domenica 25 novembre 2012

scuola di preghiera


INTRODUZIONE ALLA PREGHIERA CRISTIANA


1. Definizione

La teologia della nostra Chiesa di lingua latina ha definito la preghiera con questa formula: elevazione della mente a Dio per lodarlo e per chiedergli cose convenienti alla salvezza eterna. La Chiesa ritiene perciò che la preghiera abbia due finalità principali: “… per lodarlo”  “… per chiedergli cose convenienti alla salvezza eterna”. La prima di esse è la lode. Il primo atto della preghiera e il più nobile in assoluto è certamente la lode. Solo dopo la lode è ammissibile la preghiera di domanda: “… per chiedergli”. Tuttavia, i contenuti della richiesta non devono in primo luogo essere riferiti a questioni di ordine quotidiano o materiale, ma devono riguardare primariamente la salvezza eterna; anche la preghiera di domanda presuppone il rispetto di alcune priorità, per cui domandare a Dio un beneficio materiale senza chiedergli prima la guarigione del nostro spirito e la liberazione dall’opera del maligno, sarebbe un modo squilibrato di pregare. La richiesta di benefici temporali è sempre lecita, ma va posta in una posizione subordinata.
            Prima di iniziare un discorso sistematico sulla preghiera, dobbiamo precisare quel è il suo potere e cosa ci si può aspettare dall’orazione. Innanzitutto la certezza assoluta della salvezza eterna: “Chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato” (Gl 3,5). Per scampare alla perdizione, basta una semplice invocazione del nome del Signore. L’episodio evangelico di Pietro che sprofonda nel lago in tempesta contiene questo profondo significato: “Per la violenza del vento si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: Signore, salvami! E subito Gesù stese la mano e lo afferrò” (Mt 14,30-31).
            La preghiera dà inoltre la forza di combattere e di vincere gli assalti di Satana e di tutte le sue legioni di demoni minori: “I discepoli gli chiesero in privato: perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? Ed Egli disse loro: Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo se non con la preghiera” (Mc 9,28-29). Nella notte della Passione, Gesù avverte i discepoli circa la gravità di quell’ora e soprattutto fa intendere loro che non potranno resistere alla bufera satanica, senza la forza che viene dalla preghiera: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione” (Mc 14,38). In sostanza, è la preghiera che tiene lontano il diavolo dalla nostra vita e dalle nostre famiglie.
           
La preghiera infonde nella nostra mente la luce della sapienza e del discernimento. Siamo infatti sempre soggetti a essere ingannati dal maligno, come pure a essere portati fuori strada da una insufficiente conoscenza della volontà di Dio.  La Bibbia ci dice in più punti che la preghiera infonde una luce nuova alla nostra intelligenza: “Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito della sapienza” (Sap  7,7); e più avanti aggiunge: “Mi rivolsi al Signore e lo pregai, dicendo con tutto il cuore: Dio dei padri e Signore di misericordia, … dammi la sapienza che siede in trono accanto a Te” (Sap 8,21-9,1.4). Nella lettera di Giacomo si legge “se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che dona a tutti generosamente” (Gc 1,5). Nel libro di Daniele, la conoscenza derivante dalla preghiera e dalla penitenza è considerata molto superiore alle conoscenze occulte che si possono acquisire mediante la magia. Alla corte del re Nabucodonosor, Daniele è capace di svelare al re degli enigmi estremamente difficili, che i maghi del regno non erano stati capaci di risolvere. Al re che gli chiede se lui sia capace di svelare i misteri sconosciuti ai maghi, Daniele risponde: “Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi, né da maghi, né da astrologi, né da indovini; ma c’è un Dio nel cielo che svela i misteri” (Dan 2,27-28). In sostanza, Daniele vuole dire che il sapere occulto ha un limite, perché i maghi non sono in contatto con Dio, mentre Dio svela solo ai suoi servi tutto ciò che essi devono conoscere. Lo stesso accade a Giuseppe in Egitto: il Faraone, dopo che i maghi hanno fallito, lo convoca e gli dice: “Ho sentito dire che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo subito. Giuseppe rispose al Faraone: Non io, ma Dio darà la risposta” (Gen 41,15-16).
            C’è ancora una domanda che ci dobbiamo porre: può la preghiera cambiare il corso degli eventi? E come si concilia ciò con l’immutabilità della volontà di Dio?
            Dalle parole di Gesù sembra quasi che la preghiera abbia un potere pressoché illimitato. Basta ricordare alcuni insegnamenti evangelici: “quando preghi entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6,6). La promessa che suona “ti ricompenserà”, si riferisce al fatto che la preghiera dell’uomo non resta mai senza una risposta da parte di Dio.


Se poi la risposta di Dio è o non è conforme alle aspettative dell’uomo, è un’altra questione. Nel contesto del medesimo insegnamento Gesù dice: “Chiedete e vi sarà dato… Chi di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Mt 7,7-11). Bisogna però aggiungere che il passo parallelo di Luca al posto di “cose buone” mette il dono dello Spirito Santo, che Dio dà con assoluta sicurezza a quelli che glielo chiedono (cfr. Lc 11,9-13). Durante l’ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme, Egli disse ai suoi discepoli, commentando l’episodio del fico seccato: “In verità vi dico, chi dicesse a questo monte: Levati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo… ciò gli sarà accordato. Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (Mc 11,23-24). Nell’ultima cena, dopo l’uscita di Giuda dal cenacolo, Gesù ritorna sullo stesso argomento: “Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel figlio” (Gv 14,13). E più avanti ripete: “Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà” (Gv 16,23).
            Per descrivere la potenza della preghiera non occorrono altre dimostrazioni bibliche. Nella nostra esperienza cristiana, tuttavia, le cose non sembrano andare così lisce. A volte si prega e si ha l’impressione di non essere ascoltati, si attende a lungo e non si ottiene ciò che si chiedeva. Questo fatto ha bisogno di una attenta riflessione per essere spiegato. Infatti, accanto al fatto che Dio ascolta chi lo prega, si dicono nel NT tante altre cose che devono essere tenute altrettanto presenti. Consideriamole una per una, perché sono esse che tolgono efficacia alla preghiera:
nonostante le promesse di Gesù circa l’infallibilità della preghiera, vi sono condizioni che purtroppo la rendono inefficace e sono:
-          il dubbio e la mancanza di fiducia in Dio: Mc 11,23-24; Mt 14,31
-          un cuore non riconciliato, ferito e malato di risentimenti: Mc 11,25, e in positivo Mt 18,19-20
-          una vita non unita profondamente a Cristo: Gv 15,5
-          una preghiera che non dà il primato ai valori del regno: Gc 4,3-4
-          una preghiera che non è accompagnata dalla conversione: Mc 1,15; At 2,37-38
-          una preghiera parolaia: Mt 6,7-8
-          una preghiera che è solo un parlare con se stessi: Lc 18,11
-          il mistero della volontà di Dio: Is 55,8-9. Dio si riserva infatti di guidare ciascuno in modo diverso e non sempre comprensibile alla nostra mente.


2. I gradi dell’orazione

La tradizione spirituale della Chiesa latina considera la preghiera come un cammino di graduale maturazione nel dialogo con Dio. Come ogni altra relazione personale, anche il rapporto di amicizia col Signore ha bisogno di crescere e di approfondirsi nel tempo. Il battezzato passa perciò attraverso diverse forme di preghiera, in proporzione alla sua maturità spirituale: il primo gradino è rappresentato dalla preghiera vocale, il secondo da quella mentale, il terzo dalla preghiera del cuore, il quarto dalla contemplazione.


      2.1  L’orazione vocale

La preghiera più facile, ossia quella che costituisce il primo gradino del cammino spirituale è la preghiera fatta di formule. Con la definizione “orazione vocale” non si intende tanto la preghiera pronunciata ad alta voce (anche la preghiera del cuore può essere pronunciata ad alta voce), ma si allude alla preghiera accessibile a chi è ancora immaturo nel dialogo con Dio, e perciò non gli sgorga nulla da dire a Dio, oppure gli sgorgano richieste sbagliate. La Chiesa, allora, ha preparato delle preghiere standard (l’Ave Maria, l’Atto di Fede, l’Atto di Speranza, le preghiere del mattino e della sera…) in cui il battezzato può trovare ciò che va detto a Dio. La preghiera del “Padre Nostro”, insegnata da Gesù ai suoi discepoli – e che a suo tempo analizzeremo – risponde proprio a questa esigenza. In sostanza, nella fase immatura della vita cristiana non si sente il bisogno di parlare a Dio (così come non si sente il bisogno di ascoltarlo nella sua Parola), e la preghiera dei formulari è un aiuto per l’elevazione della mente a Dio.

      2.2 L’orazione mentale o meditazione

Il secondo gradino è la preghiera “mentale”. Questo tipo di preghiera è priva di formule. Anche qui la definizione non allude semplicemente al fatto che non è pronunciata con le labbra. Infatti, anche la preghiera vocale, ad esempio un’Ave Maria, può essere recitata mentalmente, pur essendo costituita da una formula prestabilita. Più precisamente, con la definizione “orazione mentale” ci si riferisce solitamente alla meditazione. La meditazione è una forma di preghiera elevata a cui non si arriva facilmente. Essa può essere definita pure “preghiera di ascolto”, perché si fonda su un rapporto profondo con la Parola di Dio.




Questa forma di preghiera non consiste nel “dire” qualcosa a Dio, ma nella capacità di “ascoltare e capire” ciò che Egli sta dicendo proprio a me attraverso i testi biblici della Messa, e attraverso la lettura quotidiana della Bibbia.
Questo tipo di preghiera raggiunge la sua massima espressione nelle giornate di ritiro e negli esercizi spirituali. Beninteso, questa forma di preghiera non consiste nel capire il testo biblico, ma nella capacità di sentire quella parola utile e illuminante per le situazioni che io sto vivendo proprio adesso.

      2.3 La preghiera del cuore

Terzo gradino: la preghiera del cuore. La preghiera del cuore consiste nel “dire” qualcosa a Dio. Essa rappresenta un livello ancora più alto di quello della meditazione. Quando la persona giunge a sentire il bisogno di “parlare” a Dio, di aprirgli il cuore con fiducia, di esprimergli l’affetto filiale e la lode senza formule prestabilite, ma con parole che vengono dall’intimo, come quelle che siamo soliti dire alle persone che più amiamo, allora significa che si è giunti alla preghiera del cuore e che si è ben avanti nello sviluppo della carità teologale. Questo tipo di preghiera si manifesta sia in momenti celebrativi comunitari, sia nella preghiera intima e individuale, e assume quindi sia il carattere vocale che mentale. Negli incontri di preghiera, quando la comunità si raduna per l’ascolto della Parola o per l’Adorazione, allora la preghiera del cuore si presenta come preghiera spontanea, perlopiù sotto la forma della lode. Nella preghiera individuale, la preghiera del cuore si ha nella spontanea e filiale consegna della propria vita quotidiana a Dio, sentito come Padre. La conoscenza di Dio come “mio” Padre è essenziale alla preghiera del cuore; senza questo rapporto veramente filiale con Dio non può esserci alcuna preghiera del cuore. Sarebbe inautentica se ci fosse.

      2.4 La contemplazione

La forma più elevata di preghiera è la contemplazione. La sua caratteristica peculiare è quella di essere “quasi senza parole”. In termini pratici, questa forma di preghiera si attua quando la persona si concentra su un mistero della fede, preferibilmente con l’aiuto di una icona o di un crocifisso su cui fissare lo sguardo, perché le distrazioni non producano eccessivo disturbo. Per questa preghiera conviene assumere una posizione comoda, in modo che ci si possa rilassare; poi, fissando lo sguardo sul crocifisso, o su un’icona, o sull’Eucaristia solennemente esposta, ridurre i pensieri al silenzio e lasciare che il mistero di Dio occupi tutto lo spazio della nostra interiorità.



L’obiettivo è quello cogliere le meraviglie di Dio, intuire la sua bellezza, e guardarlo come si guardano gli innamorati, ossia con un senso di beatitudine e di stupore. Mentre l’attenzione è concentrata sul mistero di Dio, il pensiero non deve seguire alcun ragionamento. Al massimo, conviene far risuonare dentro di sé, di tanto in tanto, e secondo il proprio stato interiore, qualche breve frase evangelica o liturgica come ad esempio: “Se vuoi puoi guarirmi”, “Figlio di Davide, abbi pietà di me”, “Tu sei il Cristo”, “vieni, Spirito Santo”, “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, oppure semplicemente “Padre”. Ma tutto ciò senza che la mente sia afferrata dal ragionamento.
           

3. I tipi di preghiera conosciuti dalla Bibbia

I tipi fondamentali di preghiera sono quattro (intercessione, lode, ringraziamento, richiesta), come già abbiamo detto, ma adesso è opportuno ripercorrere i testi biblici per vedere in quali contesti e in quali situazioni vengono pronunciate.
           

3.1 La preghiera di intercessione

La prima preghiera di intercessione registrata dalla Bibbia risale all’epoca patriarcale ed è pronunciata da Abramo presso le querce di Mamre. Qui Dio gli svela il proposito di distruggere le città di Sodoma e Gomorra (cfr. Gen 18,16ss), allora Abramo ricorre a una argomentazione molto efficace: “Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse ci sono cinquanta giusti nella città…” (Gen 18,23-24). Dio si lascia convincere da Abramo e si dichiara disposto a risparmiare tutta la città in forza non di cinquanta ma anche di dieci giusti. Il testo intende sottolineare l’importanza della preghiera di intercessione, con la quale molti mali possono essere evitati, perché Dio non gode della rovina dell’uomo. Il Signore vuole che l’uomo sia consapevole del peccato e del dolore che travagliano il mondo, ma non per schierarsi contro e accusare l’umanità, ma per schierarsi in favore come fa un avvocato difensore. Dio, in sostanza, non ha bisogno di essere “difeso” davanti all’umanità peccatrice; ha bisogno solo di avvocati difensori che attenuino la sua giustizia verso di essa. Egli infatti non gradisce quelli che si calano nel ruolo di avvocati difensori della sua causa, ma a scapito dell’umanità. A Dio va riconosciuta la gloria e la giustizia che gli sono proprie, ma il peccato del mondo va riconosciuto unitamente alla richiesta della divina misericordia. Vi sono diversi esempi biblici che rendono chiara questa intenzione di Dio.


Uno di questi è senz’altro la figura di Giona (cfr. Il libro di Giona), mandato a Ninive per annunciare un castigo imminente, che si sarebbe verificato entro quaranta giorni. La popolazione
prende sul serio l’avvertimento del profeta e si sprofonda nella penitenza e nel digiuno. Dio allora revoca la sua sentenza e il castigo non si verifica. A questo punto Giona ci rimane molto male: si sente preso in giro da Dio che lo aveva mandato ad annunciare una cosa che poi non si è verificata. Il testo sottolinea a più riprese la grettezza della mentalità del profeta, che non capisce che Dio avrebbe preferito avere in lui non un giudice ma un intercessore.
Un altro caso significativo è quello dei tre amici di Giobbe che vanno a trovarlo nel tempo della sua malattia. Rimangono accanto a lui per una settimana senza dire neanche una parola, ma poi cominciano a parlare. I loro discorsi ruotano tutti intorno a un nucleo centrale che si può sintetizzare così: se un uomo viene colpito dalla sventura, allora è segno che egli è sotto la divina riprovazione. Giobbe professa la sua innocenza, ma gli amici non accettano di considerarlo un uomo giusto, perché se fosse giusto non sarebbe stato colpito così dalla sventura. In sostanza, l’atteggiamento dei tre amici di Giobbe è quello che Dio non vuole trovare nei suoi servi: gli amici di Giobbe non fanno altro che affermare la giustizia e l’impeccabilità di Dio, ma a prezzo di calpestare la dignità di Giobbe, che al peso della malattia sente aggiungersi quello del biasimo morale dei suoi amici: “Dio ti ha colpito; non puoi che essere un peccatore. Dio è infinitamente giusto, se ti ha colpito ha sicuramente una buona ragione per farlo”. Alla fine entra in scena Dio stesso, condannando i ragionamenti teologici falsi degli amici di Giobbe e affidandoli alla sua preghiera di intercessione (cfr. Gb 42,7-8). Dal discorso di Dio si comprende che anche qui Egli avrebbe voluto trovare nei tre amici di Giobbe non tre teologi che esaltano la giustizia di Dio schiacciando la persona umana, ma tre intercessori che si schierano accanto alle miserie umane e pregano perché Dio faccia grazia.
Nei libri dell’Esodo e dei Numeri viene particolarmente sottolineata la preghiera di intercessione di Mosè. Prima della partenza dall’Egitto, egli intercede per far cessare le piaghe che tormentano il faraone e il suo popolo. Dopo la liberazione, l’intercessione di Mosè si rivolge unicamente a Israele. Essa ha tre fondamentali sfaccettature, che si ritrovano anche nelle altre parti della Scrittura: è preghiera di richiesta di perdono, è preghiera di guarigione e di liberazione. La prima grande preghiera di intercessione di Mosè è quella che si collega al peccato del vitello d’oro. Fino a quel momento, l’Israele uscito dall’Egitto aveva avuto soltanto impennate dinanzi alle difficoltà del deserto e moti di ribellione o di mormorazione. La produzione del vitello d’oro rappresenta il primo peccato organizzato in grande stile e lucidamente studiato.

Mosè si trova ancora sul monte, quando Dio gli rivela che Israele si è fatto un vitello d’oro per adorarlo, e aggiunge il suo proposito di annientarlo: “Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te farò invece una grande nazione” (Es 32,10). Mosè non accetta la prospettiva di divenire capostipite di una grande nazione a prezzo dell’annientamento di Israele e innalza a Dio una preghiera di intercessione che comprende i vv. 11-13 del cap. 32 dell’Esodo. Altri episodi in cui Mosè intercede hanno luogo dopo la partenza dal Sinai e sono narrarti dal libro dei Numeri.
Dopo la partenza dal Sinai, il popolo comincia a lamentarsi a motivo della scarsità del cibo. Più precisamente, il problema non consiste nella mancanza di cibo, ma nel fatto che a un certo momento tutti si stancano di mangiare sempre manna (cfr. Nm 11,4-9). Lo sdegno del Signore divampò, ma l’intercessione di Mosè ottiene al popolo le quaglie e a se stesso la collaborazione di settanta uomini saggi, su cui si posa lo Spirito del Signore, per suddividere il peso del governo del popolo. Mosè intercede ancora per guarire la propria sorella dalla lebbra, che l’aveva colpita per la sua maldicenza nei confronti di Mosè (cfr. Nm 12, 1-15). Nella stessa maniera, quando la mormorazione contro Mosè assume un carattere organizzato o assembleare e viene messa in discussione la sua legittima autorità, l’ira del Signore si accende e il popolo viene colpito da un qualche castigo; allora è sempre l’intercessione di Mosè che libera il popolo dalla piaga che lo tormenta (cfr. Nm 14 e 16). Dall’insieme dello svolgimento dell’intercessione di Mosè si comprende come Dio, nella sua giustizia, non possa lasciare impunito il peccato dell’uomo, ma al tempo stesso, nel suo amore, Egli cerca ansiosamente qualcuno che fermi la sua Mano, intercedendo per i propri fratelli colpevoli. Mosè intercede sempre per Israele, anche quando la colpa è stata commessa direttamente contro di lui.
            Un altro grande intercessore per Israele è il profeta Samuele. Per lui sarebbe addirittura un peccato contro Dio tralasciare la preghiera di intercessione: “Quanto a me, non sia mai che io pecchi contro il Signore, tralasciando di supplicare per voi” (1 Sam 12,23). Nella stessa linea, anche Elia esercita un ministero di intercessione in favore di Israele e ottiene la pioggia in un periodo di estrema siccità (cfr. 1 Re 18,41-46). Anche il re Salomone, nel giorno della consacrazione del Tempio di Gerusalemme, innalza a Dio una lunga preghiera di intercessione, chiedendogli di ascoltare chiunque venisse a pregare in quel luogo per svariate necessità (cfr. 1 Re 8,22-53).
           
