venerdì 31 luglio 2015

IL PICCOLO NULLA Vita della Beata Maria di Gesù Crocifisso

IL PICCOLO NULLA
Vita della Beata Maria di Gesù Crocifisso (1846-1878)
PATRIARCHATUS LATINUS - JERUSALEM
È per Noi una vera gioia presentare al pubblico la traduzione in italiano, cu­rata dalla Dott. Tina Rizzone, della "vita di Suor Maria di Gesù Crocifisso", composta da P. Estrate, s.c.j.: la biografia più completa che possediamo della nostra beata.
L'attualità del messaggio di Suor Maria è sempre più grande. Questa picco­la galilea, morta giovanissima nel Carmelo di Bethlemme, è venerata non sol­tanto in Terra Santa e nel Medio Oriente, ma in tutta la Chiesa.
Quale è il segreto della sua santità? Suor Maria ha vissuto profondamente il Vangelo e specialmente le Beatitudini del Cristo. È stata come un fiore evange­lico che è germogliato in questa terra del Vangelo. Il Papa Giovanni Paolo II ha così riassunto il messaggio di Suor Maria: "Le Beatitudini trovano in lei il lo­ro compimento. Nel vederla sembra che Gesù ci dica: beati i poveri, beati gli umili, beati coloro che cercano di servire, beati i miti, beati quelli che costrui­scono la pace. Tutta la sua vita esprime una familiarità inaudita con Dio, l'a­more fraterno degli altri e la gioia, che sono i segni evangelici per eccellenza" (Discorso ai pellegrini di Terra Santa, 14 novembre 1989).
Questo messaggio è sempre attuale. La nostra società ha bisogno di ascol­tare le Beatitudini del Signore. "Lei, dice ancora Giovanni Paolo II, che è sta­ta spesso malmenata dagli avvenimenti e dalla gente, non ha smesso di semi­nare la pace, di riavvicinare i cuori. Voleva essere la piccola sorella di tutti".
Il suo esempio è prezioso nella nostra società dilaniata e divisa che cade fa­cilmente nell'ingiustizia e nell'odio.
Lo Spirito delle Beatitudini ha dilatato il cuore della nostra piccola Suor Mariani e l'ha riempito di fiducia e di amore. Potessimo anche noi seguire le sue tracce!
+ Michel Sabbah, Patriarca
Gerusalemme, 25.12.1999

CASA GENERALIZIA CARMELITANI SCALZI CORSO D'ITALIA, 38 - 00198 ROMA

PRESENTAZIONE
Nel presentare questa biografia della beata Maria di Gesù Crocifisso (Mi­riam Baouardy) mi torna spontaneo alla memoria un aneddoto letto tempo fa, che ci permette di avvicinarci ai santi e di comprendere la loro missione nella Chiesa e nel mondo.
Si racconta che una volta una mamma, portando suo figlio piccolo a visita­re diverse chiese della città, gli disse che tutte le persone raffigurate nelle ve­trate erano santi. Questo impressionò il bambino. In seguito, quando un amico di famiglia gli chiese che cosa era un santo, il bambino rispose con semplicità: «Un santo è una cosa che trasmette luce».
Esaminando la vita dei santi ci rendiamo conto della verità di questa immagi­ne infantile: i santi brillano e abbelliscono, come la luce, il panorama del mondo. La beata Maria di Gesù Crocifisso adempie da un angolo della Terra Santa, Betlemme, luogo della nascita di Gesù, la missione di far risplendere, nella tra­sparenza della sua vita, come una vetrata multicolore, la luce di Dio. In effetti, una delle caratteristiche del suo cammino di santità fu sperimentare e testimo­niare che Dio si dà gratuitamente, come la luce del sole; lo si deve solamente lasciar penetrare nel cristallo della nostra vita affinché lo attraversi e lo illu­mini anche per gli altri. Ella giunse alla santità non per mezzo di una vita lun­ga e densa di meriti. Seppe unicamente aprirsi alla luce di Dio nella sua vita e accettare la sua volontà in un'esperienza profonda di fede, speranza e amore.
Gli insegnamenti della beata Maria di Gesù Crocifisso diventano più vivi quando ci avviciniamo alla sua vita concreta. Scopriamo che lei, come noi, nel­la sua esistenza terrena, assieme agli aspetti positivi sperimentò limitazioni e dovette districarsi, guidata dalla fede e dall'amore di Dio, in tutto ciò che co­stituisce la trama di ogni giorno.
È caratteristica nella sua vita l'esperienza della gratuità di Dio che si comu­nica ai poveri e ai semplici e rivela loro i segreti del Regno (cfr Mt 11, 25). Molte cose straordinarie appaiono nella vita della "piccola Araba", ma tutte si orientano allo stesso fine: a un'esperienza di Dio che si comunica ai piccoli e agli umili e manifesta loro i suoi segreti, dà loro la sapienza del Vangelo e li aiuta a crescere nell'amore e nel servizio del prossimo.
Ornata di grazie mistiche fin dall'infanzia, la beata Maria di Gesù Crocifis­so visse come suora conversa in continua intimità con Gesù Cristo in mezzo al­le umili occupazioni della vita quotidiana. Sperimentò, anche nelle prove più difficili, la bontà e la fedeltà di Dio che le comunicava pace e gioia in mezzo al­la sofferenza. In tal modo poté testimoniare nella sua vita ciò che aveva detto Gesù: «Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umi­le di cuore e troverete riposo per le vostre anime. Infatti il mio giogo è soave e il mio carico leggero» (Mt 11, 29-30).
All'inizio del terzo millennio la vita della "piccola Araba" può aiutarci a tornare all'essenza del Vangelo: amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze e il prossimo come noi stessi (cfr Mt 22, 36-40). Il suo messaggio è un messaggio di pace e di fraternità in un mondo di divisione e di odio; un messaggio di fiducia nel Signore in mezzo alle angustie e alle in­sicurezze dell'esistenza umana.
Questa nuova edizione della biografia della beata Maria di Gesù Crocifisso, scritta dal suo confessore padre Pierre Estrate, è arricchita da una documen­tazione finora inedita e da una serie di fotografie che ci situano nell'ambiente in cui ella visse. Ci aiutano inoltre a rivivere le reazioni dei cristiani di oggi in Terra Santa al momento della beatificazione della piccola Miriam, figlia di una regione che cerca vie di libertà e di pace.
Mi congratulo con i promotori e con i responsabili del Messaggero di Gesù Bambino di Praga di Arenzano per questa magnifica iniziativa che si aggiunge ad altre edizioni relative ai santi del Carmelo ottimamente preparate e illustra­te.
La "piccola Araba" benedica questo lavoro, la cui lettura aiuti quanti si av­vicinano a lei attraverso il libro a vivere lo spirito delle beatitudini, l'unico che può aiutare a trovare vie di giustizia, di pace e di riconciliazione nel mondo di oggi.
P Camilo Maccise o.c.d. Preposito Generale Roma, 1 ottobre 2000

CRONOLOGIA
Beata Maria di Gesù Crocifisso (Maria Baouardy, 1846-1878)
1846 5 gennaio. Nascita ad Ibillin, nell'alta Galilea. 15 gennaio. Battesimo e Cresima.
1849 Rimane orfana di entrambi i genitori.
1854 Si trasferisce ad Alessandria d'Egitto con lo zio paterno. Confessione e Prima Comunione.
1959 Rifiuta decisamente convenienti nozze.
È colpita gravemente al collo da un turco, perché si professa cattolica.
1859-62 Peripezie varie: a servizio presso diverse famiglie ad Alessandria, a Gerusalemme, a Beirut.
1863 A Marsiglia come serva presso la famiglia Nadjar.
1865 Entra fra le Suore di S. Giuseppe dell'Apparizione, a Marsiglia.
1867 giugno. Entra nel carmelo di Pau (diocesi di Bayonne).
27 luglio. Vestizione come corista, ma poi come conversa.
1868 24 maggio. Episodio della trasverberazione del cuore.
26 luglio - 4 settembre. Possessione diabolica.
5-8 settembre. Presenza di uno «Spirito celeste».
1870 21 agosto. Partenza per l'India.
Fine novembre. Arrivo a Mangalore (nel Malabar).
1871 giugno. Possessione diabolica.
21 novembre. Professione religiosa (la prima di una carmelitana in India!).
1872 3 agosto. Violazione (materiale) della clausura.
settembre. Rinviata a Pau.
1875 20 agosto. Partenza per la Palestina.
24 settembre. In clausura provvisoria a Betlemme.
1876 24 marzo. Posa della prima pietra del nuovo carmelo di Betlemme. Matrimonio spirituale.
21 novembre. Inaugurazione del nuovo carmelo sulla collina di David.
1878 aprile. Viaggio a Emmaus, monte Carmelo, Ibillin, Nazareth, Tabor, Betlemme.
21 agosto. Caduta nell'orto del monastero di Betlemme, con frattura del braccio e successiva, inarrestabile, cancrena.
26 agosto. Muore all'alba. Estrazione del cuore. 27 agosto. Sepoltura.
novembre. Trasporto del cuore a Pau. 1983 19 luglio. Esumazione.
13 novembre. Beatificazione.

CAPITOLO I
Nascita e primi anni di suor Maria di Gesù Crocifisso (1846-1858)
La bambina meravigliosa di cui noi incominciamo a raccontare la storia nacque il 5 gennaio 1846, ad Ibillin, piccolo villaggio situato ad una ventina di chilometri a nord-ovest di Nazareth. La sua famiglia, originaria di Damasco e del monte Liba­no, professava un attaccamento inviolabile alla fede cattolica. Molte volte i genito­ri di questa bambina furono spogliati dei loro beni da parte dei persecutori della lo­ro religione, gettati in prigione ed esiliati. E Dio li provava ancora ma per un altro verso. Giorgio Baouardy e Maria Chahyn (sono i nomi di questi due giusti) aveva­no visto morire in tenera età dodici figli, frutto del loro santo matrimonio, e il loro cuore per dodici volte era stato spezzato. Durante uno dei loro esili ad Ibillin, la ma­dre ebbe l'ispirazione di chiedere a Dio una figlia, e suo marito, approvando questo pensiero, disse: Andiamo a piedi a Betlemme, per sollecitare questa grazia alla san­tissima Vergine; promettiamole, se ci esaudirà, che la chiameremo Maria e che of­friremo a Dio una quantità di cera uguale al peso che avrà all'età di tre anni. I due sposi intrapresero insieme questo pellegrinaggio, arrivarono a Betlemme e scesero nella grotta per pregare. La santa Vergine udì la loro supplica e diede loro una figlia, la quale fu battezzata nella chiesa di Ibillin, secondo il rito greco-cattolico. Rice­vette il nome di Maria. Questa bambina, ottenuta grazie all'intercessione della Ma­dre di Dio, la vedremo, chiamata da Gesù, venire a Betlemme per morirvi in qua­lità di figlia di santa Teresa. Alcuni anni dopo la sua nascita, Dio accordava ancora ai suoi genitori la grazia di un figlio che fu chiamato Paolo.
La piccola Maria non aveva compiuto tre anni, che già il Signore la colmava di grazie singolari. Tutta presa dal pensiero di Dio, la si vedeva allontanarsi dalle di­strazioni delle creature e cercare la solitudine; sospirava come un'anima presa dal­la nostalgia del Cielo. Il Signore non tardò a sottomettere questa bambina così pic­cola a prove molto dolorose delle quali non perse mai il ricordo. Suo padre cadde gravemente ammalato. Per ricompensarlo, Dio volle chiamare a sé questo fedele servitore che chiese e ricevette con la più viva fede gli ultimi sacramenti. Piena­mente rassegnato alla volontà divina, consacrò a Gesù la propria vita, quella della sua donna e dei suoi due figli. Quando comprese che l'ultimo momento era prossi­mo, chiamò Maria, la prese per il braccio, e, morente girò il suo sguardo verso un'immagine di san Giuseppe dicendo: Grande Santo, eccoti la mia bambina, la santa Vergine è sua Madre, degnati di vegliare su di lei anche tu; sii suo Padre. «Queste parole, ci raccontava con gli occhi pieni di lacrime Maria, divenuta reli­giosa, le sento ancora, e sebbene fossi molto giovane, si sono impresse nel mio cuo­re». Dopo averle pronunciate, il padre spirò: era un sabato, giorno consacrato alla santa Vergine. La sua sposa non sopravvisse a lungo a questa perdita dolorosa: morì anche lei, un sabato. Maria poteva dire oramai con il Salmista: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha preso sotto la sua protezione». Uno zio paterno l'accolse a casa sua, ad Ibillin e suo fratello fu affidato ad una zia materna la quale abitava nei pressi di quello stesso villaggio.
In questa nuova famiglia, dove non le mancava niente, Maria soffriva tuttavia di sapersi orfana e invidiava la sorte dei suoi cugini che potevano, in tutta verità, chia­mare i loro genitori con i dolci nomi di papà e mamma. Per consolarla, le si ricor­dava frequentemente che la santa Vergine era la madre per eccellenza degli orfani. Così, la pregava sovente, dicendole con incantevole semplicità che ella era due vol­te sua Madre, poiché non ne aveva più una in terra. Ogni sabato, dall'età di cinque anni digiunava in suo onore non prendendo alcun nutrimento fino al pasto della se­ra; e ancora rifiutava tutti i piatti raffinati che le venivano presentati, dicendo che le facevano male (male all'anima, pensava), e i suoi parenti non la forzavano, perché la credevano malata.
La Madre di Dio provò con un prodigio quanto apprezzasse quest'atto di morti­ficazione. Maria amava deporre davanti alla Sua immagine i fiori più belli e più profumati; aveva cura di rinnovarli spesso, in modo che fossero sempre freschi. Un giorno, si accorse che quei fiori avevano messo radici, che erano persino cresciuti e che espandevano un profumo molto soave. Presa dalla gioia e dalla riconoscenza, non immaginando per niente che il prodigio era dovuto alla sua mortificazione e al­la sua innocenza, corse verso suo zio per dirglielo. Profondamente commosso da questo segno di predilezione della Vergine per sua nipote, questi si premurò di riu­nire le persone della sua casa, e anche alcuni vicini: tutti insieme, con una candela in mano, ringraziarono Gesù e la sua divina Madre. Il parroco della parrocchia era stato convocato prima di tutti. Temendo che il demone della vanità venisse ad im­possessarsi dell'anima della piccola Maria, quest'uomo di Dio le rivolse rimprove­ri severissimi dichiarandole che solo i suoi peccati avevano potuto far accadere un avvenimento così singolare. Si vide subito quest'angelo, più notevole per la sua umiltà che per la sua innocenza, cadere in ginocchio incrociando le mani e chiede­re perdono, con la grande ammirazione di tutti i presenti.
Le creature, che sono spesso per tanti altri un diaframma, che nasconde loro Dio, quando non divengono una pietra d'inciampo, non erano, per Maria, che un chiaro specchio che le mostrava il suo Creatore, e una scala i cui gradini la avvici­navano al Cielo. Si sarebbe detto che non fosse stata toccata dal peccato originale.
Essendosi accorta, nel suo amore per la pulizia, che degli uccelli, che le erano stati regalati per distrarla, non si lavavano mai, volle render loro questo servizio.
Essi morirono tutti. Desolata, andò a seppellirli in fondo al giardino. Mentre stava facendo questo lavoro, sentì una voce dirle: È così che tutto passa! se vuoi darmi il tuo cuore, io vi resterò sempre. Queste parole si impressero nella sua anima e fu­rono in seguito quelle che amava ripetere di più.
Non ci si stupisce se da quel giorno Maria non provò che disgusto per tutte le vanità del mondo. Occuparsi della sua toeletta per lei era come un supplizio. Dice­va fra sé con tristezza, considerando i suoi ricchi vestiti: «Perché coprire così un corpo che deve diventare il cibo dei vermi?» Il pensiero della morte non la lascia­va mai. Il suo gioco preferito consisteva nello scavare con le mani una fossa, dove poi si stendeva, col rischio di sporcare il suo vestito bianco, ciò che le attirava i rim­proveri della sua governante negra.
Il desiderio di sofferenza si svegliò in lei all'età di sei anni. Nuova Teresa, avreb­be voluto morire martire per andare più presto in Cielo. Obbligata più tardi, per ob­bedienza, a dire tutto quello che la riguardasse, confessava ingenuamente che ave­va pensato di gettarsi dalla finestra, allo scopo di arrivare più velocemente nell'eternità: «Non sapevo, aggiunse, che il buon Dio lo proibisce».
Aveva creduto di comprendere che Nostro Signore esaudisce, la notte di Natale, tutto ciò che gli si chiede. Pertanto, in quella notte si nascose nel giardino, chie­dendo incessantemente molte grazie: in special modo quella di morire per la fede.
Una virtù così rara doveva necessariamente distinguerla dai bambini della sua età, come l'episodio seguente sembra provare. Un eremita, sconosciuto e che non si rivide mai dopo, aveva ricevuto ospitalità presso la sua famiglia. Prima che par­tisse, gli furono presentati i bambini perché li benedicesse; alla vista della piccola Maria fu colto da una emozione indefinibile, le prese le mani, le strinse fra le sue, e dopo un momento di silenzio, disse a suo zio: Vi scongiuro, prendetevi una cura tutta particolare di questa bambina, e senza altre spiegazioni, uscì.
Dio stesso mostrava con prodigi quanto quella creatura fosse gradita al suo cuo­re. Rimasta, un giorno, sola nella sua camera, dove la cameriera negra le aveva ap­pena servito un piatto di crema, Maria, come al solito, mentre consumava il suo pa­sto aveva il pensiero rivolto a Dio. Diceva tra se e se piangendo: «Ah! se fossi morta come i miei piccoli fratelli, sarei in Cielo, invece andrò forse all'inferno». Mentre era immersa in questi pensieri, un enorme serpente, attirato dall'odore del latte, salì sul tavolo: «Ero molto piccola, raccontava, ma nello stesso tempo così assorta nel­le mie riflessioni, che non provai il minimo spavento. Considerando quella bestia una creatura del buon Dio, presi la sua testa con le mani e l'affondai nel mio piat­to di crema senza che la bestia mi facesse alcun male». La vista del serpente fece emettere un grido di spavento alla cameriera, ritornata nel frattempo. Tutti accor­sero, mentre il serpente fuggì. Solo la bambina, tranquilla, non poté spiegarsi lo sgomento dei suoi. Dio permise così che il serpente, simbolo della nostra rovina, diventasse innocuo davanti alla sua innocenza.
Un altro fatto ci proverà come il Signore, grazie a questa bambina, salvò la vita a tutta la sua famiglia. Lasciamo che parli lei stessa. «Durante il sonno, raccontava, mi sembrò di vedere entrare in casa di mio zio un uomo che gli aveva venduto un pesce; mi fu detto che quel pesce era avvelenato e che tutti quelli che ne aves­sero mangiato, sarebbero morti avvelenati. Immaginate il mio stupore, quando, 1' indomani mattina, scorgo quello stesso uomo che portava un pesce assolutamen­te somigliante a quello del sogno. Raccontai tutto a mio zio, che non tenne alcun conto di questa fantasia di bambina, e comprò il pesce dando ordine di prepararlo. Raddoppiai le suppliche, chiedendo con le lacrime agli occhi di essere la prima ad assaggiarlo e sperando così di salvare i miei parenti. Mio zio finì per cedere. Fece esaminare il pesce con cura, e ne fu chiaramente constatato l'avvelenamento. In fondo al mio cuore, benedico Dio per avere rivelato ad un piccolo nulla come me, il modo di preservare la mia famiglia da morte sicura».
Maria aveva otto anni. Da più di un anno, si confessava tutte le settimane ma la sua felicità non era completa: Desiderava l'Eucarestia e non cessava di attendere l'ora benedetta in cui avrebbe ricevuto il suo Gesù. Provando una santa invidia per le anime che andavano a ricevere il buon Dio, le seguiva con gli occhi e con il cuo­re e diceva con tristezza: «Quando ti incontrerò, o mio Gesù? Quando potrò intro­durti nel mio cuore? Ah! non ho che otto anni e non ci si comunica per la prima volta che a dodici anni. Quattro anni di attesa! sono troppi! Affretta, affretta que­st'ora, Gesù! Scendi presto nella mia anima».
