giovedì 23 agosto 2012

(Gv 1,45-51) Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità.


VANGELO
 (Gv 1,45-51) Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
 PREGHIERA
 Vieni o Santo Spirito promesso da Gesù per chi t ' invoca, vieni ed accendi nel mio cuore la luce della tua parola; insegnami a capire la parola del Signore, insegnami a togliere da me il mio pensiero terreno perché non  mi confonda e mi perda, ma possa sempre seguire fedelmente i suoi insegnamenti.

In questo brano vediamo che Gesù sceglie chi chiamare, si capisce da quel " prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi! "  Se leggiamo con attenzione  tra le righe, capiamo che anche nella nostra incredulità,con tutti i nostri dubbi e paure, quello che conta è la disposizione del nostro cuore; e solo aprendoci a Dio conosceremo la verità. Per chi non conosce Gesù non è facile capire, comprendere quello che chi crede annuncia, e quindi con molta serenità dobbiamo accettare che espongano i loro dubbi, e non sentirci migliori di loro anche perché spesso gli allievi superano i maestri, (maestri per modo di dire, non dimentichiamo mai che uno solo è il MAESTRO) Nonostante in duemila anni Gesù abbia fornito prove su prove della sua esistenza e della sua veridicità, ancora oggi, anche di fronte ai miracoli che avvengono ogni giorno, c ' è chi resta scettico e chi rifiuta di credere, ma non certo perché può negare l'esistenza di Dio con prove concrete, ma solo perché in cuor suo rifiuta di assoggettarsi ad un Dio che non gli interessa conoscere di cui non sente alcun desiderio. C '  è anche chi vorrebbe invece credere in qualcosa di soprannaturale, ma è così lontano dalla verità, da non riuscire ad afferrarne neanche il minimo concetto, e parlare a queste persone, non è facile, spesso, infatti, riusciamo più ad allontanarli dalla luce che ad illuminarli, confinandoli nel buio di chi avrebbe voluto far domande anche assurde magari, ma ricevere risposte concrete.
La cosa che non ci aiuta, è che dobbiamo essere per primi noi ad essere illuminati da quella luce, tutta la nostra vita deve, anche se non nella perfezione, essere improntata sulla scia di quella di Gesù, perché è Lui che dobbiamo seguire ed indicare, non la nostra persona e tantomeno le nostre idee. Neanche Maria, pur molto più perfetta di noi, diceva ai discepoli di seguire lei, ma fate quello che Lui vi dirà...e se non si imponeva lei come maestra, come possiamo noi pensare di poterlo fare. Gesù ci ha spesso esortato a chiedere a confidare in Lui e ci ha anche insegnato che è sempre Lui con il suo Spirito che opera, quindi questa è la cosa che più di ogni altra dobbiamo tenere presente, SEMPRE. Dobbiamo avere il coraggio di testimoniare, ma la sapienza di non poter imporre le nostre idee, e quando ci accingiamo a parlare con qualcuno del Signore, chiediamo a Lui di usarci, e di servirsi di noi, non pensiamo mai di saper fare da soli, perché senza lo Spirito Santo su di noi, siamo solo cembali stonati e vuoti.Possiamo in vero,difendere la Chiesa, sostenere la nostra dottrina dalle eresie, ma a che serve discutere, aggredire, contestare, se non a rimanere nelle proprie posizioni? Dove l'uomo deve imparare a tacere e far parlare lo Spirito Santo? Dove deve imparare ad ascoltare? Ma sopratutto, dove deve imparare a lasciar fare a Dio e pregare per chi è secondo noi contro di noi. Spesso mi viene in mente una risposta che Gesù diede a Giovanni,che ci viene raccontata da Marco
( 9,38-40)38 Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva". 39 Ma Gesù disse: "Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: 40 chi non è contro di noi è per noi.

martedì 21 agosto 2012

(Mt 20,1-16) Sei invidioso perché io sono buono?


VANGELO
 (Mt 20,1-16) Sei invidioso perché io sono buono?
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Spirito Santo, Spirito di sapienza, dammi la possibilità di discernere il mio dal tuo e di togliere tutto quello che non mi viene da te, te lo chiedo nel nome di Gesù Cristo che è Dio e vive e regna con te nell'unità, nei secoli dei Secoli . Amen.
Dio è il padrone buono,  quello che sa quello che fa,  il giusto, L' UNICO . Anche Gesù lo ha messo in rilievo, dicendo -" uno solo è buono, uno solo è giusto" - eppure a volte noi vorremmo dirgli che cosa è giusto, secondo il nostro metro, vorremmo sapere più di lui perché ci costa accettare che non ci dia tutto quello che chiediamo.
I nostri sentimenti non sono perfetti, ma crediamo sempre di sapere quello che è più giusto per noi, e se non va tutto come vorremmo, siamo pronti a criticare tutti, anche Dio.
Questa parabola è indicativa di come noi vorremmo decidere al posto di Dio, e quando preghiamo, lo facciamo  solo con la bocca e non con il cuore.
Noi siamo abituati a pensare che un premio vada dato in base al comportamento tenuto, perché dimentichiamo che la stessa bontà che il Signore usa agli altri , la usa con noi.
Ma noi siamo i buoni? Pensiamo davvero di meritare più degli altri? Ci rendiamo conto di quante grazie ci passano per le mani senza che neanche ce ne accorgiamo?  Se ci sembra che la paga non sia giusta, forse è il caso che ci fermiamo a conoscere di più il nostro Dio. Dio AMA, la sua giustizia è più che giustizia, è amore, e l’amore dona e si dona senza misurare , perché è assoluto. Se così non fosse, non ci sarebbe salvezza per noi, ma il nostro Dio è inchiodato alla croce per amore nostro, il suo scopo, il suo desiderio, è quello di vederci liberi dal peccato. Non importa se solo un secondo prima di morire ci renderemo conto di quello che stiamo facendo, se risponderemo alla sua chiamata dopo aver vagabondato per tutta la vita , lui vuole solo che torniamo a casa, per poterci riempire del suo amore e della sua pace. Dio vuole la nostra salvezza, ma ci chiede di renderci conto di non poter essere salvi senza di lui.

