venerdì 15 settembre 2017

(Lc 6,43-49) Perché mi invocate: Signore, Signore! e non fate quello che dico?

VANGELO
(Lc 6,43-49) Perché mi invocate: Signore, Signore! e non fate quello che dico?
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».
Parola del Signore






P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP (San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)
Oggi, il Signore ci sorprende facendo “pubblicità” di se stesso. Non è mia intenzione “scandalizzare” nessuno con queste affermazioni. È la nostra pubblicità terrenale ciò che diminuisce le cose grandi e soprannaturali. È promettere ad esempio, che in poche settimane una persona grassa potrà perdere al meno cinque o sei chili usando un determinato “prodotto-falso’’, (o altre promesse miracolose similari) che ci fa vedere la pubblicità coni occhi sospettosi. Ancora di più quando si ha un “prodotto” garantito al cento per cento e —come il Signore— non vende nulla a cambio di denaro ma soltanto ci chiede di crederGli prendiamolo come esempio e modello di un preciso stile di vita, dunque Gesù il più grande “pubblicitario” di se stesso «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
Oggi afferma che «Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica» è prudente, «è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo profondamente e ha posto le fondamenta sopra la roccia» (Lc 6,47-48), in modo da ottenere una costruzione solida e resistente, capace di affrontare i colpi del mal tempo. Se al contrario, chi edifica non ha avuto questa precauzione, finirà per ritrovarsi davanti un mucchio di pietre demolite e se si trovava all’interno nel preciso momento dello scontro con la pioggia pluviale potrà perdere non soltanto la casa ma anche la propria vita.
Però, non basta avvicinarsi a Gesù, ma è necessario ascoltare con la massima attenzione i suoi insegnamenti e soprattutto, di metterli in pratica, perché anche il curioso si avvicina e anche, l’eretico, lo studioso di storia o filologia... però sarà così che alzeremo il palazzo della Santità cristiana, ad esempio dei fedeli pellegrini e per la gloria della Chiesa Celestiale.

Il silenzio di Maria vertice dell’ascolto.

Il silenzio di Maria vertice dell’ascolto.


