sabato 2 novembre 2013

Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 19,1-10 e Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta Volume 6 Capitolo 417 pagina 387

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO  
Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
 
 
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 19,1-10
Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «E' andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo; il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
 
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
Volume 6 Capitolo 417 pagina 387
 
Vedo una vasta piazza, pare un mercato, ombrosa di palme e di altre piante più basse e fronzute. Le palme crescono qua e là senza disciplina e ondeggiano il ciuffo delle foglie che crepitano ad un vento caldo e alto, che solleva un polverume rossastro come venisse da un deserto, o per lo meno da luoghi incolti, di terra rossastra. Gli altri alberi, invece, fanno come un porticato lungo i lati della piazza, un porticato d’ombra, e sotto si sono rifugiati venditori e compratori in una gazzarra irrequieta e urlante.
In un angolo della piazza, proprio là dove la via principale sfocia, vi è un primordiale ufficio di gabella. Vi sono bilance e misure, un banco a cui è seduto un ometto che sorveglia, osserva e riscuote, e col quale tutti parlano come fosse conosciutissimo. So essere Zaccheo il gabelliere, perché molti lo chiamano, chi per interrogarlo sugli avvenimenti della città, e sono i forestieri, e chi per versargli le loro tasse. Molti si stupiscono della sua preoccupazione. Infatti pare distratto e assorto in un pensiero. Risponde a monosillabi e delle volte a cenni. Cosa che stupisce molti, perché si capisce che solitamente Zaccheo è loquace. Qualcuno gli chiede se si sente male, oppure se ha parenti malati. Ma egli nega.
Solo due volte si interessa vivamente. La prima, quando interroga due che vengono da Gerusalemme e che parlano del Nazareno, raccontando miracoli e predicazione. Allora Zaccheo fa molte domande: «È proprio buono come lo dicono? E le sue parole corrispondono ai fatti? La misericordia che Egli predica la usa poi realmente? Per tutti? Anche per i pubblicani? È vero che non respinge nessuno?».
E ascolta e pensa e sospira. Un’altra volta è quando uno gli accenna ad un uomo barbuto che passa sul suo asinello carico di masserizie. «Vedi, Zaccheo? Quello è Zaccaria il lebbroso. Da dieci anni viveva in un sepolcro. Ora, guarito, ricompra gli arredi per la sua casa vuotata dalla Legge quando lui e i suoi furono dichiarati lebbrosi».
«Chiamatelo». Zaccaria viene.
«Tu eri lebbroso?».
«Lo ero, e con me mia moglie e i miei due bambini. La malattia prese la donna per prima e non ce ne accorgemmo subito. I bambini la presero dormendo sulla madre e io nell’accostarmi alla mia donna. Tutti lebbrosi eravamo! Quando se ne accorsero ci mandarono via dal paese… Avrebbero potuto lasciarci nella nostra casa. Era l’ultima… in fondo alla via. Non avremmo dato noia… Avevo già fatto crescere la siepe alta alta, perché neppure fossimo visti. Era già un sepolcro… ma era la nostra casa… Ci hanno mandati via. Via! Via! Nessun paese ci voleva. È giusto! Neanche il nostro ci aveva voluti. Ci mettemmo presso Gerusalemme, in un sepolcro vuoto. Là stanno molti infelici. Ma i bambini, nel freddo della caverna, sono morti. Malattia, freddo e fame li hanno presto uccisi… Erano due maschi… erano belli prima del male. Robusti e belli. Bruni come due more d’agosto, ricciuti, svegli. Erano diventati due scheletri coperti di piaghe… Non più capelli, gli occhi chiusi dalle croste, i piedini e le mani che cadevano in scaglie bianche. Si sono sfarinati sotto i miei occhi, i miei bambini!… Non avevano più figura umana quella mattina che sono morti, a poche ore di distanza… Li ho seppelliti fra gli urli della madre sotto poca terra e molti sassi, come due carogne di animali… Dopo qualche mese è morta la madre… e sono rimasto solo… Aspettavo di morire e non avrei avuto neppure la fossa scavata con le mani degli altri…
Ero quasi cieco ormai, quando un giorno è passato il Nazareno. Dal mio sepolcro ho gridato: “Gesù! Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Mi aveva raccontato un mendico, che non aveva avuto paura di portarmi il suo pane, che egli era stato guarito dalla sua cecità invocando il Nazareno con quel grido. E diceva: “Non mi ha dato solo la vista degli occhi, ma quella dell’anima. Ho visto che Egli è il Figlio di Dio e vedo tutti attraverso Lui. È per quello che non ti sfuggo, fratello, ma ti porto pane e fede. Vai dal Cristo. Che ci sia uno di più che lo benedica”.