Uno dei compiti di cui si sentono investiti i profeti di Israele è la preghiera di intercessione. Isaia riceve una parola per gli abitanti di Gerusalemme: “Popolo di Sion… tu non dovrai più piangere; a un tuo grido di supplica il Signore ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta” (Is 30,19). Il profeta Amos, viene avvertito da Dio circa l’imminenza di due castighi: le cavallette e la siccità. Entrambi vengono scongiurati grazie alla preghiera di intercessione del profeta (cfr. Am 7,1-6). Il profeta Ezechiele riceve da Dio una parola durissima nei confronti dei peccati di Gerusalemme e profetizza un saccheggio e uno sterminio della popolazione; ma mentre profetizza egli stesso si sente sopraffatto dalla visione del castigo: “Io mi gettai con la faccia a terra e gridai con tutta la voce: Ah! Signore Dio, vuoi proprio distruggere quanto resta di Israele?” (Ez 11,13). Il Signore risponde manifestando al profeta il suo progetto di radunare il popolo dopo la sua dispersione, insieme al dono di un cuore nuovo (cfr. Ez 11,14-21).
            Nel NT, sia nei Vangeli che nel libro degli Atti, sono molto numerose le allusioni alla preghiera di intercessione sia da parte del singolo Apostolo, sia da parte della comunità cristiana nel suo insieme. In Gv 11,3 gli Apostoli si rivolgono a Gesù in occasione della malattia di Lazzaro: “Signore, il tuo amico è malato”; in questo caso, la preghiera di intercessione ha il taglio specifico della richiesta di guarigione. Come sappiamo dal seguito del cap. 11, nei confronti di Lazzaro, Cristo intervenuto a modo suo, e da ciò si comprende come la risposta di Dio alla preghiera dell’uomo c’è sempre, anche se non sempre è data nella medesima linea delle aspettative dell’orante. In At 12,5, mentre Pietro si trova in carcere, tutta la chiesa prega per lui incessantemente, e Dio manda un angelo a liberarlo. La comunità cristiana non deve mai tralasciare la preghiera per i suoi pastori, e infatti nella celebrazione eucaristica è prevista la preghiera di intercessione per il Papa, per il Vescovo del luogo e in generale per tutto l’ordine sacerdotale. Dall’altro lato, anche l’Apostolo mette la comunità tra gli obiettivi primari della sua preghiera di intercessione: “Quel Dio, a cui rendo culto nel mio spirito, annunziando il Vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi” (Rm 1,9). Intercessione apostolica, a cui fa eco la preghiera della comunità: “Vi esorto… a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio” (Rm 15,30). La preghiera di intercessione per le necessità della Chiesa non ha limiti e può abbracciare tutto l’arco dei bisogni da quelli concreti, come la rimozione degli ostacoli di ordine materiale, a quelli spirituali, come la conoscenza del progetto di Dio;

la comunità degli Atti si raduna in preghiera sia per chiedere a Dio il soccorso nei momenti di persecuzione (cfr. At 4,23-31), sia per conoscere in pieno la volontà di Dio (cfr. 13,2; Col 1,9-12). La preghiera di intercessione della Chiesa deve infine farsi carico anche dei bisogni della società civile (cfr. 1 Tm 2,1-4)

         3.2 La preghiera di guarigione

Un particolare tipo di preghiera di intercessione è quella che ha come obiettivo specifico la guarigione della persona, che può essere una richiesta tanto di guarigione fisica quanto di guarigione interiore. Sono troppi i passi biblici in cui il Signore è presentato come colui che guarisce, a cui sta a cuore la nostra salute piena. Ne possiamo solo citare qualcuno: “Io sono il Signore, colui che ti guarisce” (Es 15,26); “Io percuoto e io guarisco” (Dt 32,39); “Nella malattia, prega il Signore ed egli ti guarirà” (Sir 38,9). Uno dei testi più espliciti sulla preghiera di guarigione è Gc 5,16: “Pregate per essere guariti”. In sostanza, l’insegnamento biblico esorta ad aggiungere la preghiera di guarigione ai mezzi umani della medicina e della terapia. E’ un dato della fede cristiana il fatto che la guarigione passi comunque per le mani di Dio prima che in quelle del medico. Sia Cristo sia gli Apostoli portano avanti un ministero di guarigione, che considerano parte integrante dell’annuncio del Vangelo. La parola di Dio è essa stessa una forza di guarigione: “Li guarì la tua Parola, o Signore” (Sap 16,12). Anche il centurione del Vangelo, pur essendo un pagano, coglie molto bene il fatto che ciò che guarisce è la Parola di Cristo, cioè l’espressione della sua divina volontà: “Signore… di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8). Chi accoglie la Parola di Cristo, inizia un cammino di guarigione globale della sua persona.
            La questione della guarigione fisica non si può affrontare da sola, ossia svincolata dalla guarigione interiore. Quando il Vangelo parla di “guarigione”, il riferimento non va alla eliminazione di una particolare malattia di cui si può essere affetti. Infatti, nonostante la preghiera e la vita di fede, determinate malattie fisiche persistono. Il Vangelo indica innanzitutto il mistero della volontà di Dio, che talvolta ci chiama a condividere la croce del Figlio; tale chiamata alla croce può avere anche il volto di una malattia fisica. A condizione che sia vissuta bene dal soggetto. Esiste infatti una guarigione offerta dalla Parola di Cristo, anche quando Dio vuole che la malattia persista.


Si tratta della guarigione del rapporto con la propria malattia; talvolta, ciò che ci rende veramente malati non è la malattia in sé, ma è il rapporto scorretto che abbiamo instaurato con la nostra malattia.
La guarigione si ha allora quando la malattia non è sentita più dal soggetto come una forza distruttiva operante nel proprio corpo, ma come una crescita nella santità cristiana: “Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria” (2 Cor 4,16-17). Chi giunge a vivere la propria malattia, o la propria sofferenza di qualunque natura (vi sono anche malattie invisibili, come le ferite interiori causate dalle cattive esperienze della vita), in questa ottica è una persona radicalmente guarita. La preghiera di guarigione fatta dalla comunità cristiana chiede a Dio innanzitutto questo tipo di guarigione, ma chiede anche, quando Dio lo ritenga opportuno, la guarigione fisica, senza escludere per questo l’intervento del medico. L’espressione sacramentale di questa dottrina è rappresentata dall’unzione degli infermi, che il cristiano medio non è capace ancora di valorizzare. Il sacramento si affianca alla preghiera della Chiesa, per ottenere all’ammalato quella forza spirituale, interiore, che non lo faccia sentire schiacciato sotto il peso del suo dolore.
            Un ambito importante della preghiera di guarigione è quello della guarigione delle malattie interiori, ossia le ferite emozionali, a cui abbiamo accennato sopra tra parentesi. Anche qui non si vuole mettere il medico a riposo, ma si vuole ribadire che secondo la fede cristiana la guarigione è prima nelle mani di Dio, e poi in quelle del medico. La comunità cristiana deve quindi farsi carico non solo di coloro che soffrono fisicamente, circondandoli con la sua solidarietà e la sua preghiera, ma anche di coloro che sono in qualche modo disturbati nella loro personalità. Qui non ci vogliamo riferire alla malattia mentale in senso stretto, ma ci riferiamo a quelle forme di perturbazioni della personalità che derivano semplicemente da esperienze negative non integrate. Talvolta è sufficiente qualcosa come la perdita inaspettata di una persona cara, oppure un obiettivo non raggiunto dopo tanti sacrifici, un tradimento da parte di chi ci si mostrava amico; sono eventi che si possono verificare abbastanza spesso e che turbano gravemente gli equilibri emozionali di una persona. Qui deve subentrare la solidarietà e la preghiera di guarigione della comunità cristiana.

3.3 La preghiera di liberazione

Un’altra specificità della preghiera di intercessione è costituita dalla cosiddetta “preghiera di liberazione”. Questo genere di preghiera ha come suo oggetto specifico tutta quella serie di mali che il maligno può procurare a una persona mediante le pratiche occulte, spiritiche e magiche. Le esperienze connesse all’occultismo non lasciano mai la persona senza conseguenze e senza squilibri bisognosi di risanamento. In questo ambito lo psicoterapeuta può fare oggettivamente poco, dal momento che i disturbi che la persona accusa non sono di natura psicologica, anche se la loro sintomatologia è molto simile. Il rischio maggiore è che la persona venga imbottita di psicofarmaci, senza che le cause profonde del suo malessere vengano rimosse.
            La Bibbia esorta caldamente a mantenere una distanza di sicurezza dal mondo dell’occulto. Qualche citazione potrebbe bastare: “Non praticherete alcuna sorta di magia” (Lv 19,26); “Non si trovi in mezzo a te chi esercita la magia” (Dt 18,10); “Non vi rivolgete ai negromanti” (Lv 19,31); “Non date retta ai vostri indovini” (Ger 27,9); “Gli indovini vedono il falso” (Zc 10,2). Questa insistenza dell’insegnamento biblico non si capirebbe se in tutte queste cose non ci fosse un rischio concreto o una minaccia per la salute spirituale dell’uomo. Di fatto, l’esperienza insegna che chi ha praticato lo spiritismo, e in generale l’occultismo, o ha frequentato maghi, ne esce scosso nei suoi equilibri emozionali, e sovente perde la pace e la serenità della vita quotidiana. Più precisamente, viene imprigionato dalla paura che certe entità negative possano fargli del male e, per evitare questo, uno è portato a compiere quei gesti superstiziosi che terrebbero buone tali entità. In sostanza, la persona cade in una forma di prigionia psicologica, la cui sintomatologia può avvicinarsi – nei casi più gravi - alle nevrosi ossessive.
            Qui deve intervenire la preghiera di intercessione e la solidarietà della comunità cristiana, la quale, nell’annuncio dell’unica Signoria di Gesù Cristo, restituisce serenità a coloro che si sentono minacciati da piccoli tiranni invisibili; tutti i piccoli tiranni, sia visibili che invisibili, in Cristo sono stati vinti, e il vero cristiano si sente un uomo libero. Non solo. Cristo ha dato ai suoi discepoli il potere sugli spiriti immondi, perciò il battezzato che vive bene la sua fede deve sapere che, vivendo in grazia di Dio, è il demonio che deve avere paura di lui e non viceversa: “Chiamati a Sé i dodici, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi” (Mt 10,1); “La folla accorreva portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti” (At 5,16); “Nel mio nome scacceranno i demoni” (Mc 16,17).
           

La preghiera di liberazione porta sollievo e accelera il processo di guarigione di chi è caduto nella prigionia di questo genere di angosce. La guarigione piena dipende però dal cammino di conversione della persona stessa e dalla sua volontaria rinuncia alle opere di satana. L’esperienza più autentica di liberazione si verifica solo nello sviluppo della vita cristiana e lungo la crescita personale nella fede: “Se rimanete fedeli alla mia Parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Poi più avanti aggiunge: “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (v. 36). Cristo promette qui una liberazione autentica, cioè non semplicemente un sollievo, che non è affidata alla preghiera della comunità cristiana, bensì alla crescita personale nel discepolato. In realtà è lo sviluppo della santità cristiana che guarisce e libera la persona in maniera totale e irreversibile. Per questo, attendersi una liberazione dalla preghiera della comunità, senza un impegno personale di conversione e di rinuncia alle opere di satana, sarebbe un errore. In questi casi si può avere un sollievo, ma non la piena liberazione. La persona può essere sempre riafferrata dalle forze del male, pur indebolite dalla preghiera della Chiesa, se la persona stessa non impara a opporvisi con tutte le proprie forze nel combattimento spirituale.
La preghiera di liberazione infine non va confusa con l’esorcismo. L’esorcismo viene praticato solo dal sacerdote autorizzato, mentre la preghiera di liberazione può essere fatta da qualunque battezzato, da solo o in gruppo.

      3.4 La preghiera di lode

Tra tutte le forme di preghiera è l’unica che può definirsi “senza tempo”. E’ infatti quel modo di rivolgersi a Dio che caratterizza il culto celeste; mentre tutte le altre forme elencate sotto presuppongono lo stato di pellegrinaggio, insieme alle difficoltà e alle ombre della vita presente, la preghiera di lode è la preghiera di chi si sente libero, come fosse già risorto. Questa preghiera è perciò possibile quando la persona riesce ad allentare la naturale concentrazione su se stessa, dal momento che è l’unica forma di preghiera ad avere come obiettivo Dio in quanto Dio.
            La preghiera di lode si apprende soprattutto dai Salmi. Il Salmo 8 è una preghiera di lode allo stato puro. Analizzando il testo, ci rendiamo conto che la lode non è motivata da un’opera o da un beneficio che Dio ha personalmente procurato all’orante; il Salmo 8 esprime infatti uno stato d’animo rapito nella visione della bellezza e della grandezza di Dio. Un altro esempio chiaro di preghiera di lode è il Salmo 19(18), dove di nuovo l’unico motivo che spinge alla preghiera è la grandezza e la magnificenza di Dio.

A questo proposito si può vedere anche il Salmo 34(33), il Salmo 46(45), il Salmo 47(46), il Salmo 48(47), il Salmo 62(61), il Salmo 63(62), il Salmo 84(83), il Salmo 91(90), il Salmo 92(91), il Salmo 93(92), il Salmo 100(99), il Salmo 103(102), il Salmo 104(103), il Salmo 135(134), il Salmo 145(144), il Salmo 146(145), il Salmo 147(146-147), il Salmo 148, il Salmo 148 e il Salmo 150.


      3.5 La preghiera di ringraziamento

E’ una preghiera che nasce dalla capacità di vedere l’opera di Dio nella nostra vita, e perciò è in un certo senso il risultato di una guarigione. Infatti, la preghiera di ringraziamento non è quella preghiera che si fa quando, una volta ogni tanto, ci si riconosce liberati da qualche grave malanno, ma è la preghiera che si fa quando i nostri occhi si aprono al mistero della Presenza di Dio nel mondo, nella creazione, nell’itinerario della nostra crescita umana e della nostra esperienza personale. Allora nasce il ringraziamento, ma nasce al contempo anche la lode. Chi non sente il bisogno di ringraziare Dio non deve pensare che ciò provenga dal fatto di vivere una vita serena e tutto sommato non bisognosa di miracoli, ma deve pensare, più verosimilmente, che non ha ancora aperto gli occhi sull’insonnia di Dio verso le sue creature.
Nel libro dei Salmi troviamo alcune preghiere di ringraziamento che possono essere utili a meglio illustrarci i contenuti e la struttura del ringraziamento: Salmo 18(17), Salmo 30(29), Salmo 40(39), Salmo 65(64), Salmo 66(65), Salmo 107(106), Salmo 116(114-115), Salmo 118(117), Salmo 124(123), Salmo 138(137).

      3.6 La preghiera penitenziale

E’ la preghiera del “tempo della caduta”. La richiesta di perdono non è limitata al momento sacramentale, ma è una preghiera personale e indipendente del battezzato. La formula tradizionale della preghiera della sera, conteneva, tra le altre cose, la richiesta di perdono del male commesso durante la giornata. La celebrazione eucaristica prevede all’inizio un rito penitenziale per preparare l’assemblea, mediante la richiesta di perdono. Non ha dunque nessun senso il ragionamento di chi dice: “Prima di fare la comunione mi dico un atto di dolore”. La Chiesa lo prevede già in forma comunitaria sotto la presidenza del celebrante.
Nella Bibbia le preghiere penitenziali si trovano soprattutto nel libro dei Salmi e nella letteratura profetica.


Una preghiera penitenziale completa è quella riportata nel libro di Daniele al capitolo 3, versetti 25-45. Essa esprime la struttura completa di una preghiera penitenziale: l’inizio è la lode (vv. 26-28), poi la memoria e la confessione del peccato (vv. 29-32), poi il dispiacere di avere peccato provocando tante rovine intorno a sé (vv. 33-38), poi la richiesta di perdono (vv. 39-40), poi il proposito di cambiare stile di vita (vv. 41-43).
Alcune preghiere penitenziali del libro dei Salmi: Salmo 32(31), Salmo 38(37), Salmo 51(50), Salmo 79(78), Salmo 106(105), Salmo 130(129).


4. I tempi della preghiera

La preghiera può essere fatta a qualunque ora del giorno e della notte, e non vi sono particolari restrizioni in proposito; tuttavia, dall’insegnamento biblico si ricava una scansione di tempo per la quale vi sono determinate ore che la Bibbia considera tradizionalmente come ore di preghiera. La Chiesa ha ben appreso questa lezione e ha distribuito la preghiera dei Salmi, che è la sua preghiera ufficiale, in quelle determinate ore. Il libro della liturgia delle ore è il risultato di questo insegnamento. Sarà opportuno ripercorre i luoghi biblici più importanti a riguardo. Possiamo però anticipare, dicendo che i tempi della preghiera cristiana sono: il mattino, la sera, la notte e le ore cosiddette terza, sesta e nona.
            La giornata del cristiano si apre con la preghiera: la vita quotidiana viene così offerta e consacrata a Dio; il lavoro e la fatica vengono presentati sull’altare del proprio cuore fin dal mattino come un sacrificio gradito a Dio. Per il cristiano non c’è nulla di profano e le opere quotidiane non si esauriscono nella loro causa contingente, ma acquistano un valore anche davanti a Dio, oltre che davanti agli uomini per i quali esse vengono compiute. Ciò che valorizza le opere della giornata in una dimensione soprannaturale è appunto la preghiera del mattino con la quale si chiede a Dio di illuminare e fecondare la fatica del giorno. La preghiera del mattino è esplicitamente richiesta dalla Bibbia: “Fin dal mattino ti invoco e sto in attesa” (Sal 5,4); “Al risveglio mi sazierò della tua presenza” (Sal 17,15); “Al mattino giunge a te la mia preghiera” (Sal 88,14); “Saziaci al mattino con la tua grazia” (Sal 90,14). La liturgia delle ore risponde a questa esigenza con la preghiera delle Lodi mattutine.
           
