giovedì 19 dicembre 2013

SANTI é BEATI :

Sant' Ursicino del Giura Eremita e fondatore
Giura svizzero, † 620 ca.
Ursicino era un monaco irlandese, compagno di san Colombano. Questi, cacciato dalla Gallia nel 610 si diresse in Svizzera con Gallo, Sigisberto, Fromond e, appunto, Ursicino (Ursanne). Gli ultimi due si spinsero sulle montagne del Giura in cerca di luoghi per la vita eremitica. Si narra che Ursicino abbia proposto di lanciare in aria dalla cima di un monte un bastone per avere dal cielo l’indicazione giusta. I due si divisero: il bastone di Ursicino finì, infatti, vicino a una grotta nella valle del fiume Doubs. Qui costruì una cappella dedicata a San Pietro e un monastero, alla cui comunità dette la regola di Colombano. Morì intorno al 620. Poi il monastero passò ai benedettini e fu costruita una Collegiata, distrutta nel 1793. Intorno al monastero sorse Saint Ursanne, paese che giocò un ruolo importante nella storia della diocesi di Basilea. Ursicino è venerato anche a Besançon e Magonza. (Avvenire)
Martirologio Romano: Sul massiccio del Giura presso il fiume Duby in territorio svizzero, sant’Ursicino, che, discepolo di san Colombano, condusse dapprima vita eremitica in solitudine e poi, scoperto, attirò molti a questo genere di vita.

Il culto di s. Ursicino (in francese Ursanne), eremita nel Giura, è attestato in questa regione svizzera, sin dalla terza parte del secolo VII; infatti già prima del 675 l’abate Germano di Moûtier-Grandval, aveva costruito una chiesa in suo onore presso Grandval.
Inoltre un antico documento, riporta che s. Vandregisilo abate († 668), costruì verso il 630 un monastero nel medesimo luogo dove riposava Ursicino.
Il sarcofago del santo eremita, databile al VII secolo, è sempre venerato nella bella chiesa di S. Ursanne, situata nell’ansa del fiume Doubs, che nasce nel Giura francese e penetra in territorio svizzero per breve tratto, formando la suddetta ansa, sulla cui riva si trova la chiesa.
Per quanto riguarda la vita di s. Ursicino, tutto ciò che gli agiografi hanno considerato e diffuso, proviene da un antico documento, citato per primo dal gesuita Claudio Sudan (1579-1665) nella sua opera “Basilea sacra”, ma che purtroppo non trascrisse alla lettera.
Il documento era una leggenda liturgica in 24 lezioni, che fu composta su disposizione del vescovo Ugo I di Besançon, diocesi a cui apparteneva allora l’eremita Ursicino.
Questa ‘Vita’, andata smarrita, raccontava che Ursicino era un monaco irlandese, compagno di s. Colombano (543-615), l’abate che dall’Irlanda emigrò in Francia e poi in Italia, dove fondò nel 614 il monastero di Bobbio.
Ursicino che aveva seguito insieme ai monaci Gallo, Sigisberto, Fromond, l’abate Colombano nella Gallia di allora, quando nel 610 dovettero lasciare Luxeuil in territorio francese, si divise dal suo maestro diretto in Italia e con Fromond, si spinse sulla catena montuosa del Giura franco-svizzero, in cerca di un luogo adatto per una vita eremitica.
La tradizione racconta che Ursicino, propose al compagno monaco, di lanciare dalla cima di un monte, i loro bastoni in aria, lasciando che il cielo desse così l’indicazione giusta nel punto di ricaduta.
I bastoni caddero in luoghi diversi e i due compagni si divisero, quello di Ursicino cadde vicino ad una grotta, nella valle del fiume Doubs, dove si ritirò in eremitaggio.
In questo luogo costruì una cappella dedicata a S. Pietro e che prenderà il suo nome, S: Ursanne; ben presto la sua fama attirò vari discepoli, per cui Ursicino fondò un monastero per loro, sotto la regola di s. Colombano.
Dopo una decina d’anni di esemplare vita eremitica, sant’Ursicino morì verso il 620; il suo nome lo si ritrova nelle litanie dei santi venerati a Besançon del secolo XI e nel martirologio della stessa diocesi al 20 dicembre.
Il monastero da lui fondato nella valle del Doubs, subì nel tempo vari cambiamenti, passato ai benedettini, nel 1040 era dipendente da quello di Moûtier-Grandval, poi fu assegnato nel 1077 ai vescovi di Basilea; uno di loro vi istituì nel 1119 una collegiata, che durò fino al 1793 quando fu distrutta.
Intorno al monastero sorse il paese di Saint Ursanne; è venerato in tutto il Giura del Nord, a Besançon, Magonza, Basilea, le sue immagini lo mostrano con in mano un libro e dei gigli.

Autore:
Antonio Borrelli

(Luca 1,26-38.) “Ti saluto, o piena di grazia”

VANGELO DI VENERDI 20 DICEMBRE
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,26-38.
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret,
a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.
Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre
e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.
Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:
nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
 .


Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Vieni o Santo Spirito, e guidaci come facesti con Maria alla conoscenza del volere di Dio, e come lei fa che sappiamo accettarlo.

Anche oggi ricontempliamo il vangelo dell’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria. Nei giorni scorsi abbiamo visto come ha risposto Maria a questa chiamata inaspettata e abbiamo parlato dell’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta; ieri abbiamo assistito al mutismo e allo sconcerto di Zaccaria, oggi proviamo a capire che cosa cambia questo avvenimento nella nostra storia.Per gli ebrei che non l’hanno riconosciuto, la speranza non è ancora nata, e la salvezza non è stata riconosciuta, ma per noi cristiani chi è questo piccolo uomo che ancora deve nascere eppure già viene ricercato per essere ucciso? Gesù è il cambiamento che avviene, l’ uomo nuovo che nasce per noi e per farci vivere non più come semplici uomini, ma per riconoscerci in lui figli dello stesso Dio. Con Lui siamo riscattati dal peccato, ma dobbiamo essere anche coerenti con la nostra nuova condizione. Nulla è impossibile a Dio, nulla è impossibile all’uomo che ha fede, spesso Gesù ci ripeterà che è la fede che salva, che guarisce, e noi dobbiamo fare tesoro di ogni attimo di vita di Gesù, per farlo nostro, cominciando proprio dalla semplicità nella quale è nato, che getta le basi sulle quali fondare la nostra fede, nell’ umiltà.
Mentre leggo questa pagina del Vangelo. Mi torna alla mente quella in cui Giovanni ci racconta l’incontro tra Gesù, Filippo e Natanaèle, che asseriva:
«Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Natanaèle è divenuto poi l’apostolo San Bartolomeo, perché Gesù, che conosceva il suo cuore gli disse: ”Ecco un israelita in cui non c’è falsità”
Da Nazareth è “ venuta ” all’esistenza la Vergine Maria, “ concepita ” Immacolata nella Santa Casa di Nazareth; da Nazareth è “ venuto ” all’esistenza Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Salvatore degli uomini, incarnatosi nel seno verginale di Maria nella Santa Casa di Nazareth
Da Nazareth è venuta la salvezza per l’umanità.
Il disegno di Dio, era sconosciuto a Maria, a Natanaèle, agli apostoli, ma non è più sconosciuto a noi, eppure ancora ci poniamo di fronte a questo Dio che si fa uomo, pieni d’incredulità, quasi come se ci aspettassimo che qualcun altro scriva per noi la nostra storia.
E’ Dio che si fa uomo, che viene tra noi, che è pronto a vivere con noi, a vivere nel nostro cuore, a dare un valore alla nostra vita; guardiamolo negli occhi, vediamo di quanto amore è capace, e lasciamoci prendere dalla sua piccola mano… lasciamoci condurre tra le pieghe della storia della salvezza, di quel progetto che ha bisogno di noi, si, anche di noi, per scrivere la nostra storia.

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mercoledì 18 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Le tue tenerezze conquidono il mio cuore e resto preso dal tuo amore, o celeste Bambino. Lascia che al contatto del tuo fuoco l’anima mia si liquefaccia per amore, ed il tuo fuoco mi consumi, mi bruci, m’incenerisca qui ai tuoi piedi e resti liquefatto per amore e magnifichi la tua bontà e la tua carità." (Epist. IV, p. 871s.).