lunedì 20 agosto 2012

Nel nome del Padre,del Figlio e dello Spirito Santo.
Ti ringrazio mio Signore della notte trascorsa,della vita che mi concedi di vivere e ti offro quello che sono,perchè Tu lo trasformi in quello che vuoi.Amen.
Se devo trovare ancora in me il perdono per qualcuno,Signore riempimi del tuo perdono,perchè solo per grazia io riesco a farlo. Se devo essere più caritatevole,anche nei modi e con le persone che mi metti accanto,Signore donami la forza della tua carità senza limiti.Se devo essere portatrice sana della fede in Te,fa o mio Signore,che la tua presenza trabocchi e faccia innamorare di te chi mi farai incontrare oggi.E poi,fa che io sparisca Signore,che non cerchi di essere amata e mi sappia accontentare solo di Te. Proteggi la mia famiglia,i miei amici e tutte le persone che si affidano alle mie preghiere.Amen.

pensierini

Come può un Dio così grande,desiderare di restare sempre unito ad un essere inutile come l'uomo...e come può un essere inutile come l'uomo,pensare di poter vivere senza Dio!
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Dio è meraviglioso,lo si riconosce nell'abbraccio che ti ama ,mentre tutti ti odiano!
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«Sopporta obbrobrio e afflizione per il nome di Gesù con umiltà e cuore contrito. E mostra davanti a lui la tua debolezza ed egli diverrà la tua forza».
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« Che la tua opera sia pura per la presenza del Signore e non per l'ostentazione».
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«Quanto uno si sarà reso folle per il Signore, altrettanto il Signore lo renderà saggio ».




(Mt 19,23-30) È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.


VANGELO
 (Mt 19,23-30) È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».

Parola del Signore
A MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo, riempimi e donami la tua sapienza per capire e vivere la parola del vangelo.

Troppe volte Gesù si sofferma a farci capire che la ricchezza sulla terra, non solo non è una cosa che c’è utile per il regno di Dio, ma che spesso ci danneggia, perché c’impedisce di entrare nel regno dei cieli. L' esempio del cammello e della cruna di un ago, mette in risalto la difficoltà data dalle proporzioni. Non è la ricchezza in se stessa, ma il fatto che spesso la ricchezza rende aridi ed egoisti. Dio ha scelto il popolo d' Israele, ma questo popolo lo ha tradito, ricordiamo che Mentre Mosè era sul monte Sinai per 40 giorni, il popolo si era costruito come idolo un vitello d'oro; oggi mentre aspettiamo il ritorno di Gesù, ce ne siamo costruiti talmente tanti di idoli che alla fine ci hanno allontanato da Dio, perché li abbiamo messi davanti a Lui.  -  Lascia quello che hai e seguimi, sarai ricompensato nel regno dei cieli !-  Addirittura agli apostoli, promette i troni dai quali giudicheranno le loro tribù, vale la pena di starlo a sentire, perché anche il più stupido degli uomini si rende conto che dove andremo, non conteremo per i soldi che abbiamo, ma proprio per il cuore arido, non riesce a cambiare.
Quello che ci rende tutto difficile , secondo me, è uscire dalla nostra cognizione di tempo, pur se l'uomo cerca di vivere come se fosse eterno,nel momento delle scelte di vita,si comporta come se dovesse vivere solo subito e tutto. La nostra breve vita di passaggio sulla terra, non viene presa in considerazione per quella che è ma per il tutto che abbiamo.  Questo porta ad escludere che le nostre scelte siano basate sull'eternità ,ma vissute sulla temporalità della vita terrena. A che serve essere Cristiani se non riusciamo a vivere da figli di Dio e coeredi della realtà celeste? A che serve credere nella resurrezione di Cristo se non crediamo nella nostra resurrezione? 

lunedì 13 agosto 2012

(Mt 18,1-5.10.12-14) Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli.


VANGELO
 (Mt 18,1-5.10.12-14) Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli.
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».

Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito di Dio ed aiutami ad essere come un bambino e affidarmi a te.

Questa volta è  Matteo e non Luca e ci descrive la scena,mettendo in risalto le parole di Gesù. Vorrei notare con voi una frase che dice il Signore,”accoglie me”. Gesù si immedesima in un bambino,si fa piccolo e ci chiede di fare come lui;di non cercare la grandezza,ma proprio come un fanciullo lasciarsi educare e plasmare dall’amore del Padre. I bambini hanno degli angeli che li custodiscono, e l'intervento immediato del Padre in loro difesa: egli ha disposto uno schieramento di angeli a servizio e a difesa dei suoi bambini, dei suoi "piccoli". Tramite i propri angeli che vedono la faccia di Dio, essi possono far giungere fino a lui i torti e le ingiustizie che ricevono. Chi tocca i suoi "piccoli", tocca Dio.
Essere come bambini,vuol dire essere semplici ed umili e non significa essere incapaci di ragionare,ma capaci di affidarsi. A Dio.
Poi passiamo ad un altro passo,quello del pastore . 
Queste poche righe sembrano povere a prima vista, semplici, perché in fondo è normale che il pastore ci tenga alle sue pecore, fin qui non ci piove;  ma se guardiamo più attentamente, scopriremo che il discorso è rivolto anche a noi. Che ve ne pare di questo pastore che corre dietro alla pecora smarrita fino a che non l’ha trovata? Sembra chiederci Gesù!
Che amore pensate che sia quello che lo spinge a sacrificare anche se stesso per darci la possibilità di entrare a far parte del suo regno?
Scoprire quanto e come Dio ci ama, ci fa notare che non è proporzionabile al nostro modo d’amare, né a come noi concepiamo l’amore. Nella lettura del Vangelo, si parla di Gesù come dell’agnello che è messo sul trono da Dio e che sarà il pastore per tutti noi, ma anche dell’ agnello che per primo ha accettato di essere sacrificato, di donare la sua vita, con una rassegnazione che è tipica di quest’animale, che va incontro alla morte senza neanche un lamento, con docile accettazione. Gesù ha accettato di servire fino alla fine il progetto di Dio e per questo sarà ritenuto degno di diventare il pastore di tutti, quello che c’indicherà la via da seguire.
Una sola pecora in cambio di 99… sicuramente tornerà pensiamo, speriamo, ma sarà difficile che qualcuno di noi sarebbe disposto ad abbandonare le altre per correre mille pericoli ed andare a cercarla.
Eppure questo è quello che fanno centinaia di missionari che corrono mille pericoli in terra straniera per far conoscere Gesù, perché questo sentimento di condivisione della salvezza, dono per tutti, deve essere quello che anima i nostri cuori di Cristiani per essere conformi a Cristo e non un rapporto egoistico. Sempre più spesso si parla di una chiesa troppo ricca, ma poi, quando sentiamo di quanti perdono la vita solo perché cristiani che cercano di far conoscere il Signore in ogni parte del mondo, capiamo che la chiesa con è soltanto una banca che prende per arricchirsi, ma un’opera di grande umanità che porta nei posti più sconsolati del mondo tanto amore, istruzione e cibo per il corpo e per l’anima. Quanti di noi che stiamo caldi e comodi nelle nostre case, sono disponibili a camminare diverse miglia nella foresta o nel deserto per poche anime, quanti come Gesù sanno essere buoni pastori? Dacci o Signore la forza di non perderci mai e di poter aiutare chi non conosce le tue vie.