 Ci sono molti tipi di silenzio: vi è un silenzio esteriore e uno interiore, vi è un silenzio di stupore ed un silenzio di rabbia, vi è un silenzio annoiato ed un silenzio che sta in ascolto. Molte volte il silenzio è segno di assenza, di disinteresse, di morte ma, qui, vorrei parlare della pratica spirituale del silenzio, cioè vorrei parlare di quel silenzio che, perseguendo una maniera di comunicazione diversa da quella che si dà nella parola, si affida al silenzio. Grossomodo possiamo dire che, sotto questo profilo, vi sono due grandi maniere di intendere il silenzio: quella sapienziale e quella mistica. 1. Il silenzio sapienziale La prima è ampiamente testimoniata nelle scritture: è la prospettiva sapienziale, è quella prospettiva che percependo la grandezza potente e sconcertante di Dio zittisce. Vorrei richiamare due esempi. Prendo il primo dal testo di 1Re 19 che presenta Elia, un uomo impaurito dalle minacce di Gezabele, in marcia verso la montagna dove Israele aveva avuto la sua prima esperienza di Dio. Quel Dio che non è nel vento, nel terremoto e nel fuoco, si rivela in una qol demamá daqà, cioè letteralmente in una voce di silenzio sottile. La recente traduzione CEI – il sussurro di una brezza leggera – è forse migliore della precedente che parlava del mormorio ma né il sussurro né il mormorio riescono a rendere veramente l’ossimoro «voce di silenzio». Il senso è che Dio non può essere racchiuso in schemi umani né in quelli del grandioso e dello straordinario né in quelli della dolcezza: Dio è la voce del silenzio, quel silenzio che l’aggettivo “sottile” precisa come capace di insinuarsi nei cuori e nella mente delle persone. Prendo il secondo dal lavoro di A. Neher, L’esilio della Parola (Marietti, Casale Monferrato 1983) dove l’autore avvicina l’esperienza di Dio ad Auschwitz e si chiede dov’era Dio di fronte alle esperienze crudeli e terribili della Shoà. Di fronte ai drammi del male, Dio apparentemente tace, sta in disparte ed il suo silenzio si impone al credente chiamato ad un atteggiamento nuovo di preghiera, di testimonianza e di profezia. «Dio si è ritirato nel silenzio – scriverà – non per evitare l’uomo ma per incontrarlo»: in questa situazione, tocca all’uomo riprendere e riformulare le parole non-dette di Dio. Mi viene facile pensare al testo di Mt 14 dove la barca dei discepoli è agitata dal mare della paura e del dubbio mentre Gesù se ne sta solo sul monte a pregare. È da lì, da una condizione di silenzio e di preghiera che va incontro alla sua comunità; l’importanza di questo modo silenzioso ed orante di accostare le persone sarà ripreso anche da Mc 14 nel racconto del Getsemani. Il silenzio sapienziale è l’atteggiamento che la persona umana prende di fronte alla esperienza della presenza di Dio: ogni pretesa umana deve tacere per liberare così lo spazio di una purificazione, di una adesione a Dio. Basta richiamare i testi di Ab 2,20; Zac 2,17 per ricordare questo silenzio che si impone a tutta la terra e ad ogni mortale quando si pone 1 davanti al Signore. Questo silenzio sapienziale è il silenzio che si fa invocazione perché Dio parli ed attenzione al suo ascolto. Una simile visione, poiché rimanda ad una esperienza umana, si ritrova anche in molti saggi. Confucio ad esempio osserva: «il silenzio è un amico fedele che non tradisce mai» mentre Kahlil Gibran scrive che «soltanto avendo bevuto dal fiume del silenzio, tu potrai cantare». Del resto anche i nostri proverbi insegnano che «il silenzio è d’oro» mentre le scritture ricordano che «vi è un tempo per tacere ed un tempo per parlare» (Qo 3) tanto che «anche lo stolto, se tace, passa per saggio» (Pro 17). Nel suo lavoro Buddismo e Occidente (Jaca Book, Milano 1987, 255), H. de Lubac indicherà questo insieme di dati come una pars purificans che si può ritrovare anche in altre religioni; il silenzio sapienziale introduce a quello mistico. 2. Il silenzio mistico Il silenzio mistico non è oggetto delle scritture perché, nella sua sostanza, sta al di là delle parole ma è solo alluso. Possiamo cioè recuperarne il senso attraverso alcune parziali indicazioni: se ne trova l’eco nel rispetto chiesto a Mosé (Es 3) perché possa avvicinarsi al roveto ardente, nella purificazione delle labbra imposta ad Isaia (Is 6) perché possa annunciare degnamente la Parola o nelle esperienze di Paolo (1Cor 2) quando richiama ciò che mai occhio vide, né orecchio udì né mai entrarono in cuore d’uomo. Questi momenti di purificazione introducono a qualcosa di indicibile, a qualcosa che sta oltre; per dire di più è alla tradizione spirituale che dobbiamo guardare. Questo profondo silenzio interiore appartiene alla tradizione spirituale cristiana. Qui vorrei richiamare tre brani presi, il primo, dalle Confessioni di S. Agostino (354-430), il secondo da una lettera di un monaco, P. Giannoni dell’eremo di Mosciano (FI) ed il terzo da Miguel de Molinos (1628-1696): l’autore è stato condannato per gli errori del quietismo che, riconducendo ogni cosa a Dio, non lasciava spazio alla libertà umana ma il passo che qui riportiamo si appoggia ad antecedenti che risalgono ad una vera tradizione monastica. Il passo di Agostino narra la singolare esperienza di contemplazione che Agostino e Monica hanno ad Ostia prima di imbarcarsi sulla nave per l’Africa. «Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi, cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi. […]Elevandoci con più ardente impeto d'amore verso l'Essere stesso, percorremmo su su tutte le cose corporee e il cielo medesimo … e ancora ascendendo in noi stessi … giungemmo alle nostre anime e anch'esse superammo per attingere la plaga dell'abbondanza inesauribile … ove la vita è la Sapienza […]. E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la 2 cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito… Si diceva dunque: "Se per un uomo tacesse il tumulto della carne, tacessero le immagini della terra, dell'acqua e dell'aria, tacessero i cieli, e l'anima stessa si tacesse e superasse non pensandosi, e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che nasce per sparire, se per un uomo tacessero completamente, sì, perché a chi le ascolta tutte le cose dicono: "Non ci siamo fatte da noi, ma ci fece chi permane eternamente"; se, ciò detto, ormai ammutolissero, per aver levato l'orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più con la bocca delle cose ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne … ma lui direttamente, da noi amato in queste cose, lui direttamente udissimo senza queste cose … non sarebbe questo l'"entra nel gaudio del tuo Signore"?» (Agostino, Le Confessioni IX, 10). Il secondo testo si lascia alle spalle una concezione negativa del silenzio, propria di chi non ha nulla da dire e prova a chiarirne il valore spirituale: «il silenzio non è assenza del mondo ma patria delle voci. Chi è stordito dal rumore non accoglie l’infinito; […]il silenzio invece è l’accogliere quell’oltre-che-è-il-vero-di-tutto, perché costeggia le sponde dell’infinito. A volte ci coglie la tristezza di vivere in una Chiesa che non sa farsi “ricreare dal silenzio”: quante volte i riti sommano parole a parole senza spazi di silenzio come adorazione, sosta di accoglimento, contemplazione dei simboli. Non è forse un segno di volgarità il gettarsi fuori, senza vivere gli inaccettati silenzi di Gesù, i lunghi silenzi che Dio impone a se stesso perché abbia luogo la libertà umana? Il monaco vive il prezioso e nascosto gioire della vita nel silenzio che ascolta: ascolto dello Spirito che unisce al Padre; ascolto della Parola di vita; ascolto delle parole della vita di tutti. […]Nel silenzio del suo eremo, il monaco vive il privilegio di portare silenziosamente a Dio il “rumore” della storia, per rendere presenti i ritmi della vicenda umana. Quando l’orante porta a Dio il segreto bisogno di tutti, ha la certezza che il vagare lascia il posto all’andare verso una meta, verso l’approdo» (Lettera). Il terzo testo è più didascalico e meno esperienziale: «Tre modi vi sono di silenzio. Il primo è di parole, il secondo di desideri e il terzo di pensieri. Il primo è perfetto, più perfetto è il secondo e perfettissimo il terzo. Nel primo – di parole – si raggiunge la virtù; nel secondo – di desideri – si ottiene la quiete; nel terzo – di pensieri – il raccoglimento interiore. In esso Dio parla con l’anima, si comunica, le insegna nel suo più intimo la più perfetta e alta sapienza» (Manducatio spiritualis (1687) I, 17). Quasi nel tentativo di trovare una sintesi tra queste diverse maniere di intendere il silenzio Ramon Panikkar (L’incontro indispensabile: dialogo delle religioni, Jaca Book, Milano 2001, 33) lo collocherà nell’ambito del dialogo tra persone diverse e tra l’uomo e Dio e lo vedrà come la radice di questo misterioso colloquio: «il dialogo non è semplice discussione. Proviene da una sorgente più profonda e più interna della stimolazione che riceviamo dagli altri. Questa sorgente può essere chiamata silenzio o, forse, l’umana sete per la verità». 3. Il silenzio di Maria È in questo contesto che possiamo collocare il silenzio di Maria. I testi che più sviluppano la tematica mariana sono il vangelo di Luca e quello di Giovanni; questi due testi riportano nel loro insieme alcuni atteggiamenti e alcune parole di Maria. 3 Gli atteggiamenti sono sempre legati allo sconcerto che l’agire di Dio provoca nella vita umana: iniziano come il turbamento di chi si interroga sul senso del saluto dell’angelo (Lc 1,29); in seguito il turbamento è sviluppato come stupore e angoscia per il non capire quel figlio così singolare (Lc 2,47-48.50; Mc 3,21. 30-35); nello stesso tempo diventa un intuire qualcosa del segreto di quella persona che pure era suo figlio ed è descritto come un meditare, un ripensare, un confrontare momenti diversi dell’agire di Dio (Lc 2,19. 51b); viene poi tradotto in una certezza che da una parte osa affidare al figlio i bisogni dell’umanità e dall’altra si abbandona comunque al volere di Gesù secondo la formula della alleanza (Gv 2,3. 