Ogni sabato, dopo la confessione, domandava al sacerdote la grazia della co­munione, e ogni volta questi le rispondeva invariabilmente: Lo permetto, mia pic­cola bambina, ma un po' più tardi. Questa risposta non la soddisfaceva molto, ma le lasciava una speranza. Egli ha detto che sarà un po' più tardi, si ripeteva, forse sarà sabato prossimo. Durante una settimana in cui aveva più speranza di essere esaudita, si preparò a questo grande atto con doppio fervore. Separata il più possi­bile dai suoi cugini, si dedicò alla preghiera e al digiuno; tutta la notte del venerdì la consacrò all'orazione. Meglio vestita del solito, si recò in chiesa, l'indomani mattina, per confessarsi; come sempre, rifece la sua richiesta per la comunione, mentre il cuore le batteva molto forte, il sacerdote le disse: Lo permetto e dimen­ticò di aggiungere: ma un po' più tardi. Venuto il momento dalla gioia corse alla sa­cra Mensa, e, senza essere vista dalla sua domestica negra, prostrata, ricevette il suo Gesù sotto forma di un bambino. Solo gli angeli potrebbero spiegarci il primo ab­braccio del Salvatore e di quest'anima. Maria era molto felice, ma occorreva che quella felicità potesse continuare. Il sabato seguente, domandò al suo confessore di potersi ancora comunicare. Il sacerdote, stupito, le disse in tono severo: L'hai già fatto? «Sì, Padre mio», rispose la candida bambina. E chi te lo ha permesso? «Lo ha fatto lei stesso, Padre mio, sabato scorso. Le ho chiesto questa grazia, co­me al solito, e lei mi ha risposto: Lo permetto, mia bambina, senza aggiungere co­me le altre volte: Ma un po' più tardi. Io, dunque, ho creduto che me lo permettes­se. Per favore, Padre mio, ora che ho ricevuto e gustato Gesù, non me ne privi più, mi lasci comunicare». Commosso da un simile linguaggio da parte di una bambina così favorita da Dio, il sacerdote le concesse la comunione ogni sabato, raccomandandole tuttavia di non rivelarlo a nessuno, neanche ai suoi parenti, che avrebbero potuto scandalizzarsi. Lei custodi fedelmente il suo segreto. Quando il tempo ordi­nario della prima comunione arrivò, Maria si lasciò festeggiare come gli altri bam­bini della sua età.
Suo zio, a quell'epoca, stava per stabilirsi definitivamente ad Alessandria con tutta la sua famiglia.

CAPITOLO II
Maria rifiuta di sposarsi - Persecuzioni - Martirio
Guarigione miracolosa - Visita ai Luoghi Santi - Lavoro come domestica
Quando Maria compì tredici anni, suo zio la fidanzò a un suo parente, ma la fan­ciulla aveva già da tempo promesso a Dio la sua verginità, e quando le si disse che il matrimonio stava per rapire quel suo fiore angelico, dichiarò con tutte le sue for­ze che voleva rimanere vergine. Prostrata a terra per tutta la notte, versando un tor­rente di lacrime, scongiurava la sua Mamma del Cielo di soccorrerla. Tutto ad un tratto, udì una voce che le disse: Maria, io sono sempre con te: segui l'ispirazione che ti dò, io ti aiuterò. Allora Maria si alzò piena di coraggio e tagliò i suoi lunghi capelli. Il velo, che soleva portare, nascose questo gesto ai suoi parenti. Una gran­de cena fu organizzata in occasione delle nozze che dovevano celebrarsi prossima­mente; era d'uso in questa circostanza che la fidanzata, ornata dei suoi gioielli, of­frisse il caffè agli invitati. Al posto del caffè Maria offrì allo zio, in un grande vassoio, i suoi capelli ornati di gioielli. Lo zio furioso la schiaffeggiò; tutti gli in­vitati non vedendo in questo gesto che un fervore passeggero, l'esortarono a mo­strarsi docile alla volontà dei suoi parenti: ella rimase inflessibile.
Invano lo zio la confinò fra gli ultimi domestici della casa, e ordinò di maltrat­tarla; invano la tenne lontana dalla chiesa e dai sacramenti: l'eroica fanciulla resi­sté a tutto, e soffrì con gioia per il suo Gesù. «Trattata, ci raccontava, come l'ulti­ma delle domestiche, sia nel vestire, che nel nutrimento; totalmente separata dai miei, occupata in lavori ai quali non ero mai stata abituata, privata della Messa e dei sacramenti, biasimata perfino dal mio confessore, che considerava la mia deci­sione solo testardaggine; abbandonata da tutti, condannata da tutti, la mia anima so­vrabbondava di gioia; il mio coraggio cresceva in misura delle dure prove, perché mi dicevo che le mie sofferenze non erano minimamente paragonabili a quelle di Gesù. Mi sembrava che un uccellino cantasse sempre nel mio cuore».
Dopo tre mesi di questa umiliante vita, il desiderio di rivedere suo fratello la spinse a scrivergli, affinché venisse a trovarla. Fece scrivere la lettera e la portò ad un Turco, antico domestico dello zio, il quale abitava poco lontano dalla casa e do­veva recarsi nel paese di Paolo. Conoscendo bene la madre e la moglie di que­st'uomo, Maria non temette di andare a trovarlo da sola. Dopo avere consegnato la sua lettera, la fanciulla avrebbe voluto andarsene; ma quelle persone la invitarono subito a condividere la loro cena, ed ella accettò solo per fare loro piacere. Era qua­si notte. Naturalmente, si parlò della situazione ingiusta e crudele che Maria subi­va a causa dello zio. Il Turco biasimò questa condotta con forza e con un fervore indomabile passò presto a biasimare anche la religione cristiana. Maria, le disse con calore, perché restare fedele ad una religione che ispira simili sentimenti? Ab­braccia la nostra. «Mai, gridò Maria con un'energia sovrumana; io sono figlia del­la Chiesa cattolica, apostolica e romana, e spero, con la grazia di Dio, di perseve­rare fino alla morte nella mia religione che è la sola vera». Il Turco ferito nel suo fanatismo e divorato dalla rabbia, con un calcio rovesciò Maria a terra, e impu­gnando la sua scimitarra, le tagliò la gola. Aiutato dalla madre e dalla moglie, il bar­baro avvolse la ragazza nel suo grande velo, e portatala fuori, la gettò, favorito dal­le tenebre, in un luogo abbandonato. Era il 7 settembre 1858.
Mentre questo crimine si consumava sul corpo di Maria, la sua anima fu rapita: «Mi sembrava, raccontava, di essere in Cielo: vedevo la santa Vergine, gli angeli e i santi che mi accoglievano con una grande bontà; vedevo anche i miei genitori in mezzo a loro. Contemplavo il trono fulgido della Santa Trinità, e Gesù Cristo no­stro Signore nella sua umanità. Non vi erano né sole, né lampade, eppure tutto bril­lava di un chiarore indescrivibile. Gioivo di tutto quello che vedevo, quando, ad un tratto, qualcuno venne da me per dirmi: Tu sei vergine, è vero, ma il tuo libro non è ancora finito. Aveva appena finito di parlare, che la visione scomparve, e io rin­venni. Mi trovai, trasportata senza sapere né come né grazie a chi, in una piccola grotta solitaria. Coricata su un povero letto, vidi accanto a me una religiosa, che aveva avuto la carità di cucirmi la ferita del collo. Non l'ho mai vista né mangiare né dormire. Sempre accanto al mio capezzale, in silenzio mi curava con il più gran­de affetto. Era vestita di un bell'abito ceruleo, trasparente e come cangiante; il ve­lo era dello stesso colore. Ho visto da allora molti vestiti religiosi diversi, ma nes­suno che assomigliasse al suo. Quanto tempo trascorsi in quel luogo? non saprei dirlo con precisione; credo di esservi rimasta circa un mese. Non mangiai nulla du­rante quel periodo, a rari intervalli, la religiosa si limitava a inumidirmi le labbra con una spugna candida come la neve. Mi faceva dormire quasi continuamente.
L'ultimo giorno, questa religiosa mi servì una zuppa così buona, come non ne ho mai più mangiato. Terminata la porzione, gliene chiesi una seconda. Allora la religiosa, rompendo il silenzio, mi disse: Maria, è abbastanza per il momento; più tardi te la darò di nuovo. Ricordati di non essere come quelle persone che credono ' Maria non poteva rifiutare l'invito, essendo un rifiuto di tal genere contrario alle usanze della civiltà orientale.
Facciamo osservare a questo punto che Maria ha sempre chiamato l'estasi un sonno.
di non avere mai abbastanza. Dici sempre: è abbastanza, e il buon Dio, che vede tutto, veglierà su tutti i tuoi bisogni. Sii sempre contenta, malgrado tutto ciò che do­vrai soffrire, e Dio, che è così buono, ti farà avere il necessario. Non ascoltare mai il demonio, diffida sempre di lui, poiché è troppo furbo. Quando chiederai qualche cosa a Dio, non te la darà sempre subito, allo scopo di metterti alla prova e di ve­dere se lo ami ugualmente; e poi, un po' più tardi, te l'accorderà, basta che tu sia sempre contenta e che lo ami. Maria, Maria, non dimenticare mai le grazie che il Signore ti ha fatto. Allorquando ti capiterà qualcosa di spiacevole, pensa che è Dio che lo vuole. Sii sempre piena di carità verso il prossimo; dovrai amarlo più di te stessa.
Non rivedrai mai più la tua famiglia; andrai in Francia, dove ti farai religiosa; sarai figlia di san Giuseppe prima di diventare figlia di santa Teresa. Prenderai l'a­bito del Carmelo in una casa, farai la professione in una seconda, e morirai in urta terza, a Betlemme.
1 tuoi parenti ti cercheranno; tu stessa sarai tentata di farti riconoscere. Guar­datene bene, perché altrimenti non avrai più la tua zuppa.
Soffrirai molto durante la tua vita, sarai un segno di contraddizione.
Sì, ci diceva Maria sul battello che la trasportava a Betlemme con le sue com­pagne, la religiosa che mi aveva curato dopo il mio martirio e che, adesso so esse­re la santissima Vergine, mi aveva predetto tutto quello che mi è accaduto fino ad oggi. Un solo punto non si è realizzato; mi aveva assicurato che sarei morta tre an­ni dopo la mia professione. I tre anni sono trascorsi, ed eccomi ancora, ahimè! in questo esilio».
Il lettore immagina senza dubbio che la vita di questa suora è stata misericor­diosamente prolungata, come vedremo in seguito.
Maria era guarita, ma la traccia della profonda ferita rimase sempre visibile sul collo, così come testimoni degni di fede poterono osservare alla sua morte, soprag­giunta venti anni dopo. La cicatrice misurava circa dieci centimetri di lunghezza e un centimetro di larghezza. La pelle era completamente bianca e più delicata che nelle parti circostanti.
La religiosa condusse allora Maria in una chiesa di Alessandria per farla con­fessare: «Attendimi, le disse la bambina; per carità, non mi abbandonare». Ella sor­rise senza rispondere. «La mia confessione durò poco, ci raccontava Maria. Non avevo niente che mi pesasse sulla coscienza. Come avrei mai potuto commettere peccati in compagnia di una religiosa così santa? Dopo la confessione, corsi nel po­sto dove l'avevo lasciata, ma non la trovai. Uscì per cercarla, tuttavia i miei occhi non la videro da nessuna parte; ma il suo viso e le sue parole sono sempre rimaste impresse nella mia anima. Ero sola sulla terra, sola, come una goccia d'acqua. Il mio cuore non resisté più e scoppiai in singhiozzi. Il confessore venne per chieder­mi la causa delle mie lacrime. Presa dal mio grande dolore, non potei che rispondergli: Se n'è andata, e mi ha lasciata. Chi ti ha lasciata? La religiosa che mi ha ac­compagnato qui. Ma da dove vieni? Chi sei? Mi ha proibito di dirlo. Ahimè, bam­bina mia, mi disse il sacerdote sospirando, non sei la sola infelice. Conosco in que­sta città una famiglia immersa nella più grande desolazione. Questa famiglia aveva accolto una nipote, chiamata Maria, e l'aveva trattata come una figlia. Era stata offerta a questa fanciulla una proposta di matrimonio onorevole; il giorno delle nozze era fissato, fra la grande gioia di tutti, quando la fidanzata scomparve. Era uscita sul far della notte e non è più tornata. Tutte le ricerche per rintracciarla si sono rivelate infruttuose. Si teme una seduzione d'amore. La famiglia ha appena lasciato Alessandria, per nascondere tale vergogna».
Più il sacerdote parlava, più mi rendevo conto che la fanciulla di cui parlava, ero io. Mi accontentai di rispondere, dopo avere implorato l'aiuto della santa Vergine per non tradire il mio segreto: «La persona di cui parla non mi è del tutto scono­sciuta; ma ho promesso di non rivelare mai il luogo dove si rifugia. Debbo ciò no­nostante dirle che Maria non è stata sedotta: è consacrata a Dio». Bambina mia, gridò il sacerdote, dimmi dov'è Maria. Ti dico che non sei per niente tenuta a cu­stodire questo segreto. Tu mi sembri molto povera, sii sicura che, se acconsentirai a parlare, sarai largamente ricompensata. «Sono povera, è vero, e per di più, or­fana, ma il buon Dio non mi ha lasciato mai mancare il necessario. Non desidero le ricchezze terrene; i beni del Cielo mi bastano. Quanto a rivelare il segreto, non lo farò mai; Dio e la santa Vergine mi punirebbero». Il sacerdote parlò di Maria a un vescovo arabo di passaggio ad Alessandria. Maria raccontò a questo vescovo tutta la storia sotto il sigillo del segreto confessionale. Questi l'ascoltò con il più vivo in­teresse, la vesti in maniera conveniente, fece fare il suo ritratto e la portò in pelle­grinaggio a Gerusalemme. Terminato il pellegrinaggio, il vescovo propose a Maria di condurla a Roma, promettendole di farla entrare in qualche casa religiosa. Il de­siderio di rivedere suo fratello fu la causa per la quale rifiutò una proposta che tanto le sorrideva, e s'imbarcò per San Giovanni d'Acri. Ma avendo una tempesta furio­sa impedito al battello d'arrivare a destinazione, la giovane fu costretta a ritornare ad Alessandria.
Per non essere riconosciuta, Maria prese allora un altro vestito e si fece dome­stica. Cambiava spesso casa, appena i suoi padroni le mostravano più stima. Le ca­se dove aveva sofferto di più erano quelle in cui rimaneva più a lungo. Le accadde di entrare al servizio di un parente che non la conosceva. Ella se ne accorse dai pri­mi giorni; i suoi padroni non ebbero mai il minimo sospetto a riguardo. Come avrebbero potuto riconoscere la loro cugina in quella povera ragazza vestita alla maniera turca? La si incaricò della cucina e della cura dei bambini. Questi le si af­fezionarono ben presto, in maniera tale che l'impegno della cucina le fu tolto per­ché potesse dedicare loro tutto il suo tempo. Il cuore di Maria ne era a volte con­solato a volte addolorato; consolato dal fatto di poter curare i suoi cuginetti, addolorato per il fatto che non poteva rivelare loro il suo vero nome. Ogni giorno, udiva raccontare la storia della sua scomparsa. 1 suoi parenti, che si credevano disonorati a causa sua, non cessavano di lanciare su di lei ogni specie di maledizione. «Mai, ci diceva Maria, ho tanto sofferto. Provavo il più vivo affetto per quella fami­glia, e non potevo rivelare il mio nome. I discorsi che udivo ferivano il mio animo ma dovevo tacere, per paura di dare l'allarme. Quanto mi è costato quel silenzio! Lo confesso per mia confusione, ero spinta alla confessione, mille volte fui tentata di farmi riconoscere. Pregavo la santa Vergine di sostenermi. Un giorno, durante il pa­sto, vedendo che la desolazione dei miei parenti era diventata più grande, scoppiai in lacrime. Stupiti di vedermi piangere (era la prima volta che mi capitava davanti a loro), mi chiesero la causa del mio dispiacere, poiché mi volevano molto bene. Ero sul punto di soccombere e di gridare, gettandomi nelle loro braccia: Sono Maria. La santa Vergine m'assistette in maniera visibile. Mi accontentai di rispondere: Piango al vedervi piangere. E siccome era stata letta a tavola una lettera che annunziava il prossimo arrivo di una mia zia che di certo mi avrebbe riconosciuto, li avvertii che dovevo lasciarli il giorno stesso. Malgrado le loro suppliche e le loro lacrime, rac­colsi in fretta ciò che mi apparteneva, ed uscii coperta dal mio grande velo. Incro­ciai davanti alla porta questa zia, e la sentii che diceva a mio cugino: Chi è questa ragazza? Una spada ha trapassato la mia anima passando vicino a lei. Avrei volu­to parlarle. Affrettai il passo e corsi a nascondermi da una mendicante. Dio permi­se che non sapessero trovarmi. Questo martirio durò tre mesi».
Maria fece per la seconda volta il pellegrinaggio in Terra Santa. Il Signore le in­viò, durante questo viaggio, un essere soprannaturale sotto sembianza umana per accompagnarla e proteggerla. Questi, che ella non vide mai mangiare, le predisse come la religiosa tutto quello che le sarebbe successo fino alla morte, e le assicurò che sarebbe ritornata per morire a Betlemme. Un sacerdote che la conosceva, la si­stemò in una eccellente famiglia di Gerusalemme. Durante il tempo che vi era a ser­vizio, un bambino di diciotto mesi cadde dall'alto di una terrazza, sotto gli occhi della madre e di Maria. Lo si credette morto. Maria corse a rialzarlo, implorando su di lui la potente protezione della Vergine. Quando lo rimise nelle braccia della madre, questa si accorse che aveva solo una leggera contusione, e attribuì questa preservazione miracolosa alla santità della domestica. Ce n'era abbastanza per fa­re fuggire l'umile Maria. Riprese dunque il cammino per Giaffa, senza ascoltare le suppliche della sua padrona.
Appena uscita da Gerusalemme, vide due uomini che la seguivano. La fermaro­no: era accusata d'aver rubato alla sua padrona un diamante di grande valore. Tra­scinata con ignominia attraverso le vie della città santa, gettata in una prigione in­fetta in mezzo a molte donne di malaffare, ringraziò Gesù di umiliarla così come lui era stato umiliato nella sua Passione. Ma il Signore non tardò a prendere le sue difese. Due giorni dopo, la cameriera negra autrice del furto, che aveva accusato Maria, divenne folle, e nel suo delirio, confessò la sua colpa. Fu così che Maria venne provvidenzialmente riconosciuta innocente e rimessa in libertà.
Si imbarcò di nuovo per San Giovanni d'Acri, allo scopo di rivedere il fratello. Ancora una volta, una spaventosa tempesta costrinse il battello a spingersi a Beirut. Maria sembrava avere dimenticato le parole della religiosa che le aveva pre­detto che non avrebbe mai più rivisto il fratello; ma Dio si serviva di questi tenta­tivi per compiere i suoi progetti. A Beirut, Maria entrò al servizio della famiglia At­tala. Dopo sei mesi, divenne completamente cieca. La cecità durava da quaranta giorni, quando fece ricorso alla santa Vergine: «Vedi, Madre mia, disse Maria, quanta pena si prendono per me. Mi si cura come se fossi una figlia di casa, ma in conclusione, sono solo un carico per questa famiglia. Ah! se piacesse a te e al tuo divin Figlio di restituirmi la vista!». Quando concluse la preghiera, sentì qualcosa caderle dagli occhi e recuperò subito la vista, con grande stupore dei medici, i qua­li, tutti, avevano dichiarato il suo male incurabile. Cadendo, poco tempo dopo, dal­l'alto di una terrazza, tutto il suo corpo fu orribilmente martoriato. La signora At­tala, la quale aveva constatato con ammirazione che un profumo delizioso emanava da tutta la sua persona, la curava da un mese come se fosse stata sua figlia, ma sen­za constatare miglioramenti del suo stato. La santissima Vergine apparve a Maria durante la notte: «Madre mia, gridò subito la fanciulla, per carità, prendimi con te». Maria, rispose la Vergine, non posso prenderti con me, perché il tuo libro non è an­cora finito. Ti raccomando nel frattempo tre cose: un'ubbidienza cieca, una carità perfetta e un'immensa fiducia in Dio, senza alcuna preoccupazione per il domani o per tutto quello che può capitarti. La presenza della Madre di Dio aveva riempi­to la casa di una luce così abbagliante e di un profumo così soave che tutti accor­sero al capezzale della malata e la trovarono guarita. Chiese di mangiare, lei che non aveva assunto alcuna sostanza dopo l'incidente. Tuttavia rimase ancora molto debole, ma questa debolezza, che la santissima Vergine le aveva lasciato come ri­cordo del suo stato disperato, scomparve presto. La notizia di questo miracolo si diffuse in tutto il paese, e se ne parlò a lungo con ammirazione.
Prima di proseguire il nostro racconto e di narrare come Maria arrivò in Fran­cia, raccogliamo ancora alcuni fatti meravigliosi che riguardano quel periodo della sua vita.