Andare non potevo. I piedi, piagati sino all’osso, non mi facevano camminare… e poi… sarei stato preso a sassate, se fossi stato visto. Sono stato attento al suo passaggio. Egli passava spesso per venire a Gerusalemme. Un giorno ho visto, come potevo vedere, un polverume sulla via, e folla, e ho sentito grida. Mi sono trascinato sul ciglio del colle dove erano le grotte sepolcrali e, quando m’è parso di vedere una testa bionda splendere nuda fra le altre ammantate, ho gridato. Forte. Con quanta voce avevo. Tre volte ho gridato. Finché il mio grido gli è giunto.
Si è voltato. Si è fermato. Poi è venuto avanti: solo. Si è fatto proprio sotto al posto dove ero e mi ha guardato. Bello, buono, con due occhi, una voce, un sorriso!… Ha detto:
“Che vuoi che ti faccia?”.
“Voglio esser mondato”.
“Credi tu che Io lo possa? Perché?” mi ha chiesto.
“Perché sei il Figlio di Dio”.
“Credi tu questo?”.
“Lo credo” ho risposto. “Vedo l’Altissimo balenare con la sua gloria sul tuo capo. Figlio di Dio, pietà di me!”.
Ed Egli allora ha steso una mano con un viso che era tutto un fuoco. Gli occhi parevano due soli azzurri, e ha detto: “Lo voglio. Sii mondato”, e mi ha benedetto con un sorriso!… Ah! che sorriso! Ho sentito una forza entrare in me. Come una spada di fuoco che correva a cercarmi il cuore, che correva per le vene. Il cuore, che era tanto malato, m’è tornato come a venti anni, il sangue ghiaccio nelle vene è tornato caldo e veloce. Non più dolore, non più debolezza, e una gioia, una gioia!… Egli mi guardava, col suo sorriso mi faceva beato. Poi ha detto:
“Va’, mostrati ai sacerdoti. La tua fede ti ha salvato”.
Allora ho capito che ero guarito e ho guardato le mie mani, le mie gambe. Le piaghe non c’erano più. Dove prima era scoperto l’osso, ora era già carne rosea e fresca. Sono corso a un rio e mi sono guardato. Anche il viso era mondo. Ero mondo! Mondo ero dopo dieci anni di schifezza!… Ah! perché non era passato avanti? Negli anni in cui era viva la mia donna e i miei bambini? Egli ci avrebbe guariti. Ora, vedi? Compro per la mia casa… Ma sono solo!…».
«Non lo hai più visto?».
«No. Ma so che è da queste parti e sono venuto qui apposta. Vorrei benedirlo ancora ed esser benedetto per avere forza nella mia solitudine».
Zaccheo curva il capo e tace. Il gruppo si scioglie.
Passa del tempo. L’ora si fa calda. Il mercato si sfolla. Il gabelliere, col capo appoggiato ad una mano, pensa seduto al suo banco.
«Ecco, ecco il Nazareno!» gridano dei fanciulli, accennando la via maestra.
Donne, uomini, malati, mendichi si affrettano a corrergli incontro. La piazza resta vuota. Solo dei ciuchi e dei cammelli, legati alle palme, restano al loro posto, e resta Zaccheo al suo banco.
Ma poi si alza in piedi e monta sul banco. Non vede ancora nulla, perché molti hanno staccato frasche e le ondeggiano come per giubilo e Gesù appare chino su dei malati. Allora Zaccheo si leva l’abito e, rimanendo con la sola tunica corta, si arrampica su uno degli alberi. Va su a fatica contro il tronco grosso e liscio, che le sue corte gambe e le sue corte braccia afferrano male. Ma ci riesce e si mette a cavalcioni di due rami come su un ballatoio. Le gambe pendono oltre questa ringhiera, ed egli dalla cintura in su si spenzola come uno ad una finestra, e guarda.
La turba arriva sulla piazza. Gesù alza gli occhi e sorride al solitario spettatore appollaiato fra i rami. «Zaccheo, scendi subito. Oggi mi fermo in casa tua» ordina.
E Zaccheo, dopo un momento di stupore, col viso paonazzo per l’emozione, si lascia scivolare come un sacco a terra. È agitato e stenta a rimettersi la veste. Chiude i suoi registri e la sua cassa con mosse che, per volere esser troppo svelte, sono ancor più lente. Ma Gesù è paziente. Accarezza dei bambini mentre aspetta. Infine Zaccheo è pronto. Si accosta al Maestro e Lo guida ad una bella casa con un ampio giardino tutto intorno, che è al centro del paese. Un bel paese. Anzi una città di poco inferiore a Gerusalemme per la edilizia, se non per la vastità.
Gesù entra e, mentre attende che il pasto sia preparato, si occupa di malati e di sani. Con una pazienza… che solo può essere sua. Zaccheo va e viene dandosi un gran daffare. Non sta in sé dalla gioia. Vorrebbe parlare con Gesù. Ma Gesù è sempre circondato da una turba di popolo.
Infine Gesù congeda tutti dicendo: «Al calar del sole tornate. Ora andate alle vostre case. La pace a voi». Il giardino si sfolla e viene servito il pasto in una bella e fresca sala che dà sul giardino. Zaccheo ha fatto le cose con ricchezza. Non vedo altri famigliari, per cui penso che Zaccheo fosse celibe e solo, con molti servi.