La sera, ossia a conclusione della giornata lavorativa, la Bibbia suggerisce al cristiano di mettersi ancora una volta alla presenza di Dio per ringraziarlo della giornata trascorsa e chiedergli perdono delle eventuali mancanze o omissioni. Anche la preghiera della sera è esplicitamente richiesta: “Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 141,2); “All’offerta della sera… sono caduto in ginocchio e ho steso le mani al mio Signore” (Esd 9,5). Questa orazione legata all’offerta della sera è rappresentata, nella vita della Chiesa, dalla preghiera del Vespro, che appunto si recita al tramonto, ovvero alla fine della giornata lavorativa.
            La Bibbia conosce anche delle ore minori, ossia delle interruzioni brevi del lavoro quotidiano che si hanno nelle tradizionali ore di terza (09,00), sesta (12,00) e nona (15,00). Gli Apostoli solevano pregare in queste ore: “Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio” (At 3,1), ossia all’ora nona. In At 10, Pietro è descritto nell’atto di salire sulla terrazza della casa che lo ospita, per pregare verso mezzogiorno (v. 9), e sarebbe questa la preghiera dell’ora sesta. Ancora il libro degli Atti descrive la comunità cristiana radunata in preghiera con Maria (cfr. 1,14) e all’ora terza, cioè verso le nove del mattino, la Chiesa viene battezzata nello Spirito a Pentecoste (cfr. 2,15). La preghiera dell’ora terza è quindi particolarmente importante in quanto ricorda l’effusione dello Spirito sulla prima comunità.
            Queste tre ore di preghiera previste dalla liturgia delle ore hanno anche un riferimento cristologico: le nove del mattino è l’ora della crocifissione: “Erano le nove del mattino quando lo crocifissero” (Mc 15,25). L’ora sesta è l’ora dell’eclisse che accompagna l’agonia di Gesù: “Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio” (Mc 15,33). Infine, l’ora nona segna la morte fisica di Cristo (cfr. Mc 15,34).
            Accanto a queste ore di preghiera diurna, la tradizione cristiana conosce anche la preghiera notturna, ma preferiamo rimandare l’argomento e parlarne nel contesto dell’insegnamento di Gesù sulla preghiera, insegnamento nel quale la preghiera notturna ha un notevole rilievo.
            Tra i tempi idonei alla preghiera cristiana non si può sorvolare il giorno che i cristiani, fin dalla prima generazione, dedicano alla celebrazione della Risurrezione del Signore: la Domenica. Per i cristiani i giorni non sono tutti uguali. Il giorno del Signore è diverso dagli altri. In esso si mettono da parte le fatiche e le preoccupazioni dei giorni feriali: ci si comporta da uomini liberi, affrancati dagli obblighi del lavoro servile.


Ciò è chiaro fin dalla Legge mosaica: “Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore… non fare lavoro alcuno” (Dt 5,13-14). Si tratta di un giorno destinato a Dio, un giorno in cui l’uomo è sollevato dai pesi della sua fatica quotidiana: “Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là” (Dt 5,15). Il giorno del Signore intende insomma celebrare la liberazione del popolo che dalla condizione di schiavitù è stato condotto verso una nuova dignità di nazione sovrana.
Nella pasqua cristiana, però, il giorno del Signore non è più il sabato ma è la domenica. E la memoria che si celebra non è più quella della liberazione dall’Egitto ma quella della liberazione dal peccato e dalla morte. Questa celebrazione non poteva più avvenire di sabato, per il semplice fatto che Cristo è risorto all’alba della domenica. La celebrazione eucaristica intende rivivere la pasqua di Cristo, e perciò la domenica è il giorno più adeguato. Del resto, Cristo stesso ha orientato la comunità cristiana verso la domenica, quando è apparso più volte ai discepoli “il primo giorno dopo il sabato” (Gv  20,1.19.26). Il veggente dell’Apocalisse, riceve l’ultima rivelazione del NT “nel giorno del Signore” (Ap 1,10).
            La domenica è il giorno in cui il Risorto si rivolge alla sua Chiesa radunata e la nutre con la Parola e l’Eucaristia. A questo proposito sentiamo il bisogno di fare alcune importanti precisazioni: la celebrazione eucaristica è innanzitutto composta da due momenti, la celebrazione della Parola e la celebrazione della Eucaristia. Molti ancora oggi ritengono che la Messa sia composta dalla celebrazione della Eucaristia con una introduzione di qualche lettura biblica. Questa concezione è falsa. La conseguenza è che costoro non prendono nulla della Parola annunciata e rimangono ignoranti nella dottrina cristiana. Poi si fanno la comunione e si ritengono falsamente a posto con Dio. Questi battezzati sono soliti confessarsi di non essere andati a Messa una domenica, mentre dovrebbero confessarsi di esserci andati sempre con una disposizione d’animo fondamentalmente scorretta. Questo è il vero peccato di cui dovrebbero confessarsi. Il battezzato la domenica deve fare due comunioni: la Parola e l’Eucaristia. La seconda senza la prima non può nutrire la fede, perché la fede si nutre della dottrina. Il sacramento dell’Eucaristia corrobora il cammino di fede, ma il cammino di fede a sua volta prende l’avvio dalla Parola.

5. I luoghi della preghiera

Nell’AT e nella tradizione ebraica i luoghi della preghiera erano ben determinati, secondo le diverse epoche. Nel periodo patriarcale bastava una teofania, ossia una qualche manifestazione di Dio a uno dei patriarchi, per costituire un luogo sacro. Possiamo ricordare il famoso sogno di Giacobbe, nel quale egli vide una scala che collegava cielo e terra, mentre gli angeli vi salivano e scendevano (cfr. Gen 28,10ss). Al mattino Giacobbe comprende di avere avuto una rivelazione durante la notte e erige una stele, rinominando il luogo simbolicamente col nome di Betel, cioè “casa di Dio”. Così quel luogo diventa un santuario per lui e per i suoi discendenti. Fino alla nascita della monarchia esistono diversi santuari periferici, finché con la costruzione e la consacrazione del Tempio di Gerusalemme, viene considerato legittimo solo il culto celebrato lì. Vi sono poi altre vicissitudini storiche, ma non è opportuno trattarne in questa sede. A noi interessa giungere al NT e all’esperienza cristiana, per sapere se il luogo ha o no un influsso determinante sulla preghiera. In generale dobbiamo dire che la comunità cristiana non ha luoghi obbligatori per la preghiera personale o comunitaria. L’Apostolo Pietro prega indifferentemente nel Tempio o sul terrazzo di una casa, come abbiamo già visto; questo significa che il cristiano può ritenersi libero da un qualsivoglia legame locale o geografico. Il cristiano può pregare là dove si trova. Infatti, il Tempio in cui il cristiano prega è Cristo stesso. Il battesimo ci inserisce nel Corpo di Cristo come in un Tempio, in cui la preghiera arriva al Padre anche se pronunciata nel profondo di una selva. L’insegnamento del Vangelo di Giovanni è chiaro su questo punto: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere… Ma egli parlava del Tempio del suo Corpo” (Gv 2,19.21). Da questo momento, dunque, il Tempio è il Corpo di Cristo, ossia la comunità cristiana: “Non sapete che siete Tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Cor 3,16). Se allora si edificano luoghi sacri per il culto cristiano ciò non è per indicare l’esclusività della celebrazione in un determinato luogo, ma solo in ragione della praticità e in vista di un culto ordinato e stabile.
            Qualcosa di simile avviene quando in seguito a un’apparizione della Madonna un certo luogo acquista un particolare significato religioso. Si tratta di un “particolare significato religioso”, ossia di un luogo che Dio ha dato al popolo cristiano come luogo dell’appuntamento, come polo di attrazione per la nostra sensibilità umana sempre bisognosa di segni, ma non come luogo esclusivo per incontrare la salvezza.

6. La posizione del corpo

Dobbiamo interrogare la Bibbia per sapere se anche la tradizione ebraico-cristiana prevede per la preghiera determinati gesti o atteggiamenti del corpo. Dobbiamo subito rispondere di sì, ma dobbiamo precisare che vale anche in questo ambito quel che abbiamo detto a proposito dei luoghi della preghiera: non c’è nulla di assoluto o di obbligante; la posizione del corpo, come pure il luogo, ha senso in quanto favorisce la preghiera e la rende ordinata e non confusa. Interroghiamo però la Bibbia circa la posizione del corpo dell’orante.
            Il Vangelo riporta la consuetudine dei farisei di pregare in piedi: “Amano pregare stando ritti nella sinagoga” (Mt 6,5); ma in generale la tradizione dell’AT conosce un modo di pregare in piedi: “Salomone si mise in piedi e benedisse tutta l’assemblea” (1 Re 8,55); durante la cerimonia di dedicazione del Tempio l’assemblea partecipa pregando in piedi (cfr. 2 Cr 7,6). In prossimità di una guerra santa “i leviti si alzarono a lodare il Signore” (2 Cr 20,19). Anche il nostro cerimoniale liturgico prevede che in alcune parti della Messa l’assemblea stia in piedi.
            Un altro atteggiamento che dalla tradizione ebraica è passato in quella cristiana è la consuetudine di inginocchiarsi per pregare: “Giosafat si inginocchiò… e gli abitanti di Gerusalemme si prostrarono davanti a Signore” (2 Cr 20,18). Quando Mosè ritorna in Egitto, dopo l’incontro con Dio nel roveto ardente, si fa incontro agli israeliti radunandoli, e questi, avendo udito le parole che Dio aveva detto a Mosè, si inginocchiano (cfr. 4,31). Durante la dedicazione del Tempio, Salomone rimane per un certo tempo inginocchiato davanti all’altare (cfr. 1 Re 8,54). Il testo più esplicito che fonda teologicamente questo atteggiamento di pregare in ginocchio è comunque Is 45,23: “Davanti a me si piegherà ogni ginocchio”. Anche gli Apostoli sogliono pregare in ginocchio: quando i fratelli della comunità portano Pietro a visitare il cadavere di Tabità, “Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: Tabità, alzati!”. Ed essa aprì gli occhi” (At 9,40). L’Apostolo Paolo prega inginocchiato prima di partire per Gerusalemme dove sarebbe stato arrestato; così prima di lasciare Efeso “si inginocchiò con tutti loro e pregò” (At 20,36), come pure sulla costa di Tiro “accompagnati da tutti loro con mogli e figli, inginocchiati sulla spiaggia pregammo, poi ci salutammo a vicenda” (At 21,5).
           
Un altro atteggiamento ricorrente nella preghiera biblica è la prostrazione. Questa posizione per la preghiera si riscontra sovente nei patriarchi, ma anche in epoca monarchica: “Allora Abramo disse: andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi” (Gen 22,5); anche Mosè prega in questa posizione: il Signore scese nella nube presso di lui, allora “Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò” (Es 34,8). Anche di Davide si dice che “andò alla casa del Signore e vi si prostrò” (2 Sam 12,20). Questa posizione per la preghiera è inoltre esplicitamente richiesta dal Sal 29,2: “Prostratevi al Signore in santi ornamenti”, come pure da Is 66,23: “Verrà ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore”. La prostrazione è perfino descritta dall’Apocalisse nel culto celeste: “i 24 vegliardi si prostrarono” (Ap 4,10).
            Infine occorre aggiungere qualche parola sui gesti delle braccia: la preghiera biblica prevede anche le braccia alzate. Questo atteggiamento si riscontra nella preghiera di Mosè: “Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte” (Es 17,11). Le sorti della battaglia vengono stranamente determinate non dalle armi ma dalla intercessione di Mosè. Anche Salomone è descritto nell’atto di alzare le braccia per pregare: “Salomone stese le mani verso il cielo” (1 Re 8,22). In Ne 8,6 tutto il popolo prega a mani alzate, rispondendo Amen. I Salmi indicano ripetutamente questo gesto per l’orante: “Alzo le mie mani verso il tuo santo tempio” (Sal 28,2); “nel tuo nome alzerò le mie mani” (Sal 63,5). Anche il NT prevede questo gesto per la preghiera cristiana: “Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese” (1 Tm 2,8).
            La consuetudine comune ha recepito questo gesto quasi esclusivamente per la preghiera del Padre Nostro, ma potrebbe estendersi anche alle altre forme preghiera.
           


7. L’insegnamento di Gesù sulla preghiera

Qui tocchiamo un punto nevralgico dell’insegnamento sulla preghiera cristiana: la preghiera di Cristo è il vertice della preghiera biblica. Nei giorni della sua vita terrena, Cristo prega, sente cioè la necessità di un contatto intimo e frequente col Padre, e insegna a pregare anche ai suoi discepoli. Sarà opportuno analizzare tanto la preghiera di Gesù quanto il suo insegnamento sulla preghiera.

7.1 La preghiera di Gesù

            Sarà in primo luogo opportuno chiederci “come” Cristo ha pregato nella sua vita da uomo. Uno sguardo generale ai cenni evangelici sulla preghiera di Gesù ci permette di dire che Lui ha pregato frequentemente ritirandosi in luoghi deserti, preferibilmente la notte o prima dell’alba. Questa preghiera di Gesù scandisce la sua attività di evangelizzazione e non sembra avere scopi pratici aldilà di un ristoro del suo cuore nell’intimità con il Padre. Notiamo anche l’assenza di preghiera in occasione dei miracoli: Gesù non prega prima di operare il miracolo, tranne in due casi, la moltiplicazione dei pani e la risurrezione di Lazzaro. Oltre alla preghiera ordinaria che scandisce il ritmo delle sue attività apostoliche, vi è una preghiera circostanziale, ossia una preghiera dettata dal momento particolare che Cristo si trova a vivere; vediamo così Cristo in orazione prima di prendere le decisioni più importanti, come la scelta dei Dodici; oppure in momenti cardine del suo ministero, come il battesimo e la trasfigurazione (secondo Luca); quando gli Apostoli stanno per essere vagliati dalla bufera della Passione, Cristo prega in particolare per Pietro (cfr. Lc 22,31-34); infine Cristo prega per ottenere dal Padre la forza di affrontare il tempo della prova e di essere in grado di affrontare la morte.
            Si può dire inoltre che Cristo ha praticato le forme più importanti di preghiera note all’AT: la preghiera di lode, di intercessione, di richiesta di perdono (anche se mai per Se Stesso), di domanda.

                 I caratteri della preghiera di Gesù
La prima cosa che ci viene di notare in riferimento alla preghiera di Gesù è il suo pieno inserimento nell’esperienza religiosa di Israele. Cristo si reca di sabato nella sinagoga e lì prega insieme alla comunità ebraica: “Si recò a Nazaret ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga” (Lc 4,16). E ancora: “Gesù insegnava nelle loro sinagoghe” (Mt 4,23). La sinagoga e la preghiera comunitaria rappresentano quindi la prima tappa della manifestazione pubblica di Cristo. La comunità che si raduna in preghiera è sempre il primo e necessario riferimento del singolo credente, il quale impara a pregare dalla comunità che prega.
            Più volte il Vangelo fa riferimento al fatto che Gesù soleva ritirarsi in luoghi solitari a pregare (Mt 14,13; Mc 1,35), ma non ci dice mai in cosa consistesse questa preghiera solitaria né quali contenuti avesse.



I discepoli hanno infatti desiderato sapere come Cristo pregasse, quindi hanno intuito nella preghiera di Cristo qualcosa di nuovo e di diverso da quel che tradizione ebraica aveva loro comunicato; e gli hanno chiesto esplicitamente di insegnare loro a pregare come pregava Lui. Sarà appunto questo l’argomento del successivo paragrafo. L’unico punto in cui potrebbe venire alla luce quel che la preghiera solitaria di Cristo poteva essere, è il capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, dove viene portata la lunga preghiera di Gesù che affida alla custodia del Padre gli Apostoli e la Chiesa futura. Si tratta di una preghiera piena di confidenza filiale, ma anche piena di una divina consapevolezza, per la quale Cristo può dire perfino, rivolgendosi al Padre: “Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con Me” (Gv 17,24). La preghiera di Gesù conosce dunque sia l’adesione piena del Figlio al volere del Padre, sia la coscienza lucida dell’uguaglianza nella natura divina e nell’unica maestà, identica per il Padre e per il Figlio.
            Cristo non mette sullo stesso piano la preghiera e l’attività apostolica, né si ritira a pregare solo quando non ha nulla da fare. Al contrario, Egli si ritira a pregare anche quando le folle lo cercano per ascoltare la sua Parola e ricevere al guarigione: “Folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare” (Lc 5,15-16). Neppure l’incalzare della piena dei bisogni umani lo ferma dalla ricerca della solitudine e della intimità col Padre. Significa che la preghiera deve avere la priorità assoluta su ogni attività. Mentre lo cercano, Egli si ritira in luoghi solitari. Non sempre ci riesce, perché talvolta la folla intuisce dove sta per andare e lo precede. Qui Cristo si commuove e apre a chi lo cerca i tesori del suo Cuore (cfr. Mc 6,30-34). La notte è perciò l’unico tempo di preghiera che Lui riesce a ricavarsi senza interruzioni.
I momenti più importanti e più determinanti dell’attività apostolica di Gesù sono scanditi dalla preghiera. Il Vangelo di Luca sottolinea la preghiera di Gesù nel battesimo e nella trasfigurazione, due grandi momenti teofanici che Cristo vive immerso nella preghiera e astratto dal mondo (cfr. Lc 3,21 e 9,28-29). Certe esperienze forti, insomma – quei momenti di incontro con Dio che sono orientati alla nostra crescita -, non possono essere vissute dal cristiano con l’animo distratto o svagato, o assente. Cristo stesso si è concentrato e ha messo in fuga distrazioni e superficialità nel giorno del suo battesimo e della sua trasfigurazione, quando il Padre lo ha accreditato dinanzi agli uomini come testimone verace.
           
Un altro momento cardine del ministero pubblico di Cristo è la scelta dei Dodici. Anche in questa circostanza Egli ha voluto sprofondarsi nella preghiera prima di prendere una decisione così importante e determinante per la vita della Chiesa: “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a Sé i suoi discepoli e ne scelse dodici” (Lc 6,12-13). Non c’è dubbio che il cristiano debba sentirsi interpellato dinanzi a questo quadro: le svolte della vita, le grandi decisioni e le scelte definitive non possono essere prese nel rumore e nel trambusto della vita quotidiana, né possono prescindere da una consultazione del Signore nel silenzio e nella preghiera prolungata.
            Come già dicevamo, nella preghiera personale di Gesù troviamo sia la preghiera di lode che quella di intercessione. La sua preghiera di lode è riportata in Lc 10,21: “In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: Io ti rendo lode Padre… che hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”. La preghiera di lode di Gesù non è di origine cerebrale, intellettuale, ma non è neppure frutto di un moto sentimentale: si tratta di una esultanza nello Spirito Santo. Può giungere alla preghiera di lode solo chi giunge a provare la gioia dello Spirito, ossia a percepire intimamente che ciò che Dio comanda e vuole è qualcosa di meraviglioso che riempie di stupore; chi pensa che il Vangelo contiene una serie di idee belle e buone non è ancora arrivato a scoprire questa esultanza; essa non si prova dinanzi alle cose belle e buone, ma solo dinanzi alle cose divine. Chi arriva a sentire dentro di sé che il Vangelo è divino, che il modo di essere uomo personificato da Cristo è divino, che la Parola che risuona nella Chiesa non è solo “moralmente buona” ma è divina, allora costui può giungere alla preghiera di lode, che esprime l’esultanza dell’animo riempito di stupore dinanzi alla bellezza divina del Cristo.
            La preghiera di intercessione di Gesù è riportata da Lc 22,31: “Simone, Simone, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede”. Poco prima di essere arrestato, Gesù prepara l’Apostolo Pietro non solo avvertendolo della bufera che sta per scatenarsi, ma soprattutto pregando per lui così che la sua fede non venga annullata dalla persecuzione. Sarà infatti Pietro il punto di riferimento della comunità postpasquale e il kerygma cristiano comincerà proprio con lui nel giorno di Pentecoste (cfr. At 2).