Un giorno, nostro Signore la inviò da una signora per dirle di disfarsi di un ve­stito da ballo che le costava mille franchi. Avendo la signora messo in ridicolo que­sta comunicazione, Maria, spinta da una forte ispirazione, le disse: «Eh! sì, Signo­ra, vi annuncio che la prossima volta che indosserete quest'abito morirete voi e il vostro bambino, bruciati».
Accadde proprio come Maria aveva predetto: il fuoco si attaccò al vestito della donna, poi all'appartamento dove abitava, infine fu bruciata lei ed anche il suo bambino che dormiva nella culla.
Un'altra volta, ad Alessandria, mentre Maria era sistemata presso una ricca si­gnora, sentì raccontare della squallida, estrema miseria di una famiglia i cui membri erano malati e che nessuno aiutava. Subito, la generosa fanciulla chiese di po­tersi congedare. La donna, molto urtata, la seguì fino alle scale e la colpì di basto­nate con una tale violenza, che Maria ne soffrì a lungo. Senza provare risentimen­to per questa violenza, Maria corse a stabilirsi nella sudicia camera occupata dalla povera famiglia. Il padre, la madre e i bambini giacevano nei letti infetti, che do­vette rinnovare. Notte e giorno, curò quegli infermi sfortunati con grande carità. Ar­rivò persino a mendicare per nutrirli e per vestirli. Infine, dopo quaranta giorni di questa eroica dedizione, ebbe la consolazione di vedere tutti i membri della fami­glia completamente ristabiliti.
Durante uno dei suoi viaggi, Maria incontrò una fanciulla, chiamata Rosalia, che aveva furtivamente lasciato la sua ricca famiglia per rimanere vergine e vivere povera per Gesù Cristo. Benché non si fossero mai viste prima d'allora, Maria e Rosalia si chiamarono per nome, e trascorsero una notte deliziosa a parlare di Ge­sù, il loro unico amore. Si raccontarono tutta la loro vita, promettendosi mutua­mente di custodire il segreto, per non essere scoperte e poter conservare il tesoro della verginità.
Fu nello stesso periodo che nostro Signore chiese a Maria di digiunare per un anno intero a pane ed acqua. La giovane non poteva decidersi a ciò finché non aves­se ottenuto il permesso del suo confessore, perché molto debole e obbligata a lavo­rare per guadagnarsi da vivere. Alcuni giorni passarono in queste esitazioni. Allo scopo di vincere la sua resistenza, Dio permise che il suo stomaco non ritenesse al­cun nutrimento; fece allora un tentativo di digiuno forzato, e siccome non trovò al­cun ostacolo nel farlo, si decise a sottomettere il caso a un venerabile sacerdote, che l'autorizzò a proseguire la sua penitenza. Così fece, durante tutto il corso dell'an­no, e la sua salute si mantenne florida.
Ascoltiamo ancora la serva di Dio riferire ciò che segue:
«Per mostrarvi la mia ignoranza vi racconto di orribili pensieri che mi assaliro­no, durante uno dei miei viaggi per mare. Mi credevo colpevole di tutti questi pen­sieri, considerandoli veri crimini. Così quando sbarcai, il mio primo pensiero fu di correre presso un confessore. Mi accusai, come se davvero avessi commesso tutti i peccati il cui pensiero si era presentato mio malgrado nel mio spirito. Il sacerdote mi fece una lunga e pressante esortazione per incitarmi al pentimento. Prima di as­solvermi, mi chiese di promettere a Dio di correggermi. Gli risposi: Padre mio, mi è impossibile prometterglielo; volevo dire che non dipendeva da me il non avere più di questi pensieri. Convinto a causa della mia risposta, non solo dei miei crimini, ma anche della mia ostinazione, il ministro di Dio mi rimandò senza assolvermi, dopo avermi fatto le più terribili minacce. Io non sapevo più cosa fare; ero quasi di­sperata. Come sempre, implorai allora la mia buona Madre del Cielo. Sentii una vo­ce dirmi: Va in tale via, entra in tale casa, sarai illuminata e consolata. Mi alzai, e arrivai nel luogo indicatomi. Bussai, e una voce dolce come se venisse dal Cielo, mi rispose: Entra. lo entrai, e mi trovai davanti una donna che mi disse: avvicina­ti, Maria. Sei inconsolabile, ma ti sbagli, poiché tu non sei colpevole. Maria, avere i più orribili pensieri non è peccato; il peccato non esiste fino a quando l'anima non vi acconsente. Tu ti sei dunque espressa male. Và di nuovo da quel confessore, e digli le cose nel modo che ti dirò adesso. Passai la notte con quella persona che mi conosceva molto bene e parlammo tutto il tempo di Gesù e del Cielo. L'indo­mani, di buon mattino, ero già ai piedi dello stesso sacerdote. Gli spiegai le cose così come la persona sconosciuta mi aveva insegnato a fare, e il confessore, invece di rimproverarmi, mi incoraggiò. Ascoltate ancora cosa mi è successo quand'ero in mare e ammirate la potenza della fede, persino in una peccatrice. Una tempesta fu­riosa si era levata; dopo inutili sforzi per resistere ai venti e ai flutti, il capitano ave­va dichiarato che tutte le speranze erano perdute. I passeggeri si gettarono nelle barche di salvataggio, in mezzo ad una confusione indescrivibile. Il capitano li contò, mancava all'appello una persona. Scese subito nelle cabine, e arrivò alla mia. Ero coricata e dormivo profondamente. Mi svegliò gridando: Alzati, vestiti, e sali su di una barca, siamo perduti. Mi vestii alla meglio e salii sul ponte. Mi sen­tii ispirata a pregare, dopo avere rimproverato a tutti la loro mancanza di fede. In ginocchio con gli occhi rivolti al cielo, dissi, stendendo le braccia: Signore Gesù, tu che sei potente, calma il mare. O potenza della fede! Lo credereste? La tempe­sta cessò, le onde si calmarono, e noi fummo salvi. Ecco ciò che Dio ha fatto at­traverso una peccatrice come me, con un solo grido di fede. Ah! se noi avessimo la fede, una grande fede, otterremmo tutto da Dio».
Chissà quanti altri simili episodi la sua umiltà ha dovuto farle tacere. Quelli che noi abbiamo citato basteranno a convincere il lettore dell'ammirevole virtù di Maria.

CAPITOLO III
Maria arriva in Francia. Entra nell'Istituto delle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione. È rimandata al momento della vestizione religiosa (1863-1867)
Nel periodo in cui Maria si trovava a Beirut, fece scrivere al fratello di venire a cercarla. Questa lettera riempì di gioia i suoi parenti. Suo zio partì con il primo bat­tello per andare a prenderla. Ma il Signore, il quale voleva che la profezia di sua Madre si avverasse, aveva fatto in modo che una famiglia di Beirut proponesse a Maria, nell'intervallo, di entrare al servizio di una delle sue figlie, sposata a Marsi­glia. Maria aveva accettato, ripensando alle parole della religiosa che l'aveva cura­ta dopo il suo martirio, la quale le aveva predetto l'andata in Francia. Si era appe­na imbarcata con il padre della futura padrona, la Signora Naggiar, quando suo zio arrivò a Beirut. Non trovandola più, credette, malgrado tutte le spiegazioni contra­rie, che lo avesse preso in giro, e rientrò nel suo paese maledicendola.
Arrivata a Marsiglia nel mese di maggio del 1863, la sua nuova padrona la in­caricò di occuparsi della cucina. La signora Naggiar si ritenne obbligata, a causa della sua giovinezza, di sorvegliarla molto da vicino. Maria non poteva assistere più alla messa tutti i giorni, e non le era neanche possibile confessarsi e comunicarsi spesso come in passato. Questa privazione la gettò in una profonda tristezza. Riu­scì a trovare un altro posto dove il suo desiderio per la vita di pietà avrebbe soffer­to meno ostacoli. Ma i suoi padroni, che avevano avuto già modo di apprezzare le sue rare qualità, la scongiurarono di rimanere, promettendole che avrebbe potuto soddisfare la sua devozione. Maria acconsentì.
Libera ormai di seguire la sua attrattiva; quante volte, alzandosi a mezzanotte, attese in ginocchio, alla porta della chiesa che la casa di Dio fosse aperta! Pregava, e le ore scorrevano senza che se ne accorgesse. Spesso saliva sulla montagna che dominava Marsiglia, per venerare Nostra Signora della Guardia e ne scendeva pri­ma che fosse giorno, dopo avere ascoltato la messa e fatto la santa Comunione. Re­candosi in chiesa prima dell'alba ogni mattina, aveva notato di essere seguita da un personaggio misterioso, il quale teneva un bambino per mano. Sorpresa da tale as­siduità a quell'ora insolita, Maria finì per chiedergli, con la franchezza che la ca­ratterizzava: «Signore, se, seguendomi in questo modo, ha l'intenzione di farmi qualche proposta di matrimonio, perde il suo tempo e la sua fatica: sono consacrata a Dio». Maria, le rispose lo sconosciuto, che non le rivelò mai il suo nome, so che sei consacrata a Dio, io ti seguirò sempre, fino a quando non diventerai reli­giosa. Ci allontaneremmo molto dalla verità, se affermassimo che quel personag­gio misterioso doveva essere un messaggero celeste, incaricato di vegliare in ma­niera speciale su quell'anima? Comunque sia, Maria continuò le sue devozioni. II suo lavoro tuttavia non ne soffriva più; poiché non solo assolveva il suo compito, ma qualche volta faceva anche il lavoro degli altri servi.
Qui si colloca un episodio toccante che ella stessa ci ha raccontato: «I miei pa­droni, ci diceva, erano molto buoni con me e mi dimostravano completa fiducia. In una circostanza, mi avevano incaricato di pagare i fornitori della casa. Ecco ciò che mi capitò. Avevo appena saldato tutti i conti e quando scesi in cucina mi accorsi che vicino a me c'era una donna il cui aspetto denotava la più profonda miseria: vederla mi sorprese, poiché avevo chiuso la porta e non avevo sentito nessuno aprirla di nuovo. Il mio stupore non fece che aumentare, quando la sconosciuta mi chiamò per nome: Maria, mi disse, con una voce molto dolce, fammi la carità, te ne scon­giuro, ho molti bambini che muoiono di fame. Signora, le risposi con viva emozio­ne, non posso darle niente di ciò che appartiene ai miei padroni. Ho cinquanta fran­chi, sono i miei guadagni; li prenda, per vestire e per nutrire i suoi bambini. E tu, Maria, che avrai dopo? non ti resterà nulla! Non si preoccupi, signora, non ho mai conservato del denaro, e Dio non mi ha mai lasciato mancare niente: accetti tutto dunque. Ella prese l'intera somma, ringraziandomi con slancio. Un istante dopo, mi girai e la donna era scomparsa, senza che la porta fosse stata aperta, e ritrovai sul tavolo i cinquanta franchi. Temendo d'avere trattenuto questo denaro sul conto di qualche fornitore, corsi per accertarmene: tutti i conti erano stati pagati. Certa al­lora che quella somma era la mia, la donai al primo povero che incontrai. Seppi più tardi che la sconosciuta era la santissima Vergine, che si era degnata di provare co­sì la generosità della sua piccola serva».
Le grazie straordinarie si moltiplicavano e crescevano a misura della sua fedeltà. Ebbe una prima estasi, che durò due ore; non vi si attribuì una grande importanza. Quattro mesi dopo, ne ebbe una seconda, nella chiesa dei Greci-Melchiti, che fece più clamore. Essendosi presentata in estasi alla sacra Mensa, esclamò, al momento della comunione: «Padre mio, tu mi doni un bambino», e cadde come morta. Fu im­possibile farla rinvenire da quello stato; la si trasportò a casa dei suoi padroni. Fu­rono chiamati molti medici che le praticarono inutilmente i più forti rimedi per far­la svegliare da quel sonno, sul quale dichiararono di non comprendere niente. Restò così per quattro giorni; il suo viso, pieno di vita, mostrava che non era morta. Co­sa avvenne durante tutto quel tempo? Maria, obbligata, a confessarlo per obbe­dienza, più tardi, ce lo racconterà lei stessa.
«Fui trasportata in cielo; vidi la santissima Vergine circondata da angeli; al suo fianco, c'erano anche innumerevoli vergini. Io mi vedevo piccolissima, ridotta ad un niente; e tuttavia, sentivo che tutte quelle anime mi accoglievano con grande gioia nelle loro braccia.
Mi gettai ai piedi della santa Vergine, dicendole: Madre buona, mi tratterrai qui per sempre? Ancora ti mancano, mi rispose, molte cose. Non saprei esprimere la gloria che la circondava. Una vergine le disse: Madre buona, non sono le grandi cose che si compiono sulla terra che fanno guadagnare il cielo, ma la fèdeltà più totale. Io vi scenderei ancora, per compiere ogni atto con più perfezione.
Questa vergine mi fece sapere che Dio l'aveva incaricata di mostrarmi la gloria del Cielo, come pure quello che avveniva sulla terra, nel Purgatorio e nell'Inferno. Mi fece vedere Gesù Cristo, il nostro divin Salvatore, ardente d'amore, e molto vi­cino a lui, il collegio degli Apostoli. Mi mostrò l'esercito dei martiri, e le anime che hanno sofferto, sulla terra, le più grandi tribolazioni. Queste non hanno versato il loro sangue come i martiri, ciò nonostante sono collocate nel loro stesso rango, per­ché anch'esse hanno portato la croce. Ognuno ha la propria croce, mi disse la ver­gine, e allorquando Dio vede un'anima accettare generosamente quella che lui le invia, lui stesso aiuta quest'anima a portare la croce.
Mi mostrò i buoni, i santi sacerdoti, splendenti come le vergini, e posti vicinis­simi a Nostro Signore e agli Apostoli. Diceva: Oh! quanto Dio ama i sacerdoti buo­ni! Quando li vede zelanti per la sua gloria, per la salvezza delle anime, come è contento! quanto li ama! Un piccolissimo numero sale qui direttamente senza pas­sare per le fiamme del purgatorio.
Vidi gli uomini che avevano vissuto cristianamente: usciva dalla loro bocca e dalle loro mani una luce, ricompensa delle loro elemosine e del loro attento lavoro. Le donne fedeli ai doveri della vita cristiana erano inferiori alle vergini; portavano sul petto come dei vasi di fori magnifici, e la luce usciva da quei vasi.
La Vergine mi disse, mostrandomi la Vergine Maria: Tu ami molto questa buo­na e tenera Madre, non è vero? Sei testimone della gloria che la circonda, per quanto non la vedi come la vedresti se tu fossi qui sempre. Dimmi, vale la pena che si facciano degli sforzi per meritarle la gloria del cielo? E, te lo ripeto, non sono le grandi cose che fanno meritare il cielo. L'anima non deve dire: vorrei soffrire; desidererei tale croce, tale privazione, tale umiliazione, perché la propria volontà rovina tutto. È meglio avere meno privazioni, meno sofferenze, meno umiliazioni per la volontà di Dio, che un grandissimo numero per la propria volontà. L'essen­ziale è accettare, con amore e con un'intera conformità alla sua volontà, tutto ciò che piacerà al Signore di inviarci. Vi sono, nell'inferno, anime che avevano chiesto a Dio croci e umiliazioni. Dio le ha esaudite, ma non hanno saputo approfittare di tali grazie: l'orgoglio le ha perdute. Senza domandare nulla, accetta con ricono­scenza tutto ciò che il buon Dio ti invierà.
Quante illusioni vi sono ancora, quando Dio invia la malattia! Invece di appro­fittarne, si dice: Ah! se fossi in salute, farei tale cosa, tali opere per Dio, per la mia anima! Se si domanda la guarigione, lo si faccia sempre ponendo questa condizio­ne: Mio Dio, se è la Tua volontà; se l'interesse della Tua gloria lo esige; se il be­ne della mia anima lo richiede!
Desidererei, aggiunse la vergine, scendere con te sulla terra per soffrire, per essere più conforme in tutto alla volontà di Dio, per procurarGli una gloria più gran­de, per rendermi degna di avvicinarmi più da vicino a questa sovrana bellezza. Che l'anima ami molto Dio, questo Padre celeste, tenero e compassionevole; che ami il prossimo più di se stessa; che ami i poveri. Se possiede solo un pezzo di pane, lo divida con essi, e la misericordiosa bontà di Dio provvederà per l'indo­mani, e non le lascerà mai mancare il necessario. Che Dio solo sia tutto in ogni co­sa; che quest'anima non abbia altra ambizione che di piacergli e di compiere la Sua santa volontà. Oh! quanto una simile anima sarebbe gradita alla sua divina Maestà! Quest'anima potrebbe da sola convertire milioni di altre anime. Che l'a­nima ami così Dio e il suo prossimo, abbia in ogni circostanza, una grande e in­crollabile fiducia. Siccome tutti gli uomini che vivono sulla terra sono deboli, Dio permetterà che quest'anima commetta degli errori per mantenerla nella sua umiltà: non si scoraggi, si penta, confessi le sue colpe al sacerdote, e Dio gliele perdonerà. Oh sì! Che abbia fiducia, qualunque siano i suoi peccati: li confessi tut­ti, e tutti le saranno rimessi.
Ci sono santi sulla terra che, a causa della fragilità umana, cadono in qualche errore, a volte anche grave. Il demonio allora opera per intimidire l'anima colpe­vole, alfine di impedirle di confessare il suo peccato. Le dice: Il sacerdote ti crede buona, santa, come oseresti confessargli questa colpa? confesserai questo peccato ad un uomo? No, tu non lo farai. L'anima, ingannata, nasconde il suo peccato; con­tinua a ricevere i sacramenti; un peccato ne attira un altro; il demonio finisce per accecarla ed essa cade nell'inferno. La vergine ha molto insistito su questa verità che, nella confessione, non ci si rivolge ad un uomo, ma a Dio stesso.
Ricordati bene queste parole che Nostro Signore dice, e che i suoi discepoli non dimenticano mai: Venite a me, venite a me, voi tutti che siete dimenticati sulla ter­ra a causa del vostro Dio: io non vi ho dimenticati; venite, entrate per sempre nel­la gioia del vostro Maestro.
lo vidi in seguito come una processione formata da sacerdoti, da vergini, da buo­ne religiose. Tutti insieme, camminavano brillando di gloria a fianco del divino Sal­vatore; da ogni lato, stava una moltitudine di angeli. Una folla di bambini innocen­ti, simili agli angeli, di giovani vergini, tutte le anime pure seguivano la processione cantando. Nello stesso istante, vidi gli altri eletti immersi nel rapimento, nell'ado­razione. A questo punto, le parole mi mancano per potere esprimere ciò che ho vi­sto. Su un trono elevato, che la mia debolezza non ha potuto che intravedere a cau­sa dello splendore della luce che m'abbagliava, ho visto molte altre cose che non posso né comprendere né esprimere.
Maria, mi disse la vergine che mi accompagnava, questa festa è sempre nuova, e durerà in eterno. Tu vi parteciperai un giorno, ma non ancora: il tuo libro non è finito. Approfitta bene della vita, essa non è che un istante, invece questa durerà in eterno. Soprattutto, nelle prove e nelle sofferenze, non perdere mai la fiducia; get­tati ciecamente nelle braccia di Dio, per essere più vicina a Lui in cielo.
La vergine mi mostrò in seguito la terra come in un sotterraneo; mi appariva....
direi, come una moneta di cinque franchi o come una mela? Non so esprimerlo. Ciò che so, è che l'universo tutto intero era chiuso in questo piccolo cerchio. Oh! come gli uomini si perdono! Se pensassero che non sono che viaggiatori su questa terra, e che, in qualsiasi istante, potrebbero essere citati al tribunale di Dio!
Occorre, mi disse la vergine, che adesso tu veda il Purgatorio. Noi vi entriamo. È un luogo tutto coperto di verde, molto spazioso, più lungo che largo. Le anime che vi si trovano sono accostate le une alle altre. Le loro pene differiscono molto. Alcune soffrono più che se sopportassero i più crudeli supplizi; le sofferenze di al­tre anime rassomigliano a quelle di una malattia terrena. Non si vede fuoco all'e­sterno; ogni anima porta il suo fuoco in se stessa. Non ci sono demoni, né alcun­ché all'esterno che metta in allarme.
La vergine mi disse che la Madre di Dio scendeva tutti i sabati nel Purgatorio, con una scorta di angeli, per far liberare molte anime tra questi spiriti beati, e che queste anime liberate seguivano gioiosamente la dolce Regina, come agnellini.
Ho visto nel Purgatorio un gran numero di sacerdoti, di vescovi, di religiose. Questa, mi diceva la vergine, è in Purgatorio, e vi rimarrà per lungo tempo, per­ché prendeva senza permesso frutta in giardino, e accettava sempre senza permes­so piccoli doni dai suoi allievi. Ve n'erano altre che erano trattenute per non avere abbastanza approfittato delle immense grazie che offre lo stato religioso; e altre, per difetto di fiducia in Dio.