AlIa fine del pasto, quando i discepoli si spargono all’ombra dei cespugli per riposare, Zaccheo resta con Gesù nella fresca sala. Anzi per un poco resta solo Gesù, perché Zaccheo si ritira come per lasciar riposare Gesù. Ma poi torna e guarda da una fessura di tenda. Vede che Gesù non dorme, ma pensa. Allora si avvicina. Ha fra le braccia un cofano pesante. Lo pone sulla tavola presso a Gesù e dice:
«Maestro… mi è stato parlato di Te. Da tempo. Un giorno Tu hai detto su un monte tante verità che i nostri dottori non sanno più dire. Mi sono rimaste in cuore… e da allora penso a Te… Poi mi è stato detto che sei buono e non respingi i peccatori. Io sono peccatore, Maestro. Mi è stato detto che Tu guarisci i malati. Io sono malato nel cuore perché ho frodato, perché ho fatto usura, perché sono stato vizioso, ladro, duro verso i poveri. Ma ora, ecco, io sono guarito perché Tu mi hai parlato. Ti sei avvicinato a me e il demonio del senso e della ricchezza è fuggito. Ed io da oggi sono tuo, se Tu non mi rifiuti, e per mostrarti che io nasco di nuovo in Te, ecco che mi spoglio delle ricchezze male acquistate e ti do metà del mio avere per i poveri e l’altra metà la userò a restituire, quadruplicato, quanto ho preso con frode. So chi ho frodato. E poi, dopo aver reso ad ognuno il suo, ti seguirò, Maestro, se Tu lo permetti…».
«Io lo voglio. Vieni. Sono venuto per salvare e chiamare alla Luce. Oggi Luce e Salvezza è venuta alla casa del tuo cuore. Coloro che là, oltre il cancello, mormorano poiché Io ti ho redento sedendomi al tuo convito, dimenticano che tu sei figlio di Abramo come essi e che Io sono venuto per salvare chi era perduto e dare Vita ai morti dello spirito. Vieni, Zaccheo. Hai compreso la mia parola meglio di tanti che mi seguono solo per potermi accusare. Perciò d’ora in avanti sarai meco».
La visione cessa qui.
18 luglio 1944.
Dice Gesù: «Vi è lievito e lievito. Vi è il lievito del Bene e quello del Male. Il lievito del Male, veleno satanico, fermenta con maggior facilità di quello del Bene, perché trova la materia più adatta alla sua lievitazione nel cuore dell’uomo, nel pensiero dell’uomo, nella carne dell’uomo, sedotti tutti e tre da una volontà egoista, contraria perciò alla Volontà universale che è quella di Dio.
La volontà di Dio è universale perché non si limita mai ad un pensiero personale, ma ha presente il bene di tutto l’universo. A Dio nulla può aumentare perfezione di sorta, avendo sempre posseduto ogni cosa in maniera perfetta. Perciò non vi può essere in Lui pensiero di utile proprio a movente di nessuna sua azione.
Quando si dice: “Si compie questo a maggior gloria di Dio, nell’interesse di Dio”, non è già perché la gloria divina sia suscettibile in Se stessa di aumento, ma perché ogni cosa che nel creato porti un’impronta di bene e ogni persona che compia il bene, e perciò meriti di possederlo, si orna del segno della Gloria divina, dando così gloria alla Gloria stessa che ha gloriosamente creato le cose tutte. È una testimonianza, insomma, che persone e cose danno a Dio, testimoniando con le loro opere della Origine perfetta da cui vengono.
Perciò Dio, quando vi comanda o vi consiglia o vi ispira una azione, non lo fa già per interesse egoista, ma per un pensiero altruista, caritativo, di benessere vostro. Ecco, perciò, perché la volontà di Dio non è mai egoista, ma è anzi una volontà tutta tesa all’altruismo, all’universalità. L’unica e vera forza nel mondo universo che abbia pensiero di bene universale.
Il lievito del Bene, germe spirituale che viene da Dio, cresce invece con molta avversità e fatica, con molto stento, avendo contro sé i reagenti che sono propizi all’altro: la carne, il cuore e il pensiero dell’uomo, pervasi da un egoismo che è l’antitesi del Bene che, per la sua origine, non può essere che Amore. Manca nella maggioranza degli uomini la volontà di bene, e perciò il Bene sterilisce e muore, o vive così stentato che non lievita: rimane lì. Non vi è colpa grave. Ma non vi è neppure sforzo a fare il massimo bene. Perciò lo spirito giace inerte. Non morto, ma infruttifero.
Badate che non fare il male non basta che a evitare l’inferno. Per godere subito del bel Paradiso occorre fare il bene. Assolutamente. Per quanto lo si riesce a fare. Lottando contro se stessi e contro gli altri.
Perché Io ho detto che Io ero venuto a mettere guerra e non pace anche fra padre e figli, fra fratelli e sorelle, quando questa guerra venisse dal fatto di difendere la Volontà di Dio e la sua Legge contro le sopraffazioni delle volontà umane, volte in direzioni contrarie di quello che vuole Iddio.
