Vorrei conoscere la Bibbia a memoria,conoscere il greco,il latino e pure l' aramaico,ma nulla di tutto questo mi è stato donato. Quello che al Signore è piaciuto donarmi, è una grande voglia di parlargli e di ascoltarlo.Logorroica io e taciturno Lui,ma mentre io ho bisogno di parole,Lui si esprime meglio a fatti.Vorrei capire perchè questo bisogno si tramuta in scrivere, e sento che è un modo semplice,delicato e gratuito di mettere al centro la mia relazione con Dio.
giovedì 20 dicembre 2012
Pensieri nella solitudine (Thomas Merton )PARTE 2 DA 7 A12
7.
Quando il silenzio mi ha fatto libero, quando non sono più preso dalla valutazione
della vita, ma dal modo in cui viverla, riesco a scoprire una forma di preghiera
nella quale non vi è davvero alcuna distrazione. Tutta la mia vita diventa
preghiera. Tutto il mio silenzio è colmo di preghiera. Il mondo del silenzio in cui
mi trovo immerso contribuisce alla mia preghiera.
L’unificazione, che è opera della povertà nella solitudine, rimargina tutte le ferite
dell’anima e le risana. Finché rimaniamo poveri, finché siamo vuoti di tutto e non
ci interessiamo di altro all’infuori di Dio, non possiamo essere distratti. Perché la
nostra stessa povertà ci impedisce di «essere tratti da un’altra parte (distratti).
Se la luce che è in te è tenebra ... Supponiamo che la mia “povertà” sia una fame segreta di ricchezze spirituali:
supponiamo che pretendendo di svuotare me stesso, di essere silenzioso, non sto
in realtà facendo altro che tentare di adescare Iddio perché mi arricchisca di
qualche esperienza particolare — e che, allora? Tutto diventa in tal caso una
distrazione. Tutte le case create interferiscono con la mia ansia di qualche
esperienza particolare. Devo metterle alla porta, se no mi distrarranno. E quel
che è peggio — io stesso sono una distrazione. Ma, casa peggiore di tutte — se la
mia preghiera è incentrata su di me, se cerca soltanto un arricchimento del mio
essere, sarà la mia stessa preghiera la più grande distrazione in potenza. Pieno
della mia stessa curiosità, ho mangiato dell’albero della conoscenza e mi sono
distolto da me stesso e da Dio. Sono rimasto ricco e solo e nulla può Calmare la
mia fame: tutto quello che tocco si muta in una distrazione.
Che io cerchi allora il dono del silenzio, della povertà, della solitudine, dove tutto
quello che sfioro si muta in preghiera: dove il cielo è la mia preghiera, gli uccelli
sono la mia preghiera, il vento tra gli alberi è la mia preghiera, perché Dio è tutto
in tutto.
Perché ciò avvenga devo essere veramente povero. Non devo cercare nulla: ma
devo essere ben contento di tutto quello che ricevo da Dio.
La vera povertà è quella del povero che è felice di ricevere l’elemosina da
chiunque, ma specialmente da Dio. La falsa povertà è quella di chi pretende di
possedere l’autosufficienza di un angelo. La vera povertà è quindi un ricevere ed
un ringraziare trattenendo per sé solo quello che si ha bisogno di consumare. La
falsa povertà pretende di non aver bisogno, di non chiedere, si sforza di avere
tutto e rifiuta qualsiasi gratitudine.
8.
“Se dunque vi diranno: Eccolo nel deserto, non vi andate: eccolo nei luoghi più
nascosti (della casa), non credete. Perché come il lampo esce dall’oriente e
guizza all’occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo” (Mt 24,26-28).
Cristo, che verrà improvvisamente alla fine dei tempi e nessuno può indovinare il
momento del suo arrivo — viene anche a coloro che sono suoi in ogni attimo del
tempo ed essi non sono in grado di vederlo o di indovinarne l’arrivo. Eppure dove
è Lui sono anche loro. Come aquile si radunano istintivamente non sapendo dove
e Lo trovano a ogni attimo.
Proprio come non vi è possibilità di dire con certezza dove e quando apparirà alla
fine del mondo, così non si può dire con certezza dove e quando si manifesterà
alle anime contemplative.
Vi sono parecchi che Lo hanno cercato nel deserto e non ve Lo hanno trovato e vi
sono molti che si sono nascosti con Lui come reclusi ed Egli si è a essi rifiutato.
Afferrarlo è facile come afferrare il lampo, e, al pari del lampo, Egli balena dove
vuole.
Tutti gli spiriti veramente contemplativi hanno questo in comune: non già che si
radunano esclusivamente nel deserto o che si chiudono in clausura, ma che dove
Egli è, sono anch’essi. E come Lo trovano? Con una tecnica? Non vi è un metodo
per trovarlo. Lo trovano nella sua volontà. E il suo volere, recando loro la sua
grazia e modellando all’esterno la loro vita, h porta infallibilmente al punto
preciso in cui possono trovarlo. Anche quando non sanno come vi sono arrivati o
cosa stiano realmente facendo.
