giovedì 26 dicembre 2013

(Gv 20,2-8) L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.

VANGELO
 (Gv 20,2-8) L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Parola del Signore
 .

LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e riempi di te il mio cuore e la mia mente. Fa che ogni cosa mi venga da te e che non sprechi neanche una briciola della tua sapienza.
La pagina di oggi, sembra non entrarci per niente con quelle di questi giorni, che ci sono proposte dalla Chiesa, eppure a ben guardare, non è così sbagliato parlare del sepolcro di Gesù, dei primi discepoli che non lo trovano più e che debbono cominciare da questo momento a fare da soli. E' la realtà dello scontro tra la fede ed il mondo.
I primi cristiani dovettero fare subito i conti con la crudeltà dei romani, con l' ipocrisia dei farisei e dei sadducei, e molti furono uccisi per difendere la loro fede.
In questo passo ritroviamo gli apostoli Giovanni e Pietro, che corrono al sepolcro e sicuramente non per caso, Giovanni che è più giovane, arriva prima di Pietro, ma si ferma e aspetta che sia quello che Gesù aveva eletto come il capo della nuova chiesa ad entrare per primo. C'è tanto rispetto in questo atteggiamento, e mi fa un po' pensare al rispetto che si deve alla Chiesa come istituzione di Gesù Cristo e non per quello che spesso, purtroppo, lascia trasparire attraverso i suoi uomini, che come noi, sono appunto "uomini."
Pietro vide le fasce che avevano avvolto il corpo di Gesù ed il sudario ripiegato, ( notiamo che anche in Luca 24:12 Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l' accaduto ) mentre Giovanni vide e credette.
Il rapporto speciale che univa Gesù a Giovanni, continuava anche dopo la sua morte, non a caso era a lui che Gesù aveva affidato la Madre e alla stessa il discepolo che Lui amava.
Quanta meraviglia in quel sepolcro vuoto, e quanta fede nel piccolo Giovanni che ricordando le parole del Messia, sulla sua resurrezione, si fidò completamente di Lui.
Possiamo essere come Pietro, avere dubbi e paure, o essere come Giovanni, credere sempre ed oltre le apparenze, o magari anche come Tommaso, che chiede dei segni, delle prove. Quello che conta è non avere dei preconcetti, non mettere il nostro io tra noi e Dio stesso come un ostacolo, ma appoggiare la nostra testa sul cuore di Gesù, come Giovanni, lasciandoci trasportare dallo Spirito Santo.

mercoledì 25 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Gesú fin dalla nascita ci addita la nostra missione, che è quella di disprezzare ciò che il mondo ama e cerca." (Epist. IV, p. 867).

SANTI é BEATI :

Santo Stefano Primo martire
† Gerusalemme, 33 o 34 ca
Primo martire cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste, e morì lapidato. In lui si realizza in modo esemplare la figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità, gli affida il suo spirito, perdona ai suoi uccisori. Saulo testimone della sua lapidazione ne raccoglierà l'eredità spirituale diventando Apostolo delle genti. (Mess. Rom.)
Patronato: Diaconi, Fornaciai, Mal di testa
Etimologia: Stefano = corona, incoronato, dal greco
Emblema: Palma, Pietre

Martirologio Romano: Festa di santo Stefano, protomartire, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi scelti dagli Apostoli come loro collaboratori nel ministero, fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù, affermando di vederlo seduto nella gloria alla destra del Padre.
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La celebrazione liturgica di s. Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo percorso terreno e primi a renderne testimonianza con il martirio.
Così al 26 dicembre c’è s. Stefano primo martire della cristianità, segue al 27 s. Giovanni Evangelista, il prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi il 28 i ss. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme; secoli addietro anche la celebrazione di s. Pietro e s. Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno.
Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse; il nome Stefano in greco ha il significato di “coronato”.
Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede genuina, divenne anche il primo dei diaconi di Gerusalemme.
Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste, il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate.
Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando così la predicazione della Parola di Dio e la preghiera, pertanto questo compito doveva essere affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al ministero.
La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha visto in questo atto l’istituzione del ministero diaconale.
Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli ebrei della diaspora, che passavano per la città santa di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù crocifisso e risorto.
Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti, sobillarono il popolo e accusarono Stefano di “pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.
Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.
Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”.
Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla destra di Dio”.
Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo (il futuro Apostolo delle Genti, s. Paolo), che assisteva all’esecuzione.
In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del popolo, quindi si trattò di un linciaggio incontrollato.
Mentre il giovane diacono protomartire crollava insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”.
Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella città di Gerusalemme si scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.
Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il distacco si fece sempre più evidente fino alla definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se stessa per difendere e portare avanti i propri valori tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria opera di inculturazione del Vangelo.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti perché sepolti senza onore, che volevano essere sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati commessi dagli uomini.
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì s. Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s. Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre santi, come da suo desiderio testamentario.
Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena affermazione, dopo la libertà di culto sancita dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di s. Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26 dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.
Molti miracoli avvennero con il solo toccarle, addirittura con la polvere della sua tomba; poi la maggior parte delle reliquie furono razziate dai crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon, Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove si pensi, nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura, un braccio a S. Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a S. Luigi dei Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre quasi un corpo intero nella basilica di S. Loernzo fuori le Mura.
La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande culto tributato in tutta la cristianità al protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina, delle quali la più celebre è quella di S. Stefano Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da papa Simplicio.
Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che portano il suo nome; nell’arte è stato sempre raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre della lapidazione, per questo è invocato contro il mal di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei tagliapietre e muratori.

Autore:
Antonio Borrelli

(Mt 10,17-22) Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro.

VANGELO DI GIOVEDì 26 DICEMBRE
(Mt 10,17-22)
Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato». Parola del Signore.


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Benedetto XVI, papa dal 2005 al 2013
Angelus del 26/12/2006 (© Libreria Editrice Vaticana)

Dalla stalla alla croce

All’indomani della solennità del Natale, celebriamo oggi la festa di santo Stefano, diacono e primo martire. A prima vista l’accostamento … alla nascita del Redentore può lasciare stupiti, perché colpisce il contrasto tra la pace e la gioia di Betlemme e il dramma di Stefano, lapidato a Gerusalemme nella prima persecuzione contro la Chiesa nascente. In realtà, l’apparente stridore viene superato se consideriamo più in profondità il mistero del Natale. Il Bambino Gesù, che giace nella grotta, è l’Unigenito Figlio di Dio fattosi uomo. Egli salverà l’umanità morendo in croce. Ora lo vediamo in fasce nel presepe; dopo la sua crocifissione sarà nuovamente avvolto da bende e deposto in un sepolcro. Non a caso l’iconografia natalizia rappresentava talvolta il divino Neonato adagiato in un piccolo sarcofago, ad indicare che il Redentore nasce per morire, nasce per dare la vita in riscatto per tutti (Mc 10,45).