In Zaccheo il piccolo pugno di lievito di bene era fermentato in grande massa. Nel suo cuore non ne era caduta che una briciola originaria: gli avevano riferito il mio discorso della Montagna. Malamente anche, certo mutilato di tante sue parti, così come avviene dei discorsi riportati. Pubblicano e peccatore Zaccheo. Ma non per mala volontà. Era come uno che con un velo di cataratta sulle pupille vedesse male le cose. Ma sa che l’occhio, liberato di quel velo, ritorna in grado di vedere bene.E quel malato desidera gli sia levato quel velo. Così Zaccheo. Non era persuaso né felice.
Non persuaso delle pratiche farisaiche, che ormai avevano sostituito la vera Legge. E non felice della sua maniera di vivere. Cercava istintivamente la luce. La vera Luce. Ne vide uno sprazzo in quel frammento di discorso e se lo chiuse in cuore come un tesoro. Poiché lo amava, lo sprazzo divenne sempre più vivo, vasto e impetuoso, e lo portò a vedere nettamente il Bene e il Male e a scegliere giustamente, recidendo con generosità tutti i tentacoli che prima, dalle cose al cuore e dal cuore alle cose, lo avevano avvolto in una rete di schiavitù maligna.
“Poiché lo amava”. Ecco il segreto del riuscire o meno. Si riesce quando si ama. Non si riesce che poco quando si ama stentatamente. Non si riesce affatto quando non si ama. In qualunque cosa. Con più ragione nelle cose di Dio dove, per essere Dio invisibile ai sensi corporali, occorre avere un amore, oso dire, perfetto, per quanto possa creatura toccare perfezione, per riuscire in un’impresa. Nella santità, in questo caso.
Zaccheo, disgustato del mondo e della carne, come disgustato dalle meschinità delle pratiche farisaiche, così cavillose, intransigenti per gli altri, troppo condiscendenti per loro, amò quel piccolo tesoro di una mia parola, giunto a lui per puro caso, umanamente parlando, l’amò come la cosa più bella che la sua vita quarantenne avesse posseduto, e da quel momento polarizzò il suo cuore e il suo pensiero su questo punto. Non soltanto nel male, dove è il tesoro è il cuore dell’uomo. Anche nel bene.
I Santi non hanno avuto forse nella vita il loro cuore là dove era il loro tesoro: Dio? Sì. E per questo, guardando soltanto Iddio, seppero passare sulla terra senza corrompere nel fango della terra la loro anima.
Quella mattina, se Io non fossi comparso, avrei ugualmente fatto un proselite, poiché il discorso del lebbroso aveva ultimato la metamorfosi di Zaccheo. Al banco della gabella non era già più il pubblicano frodatore e vizioso. Ma l’uomo pentito del suo passato e deciso a mutare vita. Se Io non fossi apparso a Gerico, egli avrebbe chiuso il suo banco, preso il suo denaro, e sarebbe venuto in cerca di Me, perché non poteva più stare senza l’acqua della Verità, senza il pane dell’Amore, senza il bacio del Perdono.
Questo, i soliti censori che mi osservavano per rimproverarmi sempre, non lo vedevano e tanto meno lo capivano. E perciò si stupivano che Io mangiassi con un peccatore. Oh! se non giudicaste mai, lasciandone a Dio il compito, poveri ciechi incapaci di giudicare anche voi stessi! Non sono mai andato coi peccatori per approvare il loro peccato. Andavo per trarli dal peccato, sovente perché essi non avevano ormai più unicamente che l’esterno del peccato: l’anima contrita era già mutata in una nuova anima vivente per espiare. E allora ero Io con un peccatore? No. Con un redento che aveva unicamente bisogno di una guida per reggersi nella sua debolezza di risorto da morte.
Quanto vi può insegnare l’episodio di Zaccheo! Il potere della retta intenzione che suscita il desiderio. Il desiderio retto che spinge a cercare una sempre maggior cognizione del Bene e a cercare Dio continuamente sino ad averlo raggiunto, un retto pentimento che dà il coraggio della rinuncia. Zaccheo aveva la retta intenzione di udire parole di vera Dottrina. Avutane qualcuna, il suo retto desiderio lo spinge a maggior desiderio e perciò a continua ricerca di questa Dottrina; la ricerca di Dio, celato nella vera Dottrina, lo stacca dai meschini dèi del denaro e del senso e lo fa eroe di rinuncia.
“Se vuoi essere perfetto va’, vendi quanto hai e vieni dietro a Me” ho detto al giovane ricco, ed egli non l’ha saputo fare.
Ma Zaccheo, sebbene più indurito nell’avarizia e nella sensualità, sa farlo. Poiché attraverso alla poca Parola che gli era stata riportata aveva, come il mendico cieco e il lebbroso risanato da Me, visto Dio. Può mai uno spirito che ha visto Dio trovare più attrazione alcuna nelle piccole cose della terra? Lo può mai, mia piccola sposa?».
 