SANTI é BEATI :

San Berardo di Teramo Vescovo
m. 1123
Patronato: Teramo
Etimologia: Berardo = forte come l'orso, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale


Berardo nacque verso la metà del secolo XI nel castello di Pagliara, presso Castelli, dalla nobile famiglia omonima. I Pagliara avevano il titolo di conti, ereditato, forse, dai più antichi conti dei Marsi, e dominavano nella Valle Siciliana o Siliciana, che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso. Non conosciamo il nome del padre e della madre di Berardo. mentre molto si parla di un suo fratello, Rinaldo, e di una sua sorella, Colomba, che ha tuttora in Abruzzo titolo e culto di santa.
Presso il castello di Pagliara esisteva il monastero benedettino di S. Salvatore: di qui la vocazione benedettina di Berardo Da Montecassino, dove aveva iniziato la vita monastica ed era divenuto sacerdote, B., desideroso di maggiore raccoglimento, si ritirò nel celebre monastero di S. Giovanni in Venere, in Abruzzo, del quale era stato abate un Odorisio, suo parente, elevato poi agli onori della porpora da Alessandro II.
Alla fine del 1115, morto Uberto, vescovo di Teramo, Berardo fu eletto a succedergli. Fece il suo ingresso nella chiesa cattedrale di S. Maria Maggiore e si rivelò padre, pastore, riformatore zelante, oltre che principe feudale giusto e prudente. Il Cartulario della Chiesa Teramana, ritrovato da Giovanni Muzi, riporta una sua donazione al capitolo della chiesa di S. Maria al Mare (I'attuale chiesa dell'Annunziata) a Giulianova. Dopo aver adempiuto al suo ufficio con singolare semplicità di animo, pietà e carità di pastore, Berardo morì l'anno 1123, settimo del suo episcopato, il 19 dicembre la Chiesa aprutina ne celebra tuttora la festività in questo giorno tra il fervore sempre vivo dei teramani. Si conservano ancora, in due artistici reliquiari, il capo del santo e un suo braccio, con i quali il vescovo, sulla scalea della cattedrale, benedice il popolo dopo il solenne pontificale della festa.

Autore:
Vincenzo Gilla Gremigni

(Lc 1,5-25) La nascita di Giovanni Battista è annunciata dall’angelo.

VANGELO DI GOVEDI 19 DICEMBRE
Lc 1,5-25) La nascita di Giovanni Battista è annunciata dall’angelo.

+ Dal Vangelo secondo Luca



Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccarìa, della classe di Abìa, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell’incenso. Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora dell’incenso. Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza, e molti si rallegreranno della sua nascita, perché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio. Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elìa, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». Zaccarìa disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose: «Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti e a portarti questo lieto annuncio. Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo».Intanto il popolo stava in attesa di Zaccarìa, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».



Parola del Signore
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RIFLESSIONE DI LELLA

PREGHIERA :


Vieni o Santo Spirito, ti prego, vieni e soffermati su di me che voglio capire; vieni e aiutami a discernere quello che tu vuoi insegnarmi da quello che viene dalla mia scarsa intelligenza, e aiutami a vedere quello che tu vuoi insegnarmi.

Zaccaria è nella tenda del Signore e si preoccupa di quello che pensa la gente di fuori, del tempo che passa, di quello che deve dire…. preoccupazioni inutili, perché il Signore lo rende muto. Per gli ebrei la sterilità era una grave disgrazia, tanto che c’era la possibilità di ripudiare la moglie o di fare figli con le schiave, perché la discendenza era molto importante.Zaccaria ed Elisabetta dedicavano la loro vita al tempio e mentre era in preghiera, ecco che il Signore si china verso di lui e accoglie quella che era la preghiera di sempre del povero Zaccaria.Uno si aspetta che a quel punto, alla promessa dell’angelo, egli venga preso dalla gratitudine, ed invece ecco giungere per prima la paura, il dubbio… Non basta essere del tempio per saper riconoscere la verità, e questo perché non sempre si riesce a staccarci dalla parte umana, non sempre si decide veramente per Dio, magari le intenzioni iniziali ci sono, le promesse sono state fatte, ma poi ci si allontana dal servizio con i dubbi e le tentazioni prettamente umane.Oggi vorrei invitarvi a pregare per i sacerdoti, perché sono le mani consacrate attraverso le quali passa la nostra salvezza, perché sono i discepoli consacrati di Gesù,e poverini,se noi siamo tentati,loro lo sono molto di più.

martedì 17 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Tutte le feste della Chiesa sono belle… la Pasqua, sí, è la glorificazione… ma il Natale ha una tenerezza, una dolcezza infantile che mi prende tutto il cuore." (GdR, 75).

SANTI é BEATI :

Beata Nemesia (Giulia) Valle Vergine
Aosta, 26 giugno 1847 - Borgaro Torinese, Torino, 18 dicembre 1916
Giulia (1847-1916), in gioventù entrò nella Congregazione delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret. Trascorse molti anni a Tortona come insegnante e superiora dell'Istituto S. Vincenzo. Fu molto amata e stimata dalle sue consorelle, dalle alunne e dalle loro famiglie. Fu, poi, maestra delle novizie a Borgaro Torinese. Nella sua Congregazione era considerata una "regola vivente", praticata nell'umiltà, nel sacrificio e nella fedeltà. Le sue virtù sono state dichiarate eroiche nel 2002.
Martirologio Romano: A Borgaro vicino a Torino, beata Nemesia (Giulia) Valle, vergine dell’Istituto delle Suore della Carità, che, insigne nel formare i giovani e guidarli all’amore del Vangelo, percorse sempre la via dei precetti del Signore nella carità verso il prossimo.

Non si sceglie la vocazione religiosa per sfuggire a qualcosa, ma per ottenere tutto, almeno questo fu l’indirizzo che prese suor Nemesia Valle, che Giovanni Paolo II beatificherà il prossimo 25 aprile.
Maddalena, Teresa, Giulia nasce il 26 giugno 1847 ad Aosta. Non ha ancora compiuto 5 anni e muore sua madre.
Giulia e il fratellino Francesco vengono trasferiti a Donnaz nel 1853, dove vivono i parenti materni. Poi la bambina viene inserita nel collegio di Besançon, dove si trovano le Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret. Ore di solitudine e di smarrimento per la piccola che si sente abbandonata.
Ritorna a casa quando ha 16 anni e suo padre, Anselmo Valle, sempre molto preso con la sua attività di commerciante, si è risposato. Per lei ancora più solitudine, ancora più dolore. Colma di attenzioni e tenerezze il fratello, alquanto insofferente alla matrigna. Giulia sopporta rimproveri, dispetti e umiliazioni, mentre Francesco litiga continuamente con la seconda moglie del padre e a 16 anni,  dopo una delle ennesime liti decide di andarsene da casa e con il consenso del padre lascia la famiglia in cerca di fortuna.
Dopo la partenza del fratello l’esistenza di Giulia fu più triste e più dura, per trovare conforto cerca rifugio in chiesa, dove si ferma a pregare.
La nuova abitazione della famiglia Valle è ora a Pont. St. Martin. Anche qui, nel profondo della solitudine e della sofferenza, si lega alle Suore di santa Giovanna Antida Thouret, dedite a qualunque attività caritativa, con  un’attenzione tutta particolare all’educazione e alla cura degli infermi. Maturò qui la sua vocazione e quando il padre le rivelò l’intenzione di un giovane di sposarla, lei, che fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di parlarne, gli spiega: «Ho promesso al Signore di consacrare la mia vita a salvare le anime. Non desidero che di farmi suora». Il 7 settembre 1866 il padre l’accompagnò nella Casa provinciale di Santa Margherita di Vercelli.
Dopo aver conseguito il diploma di insegnante il 29 settembre 1867 diventa suor Nemesia, Figlia di San Vincenzo.
A partire dal 1839 le Suore della Carità di Sant’Antida Thouret, su invito del vescovo, aprono a Tortona, in via Passalacqua, nei pressi del seminario, una scuola, dove vengono accolte anche le orfanelle con le quali suor Nemesia si fa madre premurosa. Proprio alle orfanelle faceva scrivere su dei bigliettini, brevi tratti del Vangelo e li faceva seminare nelle vie più frequentate di Tortona o sulle panchine delle piazze affinché la gente li leggesse e rafforzasse il proprio spirito di fede, trovando giovamento e conforto.
Beneficava tutti, anche fuori dalla realtà dell’istituto: seminaristi e soldati, mendicanti, poveri, madri di famiglia, ammalati.
Al mattino, molto presto, scivolava, inosservata, fra le vie più nascoste di Tortona, a portare beni e parole di conforto ai poveri più poveri e dimenticati. Nel 1886 diventa Superiora dell’Istituto San Vincenzo a Tortona, dove rimarrà per oltre 30 anni.
È la prima ad alzarsi, è l’ultima ad andare a letto. Prima della colazione ogni ambiente dell’Istituto di Tortona ha già ricevuto il suo sorriso.
Suor Nemesia è alla porta,  in parlatorio, in città, cuce, è in preghiera, di notte è al suo tavolo per scrivere a chi ha bisogno di sostegno, conforto, consiglio. Durante il colera che colpì la città nel 1890 non esitò ad aprire la porta dell’Istituto che in breve tempo si riempì di pazienti, ma fu disposta addirittura a cedere la propria camera per i malati, trovando lei posto sul divano.
Tortona la ama fortemente e doloroso sarà il distacco quando suor Nemesia verrà improvvisamente trasferita: la sua nuova mansione è quella di essere maestra delle novizie di Borgaro Torinese, il cui castello è la sede di una nuova casa provinciale dove tuttora prosegue l’attività delle Suore di Carità.
Umiliazione, sconforto, infinita tristezza.  La pena è molta, lacerante lo sradicamento dalla realtà che aveva realizzato la sua persona, per questo continua a ripetere: «Dio solo! Dio solo!».
Ritorna a quella solitudine delle sue valli aostane. Gli anni del “successo” e della “notorietà” sono terminati. Ora, nel silenzio, suor Nemesia procede nel suo cammino di santità e di ascesi senza rumore.
È sempre più stanca, più curva, perseguitata dall’incomprensione della sua Superiora. Esiste ancora oggi a Borgaro, dove fu  maestra di più di 500 novizie, un vecchio solaio, si tratta del «solaio di suor Nemesia»: lì si rifugiava, affaticata dal tempo e dalle umiliazioni, fra i bauli delle novizie, offrendo la sua solitudine estrema a Dio.
Colpita da polmonite suor Nemesia morì il 18 dicembre 1916 e il suo corpo rimase caldo e flessibile per due giorni.
Suor Nemesia aveva molto amato e «l’amore donato», diceva, «è la sola cosa che rimane», quell’amore la porterà alla beatificazione e «la santità non consiste nel fare molte cose o nel farne di grandi, ma nel fare ciò che Dio chiede a noi, con pazienza, con amore, donando noi stesse a lui, soprattutto con la fedeltà al proprio dovere, frutto di grande amore. Santo è chi si consuma, al proprio posto di ogni giorno, per il Signore».