5); infine, per ultimo, si esprime in un silenzio partecipativo alla passione redentrice del figlio: nel punto più alto del suo cammino, ai piedi della croce, Maria tace. Ormai Maria è nella piena comunione con il Figlio: partecipa alla sua morte e alla sua preghiera (Gv 19,26-27; At 1,14). Quando la prima comunità cristiana vorrà interpretare il mistero di questa vita, lo farà attribuendo e adattando a lei un canto di liberazione e Maria indicherà nella gioia di una umile serva, nella beatitudine di colei nella quale Dio ha compiuto grandi cose e nella contemplazione di una misericordiosa potenza che ha rovesciato il mondo dei superbi, dei potenti e dei ricchi il segreto della sua personalità. Al vertice di questi atteggiamenti vi è il silenzio contemplativo della croce. Non si può commentare questi atteggiamenti se non con le parole di un’altra mistica, Chiara Lubich, che – in L’unità e Gesù abbandonato (Città nuova, Roma 1984, 59) – così commentava l’opera di Cristo: «il vertice del suo amore è il culmine del suo dolore. In Gesù abbandonato è rivelato infatti tutto l’amore di Dio». Ma il mistero di Gesù abbandonato è anche il vertice degli atteggiamenti di Maria ed il suo stile di vita altro non è che la trasparenza di un abbandono al disegno di Dio. Essa sa bene che questo mistero interiore non può essere vissuto a parte delle relazioni umane in cui è inserita: per questo in ogni momento vive e parla in modo che la sorgente stessa della sua vita interiore possa esprimersi. Non fa crociate contro il mondo ma lascia fluire la sua vita interiore in un mondo di relazioni: farà sua la fede di Abramo (Lc 1,38) ed Elisabetta gliela riconoscerà (Lc 1,45), tradurrà la fede in una attiva carità tanto che Elisabetta parlerà di lei usando i termini con cui si designava una vicenda di quell’arca della alleanza (Lc 1,41) che era il simbolo della protezione che Dio riservava la suo popolo. In Gv 2,5 fa sua la celebrazione 4 della alleanza di Giosué a Sichem e in Gv 19,25-27 adora in un silenzio orante il mistero della nostra redenzione. Questo mistero di vita, questo stile con cui Maria affronta la sua vita non è una sorta di rifugio ma è il modo trasparente della sua partecipazione al disegno di Dio; il segreto della sua personalità è una contemplazione del Padre e della sua rivelazione in Gesù spinta al punto tale che questa contemplazione diventa il criterio del suo comportamento, diventa la ragione della sua vita esterna. L’oggettività della sua contemplazione e la realizzazione di questa in una esperienza di vita si fondono al punto tale che non abbiamo più due realtà ma una contemplazione che si completa nella vita: senza di essa, la stessa contemplazione mancherebbe di qualcosa. Ora poiché della vita fa parte il nostro mondo di relazioni con amici e vicini, con credenti e non-credenti, lo stile contemplativo di vita deve lasciare che la radice di comunione con Cristo e la sua verità si saldi con l’esperienza umana del bisogno di altri fino ad essere loro prossimi, fino ad imparare da loro. In poche parole Maria si modella su Gesù; come, in modo sintetico, scriverà J. Alfaro in Maria. Colei che é beata perché ha creduto (Piemme, Casale Monferrato 1983, 32): «non é Maria che fa di Cristo suo figlio ma Cristo che fa di Maria sua madre». Totalmente concentrato su Gesù, lo stile contemplativo di Maria è uno stile di vita umile e semplice, è lo stile di chi, senza impancarsi a maestra, sa però creare lo spazio in cui emerge la verità di quell’amore in cui le persone trovano la libertà e la pienezza che vanno cercando. In questa prospettiva di contemplazione, il silenzio è «lo spazio nel quale lo spirito può aprire le ali» (A. de Saint-Éxupery). Aprendo le ali del suo spirito, Maria vive ogni momento nella luce della comunione materna con il Verbo e questo la porta ad una totale concentrazione su ogni attimo, su ogni momento: non vive di nostalgia del passato e non cerca fughe nel futuro ma gusta ogni momento, vive ogni istante come chi, intuendovi il segreto calice del volere di Dio, vi aderisce abbracciandone la volontà. Il contemplativo non ha fretta: è contento di ciò che vive e dispiega un ritmo di vita in cui sa trovare la gioia del presente ed il seme del futuro. Ed è nella pace. È nella pace quando è davanti a Dio, quando ascolta le persone e quando traffica le cose quotidiane; la sua guida è quello Spirito che in lui grida Abbá. Potremmo quasi dire che il contemplativo è quasi una rinascita della spiritualità degli anawim: sa cogliere e vivere il prezioso dono della vita, il suo senso 5 nascosto. Quando questo avviene, la sua vita appare in sintonia con le parole del Sal 23, l’inno degli anawim: non manco di nulla, non temo alcun male perché tu sei con me, felicità e grazia mi saranno compagne. Mi viene in mente un passo di Jean Paul Sartre che interpreta a fondo il mistero della maternità di Maria provando ad illuminare il singolare mistero di questa maternità. È un passo scritto per uno momento di Natale nel campo di prigionia di Trier in cui era prigioniero durante la seconda guerra mondiale. Scrive così: « La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo volto è uno stupore ansioso che è comparso una volta soltanto su un viso umano. Perché il Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. L’ha portato in grembo per nove mesi, gli offrirà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. Qualche volta la tentazione è così forte da farle dimenticare che è Dio. Lo stringe fra le braccia e dice: “Bambino mio”. Ma, in altri momenti, resta interdetta e pensa: là c’è Dio e viene presa da un religioso orrore per quel Dio muto, per quel bambino che incute timore. Tutte le madri, in qualche momento, si sono arrestate così di fronte a quel frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino, sentendosi in esilio davanti a quella vita nuova che è stata fatta con la loro vita e che è abitata da pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato strappato più crudelmente e più rapidamente di questo a sua madre, perché è Dio e supera in tutti i modi ciò che essa può immaginare. Ma penso che ci siano anche altri momenti, fuggevoli e veloci, in cui essa avverte nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo bambino, ed è Dio. Lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatto di me, ha i miei occhi, la forma della sua bocca è la mia, mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia. Nessuna donna ha mai potuto avere per sé il suo Dio per sé sola, un Dio bambino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che ride. È in uno di questi momenti che dipingerei Maria se fossi pittore» (J.P. Sartre, Bariona o il figlio del tuono. Racconto di Natale per cristiani e non credenti, Marinotti Edizioni, Milano 2003). Non a caso, in questo stesso testo, discutendo il senso di una maternità in un mondo problematico come quello di allora e come il nostro di oggi, chiarirà che «fare un figlio è approvare la creazione del mondo dal fondo del proprio cuore» (Ivi, 91). 4. Il silenzio di Maria lezione per noi La lezione che Maria ci lascia la presenza e il valore del silenzio contemplativo nella nostra vita; questa scelta chiede il recupero di alcuni atteggiamenti antropologici come il primato dell’essere sull’avere, l’importanza religiosa del silenzio, un corretto rapporto con la dimensione comunitaria della vita e via dicendo. Ciò che in questi anni difficili abbiamo imparato in termini di professione di fede, di impegno nella carità, di coerenza di vita e di ecclesialità della fede non va abbandonato ma deve trovare nella dimensione contemplativa la sua base e il suo sostegno. Il card. C.M. Martini descrive la dimensione contemplativa della vita in modo semplice e naturale come l’aprire gli occhi sulla dimensione profonda della vita e 6 l’accorgersi che l’amore di Dio ci avvolge e ci accompagna (C.M. Martini, La dimensione contemplativa della vita. Lettera pastorale per l’anno 1981, Milano 1980). È questa dimensione profonda che dà senso ad una vita di fede: non si dà azione o impegno che non sgorghi da qui, da una vita segnata dall’amore di Dio, da lui salvata e resa significativa per il bene dell’umanità. Per quanto Giovanni osservi che all’inizio vi era la Parola, il Verbo, è chiaro che all’inizio della nostra vita sta un disegno ed una volontà divina d’amore; all’inizio della nostra vita sta qualcosa che non ci appartiene, che non viene da noi e che dobbiamo imparare a riconoscere. Non è sbagliato pensare che questo riconoscimento implichi la ricerca e l’adesione al disegno di Dio, l’ascolto della sua Parola, l’impegno per accoglierla; questa tensione per qualcosa che sta fuori di noi, oltre noi, può ben essere descritta come silenzio, come svuotamento di sé per essere disponibili a qualcosa che, da fuori, ci viene incontro. L’esempio di Zaccaria è significativo: se il secondo segno messianico di quel Gesù che ha fatto bene ogni cosa sta nel far parlare i muti, il primo di questi segni indicati in Mc 7,37 che riprende Is 35,5-6, cioè far udire i sordi, può ben essere reso come un ascoltare e accogliere la Parola divina legato però «all’ammutolire l’uomo ciarliero e disperso (Lc 1,20-22)» (Ivi). Citando Clemente Rebora, Martini conclude: «la Parola zittì chiacchiere mie» (C. Rebora, Curriculum Vitae, Interlinea, Novara 2001). Ora, se il silenzio è parte decisiva della vita spirituale, si può ben capire come chi ha estromesso Dio dalla sua vita non sappia e non possa sopportare il silenzio; al contrario il discepolo di Gesù, che si raccoglie attorno alla vita inesauribile del Dio trino, ha bisogno di momenti di silenzio per protendersi a cercare l’eco delle parole divine ed il segreto della creazione e della storia delle nozze di Dio con l’umanità. Certo l’uomo vecchio e l’uomo nuovo, che convivono in ciascuno di noi, ci obbligano a lottare per conquistare questo spazio di intimità e di comunione. Se il primo gesto di questa contemplazione è il silenzio, il secondo è la parola ma la parola di preghiera che è il linguaggio della fede, il linguaggio con cui entriamo in dialogo con Dio. Con la preghiera lasciamo che l’incontro con Dio mostri a fondo cosa Dio è per noi e chi noi siamo per lui e questo avviene nello spazio della lode, dell’abbandono, del ringraziamento, della domanda e della richiesta di misericordia rivolta a Colui che è la fonte di ogni cosa. Entriamo così sia nella comunione con il Padre, pienezza di ogni essere 7 8 e mai lontano da tutto ciò che esiste, sia nella comunione con lo Spirito, che è anelito a superare ogni individualismo ed a rivolgerci al Padre, sia nella condivisione dell’amore crocifisso che supera e cancella l’ingiustizia ed il peccato. Nasce così il contemplativo, l’orante, il discepolo raccolto sul mistero di una vita che è dono di Dio ed insieme spazio di una libertà che riconosce il mistero su cui è edificata. Questo silenzio-parola aperto all’amore deve diventare la "forma", il modello che impronta di sé tutta la nostra vita; tramite essa, condividiamo la vita del Figlio in contemplazione dell’Abbá, il suo coraggio, il suo modo di essere e di vivere nella storia. Condividiamo pure la vita di Maria, il suo cammino umano e femminile di adesione al Verbo, la sua misura di una vita che si consegna illimitatamente all’amore e, senza sovrabbondare in parole, accoglie in modo materno il “corpo e sangue” del Figlio per vivere di Lui e diventare così guida a noi che quel corpo e quel sangue lo accogliamo nel sacramento eucaristico. Essa vive così e così ci insegna a vivere. 
Gianni Colzani © 