Santo Stefano fu il primo a seguire le orme di Cristo con il martirio; morì, come il divino Maestro, perdonando e pregando per i suoi uccisori (cfr At 7,60). Nei primi quattro secoli del cristianesimo, tutti i santi venerati dalla Chiesa erano martiri. Si tratta di uno stuolo innumerevole, che la liturgia chiama "la candida schiera dei martiri", martyrum candidatus exercitus. La loro morte non incuteva paura e tristezza, ma entusiasmo spirituale che suscitava sempre nuovi cristiani. Per i credenti, il giorno della morte, ed ancor più il giorno del martirio, non è la fine di tutto, bensì il "transito" verso la vita immortale, è il giorno della nascita definitiva, in latino dies natalis. Si comprende allora il legame che esiste tra il "dies natalis" di Cristo e il dies natalis di Santo Stefano. Se Gesù non fosse nato sulla terra, gli uomini non avrebbero potuto nascere al Cielo. Proprio perché Cristo è nato, noi possiamo "rinascere"!

martedì 24 dicembre 2013

SANTI é BEATI :

Natale del Signore
Con il Natale tutti i cristiani celebrano la nascita del Figlio di Dio che si fece uomo. L’Incarnazione del Verbo di Dio segna l’inizio degli “ultimi tempi”, cioè la Redenzione dell’Umanità da parte di Dio. Rallegratevi, oggi è nato il Salvatore.
Martirologio Romano: Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio creò il cielo e la terra e plasmò l’uomo a sua immagine; e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere tra le nubi l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace; ventuno secoli dopo che Abramo, nostro Padre nella fede, migrò dalla terra di Ur dei Caldei; tredici secoli dopo l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè; circa mille anni dopo l’unzione regale di Davide; nella sessantacinquesima settimana secondo la profezia di Daniele; all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua piissima venuta, concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo: Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne.
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La Chiesa celebra con la solennità del Natale la manifestazione del Verbo di Dio agli uomini. E’ questo infatti il senso spirituale più ricorrente, suggerito dalla stessa liturgia, che nelle tre Messe celebrate oggi da ogni sacerdote offre alla nostra meditazione "la nascita eterna del Verbo nel seno degli splendori del Padre (prima Messa); l'apparizione temporale nell'umiltà della carne (seconda Messa); il ritorno finale all'ultimo giudizio (terza Messa)" (Liber Sacramentorum).
Un antico documento, il Cronografo dell'anno 354, attesta l'esistenza a Roma di questa festa al 25 dicembre, che corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d'inverno, "Natalis Solis Invieti", cioè la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell'anno, riprendeva nuovo vigore.
Celebrando in questo giorno la nascita di colui che è il Sole vero, la luce del mondo, che sorge dalla notte del paganesimo, si è voluto dare un significato del tutto nuovo a una tradizione pagana molto sentita dal popolo, poiché coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi cittadini. Le strenne natalizie richiamano però più direttamente i doni dei pastori e dei re magi a Gesù Bambino.
In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol dire "manifestazione"; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si riscontra in Antiochia verso il 376 al tempo del Crisostomo e nel 380 a Costantinopoli, mentre in Occidente veniva introdotta la festa dell'Epifania, ultima festa del ciclo natalizio, per commemorare la rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano. I testi della liturgia natalizia, formulati in un'epoca di reazione alla eresia trinitaria di Arlo, sottolineano con accenti di calda poesia e con rigore teologico la divinità del Bambino nato nella grotta di Betlem, la sua regalità e onnipotenza per invitarci all'adorazione dell'insondabile mistero del Dio rivestito di carne umana, figlio della purissima Vergine Maria ("fiorito è Cristo ne la carne pura", dice Dante).
L'Incarnazione di Cristo segna la partecipazione diretta degli uomini alla vita divina. La restaurazione dell'uomo mediante la spirituale nascita di Gesù nelle anime è il tema suggerito dalla devozione e dalla pietà cristiana che, al di là delle commoventi tradizioni natalizie fiorite ai margini della liturgia, ci invita a meditare annualmente sul mistero della nostra salvezza in Cristo Signore.

Autore:
Piero Bargellini

VOCE DI SAN PIO :

-" Vivi allegra e coraggiosa, almeno nella parte superiore dell’anima, in mezzo alle prove in cui il Signore ti pone. Vivi allegra e coraggiosa, ripeto, perché l’angelo, che preconizza il nascimento del nostro piccolo Salvatore e Signore, annunzia cantando e canta annunziando ch’egli pubblica allegrezza, pace e felicità agli uomini di buona volontà, acciocché non vi sia alcuno che non sappia che, per ricevere questo Bambino, basta essere di buona volontà." (Epist. III, p. 466).

«Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».(Giovanni 1,1-18.)

VANGELO DI MERCOLEDì 25 DICEMBRE
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,1-18.
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
Parola del Signore.

lunedì 23 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Il tuo zelo non sia amaro, non sia puntiglioso; ma sia libero da ogni difetto; sia dolce, benigno, grazioso, pacifico e sollevante. Ah, chi non vede, mia buona figliuola, il caro piccolo Bambino di Betlemme, all’avvento del quale ci andiamo preparando, chi non vede, dico, essere il suo amore per le anime incomparabile? Egli viene per morire affine di salvare, ed è sí umile, sí dolce e sí amabile."(Epist. III, p. 465s.).

