà materiali sono indissociabili dalle parole, così nel Rosario la preghiera vocale e la contemplazione del mistero formano un tutt’uno indivisibile.
E se nei sacramenti Cristo passa in mezzo agli uomini per benedire e per salvare, per purificare e santificare, perché da lui esce una virtù che sana tutti (Lc 6,19), così similmente, quando si prega con il Rosario, Cristo passa e ognuno può dire dentro di sé: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me” (Mc 10,47).
Il Rosario è il distintivo del vero cristiano
I Sacramenti sono le celebrazioni esteriori che distinguono i cristiani dai non cristiani.
Nella loro celebrazione i fedeli mostrano di aver in comune la stessa fede, la stessa speranza, lo stesso amore (carità).
Quando si prega con il Rosario avviene qualcosa di simile: i credenti esprimono con questo segno la loro devozione a Maria e l’obbedienza ai suoi desideri, espressi lungo i secoli e principalmente nelle grandi apparizioni di Lourdes e di Fatima.
Il Rosario è il segno del vero cristiano. In genere si nota che coloro che pregano con il Rosario sono anche fedeli all’Eucaristia domenicale e talvolta anche a quella quotidiana, si confessano, praticano le penitenze stabilite dalla Chiesa, sono obbedienti ai Pastori che lo Spirito ha posto a pascere il gregge...
Mutuando un’espressione di Isaia (Is 11,12), si può dire che la preghiera del Rosario è “un vessillo alzato per le nazioni... che raduna dai quattro angoli della terra” e rende visibile un marchio di fedeltà.
Nella loro celebrazione i fedeli mostrano di aver in comune la stessa fede, la stessa speranza, lo stesso amore (carità).
Quando si prega con il Rosario avviene qualcosa di simile: i credenti esprimono con questo segno la loro devozione a Maria e l’obbedienza ai suoi desideri, espressi lungo i secoli e principalmente nelle grandi apparizioni di Lourdes e di Fatima.
Il Rosario è il segno del vero cristiano. In genere si nota che coloro che pregano con il Rosario sono anche fedeli all’Eucaristia domenicale e talvolta anche a quella quotidiana, si confessano, praticano le penitenze stabilite dalla Chiesa, sono obbedienti ai Pastori che lo Spirito ha posto a pascere il gregge...
Mutuando un’espressione di Isaia (Is 11,12), si può dire che la preghiera del Rosario è “un vessillo alzato per le nazioni... che raduna dai quattro angoli della terra” e rende visibile un marchio di fedeltà.
Il Rosario è il Vangelo messo in forma di preghiera
Nella preghiera del Rosario sono ripresentati tutti i misteri centrali della fede cristiana: dall’incarnazione redentrice alla risurrezione finale.
Come l’Eucaristia è il memoriale della vita, della passione, morte e risurrezione di Gesù, così il Rosario mette in comunione vitale con tutti gli eventi della redenzione.
È il Credo messo in forma di preghiera.
È il Credo che viene contemplato, adorato, amato e vissuto.
È il Vangelo messo in forma di preghiera.
È il Vangelo che entra nella nostra vita per illuminarla, orientarla e trasformarla.
Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell'intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l'opera dell'Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore. Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore” (Rosarium Virginis Mariae, 1).
Come l’Eucaristia è il memoriale della vita, della passione, morte e risurrezione di Gesù, così il Rosario mette in comunione vitale con tutti gli eventi della redenzione.
È il Credo messo in forma di preghiera.
È il Credo che viene contemplato, adorato, amato e vissuto.
È il Vangelo messo in forma di preghiera.
È il Vangelo che entra nella nostra vita per illuminarla, orientarla e trasformarla.
Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Rosario, infatti, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi, concentra in sé la profondità dell'intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne Magnificat per l'opera dell'Incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore. Mediante il Rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore” (Rosarium Virginis Mariae, 1).
Il Rosario è una preghiera particolarmente necessaria nel nostro tempo
Non sarà sfuggito a nessuno che il Cielo (Lourdes, Fatima) in questi ultimi secoli ha raccomandato la preghiera del Santo Rosario, e con una insistenza tale da non essereci nulla di simile nella storia precedente.
A Lourdes la Madonna, nelle varie apparizioni, ha sempre tenuto in mano la corona del Rosario.
A Fatima, in tutte le sei apparizioni, non solo ha tenuto il Rosario in mano, ma ha chiesto di recitarlo tutti i giorni.
Si badi bene: non qualche volta, ma tutti i giorni.
E il motivo sembra facilmente intuibile: gli uomini oggi rischiano di essere travolti dal chiasso e dalla frenesia della vita. Come una foglia che viene portata via dalla corrente del fiume, così essi rischiano di vivere senza saperne il perché e del tutto incuranti del loro destino eterno.
Questa preghiera invece costringe dolcemente a prendere un certo spazio di tempo (12-15 minuti) per fermarsi, riflettere, ripensare alla propria vita nella prospettiva della vita di Cristo.
Dopo aver pregato con il Rosario, ci si sente più sollevati, come uno che ha potuto respirare in profondità.
Non solo il cielo ha raccomandato il Rosario ma anche tutti i Papi del ‘900, a partire da Leone XIII, hanno insistentemente chiesto di pregare col Rosario.
Scrive Giovanni Paolo II: “Tra i Papi più recenti che, in epoca conciliare, si sono distinti nella promozione del Rosario desidero ricordare il Beato Giovanni XXIII e soprattutto Paolo VI, che nell'Esortazione apostolica Marialis cultus sottolineò, in armonia con l'ispirazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il carattere evangelico del Rosario ed il suo orientamento cristologico.
Io stesso, poi, non ho tralasciato occasione per esortare alla frequente recita del Rosario” (Rosarium Virginis Mariae, 3).
A Lourdes la Madonna, nelle varie apparizioni, ha sempre tenuto in mano la corona del Rosario.
A Fatima, in tutte le sei apparizioni, non solo ha tenuto il Rosario in mano, ma ha chiesto di recitarlo tutti i giorni.
Si badi bene: non qualche volta, ma tutti i giorni.
E il motivo sembra facilmente intuibile: gli uomini oggi rischiano di essere travolti dal chiasso e dalla frenesia della vita. Come una foglia che viene portata via dalla corrente del fiume, così essi rischiano di vivere senza saperne il perché e del tutto incuranti del loro destino eterno.
Questa preghiera invece costringe dolcemente a prendere un certo spazio di tempo (12-15 minuti) per fermarsi, riflettere, ripensare alla propria vita nella prospettiva della vita di Cristo.
Dopo aver pregato con il Rosario, ci si sente più sollevati, come uno che ha potuto respirare in profondità.
Non solo il cielo ha raccomandato il Rosario ma anche tutti i Papi del ‘900, a partire da Leone XIII, hanno insistentemente chiesto di pregare col Rosario.
Scrive Giovanni Paolo II: “Tra i Papi più recenti che, in epoca conciliare, si sono distinti nella promozione del Rosario desidero ricordare il Beato Giovanni XXIII e soprattutto Paolo VI, che nell'Esortazione apostolica Marialis cultus sottolineò, in armonia con l'ispirazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il carattere evangelico del Rosario ed il suo orientamento cristologico.
Io stesso, poi, non ho tralasciato occasione per esortare alla frequente recita del Rosario” (Rosarium Virginis Mariae, 3).
Come è fatta la preghiera del Rosario
Il Rosario consta di due elementi: uno materiale e l’altro spirituale.
L’elemento materiale consiste nell’enunciare i misteri e nel proferire il Padre nostro, le varie Ave Maria e il Gloria al Padre. Sotto questo aspetto è una preghiera semplicissima e proprio per questo accessibile a tutti.
L’elemento spirituale consiste nella contemplazione del mistero.
Va sottolineato che questo è l’elemento specifico del Rosario. Se mancasse, si avrebbe la recita di tanti Pater e Ave, preghiere senza dubbio eccellenti, ma non si avrebbe il Rosario. Non sarebbe più il Vangelo trasmesso alla nostra vita.
Ancor più, se si recitassero le varie preghiere, ma non si enunciasse il mistero e non si facesse la relativa contemplazione, ci si troverebbe di fronte ad una preghiera anche abbastanza lunga e certamente meritoria, ma non avremmo ancora il Rosario.
Con questo, non si vuole concludere che chi fa così non prega. Semplicemente si vuol dire che non ha pregato con il Rosario, perché il Rosario è un’altra cosa.
In proposito Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Rosario... è una preghiera spiccatamente contemplativa. Privato di questa dimensione, ne uscirebbe snaturato, come sottolineava Paolo VI: «Senza contemplazione, il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule e di contraddire all'ammonimento di Gesù: 'Quando pregate, non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità' (Mt 6, 7). Per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell'orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il Cuore di Colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze»” (Rosarium Virginis Mariae, 12).
L’elemento materiale consiste nell’enunciare i misteri e nel proferire il Padre nostro, le varie Ave Maria e il Gloria al Padre. Sotto questo aspetto è una preghiera semplicissima e proprio per questo accessibile a tutti.
L’elemento spirituale consiste nella contemplazione del mistero.
Va sottolineato che questo è l’elemento specifico del Rosario. Se mancasse, si avrebbe la recita di tanti Pater e Ave, preghiere senza dubbio eccellenti, ma non si avrebbe il Rosario. Non sarebbe più il Vangelo trasmesso alla nostra vita.
Ancor più, se si recitassero le varie preghiere, ma non si enunciasse il mistero e non si facesse la relativa contemplazione, ci si troverebbe di fronte ad una preghiera anche abbastanza lunga e certamente meritoria, ma non avremmo ancora il Rosario.
Con questo, non si vuole concludere che chi fa così non prega. Semplicemente si vuol dire che non ha pregato con il Rosario, perché il Rosario è un’altra cosa.
In proposito Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Rosario... è una preghiera spiccatamente contemplativa. Privato di questa dimensione, ne uscirebbe snaturato, come sottolineava Paolo VI: «Senza contemplazione, il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule e di contraddire all'ammonimento di Gesù: 'Quando pregate, non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità' (Mt 6, 7). Per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell'orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il Cuore di Colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze»” (Rosarium Virginis Mariae, 12).
Che cosa si deve fare nella contemplazione?
Nella contemplazione dei misteri si devono fare essenzialmente tre cose: la ripresentazione dell’evento di salvezza (mistero), il ringraziamento per l’evento compiuto da nostro Signore, la supplica a Dio in virtù dell’evento compiuto.
La ripresentazione o ricostruzione della scena è il primo atto da compiere. Sotto questo aspetto si vede subito che diventa difficile contemplare l’evento se non lo si conosce.
Il Rosario non sostituisce il Vangelo, ma parte dal Vangelo, lo presuppone.
E, senza dubbio, non vi è migliore maniera di ripresentare alla nostra mente l’evento di salvezza che immergersi nei sentimenti di Gesù, che è il protagonista di ogni evento, e di rivivere quello che Egli stesso ha vissuto in quel frangente.
Ci si accorge subito che una tale maniera di pregare è davvero bella, fruttuosa, ricca di tanti illuminazioni e di ardore affettivo.
Accanto a questa immersione, se ne può fare un’altra: quella di vedere il mistero con gli occhi di Maria.
Può capitare abbastanza spesso che la decina finisca senza aver chiuso la rappresentazione della scena. Non ci si deve far scrupolo se gli altri due momenti della contemplazione rimangono ancora da fare.
Né ci si deve far scrupolo se, enunziando un nuovo mistero, si continua la contemplazione del precedente. In fondo la recita materiale del Pater e delle Ave Maria è ordinata a farci sostare nella contemplazione della vita di Gesù. E se questa contemplazione si prolunga, significa solo che si sta pregando bene e con gusto.
La ripresentazione o ricostruzione della scena è il primo atto da compiere. Sotto questo aspetto si vede subito che diventa difficile contemplare l’evento se non lo si conosce.
Il Rosario non sostituisce il Vangelo, ma parte dal Vangelo, lo presuppone.
E, senza dubbio, non vi è migliore maniera di ripresentare alla nostra mente l’evento di salvezza che immergersi nei sentimenti di Gesù, che è il protagonista di ogni evento, e di rivivere quello che Egli stesso ha vissuto in quel frangente.
Ci si accorge subito che una tale maniera di pregare è davvero bella, fruttuosa, ricca di tanti illuminazioni e di ardore affettivo.
Accanto a questa immersione, se ne può fare un’altra: quella di vedere il mistero con gli occhi di Maria.
Può capitare abbastanza spesso che la decina finisca senza aver chiuso la rappresentazione della scena. Non ci si deve far scrupolo se gli altri due momenti della contemplazione rimangono ancora da fare.
Né ci si deve far scrupolo se, enunziando un nuovo mistero, si continua la contemplazione del precedente. In fondo la recita materiale del Pater e delle Ave Maria è ordinata a farci sostare nella contemplazione della vita di Gesù. E se questa contemplazione si prolunga, significa solo che si sta pregando bene e con gusto.
Ripresentare l’evento vivendolo da protagonisti
La ripresentazione della scena va fatta nella consapevolezza che Cristo in tutti gli attimi della sua esistenza ci ha tenuti costantemente presenti, perché in forza della sua perfettissima scienza personalmente ci vedeva, ci amava, e compiva le sue azioni salvifiche per ognuno di noi.
La preghiera contemplativa tocca qui uno dei suoi punti più alti, perché si è all’unisono col pensiero e con il cuore di Cristo.
Qualcuno, forse, può rimanere sorpreso nel sentire che Cristo per tutto l’arco della sua vita ha tenuto costantemente presente ciascuno di noi. E tuttavia questa verità rientra nel Magistero ordinario della Chiesa. È sufficiente ricordare un passo molto bello dell’enciclica Mistici Corporis: “Questa amantissima conoscenza, con la quale il Divin Redentore ci ha seguiti fin dal primo istante della sua incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché per quella visione beatifica di cui godeva fin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del Corpo Mistico e le abbraccia col suo salvifico amore! (...) Nel presepio, nella croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti a sé tutte le membra della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce se stesso” (Mistici Corporis, 76).
La preghiera contemplativa tocca qui uno dei suoi punti più alti, perché si è all’unisono col pensiero e con il cuore di Cristo.