sabato 4 agosto 2012

(Gv 6,24-35) Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!


VANGELO
 (Gv 6,24-35) Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Parola del Signore
la mia riflessione
preghiera
Illumina Spirito di Dio, il mio cuore; donami la sapienza di saper capire le scritture.
Amen.

Perchè cerchiamo Gesù? Cosa vogliamo da Lui?  Gesù compie miracoli, vero,ma è forse questo che cerchiamo,un segno? A volte ci rivolgiamo a Lui solo perchè le cose non vanno bene e , magari,  vorremmo che le sistemasse a modo nostro...
Ma se ci fermassimo un attimo a vedere chi è Gesù, che cosa è per noi, forse capiremmo che la nostra ricerca è finita. Gesù è Dio, è il figlio di Dio, è lo Spirito di Dio; Lui è il Signore assoluto della nostra vita, luce per illuminare le genti, la sua parola è verità, e tutto il resto non conta. Non importa quanto dovremo soffrire, lui ha sofferto per noi,e se vogliamo seguirlo, sappiamo che saremo ostacolati, derisi, umiliati,  in alcuni casi,persino uccisi, ma sappiamo che chi perde la vita per amore di Dio, la salverà nel regno di Dio. Questa è la nostra fede, una fede che va oltre il miracolo, va all'autore del miracolo più grande, va a chi ha saputo dare la vita per tutti noi. La sua parola è pane di vita, un pane che non ci darà beni terreni, ma spirituali, di quelli che ci serviranno per saziare la nostra anima, ma al tempo stesso,  è fiducia che non ci abbandonerà mai,e che se sapremo fidarci pienamente di Lui, la nostra vità cambierà totalmente,ed anche il dolore con lui sarà gioia.Per questo dobbiamo saper vivere Gesù nella sua parola, non fermarci al miracolismo, al segno, al desiderio di avere  conferme delle sua esistenza, quasi come se continuassimo a dubitarne.La fede è certezza, è consapevolezza che noi uomini siamo stati creati da Dio e cge su questa terra ci siamo per riuscire a passare oltre i segni, oltre le prove...  per essere provati e per riuscire ad entrare con Dio nel regno di Dio.San Paolo nella seconda lettura ci esorta a vivere quello che lui vive,lo fa con parole semplici ed accorate,piene di amore e di gratitudine verso Gesù che lo ha cambiat,e che ha sconvolto in bene la sua vita:Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Ascoltiamo la sua preghiera e cerchiamo di fidarci una volta per tutte di Gesù, fino a poter dire come Paolo,non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me"

mercoledì 1 agosto 2012

(Mt 13,44-46) Vende tutti i suoi averi e compra quel campo

"VANGELO DI MERCOLEDì 1 AGOSTO
(Mt 13,44-46) Vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito, e aiutami a capire e ad esprimere il senso della parola che tu hai ispirato a chi ha scritto per noi queste pagine stupende, decalogo di vita per entrare nel regno dei cieli.

Una volta che abbiamo incontrato Gesù, la nostra vita cambia, e facciamo quello che Lui stesso ci ha chiesto, lo seguiamo, trascinati dall’amore che ci attrae come se fosse una calamita, perché mai ci capiterà più nella vita di incontrare un amore così. Ecco perché vale la pena di mollare tutto e di seguirlo. Mi fa sognare l’ idea di conquistare un pezzettino di terra nel regno dei cieli, anche se solo di un angolino di paradiso. Non sarà facile comprendere bene quali sono i veri valori della vita, il senso dell’amore di Dio, perché non ci mette davanti un Dio vincente sulla terra, ma quando riusciamo a seguire la sua parola, riusciamo a vedere la sua bellezza, allora sì che sapremo di avere a disposizione il tesoro più grande ed il resto non avrà più senso. Passiamo la vita nella ricerca di qualcosa di reale, di grande, di immenso che ci riempia, ci appaghi, dia un senso al nostro andare, al nostro costruire qualcosa.... e questo è il senso della mia vita di figlia di Dio.
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S'inculchi ancora più volte l'amore a Dio. Chi non prende amore a Dio, ma si astiene dal peccare solo per timore dell'inferno, sta in pericolo di tornare a cadere, quando cessa quella viva apprensione di timore. Ma chi giunge ad innamorarsi di Gesù Cristo, difficilmente cadrà più in peccato mortale. Ed a ciò giova molto il pensare alla Passione di Gesù Cristo. (Sant'Alfonso Maria de Liguori).
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NEL MIO BLOG MALANDATO,TROVATE DA QUI IN POI TUTTO IL LIBRO DI SANT'ALFONSO MARIA DE LIGUORI:PRATICA DI AMARE GESù CRISTO,UN LIBRO MERAVIGLIOSO E SEMPLICE,PER CHI VUOLE VERAMENTE SEGUIRE GESù.RINGRAZIO OGNI GIORNO,PREGANDO PER LUI,PADRE ANDREA MANCA CHE ME L'HA REGALATO.
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per i commenti e le versioni in francese -inglese e spagnolo,nell'area discussioni di : http://www.facebook.com/group.php?gid=136929857240 

