mercoledì 8 gennaio 2014

(Mc 6,45-52) Videro Gesù camminare sul mare.

VANGELO
 (Mc 6,45-52) Videro Gesù camminare sul mare.
+ Dal Vangelo secondo Marco

[Dopo che i cinquemila uomini furono saziati], Gesù subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.

Parola del Signore

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Gesù, che ci indichi come seguire i tuoi insegnamenti, manda su me il Tuo Spirito per comprendere a pieno le tue parole, illuminami Signore.

In questo brano mi sembra chiaro che Gesù ci istruisca a non cercare di fare senza di lui, a non mettere il nostro ego, la nostra sicurezza alla prova, di non seguire una strada che non passi attraverso la preghiera, una strada che non sia la sua.
Troviamo la misericordia di Gesù, che ci viene incontro nel buio e nella tempesta, ma che noi non sappiamo riconoscere perché nella disperazione non riusciamo a distinguerlo. Eppure lo abbiamo visto spezzare il pane, distribuirlo a milioni di persone prima di noi, abbiamo visto come la vita di tanti che ci hanno preceduto è stata impregnata dalla grazia della comunione con Lui.
 Lo possiamo vedere ogni giorno se vogliamo, com’ è bello vivere con Gesù nel cuore; come nella disperazione lui ci sappia confortare.  Affrontiamo la tempesta con Lui, facciamolo salire sulla barca della nostra vita, non ci deluderà. Non restiamo con il cuore indurito, che ci impedisce di essere sereni e di affidarci a Lui.Nella prima lettura Giovanni, che si è tuffato a capofitto nell'amore di Gesù, ci dona un'immagine ci cosa è la fede : è credere che quell'uomo che si dona tutto a tutti è Gesù-Dio, perchè immerso nell'amore di Dio per noi e ci invita a non avere timore di immergerci totalmente in questo amore, di non aver paura di sbagliare,perchè chi resta nell'amore di Dio per gli uomini, non deve temere di sbagliare.Mai come in questo periodo ho sentito l'importanza di queste parole; con Papa Francesco voglio ripetere:“Dio ci ama, e vuole liberarci dal male, dalle malattie, dalla morte, e portarci nella sua casa, nel suo Regno”. Lo ha sottolineato Papa Francesco nel breve discorso prima dell’Angelus il 6 gennaio. “Sinceramente mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore. Il Signore ti chiama, ti cerca, ti aspetta, non fa proselitismo, dà amore, e questo amore ti aspetta, aspetta te che sei lontano” Possiamo anche scegliere di  non essere accoglienti, di fare come il fratello prodigo della parabola, che facendo un confronto fra lui e l'altro che aveva abbandonato la casa paterna, si sentiva offeso e geloso dell'amore del Padre anche per lui.Quando si è lontani da casa, ci manca tutto, ma dobbiamo capirlo per tornare a cercarlo, dobbiamo capirlo per aiutare Gesù a cercare i fratelli che si sono persi, per fare come Giovanni, immergendoci nell'amore di Dio per tutta l' umanità.

martedì 7 gennaio 2014

(Mc 6,34-44) Moltiplicando i pani, Gesù si manifesta profeta.

VANGELO
 (Mc 6,34-44) Moltiplicando i pani, Gesù si manifesta profeta.
+ Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’ erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

Parola del Signore
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LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
O Santo Spirito di Dio, aiutami, fa che quello che tu vuoi si possa comprendere a chi legge le scritture, e aiutami ad aggiungere le briciole della tua sapienza a chi legge queste righe, perché tutto sia comprensibile anche a noi che siamo gli ultimi dei tuoi servi inutili. Te lo chiedo per Gesù Cristo nostro Signore, grazie. Amen.

Questo è  un testo che ci fa vedere cosa intende Gesù per “condivisione”, che mette l’ accento su alcune , piccole cose,  che potrebbero passare inosservate, ma che invece sono essenziali.
Gesù è con il suo popolo, guarisce coloro che si sono radunati nel Suo nome, e si preoccupa della loro stanchezza, del loro dover tornare a casa. Non può e non sa essere indifferente ai loro bisogni fisici, mentre i suoi discepoli invece, cercando di prevenire il problema, vorrebbero rimandarli a casa per tempo. I suoi discepoli si stanno preoccupando nonostante Gesù sia con loro, sono loro a suggerirgli cosa fare! Come vediamo, non basta conoscere Gesù per non sbagliare, occorre che impariamo ad agire noi come vuole Gesù e non chiedere a Lui di fare quello che noi vorremmo.
Proprio a loro Gesù chiede di usare tutto quello che avevano, di portarlo davanti a Lui perché lo benedica e di distribuirlo alla folla. Affidare al Signore le nostre povere forze, così come lui affida ai suoi discepoli il Suo popolo, uno scambio di fiducia che deve essere reciproco, per essere concreto. I discepoli di allora e quelli di oggi, forse dimenticano troppo spesso di essere strumenti di Dio e di poter contare sullo Spirito Santo. Non serve essere esegeti, teologi, ma affidare tutta la nostra vita, la nostra imperfetta umanità a Gesù Cristo perché ci trasformi.
Pensiamo che Gesù, pur essendo di natura Divina, non considerò se stesso un tesoro geloso, ma si spogliò divenendo servo per noi uomini, fino all’ estremo sacrificio della morte sulla croce. Pensiamo a quelle braccia aperte e abbracciamo il suo corpo, nutriamoci di Lui con tutto il rispetto e la devozione, chiediamo di vincere con Lui il nostro egoismo, portiamo con noi verso  quell’ ostia  i nostri fratelli, gli ammalati, i lontani, i deboli, ma in modo speciale, preghiamo Gesù per quelle mani consacrate che ci stanno offrendo il suo corpo e il suo sangue; amiamo i nostri sacerdoti e la nostra Chiesa, preghiamo per loro.
Non è facile vivere la carità, la condivisione, non sentiamoci santi, perché tutti nel nostro piccolo, potremmo fare molto di più, ma la paura del domani spesso spezza le ali della carità. Dobbiamo avere più coraggio e non farci tarpare le ali da chi ci suggerisce l’  idea che quello che possiamo fare è inutile, perché non risolve i problemi del mondo, è una molla che scatta e toglie le ali alla speranza.
Gesù c’ invita a prendere il poco che abbiamo ed a condividerlo con i fratelli, ci chiede di affidarci a Lui e come provò compassione per la folla e non la lasciò tornare digiuna alla loro vita, così anche noi potremo vivere con lui e di Lui, da ora e per sempre.