Centro di Cultura Mariana

giovedì 14 settembre 2017

(Gv 19,25-27) Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!

VANGELO
(Gv 19,25-27)
Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Parola del Signore.


Oppure (Lc 2,33-35: Anche a te una spada trafiggerà l’anima):

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
Parola del Signore. 


COMMENTO DI:
Dom Josep Mª SOLER OSB Abate di Montserrat
(Barcelona, Spagna)
Oggi, nella festa della Beata Vergine Maria Addolorata, ascoltiamo delle parole pungenti dalla bocca dell’anziano Simeone: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima!» (Lc 2,35). Affermazione che, nel suo contesto, non si richiama solamente alla passione di Gesù Cristo, ma anche al suo ministero, che provocherà una divisione nel popolo d’Israele, e per tanto un dolore intimo a Maria. Nel corso della vita pubblica di Gesù, Maria sperimentò la sofferenza per il fatto di vedere Gesù rifiutato dalle autorità del popolo e minacciato di morte.
Maria, come ogni discepolo di Gesù, deve imparare a situare i rapporti familiari in un altro contesto. Anche Lei, a causa del Vangelo, deve lasciare il Figlio (cf. Mt 19,29), e deve imparare a non considerare Gesù secondo la carne, sebbene sia nato da Lei secondo la carne. Anche Lei deve crocifiggere la sua carne (cf. Gal 5,24) per poter trasformarsi progressivamente a immagine di Gesù Cristo. Ma il momento straziante della sofferenza di Maria, quello in cui vive più intensamente la croce è il momento della crocifissione e della morte di Gesù.
Anche nel dolore Maria è modello di perseveranza nella dottrina evangelica, partecipando alle sofferenze di Cristo con pazienza (cf. Regola di san Benedetto, Prologo 50). Così è stato nel corso di tutta la sua vita e, soprattutto, nel momento del Calvario. In questo modo, Maria diventa figura e modello per ogni cristiano. Per essere stata strettamente unita alla morte di Cristo, è anche unita alla sua risurrezione (cf. Rm 6,5). La perseveranza di Maria nel dolore, realizzando così la volontà del Padre, le offre una nuova irradiazione per il bene della Chiesa e dell’Umanità. Maria ci precede nel cammino della fede e della sequela di Cristo. E lo Spirito Santo ci conduce a partecipare con Lei in questa grande avventura.

mercoledì 13 settembre 2017

( Gv 3,13-17 ) Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo.

VANGELO
( Gv 3,13-17 ) Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo.
Dal Vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Parola del Signore. 



COMMENTO DI:
Rev. D. Antoni CAROL i Hostench (Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi il Vangelo è una profezia, cioè, uno sguardo nello specchio della realtà che ci introduce nella verità aldilà di quello che i nostri sensi ci dicono: la Croce, la Santa Croce di Gesù Cristo, è il trono del Salvatore. Per questo, Gesù afferma che «così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo» (Gv 3,14).
Sappiamo bene che la Croce era il supplizio più atroce e vergognoso del suo tempo, esaltare la Santa Croce solo finirebbe per essere cinismo se non fosse perché da lì pende il Crocificato. La Croce, senza il Redentore, è cinismo puro; con il Figlio dell’uomo è il nuovo albero della Sapienza. Gesù Cristo, «offrendosi liberamente, alla passione» della Croce, ha aperto, il senso e il destino del nostro vivere: salire con Egli alla Santa Croce per aprire le braccia e il cuore al Dono di Dio, in un intercambio ammirabile. Anche qui ci conviene ascoltare la voce del Padre dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11). Incontrarci crocifissi con Gesù è resuscitare con Egli: Ecco qui il perché di tutto! C’è speranza, c’è senso, c’è eternità, c’è vita! Non siamo impazziti i cristiani quando nella vigilia pasquale, in modo solenne, ossia, nel Pregone Pasquale, cantiamo lode del peccato originale: «Oh!, felice colpa, che ci ha meritato cosi grande Redentore», che con il suo dolore ha impresso “Senso’’ al dolore.
«Guardate l’albero della croce, da dove pendeva il Salvatore del mondo: Venite e adoriamolo» (liturgia del venerdì Santo). Se riusciamo a superare lo scandalo e la pazzia di Cristo crocifisso, solo resta adorarlo e ringraziarlo per il suo Dono. È necessario cercare decisamente la Santa Croce nella nostra vita, per colmarci di certezza che, «Per Egli, con Egli e in Egli» la nostra donazione sarà trasformata, nelle mani del Padre, per lo Spirito Santo in vita eterna: «Versata per voi e per tutti gli uomini, per il perdono dei peccati».

martedì 12 settembre 2017

(Lc 6,20-26 ) Beati i poveri. Guai a voi, ricchi. Dal Vangelo secondo Luca



VANGELO DI MERCOLEDì 13 SETTEMBRE 2017

(Lc 6,20-26 ) Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
Dal Vangelo secondo Luca


In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Parola del Signore 


COMMENTO DI:

Rev. D. Joaquim MESEGUER García (Sant Quirze del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù ci indica dov’è la vera felicità. Nella versione di Luca, le beatitudini sono accompagnate da lamenti che si affliggono per coloro che non accettano il messaggio di salvezza e che si rinchiudono in una vita autosufficiente ed egoista. Con le beatitudini e i lamenti, Gesù spiega la dottrina dei due cammini: il cammino della vita ed il cammino della morte. Non vi è una terza possibilità neutrale: colui che non va verso la vita va inesorabilmente verso la morte; colui che non segue la luce, vive nelle tenebre. «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). Questa beatitudine è il fondamento di tutte le altre, poiché chi è povero sarà capace di ricevere il Regno di Dio come un dono. Chi è povero si renderà conto di che cosa si deve aver fame e sete: non dei beni materiali, ma della Parola di Dio; non del potere, ma della giustizia e l’amore. Chi è povero potrà piangere dinanzi alla sofferenza del mondo. Chi è povero saprà che ogni ricchezza è di Dio e che, per questo, sarà incompreso e perseguitato nel mondo. «Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione» (Lc 6,24). Questo rammarico è anche il fondamento delle susseguenti, poiché chi è ricco e autosufficiente, chi non sa porre le proprie ricchezze al servizio del prossimo, si rinchiude nel proprio egoismo e opera lui stesso la propria disgrazia. Che Dio ci liberi dal desiderio di ricchezze, di andare dietro alle promesse del mondo e di porre il nostro cuore nei beni materiali; che Dio non permetta sentirci soddisfatti dinanzi alle lodi ed adulazioni umane, perché questo significherebbe aver posto il nostro cuore nella gloria del mondo e non in quella di Cristo. Ci sarà vantaggioso ricordare quel che dice San Basilio: «Chi ama il suo prossimo come se stesso non accumula cose innecessarie che possono essere utili per altri».

lunedì 11 settembre 2017

(Lc 6,12-19) Passò tutta la notte pregando e scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli. 

VANGELO
(Lc 6,12-19) Passò tutta la notte pregando e scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Parola del Signore 



COMMENTO DI:
Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, vorrei centrare la nostra riflessione sulle prime parole di questo Vangelo: «In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (Lc 6,12). Introduzioni come questa possono passare inosservate nella nostra quotidiana lettura del Vangelo, però –in effetti- sono di massima importanza. In particolare oggi ci viene chiaramente detto che la scelta dei dodici apostoli —decisione centrale per la futura vita della Chiesa— fu preceduta da un’intera notte di preghiera di Gesù, in solitudine, davanti a Dio, suo Padre.
Quale è stata la preghiera del Signore? Da ciò che si evince dalla sua vita, doveva essere una preghiera di piena fiducia al Padre, e di totale abbandono alla sua volontà —«Non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 5,30)— manifestamente unita alla sua opera salvifica. Solo da questa profonda, lunga e costante preghiera, sostenuta sempre dall’azione dello Spirito Santo che, presente fin dal momento dell’Incarnazione, era disceso su Gesù al momento del suo Battesimo; solo così, dicevamo, il Signore poteva ottenere forza e luce necessaria per continuare la sua missione di obbedienza al Padre per compiere la Sua opera vicaria di salvezza degli uomini. La successiva elezione degli Apostoli che, come ci ricorda San Cirillo di Alessandria, «Cristo stesso afferma di aver dato loro la stessa missione ricevuta dal Padre», ci dimostra come la Chiesa nascente è stato il frutto di questa preghiera di Gesù al Padre nello Spirito e che, quindi, è opera della Santissima Trinità stessa. «Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli» (Lc 6,13).
Il mio augurio è che tutta la nostra vita di cristiani —come discepoli di Cristo— sia sempre immersa nella preghiera e da essa sostenuta.

domenica 10 settembre 2017

(Lc 6,6-11) Osservavano per vedere se guariva in giorno di sabato.