oppure sulla nuova pagina: http://www.facebook.com/pages/COME-SI-ENTRA-IN-PARADISOVANGELO-E-RIFLESSIONE-DEL-GIORNO/206580436049815?ref=ts

lunedì 30 luglio 2012

(Mt 13,36-43) Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.


VANGELO
 (Mt 13,36-43) Come si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e illuminaci, a me che scrivo, a te che leggi,a noi che ti ascoltiamo. Fa che tutto sia comprensibile ai nostri orecchi, perchè tu stesso hai detto, chi ha orecchie per intendere intenda, e noi affidiamo a te le nostre orecchie,perchè tu le apra.

Dopo averci detto di non estirpare la zizzania, perché solo a Lui spetta questo compito, oggi , il Signore ci parla di quello che sarà il giorno del giudizio. Gli uomini fanno la loro scelta, consapevoli di quello che stanno facendo, e scelgono se appartenere a Dio o a satana, scelgono tra il bene ed il male.
Verrà il Signore Gesù, il figlio dell’uomo e manderà i suoi angeli a raccogliere tutti i peccati e le iniquità e coloro che li compiono e li estirperà dalla terra e li getterà nella fornace ardente dell’inferno, dove per sempre sarà pianto e stridore di denti. La giustizia Divina farà risplendere della luce del Signore coloro che avranno scelto di essere figli di Dio. Avere fede significa credere che tutto questo avverrà e che saremo ripagati delle nostre sofferenze, che finalmente il regno dei cieli è vicino, che questo sulla terra è solo un passaggio, ed anche se non è sempre facile siamo qui solo per fare la scelta giusta. Abbiamo quindi pazienza e fiducia in Dio, perché Lui solo sa quello che è giusto.
Camminare sulla via che il Signore ha tracciato e percorso per noi , che non è sempre facile, è vero, ma almeno sappiamo di essere nel giusto,di poter vivere alla luce, di non avere nulla di cui vergognarci,di non aver fatto del male a nessuno e di aver sempre cercato di fare un po' meglio.Non è così difficile in fondo,n comprenderlo ,ne cercare di vivere amando il prossimo e Dio.
Se da parte nostra c'è il rifiuto di credere in Dio, possiamo comunque amare il prossimo e non ferire nessuno. Quello che spesso invece si riscontra , e mi addolora, è che chi si definisce ateo o agnosta, si scaglia quasi sempre contro la Chiesa, il Papa e i Cristiani, perchè non si accontenta di non credere in Dio, ma si dichiara apertamente nemico di Dio...  questo dovrebbe far riflettere.
Oggi voglio pregare Signore, proprio per chi crede che tu non esista, e sente questa forte avversione per tutto quello che è Sacro, ossia Tuo.
Perdonali Padre, perchè non sanno vedere il nemico, e non riescono a difendersi.
Tu ci insegni che tutti siamo tuoi figli, che tutti siamo amati da te, e che non vuoi che  nessuno si danni.
Ci dici che anche l'empio va amato e proprio perché va amato bisogna lottare e pregare per la sua conversione prima che muoia, prima cioè che si presenti al tribunale di quel Dio che ha bestemmiato e con il quale dovrà fare tutti i conti.
Per quanto ci costi pregare per chi secondo la nostra misera natura umana, nulla meriterebbe, ti chiediamo di accettare questa nostra preghiera, come occasione per loro di conversione e per noi di crescita nell'amore. Fa che possiamo come Gesù dire con il cuore sanguinante, Padre perdonali perchè non sanno quello che f.anno! Amen.

mercoledì 25 luglio 2012

(Mt 13,10-17) A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.


VANGELO
 (Mt 13,10-17) A voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.
 Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:“Udrete, sì, ma non comprenderete,guarderete, sì, ma non vedrete.Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,sono diventati duri di orecchie hanno chiuso gli occhi,perché non vedano con gli occhi,non ascoltino con gli orecchie non comprendano con il cuoree non si convertano e io li guarisca!”.Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».

Parola del Signore
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Aiutami Signore mio, a capire il senso delle tue parole, perchè voglio essere fedele a Te in tutto e per tutto.

"A voi sarà dato" non dice che lo abbiamo meritato,ma che ci è stato dato in dono.
Nessuno più di me,può assicurarvi quanto questo sia vero e gratuito. Ma quello che oggi mi viene voglia di narrarvi,è quanto  quello che io vedo compiere ogni giorno in me, è un miracolo della fede.
Comincia con un piccolo si,con un voglio fidarmi,voglio credere e poi nel tempo cresce fino ad impossessarsi di noi e di tutto il nostro essere. E' gesù quello che ci è dato,è Lui che entra nella nostra casa,nel nostro cuore e ci riempie della sua parola.Il nostro vivere diventa allora grazia e lo diventa in abbondanza. Quel versetto secondo la quale chi tale dono lo ha ricevuto, lo vedrà anche moltiplicarsi e crescere, mentre chi non lo avesse ricevuto vedrà scemare e scomparire quello che pensava di aver capito e raggiunto,mi porta alla parabola dei talenti.
Che stiamo facendo della nostra vita terrena? A quale scopo la stiamo usando? E' fine a noi stessi il nostro vivere, o è meravigliosamente legato al progetto di Dio? Perchè quello che abbiamo ricevuto in dono,non ci serve per essere eterni sulla terra,per essere ammirati ,nè stimati,nè capiti,ma ci serve per vivere da figli di Dio ed entrare nel suo regno per sempre .Questo è comunione con Dio, con la sapienza divina, che nessuno di noi merita,ma che ci viene donata proprio perchè accettiamo di viverla e viverla fino in fondo e, a questo proposito,voglio fare con voi una preghiera.
O Dio  buono, che hai rivelato queste cose ai piccoli e ai puri di cuore, fa che possiamo sempre aver presente la nostra piccolezza e non cadiamo nel peccato di superbia; fa che ci affidiamo sempre completamente a te, e non permettere che mai veniamo ingannati o turbati, perchè noi sappiamo che senza il tuo aiuto, l 'unica cosa grande che abbiamo, è la nostra debolezza. Ascoltaci Signore.