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta
 
 

venerdì 1 novembre 2013

2 NOVEMBRE COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI




Una lacrima per i defunti evapora,
un fiore sulla tomba appassisce,
una preghiera, invece,
arriva fino al cuore dell’Altissimo.
Sant’Agostino



Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.
Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (1Ts 4,12).
La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l'Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l'accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, Sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.
L'espiazione del peccato.
Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l'anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l'uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un'eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel battesimo e nel martirio, sommergere nell'abisso dell'oblio divino anche l'ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell'altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.
Il merito.
In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l'anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto.
Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, - chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell'altro - alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (1Cor 12,27).
Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed è accettata secondo tutto il suo valore e secondo l'intenzione di colui che l'applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all'anima per la quale mi piace offrirla (De suffragiis, sectio iv).
Le indulgenze.
È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono a quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l'Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell'efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita.
Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? È così pungente che nessuna miseria della terra l'uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il "fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all'oceano del paradiso" (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt 5,26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare i piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me almeno voi che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Gb 19,21).
La preghiera per le anime del Purgatorio.
Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il purgatorio rigurgiti più che mai per l'affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l'approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l'unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. In quest'opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli, rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [1], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo nella felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria.
Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell'oblazione dell'augusto sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (2Mac 12,46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell'anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l'anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant'Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura pro mortuis, iv).
Sant'Odilone.
Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l'istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l'attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l'abate di Cluny, sant'Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell'inferno che, con visioni - che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2,13) - accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell'abisso avessero a tenere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di sant'Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina.
I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.
Messa dei Morti
La Chiesa Romana raddoppiava una volta in questo giorno la fatica del suo quotidiano servizio verso la Maestà divina. Il ricordo dei morti non escludeva l'Ottava dei santi e faceva precedere all'Ufficio dei morti l'Ufficio del secondo giorno dell'Ottava. Recitata Terza di Ognissanti, si celebrava la Messa corrispondente e, solo dopo Nona dello stesso Ufficio, si celebrava il Sacrificio dell'altare per i defunti. Oggi la Chiesa, consacra loro tutta la giornata.
Quanto all'obbligo di considerare di precetto nel giorno delle anime, gli usi erano diversi. In Inghilterra il giorno era di mezzo precetto e i lavori più necessari erano permessi; in molti altri luoghi il precetto terminava a mezzogiorno; in altri era prescritta soltanto l'assistenza alla Messa. Parigi osservò per qualche tempo la festa come una di quelle di primaria obbligazione e nel 1673 l'arcivescovo Francesco de Harlay prescriveva ancora di osservare il precetto fino a mezzogiorno. Ora anche a Roma il precetto più non esiste.
[...]
Morte e Risurrezione.
Mentre l'anima, uscita dalla vita presente, supplisce nel purgatorio l'insufficienza delle sue espiazioni, il corpo, che ha abbandonato, ritorna alla terra, in esecuzione della sentenza inflitta ad Adamo e alla sua discendenza all'inizio del mondo (Gen 3,19). Ma la giustizia è anche amore per il corpo del fedele, come lo è per l'anima. L'umiliazione del sepolcro è giusto castigo del primo peccato, ma san Paolo ci fa vedere in questo ritorno dell'uomo al fango dal quale è stato tratto una seminagione necessaria alla trasformazione del grano predestinato, che deve un giorno riprendere vita in condizioni ben diverse. In effetti, la carne e il sangue non potrebbero possedere il regno di Dio, né potrebbero gli organi destinati a dissolversi raggiungere l'immortalità. Frumento di Cristo, secondo la espressione di Ignazio di Antiochia, il corpo dei cristiani è gettato nel solco della tomba, per lasciarvi alla corruzione la forma del primo Adamo con il suo peso e le sue infermità; ma per virtù del nuovo Adamo, che lo riforma a propria immagine, dalla tomba uscirà tutto celeste, spiritualizzato, agile, impassibile e glorioso. Onore a Colui che volle morire come noi, per distruggere la morte e fare della sua vittoria la nostra vittoria.
Una volta la Chiesa non escludeva l'Alleluia nelle funzioni funebri dei suoi figli ed esprimeva con esso la sua allegrezza, che trova il motivo nella speranza che una morte santa ha assicurato al cielo un nuovo eletto, anche se il cristiano, per il quale la prova della vita è terminata, debba per qualche tempo prolungare la sua espiazione. L'adattamento della Liturgia dei morti ai riti degli ultimi giorni della Settimana santa modificò l'uso antico e parve allora che la Sequenza, sviluppo festivo e all'origine seguito dell'Alleluia, non potesse conservare il suo posto nella Messa per i defunti. Roma tuttavia, a questo riguardo faceva una eccezione alle regole tradizionali, in favore del poema attribuito (a torto) a Tommaso da Celano. Il Dies irae cantato in Italia fin dal secolo XIV, nel XVI fu adottato da tutta la Chiesa.
[...]
La voce del giudice
Il Purgatorio non è eterno e la sentenza del giudizio particolare, che segue subito la morte, varia in modo infinito quanto alla durata. Può durare per secoli per anime particolarmente colpevoli o per anime, che, essendo escluse dalla comunione della Chiesa cattolica, restano prive dei suffragi della Chiesa stessa, sebbene la misericordia di Dio le abbia strappate all'inferno. Tuttavia la fine del mondo e di quanto esiste nel tempo deve porre fine all'espiazione temporanea e Dio saprà conciliare la sua giustizia e la sua grazia per la purificazione degli ultimi uomini e supplire con l'intensità della pena espiatrice a quanto potrebbe mancare nella durata. Per quanto riguarda il corpo la sentenza del giudizio particolare è sospensiva e dilatoria e lascerà il corpo del giusto come quello del reprobo alla comune sorte della tomba. Il giudizio finale invece avrà carattere definitivo e registrerà per il cielo o per l'inferno soltanto sentenze assolute, immediatamente e totalmente esecutorie. Viviamo dunque nell'attesa dell'ora solenne in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Colui che deve venire verrà, non può tardare, ci ricorda il Dottore delle genti (Ebr 10,37; Ab 2,3). Il suo giorno verrà all'improvviso come un ladro, ci dicono come lui (1Ts 5,2) il Principe degli Apostoli (2Pt 3,10) e Giovanni, il prediletto (Ap 16,15) facendo eco alla parola del Signore stesso (Mt 24,43): come il lampo esce dall'oriente e brilla già fino all'occidente, così sarà l'arrivo del Figlio dell'uomo (ivi 27).
Facciamo nostri i sentimenti che ispira l'Offertorio dei defunti. Sebbene l'eterna beatitudine resti finalmente assicurata alle anime purganti ed esse abbiano di questo coscienza, il cammino, ancora più o meno lungo, che le conduce al cielo, si apre tuttavia nel pericolo di un supremo assalto diabolico e l'angoscia del giudizio. La Chiesa, estendendo la sua preghiera a tutte le tappe di questa via dolorosa, non si preoccupa di custodirne l'inizio e non ha paura di mostrarsi qui tardiva. Per Dio, che con uno sguardo solo abbraccia tutti i tempi, la tua supplica di oggi, già presente all'ora del terribile passaggio, procura alle anime il soccorso implorato. Questa supplica le segue nelle peripezie della lotta contro le potenze dell'abisso, quando Dio permette che esse pure servano la sua giustizia per espiazione, come più volte hanno sperimentato i Santi. In questo momento solenne in cui la Chiesa offre i suoi doni per l'augusto e onnipotente Sacrificio, moltiplichiamo anche noi le nostre preghiere per i defunti. Imploriamo la loro liberazione dalle fauci del leone, otteniamo dal glorioso Arcangelo, preposto al Paradiso, appoggio delle anime all'uscita da questo mondo, loro guida inviata da Dio (Antifona e Responsorio della festa di san Michele), che le conduca alla luce, alla vita, a Dio, promesso come ricompensa ai credenti nella persona di Abramo, loro padre (Gen 15,1).
Le tre Messe.
Abbiamo dato il solo testo della Messa per tutti i defunti e ciascuno potrà trovare nel suo messale il testo delle altre due Messe. I sacerdoti possono infatti dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all'intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti.
L'intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione e dalla confisca dei beni ecclesiastici.
Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. [...]
Conclusione.
Ogni anima si raccoglie così nel culto delle persone più care e dei più nobili ricordi.
È la festa dei nostri cari morti e prestiamo allora l'orecchio alle loro voci, che di campanile in campanile in tutto il mondo cristiano si fa supplichevole e dolce in queste prime notti di novembre. Per tutto l'ottavario facciamo la visita delle tombe in cui riposano in pace i loro resti mortali. Preghiamo per loro e preghiamoli: non abbiamo paura di parlare con essi degli interessi che davanti a Dio loro furono cari, perché Dio li ama e, per una specie di soddisfazione alla sua bontà, le ascolta meglio, se implorano per altri, mentre la sua giustizia li mantiene in una condizione di assoluta impotenza per se stessi.
Autore: Dom Prosper Guéranger
Non lasciarci