Vieni a vedere adesso l'Inferno, senza entrarvi, mi disse la vergine. Vedendolo, il Purgatorio mi parve essere un paradiso. Le anime del Purgatorio sono sottomes­se alla volontà divina; sono felici di purificarsi con il fuoco, per essere degne della visione beatifica. Nell'Inferno, al contrario, non si odono che grida spaventose, im­precazioni, bestemmie. I demòni sembravano costernati alla vista della vergine che mi guidava, poiché Satana è costretto a tenersi immobile come un vile schiavo, in presenza di un'anima tutta di Dio. Ed è lo stesso quando vede un'anima salire in Cielo; egli scoppia dalla rabbia: E che? dice a se stesso, tu eri un angelo e una crea­tura umana s'eleva al di sopra di te!
Compresi che il demonio è simile al vento. Quando il vento soffia, tutto si chiu­de; si tappano i buchi, le fessure, per difendersi. L'anima dovrebbe prendere le stes­se precauzioni contro Satana; dovrebbe chiudere tutto in lei, per non lasciare alcun accesso a questo spirito maligno.
Ciò che mi colpì subito nell'Inferno, fu la vista delle anime che si erano perdute a causa dei vizi impuri. Erano avviluppate di fiamme che prendevano la forma del­l'idolo che avevano amato con sregolatezza sulla terra. Gli avari erano anche avvol­ti dalle fiamme che assumevano la forma dell'oro e dell'argento. In ogni dannato la fiamma che lo circondava si mostrava sotto la figura dell'oggetto, causa della sua dannazione. Ho visto nell'Inferno anime appartenenti a tutte le classi, a tutti i ranghi. Non ho fatto che balbettare, lo sento, dicendo quel che ho detto».
Maria aveva ragione; per parlare di realtà sovrannaturali, occorrerebbe la lingua del Cielo.
Nostro Signore, durante questa lunga estasi durata quattro giorni, chiese a Maria di digiunare, con pane e acqua, per un anno intero, al fine d'espiare, per altri, i peccati di gola, e di vestirsi il più poveramente possibile, al fine di riparare i peccati di vanità.
Il suo confessore, che serviva la chiesa dei Greci-Melchiti, le propose di ab­bracciare la vita religiosa: temeva di lasciare per molto tempo esposta al soffio ap­pestato del mondo un fiore così raro. La giovane serva, la quale non seppe fare al­tro che ubbidire al rappresentante di Dio, vi acconsenti malgrado le sue ripugnanze naturali. Questo sacerdote la presentò senza successo a molte comunità; solo le Suore di San Giuseppe dell'Apparizione acconsentirono ad accoglierla, come le aveva predetto la religiosa che le aveva ricucito il collo, annunziandole che sareb­be diventata figlia di san Giuseppe prima di diventare figlia di santa Teresa.
Entrata in postulantato nel 1865, fu assegnata alla cucina come aiutante. Non comprendendo ancora molto bene la lingua, faceva spesso il contrario di ciò che le si diceva; Dio lo permetteva per provare così la sua pazienza. Conservò un silenzio di tomba su tutti i rimproveri e i cattivi trattamenti che subì da parte della sua com­pagna. Ma Dio la vendicò permettendo l'espulsione dalla comunità della disgra­ziata che era arrivata al punto di picchiarla.
Le grazie straordinarie qui si manifestarono in maniera più completa. E, in aggiun­ta a questi doni sovrannaturali, mostrava un'umiltà a tutta prova, un amore per gli in­carichi più umili, una carità, una devozione e un'amabilità che incantavano. Ricordia­mo alcuni fatti meravigliosi, che ci vengono proprio dalle religiose di San Giuseppe.
Un giorno avverti un fortissimo dolore al fianco sinistro, che la faceva respirare con molta difficoltà. Questa sofferenza durò tre giorni, senza il minimo sollievo. Il terzo giorno, disse alla maestra delle novizie: «Questa sera sarò guarita, alle tre: venga e lo vedrà. E chi ti guarirà? le domandò la maestra. Il buon Dio, rispose. La suora non mancò di ritornare all'ora indicata, e la trovò perfettamente guarita. Il Si­gnore, le disse Maria, è passato un momento fa nella mia camera come una grande luce, e mi ha guarita».
Un'altra volta, era ancora molto sofferente in seguito ad una caduta. La madre sua maestra andò a visitarla: «Oggi, le disse Maria, guarirò a mezzogiorno, anche se sembrerò mortalmente ammalata». Alcuni istanti prima di mezzogiorno, la so­rella si recò nell'infermeria. Maria stava prostrata e immobile sul letto. La chiamò a più riprese: non ebbe risposta. Si sedette allora accanto al letto, dopo aver chiuso la porta, perché nessuno vedesse l'estasi. Fu dopo molto tempo, che la postulante rinvenne: Ebbene! le chiese la maestra, sei guarita? «Sì, le rispose subito con gioia, la mia Mamma del Cielo è venuta, e mi ha guarita». E nel dire queste parole, si alzò, si vestì, rifece il letto e scese per riprendere il suo lavoro.
Un altro giorno, si trovò Maria in estasi, in ginocchio, alla porta della cappella. La sua maestra la interrogò qualche tempo dopo sull'accaduto, Maria le confessò ingenuamente che era molto afflitta per il fatto che non avesse più tempo da dedi­care alla preghiera e di non poter digiunare come in passato: «La santa Vergine è venuta a consolarmi, aggiunse; e mi ha raccomandato d'obbedire, di amare gli al­tri più di me stessa e di non affliggermi di nulla; da allora sto in pace».
Ecco un fatto più stupefacente ancora. Nel mese di gennaio 1866, chiese alla maestra, durante la lettura del noviziato,' il permesso d'entrare nel dormitorio per prendere il fazzoletto che aveva dimenticato. Prima di uscire, si mise in ginocchio per recitare un Pater, e cadde in estasi. Non vedendola ritornare, la maestra entrò per vedere che cosa era successo. La trovò rapita, la mano destra appoggiata sul petto, e la sinistra, nella quale teneva il rosario, rivolta verso terra: la mano sinistra e il rosario erano macchiati di sangue. Cercò invano di farla rinvenire da quel son­no misterioso; l'estasi durò due ore e mezza. Alla fine del rapimento, la postulante tracciò su di sé un grande segno di croce. Scorgendo vicino a sé la sua maestra, le chiese se la lettura del noviziato fosse terminata. Cosa dici? le rispose quest'ulti­ma; è più di due ore che sei qua, la Comunità ha anche cenato. «Che fortuna che è stata lei l'unica testimone del mio sonno!» riprese l'umile Maria. Eh! cosa hai vi­sto durante questo sonno? La postulante, la quale non aveva mai parlato di questi favori divini, rispose con la massima ripugnanza solo per obbedienza, dopo un momento di silenzio: «Parecchie volte avevo già visto un'anima del Purgatorio che mi pregava di chiedere a uno dei suoi nipoti, sacerdote, tre messe e tre ore d'ora­zione assicurandomi che così sarebbe entrata in Cielo. Ho chiesto un segno visibi­le, che fosse constatato nello stesso tempo da un'altra persona; questo segno, ec­colo», e le mostrò la sua mano e il suo rosario macchiati di sangue.
Maria vide soprannaturalmente la morte di una religiosa di San Giuseppe che si trovava in Palestina, e una lettera, arrivata parecchi giorni dopo, confermò la veri­dicità di questa rivelazione. Predisse anche altri avvenimenti, che si compirono nel modo che aveva indicato.
I superiori tennero segreti, finché poterono, queste grazie speciali; ma Dio per­mise che la Comunità ne fosse molte volte testimone e, da allora, tutti ne parlaro­no. Come succede sempre in simili circostanze, si formarono due gruppi: il gruppo degli entusiasti e quello degli increduli. Le cose arrivarono a tal punto che bisogno proibire ogni conversazione su questo argomento. Si fece di più: si proibì alla po­stulante di avere delle estasi in presenza delle suore; e Dio, che è sempre a favore dell'obbedienza, non accordò più questi favori a Maria che durante la notte.
Qualche tempo dopo, la sua maestra le donò un'immagine di nostro Signore e la mandò a pregare nella cappella. Gesù le apparve nel tabernacolo con le sue cin­que piaghe e la corona di spine, da dove fuoriuscivano dei flussi di sangue. D'un tratto, vide come dei carboni ardenti che dalle mani di Gesù cadevano sulla testa dei peccatori. La santissima Vergine, in ginocchio davanti al suo divino Figlio, lo scongiurava di risparmiare i colpevoli. Gesù, pieno di tristezza, diceva a sua Ma­dre: Oh.! Quanto il Padre mio è offeso! quanto il Padre mio è offeso! La postulante si slanciò verso Gesù, mise la mano sulla piaga del suo Sacro Cuore gridandogli: «Mio Dio, dammi, se vuoi, tutte queste sofferenze, ma usa misericordia ai pecca­tori». Dopo l'estasi, si trovò la mano coperta di sangue. La sua maestra, testimone del prodigio, lavò quella mano, che non mostrava la minima ferita. Da quel giorno, Maria soffri al fianco sinistro: tutti i venerdi, il fianco le sanguinava. Non disse niente a nessuno, ed ebbe cura di fare scomparire ogni traccia di sangue.
Il divino Maestro volle completare le sue grazie accordandole per intero le stim­mate. Il mercoledi sera della terza settimana di Quaresima del 1867, Maria ebbe una nuova estasi. «Mi sembrava, diceva, nel renderne conto per obbedienza, di co­gliere rose per ornare l'altare della Madonna: quelle rose sembravano avere delle spine dai due lati, e le spine s'affondavano nelle mie mani e nei miei piedi. Quan­do rinvenni, la mia bocca era molto amara, i miei piedi e le mie mani erano gonfi; al centro delle mie mani e dei miei piedi, c'erano delle pustole nere». Il giovedì, le sue sofferenze aumentarono fino all'indomani, venerdì, festa delle Cinque Piaghe. Quel giorno, verso le dieci del mattino, le pustole nere si aprirono da sole e la co­rona di spine si disegnò perfettamente intorno alla sua testa; il sangue colava dalla testa, dalle mani e dai piedi. Questo prodigio si rinnovò parecchie volte, durante la santa Quaresima, sotto gli occhi della sua maestra e d'un certo numero di suore.
Malgrado tutta la cura che si metteva nel nasconderli, questi prodigi trapelaro­no nella comunità, i contrasti ricominciarono con un nuovo ardore. Per tagliare cor­to a tutto, la maestra delle novizie ordinò a Maria di chiedere a Dio che nulla ap­parisse all'esterno. Obbedi, e disse alla maestra, da parte della santissima Vergine, che tutto sarebbe rimasto celato fino alla prossima Quaresima. Le piaghe dei piedi e delle mani si chiusero in effetti cicatrizzandosi, con grande gioia di Maria, che ha sempre considerato questi favori come una delle più dure prove della sua vita, con­vinta che il Signore le lasciasse questa malattia (è il nome che le dava) per espiare i suoi peccati, in ragione della confusione che ne provava.
Il postulantato di Maria stava quasi per finire. Il consiglio si riuni in assenza della Superiora Generale, per esaminare se dovesse essere ammessa ad indossare l'abito. La maggioranza decise di non ammettere la postulante a causa dei suoi doni straor­dinari, giudicando che questo soggetto non era adatto per un Istituto di vita attiva co­me quello di San Giuseppe. Ma, pur rimandandola, si rese alla sua virtù la più splen­dida testimonianza: Voi potete ringraziare Dio, ci diceva otto anni più tardi la reverenda Madre Generale, d'avere permesso che io fossi assente in quel momento. Mai, se fossi stata presente, avrei acconsentito che fosse mandata via. Il Signore ha voluto realizzare così i suoi disegni su questa creatura meravigliosa: e se non fosse questo io sarei tentata di lamentarmi per questo furto fatto a san Giuseppe da parte di santa Teresa.

CAPITOLO IV
Maria entra al Carmelo di Pau. Le si dà il nome di suor Maria di Gesù Crocifisso. Il postulantato - La vestizione - Avvenimenti prodigiosi Le prove (1867-1868)
L'ultima maestra di noviziato di Maria, a San Giuseppe, aspirando ad una vita più perfetta, aveva ottenuto di poter entrare al Carmelo e il monastero di Pau ave­va già acconsentito a riceverla. Durante le ultime settimane trascorse sotto la sua direzione, Maria aveva conquistato la stima di questa suora. Questa la presentò dunque alla reverenda Madre Elia, Priora del Carmelo di Pau, ma senza parlare dei suoi stati straordinari. Avendo la Madre Elia acconsentito a ricevere anche questa povera orfana, Maria lasciò Marsiglia con la sua antica maestra e arrivò al Carme­lo di Pau la vigilia della SS. Trinità nel 1867. Dobbiamo menzionare qui una vi­sione che ella ebbe, ancora molto giovane, e che lei stessa ci ha raccontato: «Mi sembrava di vedere, ci disse, Gesù e la sua santa Madre e, ai loro piedi, san Giu­seppe e una donna che non conoscevo. Andai a nascondermi sotto il mantello di san Giuseppe, come se avessi avuto paura di quella sconosciuta, che tuttavia sembrava molto buona. Gesù e Maria guardavano e sorridevano. Ma ecco che la sconosciuta prese la parola: Gran Santo, disse rivolgendosi a san Giuseppe, tu non mi hai mai rifiutato niente sulla terra, potresti rifiutarmi qualche cosa in Cielo? Dammi que­sta figlia. San Giuseppe alzò gli occhi verso Gesù e Maria e mi condusse poi da questa sconosciuta, che capii essere santa Teresa. Tutto il mio timore scomparve, e amai Teresa come mia Madre». La visione adesso si era realizzata: Maria, dopo es­sere stata figlia di san Giuseppe, adesso diventava figlia di santa Teresa, sotto il no­me di suor Maria di Gesù Crocifisso. La profezia della religiosa, riferita prima, si era ugualmente compiuta.
Maria aveva ventuno anni, non gliene si sarebbero dati più di dodici, tanto il suo fisico rifletteva la semplicità, il candore e l'innocenza: tutti i suoi modi erano in­fantili. La sua gioia, entrando al Carmelo, fu indicibile. Comprese che ella era in­fine dove Dio la chiamava. Non potendo ancora esprimersi bene in francese, mostrava la sua riconoscenza con lo sguardo, con il sorriso, con le lacrime e con i baci che deponeva sulle mani delle suore, secondo il costume orientale.
«Oh! quanto sono felice, esclamava, ho trovato una famiglia. Le superiore sono
le mie mamme, e le religiose sono le mie sorelle». Tutto le piaceva del Carmelo: la clausura, il silenzio, la mortificazione, la povertà, le pratiche di umiltà in uso in quel santo Ordine, e al di sopra di tutto, l'obbedienza. La Madre Priora per lei era il buon Dio, e le apriva la sua anima. Anche il confessore riceveva tutti i suoi se­greti, poiché per il ministro di Dio, quest'anima era veramente trasparente. Una saggezza celeste traspariva da ogni sua parola. La sua felicità consisteva nel soffri­re, nel nascondersi, nell'obbedire; in una parola, era impossibile trovare un'anima contemporaneamente così semplice e prudente, così seria e così candida, così straordinaria e così amica delle vie ordinarie, direi, cosi umana e così divina.
La Priora comprese molto presto il valore del tesoro che Dio le affidava. Solo per un momento esitò a custodirlo, dato l'accumularsi di tutti i doni soprannatura­li che sembravano non attendere che il chiostro per manifestarsi in tutta libertà; ma l'umiltà, l'obbedienza, la carità, l'amore per il nascondimento, il timore di essere vista durante le sue estasi, tutti segni della mano di Dio, erano così evidenti in quel­l'anima, che dissiparono i dubbi, e una riconoscenza, mista a venerazione, prese il posto del timore.
Il giorno stesso della sua entrata, suor Maria vedendo una postulante, dichiarò che non era per il Carmelo, e l'uscita di questa suora non tardò a confermare la ve­rità di questa profezia.
La Comunità fu profondamente edificata, durante l'ottava del Corpus Domini, che seguì subito il suo arrivo, di vederla ai piedi di Gesù. Talvolta ella giungeva le mani, talvolta inclinava la testa, ora portava la mano destra sul suo cuore come per prenderlo e donarlo al suo Dio. L'Eucarestia era sempre stata per Maria l'amore più forte. Quante volte chiese di lasciare il coro, per non cadere in estasi in presenza delle suore!
Sebbene la santissima Vergine le avesse promesso, a Marsiglia, che le sue stim­mate non avrebbero più sanguinato fino alla Quaresima, tuttavia il suo fianco sini­stro continuò, ogni venerdi, a mandare sangue e acqua, dalle dieci del mattino fino alle ore tre della sera. I panni che vi si applicavano erano impregnati di sangue a forma di croce. Durante queste lunghe ore, la postulante sopportava intollerabili e indicibili sofferenze: la sua sete era bruciante; l'acqua che le si presentava per spe­gnerla le sembrava fiele. Isuoi piedi e le sue mani si gonfiavano, il posto dove c'e­rano le stimmate diventava rosso; la sua guancia portava il segno dello schiaffo im­presso sulla faccia di Gesù. Se si tentava qualcosa per sollevarla, diceva subito: «Niente addolcimenti». Ella si sentiva come colpita da tutti, come abbandonata da tutti, e diceva: «Grazie, mio Dio, sono pronta a soffrire ancora di più per i pecca­tori, per il santo Padre, per la Chiesa». Quando, sotto la morsa del dolore, temeva di cedere, la si sentiva esclamare: «Mio Dio, abbi pietà di me, sono debole. Non so­no altro che peccato e mi lamenterei di soffrire? No, no, mio Dio. O Gesù, quanto hai sofferto! Sono contenta di soffrire per Te».
Nostro Signore le appariva spesso, tenendo nelle mani o sul petto corone di ro­se; il sangue colava da queste rose. In una circostanza, ella vide una croce con cin­que di questi fiori, il più bello dei quali sormontava la croce. Avendole Gesù dato la croce e le rose, ella corse gioiosa verso Maria, dicendole con affascinante inge­nuità: «Mia cara Madre, ho cinque rose: tre per Gesù e due per Te. Non essere ge­losa, te ne prego, di possedere meno rose di Gesù. Se avessi sei rose al posto di cin­que, te ne darei certamente tre, buona Madre». La santissima Vergine le rispose che gradiva quella divisione. «Poiché le cose stanno così, disse l'ingenua fanciulla, of­fro la più bella rosa per la Chiesa; è di un rosso sgargiante e profuma il mondo. Of­fro la seconda per il nostro Ordine, la terza per i peccatori, la quarta per la Comu­nità, la quinta per quelle che mi cureranno durante la mia malattia». Intendeva parlare delle sue stimmate, che dovevano riapparire durante la prossima Quaresi­ma, secondo la profezia della santa Vergine.
Questa divina Madre le annunziò anche che, dopo il mese di agosto, il suo fian­co non avrebbe più sanguinato, e che i suoi piedi e le sue mani avrebbero ripreso il loro primitivo stato, il che accadde.
Ciò nonostante, lungi dal toglierle il calice della sofferenza, il Salvatore si com­piaceva di crocifiggerla in un altro modo. Maria aveva una predilezione particola­re per la Via Crucis; quando la faceva, Gesù le appariva spesso come era quando saliva sul Calvario, allo scopo di immolarsi per gli uomini. Questa visione trapas­sava il cuore della generosa innamorata; piangeva, singhiozzava davanti ad ogni stazione; le accadde persino, a più riprese, di versare lacrime di sangue. A volte, le era impossibile terminare questo pio esercizio: bisognava riportarla nella sua cella, immersa in un'estasi d'amore e di sofferenza.
Il 20 luglio, festa di sant'Elia nell'Ordine Carmelitano, si mise nel refettorio la statua del Profeta su un tavolo ornato di fiori, in onore della Priora che portava il suo nome. Suor Maria di Gesù Crocifisso, alla vista della statua, battendo le mani esclamò: «Padre Elia, Padre Elia!». Testimone del suo trasporto, una sorella sug­gerì alla Madre Priora di fare servire la cena al Profeta dalla postulante. La dispo­sizione in questo senso fu immediatamente data. Durante tutto il tempo che suor Maria adempì con tanto rispetto e amore questo dolce compito, sant'Elia le appar­ve: portava l'abito del Carmelo, il suo viso era maestoso, la carnagione scura, i suoi capelli bianchi; una calotta bruna gli copriva la testa e egli teneva in mano un lun­go bastone la cui parte superiore aveva la forma di una spada. Questa visione la fe­ce cadere in estasi. La Madre Priora la fece uscire dal refettorio, solo la parola ub­bidienza bastò a farla ritornare in sé. Ma l'estasi subito la riprese: «L'ho visto, il mio Padre Elia! Oh! quanto è bello! Ha benedetto il refettorio; ha benedetto la co­munità, ha steso il suo bastone su ogni suora per benedirla. Mi ha dato la speranza che presto mi si darà il santo Abito!...».