L’altra grande preghiera di intercessione è quella riportata da Gv 17, dove Gesù, prima di essere arrestato, prega per la Chiesa che nascerà dalla predicazione apostolica e chiede al Padre di conservarla nell’unità della Trinità.

            Tra il Getsemani e il Golgota
La preghiera di Gesù raggiunge il vertice nel momento più delicato e drammatico della sua vita terrena: le ore oscure della Passione. Qui Gesù prega per ottenere dal Padre la forza di attraversare quel mare di odio che stava per riversarglisi addosso. Il messaggio è abbastanza chiaro anche per il cristiano: se è importante la preghiera nelle svolte e nelle grandi decisioni della vita, lo è soprattutto nella svolta più grande che è rappresentata dall’esperienza del dolore e dalla prossimità della morte. Cristo prega non solo in prossimità della morte, ma anche nelle ore lunghe dell’agonia, prima di perdere conoscenza.
            Nel Getsemani, Gesù vuole la compagnia di tre discepoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. A loro chiede un particolare tipo di preghiera, che consiste semplicemente nel rimanere accanto a Lui: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con Me” (Mt 26,38). Cristo non chiede loro particolari formule da recitare, non chiede la proclamazione di qualche Salmo, ma semplicemente di restare con Lui. Restare e vegliare, ossia offrirgli una presenza non distratta ma attenta, concentrata sulla sua divina Persona. E’ in sostanza la preghiera di semplice sguardo che si fa davanti all’Eucaristia; una preghiera senza parole, ma carica di attenzione, dove la tensione del cuore è tutta nello sguardo.
La preghiera di Gesù nel Getsemani è una preghiera essenziale, fatta di poche parole: “Se è possibile passi da Me questo calice! Però non come voglio Io, ma come vuoi Tu” (Mt 26,39). Queste stesse parole Gesù le ripete più volte (cfr. Mt 26,44); è quindi possibile che, in momenti particolarmente intensi, la preghiera del cristiano si componga anche di poche e brevi frasi, ripetute più volte. Come vedremo, Gesù mette esplicitamente in guardia i suoi discepoli dalla pratica di una preghiera parolaia, che non giunge di fatto al cuore di Dio. Serve solo a ingolfare la vita interiore del discepolo con le molte parole e i ragionamenti non necessari.
            Gesù prega soprattutto mentre sulla croce sente che la vita a poco a poco gli sfugge. La sua preghiera è una preghiera di richiesta di perdono per tutti coloro che lo hanno colpito: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Ma è anche una preghiera di infinita fiducia in Colui che lo ha abbandonato (cfr. Mc 15,34) nelle mani dei nemici: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Anche qui c’è un intero programma per il cristiano, che non può giungere impreparato alla morte, né farne l’esperienza senza immedesimarsi profondamente nel mistero della croce. E ciò non può avvenire se non nella preghiera.

7.2 La preghiera insegnata da Gesù

Oltre alla preghiera personalmente fatta da Gesù nei giorni della sua vita terrena, c’è anche un insegnamento esplicito, sollecitato dai suoi discepoli: “Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: insegnaci a pregare” (Lc 11,1). L’insegnamento di Gesù sulla preghiera è riportato in diversi brani. Cominciamo col Vangelo di Matteo 6,5-15 e 7,7-11.
            Il contesto prossimo ci conduce direttamente alla preghiera del cuore: è infatti tolta di mezzo ogni forma di preghiera che si esaurisca nel pronunciamento meccanico di determinate formule: “Quando preghi, entra nella tua camera…” (6,5). La propria “camera” è indubbiamente un’immagine finalizzata a un insegnamento, visto che la preghiera comunitaria e liturgica è sempre stata, fin dalla prima generazione cristiana, un elemento portante della vita della Chiesa. In sostanza, non si tratta di un invito di carattere privato e intimistico, quanto piuttosto di una qualità dell’incontro con Dio. La “camera” indica il dialogo del cristiano con il Padre, incontrato nella profondità della propria coscienza. La stessa preghiera comunitaria e liturgica si svuota completamente, e diventa pura esteriorità, quando i membri dell’assemblea, ciascuno per la propria parte, non hanno incontrato il Padre nelle profondità del proprio animo. Ancora peggio è quando la preghiera è fatta visibilmente, per dare un “tocco di classe” alla propria rispettabilità sociale (cfr. 6,5). Al giorno d’oggi, perfino i maghi ricorrono a questo stratagemma, circondandosi di crocifissi e di immagini sacre, per far credere alla gente che i loro “poteri” vengono da Dio. Perciò il discepolo non deve mai lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze, perché Satana si traveste solitamente da angelo di luce (cfr. 2 Cor 11,14).
L’insegnamento centrale sulla preghiera è però rappresentato dal Padre Nostro, che non si presenta come una “formula” di preghiera, bensì come un archetipo su cui modellare la preghiera cristiana. Il medesimo insegnamento è riportato nel Vangelo di Luca, dove la parabola dell’amico importuno è introdotta dalla preghiera del Padre Nostro, che Luca riporta in una maniera più breve di quella di Matteo (cfr Lc 11,1-4).

La diversità delle due redazioni di questa preghiera, dimostra che non si tratta di una “formula” ma, come abbiamo detto, di un modello di preghiera. Se si fosse trattato di una formula, sarebbe stata registrata parola per parola, tanto più che questa è l’unica preghiera insegnata direttamente dal Signore.
            Da questo modello risulta:
1.      La nostra preghiera è rivolta più alla Paternità di Dio che alla sua onnipotenza: “Quando pregate, dite: Padre...” (6,9).
2.      Non è giusto pregare per le proprie necessità umane, senza cercare prima la gloria di Dio: cfr vv. 9-10
3.      Non è autentica la preghiera di chi non è uomo di pace (cfr. v. 12)

L’insegnamento di Gesù addita ai discepoli anche una preghiera ininterrotta. Uno dei discepoli, avendo notato che Gesù si ritirava spesso in solitudine a pregare, gli disse: “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1). La preghiera è uno dei temi che l’evangelista Luca più ama sottolineare. Soprattutto è messa in evidenza la preghiera di Gesù nelle scelte più difficili (cfr Lc 6,12) o nei momenti più cruciali del suo ministero (cfr Lc 3,21 e 9,28). Queste due parabole si riferiscono alla preghiera dei cristiani, i quali a maggior ragione devono affidarsi a Dio nella preghiera, se Cristo non ha pensato di poterne fare a meno. Il Gesù storico si presenta allora anche come Maestro di preghiera. Queste due parabole non esauriscono l’insegnamento di Gesù sulla preghiera, ma ne sono soltanto una introduzione.

            Occorre pregare senza stancarsi
Prima di narrare la parabola del giudice iniquo, Luca ci fa sapere perché Cristo l’ha inserita nel proprio insegnamento: “Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi” (Lc 18,1).
            La preghiera cristiana, secondo questo insegnamento, ha insomma bisogno di due principali caratteristiche: essere ininterrotta; non essere soggetta alla stanchezza.

Ma quale stanchezza?
Cominciamo col secondo elemento: “pregare senza stancarsi”. Di che stanchezza si tratta? Certo, la preghiera esige concentrazione, lotta contro le distrazioni, in certo qual modo un affaticamento mentale. E’ questa la stanchezza di cui parla Gesù? Non ci sembra proprio. Non è in questione la stanchezza fisica o quella psicologica. Infatti, quando uno è stanco fisicamente o mentalmente, il suggerimento di Cristo è prima di tutto il riposo: cfr. Mc 6,31 e Mt 9,36.
            Inoltre, se è una stanchezza di cui si può dire “non stancarti”, allora è di diversa natura da quella fisico-psichica. L’unica stanchezza di cui si può dire “non ti stancare” è infatti quella stanchezza che risulta dall’affievolimento della fede. La stanchezza che non dobbiamo avere è quella del dubbio, del cedimento interiore della certezza dell’aiuto di Dio. In tal modo la preghiera sarebbe indebolita in partenza e sterilizzata alla radice. Ecco perché se la preghiera vuole essere efficace non può e non deve essere soggetta alla “stanchezza” della fede.

            E’ possibile pregare ininterrottamente?
Più difficile a capirsi (oltre che a farsi) ci sembra quest’altra esigenza della preghiera cristiana. Pregare ininterrottamente! Ma come si fa con tutti gli impegni che ci sommergono appena ci alziamo dal letto?
            Per capire cosa sia la “preghiera continua” occorre ampliare la prospettiva sull’intera rivelazione biblica, dal momento che la preghiera ininterrotta è richiesta anche ai Patriarchi, e precisamente ad Abramo. Ci riferiamo al brano di Gen 17,1, dove incontriamo il primo insegnamento biblico sulla preghiera ininterrotta: “Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a Me e sii integro”. Da qui comprendiamo una cosa essenziale: la preghiera non consiste nel parlare con Dio, ma nel vivere ogni istante della vita quotidiana alla sua Presenza. Questo insegnamento ritorna chiaramente nel racconto della Passione; nell’orto degli Ulivi, Gesù dice ai suoi discepoli: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate” (Mc 14,34). Gesù non chiede che i discepoli si mettano lì a conversare con Lui, ma chiede solo la loro presenza. Pregare significa infatti essere presenti a Colui che è Presente. In definitiva, pregare è amare. E non si ama con le parole. Nell’amore le parole esprimono “una disposizione di dono” della persona; ma talvolta può esserci la “disposizione di dono” senza le parole. Come nella vita di coppia, non sempre si parla, ma ciò che conta è la disposizione personale del reciproco dono.
           
Chi giunge a vivere la propria giornata “alla presenza di Dio”, si può dire che ha attuato l’insegnamento evangelico della preghiera continua, ripreso anche dall’Apostolo Paolo: cfr. Ef 6,18 e 1 Ts 5,17, ma anche nell’intendere il vivere cristiano, cioè la quotidianità, e non solo la preghiera liturgica, come un culto spirituale reso a Dio (cfr. Rm 12,1-2).


            “Quale padre darà una pietra al figlio che gli chiede un pane?” (cfr Lc 11,9-13)
Prima di parlare della preghiera, Cristo tiene a precisare chi è Colui a cui la nostra preghiera si rivolge. Al discepolo che gli chiede “insegnaci a pregare”, Gesù risponde: “Quando pregate, dite: Padre...” (11,2). Il tema della paternità di Dio è poi ripreso dopo la parabola dell’amico importuno: un uomo può anche soccorrere un amico solo per la sua insistenza, ma un padre non ha bisogno dell’insistenza dei figli, per beneficarli, perché li ama. Anche un uomo malvagio può fare del bene solo per essere lasciato in pace (Lc 18,4-5), ma al proprio figlio non darà un sasso se gli chiede del pane (11,13). Nella stessa maniera il Padre celeste dà il necessario all’uomo, ma soprattutto gli dà il regalo che in senso assoluto è necessario: lo Spirito Santo (v. 13). Ma è proprio su questo terreno che si gioca l’autenticità della preghiera cristiana. Cfr. anche 1 Re 3,5-15.
            Un altro elemento di estrema importanza nell’insegnamento di Gesù è la fede che deve accompagnare la preghiera. La mancanza di fede o il tarlo del dubbio rischiano di vanificare l’efficacia della preghiera cristiana: “Se avrete fede e non dubiterete… direte a questo monte levati di lì e gettati nel mare, e ciò avverrà. Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” (Mt 21,21-22). E il passo parallelo di Marco: “Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (Mc 11,22.24). In altre parole, la mancanza di fede, che poi altro non è se non sfiducia in Dio, o mancanza di aspettative, come se Dio non fosse abbastanza buono o abbastanza potente da soccorrerci nelle nostre necessità, la mancanza di fede, insomma, sterilizza la preghiera che così rischia di ridursi a una vuota recitazione di formule.

sabato 17 novembre 2012

(Mc 13,24-32) Il Figlio dell’uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti.


VANGELO 
(Mc 13,24-32) Il Figlio dell’uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti.
+ Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione,il sole si oscurerà,la luna non darà più la sua luce,le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Parola del Signore 

 LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo di Dio, aiutami a comprendere il senso della mia storia con Dio.Il Vangelo di oggi ci  accompagna verso la fine del tempo ordinario,e ci porta a scrutare quello che succederà nei giorni antecedenti al ritorno di Gesù.Noi sappiamo che tornerà, mai come in questi tempi, forse,lo desideriamo, perchè dietro a questo evento doloroso, c'è la speranza della vita nuova.La resurrezione dopo la morte assume qui un duplice significato di salvezza,di Pasqua,di passaggio. Dopo la tribolazione di Gerusalemme, Gesù parla di segni  che nel cosmo  coinvolgono il sole, la lune le stelle e le potenze dei cieli. Tutto viene sconvolto e riportato al caos originario, non ci sarà più luce per vedere, ma si sarà immersi nelle tenebre, per indicare che non si comprenderà più il senso della storia.Un avvertimento che  ci richiama al caos della creazione, ma con una parola in più che mi ha sempre creato un senso di curiosità: " il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. " un invito a cercare oltre, a fidarsi di Dio, che attraverso Gesù Cristo, ci ha sempre spinto là dove non sappiamo, dove non oseremmo mai, ma che in fondo è il fine ed il senso unico della nostra vita.Nessuno sa il giorno e l'ora, perchè nessuno è padrone del tempo, solo Dio.Quando il figlio dell' uomo tornerà, troverà la fede sulla terra? Io credo che la cosa da tenere a mente sia che Egli è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto, e che la tribolazione non è solo dolore e paura, ma anche purificazione e salvezza.

21 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XX
Il modo di combattere contro la negligenza
Perché tu non cada nella misera schiavitù della negligenza, cosa che non solo impedirebbe il
cammino della perfezione ma ti darebbe in mano  ai nemici, devi fuggire ogni curiosità e
attaccamento terreno e qualunque occupazione non conveniente al tuo stato. Poi ti devi sforzare
per corrispondere presto a ogni  buona ispirazione e a qualunque  ordine dei tuoi superiori,
facendo ogni cosa quando e come a loro piacerà. Non ritardare neppure per un brevissimo
momento, perché quel solo primo indugietto porta appresso il secondo e questo il terzo e gli altri
ai quali il senso si piega e cede più facilmente che ai primi, essendo già allettato e preso dal
piacere che ne ha gustato: per cui o si incomincia l'azione troppo tardi o come noiosa alle volte la
si lascia del tutto. E così a poco a poco si va facendo l'abitudine alla  negligenza ed essa poi
cresce talmente che, nel momento stesso in cui da quella siamo tenuti legati, ci proponiamo di
voler essere un'altra volta molto solleciti e diligenti poiché ci  accorgiamo, con rossore di noi
stessi, d'essere stati fino a tal punto negligentissimi.
Questa negligenza scorre dappertutto e con il suo veleno non solo infetta la volontà facendole
aborrire l'opera, ma acceca anche l'intelletto perché non veda quanto vani e mal fondati siano i
proponimenti di eseguire per l'avvenire presto e diligentemente quello che, dovendosi effettuare
allora, volontariamente si lascia del tutto oppure si rimanda ad altro tempo. Né basta eseguire
presto l'opera dovuta, ma bisogna farla nel tempo proprio richiesto dalla qualità e dall'essere di
quell'opera e con tutta quella diligenza ad essa conveniente, perché abbia ogni possibile
perfezione. Infatti non è diligenza, ma finissima negligenza fare l'azione prima del tempo e
sbrigarsela presto e senza farla bene, perché poi quietamente ci diamo al riposo accidioso, al
quale era fisso il nostro pensiero mentre con rapidità si compiva l'azione. Tutto questo gran male
avviene perché non si considera  il valore della buona opera fatta a suo tempo e con l'animo
risoluto ad andare incontro alla fatica e alla difficoltà, che il vizio della negligenza porta ai
principianti.
Tu dunque devi spesso considerare che una sola elevazione di mente a Dio e una sola
genuflessione fatta in suo onore vale più di tutti i tesori del mondo; e che ogniqualvolta facciamo
violenza a noi stessi e alle passioni viziose, gli angeli portano all'anima nostra dal regno del cielo
una corona di gloriosa vittoria. Che al contrario a poco a poco Dio va togliendo ai negligenti le
grazie loro concesse, e ai diligenti le aumenta facendoli poi entrare nel suo proprio gaudio. Se tu
nei primi inizi non sei tanto forte da andare generosamente incontro alla fatica e alla difficoltà, le
devi nascondere in modo che sembrino più piccole di quanto dai negligenti siano giudicate.
Ammettiamo pure che il tuo esercizio richieda molti e molti atti e una fatica diuturna per
acquistare una virtù, e che i nemici da espugnare ti paiano molti e forti. Tuttavia comincia tu a
produrre atti, quasi che ne abbia pochi da fare e che per pochi giorni debba faticare; e combatti
contro un nemico come se non ve ne fossero altri da combattere, però con una confidenza grande
che tu con l'aiuto di Dio sei più forte di loro. Così facendo, la negligenza comincerà a debilitarsi
e a disporsi poi in modo che vi entri di mano in mano la virtù contraria.
Lo stesso dico dell'orazione. Talvolta il tuo esercizio richiede un'ora di orazione e questo sembra
duro alla tua negligenza: immergiti in essa quasi volessi pregare per lo spazio di un ottavo d'ora,
perché facilmente passerai all'altro e da questo a quello che rimane. E se in ciò talora nel secondo
o negli altri ottavi sentissi ripugnanza e difficoltà troppo violente, tralascia l'esercizio per non
infastidirti; riprendi però di li a poco di nuovo l'esercizio tralasciato.
Tale metodo devi osservare anche nelle opere esteriori quando ti accade di dover fare più cose
per le quali, parendo esse alla tua negligenza molte e difficoltose, tu vieni a disturbarti tutta. Con
tutto ciò comincia coraggiosamente e tranquillamente da una, come se non avessi altro da fare;
così facendo diligentemente, riuscirai a compierle tutte con molta minor fatica di quello che ti
sembrava nella tua negligenza. Se tu non farai nel modo suddetto e non andrai incontro alla
fatica e alla difficoltà che ti si mostrano, il vizio della negligenza prevarrà talmente su di te che la
fatica e la difficoltà, che comporta inizialmente l'esercizio delle virtù, ti terranno ansiosa e
insofferente non solo quando saranno presenti ma anche quando saranno assenti: infatti temerai