SANTI é BEATI :

Santa Paola Elisabetta Cerioli Vedova, fondatrice
Soncino, (Cremona), 28 gennaio 1816 – Comonte (Bergamo), 24 dicembre 1865
Il giorno della vigilia di Natale ci offre una delle figure più recentemente additate da Giovanni Paolo II come modello di santità: si tratta di madre Paola Elisabetta Cerioli, fondatrice dell'Istituto della Sacra Famiglia, canonizzata il 16 maggio 2004. Nata il 28 gennaio 1816 da una famiglia nobile di Soncino, in provincia di Cremona, Costanza Cerioli (come si chiamava all'anagrafe) andò sposa a 19 anni a un uomo molto più anziano di lei. Ebbe tre figli, ma le morirono tutti giovanissimi: uno appena nato, il secondo a un anno, il terzo a 16 anni. Rimasta vedova, ricca e sola a 38 anni, scelse di spendere la vita prendendosi cura in casa sua delle bambine rimaste orfane. In quest'opera si unirono presto a lei altre giovani: fu la scintilla da cui scaturì l'Istituto Sacra Famiglia, nel quale prese lei stessa i voti assumendo il nome di suor Paola Elisabetta. Presto si affiancò anche il ramo maschile dei Fratelli della Sacra Famiglia dediti all'apostolato tra i lavoratori agricoli. Morì il 24 dicembre 1865. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Comonte vicino a Bergamo, santa Paola Elisabetta (Costanza) Cerioli, che, morti prematuramente tutti i figli e rimasta poi vedova, impegnò risorse e forze nell’istruzione dei figli dei contadini e degli orfani senza speranza di futuro e visse nel Signore le gioie di madre, fondando l’Istituto delle Suore e la Congregazione dei Padri e dei Fratelli della Sacra Famiglia.

Costanza Cerioli, questo il suo nome da laica, nacque il 28 gennaio 1816 a Soncino (Cremona) dai nobili e ricchi genitori Francesco Cerioli e Francesca Corniani,
Era di gracile e delicata costituzione, ma dotata di grandi virtù spirituali che la madre con la sua sensibilità seppe sviluppare. Dai dieci ai sedici anni, fu affidata alle Suore della Visitazione di Alzano, dove si fece notare per la bontà dell’animo e la diligenza nello studio.
Aveva 19 anni quando il 30 aprile 1835 andò sposa al nobile e ricco Gaetano Buzecchi dei conti Tassis, che aveva 60 anni (siamo nell’epoca in cui i matrimoni erano combinati per tanti motivi dai familiari) e con il marito si trasferì a Comonte, sempre nel bergamasco.
Nei confronti del coniuge, tanto più anziano di lei, malato e spiritualmente lontano, Costanza Cerioli fu sempre generosa, paziente e docile; ebbe tre figli, purtroppo uno morì appena nato, un altro ad appena un anno, il terzo infine a 16 anni.
Purtroppo la mortalità infantile nel secolo XIX era molto forte e tante malattie che oggi sono curabilissime, allora erano mortali; del resto la media della vita in generale era molto bassa, a confronto con quella di oggi.
Rimase vedova il 25 dicembre 1854, ormai sola e ricca, nonostante avesse solo 38 anni, si isolò dal mondo e visse ritirata nella sua casa, dedicandosi alle opere di carità, in cui impegnò il suo immenso patrimonio.
Iniziò prendendo in casa due orfanelle, che man mano aumentarono di numero, insieme alle persone incaricate della loro formazione ed assistenza; così l’8 dicembre 1857 fondò l’”Istituto della Sacra Famiglia” e lei la vedova Costanza diventò suora prendendo il nome di suor Paola Elisabetta e dopo qualche anno fondò anche i “Fratelli della Sacra Famiglia” dediti al lavoro ed all’apostolato nei campi agricoli.
Personalmente scrisse per i suoi Istituti le sapienti Regole, che furono approvate dal vescovo di Bergamo; si consumò in questa assistenza sociale e attività religiosa, ed a soli 49 anni morì a Comonte il 24 dicembre 1865.
Fu beatificata il 19 marzo 1950, durante l’Anno Santo, da papa Pio XII.
E' stato proclamata santa da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.
Le Diocesi di Bergamo e Cremona ne fanno memoria liturgica il 23 gennaio.

Autore:
Antonio Borrelli

(Lc 1,67-79) Ci visiterà un sole che sorge dall’alto.

VANGELO
 (Lc 1,67-79) Ci visiterà un sole che sorge dall’alto.
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,perché ha visitato e redento il suo popolo,e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo,come aveva  bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:salvezza dai nostri nemici,e dalle mani di quanti ci odiano.Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza,del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,di concederci, liberati dalle mani dei nemici,di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.  E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,ci visiterà un sole che sorge dall’alto,per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte,e dirigere i nostri passi sulla via della pace».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA

Spirito Santo eterno amore,porta la tua luce nel mio cuore,fammi vivere la tua parola,fammi vedere la tua luce,fammi splendere del tuo riflesso. Amen.

Alla nascita di Giovanni, Zaccaria torna a parlare,per prima cosa benedice il Signore,perché ha capito che aveva sbagliato a dubitare,ad avere paura,e così si affida anche lui allo Spirito,sulle orme di Maria ed Elisabetta e pieno di fiducia ringrazia Dio della venuta del salvatore,come aveva promesso.Alla luce della conoscenza, anche la missione del figlio Giovanni diventa chiara e la preghiera di Zaccaria,dopo essere passata per la profezia arriva al ringraziamento.
Ricordiamo il magnificat di Maria?Ed ora il cantico di Zaccaria,la prima cosa che sale alle labbra dopo aver riconosciuto lo Spirito Santo ed essersi affidati a lui è una preghiera,perché il contatto con il Signore procura gioia,meraviglia e fiducia,una fiducia che diventa certezza,addirittura profezia…..
E poi eccolo l’avvenimento meraviglioso della nascita di Gesù,in una   stalla, straniero , povero, ricercato per essere ucciso,non è certo questo il modo in cui si pensava alla nascita del Messia;ma una stella guida il cammino dei pastori e dei Magi, una luce che fa intravedere nel buio della notte,la speranza della salvezza.
Gli angeli del Signore avvisano i pastori che la salvezza è nata per il mondo…
Buon Natale a tutti coloro che sono davanti alla capanna semplice di Dio,che lo riconoscono come il Messia,e che vivono per lodare il Suo nome e testimoniare la sua venuta!


domenica 22 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" La fede anche noi guida, e noi dietro il suo lume sicuri seguiamo il cammino che ci conduce a Dio, alla sua patria, come i santi magi guidati dalla stella, simbolo di fede, giungono al luogo desiderato." (Epist. IV, p. 886).