Non appena uno è’ veramente disposto a essere solo con Dio, lo e dovunque si
trovi in campagna, nel monastero, nei boschi o in città. Il lampo balena da oriente a accidente, illuminando tutto l’orizzonte e guizzando dove vuole, e nello
stesso attimo la infinita libertà di Dio risplende nelle profondità dell’anima
umana, ed essa ne è illuminata. Allora l’uomo vede che, pur essendo ancora alla
metà del cammino, è ormai giunto alla fine. Perché la vita di grazia sulla terra è
l’inizio della vita di gloria. Benché viaggiatore nel tempo i suoi occhi si sono
aperti, per un attimo, sull’eternità.
9.
È cosa più grande e preghiera migliore vivere in Colui che è infinito, e rallegrarsi
che sia così, anziché star sempre a lottare per racchiudere la sua infinità nello
stretto spazio del nostro cuore. Finché sono contento di conoscere che Egli è
infinitamente più grande di me e che non Lo posso conoscere se non mi si
mostra, avrò pace ed Egli sarà vicino a me e dentro di me, ed io avrò quiete in
Lui. Ma non appena desidero conoscerlo e goderlo per me, cerco di stendermi per
fargli violenza mentre Egli mi sfugge, e nel far ciò reco violenza a me stesso e
,ricado su di me nel dolore e nell’ansietà, riconoscendo ch’Egli è fuggito.
Nella vera preghiera, quantunque ogni attimo silenzioso rimanga lo stesso, pure
ogni momento è una nuova scoperta di un nuovo silenzio, una nuova
penetrazione in quella eternità nella quale tutte le cose sono sempre nuove.
Conosciamo, per una scoperta recente, la profonda realtà costituita dalla nostra
esistenza concreta hinc et nunc e nelle profondità di quella realtà riceviamo dal
Padre luce, verità, sapienza e pace. Sono questi i riflessi di Dio nelle anime nostre
fatte a sua immagine e somiglianza.
10.
Lascia che questa sia la mia sola consolazione: che dovunque io sono, Tu, o
Signore, sia amato e lodato.
Gli alberi invero Ti amano senza conoscerti. I gigli dei campi e i fiori del grano
sono là a proclamare che Tu li ami, senza essere consapevoli della tua presenza.
Le belle nuvole nere cavalcano lentamente per il cielo meditando su di Te come
fanciulli che non sanno che cosa sognano mentre giocano.
Ma in mezzo a tutte queste cose, io Ti conosco e sono consapevole della tua
presenza. In esse ed in me conosco l’amore che esse non conoscono e, quel che è
ancora più grande, mi vergogno per la presenza del tuo amore in me. O amore
dolce e terribile, che Tu mi hai dato e che non potrebbe mai essere nel mio cuore
se Tu non mi amassi! Perché tra questi esseri che non Ti hanno mai offeso, io
sono da Te amato, e in apparenza più di tutti gli altri proprio perché Ti ho offeso.
Sono visto da Te sotto il cielo, e le mie offese sono state da Te dimenticate, ma io
non le ho dimenticate.
Chiedo soltanto una cosa: che il ricordo di esse non mi faccia temere di ricevere
nel mio cuore il dono dell’Amore che hai posto in me. Lo accoglierò perché ne
sono indegno. Nel far ciò Ti amerò sempre più e darò maggior gloria alla tua
misericordia.
Ricordando che sono stato un peccatore, voglio amarti malgrado quello che sono
stato, sapendo che il mio amore è prezioso perché è tuo, piuttosto che mio.
Prezioso ai tuoi occhi perché Viene dal Figlio tuo, ma ancor più prezioso perché
mi fa tuo figlio.
11.
Vocazione alla solitudine. Darsi, consegnarsi, affidarsi completamente al silenzio
di un vasto paesaggio di boschi e colline, o mare, o deserto: star fermo, mentre il
sole sale sulla terra e ne colma di luce i silenzi. Pregare e lavorare il mattino, lavorare e riposare il pomeriggio e fermarsi di nuovo a meditare alla sera quando
la notte cade su quel paesaggio e quando il silenzio si riempie di tenebra e di
stelle. Questa è una vocazione vera e speciale. Pochi sono disposti a immergersi
completamente in un tale silenzio, a lasciar che se ne impregnino le loro ossa, a
respirare solo silenzio, a nutrirsi di silenzio e a mutare la sostanza della loro vita
in un silenzio vivo e vigile.
Martire è chi ha preso una decisione così forte da poter essere provata dalla
morte.