20 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XIX
Il modo di combattere contro il vizio della carne
Contro questo vizio devi combattere in un modo particolare e diverso dagli altri. Perciò, perché
tu sappia combattere ordinatamente, devi osservare tre tempi: prima di essere tentati, quando
siamo tentati e dopo che la tentazione è passata.
Prima della tentazione la battaglia sarà contro le cause che sogliono cagionare questa tentazione.
Anzitutto devi combattere non affrontando il vizio, ma fuggendo con tutte le tue forze qualsiasi
occasione e persona da cui te ne possa venire un minimo pericolo. E bisognando talora trattarci
fallo molto presto con un volto modesto e grave, e le parole devono avere sapore di asprezza
piuttosto che di amorevolezza e di eccessiva affabilità.
Non ti fidare del fatto che tu non senta né abbia in tanti e tanti anni di esperienza sentito stimoli
carnali, perché questo maledetto  vizio quello che non ha fatto in molti anni lo fa in un'ora e
spesso ordisce le sue trame occultamente; e tanto più nuoce e ferisce incurabilmente, quanto più
si mostra innocuo e meno dà sospetto di sé.
E molte volte vi è più da temere (come spesso l'esperienza ha mostrato e mostra tuttora) dove
l'abitudine è protratta sotto pretesto di cose lecite, come di parentela o di debito ufficio oppure di
virtù che sia nella persona amata: infatti con il troppo e imprudente praticare si va mescolando il
velenoso diletto del senso che, stillando inavvertitamente a poco a poco e penetrando fino
nell'essenza dell'anima, va offuscando sempre più la ragione in modo che si cominciano a
stimare come niente le cose pericolose, gli sguardi amorevoli, le parole dolci dell'una e dell'altra
parte e i gusti della conversazione; e così, passandosi dall'una all'altra parte, si viene poi a cadere
in rovina o in qualche tentazione dolorosa e difficile da superare.
Di nuovo ti dico di fuggire, perché tu sei paglia; e non ti fidare del fatto che sei bagnata e ben
piena d'acqua di buona e forte volontà, risoluta e pronta piuttosto alla morte che all'offesa divina:
con la pratica frequente a poco a poco il fuoco con il suo calore, asciugando l'acqua della buona
volontà, quando neppure vi si pensa le si attaccherà in modo che non porterà rispetto né a
parentela né ad amici; non temerà Dio, non stimerà l'onore, né la vita, né tutte le pene
dell'inferno. Perciò fuggi, fuggi se davvero non vuoi essere colta all'improvviso, presa e uccisa.
Secondo.
Fuggi l'ozio e sta' vigilante e desta con i pensieri e con le opere convenienti al tuo stato.
Terzo.
Non fare mai resistenza, ma obbedisci facilmente ai tuoi superiori, eseguendo con prontezza le
cose imposte, e più volentieri quelle che ti umiliano e sono più contro la tua volontà e la tua
naturale inclinazione.
Quarto.
Non fare mai giudizio temerario verso il prossimo e principalmente a proposito di questo vizio; e
se manifestamente fosse caduto, abbine compassione e non ti sdegnare  contro di esso; non
schernirlo, ma ricavane frutto di umiltà e di conoscenza di te stessa, sapendo di essere polvere e
niente; accostati a Dio con l'orazione e fuggi più che mai le occasioni, dove sia anche solo ombra
di pericolo. Che se tu sarai facile a giudicare gli altri e a disprezzarli, Dio tuo malgrado ti
correggerà permettendo che tu cada nello stesso difetto, affinché così ti avveda della tua superbia
e, umiliata, ponga rimedio ad ambedue questi vizi. E non cadendo né mutando pensiero, sappi
pure che vi è grandemente da dubitare del tuo stato. Quinto e ultimo. Avverti bene che,
ritrovandoti con qualche dono e gusto di delizie  spirituali, tu non prenda un certo vano
compiacimento di te stessa persuadendoti di essere qualche cosa e che i tuoi nemici non ti
faranno più guerra, poiché ti pare di guardarli con nausea, orrore e odio; e se in ciò sarai incauta,
cadrai facilmente. Nel tempo della tentazione, considera se procede da causa intrinseca o
estrinseca. La causa estrinseca intendo io che sia la curiosità degli occhi, delle orecchie,
l'eccessiva pulizia delle vesti, le familiarità e i colloqui che incitano a questo vizio. In questi casi
il rimedio è l'onestà, la modestia, non volendo né vedere né sentire cose che incitano a questo
vizio, e la fuga come sopra ho detto. La causa intrinseca procede o dalla vitalità del corpo o dai
pensieri della mente, che ci vengano dalle  nostre cattive abitudini oppure per suggestione del  22
demonio. La sensualità del corpo si deve mortificare con digiuni, discipline, cilizi, veglie e altre
simili asprezze secondo come insegnano la discrezione e l'obbedienza. Quanto ai pensieri, da
qualsiasi parte vengano, i rimedi sono questi: l'essere occupati in diversi esercizi convenienti al
proprio stato, nell'orazione e nella meditazione.
L'orazione sia di questo tipo: quando tu cominci  anche un poco ad accorgerti non solo di tali
pensieri ma dei loro primi accenni, ritirati subito con la mente nel Crocifisso dicendo: “Gesù
mio, Gesù mio dolce, aiutami presto, perché io non sia presa da questo nemico”. E abbracciando
alle volte la croce da cui pende il tuo Signore, bacia più volte le piaghe dei suoi sacri piedi
dicendo affettuosamente: “Piaghe belle, piaghe caste, piaghe sante, ferite ormai questo misero e
impuro cuore, liberandomi dal pericolo di offendervi”.
Nel tempo in cui abbondano le tentazioni dei piaceri carnali, non vorrei che la meditazione fosse
intorno a certi punti proposti da molti libri per rimedio a questa tentazione, come il considerare la
viltà di questo vizio, l'insaziabilità, le molestie, le amarezze che ne seguono, i pericoli e la perdita
dei beni, della vita, dell'onore e cose simili. Perché questo non è sempre sicuro mezzo per
vincere la tentazione, anzi può apportare danno: infatti se l'intelletto per una via scaccia questi
pensieri, per l'altra ci porge occasione e pericolo di dilettarcene e di acconsentire al piacere; per
cui il rimedio vero è il fuggire in tutto non solo da essi, ma anche da ogni cosa che ce li
rappresenti benché sia loro contraria. Perciò la tua meditazione, orientata a questo fine, verta
sulla vita e sulla passione del Signore crocifisso. E se meditando ti si facessero innanzi contro tua
voglia gli stessi pensieri e più del solito ti molestassero, come facilmente ti avverrà, non per
questo ti sgomenterai né lascerai la meditazione né ti rivolgerai ad essi per far loro resistenza; ma
seguiterai la tua meditazione  quanto più intensamente ti sia possibile, non curandoti di tali
pensieri, come se non fossero tuoi; infatti non vi è modo migliore di questo per opporsi loro,
benché ti facessero continua guerra.
Concluderai poi la meditazione con questa o con una domanda simile: “Liberatemi, Creatore e
Redentore mio, dai miei nemici in onore della vostra passione e della vostra bontà ineffabile”,
non rivolgendo la mente al vizio, perché il solo ricordo di esso non è senza pericolo. E con simile
tentazione non stare mai a disputare se tu abbia acconsentito o no perché questo, sotto specie di
bene, è inganno del demonio per inquietarti e renderti sfiduciata e pusillanime; oppure perché,
tenendoti occupata in tali discorsi, spera di farti cadere in qualche piacere. Perciò in questa
tentazione, quando il consenso non è chiaro, ti basti confessare il tutto con brevità al tuo padre
spirituale, restandone poi tranquilla con il suo  parere senza pensarci più. E fa' in modo di
scoprire a lui fedelmente ogni tuo pensiero, e non te ne trattenga mai alcun rispetto o vergogna.
Che se con tutti i nostri nemici abbiamo bisogno della virtù dell'umiltà per vincerli, in questo più
che in altro dobbiamo umiliarci, essendo questo vizio quasi sempre castigo di superbia. Passato il
tempo della tentazione, quello che devi fare è che, pur sembrandoti di essere libera e del tutto
sicura, tu stia con la mente lontana affatto  da quegli oggetti che ti cagionavano la tentazione,
benché per fine di virtù o di altro bene ti sentissi muovere a fare altrimenti: infatti questa è frode
della natura viziosa e tranello del nostro sagace avversario, che si trasforma in angelo di luce per
indurci nelle tenebre.

19 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XVIII
Il modo di resistere agli impulsi improvvisi delle passioni
Non essendo ancora assuefatta a parare i colpi improvvisi delle ingiurie o di altra cosa contraria,
per farvi l'abitudine impara a prevederli e a volerli poi più e più volte, aspettandoli con animo
preparato. Il modo di prevederli è che, considerata la condizione delle tue passioni, consideri
anche le persone con le quali tratterai e i luoghi che frequenterai: da questo facilmente potrai
congetturare quello che ti potrebbe avvenire. E sopravvenendoti  qualsiasi altra avversità non
pensata, oltre l'aiuto a te recato dal tenere l'animo preparato alle altre che hai previsto, potrai
maggiormente servirti di quest'altro modo.
Non appena tu cominci a sentire i primi colpi dell'ingiuria o altra cosa penosa, sta' desta, fatti
forza ed eleva la mente a Dio, considerando la sua ineffabile bontà e l'amore verso di te con cui ti
manda quell'avversità, affinché, sopportandola per suo amore, ti purifichi di più, ti accosti e ti
unisca a lui. E veduto quanto egli si compiace che tu la sopporti, rivolgiti a te stessa
riprendendoti e dicendo fra te: “Ah! Perché non vuoi sostenere questa croce, che non questi o
quegli ma il tuo Padre celeste ti manda?”. Poi rivolta alla croce, abbracciala con la maggior
pazienza e allegrezza possibili, dicendo: “O croce, fabbricata dalla  provvidenza divina prima
che io fossi! O croce, addolcita dal dolce amore  del mio Crocifisso! Inchiodarmi ormai in te
perché possa darmi a chi, morendo in te, mi ha redenta”.
E se nel principio, prevalendo in te la passione non potessi elevarti in Dio ma restassi ferita,
cerca con tutto ciò di farlo quanto prima come se ferita non fossi. Ma per efficace rimedio contro
questi impulsi improvvisi, toglierai ben presto la causa da cui procedono. Ad esempio: se per
l'affetto che hai a qualche cosa, vedi che quando in essa vieni molestata sei solita cadere
nell'improvviso turbamento dell'animo, il modo di provvedere a ciò per tempo è che tu ti abitui a
toglierne l'affetto. Se invece H turbamento procede non dalla cosa ma dalla persona della quale,
perché non ti sta a cuore, ogni piccola azione ti infastidisce e ti turba, H rimedio è che tu ti sforzi
d'inclinare la volontà ad amarla e ad averla cara: infatti oltre a essere creatura, come te formata
dalla mano sovrana e come te redenta dallo stesso sangue divino, se la sopporterai, quella
persona ti porge anche l'occasione di renderti simile al tuo Signore amoroso e benigno con tutti.

18 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XVII
L'ordine da osservare nel combattere contro le nostre passioni viziose
E molto importante sapere l'ordine da osservare per combattere come si deve e non a caso e con
superficialità, come fanno molti non senza loro  danno. L'ordine con cui si deve combattere
contro i nemici e le tue cattive inclinazioni è che tu, entrando nel tuo cuore i veda con diligente
esame da qual sorta di pensieri e di affetti esso è circondato e da quale passione è più posseduto e
tiranneggiato; e contro quella principalmente tu prenda le armi  e ingaggi la battaglia. E se
avviene che tu sia assalita da altri nemici, devi sempre combattere contro quello che attualmente
e più da vicino ti fa guerra, ritornando però poi all'impresa principale.

17 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XVI
In qual modo la mattina di buon'ora debba scendere in campo il soldato di Cristo
Appena sveglia, la prima cosa che dovranno osservare i tuoi occhi interiori è il vederti dentro
uno steccato chiuso con questa legge: chi non vi combatte, vi resta morto per sempre.
In questo steccato immaginerai di vedere innanzi  a te da una parte quel nemico e quella tua
cattiva inclinazione, già individuati per espugnarli e che invece sono armati per ferirti e darti la
morte; e dal lato destro il tuo vittorioso Capitano Cristo Gesù con la sua santissima madre Maria
Vergine insieme al suo carissimo sposo Giuseppe, con molte squadre di angeli e santi e
particolarmente con san Michele arcangelo; dal lato sinistro, poi, crederai di vedere il demonio
infernale con i suoi per eccitare la suddetta tua passione, istigandoti a cedere ad essa.
In tale steccato ti sembrerà di sentire una voce forse del tuo angelo custode, che cosi ti dice: “Tu
oggi devi combattere contro questo e contro altri tuoi nemici. Non s'impaurisca il tuo cuore né si
perda d'animo, non ceda ad essi per timore o per altro rispetto a cosa alcuna, perché nostro
Signore e tuo Capitano è qui con te con tutte queste gloriose squadre: egli combatterà contro
tutti i tuoi nemici, non permettendo che prevalgano su di te in forze e capacità (cfr. Dt 20,3-4).
Sta' salda, fatti violenza e sopporta la pena che talora sentirai nel farti violenza. Grida spesso
dall'intimo del cuore e chiama il tuo Signore, Maria Vergine e tutti i santi, perché senza dubbio
ne riporterai vittoria. Se tu sei fiacca, impedita dalle tue cattive abitudini, e se i tuoi nemici sono
molti e forti, moltissimi sono gli aiuti di chi ti ha creata e redenta; oltremodo e senza paragone
alcuno più forte è il tuo Dio e ha  più voglia lui di salvarti che non il nemico di perderti.
Combatti pure e non ti rincresca talora la sofferenza, perché dalla fatica, dalla violenza contro
le tue cattive inclinazioni e dalla pena che si sente per le cattive abitudini nascono la vittoria e il
grande tesoro con cui si compra il regno dei cieli e l'anima si unisce per sempre con Dio”.
Nel nome del Signore comincerai a combattere con le armi della diffidenza di te stessa e della
confidenza in Dio, con l'orazione e con l'esercizio chiamando a battaglia quel nemico e quella tua
inclinazione che, secondo l'ordine suddetto, ti sei risoluta di vincere ora con la resistenza, ora con
l'odio e ora con gli atti della virtù contraria ferendoli più e più volte a morte per far piacere al tuo
Signore, che con tutta la chiesa trionfante sta a vedere il tuo combattimento. Di nuovo ti dico che
non ti deve rincrescere di combattere, se consideri l'obbligo che tutti abbiamo di servire e di
piacere a Dio e la necessità di combattere, non potendo fuggire da questa battaglia senza ferite e
senza morirne. Ti dico di più: quando tu come ribelle volessi fuggire da Dio e darti al mondo e
alle delizie della carne, a tuo dispetto ti è necessario combattere con tante e tante contrarietà, che
spesse volte suderai in volto e il cuore sarà penetrato  da angosce mortali. A questo punto
considera che sorta di pazzia sarebbe il sostenere quella fatica e quella pena che comportano
maggior fatica e pena insieme alla morte senza fine, se tu fuggissi quella che, finendo invece
presto, ci unisce alla vita eterna e infinitamente beata dove godremo per sempre il nostro Dio.

16 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XV
Alcuni avvisi intorno al modo di combattere
e specialmente contro chi e con quale virtù si deve fare
Hai già visto, figliuola, il modo con cui devi combattere per vincere te stessa e ornarti delle virtù.
Inoltre sappi ora che per riportare vittoria sui tuoi nemici con maggior rapidità e facilità ti
conviene combattere, anzi è necessario che tu  combatta ogni giorno particolarmente contro
l'amor proprio, abituandoti a ricevere come cari  amici i disprezzi e le molestie che il mondo
potesse darti. E dal non avvertire questa battaglia e dal farne poco conto è avvenuto e avviene,
come ho accennato sopra, che le vittorie sono difficoltose, rare, imperfette e instabili. Ti avviso
per giunta che il tuo deve essere un combattere con fortezza d'animo, che facilmente acquisterai
se la domanderai a Dio e se, considerando la rabbia, l'odio perenne e il grande numero delle
squadre e degli eserciti nemici, considererai viceversa che infinitamente maggiori sono la bontà
di Dio e l'amore con cui ti ama e che molti più sono gli angeli del cielo e le orazioni dei santi che
combattono a nostro favore. E da questa considerazione è proceduto che  tante e tante fragili
donne hanno superato e vinto tutta la potenza e la sapienza del mondo, tutti gli assalti della carne
e tutta la rabbia dell'inferno.
Perciò non devi mai spaventarti, benché a volte ti paia che la battaglia dei nemici infierisca di più
e possa durare per tutta la tua vita e quasi ti minacci cadute certe da diverse parti: infatti devi
sapere, oltre a quanto ho detto, che ogni forza e conoscenza dei nostri nemici sono nelle mani del
nostro divin Capitano, in onore del quale si combatte. Stimandolo indicibilmente e chiamandoci
egli stesso rigorosamente alla battaglia, non solo non permetterà mai che ti sia fatta violenza, ma,
combattendo egli per te, ti darà la vittoria su  di loro quando a lui piacerà e con maggior tuo
vantaggio, anche se egli tardasse fino all'ultimo giorno della tua vita.
Questo solamente tocca a te: che tu combatta generosamente e che, nonostante tu sia più volte
ferita, non lasci mai le armi né ti dia alla fuga. Infine, perché tu combatta valorosamente, devi
sapere che questa battaglia non si può evitare e chi non vi combatte necessariamente vi resta
coinvolto e muore. Oltre a ciò abbiamo a che fare con nemici ripieni di tali qualità e di odio, che
non se ne può in nessun modo sperare né pace né tregua.