Qualcuno, forse, può rimanere sorpreso nel sentire che Cristo per tutto l’arco della sua vita ha tenuto costantemente presente ciascuno di noi. E tuttavia questa verità rientra nel Magistero ordinario della Chiesa. È sufficiente ricordare un passo molto bello dell’enciclica Mistici Corporis: “Questa amantissima conoscenza, con la quale il Divin Redentore ci ha seguiti fin dal primo istante della sua incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché per quella visione beatifica di cui godeva fin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del Corpo Mistico e le abbraccia col suo salvifico amore! (...) Nel presepio, nella croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti a sé tutte le membra della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce se stesso” (Mistici Corporis, 76).
Ripresentare l’evento non significa solo ricordarlo, ma renderlo presente e operante
Giovanni Paolo II nella lettera Rosarium Virginis Mariae si sofferma su significato della ripresentazione dell’evento.
Dice che gli eventi della vita di Gesù “non sono soltanto un 'ieri'; sono anche l''oggi' della salvezza”.
Per questo non si tratta solo di ricordare, ma molto più di attualizzare l’evento di salvezza, di renderlo presente, anzi contemporaneo alla nostra vita: “ciò che Dio ha compiuto secoli or sono non riguarda soltanto i testimoni diretti degli eventi, ma raggiunge con il suo dono di grazia l'uomo di ogni tempo”.
Questo si realizza in maniera meravigliosa e perfetta nella celebrazione della Liturgia della Chiesa, ma non si esaurisce in essa. “In certo modo” lo si può rivivere “anche in ogni altro devoto approccio a quegli eventi: «farne memoria», in atteggiamento di fede e di amore, significa aprirsi alla grazia che Cristo ci ha ottenuto con i suoi misteri di vita, morte e risurrezione”.
“Se la Liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il Rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare. L'immergersi infatti, di mistero in mistero, nella vita del Redentore, fa sì che quanto Egli ha operato e la Liturgia attualizza venga profondamente assimilato e plasmi l'esistenza”.
In altre parole, il Rosario, sebbene non sia un’azione liturgica della Chiesa, prolunga nella nostra vita, anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, lo spirito della Liturgia.
Dopo la Liturgia, che cosa c’è allora di più bello e di più salutare del Rosario?
Non ci si stupisce allora delle parole proferite da Giovanni Paolo II il 29 ottobre 1978, ad appena due settimane dall'elezione alla Sede di Pietro: «Il Rosario è la mia preghiera prediletta. Preghiera meravigliosa! Meravigliosa nella sua semplicità e nella sua profondità. (...). Difatti, sullo sfondo delle parole Ave Maria passano davanti agli occhi dell'anima i principali episodi della vita di Gesù Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
Dice che gli eventi della vita di Gesù “non sono soltanto un 'ieri'; sono anche l''oggi' della salvezza”.
Per questo non si tratta solo di ricordare, ma molto più di attualizzare l’evento di salvezza, di renderlo presente, anzi contemporaneo alla nostra vita: “ciò che Dio ha compiuto secoli or sono non riguarda soltanto i testimoni diretti degli eventi, ma raggiunge con il suo dono di grazia l'uomo di ogni tempo”.
Questo si realizza in maniera meravigliosa e perfetta nella celebrazione della Liturgia della Chiesa, ma non si esaurisce in essa. “In certo modo” lo si può rivivere “anche in ogni altro devoto approccio a quegli eventi: «farne memoria», in atteggiamento di fede e di amore, significa aprirsi alla grazia che Cristo ci ha ottenuto con i suoi misteri di vita, morte e risurrezione”.
“Se la Liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il Rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare. L'immergersi infatti, di mistero in mistero, nella vita del Redentore, fa sì che quanto Egli ha operato e la Liturgia attualizza venga profondamente assimilato e plasmi l'esistenza”.
In altre parole, il Rosario, sebbene non sia un’azione liturgica della Chiesa, prolunga nella nostra vita, anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, lo spirito della Liturgia.
Dopo la Liturgia, che cosa c’è allora di più bello e di più salutare del Rosario?
Non ci si stupisce allora delle parole proferite da Giovanni Paolo II il 29 ottobre 1978, ad appena due settimane dall'elezione alla Sede di Pietro: «Il Rosario è la mia preghiera prediletta. Preghiera meravigliosa! Meravigliosa nella sua semplicità e nella sua profondità. (...). Difatti, sullo sfondo delle parole Ave Maria passano davanti agli occhi dell'anima i principali episodi della vita di Gesù Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
La ripresentazione va fatta anche immergendosi nel cuore e negli occhi di Maria
Immergersi nei sentimenti di Cristo quando compiva i suoi atti salvifici è senz’altro una bella cosa.
Ma è ancora più bella se ci si immerge immedesimandosi con i sentimenti di Maria.
La recita cadenzata dell’Ave Maria non ha altro scopo che questo: di metterci “alla contemplazione del volto di Cristo in compagnia e alla scuola della sua Madre Santissima. Recitare il Rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 3).
Certo, i misteri di Gesù si possono contemplare anche con altri metodi.
Ma quando si contemplano con il Rosario, lo si fa “in compagnia e alla scuola della sua Madre Santissima”.
Torneremo più avanti sulla preziosità del pregare con Maria.
Per ora è sufficiente ricordare che facciamo la meditazione mettendoci dal punto di vista di Maria, che è il più alto, il più vicino a Gesù.
“La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. È nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da Lei anche un'umana somiglianza che evoca un'intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo su di Lui già nell'Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi comincia a sentirne la presenza e a presagirne i lineamenti. Quando finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia (cfr Lc 2,7)” (Rosarium Virginis Mariae, 10).
“Da allora il suo sguardo, sempre ricco di adorante stupore, non si staccherà più da Lui. Sarà talora uno sguardo interrogativo, come nell'episodio dello smarrimento nel tempio: «Figlio, perché ci hai fatto così?» (Lc 2,48); sarà in ogni caso uno sguardo penetrante, capace di leggere nell'intimo di Gesù, fino a percepirne i sentimenti nascosti e a indovinarne le scelte, come a Cana (cfr Gv 2,5); altre volte sarà uno sguardo addolorato, soprattutto sotto la croce, dove sarà ancora, in certo senso, lo sguardo della 'partoriente', giacché Maria non si limiterà a condividere la passione e la morte dell'Unigenito, ma accoglierà il nuovo figlio a Lei consegnato nel discepolo prediletto (cfr Gv 19,26-27); nel mattino di Pasqua sarà uno sguardo radioso per la gioia della risurrezione e, infine, uno sguardo ardenteper l'effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste (cfr At 1,14)” (Rosarium Virginis Mariae, 10).
Ma è ancora più bella se ci si immerge immedesimandosi con i sentimenti di Maria.
La recita cadenzata dell’Ave Maria non ha altro scopo che questo: di metterci “alla contemplazione del volto di Cristo in compagnia e alla scuola della sua Madre Santissima. Recitare il Rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 3).
Certo, i misteri di Gesù si possono contemplare anche con altri metodi.
Ma quando si contemplano con il Rosario, lo si fa “in compagnia e alla scuola della sua Madre Santissima”.
Torneremo più avanti sulla preziosità del pregare con Maria.
Per ora è sufficiente ricordare che facciamo la meditazione mettendoci dal punto di vista di Maria, che è il più alto, il più vicino a Gesù.
“La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. È nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da Lei anche un'umana somiglianza che evoca un'intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo su di Lui già nell'Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi comincia a sentirne la presenza e a presagirne i lineamenti. Quando finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia (cfr Lc 2,7)” (Rosarium Virginis Mariae, 10).
“Da allora il suo sguardo, sempre ricco di adorante stupore, non si staccherà più da Lui. Sarà talora uno sguardo interrogativo, come nell'episodio dello smarrimento nel tempio: «Figlio, perché ci hai fatto così?» (Lc 2,48); sarà in ogni caso uno sguardo penetrante, capace di leggere nell'intimo di Gesù, fino a percepirne i sentimenti nascosti e a indovinarne le scelte, come a Cana (cfr Gv 2,5); altre volte sarà uno sguardo addolorato, soprattutto sotto la croce, dove sarà ancora, in certo senso, lo sguardo della 'partoriente', giacché Maria non si limiterà a condividere la passione e la morte dell'Unigenito, ma accoglierà il nuovo figlio a Lei consegnato nel discepolo prediletto (cfr Gv 19,26-27); nel mattino di Pasqua sarà uno sguardo radioso per la gioia della risurrezione e, infine, uno sguardo ardenteper l'effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste (cfr At 1,14)” (Rosarium Virginis Mariae, 10).
Il Rosario è una preghiera molto larga
La contemplazione è essenziale per il Rosario, ma essa si può fare in tanti modi: partendo, come si è visto, dai sentimenti di Gesù, oppure dal punto di vista di Maria.
Ma questi punti di partenza non sono esclusivi.
Se ne può indicare un terzo, ugualmente fruttuoso, e consiste nel partire dai problemi della nostra vita, nei quali si cerca di proiettare la luce di Cristo, soprattutto quella che arriva dalla luce del mistero enunziato.
Questo procedimento è molto bello e fa sentire il Rosario come uno strumento che aiuta a mettere la nostra vita in preghiera.
In altre forme di preghiera, compresa quella liturgica, è necessario seguire il significato dei riti e delle parole. Qui no. Non è andar distratti se nel Rosario si pensa ai propri problemi, purché si cerchi di illuminarli con la luce del Vangelo.
È bello portare nel cuore di questa preghiera i problemi delle nostre famiglie, di alcune persone care, della società, del Chiesa, del mondo intero.
Per questo il Rosario è una preghiera tutta larga, perché prende il respiro di tutta la nostra vita.
Che sia giusto pregare così, lo ha ricordato anche da Giovanni Paolo II: “Nello stesso tempo il nostro cuore può racchiudere in queste decine del Rosario tutti i fatti che compongono la vita dell'individuo, della famiglia, della nazione, della Chiesa e dell'umanità. Vicende personali e vicende del prossimo e, in modo particolare, di coloro che ci sono più vicini, che ci stanno più a cuore. Così la semplice preghiera del Rosario batte il ritmo della vita umana” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
Ma questi punti di partenza non sono esclusivi.
Se ne può indicare un terzo, ugualmente fruttuoso, e consiste nel partire dai problemi della nostra vita, nei quali si cerca di proiettare la luce di Cristo, soprattutto quella che arriva dalla luce del mistero enunziato.
Questo procedimento è molto bello e fa sentire il Rosario come uno strumento che aiuta a mettere la nostra vita in preghiera.
In altre forme di preghiera, compresa quella liturgica, è necessario seguire il significato dei riti e delle parole. Qui no. Non è andar distratti se nel Rosario si pensa ai propri problemi, purché si cerchi di illuminarli con la luce del Vangelo.
È bello portare nel cuore di questa preghiera i problemi delle nostre famiglie, di alcune persone care, della società, del Chiesa, del mondo intero.
Per questo il Rosario è una preghiera tutta larga, perché prende il respiro di tutta la nostra vita.
Che sia giusto pregare così, lo ha ricordato anche da Giovanni Paolo II: “Nello stesso tempo il nostro cuore può racchiudere in queste decine del Rosario tutti i fatti che compongono la vita dell'individuo, della famiglia, della nazione, della Chiesa e dell'umanità. Vicende personali e vicende del prossimo e, in modo particolare, di coloro che ci sono più vicini, che ci stanno più a cuore. Così la semplice preghiera del Rosario batte il ritmo della vita umana” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
Il ringraziamento per l’evento salvifico compiuto da nostro Signore
La contemplazione degli eventi di salvezza compiuti da Gesù non termina in se stessa, ma spinge a ringraziare per l’evento compiuto da nostro Signore.
Il Signore non ha bisogno del nostro grazie, ma ne abbiamo bisogno noi.
Il grazie rinnova lo stupore e il senso di gratuità del dono. Attraverso questa preghiera ci si raffina il cuore, si capisce che tutto è dono e niente è dovuto.
Forse diamo per scontati tutti gli eventi dell’incarnazione, della redenzione e della gloria. È invece molto bello soffermarsi a dire grazie per il sì di Gesù, per la sua nascita, per la sua preghiera nel Getsemani, per la sua flagellazione, per la sua passione e morte, per la sua risurrezione e ascensione, per l’effusione della Spirito Santo, per la glorificazione di Maria e di tutti i Santi.
S. Paolo, definito da alcuni come il teologo della grazia, è anche il predicatore dell’azione di grazie. Il suo invito a essere riconoscenti e a ringraziare è costante: “E siate riconoscenti!” (Col 3,15; Cfr. 17). “In ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Ts 5,18).
L’azione di grazie è, in sé, un atto di giustizia verso Dio, un debito che abbiamo verso di lui. Ma, nel cristiano, è un atto ispirato dall’amore.
San Tommaso dice che il rendimento di grazie, a motivo dell’infinita carità di Dio nei nostri confronti, deve essere senza limiti (interminabilis).
In Paradiso, quando finalmente apriremo gli occhi sull’amore di Dio, non finiremo mai di dire grazie.
Il Signore non ha bisogno del nostro grazie, ma ne abbiamo bisogno noi.
Il grazie rinnova lo stupore e il senso di gratuità del dono. Attraverso questa preghiera ci si raffina il cuore, si capisce che tutto è dono e niente è dovuto.
Forse diamo per scontati tutti gli eventi dell’incarnazione, della redenzione e della gloria. È invece molto bello soffermarsi a dire grazie per il sì di Gesù, per la sua nascita, per la sua preghiera nel Getsemani, per la sua flagellazione, per la sua passione e morte, per la sua risurrezione e ascensione, per l’effusione della Spirito Santo, per la glorificazione di Maria e di tutti i Santi.
S. Paolo, definito da alcuni come il teologo della grazia, è anche il predicatore dell’azione di grazie. Il suo invito a essere riconoscenti e a ringraziare è costante: “E siate riconoscenti!” (Col 3,15; Cfr. 17). “In ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi” (1 Ts 5,18).
L’azione di grazie è, in sé, un atto di giustizia verso Dio, un debito che abbiamo verso di lui. Ma, nel cristiano, è un atto ispirato dall’amore.
San Tommaso dice che il rendimento di grazie, a motivo dell’infinita carità di Dio nei nostri confronti, deve essere senza limiti (interminabilis).
In Paradiso, quando finalmente apriremo gli occhi sull’amore di Dio, non finiremo mai di dire grazie.