giovedì 12 luglio 2012

SANTA RITA DA CASCIA

https://www.facebook.com/notes/lella-mingardi/santa-rita-da-cascia/10150095055121419


La piccola Rita fra le api
A Roccaporena, un pae­sino dell'Umbria vicino a Cascia, nacque, verso il 1370 da Antonio Lotti e da Amata Ferri di Foligno, una grazio­sa bambina: Margherita. Un lungo nome subito accorciato in Rita.
Non conosciamo il giorno e il mese, ma doveva esser luglio se, come narra la leg­genda, i due genitori, impe­gnati nei lavori di mietitura, non sapendo a chi lasciar la bambina, se la portavano nel campo, dentro a una cesta, avendo cura di sistemarla al­l'ombra. Un colpo di falcetto, uno sguardo al loro tesoro: la piccola è quieta.
Fa caldo, il sole arde. A un tratto si ode un grido: un mietitore si è ferito a un brac­cio, perde sangue. Eccolo che corre al fiume per lavare la ferita. Nell'impeto, per poco non travolge la cesta con la bimba. E resta di sasso.
La culla è diventata un alveare: uno sciame di api bianche ronza intorno alla bambina, qualcuna entra ed esce dalla boccuccia socchiu­sa, altre solleticano le orec­chie e s'insinuano tra i ca­pelli.
Sgomento, l'uomo alza un braccio per scacciare gli inset­ti - ed è proprio il braccio ferito! - ed ecco s'accorge che il sangue non esce più dalla ferita già del tutto rimargina­ta. Cade in ginocchio. E subito si parla di miracolo.
Lo sappiamo: le api non pungono se non sono mole­state, e forse Amata aveva messo tra i pannicelli qualche profumata spiga di lavanda, e le api, come sono solite fare tra i fiori del prato, avevano in­trecciato un loro aereo gioco. Ma il braccio improvvisa­mente guarito?
Questo episodio è raffigu­rato in una tela dipinta tra il 1457 e il 1480, e ancor oggi sono chiamate Api o Apette di santa Rita le orfanelle ospitate presso il Santuario a Cascia.
L'infanzia e la fanciullezza di Rita
Pare che Antonio e Ama­ta fossero già anziani quando nacque Rita. Non erano po­veri perché possedevano un orto vicino a casa e forse un campicello alle Capanne. Di certo si sa che erano entrambi pacieri, cioè mediatori di pace tra i contendenti: un mestiere difficile e rischioso, ma meri­torio per quei tempi e in quei luoghi in cui litigi, risse e vendette, erano una caratteri­stica della vita sociale.
Pochi giorni dopo la na­scita, Rita fu portata dai geni­tori e sicuramente in compa­gnia di parenti e amici, fino a Cascia per essere battezzata. E così la piccola Rita cre­sceva come crescono tutti i bambini del mondo, un anno dopo l'altro, mentre la vita quotidiana veniva ritmata dai fenomeni meteorologici, dall'avvicendarsi delle stagio­ni, dai lavori in campagna, dalle faccende domestiche.
Fin da piccola Rita, che non aveva né fratelli né sorel­le, manifestò tendenza alla solitudine. Saliva spesso a pregare sul monte Scoglio, si imponeva piccole penitenze. Era dolce, riflessiva e, sul­l'esempio dei genitori, impa­rò presto a occuparsi del pros­simo.
È certo che imparò a leg­gere e a scrivere dai religiosi del tempo. Ma quel che è an­cora più sicuro ed evidente e che nella fanciullezza e nell'adolescenza di Rita non c'è assolutamente niente di sensazionale e di straordinario, se non una esemplare fedel­tà all'insegnamento religio­so impartito dai suoi genitori. Possiamo tutt'al più immaginare che Rita si recasse di tanto in tanto a Cascia con i genitori o con qualche ami­ca, per partecipare alle fun­zioni più solenni, per ascoltare celebri predicatori, per con­fessarsi, per fare acquisti nei negozi di alimenti e di stoffe. O forse per una visita ai due monasteri delle suore ago­stiniane, Santa Maria Madda­lena e Santa Lucia. Nei paesi casciani le vocazioni erano numerose: a quel tempo le ra­gazze già a dodici anni pote­vano contrarre matrimonio o decidere di entrare in con­vento
Rita ubbidisce ai genitori e si sposa
Fu in quegli anni della sua adolescenza, che Rita sentì sbocciare nel suo cuore quel­l'amore a Cristo, a Cristo Crocifisso, che avrebbe alla fine dominato tutti i suoi pen­sieri e i suoi affetti. È proba­bile che avesse espresso ai genitori il desiderio di consa­crarsi a Dio, ma Antonio e Amata, ormai alle soglie della vecchiaia, avevano già altri progetti per la loro figliola.
A tredici anni Rita era una bella ragazza: non molto alta (m. 1,59), slanciata, oc­chi castani, folti capelli bion­di, zigomi pronunciati, labbra sottili, un incantevole sorriso.
Un giorno la mamma la chiamò e le disse che era tempo di pensare a un marito, anche il padre era d'accordo (anzi, insieme, avevano già posato lo sguardo su qualche giovane per bene) e subito le spiegò quali erano i doveri di una buona moglie.
Rita non si preoccupò di quell'annuncio: secondo le leggi in vigore a Cascia, un matrimonio non poteva vera­mente realizzarsi prima che la donna avesse compiuto i quin­dici anni: gliene restavano an­cora due per prepararsi a quel­l'evento, e in due anni tante cose potevano cambiare.
Ma Rita già sapeva che avrebbe ubbidito ai genitori, perché erano buoni, si preoc­cupavano per lei, e perché aveva imparato che amare e ubbidire sono la stessa cosa. Dopo tutto apprezzava la sol­lecitudine che aveva anso i suoi cari nella ricerca di un uomo che vegliasse sulla loro figliola tanto giovane ancora. E si commosse rendendosi conto - e traendone un'ulte­riore lezione - del vero amore che aveva legato la mamma e il babbo per tanti anni, e del­l'amore di entrambi per lei.
Accettò dunque di diven­tare sposa di un tal Paolo di Ferdinando Mancini, un «uo­mo d'armi», che aveva il gra­do di ufficiale e comandava una guarnigione di settanta­cinque soldati e un'alta torre quadrata di vedetta.
Il matrimonio venne ce­lebrato intorno al 1385, quando Rita aveva circa di­ciotto anni e suo padre aveva passato i novanta. C'erano modalità precise da seguire.
Il giorno stabilito Paolo mandò un gruppo di amici a prendere la sposa, già in attesa sulla soglia della casa paterna. Durante il breve tragitto Rita, radiosa di giovinezza, ricevet­te sorrisi e auguri; le ferree leggi non permettevano però che accettasse doni.
Paolo le andò incontro, l'abbracciò, l'accompagnò dentro: la tavola era apparec­chiata per un lieto convito.
La settimana seguente toccò ai Lotti offrire un pran­zo, cui Paolo partecipò coi pa­renti, tre uomini e tre donne, una delle quali aveva recato, secondo l'uso e per conto di Paolo, un canestro coltro di cibarie.
La sera gli sposi tornarono a casa per realizzare le loro speranze con l'aiuto di Dio e l'impegno della loro buona volontà.
Amata e Antonio, già anziani, non sopravvissero a lungo alla celebrazione del matrimonio della figlia.
La vita di Rita, sposa e madre
Dopo la morte dei genito­ri cominciò per Rita un pe­riodo difficile. Gli storici so­no quasi tutti concordi nel descrivere Paolo come un uo­mo rude, violento, rissoso; ma possibile che i Lotti, che adoravano la figlia, l'avessero data in sposa a un mascalzone, a un uomo corrotto? Era un giovane di buona famiglia e amava Rita.
Certo, era un soldato, non poteva aver modi da «cavalier cortese», ma Rita aveva edu­cazione, sensibilità, tempera­mento, si accontentava di poco e sicuramente amò Pao­lo per quel che era.
Fu un'ottima moglie, buo­na, allenata alla pazienza, e pregare l'aiutava. Svolgeva i suoi compiti con serenità: preparava i pasti, teneva in ordine la casa, lavava i panni al lavatoio pubblico, andava a prender acqua alla fontana e la sera attendeva con trepi­dazione l'arrivo del consorte che spesso tardava.
Rita e Paolo ebbero due figli gemelli e casa Mancini risuonò di trilli e di risate. Che bella famigliola doveva essere! Un uomo forte, una donna tutta carità e amore, due bimbi esuberanti... Trop­po bello per durare.