Autore: Cristina Siccardi



Giulia Valle nacque ad Aosta il 26 giugno 1847, donando tanta felicità ad una coppia giovane e benestante che aveva già perso prematuramente i due figli precedenti; seguì la nascita di Vincenzo. Purtroppo gli anni sereni furono pochi, la mamma morì giovanissima, Giulia aveva solo quattro anni. Il padre era spesso via per affari, ospiti della casa un po’ austera del nonno paterno, i due fratelli percepirono tutta la tristezza di essere orfani. Si trasferirono, in seguito, presso i parenti materni, dove, in un'atmosfera più tranquilla, ricevettero in casa una buona istruzione. Giulia aveva un carattere forte, simile alle montagne che circondano la sua città, e sentimenti puri, come l'aria che si respira tra quei monti. Arrivò ad un certo punto la decisione di iscriverla ad un collegio, venne scelto uno lontano da casa, a Besançon, gestito dalle Suore della Carità di S. Giovanna Antida. Più di tutto le pesò il distacco dal fratello, verso cui provava l'affetto di una madre.
In collegio trovò serenità e accoglienza; i quattro anni lì trascorsi segneranno il suo futuro. Dopo una vacanza premio a Bordeaux e Parigi tornò in famiglia. Il padre, trasferitosi nel frattempo a Pont St. Martin, aveva una nuova moglie: per i due fratelli si rivelò una matrigna. Se Giulia era più remissiva, Vincenzo non riusciva proprio a sopportarla: a 16 anni lasciò la casa. In un lungo abbraccio le promise che avrebbe scritto, per motivi sconosciuti Giulia non avrà mai più sue notizie. Questo dolore l'accompagnerà per tutta la vita. Molti anni dopo, quando ormai anziana per abitudine non amava parlare della sua adolescenza, gli unici sospiri che manifestava erano per lui.
Giulia aveva 18 anni e partito il fratello, solo una cosa nessuno poteva toglierle: la fede. Strinse un forte legame con la piccola comunità di suore presente nel paese; erano della stessa congregazione di Besançon.
Un giorno, com'era naturale, arrivò una buona proposta di matrimonio. Il padre glielo comunicò con un certo orgoglio, ma Giulia, risoluta, trovò il coraggio di manifestare la volontà di diventare suora della carità. Era una decisione meditata a fondo. Il padre non nascose il disappunto, ma nemmeno la ostacolò. L'8 settembre 1866 sarà lui che la condurrà in carrozza a Vercelli dove, nel monastero di S. Margherita, c’era il noviziato. Era un nuovo distacco, definitivo, per una vita nuova.
Incontrò le difficoltà di tutte le novizie: doveva assimilare le regole dell'istituto e dimenticare le comodità del passato. Un giorno, mentre era intenta con altre compagne a riordinare una stanza, dalla strada sentì una musica che tante volte aveva ballato. Abbracciato un cuscino, improvvisò una danza nell'allegria generale. Non tardò ad arrivare la punizione che lei accettò serenamente. Cresceva intanto la sua spiritualità, secondo il carisma della fondatrice "Dio solo", ripeteva "veramente in Dio solo dobbiamo mettere tutta la nostra felicità". Il modello a cui guardava era la Madonna. Perfezionò la sua formazione, alternando lo studio ai lavori di cucina, per lei inusuali. Il 29 settembre 1867 indossò l'abito, divenendo suor Nemesia. Due mesi dopo, conseguito il diploma di maestra, fu destinata all'Istituto S. Vincenzo di Tortona che comprendeva un collegio, una scuola e un orfanotrofio. Vi resterà 35 anni.
Le fu affidata una prima elementare. All'inizio sembrò soccombere di fronte all'esuberanza delle bambine, ma la bontà e l'umiltà, che sempre premiano, ebbero la meglio. Diceva: "Sii paziente, sii umile: ci guadagnerai sempre!". Purtroppo, com'era all'epoca consuetudine, vi era un trattamento differente tra le orfanelle e le educande, suor Nemesia fece il possibile per eliminarlo almeno nell'insegnamento. Cercò di trasmettere l’amore per la bellezza del creato attraverso lo studio e l'osservazione dell'arte e della natura. Un'alunna, dopo tanti anni, dirà: "ci conosceva ad una ad una, sapeva capirci". Il 15 ottobre 1873 fece la professione. Oltre ai voti di povertà, castità, obbedienza, c'era quello peculiare della congregazione: assistere materialmente e spiritualmente i poveri. Lo realizzò appieno per il resto della vita. Dopo qualche anno si dedicò esclusivamente all'insegnamento del francese, ma era la sua bontà ad affascinare tutti, dentro e fuori la Casa. Bontà non significò debolezza, quando era necessario rimproverava, anche severamente.
Nel 1886, alla morte della superiora di cui era il braccio destro, era naturale che fosse lei la designata alla successione. Provò uno smarrimento iniziale, per la consapevolezza dell'alta responsabilità e per il fatto che non avrebbe avuto più tanto tempo da dedicare alle sue ragazze. Poi comprese che come superiora sarebbe stata più libera nelle opere di carità, soprattutto fuori dall'istituto. "Al mattino prestissimo scivolava, non notata, fra le vie più nascoste a portare essa stessa, con il dono materiale, il conforto della sua bontà ai poveri più poveri e dimenticati".
Gli impegni erano tanti, doveva anche far quadrare i conti sempre in rosso, ma se qualcuno chiedeva di parlarle ascoltava attentamente, come se non avesse nessun altro pensiero. Non mancarono gli attriti con le consorelle, ma la sua calma era disarmante. Sferruzzava continuamente, anche quando parlava con persone importanti, provvedendo così alla biancheria delle orfanelle, dei seminaristi per cui aveva una speciale predilezione e anche dei soldati del vicino distretto militare. Le generazioni si susseguivano: tutti volevano mantenere i rapporti con suor Nemesia, andavano anche per presentare un fidanzato o far conoscere un bimbo appena nato. Lei, che non aveva conosciuto il calore materno, ebbe sempre un'attenzione particolare per le orfanelle, cercava di aiutarle anche quando lasciavano l'istituto.
I soldi non bastavano mai, ma nonostante ciò aiutava le missioni. Il direttore spirituale dell'istituto, don Giuseppe Carbone, fattosi cappuccino, partì per l'Eritrea. Lei lo sostenne e con tante iniziative raccolse denaro per aiutarlo. Nacque così il primo circolo missionario della città. Incoraggiò pure un altro direttore dell'istituto, Don Daffra, quando fu eletto vescovo di Ventimiglia. Gli preparò, con l'amore di una mamma, gli abiti pontificali. "Oh, il cuore di Suor Nemesia!" esclamavano tutti. Aiutò come poté il giovane S. Luigi Orione e ospitò più volte la B. Teresa Grillo Michel. Restò sempre umile, "Lodata da tanti ammiratori delle sue Opere, sapeva con una parolina, con uno scherzo piacevole, declinare le lodi e riversarle dolcemente sugli interlocutori".
Nel 1901, per ristabilirsi da una malattia, la beata Nemesia soggiornò per qualche tempo nei pressi dei Santuari di Crea e di Varallo. Il 10 maggio 1903, dopo 35 anni trascorsi a Tortona, arrivò l'ordine che nessuno si aspettava: partire per un nuovo incarico. Una nuova comunità nasceva vicino a Torino per accogliere le tante vocazioni di quegli anni: occorreva una maestra delle novizie straordinaria. Non riuscì a guardare negli occhi coloro ai quali doveva dare l’addio, partì alle 4 del mattino salutando con una lettera. " Vi assicuro che, col pensiero vi seguirò in cappella, in classe, in giardino…vi ho mandato il mio bacio e l'abbraccio materno”. Il vuoto che lasciava era enorme.
Soggiornò una notte a Torino dove le avevano preparato una stanza con i dovuti onori, lei non si fece riconoscere e dormì sistemata alla meglio. A Borgaro Torinese, nel Castello dei Birago, ancora da adattare, nasceva una nuova provincia religiosa. Il suo compito di maestra delle novizie era tra i più delicati, vi mise tutto l'impegno possibile. Lavorava al loro fianco per dare il buon esempio, anche se ormai avanti negli anni non era un problema per lei inginocchiarsi pubblicamente davanti alla superiora. In tredici anni formò circa 500 novizie, con la corrispondenza le seguì anche negli incarichi successivi. Tra i suoi scritti leggiamo: " Se la notte, il deserto e il silenzio sono sordi, Colui che ti ha creato ti ascolterà sempre" "Stammi allegra, santamente allegra! Canta, canta sempre! Non inquietarti: attendi al presente! ".
Grande devota dell'Eucaristia, un giorno, per il suo onomastico, chiese in regalo l'esposizione del Santissimo per tutta la giornata. Amava spesso ritirarsi in solaio per pregare da sola.
Il 10 dicembre 1916, mentre imperversava la Seconda Guerra Mondiale, si ammalò di polmonite. Nella malattia, che durò pochi giorni, rispettò l'ordine del silenzio datole dalla superiora per risparmiare le forze. Si spense alle 21,10 del 18 dicembre. Nella stanza si diffuse un profumo soave di rose e viole, il Signore ricompensava così colei che per tutta la vita l'aveva amato nel servizio del prossimo. Tante volte aveva ripetuto: "L'amore che si dona è l'unica cosa che rimane”.
Beatificata da Giovanni Paolo II il 25 aprile 2004, le sue spoglie mortali sono venerate nella chiesa dell'Istituto di Borgaro Torinese.