15 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XIV
Quello che si deve fare quando la volontà superiore pare vinta
e soffocata in tutto da quella inferiore e dai nemici
Se talora ti sembrasse che la volontà superiore non può nulla contro quella inferiore e contro i
suoi nemici per il fatto che non senti in te un volere efficace contro di loro, sta' pur salda e non
lasciare la battaglia: infatti devi considerarti sempre vittoriosa, finché non ti accorgi apertamente
di aver ceduto. Siccome la nostra volontà superiore non ha bisogno delle voglie inferiori per
produrre i suoi atti, così, se essa stessa non vuole, non può essere mai costretta a darsi loro per
vinta, benché la contrastino molto aspramente. Perciò Dio ha dotato la nostra volontà di libertà e
di forza tale che se tutti i  sensi con tutti i demoni e il mondo insieme si armassero e
congiurassero contro di essa, combattendola e premendola con tutto il loro sforzo, nondimeno
essa può, a dispetto loro, liberissimamente volere o non volere tutto ciò che vuole o non vuole, e
quante volte e per quanto tempo e in quel modo e per quel fine che più le piace.
E se questi nemici a volte ti assalissero e ti stringessero con tanta violenza che la tua volontà
quasi soffocata non avesse per così dire fiato per produrre nessun atto di voghe contrarie, non ti
perdere d'animo né gettare le armi a terra, ma serviti in questo caso della lingua e difenditi
dicendo: “Non cedo a te, non ti voglio”; proprio come colui che, avendo il nemico addosso che lo
tiene oppresso, non potendo con la punta lo percuote con il pomo della spada. E siccome questi
tenta di fare un salto indietro per poterlo ferire di punta, così tu ritirati nella conoscenza di te
stessa, che niente sei e niente  puoi; e con la fiducia in Dio, che tutto può,  dà un colpo alla
passione nemica dicendo: “Aiutami, Signore; aiutami, Dio mio; aiutami Gesù, Maria, perché
non ceda ad essa”.
Potrai ancora, quando il nemico ti dà tempo,  aiutare la debolezza della volontà ricorrendo
all'intelletto e considerando diversi punti: per tale considerazione la volontà viene poi a prendere
fiato e forza contro i nemici. Per esempio: in qualche persecuzione o in qualche altro travaglio tu
sei talmente assalita dall'impazienza,  che la tua volontà quasi non può oppure non vuole
sopportarli; la conforterai dunque discorrendo con l'intelletto intorno ai seguenti oppure intorno
ad altri punti.
Primo: considera se tu meriti quel male che patisci, perché gliene hai dato l'occasione; e
meritandolo, ogni dovere di giustizia vuole che tu sopporti pazientemente quella ferita che ti sei
data con le tue mani.
Secondo: e non avendone tu colpa alcuna, rivolgi il pensiero agli altri tuoi errori di cui Dio non ti
ha ancora dato il castigo e che tu non hai puniti come si deve. E vedendo che la misericordia di
Dio ti cambia la pena di essi, che sarebbe eterna oppure temporale ma del purgatorio, con una
piccola pena presente, devi riceverla non solamente volentieri ma con rendimento di grazie.
Terzo: e quando a te paresse d'aver fatto molta penitenza e d'aver poco offeso la divina Maestà
(cose, però, di cui non devi mai persuaderti), devi pensare che nel regno dei cieli non si entra che
per la porta stretta delle tribolazioni (cfr. Mt 7,13-14).
Quarto: quantunque tu vi potessi entrare per altra via, per legge d'amore non dovresti nemmeno
pensarlo, essendovi il Figluiolo di Dio entrato con tutti gli amici e con tutte le sue membra per
mezzo delle spine e delle croci.
Quinto: ma quello a cui tu devi mirare principalmente in questa e in ogni altra occasione è la
volontà del tuo Dio il quale, per l'amore che ti porta, si compiacerà indicibilmente di ogni atto di
virtù e di mortificazione che ti vedrà fare da sua fedele e generosa guerriera, per corrispondere a
lui con amore. E tieni per certo che quanto più in sé sarà irrazionale il travaglio e più indegno per
la sua provenienza e perciò a te più molesto e grave da tollerare, tanto al Signore darai più gusto
approvando e amando, anche nelle cose in se stesse disordinate e per te più amare, la sua divina
volontà e disposizione in cui ogni avvenimento, sia pure sregolato, ha la sua regola e il suo
ordine perfettissimo.

14 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XIII
Il modo di combattere contro gli impulsi del senso
e gli atti che la volontà deve fare per acquistare le abitudini alle virtù
Ogniqualvolta la tua volontà ragionevole è combattuta da quella del senso da una parte e da
quella divina dall'altra, mentre ciascuna cerca di riportare vittoria, è necessario che ti eserciti in
più modi perché in te prevalga in tutto la volontà divina.
Primo: quando sei assalita e  battagliata dagli impulsi del senso, devi opporre un'accanita
resistenza perché la volontà superiore non acconsenta a quelli.
Secondariamente: allorché essi sono cessati, eccitali di nuovo in te per reprimerli con maggior
impeto e forza. Dopo richiamali alla terza battaglia, nella quale ti abituerai a scacciarli da te con
sdegno e ripugnanza. Questi due incitamenti a battaglia si devono fare in ogni nostro appetito
disordinato fuorché negli stimoli carnali, dei quali tratteremo a suo tempo.
Infine devi fare atti contrari a ogni tua viziosa passione. Con il seguente esempio ti si farà il tutto
più chiaro. Tu sei forse combattuta dagli stimoli dell'impazienza: se rientrando in te stessa starai
ben attenta, sentirai che essi continuamente battono alla porta della volontà superiore perché si
inchini e acconsenta a loro. E tu come primo esercizio, opponendoti a ciascun impulso, fa'
ripetutamente quanto puoi perché la tua volontà non vi dia il consenso. Né cessa mai da questa
battaglia finché non ti avveda che il nemico, quasi stanco e come morto, si dia per vinto. Ma
vedi, figliuola, la malizia del demonio. Quando egli si accorge che noi ci opponiamo fortemente
agli stimoli di qualche passione non solo resta a eccitarli in noi ma, quando sono eccitati, tenta
per il momento di acquietarli. E questo lo fa perché con l'esercizio non acquistiamo l'abitudine
alla virtù contraria a quella passione e inoltre per farci cadere nei lacci della vanagloria e della
superbia, facendoci poi astutamente convincere che noi da generosi soldati abbiamo subito
calpestato i nostri nemici. Perciò tu passerai alla seconda battaglia, richiamandoti alla memoria
ed eccitando in te quei pensieri che ti cagionavano l'impazienza, in modo da sentirti da essi
commossa nella parte sensitiva e  da reprimere allora ripetutamente e con sforzo maggiore di
prima i suoi impulsi. E sebbene noi respingiamo i nostri nemici sapendo di far bene e di piacere a
Dio, tuttavia se non li abbiamo del tutto in odio corriamo pericolo di essere un'altra volta da essi
superati: per questo tu devi farti loro incontro con il terzo assalto e scacciarli lontano da te
facendo atti non solo di ripugnanza ma anche di indignazione, fino a tanto che si rendano odiosi
e abominevoli. Infine, per ornare e perfezionare  l'anima tua con le abitudini alle virtù, devi
produrre atti interiori che siano direttamente contrari alle tue disordinate passioni. Ad esempio
volendo tu acquistare perfettamente l'abitudine  alla pazienza, se uno disprezzandoti ti porge
l'occasione di essere impaziente, non basta esercitarti nelle tre maniere di combattere di cui ti ho
detto, ma devi volere e amare per giunta il disprezzo ricevuto, desiderando di essere di nuovo
nello stesso modo e dalla stessa persona oltraggiata, aspettando e proponendoti di sostenere
anche cose più gravi. La causa per cui tali atti contrari sono necessari per perfezionarci nelle
virtù è questa: gli altri atti, pur essendo molti e forti, non sono sufficienti a estirpare le radici che
producono il vizio.
Pertanto (per continuare nello stesso esempio), benché noi, quando siamo disprezzati, non
consentiamo ai moti dell'impazienza anzi combattiamo contro di essi con i tre modi indicati
sopra, nondimeno se non ci abitueremo con molti e frequenti atti ad amare il disprezzo e a
rallegrarcene, non ci potremo mai liberare dal  vizio dell'impazienza  il quale, per la nostra
inclinazione alla reputazione propria, si fonda nell'aborrimento del disprezzo. E finché resta viva,
la radice viziosa va sempre germogliando in maniera da rendere languida la virtù, anzi talora da
soffocarla in tutto e da tenerci inoltre in continuo pericolo di ricadere in ogni occasione che ci si
presenti. Dalle quali cose ne segue che senza i detti atti contrari non possiamo mai acquistare la
vera abitudine alle virtù. Si avverta per giunta che questi atti devono essere tanto frequenti e in
tale numero da potere del tutto distruggere l'abitudine viziosa, la quale, siccome per molti atti
viziosi ha preso possesso nel nostro cuore, così con molti atti contrari la si deve svellere da
quello per introdurvi l'abitudine virtuosa. Anzi dico di più: per fare l'abitudine virtuosa si  16
richiedono atti buoni più degli atti cattivi necessari per fare l'abitudine viziosa; infatti quelli non
sono aiutati, come invece sono aiutati questi, dalla natura, corrotta dal peccato.
Oltre a quello che fin qui si è detto, aggiungo che se la virtù che allora eserciti così richiede, devi
anche fare atti esteriori conformi agli interiori, come (per stare nel detto esempio) usare parole di
mansuetudine e di amore e servendo, se puoi, chi ti è stato noioso e contrario in qualunque modo.
E quantunque questi atti tanto interiori quanto esteriori fossero o ti paressero accompagnati da
tanta debolezza di spirito da sembrarti di farli contro ogni tua voglia, non per questo li devi in
alcun modo tralasciare: per quanto deboli essi siano, ti tengono ferma e salda nella battaglia e ti
agevolano la strada alla vittoria.
Sta' ben attenta e raccolta in te stessa per combattere non solo contro le voglie grandi ed efficaci,
ma ancora contro le piccole e deboli di ciascuna passione, perché queste  aprono la strada alle
grandi, onde poi si generano in noi le abitudini viziose. E dalla poca cura che alcuni hanno avuto
di sradicare dai loro cuori queste vogliette, dopo aver superato le maggiori della medesima
passione, è avvenuto loro che quando meno vi pensavano sono stati assaliti e vinti dagli stessi
nemici più gagliardamente e rovinosamente di prima. Ti ricordo inoltre di attendere a mortificare
e rompere alle volte le tue voglie anche di  cose lecite non necessarie, perché da questo
seguiranno per te molti beni e ti renderai sempre più disposta e pronta a vincerti nelle altre; ti
farai forte ed esperta nella battaglia delle tentazioni, fuggirai varie insidie del demonio e farai
cosa graditissima al Signore.
Figliuola, ti parlo chiaramente: se nel modo che ti ho detto andrai continuando in questi leali e
santi esercizi per riformare e vincere te stessa, ti assicuro che in poco tempo avanzerai molto e
diventerai spirituale davvero e non solamente di nome. Ma in altra maniera e con altri esercizi,
benché fossero, come tu credi, eccellenti e tanto dilettevoli al tuo gusto da sembrarti di stare in
essi tutta unita e in dolci colloqui con il Signore, non persuaderti di acquistare mai virtù e spirito
vero. Il quale (come ti ho detto nel primo capitolo) non consiste né nasce dagli esercizi piacevoli
e conformi alla nostra natura, ma da quelli che la mettono in croce con tutti i suoi atti: onde,
rinnovato l'uomo per mezzo delle abitudini alle virtù evangeliche, lo congiungono al suo
Crocifisso e Creatore.
Non v'è chi dubiti che siccome le abitudini viziose vengono a farsi con molti e frequenti atti della
volontà superiore mentre cede agli  appetiti del senso, così viceversa le abitudini alle virtù
evangeliche si acquistano facendo spesso e spessissime volte atti conformi alla volontà divina, da
cui siamo chiamati ora a questa, ora a quell'altra virtù. E siccome la nostra volontà non può mai
essere viziosa e terrena per quanto sia battagliata dalla parte inferiore e dal vizio finché a quella
non cede e s'inchina, così non sarà mai virtuosa e congiunta con Dio, benché molto vivamente
sia chiamata e combattuta dalle ispirazioni e dalla grazia divina, finché quando ce n'è bisogno
non si conforma ad essa con gli atti interni e con quelli esterni.

13 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XII
Molte volontà esistono nell'uomo. La guerra che si fanno tra loro
Benché si possa dire che in questo combattimento in noi esistano due volontà - l'una della
ragione, detta perciò ragionevole e superiore, l'altra del senso, chiamata inferiore e sensuale, la
quale con i nomi di appetito, carne, senso e passione si suole significare -, tuttavia, poiché siamo
uomini per la ragione, anche se diciamo che  con il solo senso vogliamo qualche cosa, non si
intende che veramente la vogliamo, fintanto che non ci incliniamo a volerla con la volontà
superiore. Per cui tutta la nostra battaglia spirituale consiste principalmente nel fatto che la
volontà ragionevole, essendo come interposta fra la volontà divina che la sovrasta e la volontà
inferiore che è quella del senso, è continuamente combattuta dall'una e dall'altra, mentre ciascuna
di queste tenta di tirarla a sé e rendersela  soggetta e obbediente. Ma gran pena e fatica,
specialmente all'inizio, provano quelli che sono  prigionieri delle cattive abitudini quando
decidono di migliorare la loro vita corrotta e, liberandosi del mondo e  della carne, di darsi
all'amore e al servizio di Gesù Cristo.
Questo perché i colpi, che la volontà superiore sostiene dalla volontà divina e da quella sensuale
che le stanno sempre intorno battagliandola, sono possenti e forti e si fanno ben sentire non senza
grave pena. Il che non avviene a quelli che sono già abituati alle virtù o ai vizi e sulla loro via
intendono continuare, perché i virtuosi facilmente consentono alla volontà divina e i viziosi si
piegano senza contrasto a quella del senso.
Ma nessuno presuma di poter conseguire le vere virtù cristiane né di servire Dio come si
conviene, se non vuole farsi violenza davvero e sopportare la pena che si sente nel lasciare non
solo i piaceri maggiori ma anche i piccoli, ai quali prima era attaccato con affetto terreno. E la
conseguenza di ciò è che pochissimi raggiungono lo scopo della perfezione: dopo aver con fatica
superato i vizi maggiori, non vogliono poi farsi violenza continuando a soffrire le punture e il
travaglio che si provano nel resistere a quasi infinite vogliette proprie  e passioncelle di minor
conto, le quali, prevalendo ogni ora in essi, vengono ad acquistare dominio e signoria sopra i loro
cuori.
Fra questi se ne trovano alcuni che, se non rubano i beni altrui, si affezionano in modo eccessivo
a quelli che giustamente possiedono; se non  si procurano onori con mezzi illeciti, non li
aborriscono però come dovrebbero né smettono di desiderarli e alcune volte di cercarli per vie
diverse; se osservano i digiuni di obbligo, non mortificano per questo la gola nel mangiare
superfluamente e nel desiderare cibi delicati; vivendo nella continenza, non si staccano da certe
amicizie di loro gusto, che portano grande impedimento all'unione con Dio e alla vita spirituale;
essendo inoltre esse molto pericolose in qualsiasi persona sia pur santa e più in chi meno le teme,
sono da fuggirsi da ciascuno quanto più si possa. Da tali cose ancora ne consegue che le altre
loro opere buone sono fatte con tiepidezza di spirito e sono accompagnate da molti interessi e
imperfezioni occulte, da una certa stima di se stessi e dal desiderio di esserne lodati e apprezzati
dal mondo.
Costoro non solo non fanno progresso nella via della salvezza, ma, tornando indietro, corrono il
rischio di ricadere nei primi mali in quanto non amano la vera virtù e si mostrano poco grati al
Signore, che li tolse dalla tirannia del demonio; inoltre sono ignoranti e ciechi per vedere il
pericolo in cui si trovano, mentre si persuadono di essere come in stato sicuro. E qui si scopre un
inganno tanto più dannoso quanto meno avvertito: cioè molti che attendono alla vita spirituale,
amando se stessi più di quanto dovrebbero (sebbene in verità non sanno amarsi), per lo più
praticano quegli esercizi che più si confanno al loro gusto e lasciano gli altri che toccano sul vivo
la propria naturale inclinazione e i loro sensuali appetiti, contro i quali ogni ragione vorrebbe che
si rivolgesse tutto lo sforzo.
Perciò, figlia mia diletta, ti avviso ed esorto  a innamorarti della difficoltà e della pena che
comporta il vincere se stessi: qui è tutto! E tanto più certa e sollecita sarà la vittoria quanto più
fortemente ti innamorerai della difficoltà, che mostra ai principianti la virtù e la guerra; e se tu
amerai la difficoltà e il penoso combattere più delle vittorie e delle virtù, più presto acquisterai
ogni cosa.

12 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO XI
Alcune considerazioni che inducono la volontà a volere in ogni cosa il beneplacito di Dio
Inoltre per indurre con maggior facilità la tua volontà a volere in tutte le cose il beneplacito di
Dio e il suo onore, ricordati spesso che egli ti ha prima in vari modi onorata e amata. Nella
creazione, creandoti dal nulla a sua somiglianza e mettendo tutte le altre creature a tuo servizio
(cfr. Gen 1,26-28). Nella redenzione, mandando non un angelo ma il suo unigenito Figliuolo a
redimerti, non con prezzo corruttibile di oro e di argento ma con il suo sangue prezioso (cfr. Pt 1,
18-19) e con la sua penosa e ignominiosa morte. Che poi ogni ora, anzi ogni momento ti guardi
dai nemici, combatta per te con la sua grazia, tenga continuamente preparato per tua difesa e per
tuo cibo il suo diletto Figliuolo nel sacramento dell'altare non è segno di incalcolabile stima e
amore che l'immenso Dio ti porta? Sicché nessuno può capire quanta considerazione così gran
Signore abbia di noi poverelli, della nostra bassezza e miseria, e viceversa quello che noi siamo
tenuti a fare per così alta Maestà, che tali e tante cose ha operate per noi. Se i signori della terra,
quando sono onorati da persone anche povere e umili, si sentono obbligati a rendere loro onore,
cosa dovrà fare la nostra viltà con il supremo re  dell'universo da cui si vede così altamente
apprezzata e amata? Oltre a quanto ho detto, abbi sempre sopra ogni cosa viva memoria che la
divina Maestà per se stessa merita infinitamente di essere onorata e servita, semplicemente
perché tale è il suo desiderio.