Solitario è chi ha preso una decisione così forte da poter essere provata dal
deserto: ossia dalla morte.
Perché il deserto e pieno di incertezza, di pericolo, di umiliazione e di timore, e il
solitario vive tutto il giorno di fronte alla morte.
È dunque evidente che il solitario è il fratello minore del martire. È lo stesso
Spirito Santo che prende la decisione di segregare in Cristo martiri e solitari.
La vocazione al martirio è carismatica e straordinaria. Così è anche in un certo
senso la vocazione alla solitudine.
Non si diventa martiri per un piano umano e non si diventa solitari per un nostro
disegno personale.
Persino il desiderio di solitudine dev’essere soprannaturale se si vuole che sia
effettivo e se è soprannaturale sarà probabilmente anche in contraddizione con
parecchi dei nostri piani e desideri. Possiamo sì studiare, prevedere e desiderare
il sentiero che ci porta al deserto, ma alla fine è Dio e non gli uomini che fa i
solitari.
Non importa se siamo chiamati alla vita di comunità o alla solitudine, la nostra
vocazione è quella di essere costruiti sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti,
e sulla pietra angolare, Cristo. Questo significa che siamo chiamati a compiere e
realizzare il grande mistero della potenza di Cristo in noi, di quella potenza che
Lo ha risuscitato dalla morte e che ci ha chiamato dagli estremi confini della terra
a vivere per il Padre in Lui. Qualunque sia la nostra vocazione, siamo chiamati a
essere testimoni e ministri della divina Misericordia.
Il solitario cristiano non cerca la solitudine soltanto come un’atmosfera o uno
stato propizio a una spiritualità speciale e superiore. E non la cerca neppure
come mezzo favorevole per ottenere quello che desidera la contemplazione. La
cerca come un’espressione del dono totale di se stesso a Dio. La sua solitudine
non è un mezzo per ottenere qualche cosa, ma un dono di sé. Come tale può
implicare rinuncia e disprezzo del «mondo» nel senso peggiorativo. Non è mai
una rinuncia alla comunità cristiana. Può invero esprimere la convinzione del
solitario di non essere abbastanza buono per la maggior parte delle pratiche
esteriori della comunità, la convinzione che suo compito è quello di adempiere
qualche funzione segreta nella cantina spirituale della comunità.
12.
La vita solitaria è soprattutto una vita di preghiera.
Non preghiamo per pregare, ma per essere ascoltati. Non preghiamo per udirci
pregare, ma perché Dio possa ascoltarci e risponderci. E anche non preghiamo
per ricevere una risposta qualsiasi: dev’essere la risposta di Dio.
Quindi un solitario sarà un uomo sempre in preghiera, sempre intento a Dio,
sempre sollecito della purezza di questa sua preghiera, attento a non sostituire le
sue risposte a quelle di Dio, attento a non fare della preghiera fine a se stessa,
attento a mantenerla segreta, semplice e pura. Così facendo può misericordiosamente dimenticare che la sua «perfezione» dipende dalla sua
preghiera: può dimenticare se stesso e la vita in attesa delle risposte di Dio.
Mi sembra che ciò non sia del tutto comprensibile se dimentichiamo che la vita di
preghiera si fonda sulla preghiera di supplica — qualunque sia, più tardi, il suo
sviluppo.
Lungi dal distruggere la purità della preghiera solitaria, la supplica ne conserva e
difende la purezza. Il solitario, più di ogni altro, è sempre consapevole della sua
povertà e dei suoi bisogni di fronte a Dio. Siccome dipende direttamente da Dio
per ogni cosa materiale e spirituale, deve tutto chiedere. La sua preghiera è
espressione della sua povertà. La domanda, per lui, può difficilmente diventare
una pura formalità, una concessione che si fa a consuetudini umane, come se non
avesse bisogno di Dio in tutto.
Il solitario, essendo uomo di preghiera, arriverà a conoscere Dio, riconoscendo
che la sua preghiera è sempre esaudita. Di lì può procedere, se Dio vuole, alla
contemplazione.
La gratitudine è quindi il cuore della vita solitaria come lo è della vita cristiana.
Dal primo giorno passato nella solitudine, l’eremita dovrebbe applicarsi a
comprendere come deve affliggere tutto il suo essere con lacrime e desideri di
fronte a Dio. Allora sarà come Daniele a cui l’Angelo portò la risposta di Dio (cf.
Dn 10,12): “Non temere, Daniele: perché dal primo giorno che, per ottenere
intelligenza, ti sei messo in cuore di darti alla penitenza nel cospetto del tuo Dia,
le tue parole sono state esaudite ...”
Qualità della preghiera:
1. Una fede incrollabile (Mt 21,21; Gc 1,6), che dipende dalla “semplicità” di
cuore e di intenzione.
2. Una fiducia perseverante (Lc 11).
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