Preghiera composta dalla B. Nemesia:
"O Vergine tutta pura, Madre del Santo Amore che devi all'umiltà tutta la tua grandezza, io non trovo più giusto titolo per supplicarti di aiutarmi a vincere la mia superbia.
O Beatissima Madre non chiedo altro che uno dei tuoi sguardi: guardami e poi, se poi ti accontenterai di vedermi così povera … allora anch'io mi accontenterò di rimanere tale".

Informazioni:
Suore della Carità
Borgaro Torinese
Tel. 011 4701005

Autore:
Daniele Bolognini

(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, figlio di Davide.

VANGELO DI MERCOLEDI 18 DICEMBRE

(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, figlio di Davide.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa «Dio con noi».Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Parola del Signore!


 RIFLESSIONE DI LELLA :

PREGHIERA


Vieni Signore mio,con il tuo Santo spirito,ad aiutare la mia mente a capire quello che Tu ritieni giusto che io debba capire e a liberare la mia mente da tutto il resto.

Matteo continua a raccontarci la storia della nascita di Gesù,vedendola dalla parte di Giuseppe.

La notte di Giuseppe! Questo dovrebbe essere il titolo di questa pagina di vangelo; ve la immaginate la notte del povero Giuseppe? Dubbi, angosce, paura, delusione… credo che nella sua mente sia passato veramente di tutto, e molto probabilmente ha anche pianto e a lungo, perché alla fine è crollato in un sonno profondo….

Ecco ora l’uomo Giuseppe finisce di comportarsi da uomo, ora stremato si lascia andare, allenta le difese, smette di pensare, e il Signore riesce ad intervenire mandando un suo angelo.

Quello che mi colpisce e mi fa riflettere è proprio questo, quando l’uomo ha provato tutto, ha pensato tutto, si arrende a Dio, e da lì in poi tutto è possibile.Giuseppe, semplice falegname, aveva come promessa sposa la piccola Maria; una fanciulla mite e sicuramente degna del massimo rispetto, tanto che anche a lui riesce difficile pensare male di lei, quando le dice che aspetta un bambino.

Giuseppe sa di non averla toccata, come può essere successa una cosa simile? E adesso che sarà di lei? Anche oggi come 2000 anni fa una ragazza che deve affrontare una gravidanza da sola si trova in mille difficoltà, dirlo alla famiglia, il giudizio della gente, ma in quei tempi era ancora peggio; una ragazza era messa al pubblico sdegno ed addirittura lapidata. Egli sente che non può farle questo, ma non può neanche sposarla! Non la sta giudicando, ma non comprende; le sue intenzioni erano altre: una casa, dei figli suoi, una bottega di falegname….. ed ora questa cosa gli sembra inaccettabile.

Molti uomini cercano di capire come una Vergine possa aver partorito ed essere restata tale, ed a questo proposito io vorrei dire: che questo possa essere un dubbio legittimo in chi non crede in Gesù Cristo, è normale, ma quando si riesce a scoprire ed accettare il mistero dell’incarnazione di Dio, perché questi dubbi? Perché resistere al miracolo della fede? Perché cercare di capire e limitare Dio? Che tipo di fede è questa?

Nella nostra vita avremo avuto e avremo sempre dei momenti in cui ci sarà difficile comprendere i disegni di Dio, ma se ci affidiamo a lui, tutto ci sarà poi comprensibile. Senza il Sì di Maria e di Giuseppe noi non saremmo qui dopo 2000 anni a parlare dei disegni di Dio, non aspetteremmo ancora una volta un Natale che ci rappresenta la nascita di “Dio con noi”, non spereremmo in un mistero ancora più grande di noi, in cui un piccolo esserino che sceglie di nascere in una stalla e morire su una croce, cambierà la storia della nostra vita!

Ma quando Dio decide di intervenire nel mondo, non ci chiede il permesso, anzi, a volte sconvolge i nostri piani ed è proprio quello che ha fatto con Giuseppe, che, poverino, credeva di aver già programmato la sua vita.

Se la nostra vita, non è sconvolta dall’arrivo di Gesù, se non cambia nulla, c’è qualcosa che non quadra, forse non è a Gesù che diamo ascolto, ma al nostro IO che grida più forte di DIO!

La vita del mondo ci spinge a cercare il benessere e la sicurezza nelle cose materiali, nel lavoro la solidità del futuro, ecc. e seguendo questi schemi è facile che quando qualcuno dei paletti su cui poniamo le basi della nostra esistenza, ci viene a mancare, ci sentiamo franare la terra sotto ai piedi e temiamo che tutto possa crollare, ma se la nostra vita è basata su solide fondamenta e sulla fede, niente, neanche la prova più dura, ci metterà paura, perché in ogni cosa cercheremo di accettare e di riconoscere la mano del Signore e faremo riferimento a Lui.

Non sarà sempre facile, Gesù ci ha avvertito che seguirlo non è una passeggiata, ma ci ha anche convinto che è l’unica via possibile per la nostra salvezza.

San Giuseppe, tu che hai ascoltato la voce dell’angelo mandato dal Signore, proteggici e guidaci come hai fatto con il piccolo Gesù, che ti fu affidato da Dio, e guidaci nella vita verso il progetto di Dio per noi. Grazie, amen.

lunedì 16 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Circa la vostra lettura c’è poco da ammirare e quasi niente da edificarsi. Vi è assolutamente necessario che a simili letture aggiungiate quella dei Libri santi (= sacra Scrittura), tanto raccomandata da tutti i santi padri. Ed io non posso esimervi da queste letture spirituali, troppo premendomi la vostra perfezione. Conviene che deponiate il pregiudizio che avete (se volete da simili letture ricavare il tanto insperato frutto) intorno allo stile ed alla forma con cui questi Libri sono esposti. Sforzatevi nel far questo e raccomandate la cosa al Signore. In questo vi è un grave inganno ed io non posso nascondervelo." (Epist. II, p. 141s.).