lunedì 6 gennaio 2014

(Mt 4,12-17.23-25) Il regno dei cieli è vicino.

 VANGELO 
(Mt 4,12-17.23-25) Il regno dei cieli è vicino. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Padre che ci doni lo Spirito, Tu non rifiuti mai lo Spirito Santo a coloro che te lo chiedono, Perché tu sei il primo a desiderare che lo riceviamo. Concedici dunque questo dono che riassume e contiene tutti gli altri. Amen. Tutto combacia con le profezie,anche il territorio in cui Gesù comincia a muoversi dopo la cattura di Giovanni il Battista, è lì che i popoli che vivevano nelle tenebre vedranno la luce.

Il popolo d’Israele era in quel periodo oppresso dall’ occupazione Romana, che dava importanza solo ai capi degli ebrei e ai sommi sacerdoti. Ecco che Gesù comincia a far capire da subito che non è venuto per andare ad inchinarsi davanti a loro, al potere, ma anzi, sceglie per amici, i più umili della zona; comincia a predicare un vangelo che parla d’amore e di salvezza, di luce e molti uomini lo seguivano. Andava nelle sinagoghe e parlava alle genti dicendo…”convertitevi, il regno dei cieli è vicino” che poi significava, pensa che devi morire, cambia la tua condotta, non rimanere fermo nei tuoi preconcetti, vieni e seguimi, io sono la luce che t’indicherà la via della salvezza. Mentre diceva queste cose, guariva gli ammalati, ridava la vista ai ciechi, scacciava i demoni….Solo chi rimaneva chiuso nel cuore non lo accettava, cercava delle scuse per non credere in Lui.
Ancora oggi in fondo è così, si cercano tante motivazioni per contestare il cristianesimo, vediamo che le stragi di cristiani si susseguono nell’ indifferenza di molti, addirittura c’è chi, quasi per giustificare questi delitti, ne mette altri sul piatto della bilancia, come se con delle motivazioni più che altro politiche, si possa mai trovare una giustificazione a tutto questo…Gesù è amore e solo con amore può essere accolto e compreso.Sono le nostre miserie di cui si è fatto carico, le nostre divisioni e le nostre colpe che ancora oggi lo inchiodano alla croce. Riuscire a capire chi è Gesù, a riconoscerlo come colui che ci trasmette l’amore di Dio Padre, superiore ad ogni nostra attesa e ai nostri meriti.
E’ stato il primo ad amarci e aspetta a braccia aperte che ci lasciamo abbracciare da lui e corrispondiamo al suo amore, ma noi cerchiamo troppo spesso di capire, ci fermiamo a giudicare, gli errori degli uni e degli altri, senza riflettere che seguire Cristo vuol dire proprio amare, nonostante tutto.


domenica 5 gennaio 2014

SANTI é BEATI :

San Carlo da Sezze Frate laico francescano

6 gennaio

Sezze (Latina), 19 ottobre 1613 - San Francesco a Ripa, 6 gennaio 1670

Giancarlo Marchionne nacque a Sezze (Latina) nel 1613 da genitori contadini. Fece anche lui il pastore e l'agricoltore. A 17 anni fece voto di castità in onore della Vergine e poco dopo entrò nell'Ordine dei Frati minori come fra Carlo. Fu in numerosi conventi del Lazio come cuoco. portinaio, questuante e sacrestano. Ma, nonostante gli scarsi studi, aveva doni di scienza straordinari e ciò gli permise di realizzare una vasta produzione di opere ascetico-letterarie. Fu consigliere di Alessandro VII e Clemente IX. Morì nel 1670 ed è santo dal 1959. E' patrono di Sezze e della diocesi di Latina-Terracina Sezze-Priverno. (Avvenire)

Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico

Martirologio Romano: A Roma, san Carlo da Sezze, religioso dell’Ordine dei Frati Minori: costretto fin dalla fanciullezza a procurarsi il vitto quotidiano, esortava i compagni all’imitazione di Cristo e dei santi; indossato finalmente, come desiderava, l’abito francescano, si dedicò all’adorazione del Santissimo Sacramento.
Ascolta da RadioVaticana:


Nato a Sezze (Latina) il 19 ottobre 1613 da Ruggero Melchiori (o Marchionne) e Antonia Maccione, contadini piissimi e di buona condizione, Carlo fu battezzato il 22 dello stesso mese, come risulta dall'unico registro contemporaneo esistente tuttora presso la cattedrale di S. Maria. Per motivi di salute dovette sospendere gli studi elementari: fece il pastore e poi il contadino. A diciassette anni emise il voto di perpetua castità in onore della Vergine e quindi, contro il parere dei genitori e dei parenti che lo avrebbero voluto sacerdote, preferì, per spirito di umiltà, rendersi religioso converso. Vestì, pertanto, l'abito dei Frati Minori nel convento di S. Francesco in Nazzano il 18 maggio 1635 e, dopo aver superato molte difficoltà, professò il 18, o il 19 maggio dell'anno seguente. Risiedette successivamente nei conventi di S. Maria Seconda in Morlupo, di S. Maria delle Grazie in Ponticelli, di S. Francesco in Palestrina, di S. Pietro in Carpineto Romano, di S. Pietro in Montorio e di S. Francesco a Ripa in Roma. Tra il 1640 e il 1642 dimorò per breve tempo nei conventi di S. Giovanni Battista al Piglio e in quello di S. Francesco in Castelgandolfo. NelI'ottobre 1648, ascoltando la Messa nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case in Roma, al momento dell'elevazione, ricevette dall'Ostia divina una ferita di amore al petto.
Impiegato negli uffici propri del suo stato, di cuoco, ortolano, portinaio, questuante e sagrestano, Carlo si distinse per l'umiltà, l'ubbidienza, la pietà serafica e l'amore verso il prossimo, riuscendo ad unire alla più intensa vita interiore e contemplativa una instancabile attività caritativa e apostolica che lo condusse a Urbino, a Napoli, a Spoleto e in altre città.
Laici, sacerdoti, religiosi, vescovi, cardinali e pontefici si giovarono dell'opera di Carlo, che aveva avuto da Dio doni straordinari, tra i quali, in particolare, quelli del consiglio e della scienza infusa (riconosciuto, questo prorsus mirabile dal breve stesso della beatificazione). Ad Alessandro VII, che lo interrogava su Girolama Spada, giustiziata come eretica a Campo de' Fiori il 5 luglio 1659, Carlo rispose che non si era mai recato a casa della donna, sapendo che in lei non v'era nulla di buono. Clemente IX lo inviò a Montefalco per esaminarvi lo spirito di una monaca, falsamente ritenuta santa. Carlo predisse il supremo pontificato ai cardinali Fabio Chigi (Alessandro VII), Giulio Rospigliosi (Clemente IX), Emilio Altieri (Clemente X) e Gianfrancesco Albani (Clemente XI).
Dopo la morte, avvenuta il 6 gennaio 1670 a San Francesco a Ripa, comparve sul petto di Carlo un singolare stigma, che fu riconosciuto di origine soprannaturale da un'apposita commissione medica e fu addotto come uno dei due miracoli richiesti per la beatificazione. I processi canonici, iniziati poco dopo la morte, subirono notevoli ritardi dovuti a contingenze storiche. Clemente XIV dichiarò l'eroicità delle virtù il 14 giugno 1772; Leone XIII, con breve del 1° ottobre 1881, lo beatificò il 22 gennaio 1882, e Giovanni XXIII lo canonizzò il 12 aprile 1959. La sua festa si celebra il 6 gennaio. Benché a scuola avesse imparato a leggere e a scrivere malamente, Carlo fu autore straordinariamente fecondo.

VOCE DI SAN PIO :

-" L’amore non soffre dilazione ed i magi appena giunti non risparmiano fatiche per far conoscere ed amare Colui che con l’influsso della grazia aveva conquistato i loro cuori, ferendoli di quella carità che ama spandersi, perché il cuore nella sua piccola mole non può contenere ed ama comunicare ciò che lo riempie." (TN, in Epist. IV, p. 887).

(Mt 2,1-12) Siamo venuti dall’ oriente per adorare il re.

VANGELO
 (Mt 2,1-12) Siamo venuti dall’oriente per adorare il re. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’ è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’ udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”». Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’ io venga ad adorarlo». Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Parola del Signore

(Mt 2,1-12) Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.
(Mt 2,1-12) Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Signore Gesù, vieni in Spirito santo, ed indicami la via da seguire per vivere la tua parola.  

Le scritture parlano di un re che deve venire, il re dei Giudei e, quando Erode si ritrova davanti i magi, venuti da lontano che cercano questo neonato per adorarlo, si irrita, ha paura di perdere il regno. Si sente minacciato, ed allora furbamente cerca di ingannarli e si fa promettere che al ritorno sarebbero passati da lì per dirgli dove trovare il bambino per andare anche lui ad adorarlo.
Chi sono i magi? Probabilmente quelli che oggi noi chiamiamo scienziati, quelli che scrutando il cielo cercano di capire e di analizzare gli avvenimenti, quelli che cercano un segno e attraverso quella loro ricerca si mettono in moto e scoprono Gesù, come per significare che scienza e fede non sono in opposizione, mentre quelli che studiano le scritture e che le insegnano nel tempio, i saggi e i sacerdoti, restano fermi nelle loro posizioni, non accettano in quel bambino il Messia. Non vanno neanche a vederlo, non si scomodano, meno che mai vanno ad adorarlo. E noi? Abbiamo sentito parlare di Gesù, che cosa abbiamo fatto? Ci siamo mossi per andare ad adorarlo? Quanto è cambiata la nostra vita con lui? Sappiamo testimoniare che la sua venuta ci ha cambiato la vita?
I nostri scrigni pieni di doni ricevuti da Dio per presentarli davanti al trono di Gesù, restano troppo spesso chiusi ermeticamente come i nostri cuori.

sabato 4 gennaio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Incominciamo oggi, o fratelli, a fare il bene, ché nulla fin qui abbiamo fatto». Queste parole che il serafico padre san Francesco nella sua umiltà applicava a se stesso, rendiamole nostre all’inizio di questo nuovo anno. Veramente nulla abbiamo fatto fino ad oggi o, se non altro, ben poco; gli anni si sono susseguiti nel sorgere e nel tramontare senza che noi ci domandassimo come li avevamo impiegati; se niente vi era da riparare, da aggiungere, da togliere nella nostra condotta. Abbiamo vissuto all’impensata, come se un giorno l’eterno giudice non dovesse chiamarci a sé e chiederci conto del nostro operato, del come abbiamo speso il nostro tempo. Eppure di ogni minuto dovremo rendere strettissimo conto, di ogni movimento della grazia, di ogni santa ispirazione, di ogni occasione che ci si presentava di fare il bene. La piú lieve trasgressione della legge santa di Dio sarà presa in considerazione!" (TN, in Epist. IV, p. 875).