SANTI é BEATI :

San Giovanni da Kety (Canzio) Sacerdote
23 dicembre - Memoria Facoltativa
Kety, Polonia, 1390 - Cracovia, notte di Natale, 1473
«All'Ateneo da me tanto amato auguro la benedizione della Santissima Trinità e la perpetua protezione di Maria, Sede della Sapienza, come anche il patrocinio fedele di san Giovanni da Kety, suo professore più di 500 anni fa». Così durante la visita a Cracovia del 9 giugno 1979, Giovanni Paolo II ricordò il professore santo di quell'Università. Nato a Kety cittadina polacca a sud ovest di Cracovia nel 1390, Giovanni intraprese gli studi con risultati subito brillanti. Docente di filosofia a 27 anni, a 34 fu ordinato sacerdote, continuando a insegnare per alcuni anni. Ricevuto l'incarico di parroco a Olkusz, si fece ammirare come modello di pietà e carità verso il prossimo. Nel 1440 riprese la docenza a Cracovia contribuendo all'educazione del principe Casimiro. Morì durante la Messa della vigilia di Natale del 1473. Docente e amico degli ultimi, la gente prese subito a considerarlo santo ricordando le sue lezioni di amore tra i malnutriti e i malati. È stato canonizzato da Clemente XIII nel 1767.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: San Giovanni da Kety, sacerdote, che, ordinato sacerdote, insegnò per molti anni nell’Università di Cracovia. Ricevuto poi l’incarico della cura pastorale della parrocchia di Olkusz, aggiunse alle sue virtù la testimonianza di una fede retta e fu per i suoi collaboratori e i discepoli un modello di pietà e carità verso il prossimo. Nel giorno seguente a questo, a Cracovia in Polonia, passò ai celesti gaudi.
(24 dicembre: A Cracovia in Polonia, anniversario della morte di san Giovanni da Kety, la cui memoria si celebra il giorno prima di questo).

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«All’Ateneo da me tanto amato auguro la benedizione della Santissima Trinità e la perpetua protezione di Maria, Sede della Sapienza, come anche il patrocinio fedele di san Giovanni da Kety, suo professore più di 500 anni fa». Così Giovanni Paolo II, in visita a Cracovia il 9 giugno 1979, ha ricordato il “professore santo” di quell’università. Giovanni da Kety (una cittadina polacca a sud-ovest di Cracovia), detto anche Giovanni Canzio, intraprende gli studi con risultati subito brillanti. E a 27 anni è docente di filosofia. Poi intraprende anche studi di teologia, e a 34 anni viene ordinato sacerdote, ma continua a insegnare per alcuni anni, perché questa è la sua passione. Più tardi viene inserito nel clero della collegiata di San Floriano in Cracovia: una chiesa che è stata costruita nel XII secolo in un paese ancora di campagna, poi raggiunto e assorbito dallo sviluppo della città, divenuta capitale della Polonia. Compie una breve esperienza parrocchiale in provincia e poi torna a stabilirsi nuovamente in Cracovia, risalendo sull’amata cattedra universitaria.
In qualità di precettore dei prìncipi della casa reale polacca, talvolta non poteva esimersi dal partecipare a qualche festa. mondana. Un giorno si presentò a un banchetto in abiti dimessi e venne messo alla porta da un domestico. Giovanni andò a mutarsi d'abito e tornò alla villa dove si dava il ricevimento. Questa volta poté entrare, ma durante il pranzo un malaccorto inserviente gli rovesciò un bicchiere sul vestito. Giovanni sorrise rassicurante: "E’ giusto che anche il mio abito abbia la sua parte: è grazie a lui che sono potuto entrare qui".
Ma “stabilirsi” è un’espressione impropria. Infatti il professore Giovanni ama la strada quanto la cattedra, gli affamati di sapere e gli affamati di pane. Ama la strada, poi, come “luogo” tipico dei poveri, sempre alla ricerca di un aiuto. E sul loro percorso amaro, i poveri di Cracovia incontrano spesso Giovanni il Professore; lo vedono entrare nei loro miseri rifugi, portando loro quello che spesso è necessario a lui. Ne sfama tanti, non con le ricchezze che non possiede, ma con la sua paga di insegnante e con i suoi digiuni. E poi la strada, per lui, è quella del pellegrinaggio. Il suo viaggio più lungo è quello in Terrasanta, compiuto a piedi fin dov’era possibile. Poi va pellegrino a Roma. Per quattro volte. E sempre assolutamente a piedi, andata e ritorno.
Umile camminatore e compagno di viandanti e di poveri lungo le antiche “vie” che conducono al Sud, al Paese del sole, Giovanni diventa anche il consigliere e il sostenitore dei suoi concittadini più indifesi e soli. Autorevole maestro quando siede in cattedra, gli si attribuiscono anche commenti alla Bibbia e a san Tommaso.
Ma ciò che spinge la gente di Cracovia a “gridarlo santo” dopo la morte sono le lezioni di amore che teneva lungo le strade e nelle case, tra malnutriti e ammalati. Nel 1600, papa Clemente VIII lo proclama venerabile, e il suo corpo viene più tardi trasferito nella chiesa di Sant’Anna in Cracovia. Nel 1767, papa Clemente XIII lo iscrive tra i santi. Al ricordo di Giovanni è consacrata una cappella nella chiesa di San Floriano, dove a metà del XX secolo iniziava il suo servizio di vicario parrocchiale il giovane sacerdote Karol Wojtyla.
In Polonia viene ricordato il 20 ottobre. È stato proclamato patrono dell'arcidiocesi di Cracovia, degli insegnanti delle scuole cattoliche e della “Caritas”.

(Lc 1,57-66) Nascita di Giovanni Battista.

VANGELO
 (Lc 1,57-66) Nascita di Giovanni Battista. 
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Parola del Signore

 (Lc 1,57-66) Nascita di Giovanni Battista. 
LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Signore mio ti prego, inondami del tuo Spirito di sapienza, fa che io possa trarre da questa lettura tutto quello che vuoi concedermi di sapere. Io non merito nulla per me, sono la più stupida dei tuoi fratelli, ma sto cercando di fare quello che tu vuoi, sto cercando di testimoniare la tua parola, aiutami o mio tutto, a non essere me, ma a lasciare che tu occupi il mio posto.