Sant'Elia non l'aveva ingannata. Sebbene il suo postulantato fosse iniziato solo da poco più di un mese, il Capitolo decise all'unanimità che si potesse passare so­pra le regole ordinarie a favore di una tale anima. Avendo approvato l'autorità ec­clesiastica questa decisione, suor Maria cominciò il suo ritiro spirituale di prepara­zione sotto la guida della stessa santissima Vergine, che le dava gli spunti di meditazione, controllati dalla Madre Priora. Il tema fornito dalla Vergine era unico: s'imperniava interamente sulla felicità dell'anima religiosa fedele ai suoi voti. Il mio divin Figlio, diceva la Madre di Dio alla postulante, presenterà quest'anima al Padre suo dicendo: ecco una sposa che ha camminato fedelmente sulle mie orme, che ha lasciato tutto per seguirmi, che ha rinunciato a tutti i piaceri dei sensi e per­fino alla sua volontà. È stata pura, povera, obbediente. Chi può dire con quale amore il Padre celeste riceve e corona quest'anima? Il 27 luglio, ottava della festa di sant'Elia, il Rev. Saint-Guily, arciprete della chiesa di San Martino di Pau e Superiore del convento, le diede l'abito religioso a porte chiuse, poiché si era giudicato prudente di non fare una cerimonia pubblica a causa delle sue estasi frequenti. La postulante chiese come padrino e come madri­na sant'Elia e santa Teresa, e fu tra le statue dei due santi, portate nel coro, che ri­cevette l'abito del Carmelo. Fu messa tra le suore del coro. Tutta la comunità era lieta nel saperla destinata a cantare le lodi di Dio. La novizia aveva cominciato già ad imparare a leggere e aveva scongiurato Sant'Elia di ottenerle la grazia di potere dire il santo ufficio ma i disegni del Signore su quest'anima erano più mirabili. Egli voleva che Lo glorificasse nello svolgimento dei lavori più umili. Così non permi­se che facesse dei progressi nella lettura e nella conoscenza del breviario; più tar­di, le ispirerà perfino di fare professione come suora conversa.
Dopo avere indossato l'abito, le sue estasi diventarono ancora più frequenti. Era presa dallo Spirito di Dio, persino in mezzo al coro, in presenza di tutte le suore. Niente la crocifiggeva maggiormente: questo sonno misterioso la rendeva inconso­labile. Si rivolgeva alle anime che considerava più perfette per fare una santa vio­lenza al cielo, perché le ottenessero la cessazione di quel sonno che tanto la umi­liava.
Ciò che Maria chiamava la sua impotenza nel pregare aumentava la sua pena: «Senza dubbio, non ho distrazioni, diceva, ma non posso terminare la mia breve preghiera. Comincio il Padre Nostro e mi arresto a queste due parole senza potere continuare. Penso, o mio Dio, tu così grande, così potente, sei nostro Padre. Tu, in cielo! e noi, piccoli vermi, cenere, polvere sulla terra! Oggi in questo mondo, e do­mani forse morti! E durante questo rapido momento della nostra esistenza, noi osia­mo offenderti, o mio Dio! abbi pietà di noi! e mi perdo, e mi addormento».
Anche se voglio recitare l'Ave Maria, mi fermo alle prime parole: Vi saluto, Ma­ria, e dico alla santa Vergine: «Tu così buona, così buona, o Madre mia! Tu, Madre di Dio, Madre degli uomini! e noi poveri peccatori! e mi perdo, e mi addormento, impossibile continuare. Come bisogna che mi confessi di non poter pregare».
Aggiungeva: «Ero molto addolorata da qualche tempo riguardo alla contrizione: temevo di non avere un dolore sufficiente per le mie colpe. La mia buona Madre Maria mi ha insegnato a fare tre stazioni prima di confessarmi: la prima, alla porta del Cielo, la seconda, a quella dell'Inferno, la terza nel giardino degli Ulivi. Faccio come mi ha insegnato, e da allora, sono tranquilla».
La novizia amava stare sola con Dio nella sua cella, bastava tuttavia un segno da parte dei superiori perché desistesse. Considerava l'obbedienza in tutte le cose co­me la prima delle virtù religiose. Fu privata un giorno della santa Comunione dal­la Priora, che voleva provarla: Tu hai dovuto fare oggi, le disse la sua maestra a que­sto proposito, un grande sacrificio? «Non parli di sacrificio, le rispose suor Maria; l'obbedienza vale molto di più della comunione; vale più di tutto». E se nostra Ma­dre ti dicesse: dammi il tuo braccio, voglio tagliarlo, che faresti? «Glielo presen­terei dicendole: ecco il mio braccio, lo tagli». E se ella ti dicesse: taglialo tu stes­sa? «Lo taglierei immediatamente con gioia».
L'8 agosto, non avendo potuto suor Maria assistere alla Messa a causa del suo stato di sofferenza, la sua maestra andò a visitarla. Voleva chiederle notizie della sua salute, quando la novizia la pregò di non parlarle. Era profondamente raccolta in preghiera. La sua maestra la guardava con religiosa curiosità; tutto ad un tratto, vide che ella si comunicava: «Oh! quanta grazia la Santa Vergine mi ha ottenuto, le disse suor Maria, mi sono comunicata». Ella ripetè la stessa cosa alla Priora: «Sant'Elia, aggiunse, mi ha fatto un sermone: mi permetta, Madre mia, di farmelo scrivere, per non dimenticarlo. Anche santa Teresa è venuta: portava l'abito della Riforma, il suo mantello bianco era luminoso. Mi ha detto: Figlia mia, bisogna amare molto la Madonna, è vostra Madre, e la vostra Regina. Tutto ci viene da Ma­ria, e noi riceviamo tutto tramite Lei».
La santa Vergine la visitava anche per incoraggiarla a soffrire. Sola nella sua cel­la con la sua maestra, recitava un giorno l'Ave Maria. D'un tratto, s'interruppe e si coprì il viso con le mani, abbagliata da una grande luce soprannaturale. «Ascolta,` disse alla sua maestra, Maria parla», e prestò l'orecchio. Un istante dopo riprese, sempre rivolgendosi alla sua maestra: «Ha capito ciò che Ella ha detto?». Non ri­cevendo risposta, aggiunse: «Esce dalla cella». E colpendosi il petto, esclamò con aria commossa: «Ella è mia Madre!». U indomani, la sua maestra le chiese ciò che le aveva detto la santa Vergine. Convinta nella sua incantevole ignoranza che la maestra avesse visto e udito tutto come lei, suor Maria le rispose con sorpresa: «Non lo sa? Ha detto: Benedetta, tre volte benedetta l'anima che soffre. Il tempo è breve, molto breve. Dopo avere sofferto un istante sulla terra, quest'anima sarà sempre con il mio divin Figlio presso il Padre celeste». Ma non ha detto niente di particolare per te? le disse la Maestra. «Oh! sì, ella mi ripete sempre: umiltà, umiltà. Quale è dunque quest'umiltà?».
Ai dolori delle stimmate erano succeduti, il venerdì, sofferenze più vive che du­rante il suo postulantato. Qualche giorno prima della festa dell'Assunzione, ella so­spirava la morte. E tu vorresti morire prima della professione? le dicevano le suo­re. «Oh! sì». Ma la santa Vergine ha promesso di non venire a cercarti che fra tre anni. «Ella può cambiare questo», si accontentò di rispondere.
Cominciò la recita del rosario nella sua cella; la Madre di Dio le apparve: «Mia Madre è là, esclamò; oh! quanto è bella con la sua corona di angeli! Madre amata, prendimi». E quando la visione scomparve, aggiunse: «Maria vi ha benedette tutte; mi ha detto che sarei guarita e che sarei andata a Mattutino». Tutte le sue sofferen­ze, in effetti, erano scomparse come per incanto e poté assistere all'ufficio divino.
La santa Vergine le aveva chiesto di recitare cinque corone del rosario ogni gior­no, e siccome aveva trascurato questa preghiera, la Madre di Dio glielo rimproverò. Per riparare al suo errore, cominciò, con l'aiuto della sua maestra, il primo rosario. Ma fu impossibile andare avanti; si fermò ad ogni parola: «Cara Madre, esclamò con aria rapita, se vuoi le cinque corone del rosario, occorre che mi aiuti. In caso contrario, offro a Dio e a Te, al posto di questa recita, tutte le sofferenze che vorrai inviarmi». Nel concludere queste parole, entrò in una vera agonia: «Soffoco, disse, presto il Padre mio per confessarmi. Non ho niente che mi rattristi, ma desidero una assoluzione prima di morire». 1 dolori si erano calmati: «Questa settimana ancora, io devo soffrire molto, disse; solamente sabato prossimo, sarò guarita e potrò reci­tare le cinque corone del rosario». Tutto accadde come aveva annunciato.
Fino a quel momento, il demonio non aveva potuto provarla che per la malattia; ottenne adesso di poterla attaccare di persona. Cominciò dalla lettura. Tutte le vol­te che la novizia voleva prendere la sua lezione, il demonio le impediva di vedere le lettere. Ella ricorreva all'acqua benedetta per cacciare il demonio. Rinnovandosi
spesso la tentazione, la Priora volle che ella chiedesse a Dio se doveva continuare a prendere lezioni o doveva interromperle. Nostro Signore, per tutta risposta, le ap­parve coperto di sangue, durante il sonno, e le disse: Figlia mia, diventeresti trop­po orgogliosa, se apprendessi subito a leggere, questa scienza non ti è necessaria. Tre cose ti bastano: guardami e pensa a me, sii in tutto l'ultima di tutte, obbedisci ciecamente.
Satana cercò di gettarla nello scoraggiamento. Ascoltiamo questo dialogo tra la novizia e il demonio, il giorno dell'anniversario del suo martirio. Il demonio le dis­se: Tutte le suore pregano. Tu, non lo fai « È vero, rispose, ma amo il mio Dio». Ti si metterà fuori prima della professione, perché sei sempre malata; non si avrà sempre per te la stessa carità. «Tanto meglio, amerò sempre Gesù, e Gesù avrà cu­ra di me». Ma se la Priora, la Sottopriora, se le altre suore ti accuseranno, ti mal­tratteranno, tu che farai? «Amerò sempre Gesù». E se Dio ti gettasse nell'inferno? «Ebbene! anche nell'inferno, ancora e sempre amerò il mio Dio». Il Maestro e sua Madre non ti amano, altrimenti non ti avrebbero fatto scendere dal cielo, dopo che ti fu tagliato il collo. «Quand'anche, per assurdo non mi amassero, io li amerei sempre, sì, sempre di più». Tu non sei degna di comunicarti sacramentalmente, ac­contentati della comunione spirituale; dovrai rendere conto di tutte queste grazie. «È vero che non sono degna della comunione; ma credo, spero, amo: andrò a co­municarmi».
Il demonio, vinto, ritornò alla carica. Suor Maria aveva ottenuto di fare, per qua­ranta giorni, un digiuno a pane ed acqua, secondo l'intenzione del Sommo Ponte­fice. Satana si adoperò per farglielo abbandonare. La sbatté, un giorno, con violen­za, contro una porta, il cui lucchetto di ferro le procurò alla testa una ferita profonda ma ella chiese di continuare il suo digiuno malgrado la viva sofferenza che prova­va. Un altro giorno, la gettò dall'alto della scala. Nessuno si trovava lì al momento della caduta, e Maria non disse niente tutto il giorno. Si accorsero soltanto che cam­minava con molta fatica. Ben presto la sua gamba si gonfiò. Il medico che era sta­to chiamato, constatò una frattura del piede, e ordinò un riposo assoluto di venti giorni. La beata Maria degli Angeli, di cui si celebrava la festa il giorno dopo, la guarì subito, e fino alla fine dei quaranta giorni, la novizia poté restare fedele al suo digiuno.
Quante volte al refettorio scoprì nel suo piatto un formicaio di vermi! Spesso sentiva, in quello che le servivano, un odore di cadavere. Tuttavia mangiava tutto, felice che Satana le fornisse queste occasioni per mortificarsi. Talvolta questo spi­rito infernale le toglieva il suo pezzo di pane, di cui non aveva preso che due boc­coni; tal' altra lanciava la sua scodella in mezzo al refettorio: la novizia, senza scon­certarsi, chiedeva il permesso di raccogliere con la lingua la zuppa rovesciata a terra per mano del demonio, e quest'atto d'umiltà non faceva che aumentare la rabbia del tentatore.
A suor Maria piaceva molto la frutta, in particolare le mele. Il diavolo riuscì un giorno, grazie alla sua suggestione, a fargliene prendere una senza permesso. Appena l'ebbe in mano, capì la tentazione; gettandola subito a terra, la schiacciò con il piede, promettendo a Gesù di non mangiarne più, se non quando i superiori lo avessero consentito. Satana cercò di turbarla durante il sonno: per due volte, gettò le sue coperte a terra. La novizia lo scacciò con l'acqua benedetta ed esso si ritirò sibilando. Ancora una volta, egli escogitò un altro stratagemma. Un giorno che Ma­ria era trattenuta in infermeria, lo spirito maligno prese la forma di una suora di­spensiera e le portò una magnifica mela, dicendole che era da parte della Priora. La piccola novizia si permise di fare qualche obiezione; il suo imbarazzo era estremo, non sapendo come fare ad obbedire e nello stesso tempo a rimanere fedele al suo digiuno di quaranta giorni. Invocò la santissima Vergine: non le occorse molto per smascherare l'illusione del maligno. La pretesa suora dispensiera si incollerì e uscì sbattendo la porta con grande rumore. Ci si volle assicurare dell'accaduto e si in­terrogò la suora che la novizia aveva nominato, ma questa fu molto sorpresa e di­chiarò che non si era mai avvicinata all'infermeria. Si accertò effettivamente che, mentre il fatto accadeva, questa suora era occupata a sorvegliare degli operai che lavoravano nella casa.
Un giorno che Maria era nella sua cella, vide entrare la Madre Priora, la quale con collera le proibì di fare la santa Comunione quel giorno. La novizia non replicò e si recò alla Messa durante la quale non si comunicò. Alcune suore, essendosene accorte, avvertirono la Priora, che ne domandò la causa alla giovane sorella. Que­sta rispose ingenuamente: «Ma, Madre mia, era per obbedirle, me lo aveva proibi­to questa mattina», e le raccontò ciò che le era successo. La Madre Priora fu mol­to stupita in quanto non si era mai avvicinata alla cella della novizia e non le aveva fatto alcuna proibizione di questo genere in quel giorno.
Per fare in modo che fosse cacciata dal convento, il demonio fece ricorso ad un altro artificio: prese le sembianze di suor Maria e andò, così travestito, a trovare le sorelle; parlò contro la carità, e soprattutto contro l'umiltà. Le religiose, credendo di avere a che fare con la novizia, non sapevano più cosa pensare; nella loro gran­de carità, mettevano tutto sul conto delle prove eccezionali di quest'anima, ma ca­si simili si moltiplicavano. Esse ne parlarono tra di loro per illuminarsi scambie­volmente sulla condotta da tenere, constatarono con molta gioia l'artificio di Satana, e invece di rimandare suor Maria, l'apprezzarono maggiormente e la cir­condarono di una venerazione più grande.
Non restava al demonio che un'ultima risorsa, quella che utilizza quando tutti gli altri mezzi falliscono: trasformarsi in angelo di luce per farsi l'apostolo di una santità illusoria. Lo fece. Hai ricevuto, le disse, delle grazie straordinarie; il tuo sonno non è che un'estasi; tutte le tue compagne ne sono rapite testimoni, ti con­siderano a ragione come una santa. Ma non temi i fumi dell'orgoglio? Perché re­stare così esposta a una tentazione perpetua di vanagloria? Non finirai per soc­combere e per perderti? I doni che Dio ti ha fatti sono talmente particolari, che bisogna andare a nasconderli in un deserto. Se tu non hai abbastanza coraggio per vivere sola sotto lo sguardo solo di Dio, fatti mendicante: va per il mondo a chiedere l'elemosina di porta in porta; raccoglierai disprezzo, e questo disprezzo sarà il felice contrappeso per tutti i favori celesti di cui Dio ti ha colmata. La novizia era così incline a nascondersi, a vivere in solitudine e a cercare il disprezzo, che sa­rebbe stata esposta ad esser presa in queste reti, se non avesse avuto per regola di sottomettere tutto ai superiori. Grazie alla sua perfetta apertura e alla sua cieca ob­bedienza, trionfò di nuovo su questo assalto del demonio.
Più la Quaresima del 1868, che avrebbe visto la riapparizione delle stimmate, si avvicinava, e più il demonio raddoppiava i suoi attacchi contro la suora. Assumeva le sembianze più orribili per spaventarla; le suggeriva pensieri orribili, persino il pensiero del suicidio. Ma il Cielo non abbandonava mai quest'anima. Gli angeli e i santi la incoraggiavano, Maria la visitava, l'istruiva e la consolava; il Salvatore stesso si degnava di manifestarsi a lei, con le sue apparizioni e la preparava a nuo­vi combattimenti, seguiti sempre da nuove vittorie.
Nel momento di queste visite soprannaturali, la novizia diceva cose sublimi: «la santa Vergine, esclamava un giorno, mi ha insegnato che l'obbedienza ci preserva sempre da ogni male e da ogni trappola di Satana. Per guadagnarsi il regno dei cie­li, in religione sono necessarie tre cose: la prima, è l'obbedienza, attraverso essa, noi rimaniamo sempre nella retta via. La seconda, è l'umiltà. Con un atto di obbe­dienza, noi acquistiamo l'umiltà per un mese; attraverso un atto di disobbedienza, noi perdiamo l'umiltà per un anno. Senza l'umiltà, noi siamo ciechi, nelle tenebre; invece, con l'umiltà, l'anima marcia nella notte come di giorno: l'umiltà è la nostra luce. La terza, è la carità». Una sorella le domandò: E la penitenza? Rispose: «È il demonio che talvolta la ispira, allo scopo di fare in seguito mancare alla Regola. Quando chiediamo un permesso, la prima parola della Priora è da Dio. Se noi fac­ciamo un'osservazione, la seconda parola è del nostro io, e se noi insistiamo, la ter­za parola, è del demonio».
Il Signore le mostrò, un giorno, come la sua collera stava per scoppiare. La gio­vane suora gridò: «Signore, risparmia gli uomini. Mettimi nel fuoco, ma lascia cade­re il fulmine dalle tue mani. Gli uomini non comprendono il male che fanno, sono ciechi». E aggiungeva: «La parola di Dio fa tremare il cielo e la terra. Gesù diceva: non sono io che scelgo l'inferno per voi; voi stessi fate questa scelta. Non un'anima si perde senza che io le abbia parlato mille volte nel cuore. Io sono venuto sulla ter­ra, mi sono rivestito della vostra natura, mi sono fatto fanciullo, obbediente, povero, umiliato. Ho tutto sofferto per voi. Non sono io che vi ho perduti, siete voi stessi che vi siete perduti». Ed ella ripeteva: «Signore, salva il mondo, non amare me sola, get­tami nel fuoco per salvare gli uomini», e piangeva e singhiozzava.
La beata Margherita Maria le apparve qualche ora dopo: «Margherita, le disse la novizia in estasi, sulla terra io non sono che una povera cieca; qui vedo, sì, io ve­do il serpente. Egli non può colpirmi e io rido di lui. Margherita, dì alla Madre no­stra di farmi una piccola visita». Ella fu esaudita. Santa Teresa le apparve. Suor Ma­ria la salutò con trasporto; e si inchinò dicendole: «Madre mia, benedicimi», e riprendendosi subito: «Madre mia, non benedire solo me, benedici tutte; benedici le altre prima di me; amale tutte come ami me». Prima che santa Teresa scompa­risse, la suora le domandò: «Madre mia, sai se la santa Vergine verrà a visitarmi? Di grazia, Madre mia, dille di venire, dille di venire».
Maria venne. Era con nostro Signore e con san Giuseppe. La novizia si volse pri­ma a questi: «Padre Giuseppe! e tu non mi dici nulla? Parla, parla, ti ascolto». San Giuseppe le parlò della Chiesa, del Santo Padre, dei peccatori. Dopo un istante di attenzione, ella emise delle esclamazioni dolorose. E volgendosi a Maria: «Madre mia, le disse con aria supplichevole, prega. Il mondo è cieco, non capisce il male che fa. Madre mia, trattieni le mani del Tuo divin Figlio; impediscigli di lanciare il fulmine». Gesù non si lasciava intenerire; enumerava i crimini che provocavano il suo giusto sdegno: «tutto ciò è vero, diceva la novizia, con il viso inondato di la­crime; ma perdona, Signore, perdona».