La supplica a Dio in virtù dell’evento salvifico compiuto
Nella contemplazione dei misteri infine siamo chiamati a pregare per i meriti acquistatici da Gesù, soprattutto per quelli procuratici dall’evento da Lui compiuto: affinché tanta fatica non sia vana (ne tantus labor fit cassus).
Questo soprattutto per i misteri gaudiosi, dolorosi e della luce.
Se si tratta dei misteri della gloria, si chiederà di darla a noi e alle persone care per i meriti della sua incarnazione, vita e passione.
La Chiesa aiuta i credenti a pregare in questo modo soprattutto nelle Litanie dei Santi quando dice: “Per la sua venuta, liberarci o Signore; per la sua nascita...; per la sua passione e morte; per la sua risurrezione; per la sua ascensione, per la missione dello Spirito Santo...”.
Se vogliamo muovere il cuore di Dio a nostro favore, che cosa c’è di più bello che ringraziarlo per i doni che ci ha dato e di supplicarlo chiedendo esplicitamente quello che Lui stesso ha chiesto per noi, accompagnandolo con i suoi meriti preziosissimi e infiniti?
Questo soprattutto per i misteri gaudiosi, dolorosi e della luce.
Se si tratta dei misteri della gloria, si chiederà di darla a noi e alle persone care per i meriti della sua incarnazione, vita e passione.
La Chiesa aiuta i credenti a pregare in questo modo soprattutto nelle Litanie dei Santi quando dice: “Per la sua venuta, liberarci o Signore; per la sua nascita...; per la sua passione e morte; per la sua risurrezione; per la sua ascensione, per la missione dello Spirito Santo...”.
Se vogliamo muovere il cuore di Dio a nostro favore, che cosa c’è di più bello che ringraziarlo per i doni che ci ha dato e di supplicarlo chiedendo esplicitamente quello che Lui stesso ha chiesto per noi, accompagnandolo con i suoi meriti preziosissimi e infiniti?
Le tre grazie accordate a chi porta con sé la corona del Santo Rosario e, molto più, a chi lo recita
Le tre grazie sono queste: primo, una devozione o trasporto verso Dio sempre crescente; secondo, la difesa dai nemici visibili e invisibili; terzo, si merita di essere presentati davanti al tribunale di Dio dalla Beata Vergine stessa.
Queste tre grazie sono menzionate esplicitamente nella preghiera propria dell’Ordine dei Predicatori per la benedizione delle corone del Santo Rosario.
Nel testo si legge che il Sacerdote le benedice chiedendo a Dio di “infondere in esse una forza così grande dello Spirito Santo affinché chiunque le porta con sé, o le tenga devotamente in casa, e preghi con esse contemplando i divini misteri cresca sempre più in un salutare e perseverante trasporto o devozione; sia liberato sempre e dovunque nella vita presente da ogni nemico visibile e invisibile, e uscendo da questo mondo meriti di essere presentato a Dio pieno di buone opere dalla stessa beatissima Vergine Maria, sua Madre”.
A proposito del valore della benedizione, S. Tommaso dice che tutti possono benedire: i fedeli laici benedicono desiderando: "Quelli che passavano non dissero: la benedizione del Signore sia su di voi" (Sal 128,8); i ministri di Dio, invece, comandando: "Invocheranno il mio nome sui figli d'Israele e io li benedirò" (Nm 6,27).
È buona cosa dunque portare sempre con sé la corona benedetta del Santo Rosario. È facile e quasi immediato passare dal trovarla nella propria tasca alla sua recita.
Se portata con devozione e, sopratutto, se recitata, reca a noi la protezione di Maria da ogni avversità.
La grazia più preziosa poi consiste nell’essere presentati da Lei stessa a Dio nel giorno del giudizio. Ci farà da Avvocata. Dirà all’eterno Padre che abbiamo sempre portato con noi un segno tangibile del suo affetto e della sua protezione.
Maria non permette che chi porta devotamente con sé la corona del Rosario e soprattutto che lo recita, viva in contraddizione con le esigenze della vita cristiana.
Chissà se era questo il motivo per cui Pier Giorgio Frassati la portava sempre con sé e ne faceva dono agli amici?
In ogni caso, regalare agli amici una corona del Rosario perché la portino sempre con sé, è un singolare modo di voler loro, anzi, di dare loro un bene molto grande, per il quale ci saranno eternamente riconoscenti.
Queste tre grazie sono menzionate esplicitamente nella preghiera propria dell’Ordine dei Predicatori per la benedizione delle corone del Santo Rosario.
Nel testo si legge che il Sacerdote le benedice chiedendo a Dio di “infondere in esse una forza così grande dello Spirito Santo affinché chiunque le porta con sé, o le tenga devotamente in casa, e preghi con esse contemplando i divini misteri cresca sempre più in un salutare e perseverante trasporto o devozione; sia liberato sempre e dovunque nella vita presente da ogni nemico visibile e invisibile, e uscendo da questo mondo meriti di essere presentato a Dio pieno di buone opere dalla stessa beatissima Vergine Maria, sua Madre”.
A proposito del valore della benedizione, S. Tommaso dice che tutti possono benedire: i fedeli laici benedicono desiderando: "Quelli che passavano non dissero: la benedizione del Signore sia su di voi" (Sal 128,8); i ministri di Dio, invece, comandando: "Invocheranno il mio nome sui figli d'Israele e io li benedirò" (Nm 6,27).
È buona cosa dunque portare sempre con sé la corona benedetta del Santo Rosario. È facile e quasi immediato passare dal trovarla nella propria tasca alla sua recita.
Se portata con devozione e, sopratutto, se recitata, reca a noi la protezione di Maria da ogni avversità.
La grazia più preziosa poi consiste nell’essere presentati da Lei stessa a Dio nel giorno del giudizio. Ci farà da Avvocata. Dirà all’eterno Padre che abbiamo sempre portato con noi un segno tangibile del suo affetto e della sua protezione.
Maria non permette che chi porta devotamente con sé la corona del Rosario e soprattutto che lo recita, viva in contraddizione con le esigenze della vita cristiana.
Chissà se era questo il motivo per cui Pier Giorgio Frassati la portava sempre con sé e ne faceva dono agli amici?
In ogni caso, regalare agli amici una corona del Rosario perché la portino sempre con sé, è un singolare modo di voler loro, anzi, di dare loro un bene molto grande, per il quale ci saranno eternamente riconoscenti.
Recitando il Rosario tocchiamo il mantello del Signore
Il Vangelo ricorda di quella donna che da tanti anni subiva perdite di sangue e ricorreva a tanti medici per guarire. La conclusione fu quella di dissanguare il proprio corpo e il proprio patrimonio.
Nella contemplazione dei misteri del Rosario Cristo passa accanto alla nostra vita. Non ci mostra soltanto quello che ha fatto, ma intende comunicarci la grazia legata a vari eventi della sua vita.
Noi possiamo appropriarci delle grazie che Cristo ci ha meritato con le sue azioni.
Non appena cominciamo a contemplare i vari misteri recitando il Pater e le Ave Maria, noi tocchiamo in qualche modo l’orlo del mantello del Signore e da lui esce una virtù che sana tutti (Lc 6,19).
Nel mistero in cui contempliamo Maria che visita la cugina Elisabetta, il Signore desidera comunicarci l’esultanza che ha comunicato a Giovanni Battista, l’ardore della carità che ha messo nel cuore di Maria sua Madre, l’effusione dello spirito Santo che ha dato ad Elisabetta...
Nel mistero in cui contempliamo Cristo che espia l’orgoglio umano (terzo doloroso) egli vuole comunicarci qualche cosa della sua umiltà. Nel mistero in cui contempliamo Cristo che espia i peccati di impurità (secondo doloroso), egli passa per comunicarci qualche cosa della sua purezza o castità. Non dimentichiamo che la Sacra Scrittura ricorda che nessuno può essere casto se Dio non glielo concede.
Nel mistero in cui contempliamo la morte del Signore, egli viene per rinnovare i prodigi compiuti sul Calvario: abbiamo bisogno anche noi che tanti cuori duri come rocce si spezzino, che tanti morti entrino in paradiso, che tante persone comincino a battersi il petto come il centurione e i soldati...
Nella contemplazione dei misteri del Rosario Cristo passa accanto alla nostra vita. Non ci mostra soltanto quello che ha fatto, ma intende comunicarci la grazia legata a vari eventi della sua vita.
Noi possiamo appropriarci delle grazie che Cristo ci ha meritato con le sue azioni.
Non appena cominciamo a contemplare i vari misteri recitando il Pater e le Ave Maria, noi tocchiamo in qualche modo l’orlo del mantello del Signore e da lui esce una virtù che sana tutti (Lc 6,19).
Nel mistero in cui contempliamo Maria che visita la cugina Elisabetta, il Signore desidera comunicarci l’esultanza che ha comunicato a Giovanni Battista, l’ardore della carità che ha messo nel cuore di Maria sua Madre, l’effusione dello spirito Santo che ha dato ad Elisabetta...
Nel mistero in cui contempliamo Cristo che espia l’orgoglio umano (terzo doloroso) egli vuole comunicarci qualche cosa della sua umiltà. Nel mistero in cui contempliamo Cristo che espia i peccati di impurità (secondo doloroso), egli passa per comunicarci qualche cosa della sua purezza o castità. Non dimentichiamo che la Sacra Scrittura ricorda che nessuno può essere casto se Dio non glielo concede.
Nel mistero in cui contempliamo la morte del Signore, egli viene per rinnovare i prodigi compiuti sul Calvario: abbiamo bisogno anche noi che tanti cuori duri come rocce si spezzino, che tanti morti entrino in paradiso, che tante persone comincino a battersi il petto come il centurione e i soldati...
Il Rosario attira la protezione degli angeli e allontana l’influsso dei demoni
Come la divina liturgia impegna direttamente gli angeli e allontana l’influsso dei demoni, così analogamente fa il Rosario.
Nei misteri gaudiosi è un angelo che porta alla Vergine l’annunzio dell’Incarnazione del Verbo. Un altro angelo manifesta ai pastori la nascita del Salvatore. Ad esso fa seguito l’esercito celeste irrompe sulla terra per cantare l’inno di gloria.
Nei misteri dolorosi un angelo conforta Gesù nella sua lotta nell’orto degli olivi.
Nei misteri gloriosi gli angeli in abito sfolgorante custodiscono il sepolcro, fanno da corteo a Cristo che sale in cielo come su un carro di trionfo e inneggiano alla Madre di Dio, che si leva dalla terra al cielo come splendente aurora che sorge.
Inoltre nel Padre nostro si fa cenno agli angeli quando si dice: “sia fatta la tua volontà come in cielo...”.
L’Ave Maria è il saluto dell’Angelo. La gioia immensa che si destò negli angeli quando si compì il grande mistero dell’incarnazione di Dio si rinnova negli spiriti celesti ogni volta che viene onorata la loro e la nostra Regina.
Il Gloria al Padre è l’eco del canto di adorazione e di lode che le schiere celesti presentano continuamente a Dio.
Questa presenza degli angeli non è solo coreografica, ma attiva. Essi prolungano nella nostra vita quanto hanno fatto nella vita di Gesù e di Maria.
Il Rosario è, poi, una preghiera e un’azione potente contro i demoni.
È stato detto giustamente che la recita del Rosaio è come continuare la sconfitta di Satana schiacciato dal piede della Vergine, allontanato dalla presenza salvatrice di Cristo operante nei suoi misteri.
La recita del Pater rammenta quel cielo dal quale Satana cadde come folgore.
L’Ave Maria glorifica e rende operante Colei sulla quale il demonio non può nulla, e dinanzi alla quale fugge via svergognato.
Il Gloria al Padre è una ferita all’orgoglio sconfinato dell’inferno, è come un colpo mortale al suo cuore.
Aveva ragione don Bosco a definire il Rosario “la bancarotta del diavolo”.
Nei misteri gaudiosi è un angelo che porta alla Vergine l’annunzio dell’Incarnazione del Verbo. Un altro angelo manifesta ai pastori la nascita del Salvatore. Ad esso fa seguito l’esercito celeste irrompe sulla terra per cantare l’inno di gloria.
Nei misteri dolorosi un angelo conforta Gesù nella sua lotta nell’orto degli olivi.
Nei misteri gloriosi gli angeli in abito sfolgorante custodiscono il sepolcro, fanno da corteo a Cristo che sale in cielo come su un carro di trionfo e inneggiano alla Madre di Dio, che si leva dalla terra al cielo come splendente aurora che sorge.
Inoltre nel Padre nostro si fa cenno agli angeli quando si dice: “sia fatta la tua volontà come in cielo...”.
L’Ave Maria è il saluto dell’Angelo. La gioia immensa che si destò negli angeli quando si compì il grande mistero dell’incarnazione di Dio si rinnova negli spiriti celesti ogni volta che viene onorata la loro e la nostra Regina.
Il Gloria al Padre è l’eco del canto di adorazione e di lode che le schiere celesti presentano continuamente a Dio.
Questa presenza degli angeli non è solo coreografica, ma attiva. Essi prolungano nella nostra vita quanto hanno fatto nella vita di Gesù e di Maria.
Il Rosario è, poi, una preghiera e un’azione potente contro i demoni.
È stato detto giustamente che la recita del Rosaio è come continuare la sconfitta di Satana schiacciato dal piede della Vergine, allontanato dalla presenza salvatrice di Cristo operante nei suoi misteri.
La recita del Pater rammenta quel cielo dal quale Satana cadde come folgore.
L’Ave Maria glorifica e rende operante Colei sulla quale il demonio non può nulla, e dinanzi alla quale fugge via svergognato.
Il Gloria al Padre è una ferita all’orgoglio sconfinato dell’inferno, è come un colpo mortale al suo cuore.
Aveva ragione don Bosco a definire il Rosario “la bancarotta del diavolo”.
Nel Santo Rosario si sperimenta la protezione e il conforto di Maria
Giovanni Paolo II ricorda che pregando con il Rosario “diventa naturale portare a questo incontro con la santa umanità del Redentore i tanti problemi, assilli, fatiche e progetti che segnano la nostra vita. «Getta sul Signore il tuo affanno, ed egli ti darà sostegno» (Sal 55,23). Meditare col Rosario significa consegnare i nostri affanni ai cuori misericordiosi di Cristo e della Madre sua” (Rosarium Virginis Mariae, 15).