VANGELO
(Lc 6,6-11) Osservavano per vedere se guariva in giorno di sabato.
+ Dal Vangelo secondo Luca
Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.
Parola del Signore 



COMMENTO DI :

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)
Oggi, Gesù ci da esempio di libertà. Di questo ne parliamo tantissimo nei nostri giorni. Ma, a differenza di ciò che oggi viene offerta e perfino si vive come “libertà”, quella di Gesù é una libertà totalmente associata ed unita all'azione del Padre. Lui stesso dirà: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Ed il Padre solamente agisce per amore.L'amore non s'impone, ma influisce, mobilita, restituendo con pienezza la vita. Quel comando di Gesù: «Alzati e mettiti nel mezzo!» (Lc 6,8), possiede la forza ricreatrice di Colui che ama, e attraverso la parola agisce. Ancora di più l'altro: «Stendi la mano!» (Lc 6,10), che finisce con l'ottenere il miracolo, ristabilisce definitivamente la forza e la vita in chi era debole e morto. ”Salvare”, è strappare dalla morte, e questa stessa parola si traduce in “guarire”. Gesù guarendo salva quanto di morte c'era in quel povero uomo ammalato, e questo è un segno chiaro dell'amore di Dio Padre verso le sue creature. Così, nella nuova creazione dove il Figlio non fa altro che ciò che vede fare al Padre, la nuova legge che dominerà sarà quella dell'amore che si mette in atto, e non quella di un riposo che “inattiva”, perfino nel fare del bene al fratello bisognoso.
Allora, libertà ed amore messi insieme sono la chiave per oggi. Libertà ed amore messi insieme allo stile di Gesù. «Ama e fa quel che vuoi» di sant'Agostino ha oggi piena vigenza, per imparare a trasformarsi totalmente in Cristo Salvatore.

sabato 9 settembre 2017

(Mt 18,15-20) Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello.

VANGELO
(Mt 18,15-20) Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Parola del Signore  



COMMENTO DI:
Prof. Dr. Mons. Lluís CLAVELL
(Roma, Italia)
Oggi, il Vangelo ci propone di considerare alcune raccomandazioni di Gesù ai suoi discepoli di allora e di sempre. Anche nella comunità dei primi cristiani c’erano colpe ed atteggiamenti contrari alla volontà di Dio. Il versicolo finale ci offre il contesto per risolvere i problemi che si possono presentare nella Chiesa lungo la storia: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Gesù è presente in tutti i periodi della vita della sua Chiesa, il suo “Corpo mistico” animato dall’azione incessante dello Spirito Santo. Siamo sempre fratelli, sia la comunità grande o piccola.
«Se il tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo fra te e lui solo, se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello» (Mt 18,15). Com’è bella e sincera la relazione di fraternità che Gesù c’insegna! Di fronte ad una mancanza verso di me o verso un altro, devo chiedere al Signore la sua grazia per perdonare, per comprendere ed, infine, per cercare di correggere mio fratello.
Oggi non è così facile come quando la Chiesa era meno numerosa. Ma, se pensiamo le cose dialogando con Dio nostro Padre, Lui ci illuminerà per trovare il tempo, il luogo e le parole adatte per compiere il nostro dovere di aiutare. Importante è purificare il nostro cuore. San Paolo ci incoraggia a correggere il prossimo con retta intenzione: «Qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione» (Gal 6,1).
L’affetto profondo e l’umiltà ci faranno cercare la soavità. «Agite con mano materna, con l’infinita delicatezza delle nostre mamme, mentre ci curavano le ferite grandi o piccole dei nostri giochi e inciampi infantili» (San Giuseppemaria). Così ci corregge la Madre di Gesù e nostra Madre, ispirandoci per amare di più Dio ed i fratelli.

venerdì 8 settembre 2017

(Lc 6,1-5) Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?



VANGELO
(Lc 6,1-5) Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?
+ Dal Vangelo secondo Luca
Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».
Parola del Signore.












COMMENTO DI:

Fr. Austin Chukwuemeka IHEKWEME
(Ikenanzizi, Nigeria)
Oggi, di fronte all’accusa dei farisei, Gesù spiega il senso corretto del riposo sabatico, evocando un esempio dell’Antico Testamento (cf. Dt 23,26): «Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, (...), prese i pani dell'offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?» (Lc 6,3-4).
La condotta di Davide anticipò la dottrina che Cristo insegna in questo brano. Già nell’Antico Testamento, Dio aveva stabilito un ordine nei precetti della Legge, di modo che quelli di minor rango, cedessero d’innanzi a quelli di maggior rango.
Alla vista di ciò , si spiega che un precetto cerimoniale (come quello che stiamo commentando) cedesse di fronte a un precetto di legge naturale. Nello stesso modo, il precetto del sabato non è al di sopra delle necessità elementari di sussistenza.
In questo brano, Cristo ci insegna quale era il senso dell’istituzione divina del sabato: Dio lo aveva istituito per il benessere dell’uomo, perché potesse riposare e potesse dedicarsi in pace e allegria al culto divino. L’interpretazione dei farisei aveva convertito questo giorno in una occasione di afflizione e preoccupazione, dovuto alle innumerevoli prescrizioni e proibizioni.
Il sabato era stato fatto non solo perché l’uomo potesse riposare, ma anche perché potesse dar gloria a Dio: questo è il vero senso dell’espressione: «Il sabato è stato fatto per l’uomo» (Mc 2,27).
Inoltre , dichiarandosi “signore del sabato” (cf. Lc 6,5), manifesta chiaramente che Lui è lo stesso Dio che diede il precetto al popolo di Israele, affermando così la sua divinità e il suo potere universale. Anche Gesù può chiamarsi “signore del sabato”, perché è Dio.
Chiediamo aiuto alla Vergine per poter credere e capire che il sabato appartiene a Dio ed è in un certo modo - adattato alla natura umana – per rendere onore e gloria all’ Onnipotente. Come ha scritto San Giovanni Paolo II, «il riposo è cosa “sacra” ed è un’occasione per «prendere coscienza che tutto è opera di Dio».

giovedì 7 settembre 2017

(Mt 1,1-16.18-23)  Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 

VANGELO
(Mt 1,1-16.18-23)
Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.
Parola del Signore. 