L' indomani il sabato, scongiurò la beata Margherita Maria di concederle di ac­compagnare la santissima Vergine in Purgatorio.
Il permesso fu accordato; solamente, prima di unirsi alla processione che segui­va la Madre di Dio, disse alla Priora: «La santa Vergine le chiede per me il permes­so di accompagnarla in Purgatorio». La Priora, si capisce, si guardò bene dal rifiu­tarlo. La novizia entrò subito in un profondo silenzio; lo interruppe ogni cinque minuti per dire: «Gloria a Maria! Gloria a Gesù! Gloria al Padre celeste!». Altre vol­te, esclamava: «Signore, benedicici; benedici la Chiesa della terra e la Chiesa del cielo!». E alla fine: «Ecco la mia Mamma del cielo che viene ad incoronarmi». Nel dire queste parole, si piegò e sgorgò del sangue intorno alla testa a forma di corona.
«Margherita, disse in seguito alla beata, ti racconto la mia visita in Purgatorio. Ero l'ultima della processione, ma tutti coloro che la componevano mi amavano molto. Allorquando Maria è entrata in Purgatorio, tutte le anime erano gioiose, tut­te parevano sperare la loro liberazione. L'una diceva alla santa Vergine: Madre, non Ti ho conosciuta abbastanza. Un'altra: Madre, io non Ti ho pregato abbastanza. Tutte le anime parlavano a Maria, e Maria rispondeva a tutte le anime. Impossibile ripetere le parole di Maria. Quanto è buona mia Madre!».
La novizia aveva annunciato che una processione celeste avrebbe sfilato davanti a lei quel giorno. Verso le due del pomeriggio, la processione apparve. La suora salutò ciascuna delle anime beate che la componevano. La sua gioia era traboccante. Quan­do scoprì san Francesco d'Assisi, gridò: «Anche tu, Francesco, hai cinque rose», in­dicando le sue stimmate. Molti consigli le furono dati; ella li ripeteva alla beata Mar­gherita, con la quale durante le sue estasi ininterrotte ella si credeva sempre sola.
I
«Margherita, le diceva, san Tommaso mi ha dato tre pratiche sulla fede:
1. Guardate Gesù che scende sull'altare durante la messa, discende tramite la pa­rola del sacerdote. Credete che viene per nutrirvi e che, con lui, niente può man­carvi. Egli è là come un bambinello; ed è tutto per voi: andate a lui.
2. La fede, quanto è bella, potente! Un'anima che possiede la fede può fare tutto, Dio le accorda tutto. Guardate le bestie: quando nascondono le loro provviste, hanno cura di non essere viste, ammucchiano d'estate in vista dell'inverno. Come la bestia attende la sua soppravvivenza da ciò che ha nascosto sotto terra, credete che Gesù vi nutrirà, se andrete al santo Tabernacolo dove è nascosto per voi e dove vi attende.
3. Considerate l'agnello: vedete la fede che egli ha nel suo pastore; cammina vi­cino a lui con fiducia; si abbandona alle sue cure, va dove lo conduce; si ferma quando il pastore si ferma; conserva la sua lana o la dà come il pastore vuole; lo se­gue di giorno, lo segue di notte. È così che dovete lasciarvi condurre dal vostro Pa­store Gesù; è così che dovete seguirlo sempre con fede, di notte come di giorno; è così che dovete essere veri agnelli.
Se dicessimo con fede: Montagna, cambia di posto, la montagna ci ubbidirebbe; terra, trema, la terra tremerebbe».
II
«Margherita, santa Veronica mi ha dato sette pratiche sull'umiltà:
1. L'orgoglioso è come il grano di frumento gettato nell'acqua: gonfia, ingros­sa. Esponete questo grano al sole, al fuoco: secca, è bruciato. L'umile è come il gra­no di frumento gettato sulla terra: scende, si nasconde, scompare; muore, ma per ri­fiorire in cielo.
2. Quando si raccolgono le olive, lo si fa con la più grande cura, si raccolgono tutte quelle che cadono a terra allo scopo di estrarne l'olio. Cercate dappertutto con eguale cura occasioni per praticare l'umiltà. L'olio dà la luce; l'umiltà ha la luce di Dio; fa vedere Dio.
3. Considerate le api; volteggiano di fiore in fiore ed entrano in seguito nell'al­veare per fare il miele. Imitatele, cogliete dappertutto il succo dell'umiltà. Il miele è dolce; l'umiltà ha il gusto di Dio; fa gustare Dio.
4. Lavorate ogni giorno per acquistare l'umiltà. Quando si dimentica di innaf­fiare gli alberi appena piantati, questi muoiono; se dimenticate di praticare ogni giorno l'umiltà, l'albero della vostra anima si seccherà.
5. Vedete come un piccolo uovo nel mare diventa in poco tempo un grosso pesce. Abbiate cura di essere sempre piccoli con l'umiltà; diventerete grandi davanti a Dio. 6. Considerate la bestia: non cerca che il suo bene e quello dei suoi piccoli. Sia­mo i figli di Dio il quale non cerca che il nostro bene. Ecco perché ci fornisce le occasioni per praticare l'umiltà: sappiamo approfittarne.
7. L'umiltà ci conserva; una bella e buona cosa, abbandonata, si perde: anche l'anima, senza gli atti di umiltà, si perde».
III
«Margherita, santa Teresa mi ha dato quattro pratiche sulla pazienza:
l. Quando soffrite, pensate alla vostra debolezza, alle vostre miserie, pensate che un piccolo nulla come voi non merita che di soffrire. Guardate Gesù nella sua Passione: soffrirete tutto con amore, voi lo ringrazierete.
2. Al fine di conservare la pazienza nella prova, considerate Gesù sulla Croce. Tutti lo ingiuriavano, tutti si burlavano di lui e dei suoi dolori; egli sopportava tutto in silenzio. Una figlia di Teresa deve soffrire con pazienza, in silenzio. Tutto pasa.
3. Nelle vostre sofferenze, pensate che glorificate Dio. Sulla terra, il Signore fa tutto per voi: voi soffrite tutto per Lui. Pensate alla sua gloria; pensate anche che la santa Vergine sarà vostra Madre.
4. Pensate che dopo le sofferenze, le umiliazioni, sarete in cielo. Oh! allora, qua­le non sarà la vostra gloria, la vostra gioia!».
IV
«Margherita, san Luca mi ha dato due pratiche sulla verginità:
1. Conservate con cura il profumo della verginità. Quando un liquore profumato è messo in un vaso, si chiude il vaso al fine di non fare evaporare il profumo. Fate così per la verginità; custoditela ben chiusa, e riprenderà il suo profumo in cielo.
2. Custodite la verginità come gli alberi conservano la loro linfa. Occorre mol­to tempo agli alberi prima che portino frutto. Dio sarà il frutto della verginità in cie­lo e sulla terra.
La verginità è come una luce vicino a Dio nel cielo».
V
«Margherita, san Giuseppe mi ha dato cinque pratiche sulla carità fraterna:
1. Pensate alla colomba: ella si toglie il cibo dalla bocca per darlo ai suoi pic­coli. È così che dovete essere caritatevoli per tutte le vostre sorelle: dimenticatevi, privatevi per gli altri.
Se agirete in questa maniera, Dio lo considererà come fatto a se stesso.
2. Guardate i pesci nel mare: vanno insieme in gruppi numerosissimi; marciate così insieme con la carità.
3. Considerate le bestie prive di ragione. Quando una tra loro corre un pericolo, le altre l'avvertono. Soccorretevi così le une con le altre.
4. Guardate le stelle: considerate come brillano e come fondono la loro luce, al fine di produrre tutte insieme una grande luce; producete così insieme, perfetta­mente unite, una grande luce di edificazione.
5. Guardate i bambini appena nati: li si nutre con il latte; crescono a poco a po­co grazie alla carità che si esercita nei loro riguardi; in seguito, mangiano per cre­scere maggiormente, per potere camminare. Per mezzo della carità, dovete nutrirvi le une con le altre, confortarvi e fortificarvi a vicenda».
VI
«Margherita, Gesù mi ha dato cinque pratiche sul silenzio:
l. Il giorno passa, la notte trascorre senza rumore, trascorrono in silenzio. Con­servate, anche voi, il silenzio; passate sulla terra in silenzio per trovare la gioia in cielo.
2. Quando l'acqua sgorga dalla sua sorgente, sgorga senza rumore, senza intor­bidirsi; scorre poi in silenzio: praticate così il silenzio.
3. Quando si piantano le erbe, le piante, i roseti, si lasciano radicare in silenzio, crescono in silenzio; spandono il loro profumo in silenzio; cadono, muoiono in si­lenzio; fanno tutto in silenzio: fate lo stesso.
4. L'uva si lascia cogliere in silenzio; si lascia gettare nel torchio e pigiare in si­lenzio; è allora che il vino è dolce. Il buon frutto diventa dolce grazie al silenzio: praticate il silenzio.
5. Imitate il legno; si lascia tagliare in silenzio; si lascia dipingere del colore che si vuole in silenzio; si lascia bruciare in silenzio. Lasciatevi umiliare in silenzio; la­vorate, soffrite, fate tutto in silenzio. Il silenzio preserva per il cielo».
Questi insegnamenti della novizia estatica facevano infuriare Satana. Egli otten­ne il permesso di tentarla anche durante l'estasi. La suora lo raccontò alla Beata: «Margherita, il demonio mi ha detto: Hai parlato troppo, non sei sola. Io ho ri­sposto: ma sì, qui sono sola insieme a Margherita; non ho parlato troppo, parlerei ancora; Gesù lo vuole, è Lui che mi ha detto di continuare. Lascia l'abito; da reli­giosa sarai sempre malata; ti si dovrà sempre curare. Ebbene, se mi si cura, lo si farà per l'amore di Gesù e Lui sarà glorificato. Vattene nel mondo, e avrai un por­tamento da gran signora. Per tutta risposta mi sono burlata di lui. Va nel mondo, farai del bene ai poveri, invece qui, ti si fa l'elemosina: restare religiosa è umi­liante. Vattene, Satana, non otterrai niente. Come l'uva dà il vino quando è rin­chiusa nel torchio dove la si pressa, io voglio rimanere rinchiusa per dare a Dio il vino della purezza. Spogliati; nel mondo, potrai fare molte penitenze, potrai segui­re la tua volontà. Vattene, Satana, io obbedirò; Gesù è stato obbediente fino alla morte».
«Margherita, voglio raccontarti ciò che Satana mi ha detto ancora: il mio marti­rio all'età di tredici anni, è stato il più grande colpo che io gli abbia inferto. Sata­na, non ama il martirio. Mi ha dunque detto: Se avessi potuto sapere ciò che tu sa­resti diventata, avrei strangolato te, tua madre e tutti i tuoi familiari. Egli mi ha parlato così, Margherita, ma io, io sono niente; sono solo miseria, debolezza, nul­la, è Gesù che ha operato in me. Satana mi ha anche rimproverata di essere fuggi­ta e di essere, con ciò, la causa della desolazione dei miei parenti. Avrebbe voluto farmi credere che avevo commesso una grande colpa, gli ho risposto di aver agito sotto ispirazione divina e che Gesù e Maria avevano fatto tutto. È vero, Margheri­ta, che io, senza Gesù, mi sarei persa da molto tempo. È Gesù che mi ha chiamata, ritirata dal mondo. È Maria che ha vegliato su di me. Mi ama tanto, Maria! Mi la­mentavo un giorno con questa Madre di non essere morta all'epoca del mio marti­rio. Mi consolò dicendomi che sarei diventata martire d'amore». «Margherita, voglio recitarti la mia preghiera a Maria: Tu eri vergine nel mon­do, oh! Maria. Chi avrebbe mai pensato che saresti diventata Madre di Dio? Sei la Madre di Dio, per la Tua umiltà. L'angelo del Signore è apparso a Maria per annunciarle la sua maternità divina. La Vergine, illuminata dalla luce potente di Dio, si umiliò pensando che Colui il quale ha creato il cielo e la terra stava per diventa­re suo Figlio. L'angelo parlava spesso alla Vergine Maria, e ogni volta che l'ange­lo parlava, Ella si umiliava. Oh Maria! quanto sei umile e amabile nella Tua umiltà!
Maria era anche un modello di fede. Oh! quanto la fede di Maria era gradita al Padre celeste! Grazie alla sua fede faceva crescere Gesù in Lei tutti i giorni. Se noi avessimo questa stessa fede, Gesù crescerebbe anche nel nostro cuore. A motivo della sua fede e della sua umiltà, Maria non si sentiva degna di diventare la Madre di Dio.
Sulla terra, i bambini non possono nascere senza una madre: e vengono alla lu­ce per mezzo di una donna. È anche per mezzo di una donna che noi entriamo in cielo, e questa donna, è Maria. Dio apre il cielo grazie al Frutto di Maria. Dopo il peccato, gli uomini aspettavano il Frutto di Maria, di questa Vergine dolce, umile e santa. Sii benedetta, Maria, sii benedetta!».
Passando in seguito a consigli di altro ordine, ma tutti nutriti della linfa evange­lica, suor Maria di Gesù Crocifisso, sempre in estasi, aggiunse: «Un'anima, chia­mata da Dio alla vita religiosa, dice: Voglio farmi religiosa per seguire Gesù, per praticare l'umiltà, per morire a tutte le cose e a me stessa. Il demonio viene; spin­ge quest'anima a curarsi per potere osservare la Regola. Se l'anima ascolta questa prima tentazione, Satana continua i suoi attacchi nello stesso senso. I desideri ter­reni penetrano impercettibilmente nello spirito di questa religiosa: trova che non è abbastanza vestita, abbastanza nutrita; crede che le altre sono curate meglio di lei. Cacciate questi pensieri, non pensate a voi, lasciate che i superiori pensino per voi. Sì, io dirò tutto. Vai via, Satana, non c'è nessuno qui, non c'è che Margherita. Vai via, non voglio niente da te, non ti conosco. Per essere una buona religiosa, biso­gna annientarsi; bisogna assolutamente assomigliare a un essere senza vita, a un ba­stone. La buona religiosa si accontenta di poco; non si lamenta mai; crede sempre che si faccia troppo per lei.
Il demonio cerca, dopo la professione, di ispirare idee ambiziose. Si desidera es­sere consigliera, poi sottopriora, poi priora. Una volta ottenuto il primo posto, si vuole essere amata; non si è soddisfatta fino a quando non ci si sente dire: Mai ab­biamo avuto una simile madre! Quante vittime di questa vana gloria vi sono all'in­ferno! Non credetevi capaci di occupare un posto qualunque, ancora meno il pri­mo. Se Gesù permette che tu venga elevata, non ti rattristare, resta in pace. È sufficiente avere una grande fede, perché tutto vada bene nella comunità. Gesù fa tutto per una superiora che vive di fede, senza preoccuparsi di cose inutili. Annien­tati, sparisci interiormente; sii dolce, buona per le figlie che Dio ti ha dato. Imita in tutto Gesù, per fare imitare Gesù. Non desiderare i complimenti; le lodi passano. Tutto passa. Fin quando sei superiora, credi sempre di essere nulla. Sii buona, con semplicità e fiducia in Dio. Accostati a Dio sempre con umiltà. Un'anima che vive di fede e di semplicità, si conserva come la luce nella notte. Man mano che lasce­rete tutto sulla terra, troverete tutto nel cielo».
Tali sono gli insegnamenti semplici, graziosi, sublimi e pratici che la novizia dettò, senza alcun dubbio, durante la sua estasi ininterrotta di un giorno e mezzo. Ritornata in sé, non ricordava nulla di ciò che era successo. Il suo primo grido fu: «Madre mia, da dove vengo? Dove sono? Mi dica ciò che ho fatto».
A questa raggiante estasi seguì una tristezza mortale; l'espressione del suo viso cambiava in ogni istante, a volte diventava tutta nera. In preda a una vera ossessio­ne, si dibatteva tra le mani delle consorelle. La reliquia della santa Croce e la sola parola obbedienza bastarono a calmarla in quel momento. Ma gli attacchi si molti­plicavano e diventavano sempre più forti, bisognò ricorrere alla potenza del sacer­dote. Il Superiore della comunità fu chiamato e la sua presenza trionfò su Satana ma un'ora dopo la sua partenza, mentre si cercò di far prendere un po' di cibo a que­sta vittima, il demonio tornò alla carica gettando degli spilli nella porzione servita­le, allo scopo di soffocarla. L'infermiera, che li vide, li tolse: essi erano neri e ri­curvi come uncini. Il demonio ne gettò altri e la novizia ne ingoiò uno che restò infilzato nella gola: impossibile strapparlo. La suora soffriva un vero martirio. La Madre Priora allora le disse: per i meriti della santa Croce, getta lo spillo, e lo spil­lo cadde subito a terra. Alle tre, le condizioni della novizia migliorarono immedia­tamente, così come lei aveva predetto, e il suo viso divenne raggiante; tutta la co­munità ringraziò Dio per la sua liberazione. Quanto all'umile fanciulla, ringraziava
. soprattutto Gesù per essere stata vista così da tutta la comunità: «Dio mio, grazie, diceva, d'aver fatto conoscere la mia miseria; se non mi avessi custodita, avrei ce­duto a tutte le tentazioni che i miei peccati hanno attirato su di me»; poiché, nella sua profonda umiltà, attribuiva tutto ciò che le andava accadendo alle sue colpe, al­la sua natura corrotta, e si stupiva della carità delle suore nei suoi confronti.
La Chiesa celebrava le Quarant'Ore; entravamo in Quaresima, durante la quale il prodigio delle stimmate doveva rinnovarsi, secondo la promessa della santissima Vergine.

CAPITOLO V
Suor Maria di Gesù Crocifisso dalla Quaresima del 1868 fino all'epoca della possessione
Riportiamo a questo punto l'apprezzamento di Madre Elia sulla sua novizia, espresso nelle note prese su questo argomento per ordine del vescovo di Bayonne e del superiore del Carmelo, dal momento del suo ingresso al Carmelo di Pau. Ed è proprio da questi appunti che abbiamo preso i fatti relativi a questo periodo del­la vita di suor Maria di Gesù Crocifisso.
«Per quanto mi è possibile, assumo il linguaggio della nostra suorina, per ren­dere con più esattezza lo stato di quest'anima. Confesso tuttavia che il mio compi­to è difficile e che questa relazione è spoglia del fascino legato alle parole e alle azioni della novizia e che dà tanto interesse ed espressione a tutto ciò che lei dice.
Sento di non fare il suo ritratto che a metà. Occorrerebbe un'altra penna più esercitata per fare conoscere questa bella anima: la sua ingenuità, la sua semplicità, la sua umiltà, la sua generosità, la sua carità, il suo amore per Dio e per il prossi­mo, la sua costanza nel lottare contro il suo avversario che la perseguita senza po­sa, il suo amore per la vita nascosta, comune, ordinaria. Bisogna vederla e seguir­la per farsi un'idea giusta di questa figlia. Tutto ciò che accade in lei di straordinario, sia nel passato che nel presente, viene da Dio? Non tocca a noi giu­dicarne; ma tutto ciò che possiamo dire è che, se lo spirito di Dio non ne fosse l'au­tore, la nostra novizia ci sembrerebbe più degna di ammirazione nel potere, sotto l'azione del demonio, restare fedele al suo Dio, piena di speranza in Lui, umile e piccola con se stessa, non cercando mai la stima delle creature, non volendo, in ogni cosa altro che la volontà di Dio e la sua più grande gloria. Ho ben sondato i suoi sentimenti e mai lei ha deviato dal suo cammino, il quale è quello di un'ani­ma piena di rettitudine che cerca solo Dio». Ma continuiamo il nostro racconto.
Il Mercoledì delle Ceneri, suor Maria di Gesù Crocifisso chiese ed ottenne di po­ter praticare la Regola, sapendo che non avrebbe più potuto durante la Quaresima. Infatti, l'indomani, soffriva talmente ai piedi e alle mani, che le era impossibile muoversi.