SANTI é BEATI :

San Carlo di S. Andrea Houben Passionista

5 gennaio

Munstergeleen (Olanda), 11 dicembre 1821 - Dublino, 5 gennaio 1893

Martirologio Romano: A Dublino in Irlanda, beato Carlo di Sant’Andrea (Giovanni Andrea) Houben, sacerdote della Congregazione della Passione, zelante ministro del sacramento della Penitenza.

Giovanni Andrea Houben quarto di undici figli, nacque l’11 dicembre 1821 a Munstergeleen in Olanda e sin da bambino manifestò il desiderio di darsi al sacerdozio, ma si decise solo verso i ventidue anni, quando chiamato a prestare il servizio militare a Bergen-op-Zoom, sentì parlare da un suo compagno della Congregazione dei Passionisti, fondata nel Settecento da s. Paolo della Croce.
Una volta congedato chiese di essere ammesso nei Passionisti e accolto dal beato Domenico Barberi per il noviziato nel convento di Ere (Belgio), prendendo il nome di Carlo di S. Andrea; professò i voti il 10 dicembre 1846 e terminati gli studi superiori, venne ordinato sacerdote il 21 dicembre 1850, dal vescovo Labis di Tournai.
A fine 1851 fu inviato in Inghilterra dove i Passionisti avevano fondato tre conventi; lavorò con grande entusiasmo, così da divenire un “Apostolo dell’Ecumenismo” adoperandosi per il bene delle anime e per l’unità dei cristiani.
Ma il Signore lo volle poi in altro posto, nel 1857 fu inviato nel convento di Mount Argus presso Dublino, in Irlanda e fondato un anno prima. Qui padre Carlo di S. Andrea trascorse quasi tutta la sua vita; la fama delle sue virtù attirò ben presto al convento un gran numero di fedeli che affluivano per avere una sua benedizione, in particolare gli ammalati, con guarigioni sorprendenti.
Lo chiamavano il ‘Santo di Mount Arges’ e di lui si può dire quello che si dice di Gesù, “passò facendo del bene”. A causa della scarsa conoscenza della lingua irlandese non fu un grande predicatore, né missionario tra il popolo, ma si dedicò specialmente alla direzione spirituale di quanti lo visitavano, attraverso il sacramento della confessione.
Un padre Pio da Pietrelcina di quell’epoca in Irlanda; portava sempre in mano un crocifisso per ricordare continuamente la Passione, celebrava con molto fervore la Messa, che si prolungava oltre il solito. Dodici anni prima della sua morte, fu colpito da una malattia da cui non si rimise più completamente, soffriva di nevralgie ai denti, emicrania e vertigini, tutto sopportò senza lamentarsi.
Andò gradatamente peggiorando, finché morì il 5 gennaio 1893 nel suo convento di Mount Arges di Dublino, i suoi funerali furono un’apoteosi per la partecipazione di una grande folla, che le guardie stentarono ad arginare; segno di un onore popolare che già in vita gli veniva dato, non solo nella città di Dublino, ma anche nell’intera contea.
Un passionista così esemplare, carismatico, povero, apostolico, non poteva rimanere nell’oblio; la causa per la sua beatificazione fu introdotta il 13 novembre 1935.
Papa Giovanni Paolo II l’ha elevato agli onori degli altari come "beato" il 16 ottobre 1988, mentre Benedetto XVI l'ha infine dichiarato "santo" il 3 giugno 2007. La festa religiosa è al 5 gennaio.

(Gv 1,1-18) Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.

VANGELO
 (Gv 1,1-18) Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. 
Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo,e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.Egli era, in principio, presso Dio:tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.In lui era la vitae la vita era la luce degli uomini;la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.Venne un uomo mandato da Dio:il suo nome era Giovanni.Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,perché tutti credessero per mezzo di lui.Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce.Veniva nel mondo la luce vera,quella che illumina ogni uomo.Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;eppure il mondo non lo ha riconosciuto.Venne fra i suoi,e i suoi non lo hanno accolto.A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:a quelli che credono nel suo nome,i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo,ma da Dio sono stati generati.E il Verbo si fece carnee venne ad abitare in mezzo a noi;e noi abbiamo contemplato la sua gloria,gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,pieno di grazia e di verità.Giovanni gli dà testimonianza e proclama:«Era di lui che io dissi:Colui che viene dopo di me è avanti a me,perché era prima di me».Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto:grazia su grazia.Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.Dio, nessuno lo ha mai visto:il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,è lui che lo ha rivelato.

Parola del Signore.