SANTI é BEATI :

San Giovanni de Matha Sacerdote
Faucon (Alpes-de-Haute-Provence, Francia), 23 giugno 1154 - Roma, 17 dicembre 1213
Provenzale, docente di teologia a Parigi, prete a 40 anni, Giovanni de Matha lasciò la cattedra, divenendo sacerdote. Durante la sua prima messa, il 28 febbraio 1193, gli accade qualcosa di straordinario. Mentre celebrava gli comparve una visione: un Uomo dal volto radioso, che teneva per mani due uomini con catene ai piedi, l'uno nero e deforme, l'altro pallido e macilento; quest'uomo gli indicò di liberare queste povere creature incatenate per motivi di fede. Giovanni De Matha comprese immediatamente che quell'uomo era Gesù Cristo Pantocratore, che rappresentava la Trinità, e gli uomini in catene erano gli schiavi cristiani e musulmani. Capì, quindi, che sarebbe stata questa la sua missione di sacerdote: quella di liberare gli schiavi cristiani in Africa. Si ritirò in campagna per meditare sull'impresa e fondò, nel 1194, in Cerfroid, a poco meno di cento chilometri da Parigi, con quattro eremiti l'Ordine della Santissima Trinità (“Ordo Sanctae Trinitatis et redemptionis captivorum”), dall'austera regola. Ottenuta l'approvazione di Innocenzo III il 17 dicembre 1198 con la bolla Operante divinae dispositionis, partì per il Marocco. Iniziarono così i primi riscatti di schiavi. Il tema era allora molto sentito, tanto che san Pietro Nolasco fondò nel 1218, con lo stesso scopo, i Mercedari. Giovanni morì a Roma - dove il Papa gli aveva donato la chiesa di San Tommaso in Formis sul Celio -, ma nel Seicento il suo corpo venne portato a Madrid. Fu santificato nel 1666.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Roma sul monte Celio, san Giovanni de Matha, sacerdote, che, francese di origine, istituì l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi.

Questo provenzale di Faucon, docente di teologia all’Università di Parigi, si fa prete tardi, sui 40 anni. Poi lascia la cattedra, perché un "segno gli ha rivelato la sua vera missione": dedicarsi al riscatto degli schiavi cristiani in Africa. La pirateria mediterranea, negli assalti in mare e nelle scorrerie a terra, rastrella gente giovane e va a venderla sui mercati nordafricani. Giovanni de Matha si ritira per riflettere a Cerfroid, una campagna solitaria a 70 km da Parigi, dove spiega l’idea a quattro eremiti, che l’accettano di colpo. In tre anni nasce la struttura. Ossia l’Ordine della Santissima Trinità (abito bianco con croce rossa e azzurra sul petto, cappa e cappuccio neri). Si basa su comunità piccole e agili, con regola austera e niente ambizioni estetiche per le chiese e i riti. L’elemosina raccolta da appositi collettori va per un terzo al mantenimento dei monaci, per un terzo all’assistenza di malati e pellegrini, e per un terzo al riscatto degli schiavi. Ottenuta l’approvazione del papa Innocenzo III, nel 1199 parte la prima spedizione per il Marocco.
I Trinitari (così li chiamano) visitano mercati, prigioni, luoghi di lavoro, trattano con autorità e padroni, e liberano con regolare scrittura di riscatto i primi duecento schiavi; un notaio registra tutto, e così si farà sempre. I marsigliesi si commuovono vedendo sbarcare quei duecento, con Giovanni de Matha che li accompagna alla cattedrale cantando il salmo In exitu Israël de Aegypto. (Il problema degli schiavi è all’ordine del giorno: con una missione analoga nel 1218 san Pietro Nolasco fonderà a Barcellona i Mercedari).
Nel 1209 l’Ordine avrà 30 case, e 600 verso il 1250, soprattutto in Francia e Spagna. Agli ex schiavi malati o senza famiglia dà accoglienza nei suoi ospizi. Tra il 1199 e il 1207 il fondatore si lancia in un attivismo frenetico, per aumentare i centri di accoglienza, trovare denaro da ricchi e da poveri, moltiplicare le spedizioni di riscatto. Papa Innocenzo gli dona a Roma la chiesa abbaziale di San Tommaso in Formis sul Celio, dove Giovanni crea un altro ospizio. E qui muore il 17 dicembre 1213. Nel 1665 due frati trinitari tolgono il suo corpo dalla chiesa (il convento ha cambiato proprietà) e lo portano a Madrid.
L’ordine soccombe poi alle soppressioni regie e rivoluzionarie del Sette-Ottocento, ma rinasce nel XIX secolo, con case impegnate in Europa e in America nelle missioni, assistenza ospedaliera e ministero. Manca una storia completa dei riscatti: il religioso che vi lavorava, padre Domenico dell’Assunta, fu ucciso nella guerra civile spagnola (1936) e il materiale andò perduto. Ricordiamo tuttavia un nome: quello di Miguel de Cervantes, futuro autore di Don Chisciotte. Catturato da un pirata albanese e venduto sul mercato di Algeri nel 1575, sarà liberato cinque anni dopo dal trinitario spagnolo fra Juan Gil.

Autore:
Domenico Agasso

(Mt 1,1-17) Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.

VANGELO 
(Mt 1,1-17) Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo di Dio ,illuminami , fa che io possa riconoscermi in questa famiglia, in questa stirpe ,come Figlia Di Dio. Vieni, datore di doni, riempimi di sapienza per poter conoscere tutto quello che Dio mi concede di sapere ,per seguire la luce che indica la via segnata dalla stella fino all'umile stalla dove nacque Gesù e, da lì in poi vivere con il Figlio, il volere del Padre, alla luce del tuo Spirito. Amen.

La genealogia di Gesù, è riportata in due versioni nei Vangeli, quella di Matteo e quella di Luca, abbastanza dissimili tra loro, per vari motivi, ma questa è la parte che interessa gli studiosi teologi, o quelli che amano spaccare il capello in quattro.Io non sto ad indagare sulle differenze,vi dico solo che probabilmente Luca sta riportando la genealogia di Maria mentre Matteo sta riportando quella di Giuseppe. Attraverso entrambe i lignaggi Gesù è un discendente di Davide e quindi corrisponde alle caratteristiche del Messia. Tracciare la genealogia dal lato materno è una pratica insolita, ma era insolita anche la nascita da una vergine. La spiegazione di Luca è che Gesù era il figlio di Giuseppe, “così si pensava”(Luca 3:23)
Ma la fede in Gesù Cristo segna la fine di tutte le diatribe possibili, riunisce tutto i popoli della terra, ci rende tutti figli di Dio.
Nasce dalla famiglia di Davide, è vero, ma nella sua storia terrena manda i suoi discepoli ad ammaestrare i popoli di tutta la terra, è il primo grande eroe dell’unità, in un mondo che non sa far altro che dividersi, Lui rivoluziona tutto e ci dice che pur essendo diversi, di etnie ,razze, popoli, colori, tutti siamo figli dello stesso Dio, fratelli in Cristo. Non serve sapere altro, ma vivere questo è secondo me, già sufficiente per entrare a far parte di questo benedetto Regno di Dio.
Una famiglia è unita da legami di sangue, d’amore e, se solo pensassimo ogni giorno, prima di adirarci con un nostro fratello, che in lui scorre lo stesso dna di figlio di Dio, forse potremmo pian piano, riuscire a vivere in pace e letizia.
Oggi il Vangelo, sembra solo una lunga lista di nomi, per ricordarci che la genealogia di Gesù,è riconoscibile nella storia, e Matteo che è ebreo, la scrive per gli ebrei.Eppure sappiamo che molti di loro non hanno riconosciuto in Gesù il Messia che aspettavano,.....perchè? Perchè aspettavano un re, un vincitore, un conquistatore, uno che li avrebbe resi ricchi e potenti, conquistato terre per loro, un trascinatore che li avrebbe vendicati..... Ed ecco che invece Gesù, viene in un umile stalla, e anche se non trova posto tra la sua gente, attira già da neonato, moltitudine di folle da ogni parte, che guardando al cielo, e seguendo una stella ed il canto degli angeli, vengono a vedere il Bambino Gesù.
Non sanno ancora bene chi è; vengono per conoscerlo e si avvicinano alla culla con venerazione e curiosità. Salutano Maria e Giuseppe e portano i loro doni, chi poco chi tanto, ma tutti lo fanno con il cuore. Persino i re venuti da lontano, non conoscendolo si erano dapprima messi d' accordo con Erode, che lo cercava per ucciderlo, per denunciare dov'era quel bambino che avrebbe cambiato la storia del mondo.Ma Dio scrive una storia diversa da quella degli uomini e davanti a quel piccolo capiscono per dono Divino, che debbono tornare per un altra via, che debbono prendere un' altra direzione, per aiutare Gesù nel suo disegno di salvezza. Dio ha scritto per noi la storia della salvezza, possiamo cone molti non accoglierla, nonostante sia confermata dalla storia, oppure correre da Gesù Bambino, fare festa intorno a Lui, riconoscendo chè è nato il salvatore del mondo e, come i re magi, aiutarlo nel suo progetto di salvezza.

domenica 15 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

 -" Orsú, mia diletta figliuola, bisogna attentamente coltivare questo cuore ben formato, e niente risparmiare di ciò che può essere utile alla di lui felicità; e, sebbene in ogni stagione, cioè in ogni età, ciò può e deve farsi, questa, però, nella quale tu sei, è la piú adatta." (Epist. III, p. 418).