Ecco la sua preghiera del mattino: «La mia preghiera, diceva, era con Gesù nel deserto. Entrandovi, ho visto la terra spoglia, gli alberi secchi. Nel momento in cui Gesù è apparso, la terra si è rivestita di verde; gli alberi si sono coperti di foglie, di fiori e di frutti. Gli animali hanno riconosciuto il loro Dio, gli uccelli hanno canta­to perché percepivano la tristezza di Gesù. Tutta la creazione cercava di rallegrarlo e desiderava custodire Gesù. Ogni creatura studiava il modo per fargli piacere, so­lo le pietre erano insensibili. Né la luce, né il calore, né la rugiada, né la pioggia potevano fare loro del bene. Gesù diceva guardando le pietre. Peccatori, ecco la vo­stra immagine. Io vi mando l'acqua della mia grazia, e voi non ne approfittate più delle pietre. . Le anime fedeli dicevano a Gesù: Signore, donaci lo spirito di pre­ghiera, alfine di potere guadagnare anime che ti serviranno come la terra ti serve nel deserto. Signore, siamo nude, rivestici del tuo amore; conservaci sempre nella tua presenza, alfine di potere sempre cantare le tue lodi per far gioire il tuo cuo­re: facci produrre fiori e frutti per la Chiesa.
Gesù stette quaranta giorni nel deserto senza bere ne mangiare: digiunava per noi. Gesù aveva fame e sete di anime; piangeva, e mentre le lacrime scorrevano sul suo viso, diceva: Poveri peccatori, non entrerete in cielo, se non vi convertirete. Ge­sù mi ha mostrato nel deserto alberelli carichi di frutti e mi ha detto: Guarda que­sti piccoli alberi e osserva come l'odore dei loro frutti profuma questo deserto: so­no l'immagine dell'anima umile e piccola ai suoi occhi. Guarda, invece, quegli alberi alti, non hanno che frutti cattivi e anche l'odore dei loro frutti è cattivo: raf­figurano l'anima orgogliosa.
Gesù mi ha detto ancora: Guarda queste due persone: una è stimata da tutti; possiede tutti i doni della natura; è bella, ricca. Si compiace di se stessa; ricerca i piaceri terreni, ma agli occhi di Dio la sua anima è brutta. L'altra è povera, ma­lata, disprezzata; ma il suo cuore è sempre con me, cerca solo di compiacermi, di fare la mia volontà. Oh! quanto è bella e ricca quest'anima ai miei occhi! quale gloria l'attende in cielo!
Sentivo Gesù dire ancora: Peccatori, non vi chiedo perché avete peccato, ma perché non vi convertite affatto. Non guardo più il vostro passato, solo che venia­te a me. Mio Padre ha creato per voi il cielo e la terra; venite, vi salverò.
Gesù nel deserto pregava, pensava a noi, alle nostre debolezze. Vedendo Gesù piangere, tutti gli animali si fermavano vicino a Lui per piangere con Lui. Questa compassione degli animali aumentava la tristezza di Gesù, perché vedeva le bestie più sensibili degli uomini».
Le sofferenze della novizia crescevano continuamente. La trasportarono in infer­meria. Nel passare là vicino, le suore respiravano un profumo soavissimo che il suo corpo emanava; il suo velo e il suo mantello spandevano lo stesso profumo. Duran­te la notte i dolori furono atroci. L'indomani, primo venerdi di Quaresima, verso le sei del mattino, il sangue cominciò a stillare dalle mani e dai piedi; la corona di spi­ne perfettamente disegnata attorno alla testa, stillò anch'essa sangue in abbondanza in due riprese, così come la piaga del costato. A mezzogiorno, il sangue si fermò ma le piaghe rimasero aperte. Diventavano più profonde ogni settimana fino a Pasqua.
Indichiamo qui una volta per tutte il modo in cui si formavano le stimmate. Il mercoledì sera o il giovedì mattina di ogni settimana di Quaresima, le sofferenze
della suora raddoppiavano di intensità; si vedeva in seguito una vescica grossa quanto la testa di un chiodo, apparire sulle mani e sui piedi; la vescica scompariva all'apertura delle stimmate per riformarsi otto giorni dopo. Dal sabato fino al mer­coledì seguente, le piaghe non facevano che stillare sangue.
li sabato della prima settimana di Quaresima, malgrado le sue vive sofferenze, suor Maria chiese ed ottenne di essere trasportata nel coro, al fine di potersi comuni­care. Vide due angeli che assistevano il sacerdote sull'altare. Nostro Signore le ap­parve sopra il calice, sotto le sembianze di un incantevole bambino. Con le sue pic­cole mani, benediceva le suore. Tutto ad un tratto, lo vide crescere fino a prendere la statura di un uomo: si offriva al Padre per le anime. Questa visione la rese felice; avrebbe voluto tuttavia capire come Gesù fosse allo stesso tempo in cielo e dovunque vi fossero ostie consacrate: Che questo mistero non ti stupisca, le disse il Signore, la luce naturale non è dappertutto contemporaneamente? E perché l'Autore della luce non potrebbe essere, con il suo Sacramento, contemporaneamente in diversi luoghi?
Le estasi, durante tutta la Quaresima, furono quotidiane. Santa Teresa, san Gio­vanni della Croce e molti altri santi, la santa Vergine e nostro Signore stesso la vi­sitarono. Allorquando la Madre di Dio le appariva, la sua gioia era più grande: «O Madre mia, diceva, quanto sei bella, quanto sei bella! Non sono degna di essere tua figlia, sono la tua serva, la tua umile serva».
Santa Teresa le fece capire che, se in ogni monastero ci fossero tre religiose ri­colme del vero spirito della vocazione, Dio, grazie ai loro meriti, avrebbe usato mi­sericordia alle consorelle e risparmiato persino le città in cui si fossero trovati si­mili tesori.
Le stimmate aperte riempivano suor Maria di confusione. Un giorno che sup­plicava Nostro Signore di farle scomparire, Gesù le rispose: Guarda i frutti che si producono sotto terra: crescono e nessuno gioisce alla loro vista. Guarda, invece, un roseto esposto agli occhi di tutti: produce boccioli che diventeranno belle rose il cui profumo investe tutti coloro i quali vi si avvicinano; questo profumo non è per il roseto, bensì per gli altri, il roseto non ha per sé che sterpi e spine. Allo stesso modo, scelgo certe anime per essere glorificato in loro; i doni esteriori che accor­do loro non sono per se stesse, ma per gli altri; queste anime non conservano che la sofferenza, la quale è come la spina della rosa, ma dopo che avranno molto sof­ferto, faranno come la rosa che si schiude, spanderanno il mio soave profumo e an­dranno a fiorire nel cielo.
Guarda, le disse ancora Gesù, il frumento: si semina il grano nella terra, mar­cisce, muore e poi spunta, la spiga si forma all'estremità del gambo grazie alla mia potenza e coloro i quali la vedono ammirano la provvidenza di Dio e la sua bontà. Né la spiga né la rosa crescono grazie a loro stesse, hanno bisogno della terra per nutrirsi, del calore del sole e della rugiada per crescere; allo stesso modo un'ani­ma non può, per sé stessa, fare niente per Dio. È Dio che lavora in lei, che si glo­rifica in lei, che cresce in lei nella misura in cui l'anima si eclissa, scompare e si annienta.
Questo linguaggio le fece comprendere che il Salvatore non voleva esaudirla. Senza scoraggiarsi, si rivolse allora alla santissima Vergine ma anche Maria, sempre conforme alla volontà del suo Gesù, rifiutò. La novizia ricorse a santa Teresa: «Ma­dre mia, le disse, perché introdurmi nel tuo Ordine, se non mi ottieni di praticare la Regola? Da quando ho preso l'abito, sono sempre malata; se non mi guarisci, mi si dovrà mandare via e tu sarai la causa del mio rientro nel mondo». Dicendo queste parole, sembrava facesse il broncio alla Santa. La lotta tra la madre e la figlia fu lun­ga e santa Teresa finì per cedere. «Sarò guarita a Pasqua, sarò guarita a Pasqua, esclamò la suora tutta gioiosa: la mia madre Teresa me lo promette da parte di Dio. Dopo una breve convalescenza, spero di poter fare seriamente il mio noviziato».
I due primi venerdi di Quaresima, suor Maria era nel suo stato solito, quando le stimmate si aprirono: impossibile esprimere la sua pena e la sua confusione nel­l'essere vista dall'infermiera. Scongiurò la Priora di lasciarla sola durante gli altri venerdì. Quella, che non voleva che la novizia supponesse l'aspetto soprannaturale del suo stato, le rispose: Sei un'orgogliosa! Desideri essere sola il venerdì, perché costa al tuo amor proprio di essere vista così. Ebbene! voglio, per tua umiliazione, che tutte le suore siano presenti quando questa malattia si mostrerà di nuovo. II ter­zo venerdì della Quaresima, la sua maestra la sorvegliava durante la Messa. Al mo­mento della Elevazione, la novizia ebbe un rapimento. Subito il sangue colò in ab­bondanza dalla sua testa, dalle sue mani e dai suoi piedi. Dopo il ringraziamento, la comunità si recò in infermeria per essere testimone del prodigio. Era la prima vol­ta che tutte le suore riunite contemplavano le sue stimmate. Si credettero trasporta­te su un nuovo Calvario: guardavano in silenzio, con il cuore pieno di una emozio­ne indefinibile, con gli occhi pieni di lacrime. Si fece entrare il Superiore della comunità per constatare il prodigio. Egli posò un dito su una delle sue piaghe: a questo semplice contatto, tutto il corpo della novizia tremò. La benedisse e subito la suora esclamò sempre rapita: «La parola di Dio è scesa su di me». Durante que­sta lunga estasi, ella parlava del nulla della vita, dell'accecamento dei peccatori, del­la perdita delle anime, dei malanni della Chiesa: «Signore, diceva singhiozzando, abbi pietà di noi! Santa Vergine, allontana le disgrazie che ci minacciano. Prega per la Chiesa. Verrà ben presto la guerra; come pregherò per la Chiesa!».
Il 16 marzo, così raccontava la sua estasi, che era durata tutta la giornata: «Ve­devo, diceva, Gesù su una strada; egli lasciava, dietro di sé, camminando, una gran­de luce che illuminava le anime fedeli. Seguendo Gesù e la sua luce, si evitavano le spine, l'acqua, il fuoco e i serpenti. II Salvatore camminava sempre e svelto. Mol­te persone si erano messe al suo seguito ma ben presto la maggior parte si fermò. Ce n'era tuttavia un numero abbastanza grande che continuava a camminare dietro di Lui: esse godevano della luce, mentre quelle che si erano fermate non vedevano più che tenebre. Vedendomi a metà cammino, mi fermai un istante per riprendere fiato; Gesù sembrava aspettarmi vedevo la sua luce. Ma, quale non fu la mia con­fusione, quando scorsi un gran numero di anime che venivano a raccomandarsi al­le mie preghiere! Non sapendo che fare, entrai in una chiesa, aprii il tabernacolo con un'ardire che mi fece meraviglia; depositai nel ciborio tutte le preghiere che mi erano state richieste e aspettai. Gesù comparve, prese il ciborio pieno di queste pre­ghiere e lo vuotò nelle sue mani; gli Angeli attinsero dalle sue mani adorabili le gra­zie ottenute con queste preghiere e andarono a portarle a tutte quelle anime».
In un'altra estasi, santa Teresa le disse che non era contenta, perché si era trop­po occupata di sé; aggiunse che le sue figlie devono dimenticare se stesse per pen­sare ai peccatori; rassomigliare ai bambini che lasciano ai loro genitori la cura di tutto ciò che li riguarda. Se un'anima, disse, pratica il disprezzo di se stessa e se cammina dietro alle altre, sarà grande ed innalzata nel cielo.
Un altro giorno, ella disse, sempre in estasi: «Ho preso il santo abito qui, ma non vi farò la professione: pronuncerò i miei voti nelle Indie. Resterò a lungo novizia. Padre Elia, tu lo sai, che andrò a piantare laggiù la rosa di Teresa».
Passando in seguito a consigli più pratici, aggiunse, sempre nel rapimento: «La mia Madre Teresa era fedele nelle piccole cose. Le anime sbagliano spesso cercan­do di fare delle grandi penitenze. Tutto ciò non è niente se non si è fedeli alla Re­gola. La Regola di Madre Teresa è così saggia! è tutta contro natura. La Regola è la nostra madre. Ci sembra qualche volta che se non facciamo più della Regola, ag­giungendovi qualche cosa di straordinario, non ci salveremo: è un errore. Ecco ciò che mi ha detto la santissima Vergine: Se una suora assolve tutti i punti della Re­gola senza aggiungervi niente, va diritta in cielo. Se un'altra suora, facendo più della Regola, non ha il vero spirito della Regola, non andrà diritta in cielo. Prati­chiamo la Regola, tutta la Regola, con il vero spirito della Regola e otterremo tut­to da Dio. Lo Spirito della Regola è tutto lo spirito della Croce.
È bene essere disprezzata, non essere che niente; è bene stare nella tristezza sul­la terra per essere glorificata nel cielo. Ogni anima che cerca il disprezzo sulla ter­ra, avrà la gioia nel cielo. Tu, o anima, non sarai sempre disprezzata, non sarai sem­pre sofferente, sempre povera; la prova non è fatta per durare sempre. Cerca dunque le occasioni di umiliarti. Se ti si rimprovera di fare ogni sorta di male, ringrazia. Tutto passa sulla terra, non vi resterai sempre. Raccogli meriti ogni giorno. Ogni volta che sarai disprezzata, che ti si mortificherà, che si frantumerà la tua volontà, rallegrati: tutto ciò vale per il cielo.
Quando nostro Signore è venuto sulla terra, ha posto san Giuseppe sopra di sé, per poter obbedire; voleva così farci capire il merito dell'ubbidienza. Padre Giu­seppe! Madre Teresa, scoprirete che non avete sofferto abbastanza. Mille anni di sofferenze non sono niente, poiché noi saremo in seguito per sempre in cielo. Feli­ce l'anima che soffre!».
La vigilia delle Palme, ella diceva in estasi: «Tutto passa. Mio Dio, copri con la tua misericordia i poveri peccatori. Se comprendessero la tua parola, se conosces­sero la tua presenza nel tabernacolo, se si ricordassero che tutto passa, si converti­rebbero. Poveri peccatori! Chi fa tutto per voi? È Dio; sì, è Dio che vi fa crescere, che vi dà la salute, le ricchezze. Perché offendere colui che vi dà tutto? Peccatori, andate a Dio, ascoltate la sua parola».
Alcuni istanti dopo, aggiungeva, rivolgendosi alla Chiesa: «Chiesa Madre mia, rosa mistica, io ti amo. Spirito Santo, scendi sulla Chiesa, sui sacerdoti, illumina i figli della Chiesa».
Scorgendo Gesù esclamava: «Ti saluto, ti saluto, o mio Gesù, ti adoro, ti amo, ti do tutto ciò che ho, mi dono a te per il tempo e per l'eternità».
Entriamo nella grande settimana giustamente chiamata dalla Chiesa la Settima­na Santa. La domenica delle Palme, il divin Maestro non le fece più sentire la sua presenza; ella fu in preda all'angoscia, circondata da tenebre e come abbattuta sot­to il peso dell'iniquità del mondo. Si comprendeva, guardandola, che condivideva i tormenti interiori dell'agonia di Gesù. Il suo sbigottimento era estremo, le sue pa­role smorzate. Diceva: «La mia anima dorme; i serpenti sono pronti per divorarmi. Tutte le bestie, tutti i nemici mi attendono per farmi del male, per uccidermi. Si­gnore, risvegliati col tuo amore. Sono in un sentiero stretto e pieno di buchi: Si­gnore, tienimi, sto per cadere nel fuoco, nell'acqua. Ho paura di cadere: Signore, sostienimi. Tutti i mali mi circondano: Signore tienimi; traimi dalla neve; soffro, sono ghiacciata: riscaldami col tuo amore. Sono nella notte; rischiarami con la tua luce. Signore, tu sei la mia speranza, la mia gioia, la mia felicità. Spero in te, spe­ro in te».
Le apparve santa Marta. Suor Maria le disse: «Marta, guarda il tuo Maestro pre­gare, offrire tutto a suo Padre, fare con gioia il sacrificio della sua vita per salvare le anime. Marta, Gesù cammina; vede le anime dormire, vede i peccatori perdersi. Marta, sto per dirti ciò che Gesù mi ha mostrato: mi ha mostrato cinque sentieri. Nel primo, vedo le anime che dormono di un sonno profondo e pesante. I serpenti circondano queste anime. Gesù grida loro: Svegliatevi, altrimenti le bestie vi divo­reranno. Nel secondo sentiero, vedo le anime come sprofondate in un abisso; per uscire da questo abisso, Gesù presenta loro un'unica scala: la scala della sofferen­za, ma queste anime non hanno il coraggio di salire per questa scala. Nel terzo sen­tiero, vedo le anime cadere nelle fosse; un po' di vento e perfino un po' di fumo ba­sta per gettarvele: è il vento, è il fumo della vanagloria. Nel quarto sentiero, vedo una montagna di neve e delle anime tuffate in questa neve; esse hanno perduto la carità. Nel quinto sentiero, vedo le anime tutte occupate di fiori, di piaceri, e dietro ad esse, vedo il fuoco che le segue, che sta per raggiungerle».
Il Giovedì Santo, alle due del pomeriggio, sudò sangue. Un profumo delicato, emanava da questo sangue e i lini di cui ci si serviva per asciugarlo, conservavano questo stesso profumo. Un po' più tardi, pati il supplizio della flagellazione. La Prio­ra e due suore, che erano presenti, sentivano in maniera distinta i colpi di frusta che si abbattevano su questa vittima. Tutte le circostanze della Passione passarono sot­to il suo sguardo durante la notte: il suo corpo e la sua anima parteciparono a tutti i dolori, a tutte le angosce del suo adorabile Maestro. L' indomani, anniversario del­la morte di Gesù, le suore ebbero nella sua persona una rappresentazione al vivo del sacrificio della croce: il sangue scorreva da tutte le sue stimmate. Una volta lavate, si constatò che la carne era talmente trasparente nel posto dei piedi e delle mani, che da esse si scorgeva la luce.
Il Sabato Santo, ella si rallegrò e pregò a lungo con santa Maria Maddalena; cantò l'Alleluia con questa santa e con una folla di altri santi che vennero a visitar­la. Tanto amabile con le sue sorelle quanto lo era con gli abitanti del cielo, ella ri­cevette, con la più viva allegrezza l'Alleluia che le suore le portarono, alla fine del­la sua estasi. Le era impossibile stare in piedi. Ma non appena la Priora le ebbe ordinato di alzarsi e di recarsi nel coro, si alzò subito e andò a cantare l'ufficio.
Le sue forze ritornavano lentamente; ella poté tuttavia lasciare abbastanza pre­sto l'infermeria. Il suo desiderio sarebbe stato di poter praticare la Regola ma No­stro Signore le fece ancora capire che ella non lo avrebbe potuto realizzare a lun­go, per essere mantenuta nell'umiltà. Non essendo esaudita su questo punto, scongiurò Gesù di toglierle almeno quel sonno che la tormentava tanto. Il divin Maestro non l'ascoltò nemmeno in questo: i suoi rapimenti continuavano ad essere frequenti, soprattutto nel coro. Quasi tutte le sue notti trascorrevano nell'estasi. Ella non teneva in alcun conto questi favori, considerandoli come una infermità che il Signore le dava in espiazione dei suoi er­rori. Giammai ne avrebbe parlato se non gliene fosse stato fatto un ordine.
Le sue colpe, ecco ciò che lei amava confessare: quelle le avrebbe urlate dai tetti. Nel mese di maggio, il Carmelo ricevette la visita di Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne, il quale fece una esortazione alle suore nella sala del capitolo. Poi il pio Prelato parlò della sublimità del santo sacrificio della messa. Le suore che erano ac­canto alla novizia si accorsero, dopo alcuni istanti, che ella lottava per non andare in estasi, ma fu invano: fu rapita e restò in questo stato fino a quando sua Eccel­lenza ebbe finito di parlare; una sola parola della Priora la fece ritornare in sé. La sua confusione fu estrema: «Avrei preferito morire, disse alla Priora, piuttosto che essere vista durante il mio sonno». Le confessò che, mentre Monsignore parlava, Nostro Signore si era presentato a lei tutto straziato e coperto di piaghe e che era stata questa vista che l'aveva fatta uscire di sé.