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Ti prego Spirito di Dio, stammi vicino mentre leggo queste righe e falle entrare nel mio cuore, trasformale sulla tastiera in ciò che tu vuoi, annulla il mio pensiero se permane, per l' amore con il quale Gesù ha accettato la volontà del Padre, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Non servirono i profeti, non bastò Giovanni Battista che precedendolo lo annunciò, neanche che Gesù venne tra gli uomini, che testimoniò con la sua vita l’ amore del Padre; chi non voleva credere, non credette ugualmente. Anche oggi è così; alcuni aderiscono alla parola di Dio, la fanno loro, la seguono, riescono ad entrare in contatto con il regno di Dio già su questa terra, pur affrontando mille difficoltà e riescono a ricevere dal Signore grazie su grazie, per la fede che ripongono in Lui. Altri invece non seguono la legge dettata a Mosè, proclamata da Gesù su questa terra, cercano ancora, non si fidano, non vogliono riconoscere la verità, non lasciano agire lo Spirito su di loro, si ribellano ed escono dalla via tracciata dal Signore e perdono la verità, andando a cercare chissà quale verità, ma trovando solo la menzogna.
Questo Vangelo di Giovanni ci porta direttamente in contatto con l’ amore di Dio. In principio era il Verbo che per comunicarci il suo amore creò una casa in cui farci vivere, creò la terra e poi ce la mise a disposizione, per amore e con amore. Tutto fa parte di un progetto divino di cui noi facciamo parte. Da Dio viene la vita e nella luce di Dio noi ritroviamo la via per tornare a casa, nella casa che era dal tempo dei tempi, preparata per noi.
Chi non ascoltò i profeti e non credette a Giovanni, non crede neanche a Gesù e non capisce che attraverso di Lui Dio si rivela .

Tu sei il Cristo… MERAVIGLIOSA PREGHIERA SCRITTA DA SANT'AGOSTINO

MERAVIGLIOSA PREGHIERA SCRITTA DA SANT'AGOSTINO 

Tu sei il Cristo… 

Tu sei il Cristo, il mio Padre santo, 
il mio Dio misericordioso,
il mio grande Re.
Sei il mio buon pastore,
il mio unico Maestro,
il mio migliore aiuto.
Sei il mio amore bellissimo,
il mio Pane Vivo,
il mio sacerdote per sempre.
Sei la mia guida alla patria,
la mia luce vera, la mia dolcezza santa.
Sei la mia strada diritta,
la mia fulgida sapienza,
la mia limpida semplicità.
Sei la mia concordia pacifica,
la mia sicura protezione,
la mia preziosa eredità, la mia salvezza eterna...
Cristo Gesù, amabile Signore!
Perché ho amato,
perché ho bramato in tutta la mia vita
altra cosa fuori di te, Gesù mio Dio?
Dov'ero quando non pensavo a te?
O voi tutti miei desideri,
da questo momento ardete
e confluite nel Signore Gesù. Correte,
già troppo indugiaste!
Affrettatevi verso il traguardo cui tendete,
cercate davvero colui che cercate!
O Gesù! Chi non ti ama sia anàtema!
Chi non ti ama sia saziato di amarezze...
Gesù dolce, ogni cuore buono
e incline alle Tue lodi ti ami,

venerdì 3 gennaio 2014

Angela da Foligno e il suo lungo cammino

Angela da Foligno e il suo lungo cammino

Angela da Foligno e il suo lungo cammino



2013-11-01 L’Osservatore Romano
"Il Signore ha disposto che, dopo un’attesa durata secoli, fosse un Papa che ha assunto il nome di Francesco a estendere alla Chiesa universale il culto liturgico in onore della beata Angela, iscrivendola nel catalogo dei santi" scrive monsignor Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno. Era stato Benedetto XVI ad autorizzare la Congregazione delle cause dei santi a dare una forte accelerazione al processo di canonizzazione della grande mistica folignate, vissuta nella seconda metà del Duecento, derogando alla comune prassi in virtù di un culto antico, universale e ininterrotto. Il cammino di conversione di Angela, che proprio ad Assisi diventerà un itinerario d’altura, è un percorso di progressiva spoliazione: dalle cose, dagli affetti, da se stessa.  Entrando nello “spessore” della Croce, Angela ha sperimentato qualcosa di analogo a quello che accade quando si guardano le finestre con vetrate istoriate: viste dall’esterno appaiono scure, pesanti, addirittura tetre; osservate dall’interno, riflettendo la luce che le attraversa, prendono vita e rivelano tutto il loro splendore. "Non sarà facile chiamarla con il titolo di santa - continua Sigismondi -  perché le labbra hanno preso l’abitudine a invocarla come beata, e tuttavia i cuori dei suoi devoti l’hanno sempre conosciuta come santa. Se sarà inevitabile fare qualche lapsus è bello ricordare che anche due Pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’hanno chiamata santa. Più che di un lapsus si è trattato, in entrambi i casi, di un segno premonitore. La grande mistica nasce intorno al 1248, a Foligno dove fino all’età di trentasette anni conduce una comune vita di sposa e di madre finché — tramite i frati minori del locale complesso minoritico e  i membri dell’ordine della penitenza — non viene a contatto con san Francesco, suo interlocutore privilegiato in diversi colloqui e in visioni. "In un primo momento - scrive Mario Sensi -  Angela si fa beffe del beato Pietro Crisci, un penitente che vive recluso nella cella campanaria della cattedrale di San Feliciano; poi rimane molto colpita dalla serenità spirituale di quest’uomo e incomincia ad averlo in grande stima e venerazione e a sentirsi attratta dalla sua radicale esperienza evangelico-francescana".
E sarà proprio un libro dedicato ad Angela -  un e-book che ripropone parte del volume di Fortunato Frezza "Liber Lelle. Il libro di Angela da Foligno nel testo del codice di Assisi con versione italiana, note critiche e apparato biblico tratto dal codice di Bagnoregio" (Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2012)  - ad inaugurare la collana digitale «Medi@evi» della Sismel, la Società internazionale per lo studio del medievo latino.

VOCE DI SAN PIO :

-" Oh quanto è prezioso il tempo! Beati coloro che se ne sanno bene approfittare, perché tutti, il giorno del giudizio, ne dovranno rendere uno strettissimo conto al supremo Giudice. Oh se tutti arrivassero a comprendere la preziosità del tempo, certamente ognuno si sforzerebbe di spenderlo lodevolmente! " (CS, n. 65, p. 169).