COMMENTO DI :

Fray Agustí ALTISENT i Altisent Monje de Santa Mª de Poblet
(Tarragona, Spagna)
Oggi la genealogia di Gesù, il Salvatore che doveva nascere da Maria, ci mostra come l’opera di Dio si inserisce nella storia umana e come Dio, attua nel segreto e nel silenzio di ogni giorno. Allo stesso tempo vediamo la sua serietà nel compiere le sue promesse. Incluso Rut e Racab (cf. Mt 1,5) straniere convertite alla fede nell’unico Dio (e Racab, era una prostituta!), sono antenati del Salvatore.
Lo Spirito Santo, che doveva realizzare in Maria l’incarnazione del Figlio, penetrò, quindi, nella nostra storia già da molto lontano, e da molto presto, tracciando una rotta fino ad arrivare a Maria di Nazaret, è attraverso di Lei a suo figlio Gesù. «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele» (Mt 1,23). Quanto delicate spiritualmente dovevano essere le viscere di Maria, il suo cuore e la sua volontà, fino al punto di attirare l’attenzione di suo Padre e convertirla in Madre del “Dio-con-gli-uomini’’!. Egli che doveva portare la luce e la grazia soprannaturale per la salvezza di tutti. Tutto in questa opera ci porta a contemplare la grandezza, la generosità e la semplicità dell’azione divina, che innalza e riscatta la nostra stirpe umana, implicandosi in maniera personale.
Inoltre nel Vangelo di oggi, possiamo osservare come fu notificato a Maria che avrebbe concepito Dio, il Salvatore del popolo. E pensare che questa donna, Vergine e madre di Gesù, doveva essere allo stesso tempo nostra madre. Questa speciale scelta di Maria —«benedetta tu fra le donne» (Lc 1,42)— ci fa apprezzare la tenerezza di Dio nel suo modo di procedere, perché non ci riscattò —per così dire— “a distanza’’, vincolandosi invece personalmente con la nostra famiglia e la nostra storia. Chi poteva immaginare che Dio sarebbe stato allo stesso tempo così grande e così accondiscendente, avvicinandosi intimamente a noi.

mercoledì 6 settembre 2017

(Lc 5,1-11) Lasciarono tutto e lo seguirono.

VANGELO
(Lc 5,1-11) Lasciarono tutto e lo seguirono.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Parola del Signore



COMMENTO DI:
Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi ancora ci risulta sorprendente comprovare come quei pescatori furono capaci di lasciare il loro lavoro le loro famiglie e seguire Gesù: «Lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11), precisamente quando Egli si manifesta dinnanzi a loro come un collaboratore eccezionale per l’attività che proporziona loro il sostentamento. Se Gesù di Nazareth facesse la proposta a noi, nel nostro secolo XXI..., avremmo il coraggio di quei uomini? Saremmo capaci di intuire quale sia il vero beneficio?
I cristiani crediamo che Gesù è eternamente presente; quindi questo Cristo Risorto ci chiede, non a Pietro a Giovanni o a Giacomo, ma a te, a me e a tutti coloro che lo confessiamo come il Signore, ripeto, ci chiede, partendo dal testo di Luca, di accoglierlo nella barca della nostra vita perché vuol riposare con noi; ci chiede servirsi di noi, che gli permettiamo di indicarci dove orientare la nostra vita per essere fecondi in mezzo ad una società ogni volta più allontanata e bisognosa della Buona Nuova. La proposta è allettante, e solo ci manca volere e saper spogliarci delle nostre paure, dei nostri “chissà cosa diranno” e fissare il corso verso acque più profonde o, in altre parole, verso orizzonti più lontani di quelli che limitano la nostra mediocre quotidianità di ansie e scoraggiamenti. «Colui che inciampa sulla strada, per poco che avanzi, si avvicina al traguardo; colui che corre fuori, quanto più corre, più si allontana» (Cf. San Tommaso d’Aquino).
«Duc in altum»; «Prendi il largo» (Lc 5,4): non stabiliamoci sulle rive di un mondo che vive guardandosi l’ombelico! La nostra navigazione per i mari della vita deve condurci ad attraccare nella terra promessa, fine del nostro percorso in questo Cielo sperato, che è regalo del Padre, pero indivisibilmente, anche lavoro dell’uomo –tuo, mio- al servizio degli altri a nella barca della Chiesa. Cristo conosce bene le zone di pesca, e dipende da noi: o il porto dei nostri egoismi, o verso i suoi orizzonti.

martedì 5 settembre 2017

(Lc 4,38-44) È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.

VANGELO
(Lc 4,38-44) È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.


+ Dal Vangelo secondo Luca


In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.


Parola del Signore





COMMENTO DI:

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, ci troviamo di fronte a una chiara controversia: la gente che cerca Gesù e Colui che cura tutte le “malattie” (cominciando dalla suocera di Simon Pietro); e allo stesso tempo «Da molti uscivano demoni gridando» (Lc 4,41). Come dire: pace e bene da una parte; malignità e disperazione dall’altra.
Non è la prima volta che appare il diavolo “uscendo”, per meglio dire, scappando dalla presenza di Dio, tra grida e esclamazioni. Ricordiamoci anche dell’indemoniato di Gerasa (cf. Lc 8,26-39). Sorprende che sia il proprio diavolo che “riconoscendo ” a Gesù, come nel caso di Gerasa, sia lui stesso ad andargli incontro (certamente con rabbia e irritato perché la presenza di Dio perturbava la sua vergognosa tranquillità).


Molte volte anche noi pensiamo che l’incontro con Gesù è un fastidio? Ci disturba dover andare a Messa la Domenica; ci irrita pensare che da molto non dedichiamo un tempo alla preghiera; ci vergogniamo dei nostri errori, invece di andare dal Dottore della nostra anima e chiedergli semplicemente perdono... Pensiamo se non è il Signore che deve venire al nostro incontro, giacché ci facciamo pregare per lasciare la nostra piccola “grotta” e uscire incontro a chi è il Pastore delle nostre vite! Questo si chiama, semplicemente, tiepidezza.


La diagnosi per tutto questo è: atonia, mancanza di tensione nell’anima, angustia, curiosità disordinata, stress, pigrizia spirituale con le cose della fede, pusillanimità, voglia di stare da soli con noi stessi... E c’è anche un antidoto: smettere di guardare se stesso e mettersi al lavoro. Impegnarsi a dedicare un momento ogni giorno per guardare ed ascoltare Gesù (ciò che chiamiamo preghiera): Gesù lo faceva, visto che «Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto» (Lc 4,42). Fare un piccolo sforzo per vincere l’egoismo in una piccola cosa ogni giorno per il bene degli altri (questo si chiama amare). Fare un piccolo–grande accordo con noi stessi, per vivere ogni giorno coerentemente la nostra vita cristiana.

lunedì 4 settembre 2017

(Lc 4,31-37) Io so chi tu sei: il santo di Dio!



VANGELO
(Lc 4,31-37) Io so chi tu sei: il santo di Dio!
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male.
Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.
Parola del Signore 



COMMENTO DI :

Rev. D. Joan BLADÉ i Piñol
(Barcelona, Spagna)
Oggi, vediamo come l’insegnamento fu per Gesù la missione centrale della sua vita pubblica. La predica di Gesù però era molto differente a quella degli altri maestri e questo fece sì che la gente si sorprendesse e si ammirasse. Certamente, anche se il Signore non aveva studiato (cf. Gv 7,15), sorprendeva con il suo insegnamento, perché «parlava con autorità» (Lc 4,32). Il suo stile nel parlare aveva l’autorità di chi si sa il “Santo di Dio”.
Precisamente, l’autorità della sua parola era quello che dava forza al suo linguaggio. Utilizzava immagini vive e concrete, senza sillogismi ne definizioni; parole e immagini che estraeva dalla natura stessa quando non dalla Sacra Scrittura. Non c’è dubbio che Gesù era un osservatore, uomo vicino alle situazioni umane: allo stesso tempo che lo vediamo insegnando, lo contempliamo anche vicino alle persone facendo del bene (sia con guarigioni di malattie, sia espellendo demoni, ecc.). Leggeva nel libro della vita di ogni giorno esperienze che dopo le erano utili per insegnare. Anche se questa materia era elementare e rudimentale, la parola del Signore era sempre profonda, turbante, radicalmente nuova, definitiva.
La cosa più grandiosa di Gesù Cristo nell’esprimersi era il concatenare l’autorità divina con la più incredibile semplicità umana. Autorità e semplicità erano possibili in Gesù grazie alla conoscenza che aveva del Padre e alla sua relazione di amorosa obbedienza con Lui (cf. Mt 11,25-27). È questo legame con il Padre ciò che spiega l’armonia unica tra la grandezza e l’umiltà. L’autorità della sua parola non era in consonanza con i criteri umani; non c’era concorrenza, ne interesse personale o desiderio di emergere. Era un’autorità che si manifestava tanto nella sublimità della parola o dell’azione come nell’umiltà e semplicità. Non c’era nelle sue labbra ne lode personale, ne arroganza, ne gridi. Mansuetudine, dolcezza, comprensione, pace, serenità, misericordia, verità, luce, giustizia… furono il profumo che circondava l’autorità dei suoi insegnamenti.

domenica 3 settembre 2017

(Lc 4,16-30) Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. Nessun profeta è bene accetto nella sua patria.