E riferisce la sua personale esperienza: “Fin dai miei anni giovanili questa preghiera ha avuto un posto importante nella mia vita spirituale. Me lo ha ricordato con forza il mio recente viaggio in Polonia, e soprattutto la visita al Santuario di Kalwaria. Il Rosario mi ha accompagnato nei momenti della gioia e in quelli della prova.Ad esso ho consegnato tante preoccupazioni, in esso ho trovato sempre conforto” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
“A distanza di venticinque anni, ripensando alle prove che non sono mancate nemmeno nell'esercizio del ministero petrino, mi sento di ribadire, quasi come un caldo invito rivolto a tutti perché ne facciano personale esperienza: sì, davvero il Rosario «batte il ritmo della vita umana», per armonizzarla col ritmo della vita divina, nella gioiosa comunione della Santa Trinità, destino e anelito della nostra esistenza” (Rosarium Virginis Mariae, 15).
Questa testimonianza è in linea con quella di tutti quelli che recitano devotamente il Rosario.
Papa Paolo V, scrivendo al vescovo di Treviso, dice che il Rosario è l’erario delle grazie.
San Vincenzo de’ Paoli afferma che “dopo la Messa, la devozione al Rosario ha fatto scendere nelle anime più grazie che tutte le altre devozioni, e con le sue Ave Maria compie più miracoli di ogni altra preghiera”.
Leone XIII, nell’enciclica Jucunda semper, scrive: “S. Bernardino da Siena afferma: ‘Ogni grazia, che si dona su questa terra, passa per tre ordini successivi. Da Dio viene comunicata a Cristo, da Cristo alla Vergine e dalla Vergine a noi’. E noi nella recita del Rosario passiamo per tutti e tre i gradini di questa scala; ma più a lungo ci tratteniamo sull’ultimo, ripetendo per dieci volte l’Ave Maria.
Se ripetiamo tante volte lo stesso saluto a Maria, è perché la nostra preghiera, debole e difettosa, venga rafforzata dalla necessaria fiducia, fiducia che sorge in noi pensando che Maria, più che pregare per noi, prega in nostro nome. Certamente le nostre voci saranno più gradite ed efficaci al cospetto di Dio se saranno appoggiate dalle preghiere della Vergine”.
E ancora: “Il Rosario commuove Maria in nostro favore... Muove a pietà verso di noi il cuore della Vergine”.
E riferisce la sua personale esperienza: “Fin dai miei anni giovanili questa preghiera ha avuto un posto importante nella mia vita spirituale. Me lo ha ricordato con forza il mio recente viaggio in Polonia, e soprattutto la visita al Santuario di Kalwaria. Il Rosario mi ha accompagnato nei momenti della gioia e in quelli della prova.Ad esso ho consegnato tante preoccupazioni, in esso ho trovato sempre conforto” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
“A distanza di venticinque anni, ripensando alle prove che non sono mancate nemmeno nell'esercizio del ministero petrino, mi sento di ribadire, quasi come un caldo invito rivolto a tutti perché ne facciano personale esperienza: sì, davvero il Rosario «batte il ritmo della vita umana», per armonizzarla col ritmo della vita divina, nella gioiosa comunione della Santa Trinità, destino e anelito della nostra esistenza” (Rosarium Virginis Mariae, 15).
Questa testimonianza è in linea con quella di tutti quelli che recitano devotamente il Rosario.
Papa Paolo V, scrivendo al vescovo di Treviso, dice che il Rosario è l’erario delle grazie.
San Vincenzo de’ Paoli afferma che “dopo la Messa, la devozione al Rosario ha fatto scendere nelle anime più grazie che tutte le altre devozioni, e con le sue Ave Maria compie più miracoli di ogni altra preghiera”.
Leone XIII, nell’enciclica Jucunda semper, scrive: “S. Bernardino da Siena afferma: ‘Ogni grazia, che si dona su questa terra, passa per tre ordini successivi. Da Dio viene comunicata a Cristo, da Cristo alla Vergine e dalla Vergine a noi’. E noi nella recita del Rosario passiamo per tutti e tre i gradini di questa scala; ma più a lungo ci tratteniamo sull’ultimo, ripetendo per dieci volte l’Ave Maria.
Se ripetiamo tante volte lo stesso saluto a Maria, è perché la nostra preghiera, debole e difettosa, venga rafforzata dalla necessaria fiducia, fiducia che sorge in noi pensando che Maria, più che pregare per noi, prega in nostro nome. Certamente le nostre voci saranno più gradite ed efficaci al cospetto di Dio se saranno appoggiate dalle preghiere della Vergine”.
E ancora: “Il Rosario commuove Maria in nostro favore... Muove a pietà verso di noi il cuore della Vergine”.
La tradizione attribuisce a San Domenico la preghiera del Rosario
Ai tempi di San Domenico (siamo all’inizio del secolo tredicesimo) era abbastanza diffuso il metodo di pregare con una cordicella, con 150 nodi. Era un metodo per contare i tanti Padre nostro o Ave Maria che molte persone recitavano.
Questa cordicella veniva chiamata Paternoster. Se si recitavano 150 Ave Maria, questo modo di pregare veniva indicato anche come Salterio mariano, in analogia col Salterio di Davide, composto di 150 Salmi.
Sappiamo che già i domenicani della prima generazione tenevano con sé questa cordicella. Lo testimonia in maniera indiretta una determinazione del capitolo della provincia romana del 1261, che chiedeva di non usare i “Paternoster” in ambra o in corallo, ma di accontentarsi di cordicelle meno preziose.
Anche San Domenico conosceva questo modo di pregare, tanto che in una sua lettera comanda ad un certo Ponzio Rogerio, cataro convertito, di “recitare ogni giorno, ovunque si trovasse, il corrispondente delle ore canoniche, cioè dicesse sette volte al giorno una decina di Pater noster, a mezzanotte venti”.
Tralasciando per ora le rivelazione del Beato Alano de la Roche, riportiamo invece quanto sull’origine del Rosario scrive il P. Mortier, storico dell’Ordine: “I contemporanei di S. Domenico ed i primi scrittori domenicani non fanno riferimento al Rosario tra le devozioni dell’ordine perché a quell’epoca il Rosario non era, rigorosamente parlando, una devozione, un metodo speciale di preghiera, ma era invece uno speciale metodo di predicazione. In un momento di abbattimento, dovuto al poco frutto che la sua parola aveva in mezzo agli eretici, S. Domenico, non senza inspirazione della SS. Vergine, inaugurò un nuovo metodo di predicazione: incominciò cioè ad esporre ai popoli i misteri della fede uno ad uno; e perché la sua parola fosse più facilmente da Dio benedetta, introdusse l’uso di interrompere la predicazione con la recita del Pater noster e dell’Ave Maria, così la spiegazione di ciascun mistero era intercalata da un po’ di preghiera... Il Rosario non sarebbe stato dunque in origine che un nuovo genere di predicazione... Questo metodo di predicazione si trasformò a poco a poco...in una formula di preghiera”.
Questa cordicella veniva chiamata Paternoster. Se si recitavano 150 Ave Maria, questo modo di pregare veniva indicato anche come Salterio mariano, in analogia col Salterio di Davide, composto di 150 Salmi.
Sappiamo che già i domenicani della prima generazione tenevano con sé questa cordicella. Lo testimonia in maniera indiretta una determinazione del capitolo della provincia romana del 1261, che chiedeva di non usare i “Paternoster” in ambra o in corallo, ma di accontentarsi di cordicelle meno preziose.
Anche San Domenico conosceva questo modo di pregare, tanto che in una sua lettera comanda ad un certo Ponzio Rogerio, cataro convertito, di “recitare ogni giorno, ovunque si trovasse, il corrispondente delle ore canoniche, cioè dicesse sette volte al giorno una decina di Pater noster, a mezzanotte venti”.
Tralasciando per ora le rivelazione del Beato Alano de la Roche, riportiamo invece quanto sull’origine del Rosario scrive il P. Mortier, storico dell’Ordine: “I contemporanei di S. Domenico ed i primi scrittori domenicani non fanno riferimento al Rosario tra le devozioni dell’ordine perché a quell’epoca il Rosario non era, rigorosamente parlando, una devozione, un metodo speciale di preghiera, ma era invece uno speciale metodo di predicazione. In un momento di abbattimento, dovuto al poco frutto che la sua parola aveva in mezzo agli eretici, S. Domenico, non senza inspirazione della SS. Vergine, inaugurò un nuovo metodo di predicazione: incominciò cioè ad esporre ai popoli i misteri della fede uno ad uno; e perché la sua parola fosse più facilmente da Dio benedetta, introdusse l’uso di interrompere la predicazione con la recita del Pater noster e dell’Ave Maria, così la spiegazione di ciascun mistero era intercalata da un po’ di preghiera... Il Rosario non sarebbe stato dunque in origine che un nuovo genere di predicazione... Questo metodo di predicazione si trasformò a poco a poco...in una formula di preghiera”.
Quando san Domenico ebbe l’ispirazione di predicare in questo modo
Scrive R. Spiazzi: “In uno dei più penosi periodi di afflizione, dovuta alla constatazione dello scarso frutto che la sua parola 'produceva in mezzo agli eretici, Domenico - non senza ispirazione della Beata Vergine - inaugurò il nuovo metodo di predicazione, di cui si è detto: cominciò cioè a esporre al popolo i "misteri» della fede a uno a uno e introdusse l''uso di inframmezzare la predicazione con la recita del Pater noster e dell'Ave Maria, perché la spiegazione di ciascun mistero venisse come ribadita nella preghiera. Specialmente quando la predicazione durava ore intere, il nuovo metodo serviva a far sì che con quelle preghiere intercalate l'uditorio stesse attento e, intervenendo esso pure oralmente, mantenesse mente e cuore rivolti a Dio. Il Rosario sarebbe stato dunque, in origine, nient'altro che un nuovo genere di "predicazione", e non una forma autonoma di "preghiera" da potersi con certezza annoverare - da parte dei primitivi storici dell'Ordine - tra le diverse devozioni praticate in onore della Beata Vergine” (San Domenico di Guzman, p. 148).
Opportunamente il P. Spiazzi scrive: “non senza ispirazione della Beata Vergine”.
È interessante a questo proposito quanto racconta il P. Cornelio de Sneckis, discepolo di Alano De La Roche (1428-1475): “Quando S. Domenico predicava agli Albigesi, all’inizio non ottenne che scarsi risultati. Un giorno, se ne lamentava con la SS. Vergine, mentre devotamente pregava. Essa allora gli rispose: ‘Non meravigliarti se fino ad ora hai ottenuto così poco frutto dalle tue fatiche, perché hai seminato in un terreno sterile, non ancora bagnato dalla rugiada della divina Grazia. Quando Dio volle rinnovare la faccia della terra, cominciò col mandare su di essa l’acqua fecondatrice della Salutazione angelica; predica il mio Salterio, composto di 150 salutazioni angeliche e di 15 Pater noster, ed otterrai così una messe abbondante’. Da quel momento il servo di Dio cominciò a predicare questa devozione, la fece conoscere al popolo e ottenne la conversione di moltissime anime”.
Si noti l’affermazione centrale: “Quando Dio volle rinnovare la faccia della terra, cominciò col mandare su di essa l’acqua fecondatrice della Salutazione angelica”.
Sembrerebbe inconcepibile che il grande Predicatore spagnolo non sapesse che ogni grazia passa attraverso le mani di Maria, anche quella dei frutti della predicazione, vale a dire la grazia della conversione dei cuori a Cristo.
Opportunamente il P. Spiazzi scrive: “non senza ispirazione della Beata Vergine”.
È interessante a questo proposito quanto racconta il P. Cornelio de Sneckis, discepolo di Alano De La Roche (1428-1475): “Quando S. Domenico predicava agli Albigesi, all’inizio non ottenne che scarsi risultati. Un giorno, se ne lamentava con la SS. Vergine, mentre devotamente pregava. Essa allora gli rispose: ‘Non meravigliarti se fino ad ora hai ottenuto così poco frutto dalle tue fatiche, perché hai seminato in un terreno sterile, non ancora bagnato dalla rugiada della divina Grazia. Quando Dio volle rinnovare la faccia della terra, cominciò col mandare su di essa l’acqua fecondatrice della Salutazione angelica; predica il mio Salterio, composto di 150 salutazioni angeliche e di 15 Pater noster, ed otterrai così una messe abbondante’. Da quel momento il servo di Dio cominciò a predicare questa devozione, la fece conoscere al popolo e ottenne la conversione di moltissime anime”.
Si noti l’affermazione centrale: “Quando Dio volle rinnovare la faccia della terra, cominciò col mandare su di essa l’acqua fecondatrice della Salutazione angelica”.
Sembrerebbe inconcepibile che il grande Predicatore spagnolo non sapesse che ogni grazia passa attraverso le mani di Maria, anche quella dei frutti della predicazione, vale a dire la grazia della conversione dei cuori a Cristo.
La preghiera di San Domenico
Il domenicano Bartolomeo da Trento, che ricevette l'abito dell'ordine dallo stesso S. Domenico o, secondo altri, da qualcuno dei suoi primi compagni, in uno scritto intitolato Epilogus vitae sanctorum segnala l'usanza, vigente già al suo tempo, di recitare, per ben tre volte, cinquanta Ave Maria in onore della Beata Vergine.
Stefano di Borbone, scrittore assai apprezzato dagli studiosi del Medioevo, ha introdotto nella sua ben nota opera Gli aneddoti un capitolo intitolato: "Perché si deve salutare e lodare la Beata Vergine", portando dieci ragioni a sostegno della pia pratica. In quel capitolo e in altre parti della stessa opera l'autore ricorda che molti del suo tempo coltivavano la devozione di recitare la salutazione angelica per cento o per cinquanta volte al giorno; e taluni anche per mille volte! Qui si può notare che allora l'Ave Maria si componeva soltanto della prima parte della formula attuale, vale a dire delle sole parole dell'arcangelo Gabriele e di Elisabetta.
Pregava in questo modo anche San Domenico?
Con certezza sappiamo dai testimoni oculari del processo di canonizzazione che “San Domenico aveva l’abitudine, dopo la Compieta e la preghiera fatta in comune dai frati... di rimanersene in chiesa a pregare. E di notte mentre pregava, si commuoveva tanto, da prorompere in gemiti e pianti...