SANTI é BEATI :

Santa Dafrosa di Roma Sposa e martire
Roma, IV secolo
Santa Dafrosa, martire romana al tempo di Giuliano l’Apostata, fu moglie di San Flaviano e madre delle sante Bibiana e Demetria. Solo in passato fu annoverata nel martirologio romano e le sue reliquie riposano con quelle delle figlie.
Etimologia: Dafrosa, di origine siriana, 'cinta di rose'
Emblema: Palma


Assai difficile è delineare quale personaggio storico Santa Dafrosa, martire romana del IV secolo, che neppure il nuovo Martyrologium Romanum ha forse ritenuto opportuno ancora riportare. Oggi dell’intera famiglia solamente la figlia Bibiana compare ancora sul martirologio della Chiesa Cattolica. Nelle passate edizioni la santa era invece ancora così commemorata al 4 gennaio: “A Roma la beata Dafrosa, moglie di san Flaviano Martire e madre delle sante Bibiana e Demetria, Vergini e Martiri, la quale, dopo l'uccisione di suo marito, fu dapprima mandata in esilio, e poi decapitata sotto Giuliano”.
La tradizione la vuole dunque moglie di San Flaviano (22 dicembre) e madre delle sante Bibiana (2 dicembre) e Demetria (21 giugno). Dafrosa visse a Roma nel IV secolo, al tempo dell’imperatore Giuliano l’Apostata e proprio da questi Dafrosa e la sua famiglia sarebbero stati condannati a morte. Nella “Passio Sanctae Bibianae” risalente al VII secolo si legge che il governatore Aproniano, dopo aver condannato a morte i coniugi Flaviano e Dafrosa, essendo ormai certo di potersi impossessare del loro patrimonio, tentò di costringere all’apostasia anche le due giovani figlie. Demetria fu rinchiusa in carcere e morì prima ancora di subire il martirio, sorte che invece subì la sorella Bibiana.
Il corpo di Santa Bibiana fu allora sepolto accanto alla tomba dei genitori e della sorella, preso la loro abitazione sull’Esquilino, dove in seguito per volere di Papa Simplicio fu innalzata una cappella e più tardi l’attuale basilica. Le reliquie di San Flaviano presero poi strade diverse e sono oggi venerate presso la cittadina laziale di Montefiascone. I corpi di Dafrosa e delle due figlie invece furono rinvenuti nel 1624 e ricollocati due anni dopo dal pontefice Urbano VIII in tre reliquiari. Sono ancora oggi conservate nel sarcofago costantiniano, in alabastro orientale, sotto l’altare maggiore della chiesa di Santa Bibiana. Parte delle reliquie di Santa Dafrosa sono invece custodite nella patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore, dove il 4 gennaio veniva abitualmente celebrata la sua festa.
Occorre infine ricordare che i santi Flaviano e Dafrosa non sono che una delle numerose coppie che la Chiesa nel corso dei secoli ha considerato degne dell’aureola della santità, anche se si tratta purtroppo di casi solitamente poco celebri ed offuscati da grandi figure di santi vescovi, sacerdoti e suore, magari fondatori di ordini religiosi. Senza nulla togliere a questi ultimi, occorre però riconoscere come possano invece essere considerati modelli più vicini alle famiglie tutti quei coniugi che hanno fatto del loro matrimonio la strada per raggiungere la santità. A tale scopo il nuovo Rito del Matrimonio ha inserito le Litanie dei Santi Sposi, includendovi anche una coppia di martiri romani, Mario e Marta, che proprio come Dafrosa e Flaviano non esitarono a versare il loro sangue per testimoniare la loro fede cristiana.

Autore:
Fabio Arduino

(Gv 1,35-42) Abbiamo trovato il Messia.

VANGELO
 (Gv 1,35-42) Abbiamo trovato il Messia.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Parola del Signore

(Gv 1,35-42) Abbiamo trovato il Messia.

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Ti prego Spirito Santo, aiutami a leggere la parola del Vangelo da te ispirata, per comprendere quello che Tu vuoi che io comprenda, per nostro Signore Gesù Cristo e per il sacrificio immane che ha fatto per noi suoi figli.

Giovanni Battista, annuncia che Gesù è l’agnello di Dio, già nei versetti precedenti aveva detto:  "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!  Ecco colui del quale io dissi: dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me.  Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere ad Israele" Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.  Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l’ uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito, è colui che battezza in Spirito Santo.  E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio". Ora si rivolge direttamente ai suoi discepoli come per invitarli a seguirlo, come per dire, ecco, colui al quale ho preparato la strada, seguitelo. E questi non se lo fecero dire due volte, subito presero a seguire Gesù. La domanda che Gesù rivolge loro è secca: < cosa cercate? > < dove dimori maestro? > All’ invito di conoscere Gesù, dobbiamo muoverci e cominciare a seguirlo, come fecero i discepoli di Giovanni, dobbiamo chiedere a Lui quello che vogliamo, dobbiamo avere le idee chiare e sapere se vogliamo seguire Gesù veramente, allora Lui ci permetterà di seguirlo, ci condurrà nella sua dimora, ci farà sua dimora.< dove >< cosa >