11 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO X
L'esercizio della volontà é il fine al quale
si devono indirizzare tutte le azioni interiori ed esteriori
Oltre all'esercizio che tu devi fare intorno all'intelletto, ti è necessario regolare talmente la tua
volontà che, non lasciandola nei suoi desideri, si renda in tutto conforme al beneplacito divino. E
avverti bene che non ti deve bastare soltanto il volere e il procurare le cose che a Dio sono più
gradite, ma devi anche volerle e compierle  come mossa da lui e solamente allo scopo di
piacergli. In questo abbiamo pure, più che nel suddetto, contrasto grande con la natura: essa è
talmente inclinata verso se stessa che in tutte le cose, anche nelle buone e nelle spirituali (talora
più che nelle altre) cerca il proprio comodo e diletto. In questi si va trattenendo e di quelle, come
di cibo per niente sospetto, si va avidamente pascendo.
Infatti quando ci sono offerte, subito le adocchiamo e le vogliamo, non come mossi dalla volontà
di Dio né allo scopo di piacere solamente a lui, ma per quel bene e diletto che derivano dal volere
le cose volute da Dio. Questo inganno è tanto più occulto, quanto la cosa voluta è per se stessa
migliore. Onde persino nel desiderare lo stesso Dio vi sogliono essere degli inganni dell'amor
proprio, perché si mira spesso più al nostro interesse e al bene che ne aspettiamo che alla volontà
di Dio, il quale per sua sola gloria si compiace e vuole da noi essere amato, desiderato e
obbedito. Per guardarti da quest'insidia, che ti impedirebbe il cammino della perfezione, e per
abituarti a volere e a fare tutto come mossa da Dio e con pura intenzione di onorare e di
compiacere lui solo (il quale vuole essere unico principio e fine di ogni nostra azione e di ogni
nostro pensiero), seguirai questa via. Quando ti si offre qualcosa voluta da Dio, non inclinare la
volontà a volerla se prima non innalzi la mente a Dio per vedere che è volontà sua che tu la
voglia e perché egli così vuole,  e per piacere solamente a lui. Così mossa e attirata da questa
volontà, la tua si pieghi poi a volere quella cosa come voluta da Dio e per suo solo beneplacito e
onore. Parimenti volendo tu rifiutare le cose non volute da Dio, non rifiutarle se prima non fissi
lo sguardo dell'intelletto nella sua divina volontà, la quale vuole che tu le rifiuti per piacergli. Ma
devi sapere che le frodi della sottile natura sono poco conosciute:  essa, cercando sempre
occultamente se medesima, molte volte fa sembrare che in noi vi siano il detto motivo e il fine di
piacere a Dio, e non è così. Onde spesso avviene che quello che si vuole o non si vuole per
nostro interesse, pare a noi di volerlo o non volerlo per piacere o non piacere a Dio. Per fuggire
da questo inganno il rimedio proprio e intrinseco sarebbe la purezza del cuore, la quale consiste
nello spogliarsi dell'uomo vecchio e nel vestirsi del nuovo (cfr. Col 3,9-10; Ef 4,22-23): a tal fine
si indirizza tutto questo Combattimento. Tuttavia per predisporti come si deve, poiché sei piena
di te stessa, dal principio delle tue azioni sta' attenta a spogliarti quanto puoi di ogni mistura dove
tu possa stimare che vi sia del tuo, e non volere né fare né rifiutare cosa alcuna, se prima non ti
senti muovere e tirare dal puro e semplice volere di Dio. Se in tutte le azioni, e particolarmente in
quelle interiori dell'anima e in quelle esteriori che passano presto, non potrai così sempre in atto
sentire questo motivo, contentati  di averlo virtualmente in ciascuna, tenendo sempre vera
intenzione di piacere in tutto al tuo solo Dio.
Ma nelle azioni che continuano qualche spazio di tempo, non solamente nel principio è bene che
tu ecciti in te questo motivo, ma devi stare attenta  a rinnovarlo spesso e  a tenerlo desto fino
all'ultimo: altrimenti vi sarebbe pericolo di incappare in un altro tranello pure dell'amor nostro
naturale. Essendo questo incline e propenso più verso se stesso che verso Dio, molte volte con
intervallo di tempo suole farci inavvertitamente cambiare gli oggetti e mutare le intenzioni. Il
servo di Dio, che in ciò non è ben attento, spesso comincia a fare qualche cosa per il solo motivo
di piacere al suo Signore; ma poi a poco a poco, quasi senza accorgersene, si va talmente
compiacendo in quella con il proprio senso che, scordatosi della divina volontà, si rivolge e si
attacca a tal punto al gusto sensibile e all'utile e all'onore che gliene possono venire, che se Dio
mette impedimento a quell'azione con qualche infermità o avversità o per mezzo di qualche
creatura, egli ne rimane tutto turbato e inquieto e alle volte cade nella mormorazione e di questo
e di quello, per non dire talora dello stesso Dio. Segno assai chiaro che l'intenzione sua non era
in tutto di Dio, ma nasceva da radice e da fondo guasto e corrotto. Perché chiunque si muove  12
come spinto da Dio e per piacere a lui solo non  vuole più l'una che l'altra cosa; ma vuole
solamente averla se a Dio piacerà che l'abbia e nel modo e tempo che gli sarà gradito; e avendola
o non avendola ne resta ugualmente pacifico e contento, poiché in ogni modo ottiene il suo
intento e consegue il fine che altro non era se non il beneplacito di Dio.
Perciò sta' ben raccolta in te stessa e attenta a indirizzare sempre le tue azioni a questo perfetto
fine. E se talora (cosi ricercando la disposizione dell'anima tua) tu ti muovessi a operare il bene
allo scopo di fuggire le pene dell'inferno o per la speranza del paradiso, ancora in questo ti puoi
proporre per ultimo fine il gradimento e la volontà di Dio: egli si compiace che tu non vada
all'inferno, ma che entri nel suo regno.
Non c'è chi possa pienamente conoscere quanta forza ed efficacia abbia questo motivo, poiché
una cosa, sia pur bassa o minima quanto si voglia, fatta allo scopo di piacere a Dio solo e per sua
gloria, per così dire vale infinitamente più di molte altre di grandissimo pregio e valore che siano
fatte senza questo motivo. Pertanto gli è più gradito un solo denaro dato a un poverello per
questo solo motivo di far piacere a sua divina Maestà che se con altra intenzione, anche di godere
i beni del cielo (che è fine non solo buono ma sommamente desiderabile), qualcuno si privasse di
tutti i suoi averi, per copiosi che fossero.
Questo esercizio di fare tutto allo scopo di piacere puramente a Dio sembrerà da principio arduo;
ma esso diventerà agevole e facile con la consuetudine, con il desiderare molte volte lo stesso
Dio e con l'aspirare a lui con vivi affetti del cuore come a perfettissimo e unico nostro bene, il
quale per se stesso merita che tutte le creature lo cerchino, lo servano e lo amino sopra qualunque
altra cosa. Quanto più profondamente e più spesso sarà fatta la considerazione dell'infinito
merito di Dio, tanto più ferventi e frequenti saranno gli atti suddetti della volontà; e così con
maggior facilità e più presto acquisteremo l'abitudine di fare ogni azione in segno di rispetto e di
amore per quel Signore che solo ne è degno. Infine ti avviso che per conseguire questo divino
obiettivo, oltre a quanto ti ho detto, occorre che tu lo domandi a Dio con preghiera insistente e
che consideri spesso gli innumerevoli benefici che Dio ci ha fatti e tuttora ci fa per puro amore e
senza suo interesse.

10 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO IX
Un'altra cosa da cui si deve guardare l'intelletto perché possa discernere bene
L'altra cosa da cui dobbiamo difendere l'intelletto è  la curiosità perché, riempiendolo noi di
pensieri nocivi, vani e impertinenti, lo rendiamo inabile e incapace di apprendere ciò che più
appartiene alla nostra vera mortificazione e perfezione. Per cui tu devi essere come morta in tutto
a ogni investigazione delle cose terrene non necessarie, sebbene lecite.
Restringi sempre il tuo intelletto quanto puoi e ama di farlo stolto. Le novità e le vicissitudini del
mondo, piccole e grandi, per te siano appunto come se non fossero; e se ti sono offerte, opponiti
loro e scacciale lontano da te. Nel desiderio di intendere le cose celestiali fa' in modo da essere
sobria e umile, non volendo sapere altro che Cristo crocifisso (cfr. 1Cor 2,2; Gal 6,14; 1Cor
1,23), la vita e la morte sua e quanto da te domanda. Allontana da te tutto il resto e farai cosa
molto gradita a Dio, il quale considera suoi cari e diletti coloro che desiderano da lui e cercano
quelle cose che bastano per amare la sua divina bontà e per fare la sua volontà. Ogni altra
domanda e ricerca è amor proprio, superbia e inganno del demonio. Se tu seguirai queste norme
potrai sfuggire a molte insidie perché, vedendo l'astuto serpente che in quelli che attendono alla
vita spirituale la volontà è gagliarda e forte, tenta di abbattere il loro intelletto per farsi così
padrone di questo e di quella. Onde è solito  molte volte dar loro sentimenti alti, vivi e
stravaganti; e li concede massimamente alle persone acute e di grande ingegno e che sono facili a
montare in superbia perché, occupate nel diletto e nella meditazione di quei punti nei quali
falsamente si persuadono di godere Dio, si dimentichino di purificare il cuore e di attendere alla
conoscenza di se stessi e alla vera mortificazione. Irretiti così nel laccio della superbia, si fanno
un idolo del proprio intelletto. Da questo ne segue che a poco a poco, senza accorgersene, si
convincono di non avere bisogno del consiglio e ammaestramento altrui, essendo già abituati a
ricorrere in ogni evenienza all'idolo del proprio giudizio. Questa è cosa di grave pericolo e molto
difficile a curarsi, perché è più pericolosa la superbia dell'intelletto che della volontà: essendo la
superbia della volontà manifesta al proprio  intelletto, facilmente un giorno potrà curarla
obbedendo a chi deve. Ma chi ha ferma opinione che il suo parere sia migliore di quello di altri,
da chi e come potrà essere sanato? Come si sottoporrà al giudizio di altri, che non ritiene tanto
buono quanto il suo proprio? Se l'occhio dell'anima, che è l'intelletto, con cui si doveva
conoscere e purificare la piaga della superba  volontà è infermo, cieco e pieno della stessa
superbia, chi lo potrà curare? E se la luce diventa tenebre e la regola fallisce, che ne sarà del
resto? Perciò tu opponiti per tempo a così pericolosa superbia, prima che ti penetri nelle midolla
delle ossa. Rintuzza l'acutezza del tuo intelletto: sottoponi facilmente il tuo parere a quello altrui;
diventa pazza per amore di Dio e sarai più saggia di Salomone

9 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO VIII
Le cause per cui non discerniamo rettamente le cose.
Il metodo che si deve usare per conoscerle bene
La causa per cui non discerniamo rettamente tutte le cose suddette insieme a molte altre è che al
primo loro apparire vi attacchiamo o l'amore  o l'odio. Da questi oscurato, l'intelletto non le
giudica con rettitudine per quelle che sono. Tu, perché in te non trovi luogo questo inganno, sii
accorta nel tenere sempre quanto più puoi la tua volontà purificata e libera dall'affetto disordinato
a qualunque cosa. E quando ti viene posto innanzi qualunque oggetto, osservalo bene con
l'intelletto e consideralo con maturità prima che da odio, se si tratta di cosa contraria alle nostre
naturali inclinazioni, o da amore, se ti apporta diletto, tu sia mossa a volerlo oppure a rifiutarlo.
Perché allora l'intelletto, non essendo ingombrato da passione, è libero e chiaro; può conoscere il
vero e penetrare dentro al male, che è nascosto sotto il falso piacere, e al bene coperto
dall'apparenza del male.
Ma se la volontà si è prima inclinata ad amare la cosa o l'ha presa in aborrimento, l'intelletto non
la può ben conoscere, perché quell'affetto, che si  è interposto, lo offusca in modo da fargliela
stimare diversamente da quella che è, e per tale rappresentandola alla volontà, essa si muove più
ardentemente di prima ad amarla oppure a odiarla contro ogni ordine e legge di ragione. Da tale
affetto viene a essere oscurato maggiormente l'intelletto e, così oscurato, fa di nuovo sembrare
alla volontà la cosa più che mai amabile o odiosa. Perciò, se non si osserva la regola che ho detto
(il che in tutto questo esercizio è di somma  importanza), queste due potenze tanto nobili ed
eccellenti, intelletto e volontà, vengono miseramente a camminare sempre, come in un vortice, di
tenebre in più folte tenebre e di errore in errore maggiore. Guardati dunque, figliuola, con ogni
vigilanza da ogni non bene ordinato affetto a  qualsiasi cosa, che prima non sia da te ben
esaminata e riconosciuta per quella che è veramente con il lume dell'intelletto, e principalmente
con quello della grazia e dell'orazione e con il giudizio del tuo padre spirituale. Il che intendo che
tu debba osservare, talora più  che nelle altre cose, in alcune opere esteriori che sono buone e
sante, perché in queste, per essere tali, vi è più che in quelle pericolo di inganno e di
indiscrezione da parte nostra. Onde per qualche circostanza di tempo, di luogo e di misura, o per
rispetto dell'obbedienza, alcune volte ti potrebbero recare non piccolo danno, come di molti si sa
che nei lodevoli e santissimi esercizi hanno corso pericolo.

8 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO VII
L'esercizio.
E in primo luogo l'esercizio dell'intelletto, che va guardato dall'ignoranza e dalla curiosità
Se la diffidenza di noi e la confidenza in Dio tanto necessarie in questa battaglia saranno sole,
non solamente non avremo vittoria su noi stessi, ma precipiteremo in molti mali. Perciò, oltre a
queste, ci è necessario l'esercizio,  che è la terza cosa proposta sopra. Questo esercizio si deve
fare principalmente con l'intelletto e con la volontà. Quanto all'intelletto deve essere da noi
guardato da due cose che sogliono combatterlo.
L'una è l'ignoranza, che lo oscura e gli impedisce la conoscenza del vero, che è il suo oggetto
proprio. Perciò con l'esercizio lo si deve rendere lucido e chiaro, perché possa vedere e
discernere bene quanto ci è necessario per purificare l'anima dalle passioni disordinate e ornarla
delle sante virtù. Questo lume in due modi si può ottenere.
Il primo e più importante è l'orazione, pregando lo Spirito Santo che si degni infonderlo nei
nostri cuori. Questo lo farà sempre, se in verità cercheremo Dio solo; se cercheremo di fare la
sua santa volontà e se sottoporremo ogni cosa insieme al nostro giudizio alla decisione del padre
spirituale.
L'altro modo è un continuo esercizio di profonda  e leale considerazione delle cose per vedere
come siano, se buone o cattive: e ciò secondo come insegna lo Spirito Santo e non come
appaiono all'esterno, si rappresentano ai sensi e giudica il mondo.
Questa considerazione, fatta come si conviene, ci fa chiaramente conoscere che si debbono avere
per nulla, per vanità e bugia tutte quelle cose che il cieco e corrotto mondo ama e desidera, e che
con vari modi e mezzi si va procurando; che gli onori e i piaceri terreni non sono altro che vanità
e afflizione di spirito; che le ingiurie e le infamie, che il mondo ci dà, portano vera gloria e le
tribolazioni quiete; che perdonare i nemici e fare loro del bene è magnanimità e una delle
maggiori somiglianze con Dio; che vale più il disprezzo del mondo che l'esserne padrone; che
l'obbedire volentieri per amore di Dio alle più vili creature è cosa più magnanima e generosa del
comandare ai grandi prìncipi; che l'umile conoscenza di noi stessi si deve apprezzare più
dell'altezza di tutte le scienze; che il vincere e mortificare i propri appetiti, per piccoli che siano,
merita maggior lode che l'espugnare molte città (cfr. Pro 16,32), superare potenti eserciti con le
armi in mano, fare miracoli e risuscitare i morti.

7 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO VI
Altri avvisi, perché acquistiamo la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio
Poiché tutta la forza di vincere i nostri nemici nasce principalmente dalla diffidenza di noi stessi
e dalla confidenza in Dio, di nuovo ti provvedo di avvisi perché tu le consegua con il divino
aiuto.
Devi sapere dunque e tenere per cosa certa che né tutti i doni, o naturali o acquisiti che siano, né
tutte le grazie gratis date, né la conoscenza di tutta la Scrittura, né l'aver lungamente servito Dio
e fatto in questo l'abitudine ci faranno compiere la sua volontà, se in qualunque opera buona e
accetta agli occhi suoi che dobbiamo fare, e in qualunque tentazione che dobbiamo vincere, e in
qualunque pericolo che dobbiamo fuggire, e in qualunque croce che dobbiamo portare secondo la
sua volontà, se, dico, non è aiutato ed elevato il cuor nostro dal particolare aiuto di Dio, e anzi
Dio stesso non ci tenda anche la mano per fare tutto questo. Dunque dobbiamo in tutta la nostra
vita, in tutti i giorni, in tutte le ore e in tutti i momenti aver presente questa verità: che così per
nessuna via o progetto potremo mai confidare in noi stessi. Per quanto poi riguarda la confidenza
in Dio, sappi che per lui non c'è niente di più facile che vincere i pochi come i molti nemici, i
vecchi ed esperti come i fiacchi e inesperti. Perciò, sebbene un'anima sia carica di peccati, abbia
tutti i difetti del mondo, anzi sia difettosa quanto mai si possa immaginare; benché abbia tentato
quanto si voglia, usato qualunque mezzo e fatto  qualunque esercizio per  lasciare il peccato e
operare il bene; benché non abbia mai potuto acquistare un minimo di bene, anzi sia precipitata
più pesantemente nel male: con tutto ciò non deve mancare di confidare in Dio né deve mai
lasciare le armi e gli esercizi spirituali, ma combattere sempre generosamente in quanto bisogna
sapere che in questa battaglia spirituale non perde chi non smette di combattere e di confidare in
Dio, il cui aiuto non manca mai ai suoi soldati anche se a volte  permette che siano feriti. Si
combatta pure, perché qui è tutto! La medicina per le ferite è pronta ed efficace per i soldati, che
con confidenza cercano Dio e il suo aiuto; e quando meno ci pensano, i nemici si troveranno
morti.

6 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO V
Un errore di molti, dai quali la pusillanimità è tenuta per virtù
In questo ancora si ingannano molti, i quali attribuiscono a virtù la pusillanimità e l'inquietudine
che seguono dopo il peccato, perché sono accompagnate da qualche dispiacere: ma essi non
sanno che nascono da occulta superbia e presunzione fondate sulla confidenza in se stessi e nelle
proprie forze nelle quali, perché si stimavano qualche cosa, avevano eccessivamente confidato.
Costoro, scorgendo dalla prova della caduta di sbagliare, si turbano e si meravigliano come di
cosa strana e diventano pusillanimi, vedendo caduto per terra quel sostegno in cui vanamente
avevano riposto la loro confidenza.
Questo non accade all'umile, il quale, confidando nel suo solo Dio e in niente presumendo di sé,
quando incorre in qualsiasi colpa, pur sentendone dolore, non se ne inquieta o se ne meraviglia:
egli sa che tutto ciò gli avviene per sua miseria e propria debolezza da lui molto ben conosciute
con lume di verità.

5 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO IV
Come possa conoscersi se l'uomo opera con la diffidenza di sé e con la confidenza in Dio
Alle volte pare assai al servo presuntuoso d'aver ottenuto la diffidenza di sé e la confidenza in
Dio, ma non sarà così. E di ciò ti darà chiarezza l'effetto che produrrà in te la caduta.
Se tu dunque, quando cadi, t'inquieti, ti rattristi e ti senti chiamare a un certo che di disperazione
di poter andare più innanzi e di far bene, è segno certo che tu confidavi in te e non in Dio. E se
molta sarà la tristezza e la disperazione, molto tu confidavi in te e poco in Dio: infatti colui che
in gran parte diffida di se stesso e confida in Dio, quando cade non si meraviglia, non si rattrista
né si rammarica conoscendo che ciò gli capita per sua debolezza e poca confidenza in Dio. Anzi
più diffida di sé, assai più umilmente confida in Dio; e avendo in odio sopra ogni cosa il difetto e
le passioni disordinate, causa della caduta, con un dolore grande, quieto e pacifico per l'offesa di
Dio, segue poi l'impresa e perseguita i suoi  nemici fino alla morte con maggior animo e
risoluzione.
Queste cose vorrei che fossero ben considerate da certe persone che si dicono spirituali. Quando
esse sono incorse in qualche difetto, non possono né vogliono darsi pace; e alle volte, più per
liberarsi dall'ansietà e dall'inquietudine dovute all'amor proprio che per altro, non vedono l'ora di
andare a trovare il padre spirituale, dal quale dovrebbero andare principalmente per lavarsi dalla
macchia del peccato e prendere forza contro di esso con il santissimo sacramento dell'eucaristia.