Oggi c'è internet, c'è il telefono, e le notizie volano nell'etere in tempo reale, ma pensiamo per un attimo ai tempi in cui Elisabetta partorì il piccolo Giovanni, andiamo tra le famiglie dell'epoca, intente nei loro lavori, chi a filare, chi a guardare le pecore e così via, un po' come le scenette che montiamo sui nostri presepi in questi giorni.
Ma lo sapete che Elisabetta ha avuto un figlio?  Ma chi ?  L'anziana moglie del vecchio Zaccaria? Com’è potuto succedere? E un miracolo!
Dio meraviglia per primi Zaccaria ed Elisabetta, che in quei mesi avevano avuto modo di capire che avevano sbagliato a mettere in dubbio la potenza della grazia di Dio, ma eccoli ora che coraggiosamente accettano la volontà di Dio in tutto e per tutto.
Si chiamerà Giovanni, come ha detto l'Angelo del Signore, non come il padre Zaccaria, come imporrebbero le regole del tempo. Questo gesto così semplice racchiude in se una cosa molto grande, l'accettazione del volere di Dio, dell'appartenenza alla stirpe Divina.
 Giovanni vuol dire " Dio fa grazia " e con questa  è entrato nella vita di Zaccaria e nella nostra, anche se sicuramente i poveri vecchi, non potevano mai immaginare che dopo 2000 anni ancora ci ricordiamo di loro per questo.
La nostra vita non è mai fine a se stessa, perché tutti facciamo parte di un progetto  d'amore di nostro Signore, dobbiamo imparare a rendercene conto, a diventare coscienti di questo e vivere di conseguenza.
Poco tempo fa, parlando con un amico ateo (almeno così lui si definiva) mi chiese se questo non era rinunciare a vivere una vita fatta di tante cose belle, ho risposto che era semplicemente una questione di scegliere quali erano le cose belle per noi, in che modo intendevamo vivere, a chi volevamo fare riferimento, qual era la parte che volevamo far prevalere.
Giovanni non è solo un bambino, ma è un segno del Signore, è qualcosa d’inspiegabile attraverso le leggi naturali, nato da una donna sterile ed un uomo molto anziano, ma attraverso di lui il Signore parlerà al mondo, presenterà un miracolo ancora più grande, presenterà quel figlio Dio, che s’incarnerà in una Vergine e cambierà la nostra storia. E noi chi siamo per il Signore? In che modo  sapremo partecipare e saremo parte attiva della famiglia Divina? Saremo capaci di scegliere di farne parte? Ci lasceremo guidare dalla mano di Dio?

sabato 21 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Gésù Bambino sia la setlla che ti guidi lungo il deserto della vita presente." (AP).

SANTI é BEATI :

- Santa Francesca Saverio Cabrini Vergine

22 dicembre

Sant'Angelo Lodigiano, Lodi, 15 luglio 1850 – Chicago, Stati Uniti, 22 dicembre 1917

Una fragile quanto straordinaria maestrina di Sant'Angelo Lodigiano. In questo ritratto si colloca la figura di Francesca Saverio Cabrini. Nata nella cittadina lombarda nel 1850 e morta negli Stati Uniti in terra di missione, a Chicago. Orfana di padre e di madre, Francesca avrebbe voluto chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua malferma salute. Prese allora l'incarico di accudire a un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. La giovane, da poco diplomata maestra, fece molto di più: invogliò alcune compagne a unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore, poste sotto la protezione di un intrepido missionario, san Francesco Saverio, di cui ella stessa, pronunciando i voti religiosi, assunse il nome. Portò il suo carisma missionario negli Stati Uniti, tra gli italiani che vi avevano cercato fortuna. Per questo divenne la patrona dei migranti. Nel giorno della morte il suo corpo venne traslato a New York alla «Mother Cabrini High School», vicino ai suoi «figli». (Avvenire)

Patronato: Emigranti

Etimologia: Francesca = libera, dall'antico tedesco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: A Chicago in Illinois negli Stati Uniti d’America, santa Francesca Saverio Cabrini, vergine, che fondò l’Istituto delle Missionarie del Sacratissimo Cuore di Gesù e si adoperò in tutti i modi nell’assistere gli emigrati con insigne carità.

Tra il 1901 e il 1913 emigrarono in America ben quasi cinque milioni di italiani, di cui oltre tre milioni provenivano dal meridione. Un vero morbo sociale, un salasso, come lo hanno definito parecchi politici e sociologi. Accanto ai drammi che l'emigrazione ebbe a suscitare, merita ricordare una santa italiana, festeggiata il 22 dicembre, che a questo fenomeno guardò con gli occhi umanissimi di donna, di cristiana, meritando così il titolo di “madre degli emigranti”: Santa Francesca Saverio Cabrini.

Nata a Sant’Angelo Lodigiano il 15 luglio 1850 e rimasta orfana di padre e di madre, Francesca desiderava chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua salute malferma. Accettò allora l'incarico di accudire un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. Da poco diplomata maestra, la ragazza fece ben di più: convinse alcune compagne ad unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore; era il 1880.

Ispirandosi al grande San Francesco Saverio, sognava di salpare per la Cina, ma il Papa le indicò quale luogo di missione l’America, dove migliaia e migliaia di emigranti italiani vivevano in drammatiche e disumane condizioni. Anche lei nella prima delle sue ventiquattro traversate oceaniche condivise i disagi e le incertezze dei nostri compatrioti, poi con straordinario coraggio affrontò la metropoli di New York, badando agli orfani e agli ammalati, costruendo case, scuole e un grande ospedale. Passò poi a Chicago, quindi in California, onde allargare ancora la sua opera in tutta l'America, sino all'Argentina.

A chi si congratulava con lei per l’evidente successo di cotante opere, Madre Cabrini soleva rispondere in sincera umiltà: “Tutte queste cose non le ha fatte forse il Signore?”.

La morte la colse in piena attività durante l’ennesimo viaggio a Chicago il 22 dicembre 1917. Il suo corpo venne trionfalmente traslato a New York presso la chiesa annessa alla “Mother Cabrini High School”, perché fosse vicino ai suoi “figli”. Nei suoi quaderni di viaggio aveva scritto “Oggi è tempo che l'amore non sia nascosto, ma diventi operoso, vivo e vero”. Papa Pio XII l’ha canonizzata nel 1946.