Spessissimo pernottava in preghiera fino al mattino... Passava così spesso le notti in preghiera, che il teste non ricorda d’averlo mai visto dormire a letto” (Deposizione di fra Amizo da Milano, 18).
“Fra Domenico aveva l’usanza di passare molto spesso la notte in chiesa e pregava molto e, pregando, piangeva e mandava gemiti” (Deposizione di fra Rodolfo da Faenza, 31). “Passava le notti insonne, piangendo e gemendo per i peccati degli altri” (Atti del processo di Tolosa, 18).
S. Domenico “si dava di propria mano la disciplina tre volte per notte con una catena di ferro: la prima per sé, la seconda per i peccatori che vivevano nel mondo, la terza per quelli che soffrivano nel purgatorio” (cfr. P. Lippini, S. Domenico visto dai suoi contemporanei, p. 465).
Ebbene, non ci viene detto quali preghiere S. Domenico recitasse durante la notte, tuttavia sappiamo che si dava la disciplina tre volte, per tre intenzioni diverse. Questo potrebbe far supporre che anche la sua preghiera fosse suddivisa in tre parti.
E dal momento che consigliava di recitare cinquanta volte l’Ave Maria, possiamo arguire che questa pratica fosse da lui sperimentata, dal momento che non comandava e non predicava se non quello che viveva.
Stefano di Borbone, scrittore assai apprezzato dagli studiosi del Medioevo, ha introdotto nella sua ben nota opera Gli aneddoti un capitolo intitolato: "Perché si deve salutare e lodare la Beata Vergine", portando dieci ragioni a sostegno della pia pratica. In quel capitolo e in altre parti della stessa opera l'autore ricorda che molti del suo tempo coltivavano la devozione di recitare la salutazione angelica per cento o per cinquanta volte al giorno; e taluni anche per mille volte! Qui si può notare che allora l'Ave Maria si componeva soltanto della prima parte della formula attuale, vale a dire delle sole parole dell'arcangelo Gabriele e di Elisabetta.
Pregava in questo modo anche San Domenico?
Con certezza sappiamo dai testimoni oculari del processo di canonizzazione che “San Domenico aveva l’abitudine, dopo la Compieta e la preghiera fatta in comune dai frati... di rimanersene in chiesa a pregare. E di notte mentre pregava, si commuoveva tanto, da prorompere in gemiti e pianti...
Spessissimo pernottava in preghiera fino al mattino... Passava così spesso le notti in preghiera, che il teste non ricorda d’averlo mai visto dormire a letto” (Deposizione di fra Amizo da Milano, 18).
“Fra Domenico aveva l’usanza di passare molto spesso la notte in chiesa e pregava molto e, pregando, piangeva e mandava gemiti” (Deposizione di fra Rodolfo da Faenza, 31). “Passava le notti insonne, piangendo e gemendo per i peccati degli altri” (Atti del processo di Tolosa, 18).
S. Domenico “si dava di propria mano la disciplina tre volte per notte con una catena di ferro: la prima per sé, la seconda per i peccatori che vivevano nel mondo, la terza per quelli che soffrivano nel purgatorio” (cfr. P. Lippini, S. Domenico visto dai suoi contemporanei, p. 465).
Ebbene, non ci viene detto quali preghiere S. Domenico recitasse durante la notte, tuttavia sappiamo che si dava la disciplina tre volte, per tre intenzioni diverse. Questo potrebbe far supporre che anche la sua preghiera fosse suddivisa in tre parti.
E dal momento che consigliava di recitare cinquanta volte l’Ave Maria, possiamo arguire che questa pratica fosse da lui sperimentata, dal momento che non comandava e non predicava se non quello che viveva.
Antiche testimonianze su questa preghiera e sulle grazie che l’accompagnavano
Abbiamo un’interessante testimonianza su di un domenicano della prima ora, morto nel 1261, che aveva perseverato nell’Ordine per 40 anni. Si tratta di Fra Romeo di Levia, catalano. Era entrato nel 1221. Non sappiamo se conobbe San Domenico. Ma certamente lo spirito del santo Padre a quei tempi era ben vivo e noto a tutti.
Questa testimonianza della prima ora ci è fornita da Bernard Gui. Egli ricorda come “questo religioso avesse il piissimo costume di salutare mille volte al giorno, insieme con l’Angelo ("millesies in die, devota mente et ore sancto, cum angelo"), la Beata Vergine, verso la quale era portato ad una speciale devozione, e della cui dolcissima salutazione non poteva mai saziarsi (cuius salutatione dulcissima non poterat satiari)...
Meditava a lungo i misteri di Gesù e di Maria... Ed essendosi ammalato presso Carcassonne si addormentò nel Signore mentre esortava i frati a praticare questa devozione, tenendo ferma nella mano una corda con dei nodi con i quali era solito contare le mille Ave Maria che recitava ogni giorno”.
Da questo testo si può dedurre che già allora la recita di un numero determinato di Ave Maria era accompagnata dalla meditazione dei "misteri". Fra Romeo infatti pregava meditando e recitando santamente.
Ecco qui la pratica di quello che in seguito sarà chiamato il santo Rosario: si tiene in mano una cordicella per contare le Ave Maria, si medita e si recita la preghiera.
In un manoscritto, conservato nella Biblioteca municipale di Tolosa, si raccomanda di insegnare ai novizi domenicani come ripetere da cinquecento a mille volte l’Ave Maria, tutti i giorni, in modo che essi possano ripeterla anche dormendo.
Questo testo fu approvato dal capitolo generale di Montpellier del 1238.
Tommaso da Cantimpré, del secolo XIII, nello scritto Bonum universale de apibus, porta tante testimonianze di grazie ricevute dopo aver pregato in questo modo.
Ad esempio, ricorda come un giovane ottenesse dalla Beata Vergine la grazia di vincere le sue passioni recitando dapprima cinquanta volte la salutazione angelica (Ave Maria), e poi centocinquanta, vale a dire l'intero "Salterio" mariano.
Lo stesso autore riferisce un altro fatto avvenuto nel 1251, riguardante un giovane del Brabante impegnato a recitare ogni giorno, per tre volte, cinquanta Ave Maria: caduto malato, fu ben presto risanato per intercessione della Beata Vergine, come premio a quella sua devozione.
Da questi episodi Tommaso di Cantimpré trae la conclusione che il vero devoto della Beata Vergine deve ripetere spesso e con filiale fiducia quel dolcissimo saluto, persuaso com'è - e lo dice testualmente - che non si può offrire alla celeste Madre una lode a lei più gradita.
Questa testimonianza della prima ora ci è fornita da Bernard Gui. Egli ricorda come “questo religioso avesse il piissimo costume di salutare mille volte al giorno, insieme con l’Angelo ("millesies in die, devota mente et ore sancto, cum angelo"), la Beata Vergine, verso la quale era portato ad una speciale devozione, e della cui dolcissima salutazione non poteva mai saziarsi (cuius salutatione dulcissima non poterat satiari)...
Meditava a lungo i misteri di Gesù e di Maria... Ed essendosi ammalato presso Carcassonne si addormentò nel Signore mentre esortava i frati a praticare questa devozione, tenendo ferma nella mano una corda con dei nodi con i quali era solito contare le mille Ave Maria che recitava ogni giorno”.
Da questo testo si può dedurre che già allora la recita di un numero determinato di Ave Maria era accompagnata dalla meditazione dei "misteri". Fra Romeo infatti pregava meditando e recitando santamente.
Ecco qui la pratica di quello che in seguito sarà chiamato il santo Rosario: si tiene in mano una cordicella per contare le Ave Maria, si medita e si recita la preghiera.
In un manoscritto, conservato nella Biblioteca municipale di Tolosa, si raccomanda di insegnare ai novizi domenicani come ripetere da cinquecento a mille volte l’Ave Maria, tutti i giorni, in modo che essi possano ripeterla anche dormendo.
Questo testo fu approvato dal capitolo generale di Montpellier del 1238.
Tommaso da Cantimpré, del secolo XIII, nello scritto Bonum universale de apibus, porta tante testimonianze di grazie ricevute dopo aver pregato in questo modo.
Ad esempio, ricorda come un giovane ottenesse dalla Beata Vergine la grazia di vincere le sue passioni recitando dapprima cinquanta volte la salutazione angelica (Ave Maria), e poi centocinquanta, vale a dire l'intero "Salterio" mariano.
Lo stesso autore riferisce un altro fatto avvenuto nel 1251, riguardante un giovane del Brabante impegnato a recitare ogni giorno, per tre volte, cinquanta Ave Maria: caduto malato, fu ben presto risanato per intercessione della Beata Vergine, come premio a quella sua devozione.
Da questi episodi Tommaso di Cantimpré trae la conclusione che il vero devoto della Beata Vergine deve ripetere spesso e con filiale fiducia quel dolcissimo saluto, persuaso com'è - e lo dice testualmente - che non si può offrire alla celeste Madre una lode a lei più gradita.
Il beato Alain de la Roche (Alano della Rupe)
Alain de la Roche (1428-1475) fu un domenicano bretone (Francia settentrionale), della congregazione riformata di Olanda
Per vari anni esercitò l’incarico di professore di teologia all’università di Parigi, poi a Lille, a Gand, a Rostock.
Nel 1463 prese coscienza della sua missione rosariana, disse di aver avuto per rivelazione la missione di predicare e propagare il Rosario. Da allora la sua predicazione e i suoi scritti non ebbero altro scopo che far conoscere questa forma di preghiera.
Alano preferì il termine “Salterio” a quello di “Rosario” per definire il suo metodo di preghiera, che si rifaceva a quello di Domenico di Prussia; infatti consisteva nella recita di 150 Ave Maria, divise in gruppi di 10, intercalati da un Pater noster. A ogni Ave Maria egli aggiungeva un pensiero sui principali misteri della fede, che commentava con una breve predica. La contemplazione dei misteri relativi alla vita, passione, glorificazione di Gesù era la cosa che maggiormente gli interessava.
Ecco alcuni passi tratti dalle sue opere: “La Madonna attrasse a sé S. Domenico e gli rivelò il triplice schema del salterio (ovvero del Rosario) dicendogli di predicarlo con costanza. Questi è quell’apostolo del salterio cui la Vergine diede il mandato e la forma di predicarlo, e veramente lo predicò e distribuì dei salteri in pubblico alle persone di somma, infima e media condizione di modo che con l’uso del salterio irrobustisse la religione cristiana, la difendesse, accendesse la pietà e propagasse la Chiesa”.
Alano creò anche alcune confraternite che riunivano i devoti del salterio. La prima fu la ”Confraternita del salterio di Gesù e Maria” da lui fondata a Douai nel 1470.
Nello statuto si legge che i confratelli si impegnavano a recitare l’intero salterio, a confessarsi e a comunicarsi al momento dell’iscrizione e almeno tre volte all’anno. Ogni iscritto partecipava ai meriti ed ai benefici delle preghiere di tutti gli altri membri. Il “Salterio di Gesù e di Maria” fu presto accettato dalla congregazione riformata dei domenicani di Olanda. Già nel 1473 la congregazione lo impose ai suoi frati come preghiera di suffragio da recitarsi per i vivi e per i defunti.
Alano è venerato, a furor di popolo, con il titolo di beato (9 settembre).
Per vari anni esercitò l’incarico di professore di teologia all’università di Parigi, poi a Lille, a Gand, a Rostock.
Nel 1463 prese coscienza della sua missione rosariana, disse di aver avuto per rivelazione la missione di predicare e propagare il Rosario. Da allora la sua predicazione e i suoi scritti non ebbero altro scopo che far conoscere questa forma di preghiera.
Alano preferì il termine “Salterio” a quello di “Rosario” per definire il suo metodo di preghiera, che si rifaceva a quello di Domenico di Prussia; infatti consisteva nella recita di 150 Ave Maria, divise in gruppi di 10, intercalati da un Pater noster. A ogni Ave Maria egli aggiungeva un pensiero sui principali misteri della fede, che commentava con una breve predica. La contemplazione dei misteri relativi alla vita, passione, glorificazione di Gesù era la cosa che maggiormente gli interessava.
Ecco alcuni passi tratti dalle sue opere: “La Madonna attrasse a sé S. Domenico e gli rivelò il triplice schema del salterio (ovvero del Rosario) dicendogli di predicarlo con costanza. Questi è quell’apostolo del salterio cui la Vergine diede il mandato e la forma di predicarlo, e veramente lo predicò e distribuì dei salteri in pubblico alle persone di somma, infima e media condizione di modo che con l’uso del salterio irrobustisse la religione cristiana, la difendesse, accendesse la pietà e propagasse la Chiesa”.
Alano creò anche alcune confraternite che riunivano i devoti del salterio. La prima fu la ”Confraternita del salterio di Gesù e Maria” da lui fondata a Douai nel 1470.
Nello statuto si legge che i confratelli si impegnavano a recitare l’intero salterio, a confessarsi e a comunicarsi al momento dell’iscrizione e almeno tre volte all’anno. Ogni iscritto partecipava ai meriti ed ai benefici delle preghiere di tutti gli altri membri. Il “Salterio di Gesù e di Maria” fu presto accettato dalla congregazione riformata dei domenicani di Olanda. Già nel 1473 la congregazione lo impose ai suoi frati come preghiera di suffragio da recitarsi per i vivi e per i defunti.
Alano è venerato, a furor di popolo, con il titolo di beato (9 settembre).
San Pio V e il Rosario
Antonio Ghisleri (1504-1572), che da Papa assunse il nome di Pio V, era un frate domenicano, uomo di orazione, di studio e di dottrina, di grande impegno e zelo personale. Guidò la Chiesa nel periodo postridentino tenendo in una mano, come qualcuno ha detto, i decreti del concilio di Trento e nell’altra il Rosario. Fece pubblicare il catechismo, il breviario e il messale voluti dal concilio.
Il 17 settembre 1569 emanò la bolla “Consueverunt romani pontifices”, considerata la “magna charta del Rosario”. Vi si descrive l’origine del Rosario, il nome, gli elementi essenziali, gli effetti, la finalità e il modo di propagarlo.
In particolare, in questa bolla il Papa aggiunge la seconda parte dell’Ave Maria. È il saluto e l’invocazione della Chiesa che si aggiunge al saluto del Cielo.