Questo significa in fondo, entrare nel suo regno. Ci colmerà di grazie, ma se non lo seguiremo, se non ascolteremo la sua parola, non potremo cogliere i frutti della fede. Il passaggio seguente ci fa capire come nulla succede per caso; il primo che seguì Gesù fu Andrea e lui lo portò al fratello Simon Pietro, che diverrà il capo della Chiesa nascente; l’ incontro con Gesù diventa così               l’ incontro con la Chiesa e se torniamo alla domanda dei primi discepoli: ” Rabbi dove dimori? ” Abbiamo anche la risposta, Gesù dimora dove ci sono due o più persone che lo seguono, quella è la Chiesa. Ora noi vediamo che molti si definiscono cattolici o cristiani, ma non praticanti;  vorrei spendere un attimo per dire che non spetta a noi giudicare, ma a noi spetta vivere la Chiesa, senza guardare chi lo fa meglio o peggio di noi, perchè tutte le imperfezioni, tutti gli ostacoli, tutti i peccati, vengono messi tra noi e Gesù per impedirci di arrivare a lui, e nessuno più degli uomini, sa cadere in peccato. Satana è come un parassita che si appropria di noi proprio attraverso il nostro peccato e spesso, se non riesce ad entrare direttamente in noi, lo fa usando quelli che sono  la nostra rovina, la lingua ed il pensiero, attraverso il giudizio e la maldicenza. Usiamo la nostra lingua ed il pensiero, per chiedere a Dio di difenderci da questo mostro parassita, preghiamo per chi secondo noi sbaglia, invece di giudicarlo, e non facciamoci trasmettere il peccato dal parassita. 

giovedì 2 gennaio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Chi ha tempo non aspetti tempo. Non rimandiamo al domani ciò che oggi possiamo fare. Del bene di poi sono riboccanti le fosse…; e poi chi dice a noi che domani vivremo? Ascoltiamo la voce della nostra coscienza, la voce del real profeta: Oggi se udirete la voce del Signore, non vogliate otturare il vostro orecchio. Sorgiamo e tesoreggiamo, ché solo l’istante che fugge è in nostro dominio. Non frapponiamo tempo fra istante ed istante, ché questo non è in nostro possesso." (TN, in Epist. IV, p. 877s.).

SANTI é BEATI :

Santissimo Nome di Gesù
3 gennaio - Memoria Facoltativa
Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina.
Ascolta da RadioRai:
  

Il significato e la proprietà del nome
Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili.

Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza.
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.

Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.).
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”.
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc.
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi.
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome.
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore.
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati.

Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.

Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana.
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio.
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24).

Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi:
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico.
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.

Autore:
Antonio Borrelli

(Gv 1,29-34) Ecco l’agnello di Dio.

VANGELO DI VENERDì 3 GENNAIO
(Gv 1,29-34) Ecco l’agnello di Dio. 
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’ acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’ acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Parola del Signore





LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Spirito Santo, vieni nel più profondo del mio cuore, per farmi comprendere e vivere la tua parola, come facesti con gli apostoli e i profeti di un tempo, come fai con tutti i tuoi figli. Amen.

Giovanni testimonia con la sua missione che tutto quello che lui vive gli viene da Dio,ma potremmo dire di più,che in tutto quello che fa c’è Dio.
In molte occasioni parliamo di un cammino che facciamo per seguire Gesù, ma dimentichiamo che fino a quelli incontro noi andavamo proprio per i fatti nostri, non importa quanto lontano dalla retta via, quello che conta è che mentre noi eravamo intenti a vivere, Gesù era lì a guardarci, era lì pronto per entrare nella nostra vita e farsi riconoscere.
Giovanni compie un po’ il nostro stesso errore.  Ha una sua idea di Gesù e vorrebbe adattare lo Spirito di Dio a questa sua idea, sentirsi portatore di qualcosa di suo, di una sua idea, ma Gesù viene prima di Lui e resterà dopo di lui, era, è e sarà sempre; lui può solo testimoniare di aver visto lo Spirito scendere su di Lui e di aver sentito che grazie a Lui tutti saremmo stati figli di Dio, perché essere cristiano vuol dire essere di Cristo, con Cristo ed in Cristo, figlio unigenito di Dio, nel quale ci riconosciamo figli di Dio. 

. Viviamo oltre la scena del battesimo con loro:
Gesù, viene verso Giovanni, i due si erano già incontrati e sembrava che tutto fosse finito lì,  con il battesimo di Gesù, ed invece il primo a dover ancora ricevere e dare ancora molto in questa missione sulla terra, è proprio Giovanni.

 Il destino di quest’ uomo sia stato scritto prima ancora della sua nascita, si comprende abbastanza bene già dalla visita di Maria a sua madre Elisabetta, e prima ancora, dal concepimento in età avanzata, ma quello che è meraviglioso nella sua vita è l’ estrema dedizione al suo ministero. Nacque da una famiglia sacerdotale, suo padre Zaccaria, era di servizio nel tempio e, fino a che non uscì dal deserto, dove visse da eremita e si cibò di locuste, non abbiamo mai saputo niente di lui.  E’ quando ad un certo punto della nostra vita avviene l’ incontro con Gesù che tutto si trasforma e cambia, che tutto prende senso e non sembra più di vivere in un deserto, isolati con noi stessi,  come se gli altri non facessero parte della nostra vita. Si abbiamo parenti, amici, vicini e lontani, ma i nostri rapporti con loro sono legati solo da vincoli di sangue e famigliari, ma quando diventiamo cristiani, invece, iniziamo a far parte di una famiglia più ampia, che, man mano che ne prenderemo consapevolezza, impareremo ad amare ed a sentire unita a noi, buoni o cattivi che siamo, proprio in grazia della fratellanza che ci dà essere figli di uno stesso Dio.

mercoledì 1 gennaio 2014

VOCE DI SAN PIO :

-" Diciamo a noi stessi con la piena convinzione di dire la verità: anima mia, incomincia oggi ad operare il bene, ché nulla hai fatto fin qui. Facciamo sí che ci muoviamo alla presenza di Dio. Dio mi vede, ripetiamo spesso a noi stessi, e nell\'atto ch\'egli mi vede, mi giudica pure. Facciamo sí che egli non veda in noi se non sempre il solo bene." (TN, in Epist. IV, p. 878).