O Dio, che soffri
per la morte dei tuoi amici,
non lasciarci sprofondare nella tristezza
per la morte dei nostri cari.

La morte di coloro che amiamo ti pesa.

Per il Cristo
in agonia per ogni uomo,
Tu soffri con chi è nella prova.

Nel Cristo risorto,
tu vieni ad alleggerire
il peso insopportabile
e apri i nostri occhi
allo stupore dell’amore.

Per mezzo di lui
Tu ci ripeti senza sosta:
“Seguimi!

Io sono dolce e umile di cuore,
In me troverai il riposo,
riposandoti in me
conoscerai la vera pace”.

Fr. Rogè di Taizè

 
REQUIEM AETERNAM (Soli e Coro)

Requiem aeternam dona eis. Domine,
et lux perpetua luceat eis.
Te decet hymnus, Deus, in Sion,
et tibi reddetur votum in Jerusalem:
exaudi orationem meam,
ad te omnis caro veniet.
Kyrie eleison, Christe eleison. Kyrie eleison!





REQUIEM AETERNAM (Soli e Coro)

L'eterno riposo dona loro, o Signore,
e splenda ad essi la luce perpetua.
A te si addice la lode. Signore, in Sion,
e a te sia sciolto il voto in Gerusalemme.
Ascolta la mia preghiera,
a te ritorna ogni anima mortale.
Signore, pietà, Cristo, pietà. Signore, pietà.


in sottofondo musicale :
Requiem aeternam, introito canto gregoriano Missa pro Defunctis nell'interpretazione di Giovanni Vianini direttore della Schola Gregoriana Mediolanensis -
Basilica di San Marco Milano Italia




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VOCE DI SAN PIO :

-" Figli miei, stare cosí, senza poter compiere il proprio dovere, è inutile; è meglio che muoia! " (T, 96).