SANTI é BEATI :

Beato Onorato (Venceslao) Kazminski Cappuccino
Biala (Polonia), 16 ottobre 1829 - Nowe-Miasto, 16 dicembre 1916
Onorato, al secolo Vencesalo Kozminski, nacque a Biala Podlaska il 16 ottobre 1829. Ricevuta la prima educazione in famiglia e compiuti gli studi primari a Plock, si reco a Varsavia per gli studi di architettura. Nel 1846 subì una crisi religiosa, superata la quale entro nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini a Varsavia, e venne ordinato sacerdote il 27 dicembre 1852. Si dedico ad un'intensa azione pastorale fondando ben 26 Istituti religiosi, di cui 18 esistono tutt'oggi. Fu scrittore fecondo, direttore spirituale e confessore ricercatissimo. Morì a Nowe Miasto il 16 dicembre 1916. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1988.
Martirologio Romano: Nella città di Nowe Miasto in Polonia, beato Onorato da Biała Podlaska (Fiorenzo) Kazminsky, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che si adoperò egregiamente nel servire i penitenti, nel predicare la parola di Dio e nel confortare in carcere i prigionieri.

Venceslao Kozminski nasce nel 1829, la famiglia lo educò cristianamente e lo fece studiare presso il ginnasio di Plock. Frequentando l'ambiente della scuola di belle arti di Varsavia, influenzato dall'illuminismo, abbandonò la fede. Arrestato nel 1846 dalla polizia zarista, poiché sospettato di far parte di una organizzazione politica, rinchiuso nel carcere di Varsavia, vi trascorse un anno durante il quale contrasse il tifo e temette la condanna a morte. Durante questo periodo aveva ricercato e trovato nuovamente la fede in Dio.
Nel 1848 entrò nel noviziato di Lubartòw, alla vestizione gli fu dato il nome di fra Onorato, fu ordinato sacerdote il 27 dicembre 1852, subito iniziò l'insegnamento ai chierici cappuccini, impegnato nella predicazione e nella direzione dei terziari francescani.
Nel 1863 i russi decretarono l'abolizione degli ordini religiosi, Onorato venne trasferito prima a Zahroczym e quindi a Nowe-Miasto.
Lottò contro il potere zarista che voleva staccare la chiesa polacca da quella di Roma, per mezzo della devozione mariana e della diffusione del terz'ordine francescano. Di sicuro fu molto difficile operare in un paese dove era vietato fare apostolato e formare novizi, per questo motivo diffuse i valori evangelici interpretati dal terz'ordine formando varie congregazioni, queste vivevano il vangelo di Cristo così come si trovavano nella vita ordinaria, senza saio, senza convento, nascosti ma vivi nella fede. Queste congregazioni furono approvate dalla santa sede il 21 giugno 1889, ma in seguito a denunce furono imposte delle restrizioni a queste comunità.
Nel 1905 per motivi di salute non esercitò più il ministero nei confessionali ed inizio una importante corrispondenza epistolare con i propri figli spirituali, circa 4000 lettere manoscritte sono conservate negli archivi di Varsavia, oltre alle sue numerose prediche, ad una "enciclopedia mariana" e ad un diario spirituale.
Dal 1895 fu commissario generale dei cappuccini sotto la dominazione russa.
Morì all'età di 87 anni il 16 dicembre 1916, dal 1975 il suo corpo riposa nella chiesa di Nowe-Miasto.
Il 16 ottobre 1988 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato.

Autore:
Carmelo Randello

(Mt 21,23-27) Il battesimo di Giovanni da dove veniva?

VANGELO
(Mt 21,23-27) Il battesimo di Giovanni da dove veniva?
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo, e svelaci le parole di Gesù; fa che il nostro animo e la nostra mente siano puri davanti al Signore, e che la malizia umana non c’impedisca di capire e di riconoscere il Messia.
Certo che l’intelligenza di Gesù, a volte ci lascia senza parole; il fatto che ci stupisce è che, senza neanche innervosirsi, riesce a trovare le parole giuste per far chiudere nella trappola da soli quelli che gli tendono la trappola. I sadducei ed i capi dei sacerdoti, non riconobbero in Giovanni un profeta, coloro che dovevano guidare il popolo verso Dio, non seppero leggere i segni delle sacre scritture ed ora che Giovanni era morto, i loro dubbi non si erano per niente chiariti, eppure già il loro pensiero era di insidiare Gesù.
Chi è Gesù?Chi lo autorizza a fare quello che fa?
Forse è il momento di domandarci chi è per noi, e se noi lo autorizziamo a guidare la nostra vita, e se facciamo come chi si sente più giusto, più saggio, più importante, e cerchiamo di metterlo a tacere.


(Mt 11,2-11) Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?

VANGELO
(Mt 11,2-11) Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo, e liberati nel mio cuore, inebriami e donami la luce della parola di Dio, perché desidero con tutto il cuore essere fedele al mio Dio, servirlo e lodarlo. Aiutami!
Questa è la pagina in cui vediamo come tutti siamo preda dell’errore e del nostro io, anche se prescelti, come Giovanni Battista e vicini a Gesù come gli apostoli.
Non basta quindi essere sicuri di voler seguire Gesù, perché il dubbio, l’inganno, il nostro io sono sempre in agguato. Probabilmente Giovanni passava un momento di scoraggiamento, era in prigione, e sapendo che Gesù era vicino, probabilmente si aspettava da Lui una qualsiasi dimostrazione di salvezza, era un uomo come noi, anche se sicuramente migliore, ed aveva anche lui paura di morire. Il Signore risponde ai discepoli di Giovanni in maniera molto chiara, gli dice che quel loro maestro, quell’uomo che loro avevano seguito dal deserto, era un profeta, e ancora di più, era quello di cui si parlava nell’antico testamento colui che spianerà la via al Messia, non era una canna che ondeggiava al vento, eppure quell’uomo che era il più grande, era l’ultimo di una storia che cambiava, e che attraverso il sacrificio di Gesù sarebbe stata la storia della salvezza per tutti gli uomini, che grazie al suo sacrificio potevano entrare nel regno dei cieli.

sabato 14 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Temere di perderti fra le braccia della bontà divina è piú curioso del timore del bambino stretto fra le braccia materne." (Epist. III, p. 638).

SANTI é BEATI :

Santa Maria Crocifissa (Paola) di Rosa Vergine
Brescia, 6 novembre 1813 - 15 dicembre 1855
Suo padre è un imprenditore bresciano; la madre, nobile bergamasca, muore nel 1824 quando Paola Francesca ha 11 anni. A quell'età entra nel collegio della Visitazione per gli studi, e ne esce a 17 anni. Nonostante il padre per lei preferisca il matrimonio, la giovane decide di restare fedele al voto di castità fatto in istituto. Viene così mandata a dirigere una fabbrica di filati di seta di proprietà dal padre ad Acquafredda. Ma Paola organizza aiuti per i bisognosi e si dedica all'istruzione religiosa femminile, aiutata da alcune ragazze. Insieme, da infermiere volontarie, lavorano per aiutare le vittime del colera del 1836, in due scuole per sordomuti, nella tremenda primavera del 1849, durante le «Dieci Giornate», quando la città si ribella agli austriaci. Nel 1851 la comunità ottiene la prima approvazione come congregazione religiosa, col nome di Ancelle della Carità. Nel 1852, Paola Francesca pronuncia i voti e come religiosa diventa suor Maria Crocifissa. Morirà a Brescia nel 1855. (Avvenire)
Etimologia: Paola = piccola di statura, dal latino
Emblema: Giglio

Martirologio Romano: A Brescia, santa Maria Crocifissa Di Rosa, vergine, che consacrò i suoi beni e tutta se stessa alla salvezza spirituale e materiale del prossimo e fondò l’Istituto delle Ancelle della Carità.