VANGELO
(Lc 4,16-30) Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. Nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Parola del Signore 


COMMENTO DI Rev. D. David AMADO i Fernández (Barcelona, Spagna)
Oggi, «si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Con queste parole, Gesù commenta nella sinagoga di Nazareth un testo del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me;» (Lc 4,18). Queste parole hanno un significato specifico al di là del momento storico in cui sono state pronunciate. Lo Spirito Santo abita in pienezza in Gesù Cristo, ed è Lui chi lo manda i credenti.
Ma anche, tutte le parole del Vangelo hanno un’eterna attualità. Esse sono eterne perché sono state pronunciate dall’Eterno, e sono attuali perché Dio fa che si compiano in tutti tempi. Quando ascoltiamo la Parola di Dio, dobbiamo riceverla non come un discorso umano, ma come una parola che ha un potere di trasformazione in noi. Dio non parla alle nostre orecchie, ma i nostri cuori. Tutto ciò che dice è profondamente pieno di significato e di amore. La Parola di Dio è una fonte inesauribile di vita: «È molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte.» (S. Efrem). Le sue parole vengono dal cuore di Dio. E da quel cuore, il cuore della Trinità, è venuto Gesù –la Parola del Padre- agli uomini.
Così, ogni giorno, quando sentiamo il Vangelo, dobbiamo essere in grado di dire con Maria: «avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38), e Dio ci risponderà: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita». Ora, per che la Parola possa essere efficace in noi dobbiamo scartare ogni pregiudizio. I contemporanei di Gesù con lo capissero, perché solo guardavano con occhi umani: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22). Hanno visto l'umanità di Cristo, ma non hanno capito la sua divinità. Ogni volta che sentiamo la Parola di Dio, al di là dello stile letterario, della bellezza delle espressioni o l'unicità della situazione, dobbiamo sapere che è Dio che ci parla.

sabato 2 settembre 2017

VANGELO DI DOMENICA 3 SETTEMBRE 2017(Mt 16,21-27) Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso.

VANGELO
(Mt 16,21-27) Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso.

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».
Parola del Signore 









Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Sant Quirze del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, osserviamo Pietro —figura simbolica, gran testimone e maestro della fede— anche come uomo in carne ed ossa, con virtù e debolezze, come ognuno di noi. Dobbiamo ringraziare gli evangelisti che ci hanno presentato con realtà la personalità dei primi seguaci di Gesù. Pietro, fa una eccellente professione di fede —come vediamo nel Vangelo di Domenica XXI— che merita un gran elogio da parte di Gesù e la promessa della massima autorità dentro della Chiesa (cf. Mt 16,16-19), riceve anche dal Maestro una severa ammonizione, perché deve imparare ancora molto nel cammino della fede: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).
Ascoltare il rimprovero di Gesù a Pietro è un buon motivo per fare un esame di coscienza con rispetto al nostro essere cristiano. Siamo veramente fedeli all’insegnamento di Cristo, fino al punto di pensare realmente come Dio, o piuttosto ci adattiamo alla forma di pensare e ai criteri di questo mondo? Nel trascorso della storia, i figli della Chiesa, siamo caduti nella tentazione di pensare come il mondo, di basarci nelle ricchezze materiali, di cercare con ansia il potere politico o il prestigio sociale; a volte ci spingono di più gli interessi mondani che lo spirito del Vangelo. Di fronte a questi fatti, ci rivolgiamo una domanda «Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?» (Mt 16,26).
Dopo aver chiarito le cose, Gesù ci insegna cosa vuol dire pensare come Dio: amare, con tutte le rinunce, che ciò comporta per il bene del prossimo. Per questo, seguire Cristo, passa per la croce. È un accettazione sviscerata, perché «con la presenza di un amico e capitano così buono come Cristo Gesù, che si è messo a capo delle sofferenze, si può soffrire tutto: ci aiuta e ci sprona; non manca mai, è un vero amico» (Santa Teresa d’Ávila). E... quando la croce è il simbolo dell’amor sincero, è allora quando si converte in luminosa e nel segno di salvezza.

venerdì 1 settembre 2017

(Mt 25,14-30) Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

VANGELO
(Mt 25,14-30) Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».
Parola del Signore   




Rev. D. Albert SOLS i Lúcia (Barcelona, Spagna)
Oggi, contempliamo la parabola dei talenti. In Gesù osserviamo (come) un periodo di cambio nello stile del suo messaggio: l’annunzio del Regno non si limita tanto a dimostrare la sua prossimità quanto a descrivere il suo contenuto mediante racconti: è l’ora delle parabole!
Un grand’uomo decide di intraprendere un lungo viaggio, e confida tutto il patrimonio ai suoi servitori. Poteva averlo distribuito in parti uguali, ma non lo fece così. Diede a ciascuno d’accordo alle sue capacità (cinque, due ed un talento). Con quel denaro ogni servitore poté capitalizzare l’inizio di un buon affare. I primi due si dedicarono ad amministrare i loro depositi, ma il terzo —per paura o per pigrizia— preferì nasconderlo evitando ogni investimento: si chiuse nella comodità della sua propria povertà.
Il signore ritornò e... richiese la resa dei conti (cf. Mt 25,19). Premiò il coraggio dei primi due che raddoppiarono il deposito affidato. Il comportamento con il servo “prudente” fu molto diverso.
Il messaggio della parabola continua ad essere di grande attualità. Le moderne democrazie camminano verso una separazione progressiva tra la Chiesa e lo Stato. Questo non è controproducente, anzi al contrario. Tuttavia, questa mentalità globale e progressiva racchiude un effetto secondario, pericoloso per i cristiani: essere l’immagine viva di quel terzo servo a chi il signore (figura biblica di Dio Padre) rimproverò molto severamente. Senza malizia, soltanto per comodità o paura, corriamo il pericolo di nascondere e ridurre la nostra fede cristiana al circolo privato della famiglia e degli amici intimi. Il Vangelo non può limitarsi ad una lettura e contemplazione sterile. Dobbiamo amministrare con coraggio e rischio la nostra vocazione cristiana nel proprio ambiente sociale e professionale proclamando la figura di Cristo con le parole e il testimonio.
Commenta Sant’Agostino: «quelli che predichiamo la parola di Dio ai popoli non siamo tanto lontani dalla condizione umana e dalla riflessione basata nella fede da non avvertire i nostri pericoli. Però ci conforta il fatto che, dove c’è il nostro pericolo a causa del ministero, li abbiamo l’aiuto delle vostre preghiere».

giovedì 31 agosto 2017

(Mt 25,1-13) Ecco lo sposo! Andategli incontro! 