SANTI é BEATI :

- Commemorazione di tutti i fedeli defunti

2 novembre

La pietas verso i morti risale agli albori dell’umanità. In epoca cristiana, fin dall’epoca delle catacombe l’arte funeraria nutriva la speranza dei fedeli. A Roma, con toccante semplicità, i cristiani erano soliti rappresentare sulla parete del loculo in cui era deposto un loro congiunto la figura di Lazzaro. Quasi a significare: Come Gesù ha pianto per l’amico Lazzaro e lo ha fatto ritornare in vita, così farà anche per questo suo discepolo! La commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti, invece, prende forma nel IX secolo in ambiente monastico. La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile bontà e misericordia di Dio. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda. Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Il tema è ripreso con potenza espressiva dall’apostolo Paolo che colloca la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile. I discepoli sono chiamati alla medesima esperienza, anzi tutta la loro esistenza reca le stigmate del mistero pasquale, è guidata dallo Spirito del Risorto. Per questo i fedeli pregano per i loro cari defunti e confidano nella loro intercessione. Nutrono infine la speranza di raggiungerli in cielo per unirsi gli eletti nella lode della gloria di Dio.

Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.
Ascolta da RadioVaticana:
Ascolta da RadioRai:


La commemorazione dei fedeli defunti appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per tutti i defunti. Amalario, nel secolo IX, poneva già la memoria di tutti i defunti successivamente a quelli dei santi che erano già in cielo. E’ solo con l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny che questa data del 2 novembre fu dedicata alla commemorazione di tutti i fedeli defunti, per i quali già sant’Agostino lodava la consuetudine di pregare anche al di fuori dei loro anniversari, proprio perché non fossero trascurati quelli senza suffragio. La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. Nella professione di fede del cristiano noi affermiamo: “Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. In questa vita d’assieme la Chiesa vede e vuole il fluire della grazia, lo scambio dell’aiuto reciproco, l’unità della fede, la realizzazione dell’amore. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra i i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico e nei riti religiosi quotidiani.
Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche “festa dei defunti”. Ma anche nella messa quotidiana, sempre riserva un piccolo spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. La Chiesa, inoltre, sa che “non entrerà in essa nulla di impuro”.
Nessuno può entrare nella visione e nel godimento di Dio, se al momento della morte, non ha raggiunto la perfezione nell’amore. Per particolari pratiche, inoltre, come le preghiere e le buone opere, la Chiesa offre lo splendido dono delle indulgenze, parziali o plenarie, che possono essere offerte in suffragio delle anime del Purgatorio. Una indulgenza parziale o plenaria offre alla persona interessata una parziale o plenaria riduzione delle pene, dovute ai suoi peccati, che sono già stati perdonati. Tale riduzione può essere fruita anche dai defunti, i quali possono essere liberati dalle loro pene parzialmente o totalmente. La commemorazione dei defunti ebbe origine in Francia all’inizio del decimo secolo.
Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze, mortificazioni e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro lui, l’abate Odilone.
Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d. C. Da allora, quindi, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno. Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via, il bene che coloro che ci hanno preceduti sulla terra hanno lasciato all’umanità, e il loro contributo all’aumento della fede, della speranza, della carità e della grazia nella chiesa. Il 2 Novembre, poi, ci riporta alla realtà delle cose richiamando la nostra attenzione sulla caducità della vita. Questo pensiero richiama il fluire del tempo intorno a noi e in noi.
Ci accorgiamo facilmente della trasformazione e del cambiamento del mondo a noi circostante: vediamo con indifferenza il passaggio delle cose e delle persone quando queste scivolano lentamente davanti a noi o non fanno rumore o non portano dolori e dispiaceri. Ogni passaggio, ogni spostamento comporta l’impiego del tempo, dice la dinamica della fisica. Che non è come quello del martello o di un qualsiasi strumento: dopo l’uso può essere ancora utilizzato. Il tempo no. Il tempo va via per sempre. Non ritornerà mai più. Resta il frutto maturato in quel tempo: quel che abbiamo seminiamo in quel tempo produce frutto. Se si è seminato vento si raccoglierà tempesta, recita il proverbio antico.
Quel che viviamo è altro, non quello di prima. Con maggiore indifferenza non notiamo il fluire del tempo in noi. Il nostro “io” si erge in noi come persona fuori dal mondo e, quindi, estranea al mutare delle cose e al susseguirsi delle stagioni.
Il nostro “io” è l’essere pensante che fa vivere e muovere le cose, che gioca con il giorno e con la notte e spinge le lancette dell’orologio e dona emozioni nella gioia e nel dolore. Questo dicono alcuni filosofi che hanno il culto dell’Idea e che per questo si chiamano idealisti. Ma poi l’io aggiorna le idee e si adegua ai nuovi pensieri e scopre il fluire del tempo in sé. L’io eterno entra nel tempo, si fa per dire, e avverte il suo logorio.
Il presente appare provvisorio, tanto provvisorio da non contare, da “non essere” in sé: conclusione o epilogo di ieri, anticipo o prologo del domani. Tutta passa. Giorno dopo giorno il tempo va via. Passo dopo passo il cammino si affatica sempre più. Atto dopo atto il logorio delle forze fisiche che invecchiano si fa sempre più sentire. Passano le gioie e passano pure i dolori. Poi passeremo anche noi; e finiranno su questa terra anche i nostri giorni. Il richiamo alla realtà della nostra morte ci invita, pure, a dare importanza alle cose essenziali, ai valori perenni e universali, che elevano lo spirito e resistono al tempo. “Accumulate un tesoro nel cielo, dove né tignuola e né ladro possono arrivare”, consiglia Gesù Cristo ai suoi discepoli.
Se tutto passa, l’amore di Dio resta. Il pensiero ritorna a noi. La certezza della morte deve farci riflettere, affinché possiamo essere pronti all’incontro con essa senza alcuna paura. Sarebbe un grande errore dire: “Mi darò a Dio quando sarò vecchio”, ed aspettare di cambiare i nostri cuori al momento della morte. Così come nessuno diventa all’improvviso cattivo, allo stesso modo nessuno diventa in un attimo buono.
E ricorda che la morte può arrivare senza alcun preannunzio, improvvisamente. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
E’, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci. Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro, mentre prego o sono distratto in altre faccende? Quando mi sorprenderà? Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, vittima ed esecutore, può produrre disagio e paura