Un brutto episodio
Una brutta mattina Rita aprì la porta di casa e inorridì: lì sulla soglia giaceva riverso, straziato da una pugnalata al petto, il corpo senza vita di Paolo.
La donna scoppiò in un pianto disperato: che fare? Chiamar gente, o vincere l'angoscia e l'orrore e traspor­tare in casa il suo uomo, lavar­lo, comporlo per la veglia fu­nebre e nascondere ai figli l'orrendo spettacolo di quella camicia insanguinata per non suscitare in loro - fieri e ribelli come il padre - propositi di vendetta?
Rita non urlò il suo im­menso dolore, lo offerse a Dio.
Correva l'anno 1402.

Rita non vuole vendetta e prega per i figli
«A coltello si risponde col coltello».

Rita tentava in tutti i modi di cancellare dal cuore dei fi­gli l'odio e il rancore, di sosti­tuirvi sentimenti di pietà e di perdono, ma soltanto il buon Dio poteva aiutarla. Perciò sempre più spesso, d'estate e d'inverno, saliva al monte dello Scoglio per pregare l'Onnipotente affinché le concedesse la grazia di far in­tendere ai gemelli il linguag­gio della carità cristiana.
Si macerava nei digiuni, visitava gli ammalati, le per­sone anziane e sole, compiva per loro i lavori più umili, dava ai poveri tutto ciò che poteva e chiedeva a Dio che riservasse a lei sola angosce, tribolazioni e magari il marti­rio, ma liberasse i figli, che ormai avevano dodici - tredi­ci anni e conoscevano bene il nome degli assassini, dai cat­tivi proponimenti.
Un giorno, disperata, offrì i figli a Gesù: «Signore, dolce amore, non permettere che la loro anima si macchi di un'as­surda vendetta. Lévali dal mondo, piuttosto: io te li dono, fa' di loro secondo la tua vo­lontà».
Non sappiamo se, come vuole la tradizione, i ragazzi veramente si ammalarono e morirono di qualche malattia infettiva, o se - secondo altre testimonianze - Rita affidò i figli a parenti che abitavano lontano da Cascia e quindi vissero a lungo. (Un quadro dell'epoca ritrae Rita morente coi due figli inginocchiati ai piedi del letto).