In questo documento il Pontefice dichiara, per la prima volta, che per lucrare le indulgenze del Rosario è indispensabile la meditazione di misteri, che gli fissa in quindici. In alcune forme precedenti si presentavano 50 eventi della vita di Cristo.
Legata a San Pio V è anche la straordinaria vittoria di Lepanto, che impedì all’impero ottomano, che praticamente dominava tutto il Mediterraneo, di penetrare in Europa. Il 7 ottobre 1571, che in quell’anno cadeva di domenica, le forze cattoliche unite vinsero a Lepanto (Grecia) contro i turchi una dura battaglia navale, decisiva per le sorti di tutto l’Occidente. Subito si diffuse la convinzione che la vittoria fosse da attribuire ai tanti Rosari recitati per quell’evento e quindi alla speciale intercessione di Maria, Regina del Rosario.
S. Pio V con la bolla “Salvatoris Domini”, del 5 marzo 1572, suffragò tale convincimento affermando che “per i meriti e l’intercessione della sempre Vergine Madre di Dio è stata ottenuta la vittoria contro i turchi”.
Fece scrivere sotto una pittura rappresentante la battaglia di Lepanto: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria rosarii victores nos fecit” (non la forza, non le armi, non i capitani, ma la Madonna del Rosario ci ha resi vittoriosi).
Il 17 settembre 1569 emanò la bolla “Consueverunt romani pontifices”, considerata la “magna charta del Rosario”. Vi si descrive l’origine del Rosario, il nome, gli elementi essenziali, gli effetti, la finalità e il modo di propagarlo.
In particolare, in questa bolla il Papa aggiunge la seconda parte dell’Ave Maria. È il saluto e l’invocazione della Chiesa che si aggiunge al saluto del Cielo.
In questo documento il Pontefice dichiara, per la prima volta, che per lucrare le indulgenze del Rosario è indispensabile la meditazione di misteri, che gli fissa in quindici. In alcune forme precedenti si presentavano 50 eventi della vita di Cristo.
Legata a San Pio V è anche la straordinaria vittoria di Lepanto, che impedì all’impero ottomano, che praticamente dominava tutto il Mediterraneo, di penetrare in Europa. Il 7 ottobre 1571, che in quell’anno cadeva di domenica, le forze cattoliche unite vinsero a Lepanto (Grecia) contro i turchi una dura battaglia navale, decisiva per le sorti di tutto l’Occidente. Subito si diffuse la convinzione che la vittoria fosse da attribuire ai tanti Rosari recitati per quell’evento e quindi alla speciale intercessione di Maria, Regina del Rosario.
S. Pio V con la bolla “Salvatoris Domini”, del 5 marzo 1572, suffragò tale convincimento affermando che “per i meriti e l’intercessione della sempre Vergine Madre di Dio è stata ottenuta la vittoria contro i turchi”.
Fece scrivere sotto una pittura rappresentante la battaglia di Lepanto: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria rosarii victores nos fecit” (non la forza, non le armi, non i capitani, ma la Madonna del Rosario ci ha resi vittoriosi).
Il beato Bartolo Longo, apostolo del Rosario
L'avvocato Bartolo Longo (1841.1926), beatificato da Giovanni Paolo II nel 1980, è un mirabile esempio di devozione alla beata Vergine del Rosario. Fu certamente uno strumento della divina Provvidenza per l'esaltazione di Maria in un periodo di scetticismo e di anticlericalismo. Ricondotto alla fede (1866) dal domenicano p. Alberto Radente (+ 1885), che egli chiama «dilettissimo maestro e direttore spirituale», fu accolto nel terz'Ordine domenicano il 7 ottobre 1871, col nome di fra Rosario e dedicò la propria esistenza alla promozione della devozione del santo Rosario e all'assistenza dei poveri.
Fu proprio il p. Radente, grande devoto di Maria, a trasmettergli la devozione alla Vergine del Rosario. L'avvocato incontrò la prima volta il domenicano tra la povera gente della Valle di Pompei. Nella piccola chiesa di quella località malavitosa Bartolo Longo espose alla venerazione dei fedeli una immagine della Madonna del Rosario, donatagli dallo stesso p. Radente. In seguito qui volle erigere nel 1876 quel famoso Santuario dedicato alla Vergine del Rosario, ormai noto in tutto il mondo.
L'Ordine domenicano per lui è soprattutto «l'Ordine del Rosario di Maria».
Nel Rosario vede riflesso lo spirito dell'Ordine. Scrive: «L'eccellenza di questa che è la più nobile e la più dolce delle devozioni procede da questo, che è l'unione della vita attiva e della contemplativa: cioè recitare con la bocca in devoto atteggiamento del corpo le più belle preghiere della Chiesa, e con l'animo meditare Gesù e Maria Vergine negli atti della loro vita mortale, vale a dire il loro amore per noi, le loro pene e i loro trionfi».
Per alimentare la pietà mariana e diffondere la devozione al santo Rosario, scrive «I quindici Sabati in onore della Vergine del Rosario» (1877) e nel 1894 dà inizio alla pubblicazione del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei». Collabora poi col p. Radente alla stesura della Supplica, divenuta famosa in tutto il mondo e che tanto ha contribuito a far amare il Rosario. Nella primitiva edizione della Supplica (1885) aveva inserito un’invocazione per il Terz’Ordine domenicano, che suonava così: “Benedite l’Ordine di San Domenico, e in modo speciale il Terz’Ordine, che ha eretto in Pompei la vostra Casa”.
Nel suo testamento scrive: “Voglio morire da vero terziario domenicano, nel Cuore sacratissimo di Gesù, tra le braccia della madre mia santissima, la Regina del Rosario... e del mio Padre San Domenico e di mia madre Santa Caterina da Siena... di San Tommaso d’Aquino”.
Fu proprio il p. Radente, grande devoto di Maria, a trasmettergli la devozione alla Vergine del Rosario. L'avvocato incontrò la prima volta il domenicano tra la povera gente della Valle di Pompei. Nella piccola chiesa di quella località malavitosa Bartolo Longo espose alla venerazione dei fedeli una immagine della Madonna del Rosario, donatagli dallo stesso p. Radente. In seguito qui volle erigere nel 1876 quel famoso Santuario dedicato alla Vergine del Rosario, ormai noto in tutto il mondo.
L'Ordine domenicano per lui è soprattutto «l'Ordine del Rosario di Maria».
Nel Rosario vede riflesso lo spirito dell'Ordine. Scrive: «L'eccellenza di questa che è la più nobile e la più dolce delle devozioni procede da questo, che è l'unione della vita attiva e della contemplativa: cioè recitare con la bocca in devoto atteggiamento del corpo le più belle preghiere della Chiesa, e con l'animo meditare Gesù e Maria Vergine negli atti della loro vita mortale, vale a dire il loro amore per noi, le loro pene e i loro trionfi».
Per alimentare la pietà mariana e diffondere la devozione al santo Rosario, scrive «I quindici Sabati in onore della Vergine del Rosario» (1877) e nel 1894 dà inizio alla pubblicazione del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei». Collabora poi col p. Radente alla stesura della Supplica, divenuta famosa in tutto il mondo e che tanto ha contribuito a far amare il Rosario. Nella primitiva edizione della Supplica (1885) aveva inserito un’invocazione per il Terz’Ordine domenicano, che suonava così: “Benedite l’Ordine di San Domenico, e in modo speciale il Terz’Ordine, che ha eretto in Pompei la vostra Casa”.
Nel suo testamento scrive: “Voglio morire da vero terziario domenicano, nel Cuore sacratissimo di Gesù, tra le braccia della madre mia santissima, la Regina del Rosario... e del mio Padre San Domenico e di mia madre Santa Caterina da Siena... di San Tommaso d’Aquino”.
“Chi propaga il Rosario è salvo”
Il beato Bartolo Longo così descrive il momento culminante della sua conversione e la decisione di dedicarsi alla diffusione del Rosario: «Un giorno, correva l'ottobre 1872, la procella dell'animo mi bruciava il cuore più che ogni altra volta, e m'infondeva una tristezza cupa e poco men che disperata. Uscii dalla casa De Fusco e mi posi con passo frettoloso a camminare per la Valle senza sapere dove. Tutto era avvolto in quiete profonda. Volsi gli occhi in giro; nessun'ombra di anima viva. Allora mi arrestai di botto. Sentivami scoppiare il cuore. Con cotanta tenebra d'animo una voce amica pareva mi sussurrasse all'orecchio quelle parole che io stesso avevo letto e che di frequente ripetevami il santo amico dell'anima mia ora defunto (padre Radente): "Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria". Chi propaga il Rosario è salvo! Questo pensiero fu come un baleno che rompe il buio di una notte tempestosa. Satana, che mi teneva avvinto come una preda, intravide la sua sconfitta e più mi costringeva nelle sue spire infernali. Era l'ultima lotta, disperata lotta. "Se è vero -gridai - che Tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò, perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario".
Nessuno rispose; silenzio di tomba mi avvolgeva intorno. Ma da una calma, che repentinamente successe alla tempesta dell'animo mio, inferii che forse quel grido di ambascia sarebbe un giorno esaudito. Una lontana eco di campana giunse ai miei orecchi e mi scosse; sonava l'Angelus del mezzodì. Mi prostrai e articolai la prece che in quell'ora un mondo di fedeli volge a Maria. Quando mi levai in piedi mi accorsi che sulle guance era corsa una lacrima. La risposta del cielo non fu tarda.
Io dunque determinai con animo risoluto di promuovere con tutti i miei sforzi la devozione del Rosario in questa Valle desolata ove, per arcane disposizioni di Provvidenza, già mi trovavo. Divisai quindi, per venire a capo, che il primo passo per cattivarmi gli animi dovesse essere la fondazione di una confraternita del Rosario».
Nessuno rispose; silenzio di tomba mi avvolgeva intorno. Ma da una calma, che repentinamente successe alla tempesta dell'animo mio, inferii che forse quel grido di ambascia sarebbe un giorno esaudito. Una lontana eco di campana giunse ai miei orecchi e mi scosse; sonava l'Angelus del mezzodì. Mi prostrai e articolai la prece che in quell'ora un mondo di fedeli volge a Maria. Quando mi levai in piedi mi accorsi che sulle guance era corsa una lacrima. La risposta del cielo non fu tarda.
Io dunque determinai con animo risoluto di promuovere con tutti i miei sforzi la devozione del Rosario in questa Valle desolata ove, per arcane disposizioni di Provvidenza, già mi trovavo. Divisai quindi, per venire a capo, che il primo passo per cattivarmi gli animi dovesse essere la fondazione di una confraternita del Rosario».
La Corona del Rosario e le indulgenze
Merita una riflessione anche lo strumento che viene usato per recitare il Rosario.
Dice Giovanni Paolo II: “Strumento tradizionale per la recita del Rosario è la corona. Nella pratica più superficiale, essa finisce per essere spesso un semplice strumento di conteggio per registrare il succedersi delle Ave Maria. Ma essa si presta anche ad esprimere un simbolismo, che può dare ulteriore spessore alla contemplazione.
A tal proposito, la prima cosa da notare è come la corona converga verso il Crocifisso, che apre così e chiude il cammino stesso dell'orazione. In Cristo è centrata la vita e la preghiera dei credenti. Tutto parte da Lui, tutto tende a Lui,tutto, mediante Lui, nello Spirito Santo, giunge al Padre.
In quanto strumento di conteggio, che scandisce l'avanzare della preghiera, la corona evoca l'incessante cammino della contemplazione e della perfezione cristiana. Il beato Bartolo Longo la vedeva anche come una 'catena' che ci lega a Dio. Catena, sì, ma catena dolce; tale sempre si rivela il rapporto con un Dio che è Padre. Catena 'filiale', che ci pone in sintonia con Maria, la «serva del Signore» (Lc 1,38), e, in definitiva, con Cristo stesso, che, pur essendo Dio, si fece «servo» per amore nostro (Fil 2,7).
Bello è anche estendere il significato simbolico della corona al nostro rapporto reciproco, ricordando con essa il vincolo di comunione e di fraternità che tutti ci lega in Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 36).
Giova infine ricordare che la Chiesa ci tiene così tanto a questa preghiera che nel corso del tempo ha voluto arricchirla di tante indulgenze.
“La recita è poi conclusa con la preghiera secondo le intenzioni del Papa, per allargare lo sguardo di chi prega sull'ampio orizzonte delle necessità ecclesiali. È proprio per incoraggiare questa proiezione ecclesiale del Rosario che la Chiesa ha voluto arricchirlo di sante indulgenze per chi lo recita con le debite disposizioni.
In effetti, se vissuto così, il Rosario diventa veramente un percorso spirituale, in cui Maria si fa madre, maestra, guida, e sostiene il fedele con la sua intercessione potente. Come stupirsi se l'animo sente il bisogno, alla fine di questa preghiera, in cui ha fatto intima esperienza della maternità di Maria, di sciogliersi nelle lodi per la Vergine Santa, sia nella splendida preghiera della Salve Regina, che in quella delle Litanie lauretane? È il coronamento di un cammino interiore, che ha portato il fedele a contatto vivo con il mistero di Cristo e della sua Madre Santissima” (Rosarium Virginis Mariae, 37).
Viene concessa l’indulgenza plenaria recitando il Rosario in chiesa o pubblico oratorio, oppure in famiglia, in una Comunità religiosa, in una pia Associazione. Si concede invece l’indulgenza parziale nelle altre circostanze.
Le condizioni per l’indulgenza plenaria sono:
1) la recita di una terza parte del Rosario; ma le cinque decadi devono recitarsi senza interruzione;
2) all’orazione vocale si deve aggiungere la pia meditazione dei misteri;
3) per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario adempiere queste tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice; queste tre condizioni possono essere adempiute parecchi giorni prima o dopo la recita del Rosario; tuttavia conviene che la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice siano fatte nello stesso giorno in cui si dice il Rosario;
4) per acquistare l’indulgenza plenaria si richiede che sia escluso qualsiasi affetto al peccato, anche veniale;
5) se manca la piena disposizione o non sono poste le predette tre condizioni, l’indulgenza è solamente parziale;
6) chi devotamente usa o porta con sé la corona benedetta acquista un’indulgenza parziale.
Dice Giovanni Paolo II: “Strumento tradizionale per la recita del Rosario è la corona. Nella pratica più superficiale, essa finisce per essere spesso un semplice strumento di conteggio per registrare il succedersi delle Ave Maria. Ma essa si presta anche ad esprimere un simbolismo, che può dare ulteriore spessore alla contemplazione.