Commemorazione dei defunti VANGELO del 2 novembre 2013 e mia riflessione

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Sabato 2 Novembre 2013)



LA LITURGIA DEL GIORNO
La Liturgia di domani Sabato 2 Novembre 2013
   COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I) 
   COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa II)  
  COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa III)
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    COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I)
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Grado della Celebrazione: COMMEMORAZIONE
 Colore liturgico: Viola o Nero
Antifona d'ingresso
 Gesù è morto ed è risorto; così anche quelli che sono morti in Gesù Dio li radunerà insieme con lui. E come tutti muoiono in Adamo, così tutti in Cristo riavranno la vita. (1Ts 4,14; 1Cor 15,22)
Colletta
 Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
PRIMA LETTURA
 (Gb 19,1.23-27a)Io lo so che il mio redentore è vivo.
Dal libro di Giobbe

Rispondendo Giobbe prese a dire: «Oh, se le mie parole si scrivessero,se si fissassero in un libro,fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,per sempre s’incidessero sulla roccia!Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso,i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

Parola di Dio
SALMO RESPONSORIALE
 (Sal 26)Rit: Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:di chi avrò timore?Il Signore è difesa della mia vita:di chi avrò paura?

Una cosa ho chiesto al Signore,questa sola io cerco:abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita,per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario.

Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte,si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
SECONDA LETTURA
 (Rm 5,5-11) Giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

Parola di Dio
Canto al Vangelo
 (Gv 6,40) Alleluia, alleluia. Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno, dice il Signore. Alleluia.
VANGELO
 (Gv 6,37-40) Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Parola del Signore



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   COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa II)
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VANGELO
 (Mt 25,31-46) Venite benedetti del Padre mio.
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Parola del Signore

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  COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa III)
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VANGELO
 (Mt 5,1-12) Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:«Beati i poveri in spirito,perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto,perché saranno consolati. Beati i miti,perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,perché saranno saziati. Beati i misericordiosi,perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore,perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace,perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia,perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Parola del Signore
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La mia riflessione
Preghiera

A Te o Santo Spirito mi rivolgo per capire quello che non posso capire, aiutami, secondo quello che tu ritieni giusto.

Oggi commemoriamo i defunti, ieri i Santi, forse spesso la differenza è veramente minima tra gli uni e gli altri, non per merito nostro, ma perché siamo santificati dal sacrificio di Cristo.
Una vita non basta per imparare a vivere da cristiani, ma la nostra aspirazione dovrebbe essere quella di vivere imitando Cristo; quella di vivere già sulla terra da Santi, come il Santo di Dio, ma poiché il divario è grande, troppo spesso rinunciamo.
Quello che però riusciamo a percepire è che la nostra vita da cristiani non finisce qui, non si ferma con la morte del corpo come un qualsiasi ingranaggio che si rompe e che si butta, ma ha in se qualcosa di più, qualcosa di santo, di divino, che  sentiamo anche se ci è impossibile da vedere, ma che ci permette di passare oltre.
L’immortalità è stato sempre il sogno degli uomini, ma non è di questa immortalità che Gesù ci parla, ma dell’immortalità dell’anima e ci promette cieli nuovi e terra nuova, perché tutti quelli che muoiono in Adamo possano rinascere in Gesù ed in Lui risorgere .
Farci troppe domande non serve, bisogna imparare a conoscere Gesù Cristo, ascoltare la sua parola, e solo così potremo imparare a fidarci di Lui, capire che cosa ci vuole far vivere, perché senza fede, potremmo parlare di tante forme di vita, ma non potremmo mai comprendere il mistero dell’eternità che ci dona solo Dio. I nostri cari defunti, non possono più fare nulla per loro stessi, ma noi possiamo pregare per loro,come loro pregano per noi, ed in questo dono di reciprocità,continuiamo ad amarli e ad essere amati,uniti all'amore di Cristo, che ci ha amato fino a morine, e  risorto per poterci risorgere. Una fortissima esperienza che non mi stancherò mai di divulgare è quella di Gloria Polo. 

Per il libro qui la copia gratuita