Autore: Fabio Arduino





“La vostra Cina saranno gli Stati Uniti”

Francesca nacque nel 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, in una numerosa famiglia di contadini benestanti e cristianamente praticanti. Nella sua famiglia imparò non solo il fervore religioso e un certo spirito di iniziativa, ma anche un sincero amore alla patria italiana, non frequente in quei tempi. Questo giusto sentimento patriottico che cercò di risvegliare o di tenere desto nei numerosi emigranti italiani negli Stati Uniti.
onseguito il diploma magistrale e l’abilitazione, anche per accudire insieme alla sorella Rosa l’altra sorella handicappata Maddalena, accettò subito il lavoro di supplente nella scuola vicina di Vidardo. Qui insegnò due anni. Un episodio ci rivela il carattere e la determinazione di Francesca. Riuscì infatti a vincere la battaglia contro il sindaco anticlericale del paese: ottenne il permesso all’insegnamento della dottrina cristiana in classe nonostante la proibizione governativa. Lei però desiderava ardentemente diventare missionaria. Sogno che non poté realizzare subito. Fece anche i voti religiosi entrando nella Casa della Provvidenza di Codogno. Furono anni difficili, (“ho pianto molto” dirà lei stessa) che lei affrontò con coraggio e praticando la virtù dell’obbedienza.
Ma la Provvidenza le venne incontro nella persona del Vescovo di Lodi che le propose di fondare un istituto religioso per l’assistenza degli emigrati italiani in America. L’America non era la Cina che lei sognava, ma l’ideale missionario si poteva concretizzare ugualmente. Fondò presto Le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, con case in Lombardia, ed una anche a Roma. Il secondo intervento provvidenziale arrivò con Mons. Giovanni B. Scalabrini. Questi cercava un ramo femminile al suo Istituto, e stimava molto la Cabrini. Lei però temendo di perdere l’autonomia dell’istituto, resistette alla proposta. Ma accettò subito la direzione di una scuola e di un asilo a New York. Questo significava l’addio per sempre alla Cina. D’altra parte, ed ecco il terzo intervento provvidenziale, era stato nientemeno che il Papa Leone XIII a dirle paternamente: “Non a Oriente, Cabrini, ma all’Occidente. L’Istituto è ancora giovane. Ha bisogno di mezzi. Andate negli Stati Uniti, ne troverete. E con essi un grande campo di lavoro. La vostra Cina sono gli Stati Uniti, vi sono tanti italiani emigrati che hanno bisogno di assistenza”.
Francesca partì nel 1889. Destinazione l’America, città New York. Era sicura della volontà di Dio, e del campo di lavoro missionario. Ma le difficoltà non si fecero attendere. Uno dei primi che si mise a ‘remare contro’ di lei e il suo progetto fu addirittura l’arcivescovo Corrigan. Fece la parte dell’avvocato del diavolo scoraggiando quel manipolo di suore temerarie e... italiane che sembravano avere tanta fede ma, ahimè, poco “money”. Anche per le opere del Signore, pensava lui, ci vuole molto “denaro”. Che, poverette, non avevano. Non era più saggio tornare in Italia? La Cabrini gli oppose un argomento spirituale... la benedizione del Papa, e uno materiale: l’amicizia di una ricca cattolica americana, moglie di un emigrato italiano illustre, Luigi Palma de Cesnola, direttore del Metropolitan Museum.
Non si sa se il prelato fu convinto da questi due “argomenti”, ma è sicuro che la Cabrini continuò per la sua strada e il suo progetto. “Le suore aprirono una prima scuola femminile in un modesto appartamento offerto dalla contessa de Cesnola, ma si impegnarono anche in un lavoro di assistenza e di insegnamento nei quartieri più degradati della città, compiendo ogni giorno chilometri di strada ed entrando senza paura in ambienti spaventosi per miseria e violenza. Madre Cabrini dimostrò subito di saper affiancare alla sua attività di educatrice religiosa una spiccata sensibilità per i problemi degli emigranti italiani: “Gli italiani qui sono trattati come schiavi... bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita” (L. Scaraffia).
Ella lavorò tutta la vita, con innumerevoli viaggi, per aiutare ad inserire gli emigrati nella realtà sociale americana, facendone dei buoni cittadini, ma nello stesso tempo rafforzando in loro anche l’identità italiana e cattolica. In questa promozione sociale Francesca usò una tecnica il cui principio era: convincere gli italiani ricchi ad aiutare gli altri italiani meno favoriti. Ed alcuni dei suoi benefattori, convinti e incalliti anticlericali, la aiutavano trascinati dal suo carisma più che dalle motivazioni teologiche.
“Si è detto che se Cristoforo Colombo ha scoperto l’America, la Cabrini ha scoperto tutti gli italiani in America. Ma pur sentendosi autentica patriota e quantunque circostanze particolari la inducessero a rendersi cittadina americana nel 1909, il suo ideale missionario rimase sempre quello genuino, senza confini di razze e di geografia” (G. Pelliccia).