A tal proposito, la prima cosa da notare è come la corona converga verso il Crocifisso, che apre così e chiude il cammino stesso dell'orazione. In Cristo è centrata la vita e la preghiera dei credenti. Tutto parte da Lui, tutto tende a Lui,tutto, mediante Lui, nello Spirito Santo, giunge al Padre.
In quanto strumento di conteggio, che scandisce l'avanzare della preghiera, la corona evoca l'incessante cammino della contemplazione e della perfezione cristiana. Il beato Bartolo Longo la vedeva anche come una 'catena' che ci lega a Dio. Catena, sì, ma catena dolce; tale sempre si rivela il rapporto con un Dio che è Padre. Catena 'filiale', che ci pone in sintonia con Maria, la «serva del Signore» (Lc 1,38), e, in definitiva, con Cristo stesso, che, pur essendo Dio, si fece «servo» per amore nostro (Fil 2,7).
Bello è anche estendere il significato simbolico della corona al nostro rapporto reciproco, ricordando con essa il vincolo di comunione e di fraternità che tutti ci lega in Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 36).
Giova infine ricordare che la Chiesa ci tiene così tanto a questa preghiera che nel corso del tempo ha voluto arricchirla di tante indulgenze.
“La recita è poi conclusa con la preghiera secondo le intenzioni del Papa, per allargare lo sguardo di chi prega sull'ampio orizzonte delle necessità ecclesiali. È proprio per incoraggiare questa proiezione ecclesiale del Rosario che la Chiesa ha voluto arricchirlo di sante indulgenze per chi lo recita con le debite disposizioni.
In effetti, se vissuto così, il Rosario diventa veramente un percorso spirituale, in cui Maria si fa madre, maestra, guida, e sostiene il fedele con la sua intercessione potente. Come stupirsi se l'animo sente il bisogno, alla fine di questa preghiera, in cui ha fatto intima esperienza della maternità di Maria, di sciogliersi nelle lodi per la Vergine Santa, sia nella splendida preghiera della Salve Regina, che in quella delle Litanie lauretane? È il coronamento di un cammino interiore, che ha portato il fedele a contatto vivo con il mistero di Cristo e della sua Madre Santissima” (Rosarium Virginis Mariae, 37).
Viene concessa l’indulgenza plenaria recitando il Rosario in chiesa o pubblico oratorio, oppure in famiglia, in una Comunità religiosa, in una pia Associazione. Si concede invece l’indulgenza parziale nelle altre circostanze.
Le condizioni per l’indulgenza plenaria sono:
1) la recita di una terza parte del Rosario; ma le cinque decadi devono recitarsi senza interruzione;
2) all’orazione vocale si deve aggiungere la pia meditazione dei misteri;
3) per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario adempiere queste tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice; queste tre condizioni possono essere adempiute parecchi giorni prima o dopo la recita del Rosario; tuttavia conviene che la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice siano fatte nello stesso giorno in cui si dice il Rosario;
4) per acquistare l’indulgenza plenaria si richiede che sia escluso qualsiasi affetto al peccato, anche veniale;
5) se manca la piena disposizione o non sono poste le predette tre condizioni, l’indulgenza è solamente parziale;
6) chi devotamente usa o porta con sé la corona benedetta acquista un’indulgenza parziale.
Padre Angelo Bellon op
(Lc 12,35-38) Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli.
VANGELO
(Lc 12,35-38) Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito accanto a me, su di me, dentro di me. Riempimi della tua sapienza e del tuo discernimento, perchè io possa solo fare e dire ciò che è utile al Signore. Amen.
In questi giorni la Chiesa ci presenta il Vangelo di Luca sulla vigilanza e sulla fedeltà ed in particolare oggi ci presenta un uso tipico dei lavoratori orientali, che si sollevavamo le lunghe vesti cingendo con una fascia i fianchi, per poter camminare più agevolmente, liberati dall'ingombro che ostacola il cammino.Questo può a mio avviso sottintendere anche un cammino spirituale più sciolto, libero dall'ingombro dei nostri pensieri, dei nostri peccati, così come Gesù ci chiama a compiere.Il padrone che torna dalle nozze e troverà ancora svegli e vigilanti i suoi servi, fa riflettere su altre parole di Gesù,che dice in (Lc 18,8.) "Quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?"Il banchetto nunziale diventa il banchetto con tutti i suoi amici, con chi persevererà nella fede e non si farà distrarre dalle cose del mondo e della carne, ma sempre rivolgerà lo sguardo alle cose di Dio.Nessuno sa il momento in cui ci troveremo davanti al Signore, ma non è solo per il dopo che dovremo imparare a camminare alla sequela di Cristo, ma anche per cambiare la nostra esistenza terrena.Beati coloro che saranno trovati vigilanti e fedeli al ritorno del Signore
domenica 20 ottobre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Fa che non turbi l’anima tua il triste
spettacolo della ingiustizia umana; anche questa, nella economia delle
cose, ha il suo valore. È su di essa che vedrai sorgere un giorno
l’immancabile trionfo della giustizia di Dio!" (GF, 175).
SANTI é BEATI :
- Sant' Orsola e compagne Martiri
21 ottobre
Vissero probabilmente nel IV secolo e non nel V come vuole la leggenda. Una Passio del X secolo, infatti, narra di una giovane bellissima, Orsola, figlia di un re bretone, che accettò di sposare il figlio di un re pagano con la promessa che si sarebbe convertito alla fede cristiana. Partì con 11.000 vergini per raggiungere lo sposo, ma l'incontro con gli Unni di Attila provocò il loro martirio. Orsola fu trafitta da una freccia perché non aveva voluto sposare lo stesso Attila. Questa leggenda, comunque, a una base storica, come ha dimostrato il ritrovamento di una iscrizione presso una chiesa di Colonia. L'iscrizione parla del martirio di Orsola e di altre dieci vergini (divenute 11.000 per un piccolo segno sul numero romano XI), martirio avvenuto probabilmente sotto Diocleziano.
Patronato: Ragazze, Scolare
Etimologia: Orsola = piccola orsa, forte
Emblema: Donna sotto un mantello, Palma
Martirologio Romano: Presso Colonia in Germania, commemorazione delle sante vergini, che terminarono la loro vita con il martirio per Cristo nel luogo in cui fu poi costruita la basilica della città dedicata in onore della piccola Orsola, vergine innocente, ritenuta di tutte la capofila.
Le non poche leggende che avvolgono la figura di S. Orsola potrebbero considerarsi racconti esuberanti, che si diramano da realtà importanti: da una iscrizione nel coro della chiesa omonima in Colonia, ritenuta oggi autentica ed assegnata al IV-V secolo, fino alla protezione degli studi alla Sorbona e nelle università di Coimbra e Vienna. La collocazione nella storia della santa può oscillare dai tempi di Diocleziano, il dalmata imperatore romano che perseguitò i cristiani nel 303-304, a quelli di Attila (395-453), il re degli Unni e “flagello di Dio” che pure non scherzò affatto coi cristiani. D’altra parte la leggenda medioevale intorno ai santi non va considerata riduttivamente come propaganda dei preti o come esigenza localistica di prestigio.
Orsola o Ursula, figlia di un re di Britannia, era bellissima, segretamente consacrata a Dio. Un re pagano, di nome Aetherius, si fece ben presto avanti per ottenerla in sposa. Il matrimonio avrebbe scongiurato una guerra, quindi diventava politico; perciò il padre fu quasi obbligato a dare il proprio consenso. Ma la giovane pose alcune condizioni: una dilazione di tre anni, la promessa del pretendente che si sarebbe convertito e la programmazione di un pellegrinaggio insieme a Roma. Scaduti i tre anni,Orsola e undici nobili fanciulle (che diventeranno successivamente undicimila per un errore di trascrizione dell’iscrizione di cui sopra) salparono dai propri lidi e per mare e poi per fiume raggiunsero Colonia.
Dopo avere là brevemente soggiornato,le undici giovani, incoraggiate da un angelo, proseguirono, sempre navigando sul Reno, fino a Basilea. Dalla Svizzera raggiunsero a piedi, oranti pellegrine, Roma, dove Orsola fu ricevuta dal Papa. Davanti al Santo Padre comparve anche il promesso sposo che, nel frattempo, si era convertito al cristianesimo. Nello stesso anno e seguendo il medesimo tragitto, le vergini ritornarono a Colonia. In tale antica e importante città tedesca Orsola e le altre, per la loro manifesta fede cristiana, vennero torturate e messe a morte a colpi di freccia.
Colonia, che pure coltiva dal 1162 un grande culto verso i Magi, la ricorda come propria patrona insieme a S. Cuniberto, vescovo nel VII secolo. Le comunità cattoliche la venerano sempre, anche attualmente, in buona parte del mondo e talora con grandi cerimonie religiose, il 21 ottobre, suo giorno del calendario liturgico. Anche Mantova non ha voluto essere da meno, facendo costruire in suo onore, nel 1608 su progetto dell’architetto di corte Antonio Maria Viani, la chiesa di recente restaurata e che prospetta sul corso Vittorio Emanuele II. Non marginale il fatto che le Orsoline, fondate nel 1535 da Sant’Angela Merici, abbiano operato per più di un secolo nella città di Virgilio, educando tanta gioventù femminile.
Innumerevoli sono, come in parte già accennato, i patronati di Sant’Orsola; tra loro riveste particolare significato quello sul matrimonio felice. Considerata la condiscendenza del promesso sposo, la santa può venire invocata infatti dai nubendi per avere un buon matrimonio.
Autore: Mario Benatti
21 ottobre
Vissero probabilmente nel IV secolo e non nel V come vuole la leggenda. Una Passio del X secolo, infatti, narra di una giovane bellissima, Orsola, figlia di un re bretone, che accettò di sposare il figlio di un re pagano con la promessa che si sarebbe convertito alla fede cristiana. Partì con 11.000 vergini per raggiungere lo sposo, ma l'incontro con gli Unni di Attila provocò il loro martirio. Orsola fu trafitta da una freccia perché non aveva voluto sposare lo stesso Attila. Questa leggenda, comunque, a una base storica, come ha dimostrato il ritrovamento di una iscrizione presso una chiesa di Colonia. L'iscrizione parla del martirio di Orsola e di altre dieci vergini (divenute 11.000 per un piccolo segno sul numero romano XI), martirio avvenuto probabilmente sotto Diocleziano.
Patronato: Ragazze, Scolare
Etimologia: Orsola = piccola orsa, forte
Emblema: Donna sotto un mantello, Palma
Martirologio Romano: Presso Colonia in Germania, commemorazione delle sante vergini, che terminarono la loro vita con il martirio per Cristo nel luogo in cui fu poi costruita la basilica della città dedicata in onore della piccola Orsola, vergine innocente, ritenuta di tutte la capofila.
Le non poche leggende che avvolgono la figura di S. Orsola potrebbero considerarsi racconti esuberanti, che si diramano da realtà importanti: da una iscrizione nel coro della chiesa omonima in Colonia, ritenuta oggi autentica ed assegnata al IV-V secolo, fino alla protezione degli studi alla Sorbona e nelle università di Coimbra e Vienna. La collocazione nella storia della santa può oscillare dai tempi di Diocleziano, il dalmata imperatore romano che perseguitò i cristiani nel 303-304, a quelli di Attila (395-453), il re degli Unni e “flagello di Dio” che pure non scherzò affatto coi cristiani. D’altra parte la leggenda medioevale intorno ai santi non va considerata riduttivamente come propaganda dei preti o come esigenza localistica di prestigio.
Orsola o Ursula, figlia di un re di Britannia, era bellissima, segretamente consacrata a Dio. Un re pagano, di nome Aetherius, si fece ben presto avanti per ottenerla in sposa. Il matrimonio avrebbe scongiurato una guerra, quindi diventava politico; perciò il padre fu quasi obbligato a dare il proprio consenso. Ma la giovane pose alcune condizioni: una dilazione di tre anni, la promessa del pretendente che si sarebbe convertito e la programmazione di un pellegrinaggio insieme a Roma. Scaduti i tre anni,Orsola e undici nobili fanciulle (che diventeranno successivamente undicimila per un errore di trascrizione dell’iscrizione di cui sopra) salparono dai propri lidi e per mare e poi per fiume raggiunsero Colonia.
Dopo avere là brevemente soggiornato,le undici giovani, incoraggiate da un angelo, proseguirono, sempre navigando sul Reno, fino a Basilea. Dalla Svizzera raggiunsero a piedi, oranti pellegrine, Roma, dove Orsola fu ricevuta dal Papa. Davanti al Santo Padre comparve anche il promesso sposo che, nel frattempo, si era convertito al cristianesimo. Nello stesso anno e seguendo il medesimo tragitto, le vergini ritornarono a Colonia. In tale antica e importante città tedesca Orsola e le altre, per la loro manifesta fede cristiana, vennero torturate e messe a morte a colpi di freccia.
Colonia, che pure coltiva dal 1162 un grande culto verso i Magi, la ricorda come propria patrona insieme a S. Cuniberto, vescovo nel VII secolo. Le comunità cattoliche la venerano sempre, anche attualmente, in buona parte del mondo e talora con grandi cerimonie religiose, il 21 ottobre, suo giorno del calendario liturgico. Anche Mantova non ha voluto essere da meno, facendo costruire in suo onore, nel 1608 su progetto dell’architetto di corte Antonio Maria Viani, la chiesa di recente restaurata e che prospetta sul corso Vittorio Emanuele II. Non marginale il fatto che le Orsoline, fondate nel 1535 da Sant’Angela Merici, abbiano operato per più di un secolo nella città di Virgilio, educando tanta gioventù femminile.
Innumerevoli sono, come in parte già accennato, i patronati di Sant’Orsola; tra loro riveste particolare significato quello sul matrimonio felice. Considerata la condiscendenza del promesso sposo, la santa può venire invocata infatti dai nubendi per avere un buon matrimonio.
Autore: Mario Benatti
(Lc 12,13-21) Quello che hai preparato, di chi sarà?
VANGELO
(Lc 12,13-21) Quello che hai preparato, di chi sarà?
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divertiti ”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo, amore di Dio per noi, vieni e aiutami a vivere con te questa pagina di Vangelo, vieni a farmi capire cosa conta per la vita eterna che mi aspetta tra le braccia del Signore, vieni ad aiutarmi perché le cose della terra non offuschino i miei pensieri.