SANTI é BEATI :


Beato Marcolino Amanni da Forlì Domenicano
Forlì, 1317 - 1397
Entrato giovanissimo nell'Ordine Domenicano nel convento di Forlì, vi rifulse per la semplicità di vita, la rigorosa osservanza e per la carità verso i poveri. Devotissimo della Vergine Maria, ne portava sempre con sé un'immagine, opera del pittore Vitale da Bologna, che la Fraternita locale del Terz'Ordine conserva ancora gelosamente.
Martirologio Romano: A Forlì, beato Marcolino Amanni, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che visse tutta la vita in grande umiltà e semplicità, nel silenzio, nella solitudine, nel servizio dei poveri e nella cura dei fanciulli.

Il 1300 fu un periodo di decadenza per l’Ordine Domenicano, come del resto anche per gli altri Ordini. Ne fu causa principale la peste nera che nei conventi e nei monasteri fece vittime senza numero, lasciando atterriti e scoraggiati i pochi superstiti, e aprendo l’adito alla mollezza e al disordine. Non mancarono però religiosi santi e ferventi i quali seppero efficacemente opporsi al rilassamento generale. Sotto il soffio ispiratore di Santa Caterina da Siena, il Beato Raimondo da Capua, appena eletto Generale, nel 1380, chiamò a raccolta tutte le anime di buona volontà per far rinverdire l’orto piantato da San Domenico. Tra i molti che risposero all’appello, brilla per la sua incantevole umiltà Marcolino Amanni. Egli vesti l’Abito santo nella sua città natale, Forlì, a soli dieci anni, acceso da un fervore superiore alla sua tenerissima età. Il piccolo novizio fu additato presto come modello di ogni virtù, ma l’ala che fece così rapidamente salire la sua anima angelica fu la continua ricerca di Dio nell’orazione e nel raccoglimento. E il Signore si fece trovare in una preghiera sublime che lo fece vivere più in cielo che in terra: solo il campanello della elevazione, alla consacrazione, durante la messa, lo riscuoteva dalle sue estasi. Egli non brillò, né sulla cattedra, né sul pulpito. La sua azione fu silenziosa e nascosta. Regola vivente, predicò con i suoi luminosissimi esempi di vita quotidiana, rappresentando quell’abbondanza di vita interiore che, secondo il pensiero di Domenico, deve essere la viva sorgente della predicazione apostolica. L’unico ornamento della sua cella fu un quadro raffigurante la Madonna, per la quale ebbe sempre una speciale devozione. Morì nel febbraio del 1397. Il suo corpo riposa nella cattedrale di Forlì. Il suo culto è stato confermato da Papa Benedetto XIV il 9 maggio 1750.

Autore:
Franco Mariani

(Gv 1,19-28) Dopo di me verrà uno che è prima di me

VANGELO
 (Gv 1,19-28) Dopo di me verrà uno che è prima di me.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elìa?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elìa, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Io credo in Te Signore, e credo che il Tuo Spirito mi parli, come fa con tutti coloro che chiedono aiuto a te, Gesù ci ha insegnato a pregare, ci ha detto: "chiedi e ti sarà dato" ed io ti chiedo con molta umiltà.... illuminami.

Il vangelo di oggi, mi fa riflettere molto su quello che è il nostro compito di TESTIMONI della fede. Noi non siamo nessuno, non siamo profeti, non siamo meritevoli di nulla, ne tantomeno dobbiamo sentirci noi importanti o saggi più degli altri ai quali parliamo, perché quelli a cui parliamo per primi, siamo noi stessi.
A volte può succedere che qualcuno creda che quello che testimonia, faccia di lui una persona migliore degli altri, ed allora ecco che satana si insinua, si prende gioco di te, ti fa diventare superbo.
Anche chi ascolta o legge, non deve leggere pensando che chi scrive sia la verità, uno solo è la verità, perché uno solo è il Cristo, Padre ,Figlio e Spirito Santo; chi testimonia, chi riflette con voi, in questo caso io, cerca solo di riflettere con voi sulle PAROLE DELLA SACRA SCRITTURA, cerca di far parlare lo Spirito di Dio che è in ognuno di noi, perché noi siamo battezzati in Spirito Santo, perché noi siamo FIGLI DI DIO, FRATELLI DI CRISTO , e per l'azione dello Spirito Santo ,siamo stati con il battesimo resi conformi a Cristo,SACERDOTE , PROFETA E RE.
Quindi quello che il mio lettore deve fare, ed io vi invito sempre a farlo, NON E' leggere la mia riflessione e basta, MA andare sul gruppo, aprire la pagina del giorno e leggere tutte le sacre scritture del giorno; SOLO DOPO, potrà leggere le varie riflessioni ed anche le mie. POI PUO' ( e mi piacerebbe che tutti provassero) chiedere aiuto allo Spirito del Signore e PROVARE AD ELABORARE UNA SUA RIFLESSIONE. Solo allora tutto quello che noi che gridiamo nel deserto facciamo, non sarà inutile, ma raggiungerà il suo scopo. Dio parla a tutti, e tutti abbiamo il diritto ed il dovere di metterci all'ascolto.

VOCE DI SAN PIO :

- " Noi per divina grazia siamo all’alba di un nuovo anno; quest’anno, di cui solo Dio sa se vedremo la fine, deve essere tutto impiegato a riparare per il passato, a proporre per l’avvenire; e a pari passi coi buoni propositi vadano le sante operazioni." (TN, in Epist. IV, p. 878).