Spiritualità e messaggio di Francesca Cabrini

Continuò con coraggio nel suo lavoro di fondazioni di nuovi istituti e di rafforzamento di quelli esistenti e soprattutto nel seguire l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, da lei fondato. E questo fino alla fine della sua vita, che si spense a Chicago, durante uno di questi viaggi, nel 1917. Lasciando dietro di sé in eredità alla chiesa tutta e al mondo un fiorente istituto religioso e la sua personale santità e testimonianza di carità apostolica a beneficio particolarmente degli emigrati italiani (ma non solo).
Fu dichiarata santa da Pio XII il 7 luglio 1946 e nel 1950 proclamata “Celeste Patrona di tutti gli Emigranti”. Due anni dopo, in considerazione del suo lavoro per gli Italo-americani, il Comitato Americano per l’Emigrazione Italiana le decretava un importante riconoscimento dichiarandola “La Immigrata Italiana del Secolo”. Per gli emigrati italo-americani è semplicemente “la loro santa”: la sua opera geniale, coraggiosa la fece stimare anche in ambienti non benevoli verso il cattolicesimo, e aiutò enormemente a far cambiare idea sui nostri connazionali emigrati.
Francesca Cabrini non la ricordiamo per le sue opere teologiche o per grandi rivelazioni e miracoli. Niente di tutto questo. Noi la ricordiamo per la sua santità semplice, umile, fatta non di tante ore di preghiera, ma per tutte le ore delle giornate, di tutta la sua vita, passate a “lavorare, sudare, faticare per Dio, per la sua gloria, per farlo conoscere ed amare”. Una santità fatta non di rapimenti o di rivelazioni mistiche, ma di grande impegno sociale per Dio. Non fu rapita in estasi nella contemplazione di Dio, ma consumò la vita “lavorando” per lo stesso Dio. Con gioia. Un giorno, infatti, fermò una suora che era sul punto di imbarcarsi per andare nelle missioni, solo perché salutando parenti e amici, aveva affermato che faceva volentieri “il sacrificio”. Sembrava che per lei si trattasse di una rinuncia da fare, che le mancasse la gioia di partire e “lavorare per Dio”. Madre Cabrini la fermò dicendole: “Iddio non vuole importi sacrifici così gravi”.
Il Papa Pio XI esaltava il suo nome come un “poema di attività, un poema di intelligenza, un poema soprattutto di carità”. E prima ancora era stato lo stesso Leone XIII che già nel 1898, affermava di lei: “È una santa vera, ma così vicina a noi che diventa la testimone della santità possibile a tutti”. Una santità “accostevole” imitabile da tutti, perché consiste nel fare bene e per amore di Dio quelli che sono i nostri doveri. Questo richiama la famosa frase e programma di santità consigliato da Don Bosco a Domenico Savio, smanioso di farsi santo a forza di penitenze: bastava l’esatto adempimento dei propri doveri quotidiani.
La santità e “la spiritualità intensa di madre Cabrini si realizzò soprattutto nelle opere, nella sua continua attività finalizzata ad opporre del bene al male. La preghiera stava nei fatti, non nelle parole. La sua vita è segnata da una perpetua attività” (L. Scaraffia). Fatta tutta per Dio e per correre dietro al Cristo. Diceva: “Con la tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro a Te sino alla fine della corsa, e ciò per sempre, per sempre. Aiutami o Gesù, perché voglio fare ciò ardentemente, velocemente”.
Lavorare per Dio nella gioia (anche quando si pensa di avere diritto a tutt’altro). Non amava lamentarsi nelle difficoltà e raccomandava alle sue figlie non solo tanto lavoro ma anche il coraggio, fondato sulla fede, che si esprime nel sorriso: “Ci sentiamo male? Sorridiamo lo stesso”.

(Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.

VANGELO
 (Mt 1,18-24) Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide. 
+ Dal Vangelo secondo Matteo

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Parola del Signore



LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni Signore mio,con il tuo Santo spirito,ad aiutare la mia mente a capire quello che Tu ritieni giusto che io debba capire e a liberare la mia mente da tutto il resto.

Matteo continua a raccontarci la storia della nascita di Gesù,vedendola dalla parte di Giuseppe.

La notte di Giuseppe! Questo dovrebbe essere il titolo di questa pagina di vangelo; ve la immaginate la notte del povero Giuseppe? Dubbi, angosce, paura, delusione… credo che nella sua mente sia passato veramente di tutto, e molto probabilmente ha anche pianto e a lungo, perché alla fine è crollato in un sonno profondo….
 Ecco ora l’uomo Giuseppe finisce di comportarsi da uomo, ora stremato si lascia andare, allenta le difese, smette di pensare, e il Signore riesce ad intervenire mandando un suo angelo.
 Quello che mi colpisce e mi fa riflettere è proprio questo, quando l’uomo ha provato tutto, ha pensato tutto, si arrende a Dio, e da lì in poi tutto è possibile.Giuseppe, semplice falegname, aveva come promessa sposa la piccola Maria; una fanciulla mite e sicuramente degna del massimo rispetto, tanto che anche a lui riesce difficile pensare male di lei, quando le dice che aspetta un bambino.
 Giuseppe sa di non averla toccata, come può essere successa una cosa simile? E adesso che sarà di lei? Anche oggi come 2000 anni fa una ragazza che deve affrontare una gravidanza da sola si trova in mille difficoltà, dirlo alla famiglia, il giudizio della gente, ma in quei tempi era ancora peggio; una ragazza era messa al pubblico sdegno ed addirittura lapidata. Egli sente che non può farle questo, ma non può neanche sposarla! Non la sta giudicando, ma non comprende; le sue intenzioni erano altre: una casa, dei figli suoi, una bottega di falegname….. ed ora questa cosa gli sembra inaccettabile.
 Molti uomini cercano di capire come una Vergine possa aver partorito ed essere restata tale, ed a questo proposito io vorrei dire: che questo possa essere un dubbio legittimo in chi non crede in Gesù Cristo, è normale, ma quando si riesce a scoprire ed accettare il mistero dell’incarnazione di Dio, perché questi dubbi? Perché resistere al miracolo della fede? Perché cercare di capire e limitare Dio? Che tipo di fede è questa?
 Nella nostra vita avremo avuto e avremo sempre dei momenti in cui ci sarà difficile comprendere i disegni di Dio, ma se ci affidiamo a lui, tutto ci sarà poi comprensibile. Senza il Sì di Maria e di Giuseppe noi non saremmo qui dopo 2000 anni a parlare dei disegni di Dio, non aspetteremmo ancora una volta un Natale che ci rappresenta la nascita di “Dio con noi”, non spereremmo in un mistero ancora più grande di noi, in cui un piccolo esserino che sceglie di nascere in una stalla e morire su una croce, cambierà la storia della nostra vita!
 Ma quando Dio decide di intervenire nel mondo, non ci chiede il permesso, anzi, a volte sconvolge i nostri piani ed è proprio quello che ha fatto con Giuseppe, che, poverino, credeva di aver già programmato la sua vita.
 Se la nostra vita, non è sconvolta dall’arrivo di Gesù, se non cambia nulla, c’è qualcosa che non quadra, forse non è a Gesù che diamo ascolto, ma al nostro IO che grida più forte di DIO!
 La vita del mondo ci spinge a cercare il benessere e la sicurezza nelle cose materiali, nel lavoro la solidità del futuro, ecc. e seguendo questi schemi è facile che quando qualcuno dei paletti su cui poniamo le basi della nostra esistenza, ci viene a mancare, ci sentiamo franare la terra sotto ai piedi e temiamo che tutto possa crollare, ma se la nostra vita è basata su solide fondamenta e sulla fede, niente, neanche la prova più dura, ci metterà paura, perché in ogni cosa cercheremo di accettare e di riconoscere la mano del Signore e faremo riferimento a Lui.
 Non sarà sempre facile, Gesù ci ha avvertito che seguirlo non è una passeggiata, ma ci ha anche convinto che è l’unica via possibile per la nostra salvezza.
 San Giuseppe, tu che hai ascoltato la voce dell’angelo mandato dal Signore, proteggici e guidaci come hai fatto con il piccolo Gesù, che ti fu affidato da Dio, e guidaci nella vita verso il progetto di Dio per noi. Grazie, amen.

venerdì 20 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Madre mia Maria, conducimi teco nella grotta di Betlemme e fammi inabissare nella contemplazione di ciò che di grande e sublime è per svolgersi nel silenzio di questa grande e bella notte." (Epist. IV, p. 868).