VANGELO DI VENERDì 1 SETTEMBRE 2017
(Mt 25,1-13) Ecco lo sposo! Andategli incontro!
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
Parola del Signore


Rev. D. Joan Ant. MATEO i García
(La Fuliola, Lleida, Spagna)
Oggi, Venerdì XXl del tempo ordinario, il Signore ci ricorda nel Vangelo che bisogna essere sempre vigilanti e preparati ad incontrarci con Lui. A mezza notte, in qualunque momento, possono chiamare alla porta ed invitarci ad uscire per ricevere il Signore. La morte non chiede un appuntamento previo. Veramente, «non conoscete né il giorno né l'ora» (Mt 25,13).
Vigilare non significa vivere con paura ed angoscia. Significa vivere in un modo responsabile la nostra vita di figli di Dio, la nostra vita di fede, speranza e carità. Il Signore aspetta continuamente la nostra risposta di fede ed amore, costanti e pazienti, tra le occupazioni e preoccupazioni che vanno tessendo il nostro vivere.
E questa risposta solamente la possiamo dare noi, tu ed io. Nessuno può farlo in nostra vece. Questo è ciò che significa il negarsi delle vergini prudenti a cedere parte del loro olio per le lampade spente delle vergini stolte: «andate piuttosto dai venditori e compratevene» (Mt 25,9). Così la nostra risposta a Dio è personale ed intrasferibile.
Non aspettiamo un “domani” —che forse non verrà— per accendere la lampada del nostro amore per lo Sposo. Carpe diem! Bisogna vivere in ogni istante della nostra vita tutta la passione che un cristiano deve sentire per il suo Signore. È una frase conosciuta, ma che vale la pena ricordarla nuovamente: «Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse il primo della tua esistenza, come se fosse l'unico giorno di cui disponiamo, come se fosse l'ultimo giorno della nostra vita». Un richiamo realista alla necessaria e ragionevole conversione che dobbiamo portare a buon fine.
Che Dio ci conceda la grazia nella sua grande misericordia di non sentire nell´ora suprema: «In verità vi dico: non vi conosco» (Mt 25,12), vuol dire, «non avete avuto nessun rapporto né tratto con me». Trattiamo il Signore in questa vita in modo tale da essere conosciuti ed amici suoi nel tempo e nell'eternità.

mercoledì 30 agosto 2017

(Mt 24,42-51) Tenetevi pronti.



VANGELO DI GIOVEDì 31 AGOSTO 2017

(Mt 24,42-51) Tenetevi pronti.




+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.

Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Parola del Signore









COMMENTO



+ Rev. D. Albert TAULÉ i Viñas

(Barcelona, Spagna)

Oggi, il testo evangelico ci parla dell'incertezza del momento in cui verrà il Signore: «non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42). Se vogliamo che ci trovi svegli al momento del suo arrivo, non possiamo distrarci ne addormentarci: bisogna essere sempre preparati. Gesù ci da molti esempi di questa attenzione: quello che vigila caso mai venisse un ladro, il servo che vuole compiacere il padrone... Forse oggi ci parlerebbe di un portiere di calcio che non sa ne quando ne come gli arriverà il pallone..

Ma, forse, dovremmo prima chiarire di quale venuta ci si parla. Si tratta dell'ora della morte? Si tratta della fine del mondo? Certamente, sono venute del Signore che Lui ha lasciato volutamente nell´incertezza per suscitare in noi un’ attenzione costante. Ma, facendo un calcolo di probabilità, forse nessuno della nostra generazione sarà testimone di un cataclisma universale che metta fine all'esistenza della vita umana in questo pianeta. E, su quello che riguarda la morte, questa solamente succederà una volta e basta. Mentre ciò non accade, non ci sarà nessun’ altra venuta più vicina di fronte alla quale converrà essere sempre preparati?

«Come passano gli anni! I mesi si riducono a settimane, le settimane a giorni, i giorni a ore e le ore a secondi...» (San Francesco di Sales). Ogni giorno, ogni ora, in ogni istante il Signore è vicino alla nostra vita. Attraverso le ispirazioni interne, attraverso le persone che ci circondano, i fatti che vanno succedendosi, il Signore bussa alla nostra porta e, come dice l'Apocalissi: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Oggi, se facciamo la comunione, questo accadrà un’ altra volta. Oggi, se ascoltiamo pazientemente i problemi che altri ci affidano o diamo generosamente i nostri soldi per aiutare in una necessità, ciò tornerà a succedere. Oggi, se nella nostra preghiera personale riceviamo —improvvisamente— un’ispirazione inattesa, ciò tornerà ad accadere.

martedì 29 agosto 2017

(Mt 23,27-32) Siete figli di chi uccise i profeti.



VANGELO DI MERCOLEDì 30 AGOSTO 2017
(Mt 23,27-32) Siete figli di chi uccise i profeti.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».
Parola del Signore


RIFLESSIONE DI + Rev. D. Lluís ROQUÉ i Roqué
(Manresa, Barcelona, Spagna)

Oggi, come nei giorni scorsi ed in quelli seguenti, vediamo Gesù, fuori di sé, condannando atteggiamenti incompatibili con una vita degna, non solo da cristiani ma per fino da esseri umani: «All’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità» (Mt 23,28). Queste parole vengono a confermare che la sincerità, l’onestà, la lealtà, la nobiltà, sono virtù amate da Dio e, pure, molto apprezzate dagli esseri umani.

Per non cadere, quindi, nell’ipocrisia, devo essere assai sincero. In primo luogo, con Dio perché vuole che sia puro di cuore e che detesti ogni classe di bugia perchè Egli è assolutamente puro, è la Verità assoluta. In secondo luogo, con me stesso, perché non sia proprio io il primo ad essere ingannato all’espormi a peccare contro lo Spirito Santo, non riconoscendo i miei peccati ne manifestandoli con chiarezza nel sacramento della Penitenza, o al non aver sufficiente fiducia in Dio, che non condanna mai a chi fa da figlio prodigo, ne condanna nessuno per il solo fatto di essere peccatore, ma perché no si riconosce come tale. In terzo luogo, poi, con gli altri, perché –come Gesù- a noi tutti, fa rabbia la bugia, l’inganno, la mancanza di sincerità, di onestà, di lealtà, di nobiltà…, e, precisamente per questo, dobbiamo applicarci il principio: «Quello che non vuoi per te, non farlo agli altri».

Questi tre atteggiamenti – che possono essere considerati di buon senso- dobbiamo farli nostri per non cadere nell’ipocrisia e renderci conto che abbiamo bisogno della grazia santificante, a causa del peccato originale provocato dal “padre della bugia”: il demonio. Perciò terremo presente l’esortazione di san Giuseppemaria Scrivà: «Al momento dell'esame sta' in guardia contro il demonio muto»; avremo presente anche Origene, che dice: «Ogni falsa santità resta morta perché non viene impulsata da Dio», e ci faremo guidare sempre dal principio elementare e semplice proposto da Gesù :«Sia…il vostro parlare:”Sì, sì”; “No, no”» (Mt 5,37).
Maria non spreca parole, ma il suo “Sì” al bene, alla grazia, fu unico e verace; il suo “No” al peccato fu chiaro e sincero.

lunedì 28 agosto 2017

(Mc 6,17-29) Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista.

VANGELO
(Mc 6,17-29) Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista.
+ Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e guida il mio cuore e la mia mente verso la luce della Parola di Dio, perché, anche attraverso la mia oscurità, possa rifletterla per me e per chi il mio Signore vuole che legga. Sembra che ci sia sempre tempo per decidere, per scegliere... Erode prendeva tempo, trattenendo alla sua corte Giovanni il Battista. Non sapeva di preciso chi era, ma lo incuriosiva. Sapeva che quello che Giovanni gli rimproverava era vero, ma non riusciva a liberarsi da quella schiavitù che lo aveva portato a rubare la moglie al fratello. Quella donna lo aveva stregato nel corpo e nella mente; lui, che si sentiva così potente da poter avere tutto, era impotente davanti alla lussuria ed al peccato, perché non sapeva resistergli. A volte nascondiamo dietro alla nostra sete di libertà, solo l’incapacità di vincere sul peccato, e pur sapendo quello che è giusto, non riusciamo a farlo. Quando uno accetta di vivere con la corruzione, col male, col peccato, perde sempre il controllo della situazione e per un ballo eccitante della figlia di Erodiade, per una promessa fatta giurando sul male, per non passare da bugiardo davanti agli altri, ecco che lo scempio si compie e la testa di Giovanni cade, servita su un vassoio alla richiesta vergognosa di Salomè , conformata a quella della madre. Anche oggi compromessi e ricatti, per chi al potere usa la sua posizione per vivere una vita di lussi e vizi, invece che per amministrare onestamente. Non accettiamo il compromesso tra bene e male perché non esiste, è solo un'illusione che satana insinua nelle nostre menti per farci abituare al male fino a legittimarlo ai nostri occhi.