Suo padre, Clemente Di Rosa, è un cospicuo imprenditore bresciano. La madre, Camilla Albani, appartiene alla nobiltà bergamasca, e viene a mancare quando lei, Paola Francesca, ha soltanto 11 anni. A quell’età entra nel collegio della Visitazione per gli studi, e ne esce a 17 anni. Il padre comincia a parlarle di matrimonio, ma non se ne farà nulla, perché lei vuole restare fedele al voto di castità fatto in istituto.
Niente matrimonio, dunque. Il padre la mette subito ai lavori, allora, mandandola a dirigere una sua fabbrica di filati di seta ad Acquafredda, un paese del Bresciano in riva al fiume Chiese, con una settantina di operaie. Siamo nel regno Lombardo-Veneto che, malgrado il nome, è una provincia “a statuto speciale” dell’Impero austro- ungarico, governata dall’arciduca Ranieri d’Asburgo col titolo di viceré (austriaco è pure l’arcivescovo di Milano, il cardinale Gaetano Gaysruck, spesso però in polemica con i governanti).
Così, la giovane manager col voto di castità si impegna nell’azienda di famiglia. E al tempo stesso organizza aiuti per i poveri e gli ammalati in necessità, e si dedica all’istruzione religiosa femminile, aiutata da alcune ragazze. Insieme si fanno infermiere volontarie e lavorano senza alcun riconoscimento civile o ecclesiastico. Nel 1836 la Lombardia è colpita dal colera, che fa 32 mila morti e si estende anche al Veneto e all’Emilia. Con le sue ragazze, Paola Francesca fa servizio volontario nel lazzaretto, assiste chi è malato in casa, si occupa degli orfani. Dà anche vita a due scuole per sordomuti. Nel 1840 si trova a capo di 32 ragazze con esperienza infermieristica e preparate persino all’istruzione religiosa, ma ancora senza approvazioni ufficiali, senza “personalità giuridica”. Questo è dovuto pure alla situazione politica del tempo, a qualche ostacolo locale; e il risultato è sempre uno solo: ufficialmente Paola Francesca e tutte le ragazze non esistono. Ma per i bresciani esistono, sì: loro le vedono all’opera, e soprattutto ne ammirano il coraggio nella tremenda primavera del 1849, durante le “Dieci Giornate”; ossia quando la città si ribella agli austriaci (vincitori della guerra contro il Regno di Sardegna) e subisce poi la rappresaglia ordinata dal feldmaresciallo Haynau. In mezzo alla tragedia, loro sono lì a soccorrere i feriti e a fare coraggio. E finalmente nel 1851 l’intrepida comunità ottiene la prima approvazione della Santa Sede come congregazione religiosa, col nome di Ancelle della Carità.
Nel 1852, Paola Francesca pronuncia i voti e come religiosa diventa suor Maria Crocifissa (ha voluto chiamarsi come la sua sorella maggiore, morta nel1839). Guidate da lei, le Ancelle della Carità incominciano a estendere la loro opera in Lombardia e nel Veneto, ma ormai le resta poco da vivere, anche se è ancora giovane. Si ammala nella casa delle Ancelle in Mantova, e di lì ritorna a Brescia solo per morirvi, a 42 anni. Pio XII Pacelli la proclamerà santa nel1954. Le sue spoglie sono custodite nella Casa madre di Brescia.

Autore:
Domenico Agasso

venerdì 13 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Chi si attacca alla terra, ad essa resta attaccato. È meglio staccarsi poco per volta, anziché tutto una volta. Pensiamo sempre al cielo." (CE, 64).

SANTI é BEATI :

San Venanzio Fortunato
Valdobbiadene (Treviso), ca. 530 - Poitiers (Francia), 14 dicembre 607 ca.
Etimologia: Venanzio = il cacciatore, dal latino
Martirologio Romano: A Poitiers in Aquitania, ora in Francia, san Venanzio Fortunato, vescovo, che narrò le gesta di molti santi e celebrò in eleganti inni la santa Croce.