SANTI é BEATI :

Beato Domenico Spadafora da Randazzo Domenicano
Randazzo, 1450 - Monte Cerignone, 21 dicembre 1521
Nasce a Randazzo, in Sicilia, nel 1450 dalla nobile famiglia Spadafora, oriunda di Costantinopoli, così chiamata perché aveva la dignità di portare la spada sguainata davanti all'imperatore. Domenico entra nell'Ordine Domenicano, nel convento di Santa Zita a Palermo. Inviato a Padova per gli studi, conseguito il dottorato, torna in Sicilia. Frattanto gli abitanti di Monte Cerignone, nello Stato di Urbino, avendo in grande venerazione una cappelletta con una miracolosa immagine della Madonna e desiderando innalzarle una chiesa con religiosi che si dedicassero alla cura spirituale della popolazione, pensano ai Domenicani. Per la nuova fondazione viene scelto Domenico. Nel 1491 sorgono così la chiesa e il convento che il religioso guiderà fino alla morte, il 21 dicembre 1521. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Montecerignone nelle Marche, beato Domenico Spadafora, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che si adoperò attivamente nel ministero della predicazione.

Domenico Spadafora, nacque a Randazzo nel 1450, dalla nobilissima e antichissima famiglia Spadafora, oriunda di Costantinopoli, così chiamata perché aveva la dignità di portare la spada sguainata davanti all’Imperatore. Domenico, disprezzata ogni umana grandezza, deciso ad onorare e servire il Signore dei Signori entrò nell’Ordine Domenicano, nel fiorentissimo Convento di Santa Zita a Palermo, fondato da Pietro Geremia. Inviato allo Studio di Padova per compiervi gli studi, se mirabili furono i suoi progressi nella scienza, più mirabili furono quelli nell’acquisto delle solide virtù. Conseguito il dottorato, e tornato in Patria, la sua santità e il suo sapere non poterono restare nascosti e il Maestro Generale lo chiamò accanto a sé come suo Socio. Frattanto gli abitanti di Monte Cerignone, nello Stato di Urbino, avendo in grande venerazione in una cappelletta una miracolosa immagine della Madonna, e desiderando innalzarle una chiesa con religiosi che la ufficiassero e si dedicassero alla cura spirituale delle popolazioni circostanti, pensarono ai Domenicani. Si rivolsero perciò al Maestro Generale per ottenere dei padri che iniziassero l’opera si vantaggiosa alle anime per la gloria della Vergine, a cui l’Ordine professa speciale devozione. La loro richiesta fu accolta, e per la nuova fondazione fu scelto Domenico. Nel 1491 sorsero così la chiesa e il Convento di cui egli fu guida sapiente fino alla morte. Nella fervente comunità fiorirono le leggi e lo spirito dell’Ordine, con immensa edificazione dei popoli circostanti. Da tutto il Montefeltro si ricorreva a Domenico come a un santo, e come tale fu venerato dopo morte, avvenuta il 21 dicembre 1521. Sepolto nella chiesa conventuale, il suo corpo, nel 1545, è stato trovato incorrotto. Dal 1677 è venerato nella chiesa di Santa Maria in Reclauso a Monte Cerignone. Papa Benedetto XV il 12 gennaio 1912 ha confermato il culto. Se ne fa memoria oggi anniversario della traslazione delle reliquie avvenuta nel 1677.

Autore:
Franco Mariani

(Lc 1,39-45) A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?

VANGELO
 (Lc 1,39-45) A cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?
+ Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Parola del Signore


LA MIA RIFLESSIONE
PREGHIERA
Vieni o Santo Spirito e aiutami a percepire il volere di Dio in ogni piccola sillaba della scrittura. Fa che io possa sempre accettare quello che il Signore mi chiede, che possa non aver mai dubbi  e che mi renda sempre disponibile a tutto quello che decide per me.

In questo brano vediamo che Maria inizia da subito a vivere il suo sì a Dio, mettendosi al servizio della cugina Elisabetta, anziana e incinta per grazia di Dio del piccolo Giovanni, che precederà Gesù nella sua missione.
Due modi diversi di rispondere alla chiamata di Dio, quello di Maria, forse l'unico della storia, incondizionato e perfetto, l'altro quello d’Elisabetta e Zaccaria suo marito, che mettono davanti al Signore, come tutti in fondo facciamo, la propria umanità. Ma il miracolo di Dio si compie ugualmente, nonostante la nostra titubanza, ed allora ecco che, se riusciamo a lasciarci condurre, possiamo far parte di quest’avvenimento, così com’è stato per loro, sarà anche per noi.
C’è chiesto di arrenderci a Gesù, di riconoscerlo la dove non riusciamo a vederlo, perché questo vuol dire accettare di far parte di un progetto Divino, che ci fa vivere in questo mondo, non solo per il proprio gusto di farlo, ma per esserne partecipi. A Dio nulla è impossibile, se ancora non riusciamo a convincerci di questo, vuol dire che lo sentiamo lontano, forse indifferente al nostro destino, e questo è forse la cosa più sbagliata che possiamo fare, perché non riusciamo così a toccare l'amore di Dio.
Viene tra noi, si fa piccolo, accetta di nascere povero, umile, senza nulla, eppure è Dio; pensiamoci, quando ci lamentiamo di tutto quello che ci manca, cerchiamolo nella semplicità delle piccole cose di apprezzarlo, nel nostro vivere quotidiano e di abbracciarlo, condividendo con Lui la nostra vita. Cominciamo da questo Natale, perché sia il nostro Natale con Gesù.

giovedì 19 dicembre 2013

VOCE DI SAN PIO :

-" Povertà, umiltà, abiezione, disprezzo circondano il Verbo fatto carne; ma noi dall’oscurità in cui questo Verbo fatto carne è avvolto comprendiamo una cosa, udiamo una voce, intravediamo una sublime verità. Tutto questo l’hai fatto per amore, e non ci inviti che all’amore, non ci parli che di amore, non ci dai che prove di amore." (Epist. IV, p. 866s.).