In un modo o nell'altro - morte o esilio - il cuore della madre pianse lacrime di san­gue.
Rita desidera la pace di un convento



Rita ora era sola, ma an­cora molto giovane e ricca di energie. I direttori spirituali e i predicatori consigliavano volentieri il monastero alle vedove senza impegni.
Rita era una solitaria che voleva servire: anche lei sem­pre più spesso e più ardente­mente desiderò la pace e l'at­tività del chiostro.
Doveva esser facile - pen­sava Rita - trovar posto in un convento: a Cascia e nei dintorni sorgevano ben set­tanta chiese, nove monasteri e una infinità di eremi e di romitori.
Da ragazza, Rita aveva frequentato spesso il conven­to di Santa Maria Maddalena: perché non tornare lì?
Un giorno si presentò alla madre badessa e la pregò di accoglierla come novizia. Secondo l'uso la superiora con­sultò le consorelle, e la rispo­sta fu un deciso No. Le ragioni del rifiuto erano motivate: Rita si lasciava alle spalle un omicidio impunito, un conto aperto, prima o poi la faida sarebbe esplosa; era anche noto che tra Rita e i Mancini esisteva­no diversità di vedute. Meglio non correre rischi. Rita non s'adombrò: era paziente, sapeva aspettare; a chi le chiedeva come mai non si ritirasse nella pace di un convento come altre vedove casciane avevano fatto, ri­spondeva sorridendo che le porte del monastero non si erano ancora schiuse per lei. La pazienza, si sa, è una delle prove che Dio chiede agli uomini, ed è la più eroica del­le virtù, proprio perché non ha nessuna apparenza di eroico.

La conversione dei suoi parenti


Ma un giorno (erano tra­scorsi cinque anni dalla morte di Paolo), bussarono alla casa di Rita due fratelli Mancini: erano affaticati, coperti di polvere e di cicatrici, chissà da dove arrivavano e a quali peripezie erano scampati.
Salutarono Rita in modo insolito: «Pace a te, Rita. Pace a te, cara cognata». E pro­nunciarono parole consolan­ti: avevano perdonato agli as­sassini di Paolo; tutti i Manci­ni avevano perdonato. Erano pronti a firmare, davanti a testimoni, l'atto di pace che sarebbe stato trascritto nei registri del Comune. Rita scoppiò in singhiozzi e cadde in ginocchio: Dio grande e misericordioso le aveva concesso la grazia in cui non osava più sperare.

Rita «entra» in monastero

 
Ora non esisteva più ra­gione per cui la badessa di Santa Maria Maddalena non dovesse aprirle le porte. Ma non dovette nemmeno com­pierlo, questo gesto: Dio ave­va disposto altrimenti.
La leggenda narra che in una buia notte di tempesta Rita stava pregando sul mon­te Scoglio quando si sentì prender per mano e trasporta­re, lieve come piuma, fino al chiostro del monastero, al di là delle finestre ben chiuse, oltre il pesante portone sbarrato e ben munito di chiavistelli.
Nell'attimo in cui Rita pose piede a terra, le si rivela­rono prima di sparire i suoi tre misteriosi accompagnatori: erano san Giovanni Battista, sant'Agostino, Nicola da Tolentino.
Quando all'alba le suore si radunarono al suono della campanella, scoprirono Rita prostrata in preghiera «den­tro» la loro casa. Fuori di sé dalla meraviglia la subissarono di domande. Ma lei non seppe rispondere altrimenti che col suo disarmante, dol­cissimo sorriso.
Venne dunque accettata e cominciò l'anno del novizia­to, l'anno cioè di prova e di preparazione alla vita mona­cale.
In quei mesi toccarono sempre a Rita, paziente e ob­bediente, le attività più umili, come sbucciare patate, lavar panni e stoviglie, zappare l'or­to e, ohibò! vuotare e deterge­re i vasi da notte. Le sue mani diventavano rosse, gonfie, si screpolavano, sanguinavano: nel segreto della sua cella Rita offriva tutto a Gesù, lieta di soffrire con lui e per lui.

Vende i suoi beni e si consacra al Signore



Poco dopo il suo arrivo in convento, Rita si recò dal notaio Domenico Angeli, che la conosceva bene, perché intendeva liberarsi di tutti i suoi beni: casa, risparmi, ter­reno.
Il notaio, perplesso, obiet­tò: «Ma Rita, non hai ancora pronunciato i voti; aspetta, potresti sempre ripensarci!»
In effetti qualche volta la nostalgia la pizzicava, un vago tormento la inquietava: «E se tornassi alla mia casa, al mondo che sta fuori?» Ma sa­peva bene che si trattava di ten­tazioni che doveva cacciare: «Vendete tutto - ordinò al nota­io - e il ricavato sia trasformato in pane per i poveri».
E su queste parole sfilò dall'anulare anche la fede nu­ziale.
Trascorso l'anno, pronun­ciò i voti di povertà, castità e obbedienza.
In ginocchio, le mani giunte, davanti all'altare, dis­se con voce chiara: «Io Rita, liberamente e pubblicamente voglio offrire la mia persona a Dio onnipo­tente, al beato Agostino, alla beata Maria Maddalena, e prego te, madre badessa, di accettare questa mia volontà a nome e da parte di tutto il monastero, promettendo di vivere sempre in detto luogo, la conversione dei costumi in obbedienza, castità e povertà, e di privarmi di ogni cosa per­sonale per tutto il tempo della mia vita... »
Dopo la lunga cerimonia che aveva compreso il taglio delle bionde trecce, la ve­stizione, e poi le congratula­zioni e le lodi della badessa («Ecco una nuova sposa del Signore... Ecco una nuova sorella per la nostra comuni­tà... ») venne offerto nel re­fettorio un piccolo ricevi­mento con vino frizzante e paste dolci. Le monache as­saggiarono tutto, Rita non toccò nulla: si sentiva già sa­zia. Desiderava soltanto riti­rarsi nella sua cella per rin­graziare il Signore.
La sua vita nel monastero