Nel 535 circa, a Duplavilis (l’attuale Valdobbiadene in provincia di Treviso) nasce Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato. Della sua terra e della sua gente dà notizia egli stesso nel IV libro della Vita di San Martino, quando indica al suo poema la strada da percorrere per raggiungere Ravenna e gli raccomanda di passare per Valdobbiadene: “Avanza attraverso Ceneda e vai a visitare i miei amici di Duplavilis: è la terra dove sono nato, la terra del mio sangue e dei miei genitori. Qui c’è l’origine della mia stirpe, ci sono mio fratello e mia sorella, tutti i miei nipoti che nel mio cuore io amo di un amore fedele. Valli a salutare, ancora ti chiedo, anche se di fretta”.
Era di antica e nobile famiglia romana, ebbe sicuramente un fratello e una sorella di nome Tiziana (la cita scrivendo alla badessa Agnese) e molti nipoti.
La vicina Ceneda contende a Valdobbiadene i natali dell’ultimo grande poeta della latinità. Ma Paolo Diacono, che scrive alla fine dell’VIII secolo e cita espressamente questo brano, non ha dubbi sulla nascita valdobbiadenese.
I primi studi li compie probabilmente nel Trevigiano (forse proprio a Treviso, forse ad Asolo, forse a Oderzo). Nel 557 circa si reca ad Aquileia per studiare. È possibile che da parte del vescovo di Aquileia, Paolino, venga già ora la proposta di prendere i voti sacerdotali (stando ad una testimonianza dello stesso Venanzio), ma egli rifiuta.
Nel 560 si trasferisce a Ravenna dove studia grammatica, retorica, poetica (e forse anche giurisprudenza), secondo le notizie che ci dà Paolo Diacono.
È affetto da una grave malattia agli occhi. Ne è colpito anche il suo amico Felice, il futuro vescovo di Treviso, colui che fermerà Alboino e i Longobardi sul Piave. Venanzio e Felice si ungono gli occhi con l’olio della lampada che brucia nella cripta dedicata a San Martino nella basilica di Giovanni e Paolo e guariscono.
Nell’autunno del 565 Venanzio lascia Ravenna e si reca in Gallia, nel regno di Austrasia, per sciogliere il voto di pregare sulla tomba di Martino a Tours. I motivi di un viaggio che lo avrebbe portato lontano dalla sua patria (mai ci sarebbe stato ritorno) sono stati variamente interpretati. Si è a lungo ipotizzato che Venanzio fosse diventato inviso al governo bizantino e fosse dunque indotto a cercare la protezione di Sigiberto. Venanzio avrebbe preso posizione a favore dello scisma dei Tre Capitoli e dunque sarebbe stato dalla parte della situazione scismatica di Aquileia. Ma non abbiamo notizia di una militanza in tal senso e nulla autorizza a dire che si tratti di fuga per motivi di pericolo personale. Del resto, se quella di Venanzio era una fuga dal governo imperiale, la corte di Sigiberto non rappresentava un rifugio sicuro perché i reali d’Austrasia non erano in quell’epoca in cattivi rapporti con Costantinopoli.
Tra l’altro è questo il periodo durante il quale Radegonda, che viveva sotto la giurisdizione di Sigiberto, otteneva dall’imperatore una reliquia della Santa Croce.
Venanzio non arriva in Austrasia come un “trovatore errante”. Il fatto che gli sia stata inviata incontro una scorta di eminenti funzionari della corte di Austrasia prova che aveva ricevuto un invito, in qualche modo ufficiale. Dunque non un romantico precursore della figura del poeta maledetto, non un ricercato dalla polizia imperiale.
Il contrario semmai, come suggeriscono recenti studi ed ipotesi. Venanzio era probabilmente un inviato dell’imperatore d’Oriente presso le corti franche e in particolare alla corte di Metz. Non dobbiamo pensare certo ad un agente segreto che agisce sotto copertura e che si avvale del suo ruolo di poeta mondano per nascondere oscuri e sottili maneggi. Più semplicemente l’imperatore, preoccupato dalla minaccia longobarda, cercava alleanze nelle Gallie. Il re di Metz, che possedeva anche la Provenza, poteva tornargli molto utile.
Venanzio, senza dubbio già noto per il suo talento di poeta, era uomo prezioso per convincere il re e i suoi grandi, riuniti nel giorno delle nozze. Venanzio arriva infatti a Metz, capitale dell’Austrasia nel 566, proprio nei giorni in cui Sigiberto sposa Brunechilde, figlia di Atanagildo re dei Visigoti, matrimonio di enorme importanza politica: si presenta con un epitalamio e una elegia in gloria dei sovrani (Carm. VI 1, e 1a, il secondo per la conversione di Brunechilde al cattolicesimo). Nello stesso anno è a Parigi dove conosce il vescovo Germano. Visita anche, assieme a Sigoaldo, uomo di fiducia di Sigiberto, Magonza, Colonia, Treviri.
La sua cultura e la sua raffinata conoscenza della lingua latina lo rendono popolarissimo e ricercato. Intesse tutta una serie di relazioni. Tra gli altri, gode della stima di Dinamio, scrittore e futuro governatore della Provenza, la regione più romanizzata. Durante l’inverno del 567 (forse nei primi mesi del successivo) raggiunge Tours. Se ne allontana subito e vi fa ritorno nel 568, diventando intimo del nuovo vescovo, Gregorio.
Si muove in continuazione. Le tappe del suo viaggio sono Poitiers, Tolosa, forse la Spagna, Saintes, ancora Poitiers dove conosce Radegonda (520-587). Radegonda, già moglie di Clotario I, era stata consacrata da Medardo, vescovo di Noyon, e aveva fondato a Saix, vicino a Poitiers un monastero in cui si era ritirata.
In questo periodo Venanzio appare caratterizzato da una grande inquietudine. Desidera far conoscere la sua opera letteraria e trovare un preciso ruolo. Nel monastero di Saix, Venanzio, che non ha ancora preso i voti, svolge il lavoro di economo.
Tra il 568 e il 576, dividendosi tra servizio al monastero e vita mondana, compone le sue opere più importanti. Quando Radegonda ottiene l’invio dei frammenti della Croce dall’Oriente, Venanzio compone il De excidio Thuringiae, ispirato dalle vicende familiari di Radegonda e dedicato al cugino di lei, Amalafrido, che militava nell’esercito imperiale. L’arrivo delle reliquie viene salutato dai due inni Pange, lingua e Vexilla regis prodeunt ancora vivissimi nella liturgia.
Nell’estate del 575 scrive la Vita di San Martino in 4 libri, ultimo grande poema della classicità. Poema epico a tutti gli effetti, come dimostra anche la scelta del verso, l’esametro. Martino viene proposto come atleta di Dio: modello di monaco e soprattutto modello di presule.
È infatti il primo vescovo che allarga il concetto di diocesi al territorio extraurbano, che esce dalle mura cittadine e fonda parrocchie rurali, che le visita in continuazione e per le quali inaugura un’opera fondamentale di formazione dei preti. Con quest’opera Venanzio si pone come irripetibile momento di sintesi tra i valori della civiltà galloceltica e quella della società galloromana. Nel segno di un alto ideale cristiano di cui proprio Martino è emblema.
Nel 576 Venanzio pubblica una prima raccolta dei Carmina.
Amato e ricercato, Venanzio è il cultore della lingua di Cicerone e Virgilio. Alla corte di re Childeberto appare come il degno erede dell’eleganza e della cultura latine. In quel gioco di rapporti e relazioni, in quella corte ricca ed elegante, ha un ruolo importante e decisivo. È lui, il poeta in cui rivivono Orazio e Lucrezio, ad avere il gioioso compito di dare lustro e decoro alla figura del suo sovrano.
Nel quinquennio 574-579 si colloca l’ordinazione sacerdotale di Venanzio.
Si allarga la sfera delle sue conoscenze e relazioni: tra gli altri Leonzio, vescovo di Bordeaux, e sua moglie Placidina, nipote di Sidonio Apollinare e pronipote dell’imperatore Avito. Conosce e apprezza anche Felice, vescovo di Nantes, e Bertrando che era succeduto a Leonzio nella sede episcopale di Bordeaux.
Nel 584 era stato assassinato Chilperico, figlio di Clotario, nel quadro della guerra civile che lo aveva visto opposto a suo fratello Sigiberto (morto nel 575): Tours e Poitiers ritornano alla corona di Austrasia con la firma del trattato di Andelot nel 587, tra Gontrando e Childeberto II.
Proprio il 13 agosto di quel 587 muore Radegonda. Venanzio resta nel monastero (diretto fin dalla fondazione da Agnese, allieva e amica di Radegonda) come direttore spirituale ed elemosiniere. Agnese stessa muore di lì a poco.
Venanzio accetta di accompagnare Gregorio che Childeberto aveva convocato a Metz in previsione di una ambasceria presso suo zio Gontrando per studiare l’applicazione del trattato di Andelot. Childeberto lo accoglie trionfalmente e durante il viaggio Venanzio visita Treviri, Coblenza e il castello di Andernach.
Quindi Venanzio rientra a Poitiers. Nel 590, diciassettesimo anno della sua ordinazione, Gregorio celebra la dedicazione della cattedrale di Tours e Venanzio scrive i tituli per degli affreschi che illustrano la vita di San Martino.
Quando (592-593) muore il vescovo di Poitiers, Platone, e Venanzio viene designato a suo successore. È consacrato dall’amico Gregorio, vescovo di Tours. Il 14 dicembre 603 Venanzio muore.
La sua produzione è, per la maggior parte, compresa negli 11 libri di Carmina Miscellanea. La Vita di San Martino è l’unica vita scritta in versi. Ne ha scritto altre 6, tutte in prosa. Sono le vite di Sant’Ilario vescovo di Poitiers, San Germano vescovo di Parigi, Sant’Albino vescovo di Angers, San Paterno vescovo di Avranches, Santa Radegonda, San Marcello vescovo di Parigi. Qualcuno gli ha attribuito anche la vita di Amanzio vescovo di Rodez, la vita di Remigio vescovo di Reims, la vita di San Medardo vescovo di Noyon, la vita di Leobino vescovo di Chartres, la vita di San Maurilio vescovo di Angers, una passio dei martiri Dionigi (Saint Denis), Rustico ed Eleuterio.

Autore: Gian Domenico Mazzocato




Una malattia agli occhi ha cambiato la sua vita. Nato al tempo del regno gotico (governato da Amalasunta, figlia di Teodorico, per conto del figlio Atalarico, minorenne) per gli studi è andato “all’estero”, ossia a Ravenna, capitale dei domini bizantini d’Italia: uno dei grandi poli culturali d’Europa. Ha studiato grammatica e retorica, ed ecco questa infermità alla vista e poi la guarigione. Venanzio l’attribuisce all’intercessione di san Martino di Tours: perciò decide di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia. Un pellegrinaggio dal quale non ritornerà più.
Già all’andata è stato bene accolto, nelle soste, da famiglie signorili, conquistate dalle sue poesie in latino, che tutti giudicano sublimi. In verità non è sempre così, ma tra tanti personaggi analfabeti la sua cultura stupisce e incanta. Giunto a Tours, prega sulla tomba di san Martino (al quale dedicherà un poema) e poi passa a Poitiers. Qui conosce un personaggio eccezionale, non perché è una regina, ma perché è singolarmente colta in mezzo a re e principi che non sanno leggere. E' Radegonda, dalla vita infelice: figlia del re di Turingia, sposata per forza a Clotario I re di Neustria (attuale Francia del Nord-Ovest), ha poi avuto un fratello ucciso da lui; e lo ha lasciato. A Poitiers, con la figlia adottiva Agnese, ha fondato e dirige un monastero.
L’incontro con queste donne dà un nuovo indirizzo alla vita di Venanzio, ammirato da entrambe per i suoi versi, e al tempo stesso attratto dal loro modo di vivere la fede. Diventa sacerdote, prende la direzione spirituale del monastero e continua a scrivere. I temi dominanti della sua poesia religiosa sono il culto della Croce, la pietà mariana, il senso della morte, la guida spirituale dei fedeli. Ha una buona conoscenza dei Vangeli, dei salmi, di Isaia e di alcuni Padri della Chiesa, oltre che di numerosi autori latini non cristiani. Il suo inno Vexilla regis prodeunt, in onore della Croce, viene cantato tuttora nella settimana santa, e altri sono stati inseriti nel Breviario. In latino, poi, scrive la vita di sette santi di Gallia, tra cui quella di Radegonda, morta nel 587.
Nel 595-97, consacrato vescovo di Poitiers, diviene una figura eminente nella Gallia lacerata da guerre tra i regni e stragi di famiglia. La sua opera di poeta cristiano ispirata a sincera pietà, e la tenerezza che anima certi suoi versi, sono una rara testimonianza di umanità e di fede, nella barbarie del tempo. Venanzio muore un 14 dicembre, forse del 607, e presto lo si venera come santo. “Santo e beato” lo proclama l’iscrizione sulla sua tomba nella cattedrale di Poitiers. L’ha composta verso il 785 Paolo Diacono, storico dei Longobardi, invocando la sua intercessione.
Autore:
Domenico Agasso