Non serve accumulare tesori sulla terra per mettersi al sicuro, perché nessuno sa quando finirà la nostra vita, anzi, a volte quest’attaccamento al denaro crea non pochi conflitti nelle famiglie. Il Signore ci da tutto quello che ci serve se affidiamo a Lui la nostra vita, ma quello che conta è che ci dà la possibilità di salvare la nostra vita e la nostra anima, ma non accumulando beni sulla terra, ma operando per accumulare tesori in cielo. Seguire il vangelo, comportaci da Cristiani fedeli contro tutte le avversità, prendere ad imitazione Maria e i Santi, cercare di seguire le orme di Cristo e di vedere il mondo attraverso i suoi occhi.
E’ più facile di quello che può sembrare, in fondo non c’è chiesto niente di eclatante almeno all'inizio del cammino di fede. Pregare, onorare il Signore almeno un giorno a settimana, confessare ad un sacerdote le nostre mancanze, così come faremmo davanti a Gesù e fare la comunione. Se non riusciamo davanti ad un sacerdote che è molto simile a noi, a confessare le nostre colpe, come possiamo pensare di presentarci davanti a Gesù, che è luce infinita.. Dobbiamo essere umili, questa è forse la cosa più importante, tanto umili da riconoscere che senza Dio la nostra vita è un ingorgo in mezzo al traffico, e che per quanto facciamo, non riusciamo a stare bene. Sono i tesori che accumuliamo ad essere privi di contenuto, di armonia…cerchiamo l’amore e non riusciamo più a riconoscerlo perché lo cerchiamo a livelli molto più bassi di quelli che Dio amore ci propone, e ci affanniamo dietro al sesso, alla perversione, alla libertà sessuale…cerchiamo di dare tutto ai figli, e non riusciamo a dargli il nostro tempo, non riusciamo a conoscerli ne a renderli felici… Domenica prova anche tu che sei ancora lontano fratello o sorella, ad entrare in chiesa….Non ti guardare intorno, ma va dritta /o verso il tabernacolo, inginocchiati e parla con Gesù, digli che sei lì per conoscerlo, ma non sai da dove cominciare, e che comincerai proprio da qui, dall’ammettere che se Lui ti aiuta sai come fare. Ascolta la sua parola durante la messa, vedrai che ti risponderà, resta con il cuore attento e prova a rimanere almeno un quarto d’ora al giorno sola con lui nel tuo cuore. La prossima domenica tornerai a trovare non più uno sconosciuto, ma il tuo migliore amico. Vedrai che vivere nel mondo ti riuscirà più facile, non dovrai scendere a compromessi, non cercherai il successo agli occhi degli uomini, perché saprai che la tua ricchezza più grande l’hai nel cuore. Sei figlio di Dio, amato dal Padre più d’ogni altra cosa al mondo ,e tutto quello che conta te lo darà Lui, chiedi e ti sarà dato! Chiedi la fede e ti darà la vita eterna.Se ascoltiamo la televisione in questi giorni, vediamo la gente che sta lottando per la sopravvivenza, e altri che prendono soldi a palate con superbia ed arroganza. Lo stato dovrebbe garantire la vivibilità ai cittadini, ma la perfidia di certi individui, la loro arroganza ed il loro egoismo li portano a continuare a mettere tasse sui poveri per non perdere i loro benefici.Anche a loro un giorno sarà richiesta la vita, e sarà richiesto anche come hanno amministrato!...
sabato 19 ottobre 2013
VOCE DI SAN PIO :
-" Non bisogna scoraggiarsi, perché se nell’anima
vi è il continuo sforzo di migliorare, alla fine il Signore la premia
facendo fiorire in lei ad un tratto tutte le virtú come in un giardino
fiorito." (VVN, 49).
SANTI é BEATI :
- San Gioele Profeta d’Israele
19 ottobre
Gerusalemme, V secolo a.C.
È uno dei dodici profeti minori, le cui profezie sono contenute nel breve libro anticotestamentario che porta il suo nome e che è anche l'unica fonte da cui si può ricostruire qualche notizia che lo riguarda. Secondo gli studiosi, l'epoca della sua esistenza sarebbe l'inizio del V secolo a.C. Tutti i dati storici rilevabili all'interno del suo scritto, infatti, porterebbero a pensare che la sua opera si collochi durante l'occupazione persiana della Palestina. Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro. Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi. Ma il profeta ne prevede una peggiore e invita alla alla penitenza. La seconda parte del libro è una descrizione del «giorno del Signore», cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito. Seguirà il Giudizio divino sulle genti e l'alba di un nuovo mondo. (Avvenire)
Martirologio Romano: Commemorazione di san Gioele, profeta, che annunciò il grande giorno del Signore e il mistero dell’effusione del suo Spirito su ogni uomo, che la maestà divina si degnò di compiere mirabilmente in Cristo nel giorno di Pentescoste.
Il nuovo ‘Martyrologium Romanum’ ha spostato al 19 ottobre la celebrazione liturgica di s. Gioele, che nel passato nella Chiesa latina, era ricordato al 13 luglio.
È uno dei dodici profeti minori, le cui profezie sono contenute nel breve libro biblico che porta il suo nome e che è anche l’unica fonte da cui si può ricostruire qualche notizia che lo riguarda.
Gli studiosi, hanno supposto che l’epoca della sua esistenza sia l’inizio del V secolo a.C. perché nel suo libro non si fa menzione di notizie storiche certe, non parla delle grandi potenze dell’epoca come la Samaria, l’Assiria e Babilonia, quindi si pensa che fossero già tramontate.
Egli cita come nemici d’Israele, l’Egitto e l’Idumea, ma in particolare i Fenici ed i Filistei che vengono accusati di vendere i figli di Giuda (ebrei) come schiavi ai Greci.
Accenna alla dispersione del popolo ebraico fra le altre nazioni e la frammentazione del suo territorio; non nomina un re e le funzioni di guida, nei suoi scritti, sembrano affidate agli “anziani” ed ai sacerdoti.
Nomina il Tempio, però mancano le offerte per i sacrifici¸ quindi tutto fa pensare ad un’epoca di grande povertà e ad un Israele, ridotto di numero di abitanti e di importanza; perciò gli studiosi hanno pensato all’epoca dell’occupazione persiana della Palestina, nel V secolo a.C.
Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò nel territorio di Giuda e più particolarmente a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro.
Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi; una enorme invasione di cavallette, come solo in Oriente se ne può vedere, aveva devastato i campi della Giudea, portando miseria e fame alla popolazione.
Il profeta interpretando questo flagello, come castigo inviato da Dio, ritiene che sia necessario invitare tutto il popolo a fare penitenza ed a chiedere il perdono dei propri peccati. Ma ciò non basta a placare l’ira di Dio e Gioele vede approssimarsi un altro flagello, più terribile del precedente, descritto come un immenso esercito di soldati nemici, più numeroso delle cavallette.
È il “giorno del Signore” o il giorno della vendetta che si avvicina, il profeta incita di nuovo alla penitenza (2, 12-17) e finalmente l’ira di Dio si placa. Il flagello viene scongiurato, la terra ritorna fertile ed Israele riconosce in Iahweh il suo Dio; questo riconoscimento è come una conversione gradita a Dio, che ricambia con la promessa di favori straordinari, assicurando che quando verrà il nuovo “giorno dei Signore”, egli farà giustizia di tutti i nemici d’Israele radunati nella valle di Giosafat e riunito il suo popolo disperso, abiterà eternamente in mezzo a loro.
La seconda parte del libro è una grandiosa descrizione del “giorno del Signore”, cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito; seguirà il Giudizio divino sulle genti e l’alba di un nuovo mondo.
S. Pietro apostolo proclamò l’effusione dello Spirito, adempiuta nel giorno di Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo e con i prodigi che l’accompagnarono e la seguirono (Act. 2, 16-21).
La liturgia della Chiesa utilizza buona parte del libro di Gioele nei responsori, lezioni, antifone del Breviario e nelle letture della Messa, specie durante i periodi di penitenza come l’Avvento, la Quaresima, le Ceneri.
È ritenuto il profeta della Pentecoste. La Chiesa greca, l’onora il 19 ottobre, data a cui si è adeguata attualmente la Chiesa latina, uniformandone la celebrazione.
Autore: Antonio Borrelli
19 ottobre
Gerusalemme, V secolo a.C.
È uno dei dodici profeti minori, le cui profezie sono contenute nel breve libro anticotestamentario che porta il suo nome e che è anche l'unica fonte da cui si può ricostruire qualche notizia che lo riguarda. Secondo gli studiosi, l'epoca della sua esistenza sarebbe l'inizio del V secolo a.C. Tutti i dati storici rilevabili all'interno del suo scritto, infatti, porterebbero a pensare che la sua opera si collochi durante l'occupazione persiana della Palestina. Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro. Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi. Ma il profeta ne prevede una peggiore e invita alla alla penitenza. La seconda parte del libro è una descrizione del «giorno del Signore», cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito. Seguirà il Giudizio divino sulle genti e l'alba di un nuovo mondo. (Avvenire)
Martirologio Romano: Commemorazione di san Gioele, profeta, che annunciò il grande giorno del Signore e il mistero dell’effusione del suo Spirito su ogni uomo, che la maestà divina si degnò di compiere mirabilmente in Cristo nel giorno di Pentescoste.
Il nuovo ‘Martyrologium Romanum’ ha spostato al 19 ottobre la celebrazione liturgica di s. Gioele, che nel passato nella Chiesa latina, era ricordato al 13 luglio.
È uno dei dodici profeti minori, le cui profezie sono contenute nel breve libro biblico che porta il suo nome e che è anche l’unica fonte da cui si può ricostruire qualche notizia che lo riguarda.
Gli studiosi, hanno supposto che l’epoca della sua esistenza sia l’inizio del V secolo a.C. perché nel suo libro non si fa menzione di notizie storiche certe, non parla delle grandi potenze dell’epoca come la Samaria, l’Assiria e Babilonia, quindi si pensa che fossero già tramontate.
Egli cita come nemici d’Israele, l’Egitto e l’Idumea, ma in particolare i Fenici ed i Filistei che vengono accusati di vendere i figli di Giuda (ebrei) come schiavi ai Greci.
Accenna alla dispersione del popolo ebraico fra le altre nazioni e la frammentazione del suo territorio; non nomina un re e le funzioni di guida, nei suoi scritti, sembrano affidate agli “anziani” ed ai sacerdoti.
Nomina il Tempio, però mancano le offerte per i sacrifici¸ quindi tutto fa pensare ad un’epoca di grande povertà e ad un Israele, ridotto di numero di abitanti e di importanza; perciò gli studiosi hanno pensato all’epoca dell’occupazione persiana della Palestina, nel V secolo a.C.
Si suppone che fosse di stirpe sacerdotale, perché parla spesso di offerte sacre, di offerte nel Tempio e di sacerdoti, ai quali si rivolge con una certa autorità; esercitò nel territorio di Giuda e più particolarmente a Gerusalemme, ai cui abitanti si rivolge nel libro.
Alla base della profezia di Gioele vi è sicuramente una calamità naturale verificatasi proprio in quei tempi; una enorme invasione di cavallette, come solo in Oriente se ne può vedere, aveva devastato i campi della Giudea, portando miseria e fame alla popolazione.
Il profeta interpretando questo flagello, come castigo inviato da Dio, ritiene che sia necessario invitare tutto il popolo a fare penitenza ed a chiedere il perdono dei propri peccati. Ma ciò non basta a placare l’ira di Dio e Gioele vede approssimarsi un altro flagello, più terribile del precedente, descritto come un immenso esercito di soldati nemici, più numeroso delle cavallette.
È il “giorno del Signore” o il giorno della vendetta che si avvicina, il profeta incita di nuovo alla penitenza (2, 12-17) e finalmente l’ira di Dio si placa. Il flagello viene scongiurato, la terra ritorna fertile ed Israele riconosce in Iahweh il suo Dio; questo riconoscimento è come una conversione gradita a Dio, che ricambia con la promessa di favori straordinari, assicurando che quando verrà il nuovo “giorno dei Signore”, egli farà giustizia di tutti i nemici d’Israele radunati nella valle di Giosafat e riunito il suo popolo disperso, abiterà eternamente in mezzo a loro.
La seconda parte del libro è una grandiosa descrizione del “giorno del Signore”, cioè del suo supremo intervento nella storia, accompagnato da una straordinaria ed universale effusione del suo Spirito; seguirà il Giudizio divino sulle genti e l’alba di un nuovo mondo.
S. Pietro apostolo proclamò l’effusione dello Spirito, adempiuta nel giorno di Pentecoste, con la discesa dello Spirito Santo e con i prodigi che l’accompagnarono e la seguirono (Act. 2, 16-21).
La liturgia della Chiesa utilizza buona parte del libro di Gioele nei responsori, lezioni, antifone del Breviario e nelle letture della Messa, specie durante i periodi di penitenza come l’Avvento, la Quaresima, le Ceneri.
È ritenuto il profeta della Pentecoste. La Chiesa greca, l’onora il 19 ottobre, data a cui si è adeguata attualmente la Chiesa latina, uniformandone la celebrazione.
Autore: Antonio Borrelli
(Lc 18,1-8) Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
VANGELO
(Lc 18,1-8) Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore
(Lc 18,1-8) Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito di sapienza, a illuminare la mia mente rivolta al Signore e non mi abbandonare mai.
Gesù insiste sulla necessità di pregare e questo non è comprensibile a mio avviso, se una persona non lo prova, se non sa che cosa significa immergersi nella preghiera,fare della stessa il sottofondo musicale della tua giornata. Una volta Gesù disse che dobbiamo tornare come bambini,ed io vorrei che veramente guardassimo i bambini,quando vogliono ottenere qualcosa,con quanta passione ce la chiedono,con quanta insistenza,e a volte noi li accontentiamo per stanchezza,come fece il giudice della parabola che Luca ci racconta. Ma il nostro giudice non è corrotto,non è annoiato,né ingiusto,il nostro è un giudice retto e giusto e ci ama,quindi nelle sue decisioni non potremo trovare altro che amore,altro che il nostro bene. A volte non riusciamo a riconoscerlo, ma se abbiamo fede sapremo capire e sapremo fidarci di lui.
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