4 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO III
La confidenza in Dio
Benché in questa battaglia, come abbiamo detto, sia tanto necessaria la diffidenza di sé, tuttavia,
se l'avremo sola, o ci daremo alla fuga o resteremo vinti e superati dai nemici; e perciò oltre a
questa ti occorre ancora la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando e aspettando qualunque
bene, aiuto e vittoria. Perché siccome da noi, che siamo niente, non ci è lecito prometterci altro
che cadute, onde dobbiamo diffidare del tutto di noi medesimi, così grazie a nostro Signore
conseguiremo sicuramente ogni gran vittoria purché, per ottenere il suo aiuto, armiamo il nostro
cuore di una viva confidenza in lui. E questa parimenti in quattro modi si può conseguire.
Primo: col domandarla a Dio.
Secondo: col considerare e vedere con l'occhio della fede l'onnipotenza e la sapienza infinita di
Dio, al quale niente è impossibile (cfr. Lc 1,37) né difficile; e che essendo la sua bontà senza
misura, con indicibile amore sta pronto e preparato a dare di ora in ora e di momento in momento
tutto quello che ci occorre per la vita spirituale e la totale vittoria su noi stessi, se ci gettiamo con
confidenza nelle sue braccia. E come sarà possibile che il nostro Pastore divino, il quale trentatré
anni ha corso dietro alla pecorella smarrita con grida tanto forti da diventarne rauco e per via
tanto faticosa e spinosa da spargervi tutto il sangue e lasciarvi la vita, ora che questa pecorella va
dietro a lui con l'obbedienza ai suoi comandamenti oppure con il desiderio benché alle volte
fiacco di obbedirgli, chiamandolo e pregandolo, come sarà possibile che egli non volga ad essa
quei suoi occhi vivificanti, non l'oda e non se la metta sulle divine spalle facendone festa con
tutti i suoi vicini e con gli angeli del cielo? Che se nostro Signore non lascia di cercare con
grande diligenza e amore e di trovare nella dramma evangelica il cieco e muto peccatore, come
sarà possibile che abbandoni colui che come smarrita pecorella grida e chiama a suo Pastore? E
chi crederà mai che Dio, il quale batte di continuo al cuore dell'uomo per il desiderio di entrarvi e
cenarvi comunicandogli i suoi doni, faccia egli davvero il sordo e non vi voglia entrare qualora
l'uomo apra il cuore e lo inviti (cfr. Ap 3,20)? Il terzo modo per acquistare questa santa
confidenza è il ricorrere con la memoria alla verità della sacra Scrittura, la quale in tanti luoghi ci
mostra chiaramente che non restò mai confuso colui che confidò in Dio.
Il quarto modo, che servirà per conseguire insieme la diffidenza di te stessa e la confidenza in
Dio, è questo: quando ti capita qualcosa da fare e di intraprendere qualche battaglia e vincere te
stessa, prima che ti proponga o ti  risolva di volerla fare rivolgiti  con il pensiero alla tua
debolezza e, diffidando completamente, volgiti poi alla potenza, alla sapienza e alla bontà divina.
E in queste confidando, delibera di operare e di  combattere generosamente; ma come nel suo
luogo dirò, combatti e opera poi con queste armi in pugno e con l'orazione. E se non osserverai
quest'ordine, anche se ti parrà di fare ogni cosa nella confidenza in Dio, ti troverai in gran parte
ingannata: infatti è tanto sottile e tanto propria  all'uomo la presunzione di se medesimo, che
subdolamente quasi sempre vive  nella diffidenza che ci pare di avere di noi stessi e nella
confidenza che stimiamo di avere in Dio.
Perché tu fugga quanto più sia possibile la presunzione e operi con la diffidenza di te stessa e con
la confidenza in Dio, fa in maniera che la  considerazione della  tua debolezza preceda la
considerazione dell'onnipotenza di Dio e ambedue precedano le nostre opere.

3 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO II
La diffidenza di noi stessi
La diffidenza di te stessa, figliuola, ti è talmente necessaria in questo combattimento che senza
questa devi tenere per certo che non solamente non potrai conseguire la vittoria desiderata, ma
neppure superare una ben piccola tua passioncella. E ciò ti s'imprima bene nella mente, perché
noi siamo purtroppo facili e inclinati dalla natura corrotta  verso una falsa stima di noi stessi:
essendo veramente non altro che un bel nulla, ci convinciamo tuttavia di valere qualche cosa; e
senza alcun fondamento, vanamente presumiamo delle nostre forze. Questo è difetto assai
difficile a conoscersi e dispiace molto agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una leale
cognizione di questa certissima verità che ogni grazia e virtù derivano in noi da lui solo, fonte di
ogni bene; e che da noi non può venire nessuna cosa, neppure un buon pensiero che gli sia
gradito (cfr. 2Cor 3,5).
E benché questa tanto importante diffidenza sia ben anche opera della sua divina mano che suole
darla ai suoi cari amici ora con sante ispirazioni, ora con aspri flagelli e con violente e quasi
insuperabili tentazioni, e con altri mezzi non intesi da noi medesimi, tuttavia, volendo egli che
anche da parte nostra si faccia quello che tocca a noi, ti propongo quattro modi con i quali,
aiutata principalmente dal supremo favore, tu possa conseguire tale diffidenza.
Il primo è che tu consideri e conosca la tua viltà e nullità e che da te non puoi fare alcun bene per
il quale meriti di entrare nel regno dei cieli.
Il secondo è che con ferventi e umili preghiere la domandi spesso al Signore, poiché è dono suo.
E per ottenerla prima ti devi mirare non solo priva di essa, ma del tutto impotente ad acquistarla
da te. Così presentandoti più volte davanti alla  divina Maestà con una fede certa che per sua
bontà sia per concedertela, e aspettandola con perseveranza per tutto quel tempo disposto dalla
sua provvidenza, non vi è dubbio che l'otterrai.
Il terzo modo è che ti abitui a temere te stessa, il tuo giudizio, la forte inclinazione al peccato, gli
innumerevoli nemici ai quali non hai forza di fare una minima resistenza; la loro esperienza nel
combattere, gli stratagemmi, le loro trasfigurazioni in angeli di luce; le innumerevoli arti e i
tranelli, che nella via stessa della virtù nascostamente ci tendono.
Il quarto modo è che quando ti avviene di cadere in qualche difetto, allora tu penetri più dentro e
più vivamente nella considerazione della tua somma debolezza: infatti per questo fine Dio ha
permesso la tua caduta, affinché, avvisata dall'ispirazione con più chiaro lume di prima,
conoscendoti bene impari a disprezzare te stessa come cosa purtroppo vile e per tale tu voglia
anche dagli altri essere tenuta e parimenti disprezzata. Sappi che senza questa volontà non vi può
essere virtuosa diffidenza, la quale ha il suo fondamento nell'umiltà vera e nella cognizione
sperimentale.
Chiara è questa cosa: a ognuno che vuol congiungersi con la luce suprema e con la verità
increata è necessaria la conoscenza di se stesso, che la divina clemenza dà ordinariamente ai
superbi e ai presuntuosi attraverso le cadute: essa li lascia giustamente incorrere in qualche
mancanza dalla quale si persuadono di potersi difendere, affinché, venendosi così a conoscere,
apprendano a diffidare in tutto di se medesimi.
Il Signore, però, non è solito servirsi di questo mezzo così miserabile se non quando gli altri più
benigni, che abbiamo detto sopra, non hanno portato quel giovamento inteso dalla sua divina
bontà. Essa permette che l'uomo cada più o meno tanto quanto maggiore o minore è la sua
superbia e la propria reputazione; in maniera che dove non si ritrovasse la pur minima
presunzione, come fu in Maria Vergine, similmente non vi sarebbe nemmeno la pur minima
caduta. Dunque quando cadi, corri subito col pensiero all'umile conoscenza di te stessa e con
preghiera insistente (cfr. Lc 11,5-13) domanda al Signore che ti doni il vero lume per conoscerti
e la totale diffidenza di te stessa, se non vorrai cadere di nuovo e talvolta in più grave rovina.

2 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


CAPITOLO I
In che consiste la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere.
Quattro cose necessarie per questa battaglia
Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l'altezza della perfezione e, accostandoti al
tuo Dio, diventare uno stesso spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la
maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o immaginare, devi prima conoscere in che
cosa consista la vera e perfetta vita spirituale.
Molti infatti, senza troppo riflettere, l'hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della
carne, nei cilizi, nei flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili asprezze e fatiche
corporali.
Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto cammino se dicono molte preghiere
vocali; se partecipano a parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in chiesa
e si ritemprano al banchetto eucaristico.
Molti altri (tra cui talvolta se ne ritrova qualcuno che,  vestito dell'abito religioso, vive nei
chiostri) si sono persuasi che la perfezione dipenda del tutto dal frequentare il coro, dal silenzio,
dalla solitudine e dalla regolata disciplina: e così chi in queste e chi in altre simili azioni ritiene
che sia fondata la perfezione.
Il che però non è così! Siccome dette azioni sono ora mezzo per acquistare spirito e ora frutto di
spirito, così non si può dire che in esse solo consistano la perfezione cristiana e il vero spirito.
Sono senza dubbio mezzo potentissimo per acquistare spirito per quelli che bene e discretamente
le usano, per prendere vigore e forza contro la propria malizia e fragilità; per armarsi contro gli
assalti e gli inganni dei nostri comuni nemici; per provvedersi di quegli aiuti spirituali che sono
necessari a tutti i servi di Dio e massimamente ai principianti.
Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali, le quali castigano il corpo perché ha
offeso il suo Creatore e per tenerlo sottomesso e umile nel suo servizio; tacciono e vivono
solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore e per conversare nei cieli (cfr. Fíl 3,20
Volgata); attendono al culto divino e alle opere di pietà; pregano e meditano la vita e la passione
di nostro Signore non per curiosità e gusti sensibili, ma per conoscere ancora di più la propria
malizia e la bontà misericordiosa di Dio, onde infiammarsi sempre più nell'amore divino e
nell'odio di se stesse, seguendo con la loro abnegazione e la croce in spalla il Figliuolo di Dio;
frequentano i santissimi sacramenti a gloria  di sua divina Maestà, per congiungersi più
strettamente con Dio e per prendere nuova forza contro i nemici.
Ma ad altri poi che pongono nelle suddette opere esteriori tutto il loro fondamento, possono, non
per difetto delle cose in sé (che sono tutte santissime) ma per difetto di chi le usa, porgere
talvolta occasione di rovina più che i peccati fatti apertamente. Mentre sono intenti solo in esse,
abbandonano il cuore in mano alle inclinazioni e al demonio occulto, il quale, vedendo che
questi già sono fuori del retto sentiero, li lascia non solamente continuare con diletto nei suddetti
esercizi ma anche spaziare secondo il loro vano pensiero per le delizie del paradiso, dove si
persuadono di essere sollevati tra i cori angelici e di sentire Dio dentro di sé. Questi si trovano
talora tutti assorti in certe meditazioni piene di alti, curiosi e dilettevoli punti e, quasi dimentichi
del mondo e delle creature, par loro di essere rapiti al terzo cielo. Ma in quanti errori si trovino
questi avviluppati e quanto siano lontani da  quella perfezione che noi andiamo cercando,
facilmente si può comprendere dalla vita e dai loro costumi: infatti questi vogliono in ogni cosa
grande e piccola essere preferiti agli altri e avvantaggiati su di loro, sono radicati nella propria
opinione e ostinati in ogni loro voglia. Ciechi nei propri, sono invece solleciti e diligenti
osservatori e mormoratori dei detti e dei fatti altrui. Se tu li tocchi anche un poco in una certa
loro vana reputazione, in cui essi si tengono e si compiacciono di essere tenuti dagli altri, e li levi
da quelle devozioni che usano passivamente, si alterano tutti e s'inquietano moltissimo. E se Dio,
per ridurli alla vera conoscenza di se stessi e sulla strada della perfezione, manda loro travagli e
infermità o permette persecuzioni (che non  vengono mai senza sua volontà, così volendo o
permettendo, e che sono la pietra di paragone della lealtà dei suoi servi), allora scoprono il loro
falso fondo e l'interno corrotto e guasto a causa della superbia. Infatti in ogni avvenimento, triste   3
o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi e umiliarsi sotto la mano divina acquietandosi nei
sempre giusti benché segreti giudizi di Dio (cfr. Rm 11,33); né sull'esempio del suo Figliuolo, il
quale umiliò se stesso e volle patire (cfr. Fil 2,8), si sottomettono a tutte le creature considerando
come cari amici i persecutori, che effettivamente sono strumenti della divina bontà e cooperano
alla loro mortificazione, perfezione e salvezza.
Perciò è cosa certa che questi tali sono posti in grave pericolo: avendo l'occhio interno
ottenebrato e mirando con quello se medesimi e le azioni esterne che sono buone, si attribuiscono
molti gradi di perfezione e così insuperbiti giudicano gli altri: ma per loro non c'è chi li converta,
fuorché uno straordinario aiuto di Dio. Per tale motivo assai più  agevolmente si converte e si
riduce al bene il peccatore pubblico, anziché quello occulto e coperto con il manto delle virtù
apparenti. Tu vedi dunque assai chiaramente, figliuola, che la vita spirituale non consiste nelle
suddette cose, come ti ho dichiarato. Devi sapere che essa non consiste in altro che nella
conoscenza della bontà e della grandezza di Dio, e della nostra nullità e inclinazione a ogni male;
nell'amore suo e nell'odio di noi stessi; nella sottomissione non solo a lui, ma a ogni creatura per
amor suo; nella rinuncia a ogni nostro volere e nella totale rassegnazione al suo divino
beneplacito: inoltre essa consiste nel volere e nel fare tutto questo semplicemente per la gloria di
Dio, per il solo desiderio di piacere a lui, e perché così egli vuole e merita di essere amato e
servito. Questa è la legge d'amore impressa dalla mano dello stesso Signore nei cuori dei suoi
servi fedeli. Questo è il rinnegamento di noi stessi, che da noi ricerca (cfr. Lc 9,23). Questo è il
giogo soave e il peso suo leggero (cfr. Mt 11, 30). Questa è l'obbedienza, alla quale con
l'esempio e con la parola il nostro Redentore e Maestro ci chiama.
E perché, aspirando tu all'altezza di tanta perfezione, devi fare continua violenza a te stessa per
espugnare generosamente e annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano, necessariamente
conviene che con ogni prontezza d'animo ti prepari a questa battaglia: infatti la corona non si dà
se non a quelli che combattono valorosamente.
Siccome tale battaglia è più di ogni altra difficile (poiché combattendo contro di noi, siamo
insieme combattuti da noi stessi), così la vittoria ottenuta sarà più gloriosa di ogni altra e più cara
a Dio. Se tu attenderai a calpestare e a dar morte  a tutti i tuoi disordinati appetiti, desideri e
voglie ancorché minime, renderai maggior piacere  e servizio a Dio che se, tenendo alcune di
quelle volontariamente vive, ti flagellassi fino al sangue e digiunassi più degli antichi eremiti e
anacoreti o convertissi al bene migliaia di anime. Sebbene il Signore in sé gradisca più la
conversione delle anime che la mortificazione di una voglietta, nondimeno tu non devi volere né
operare altro se non quello che il medesimo Signore da te rigorosamente ricerca e vuole. Ed egli
senza alcun dubbio si compiace di più che tu ti affatichi e attenda a mortificare le tue passioni
che se tu, lasciandone anche una avvedutamente e  volontariamente viva in te, lo servissi in
qualunque cosa sia pure grande e  di maggior importanza. Ora che tu vedi, figliuola, in che
consiste la perfezione cristiana e che per acquistarla devi intraprendere una continua e asprissima
guerra contro te stessa, c'è bisogno che ti provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e
necessarissime, per riportare la palma e restare vincitrice in questa spirituale battaglia. Queste
sono: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l'esercizio e l'orazione. Di tutte tratteremo
con l'aiuto divino e con facile brevità.

1 IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE di LORENZO SCUPOLI


IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
di LORENZO SCUPOLI
“Non riceve la corona se non chi ha combattuto secondo le regole” (2Tm 2,5).
AL SUPREMO CAPITANO
E GLORIOSISSIMO TRIONFATORE
GESÙ CRISTO
FIGLIUOLO DI MARIA
Poiché sempre piacquero e piacciono tuttora a vostra Maestà i sacrifici e le offerte di noi mortali
quando da puro cuore vengono offerti a gloria vostra, io presento questo trattatello del
Combattimento spirituale  dedicandolo alla divina vostra Maestà. Né mi tiro indietro perché
questo trattato è piccolo: infatti ben si sa che voi solo siete quell'alto Signore che si diletta delle
cose umili e disprezza le vanità e le pretese del mondo. E come potevo io senza biasimo e senza
danno dedicarlo ad altra persona che alla vostra Maestà, Re del cielo e della terra? Quanto
insegna questo trattatello tutto è dottrina vostra, avendoci voi insegnato che, non confidando più
in noi stessi, confidiamo in voi, combattiamo e preghiamo.
Inoltre se ogni combattimento  ha bisogno di un capo esperto che guidi la battaglia e animi i
soldati, i quali tanto più generosamente combattono quanto più militano sotto un invincibile
capitano, non ne avrà forse bisogno questo Combattimento spirituale? Voi dunque eleggemmo,
Gesù Cristo (noi tutti che già siamo risoluti  a combattere e a vincere qualunque nemico), per
nostro Capitano: voi che avete vinto il mondo, il principe delle tenebre, e con le piaghe e la
morte della vostra sacratissima carne avete vinto la carne di tutti quelli che hanno combattuto e
combatteranno generosamente.
Quando io, Signore, ordinavo questo Combattimento, avevo sempre nella mente quel detto: “Non
siamo nemmeno capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi” (2Cor 3,5). Se senza di
voi e senza il vostro aiuto non possiamo avere pensieri che siano buoni, come potremo da soli
combattere contro tanti potentissimi nemici ed evitare tante innumerevoli e nascoste insidie?
Vostro è, Signore, da tutte le parti questo Combattimento,  perché, come ho detto, vostra è la
dottrina e vostri sono tutti i soldati spirituali, tra i quali siamo noi Chierici Regolatori Teatini:
perciò, tutti chini ai piedi della vostra altissima Maestà, vi preghiamo di accettare questo
Combattimento  muovendoci e animandoci sempre con la vostra grazia attuale a combattere
molto più generosamente: perché noi non dubitiamo affatto che, combattendo voi in noi,
vinceremo a gloria vostra e della vostra santissima Madre Maria Vergine.
Umilissimo servo comprato con il vostro Sangue
DON LORENZO SCUPOLI Chierico Regolare
“Voi oggi siete prossimi
a dar battaglia ai vostri nemici;
il vostro cuore non venga meno;
non temete, non vi smarrite
e non vi spaventate dinanzi a loro,
perché il Signore vostro Dio cammina con voi
per combattere per voi
contro i vostri nemici e per salvarvi”
(Dt 20,3-4)