Un anno dopo l'altro (ne sfileranno quaranta) Rita, ape laboriosa, visse nel monastero di Santa Maria Maddalena. La sua natura generosa la ren­deva indispensabile a tutte le consorelle, giovani e anziane, sane e ammalate.
«Solerte, ubbidiente, silen­ziosa» avrebbe potuto scrivere la badessa sui suoi registri.
Quando stava a Rocca­porena, Rita visitava spesso il lazzaretto situato a un centi­naio di metri da casa sua: dapprincipio le era stato dif­ficile sopportare i lamenti, le invocazioni dei pazienti, e so­prattutto il cattivo odore del­l'ambiente e della carne cor­rotta dalla malattia. Poi nel nome di quel Gesù che aveva detto: «Chi farà del bene al­l'ultimo dei miei fratelli lo farà a me» aveva superato il disa­gio e il disgusto, ed era riuscita a vedere nel povero e nell'am­malato un fratello, Gesù stesso.
Per questo un giorno aveva supplicato la badessa di permetterle di aiutare chi sof­friva. Così aveva continuato a portar piccole provviste di cibo a persone anziane sole, a me­dicare piaghe e ferite, a cam­biare fasciature, finché il Si­gnore la impegnò in una prova ancor più ardua spingendola verso i lebbrosi accampati nelle campagne fuori città.
Rita trascorreva molte ore anche in parlatorio; in com­pagnia di una consorella rice­veva ammalati, vittime di prepotenze, anziani abbando­nati, ragazze in crisi, madri dubbiose o disperate. Tutti chiedevano il conforto di una preghiera, l'aiuto di un consi­glio, e la piccola suora, esperta di problemi familiari e so­ciali, trovava ogni volta la so­luzione giusta. Col suo tratto signorile sapeva ridare fiducia e speranza. Chiunque l'avvi­cinasse era conquistato dal suo fascino indescrivibile; la be­nedizione che ella impartiva ai visitatori lasciava un segno. Era davvero una forza: vera­mente riusciva a cambiare il cuore delle persone.
Unita alle sofferenze di Gesù
Quell'anno - era forse il 1432, Rita aveva compiuto il suo cinquantesimo anno - tutta Cascia si era data conve­gno per ascoltare un famoso predicatore, Giacomo della Marca, un frate minore francescano.
Il frate parlò di Gesù e della sua passione.
Rita ascoltava con l'ani­mo colmo di compassione. Quando ritornò al convento, si fermò nell'oratorio a pian terreno e si lasciò andare da­vanti al Crocifisso. In ginoc­chio pregò fino al mattino.
Era l'alba quando sentì qualcosa sfiorarle la fronte, qualcosa di lieve come un ba­cio. Si toccò in quel punto, i polpastrelli avvertirono una specie di gonfiore. Quando ritirò la mano, le sue dita era­no tinte di sangue.
Il mistero di questa stimmate commosse le suore, oltrepassò le mura del con­vento. Dentro e fuori il mona­stero si cominciò a dire che Rita era talmente devota a Gesù sofferente che Egli ave­va voluto premiarla donando­le una spina della sua corona, e la spina aveva perforato l'os­so frontale.
E allora accadde che sempre più gente salisse al convento, e non soltanto gente umile in cerca di con­forto o di un consiglio, ma anche soldati, podestà, nobili, principi. Pare che anche Francesco Sforza, che di­venterà nel 1450 Duca di Milano, fosse andato a farle visita.
Rita non faceva niente di straordinario, si limitava a po­che frasi di esortazione al­l'amore e alla carità. Ma in quelle stente parole vibrava tanta passione che umili e potenti ne erano incantati.

Il miracolo della rosa
 






È l'anno 1447. E maggio, ma è ancora. inverno a Cascia, e Roccaporena è sepolta sotto la neve. Da molto tempo Rita è costretta a letto da fortissimi dolori. Resta lunghe ore in preghiera, così immobile che le suore la credono morta: «Parti - invocano a voce alta - o anima cristiana, da questo mondo nel nome di Dio Padre che ti ha creata, nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che è morto per te, nel nome dello Spirito Santo che è stato effuso in te, nel nome di Maria Vergine Madre di Dio, nel nome di san Giusep­pe, del padre sant'Agostino, degli apostoli, dei martiri, delle vergini. Cristo ti collochi nel­le perenni amenità del suo Paradiso, Egli che è il Figlio di Dio; ti riconosca come sua pecorella, Egli che è il vero Pastore... che tu possa vedere a faccia a faccia il tuo Reden­tore e contemplare eterna­mente la chiarissima Verità».
Con un filo di voce Rita fa eco: «Non ricordarti, Si­gnore, dei peccati della mia giovinezza e della mia igno­ranza, ma perdonami secondo la tua infinita misericordia... Vieni, Signore, non tardare».
Chiede che le pongano accanto un grande Crocifisso, vuol poggiare la testa accanto al capo di Gesù incoronato di spine.
In quel momento si af­faccia alla porta della cella una parente di Roccaporena. Rita le sorride e le chiede un favore: torni al paese, entri nell'orto della sua ex casa, colga la rosa bianca appena sbocciata e i pochi fichi ma­turati sullo stento alberello.
La donna scuote il capo: non ci sono rose e fichi quando tira vento di tramontana; gli alberi sono spogli, i cespugli inariditi e dai tetti pendono ghiaccioli come stalattiti.
Ma ubbidisce. Torna a Roccaporena, raggiunge la casa: l'orto è sì coperto di neve, ma sul cespuglio accanto al portale due rose bianche sono sbocciate e sul brullo fico al­cuni frutti sono maturati.
Rita ringrazia, aspira il profumo della rosa e se la posa sul petto; vuole i fichi accanto alla croce.
Benedice le consorelle, chiede alla badessa di bene­dirla, riceve l'Ostia Santa, poi chiude gli occhi e sorride: è pronta per il gran viaggio. Dolcemente si spegne nella notte tra il 20 e il 21 maggio, e tutte le campane di Cascia si mettono a suonare senza che alcuno le abbia toc­cate.