Suor Maria era stata incaricata dalla Priora di adornare l'eremitaggio dedicato a Nostra Signora del Monte Carmelo. Niente poteva esserle più gradito. Tutto ciò che c'era di più bello e di più fresco nella natura era per la sua Madre del cielo. Ogni giorno approfittava del primo momento libero per passarlo ai piedi della santissima Vergine. Il 24 maggio di quell'anno 1868, molte suore si erano recate in questo ere­mitaggio per recitare il rosario, trovandovi la piccola novizia che pregava col suo solito fervore. Il suo cuore si infiammava e sembrava traboccare d'amore; era rapi­ta e prorompeva in trasporti: «O amore, o amore», esclamava. Si intrattenne prima con san Paolo, in seguito con una religiosa: «Di quale ordine sei?» le disse la no­vizia con un fare del tutto disinvolto. Sono dell'Ordine di Santa Maria, rispose questa. Dimmi il tuo nome, riprese suor Maria. La sconosciuta rifiutò. La novizia insi­stette e, per farla decidere a dirlo: «lo ti dirò, per prima, il mio nome, affinché tu mi dica il tuo: sulla terra, io mi chiamo la peccatrice, in cielo sono la figlia di Ma­ria dell'Amato Bene». Il loro colloquio durò alcuni istanti senza che la sconosciu­ta desse risposta su questo punto, poi vennero altri santi e sante, ma colui che la no­vizia cercava non era là ed era Gesù che le occorreva, era lui che ella chiamava: «Mio Amato Bene, dove sei? Chi ha visto il mio Amato Bene? Io l'ho cercato e non l'ho trovato. Mio Amato Bene, io cammino, io corro, io piango, non ho trovato il mio Amato Bene. O Gesù, mio Amore, non posso vivere senza di te! Dove sei, Amato Bene? Chi ha visto il mio Gesù? Chi ha trovato il mio Amatissimo? Tu lo sai, Amore mio, tutta la terra è niente senza di te, tutta l'acqua del mare non baste­rebbe a ristorare il mio cuore». Attirato da simili accenti, Gesù si mostrò, trafisse il suo cuore e lo inebriò di gioia e di sofferenza. In ginocchio, gli occhi fissi sull'u­nico oggetto della sua tenerezza, ella sollevò il santo abito nel posto del cuore, gri­dando: «Basta, basta, o Gesù, non ne posso più; morirò di dolore e di rapimento». Un istante dopo, aggiunse con un sorriso celestiale: «Chi ha consolato il mio cuo­re? Tu, Amato mio Bene. Chi l'ha ristorato? Tu, Amor mio». Pregò in seguito per il Santo Padre, per i cardinali, per i vescovi, per tutto il clero, per i re, per i magi­strati, per il popolo, per gli Ordini religiosi, in particolare per la comunità. Scor­gendo santa Teresa, le gridò: «Madre Teresa, Gesù ha trapassato il mio cuore!». Mai, nel suo stato ordinario, parlò di questa grazia; per lungo tempo lavò in se­greto la biancheria che le serviva per asciugare la piaga sanguinante del suo costa­to. Sorpresa un giorno durante questa operazione, dovette confessare tutto alla Prio­ra. Sembrando le sue sofferenze più vive che nel passato, vi si applicarono delle bende e ci si accorse che il sangue vi aveva impresso una croce molto chiara leg­germente inclinata sulla sinistra, ai piedi della quale si vedevano due segni, nei qua­li sembrava abbastanza chiaro di leggere una O e una J, forse: O Jesus!
Satana domandò a Dio il permesso di provare la novizia come un altro Giobbe e ottenne di possedere il suo corpo per quaranta giorni. Questa possessione fu an­nunciata a suor Maria non molto tempo prima. Durante l'ottava di Nostra Signora del Monte Carmelo, le sembrò che Nostro Signore la mettesse in una prigione mol­to oscura: Io ti vedo, ciò basta, le diceva il Salvatore, resta là senza dire niente. La santa Vergine, a sua volta, venne a immergerla come in un lago circondato da ser­penti e le disse: Io sono tua madre, sono io che ti metto in quest'acqua; non ti muo­vere. Tu non mi vedrai, ma io veglierò su di te.
La novizia parlò a santa Teresa della sua futura prova, annunciata da Gesù e da Maria: «La mia buona Madre mi ha detto che non la vedrò affatto per quaranta gior­ni. Mi ha detto ancora che devo entrare in un sentiero tenebroso, pieno di fosse e di serpenti e che, entrandovi, sarei tutta insanguinata. Ha aggiunto che un piccolissi­mo numero di anime passa per questo sentiero. Gesù mi ha assicurato che tu stes­sa, o Madre mia, non vi sei mai passata. In mezzo alle tue tentazioni, a tutte le tue aridità, a tutte le tue prove, tu hai potuto sempre pronunciare il nome di Gesù nel profondo del cuore ed esprimerlo con le labbra, mentre io, una volta che sarò in questo sentiero, non potrò dire e fare niente di simile. Gesù sta per dare a Satana il potere di tormentare il mio corpo per quaranta giorni: soffrirò molto. Il demonio non avrà potere che sul mio corpo; la mia anima sarà nascosta. Gesù mi ha pro­messo di chiuderla in uno scrigno, dove Satana non saprebbe raggiungerla. Il de­monio mi farà commettere molti errori all'esterno, senza che io pecchi; la mia vo­lontà non sarà per niente consenziente. Somiglierò ai bambini nei quali la ragione dorme e che sono perciò incapaci di qualsiasi peccato».
«Satana vorrebbe essere il mio padrone; ha chiesto il permesso di provarmi. Ge­sù e Maria mi custodiranno, e così, cercando di farmi cadere, il demonio mi farà crescere davanti a Dio. Sì, sì, Satana, io diventerò più grande agli occhi di Dio, gra­zie alla tua malizia. La Madre mia ti ha schiacciato la testa, anche io ti vincerò, con Maria e con Gesù. Santa Vergine, accordami di poter pronunciare il nome di Gesù, come la mia madre Teresa, durante questi quaranta giorni». Maria rifiutò: «Ebbe­ne, riprese la novizia, la volontà di Dio!». Un istante dopo riprendeva: «Che possa almeno dire: Signore, abbi pietà di me!». Maria rifiutò ancora: «Accetto dunque tutto, esclamò questa mirabile vittima; mi offro a tutto ciò che il buon Dio vorrà. Comprendo che se potessi dire queste parole, non soffrirei abbastanza. Gesù vuole che io soffra senza consolazione. Berrò il calice come Gesù, e ancora non ne berrò che una goccia, mentre Gesù l'ha bevuto tutto intero!». L'orazione si svolse così, poi ella ritornò in se stessa. L'indomani, rivide la sua buona Madre in una nuova estasi, ed anche santa Teresa. Suor Maria parlò ancora con la santa Vergine del sen­tiero nero, della piccola porta che vi dava accesso e dove si leggevano solo parole che esprimevano l'intensità delle pene che doveva sopportarvi. Poi la Regina delle Vergini le disse: Quella che ti tiene la mano avrà l'autorità per farti obbedire. Ma­dre Elia` la teneva effettivamente, ma la suora non vedendola, rispose alla Santa Vergine: «Mia buona Madre, io sono sola con te, nessuno mi tiene la mano...».
Si avvicinava mezzogiorno; la novizia sembrava comprendere che il momento della separazione arrivava. Le sue espressioni erano brucianti d'amore verso Maria ma la sua pena di non vederla più durante i quaranta giorni era molto viva... «Do­menica, diceva (era l'indomani), sarò nel mare della prova. O mio Dio, offro tutto per la Chiesa, per il Santo Padre, per la comunità, per tutto l'Ordine, per i sacerdo­ti, per i parenti delle suore, per le anime del Purgatorio. Quando sarò nell'acqua, non potrò né dire, né fare alcunché. O mio Dio, io offro oggi con amore tutto per te, in unione con Gesù».
A mezzogiorno, ritornò in sé ed impiegò la fine della giornata ad assolvere i suoi piccoli doveri di novizia. La sera, durante l'orazione, nostro Signore le si presentò, le mise sulla spalla una enorme croce e si ritirò. Il peso di questa croce le fece pro­vare vivi dolori. Il collo e la spalla gonfiarono; non poteva più fare alcun movi­mento. Lo disse alla sua maestra, così come la promessa che Nostro Signore le aveva fatto di chiamarla a sé prima della fine della prova, se non avesse potuto sop­portarla fino alla fine: «lo credo, Madre mia, aggiunse, che non potrò arrivare al quarantesimo giorno, perché non sono che debolezza. In questo caso, mi farà fare la professione, prima di morire?» Madre Elia le rispose: Spero che la Madre Prio­ra, e le suore del capitolo ti accordino questa grazia, perché tu muoia sposa di Gesù.
Suor Maria vedeva avanzare verso di lei come un involucro nero nel quale do­veva entrare. La domenica mattina rivide la grande croce che Nostro Signore le ave­va dato la vigilia avanzare verso di lei e posarsi sulla sua spalla. Alle dieci, vide co­me uno scrigno nel quale doveva essere rinchiusa. Ancora due ore e questa possessione straordinaria comincerà: «lo devo combattere, aveva detto in estasi, no­ve re e nove nazioni, prima di arrivare alla cima della montagna dove si trova Ge­sù», indicando, con queste parole, la sua possessione da parte di nove successive legioni di demoni.

CAPITOLO VI
La possessione 26 luglio - 3 settembre 18684
L'ora era arrivata: la lancetta segnava mezzogiorno sul quadrante. Il viso di suor Maria di Gesù Crocifisso si fece scuro, un leggero tremito agitò le sue membra: il demonio era già entrato. Che cosa balbetta? esclamò attraverso la bocca della pos­seduta, sentendo recitare l'Angelus. Oh! come siete nere! Getta per terra la corona del rosario dicendo: Che cosa sono tutte queste sciocchezze? Imbecille, aggiunse ri­volgendosi a una suora che baciava il suo crocifisso, tu baci un pezzo di legno. È Gesù, rispose la suora, è il buon Dio. Non c'è Dio, urlò Satana. Dove è la piccola Araba? Andate a cercarla.
La posseduta battè con forza sul suo corpo: domandò un coltello per tagliare i brutti segni (le stimmate). A un certo momento, si girò verso una religiosa che ave­va assecondato la sua natura in una cosa di minima importanza: «Tu, le disse, tu non sei nera come le altre, perché hai mancato ad un atto di comunità. Ciò è bene per me. Non seguite la comunità; domandate sempre delle cose particolari». Si alzò un istante dopo e si diresse verso la porta del chiostro: «Andiamo, andiamo, esclamò, seguitemi tutte, andate nel mondo, uscite da questa brutta casa, venite a godere dei piaceri della terra». Alla vista della Priora esclamò: «Chi è questa vec­chia donna? Io non la conosco». Il gran silenzio suonò; ella parlò più che mai, e spinse le altre ad imitarla. Tentò di allontanare le suore incaricate di assisterla, men­tre si sforzò di trattenere quelle che il dovere chiamava altrove. E raccomandò so­prattutto di non fare niente di ciò che diceva la vecchia donna (la Priora).
Questa prima legione di demoni diceva: Noi non siamo cattivi, noi; non siamo che dei piccoli sudicioni; quelli che verranno dopo di noi lo saranno molto di più. Per otto giorni, il Maestro (Dio) ci ha obbligato ad obbedire alle due vecchie (la Priora e la Maestra delle novizie). La settimana prossima, occorrerà un sacerdote per fare obbedire quelli che verranno, e la terza settimana, solo le maniche violet­te (il vescovo) potranno sottometterci.
Non si lasciò la novizia un solo istante, perché i demoni non cercavano che di ucciderla. La si trascinava, malgrado resistesse, alle istruzioni del rito, predi­cato dal Rev. abate Manaudas, Superiore del Gran Seminario di Bayonne. La pa­rola di Dio irritava il demonio al di là di ogni espressione; spesso, egli inter­rompeva il predicatore, soprattutto quando costui l'interpellava. No, no, esclamava, tutto ciò non è vero; questo vecchio mente; io lo schiaccerò; ed ac­compagnava queste minacce con i gesti più espressivi. Il sacerdote non era af­fatto spaventato da queste grida. Alla fine dell'istruzione, egli faceva avvicina­re, in nome dell'obbedienza, la posseduta alla grata; comandava al demonio di uscire da quel corpo e il demonio era obbligato ad obbedire dopo molte resi­stenze. La suora, liberata un istante, diceva tutta in lacrime: «Padre mio, dove sono? Padre mio, il buon Dio mi ha abbandonato. Io non amo più né Dio né la santa Vergine. Tutti mi hanno abbandonata, perfino le suore». L'abate Manaudas le rivolgeva parole consolanti e l'incoraggiava: «Padre mio, lei riprendeva, io voglio sempre soffrire, io non voglio offendere Dio. Se io potessi un poco amar­lo, sarei contenta». Tu l'ami, sorella mia, le diceva il sacerdote; fa' un atto d'a­more con me; ed ella ripeteva, come un bambino, ogni parola pronunciata dal­l'abate Manaudas. Ma aggiungeva subito: "Io mento, Padre mio, io mento", e il demonio entrava di nuovo nel suo corpo. Ella si alzava allora con fierezza, tene­va testa al sacerdote, batteva col piede la terra, e quando costui chiamava suor Maria di Gesù Crocifisso, il demonio gridava: Non c'è; non verrà. Se il demo­nio era forzato ad uscire ancora nel nome di Gesù, era per rientrare quasi im­mediatamente.
Durante questa prima settimana, la legione dei demoni annunciò anzitutto ciò che doveva accadere fino alla fine della lotta. Essi confessarono che non poteva­no pronunciare la parola giovedì, a causa dell'istituzione dell'Eucarestia, e che era loro proibito di riunirsi dal giovedì al venerdì sera a causa del mistero della Redenzione: Ogni sera, dicevano, noi rendiamo conto al nostro capo delle vitto­rie: colui che ne ha riportate un più grande numero comanda su tutti l'indoma­ni. Satana avrebbe voluto turbare il sonno della comunità. Una notte esso mandò grida spaventose; la sua intenzione era di fare mancare al silenzio ma non poté riuscirvi, e il sacerdote gli ordinò di tacere da allora in poi durante la notte.
Questo sentimento di odio investiva soprattutto la vita della posseduta. Ella sfuggì, un giorno, alla sorveglianza delle suore e si gettò, da molti metri di altez­za, in una riserva piena d'acqua. La caduta avrebbe dovuto, se non ucciderla, al­meno provocarle gravi ferite. E non si fece tuttavia alcun male, per una protezio­ne speciale della santa Vergine, cosa che Satana stesso fu forzato a confessare.
Durante la ricreazione, si conduceva questa povera vittima in giardino. Il de­monio temeva, al di sopra di tutto, il romitaggio del Monte Carmelo, ove Gesù le aveva accordato tante grazie. La posseduta non voleva avvicinarvisi, e ancor meno entravi: occorreva l'ordine intimato dai superiori per trionfare delle sue re­sistenze. Non appena toccava la soglia di questo romitaggio, il demonio la lasciava. La si vedeva, inondata di lacrime, lamentarsi con Maria di averla abban­donata. Ma Satana ritornava presto, e subito esclamava: Usciamo di qui, uscia­mo di qui!
La lotta durava da otto giorni. Secondo la sua predizione, la suora fu liberata la domenica e poté confessarsi e comunicarsi: «Ero in un mare nero, diceva; ora posso un po' sollevare la testa; vedo tuttavia sempre lo stesso mare davanti a me, e avanza, e avanza. E non ho alcun buon sentimento, sebbene mi sia comunica­ta». L'abate Manaudas domandò di parlarle; ella discese nel parlatorio per rice­vere i suoi incoraggiamenti e i suoi consigli ma la parola di Dio non penetrava nella sua anima; la stessa tristezza continuava a regnarvi. Si recò nel coro per re­citare le Ore minori. Alle otto, mentre finiva l'antifona della santissima Vergine, mandò un forte grido: la legione era appena rientrata nel suo corpo. L'attacco fu terribile e soltanto alle undici e tre quarti questa prima legione la lasciò.
Questa vittima di Gesù non ebbe che un quarto d'ora di respiro: a mezzogior­no entrò la seconda legione. Ci si accorse subito che questi nuovi venuti erano più potenti e più cattivi dei primi. L'abate Manaudas poté tuttavia liberarla per alcu­ni istanti, nel nome di Gesù, e farle fare numerosi atti di rassegnazione e d'amo­re. La giornata fu cattiva; solo lo scapolare di Madre Elia aveva il potere di cal­marla. Dopo tre ore, ritornò tranquilla e ne approfittò per fare degli atti d'amore verso Dio e di carità verso le consorelle: «Mio Dio, diceva, io voglio sempre sof­frire, visto che Tu sei contento», e con una amabilità incantevole, aggiungeva, ri­volgendosi alle sue compagne: «Sono tanto miserabile, non merito che si faccia qualche cosa per me! Siete troppo buone! Sento che pregate, che tutti pregano per me».
Se Gesù aveva abbandonato il corpo di suor Maria a Satana, gli aveva nello stesso tempo proibito di dire o fare qualcosa contro la purezza. Durante l'attacco più forte, le sue gambe si scoprirono un poco e il demonio gridò subito: Coprite la piccola Araba; il Maestro ci ha proibito di fare alcunché contro la modestia, perché lei non ha mai peccato su questo punto. Noi non abbiamo che il potere di cercare di ucciderla. Questa cattiva Araba, io la annienterei, diceva Satana; avrei voluto soffocarla nel seno di sua madre. Più avanza in età, più la mia rabbia au­menta, soprattutto a causa dei suoi segni (le stimmate). Datemi uno dei suoi oc­chi, uno delle sue dita, ed io riempirò d'oro una delle vostre celle.
Satana avrebbe voluto impedirle di mangiare, per farla morire, ma Madre Elia trionfava su questo punto sullo spirito infernale. Esso usava tuttavia largamente del permesso di tormentare il suo corpo: si sarebbe detto che delle unghie di fer­ro fossero passate sulle membra della vittima. Il suo corpo era agitato come un'acqua che il vento solleva. Le sue grida erano spaventose, le sue sofferenze or­ribili. Le sue forze si decuplicavano, impossibile tenerla. La parola del sacerdote aveva in quel momento una grande potenza sulla posseduta. Ella baciò con amo­re una stola che era stata posata su di lei a diverse riprese durante la crisi: «Que­sto, ella disse, è un indumento della mia santa madre Chiesa». Per ordine del sacerdote, come abbiamo precedentemente detto, il demonio conservava il silenzio durante la notte; però si ripromise di vendicarsi della vio­lenza che gli era imposta. Si rallegrava della prossima partenza dell'abate Ma­naudas. Avendolo le suore avvertito, costui proibì al demonio, in nome di Gesù, di fare alcunché durante la sua assenza. Esso fu costretto ad obbedire.
Satana rendeva suor Maria ora sorda, ora muta; i superiori non avevano che da dirle: Per obbedienza, parla; per obbedienza, senti e la novizia parlava e sentiva. Dov'è l'Araba? diceva di tanto in tanto il demonio furioso. Se potessi rag­giungerla, che gioia! lascerei in pace tutta la comunità.
Si voleva costringere il demonio a parlare in latino: No, no, disse, io non vi ac­consentirò mai; questa maledetta lingua mi fa molto soffrire, è contro di me. In­sultava le suore, insultava la Priora, insultava soprattutto Madre Elia, a causa del­la potenza che ella aveva ricevuto dall'alto per combatterlo. Cercava di soffocare la sua vittima, facendole inghiottire spilli e frammenti di vetro. La vigilanza del­le suore preveniva tali incidenti; e se non si poteva impedirli, la sola parola ob­bedienza bastava per farle rigettare questi oggetti diabolici.
Nei rari e brevi istanti di respiro che Satana le lasciava per ordine di Dio, la novizia emetteva delle grida sublimi: «Soffrire, diceva, fino alla fine del mondo, o mio Dio, se è la tua volontà! Soffrire sempre ciò che tu vorrai! Io non desidero che piacerti! Gesù, fammi compiere la tua Volontà!». Un coraggio cosi eroico au­mentava la rabbia del diavolo. Gridava, urlava, si torceva, malediva; la vista del sacerdote lo metteva fuori di sé: Datemi un capello della piccola Araba, diceva all'abate Manaudas, e me ne vado. Io non sono che niente, rispondeva costui, il Salvatore è il suo unico maestro; non un capello cadrà dalla sua testa senza il permesso di Dio. Quest'atto di umiltà fece tacere il demonio.
Il venerdì della seconda settimana della possessione, Satana rifiutava di obbe­dire: Io non mi sottometterò, gridava, né in nome dell'obbedienza, né in nome di Gesù Cristo. Nessuno ha il diritto di comandarmi. Io sono il padrone; io annien­terò la piccola Araba. È vero, disse l'abate Manaudas, noi non siamo che niente, che peccato; ma io sono sacerdote di Gesù Cristo: in nome di Gesù Cristo, ti or­dino di obbedire; e si prostrò insieme a tutte le suore. Satana fu vinto; egli con­fessò la sua disfatta: Mille come voi non mi avrebbero sottomesso; quest'atto di umiltà abbatte tutta la mia potenza.
Il Signore obbligò il demonio a scoprire, attraverso la bocca della posseduta, le astuzie che esso impiega per perdere le anime religiose: Io ho fatto cadere, dis­se, una religiosa in Inghilterra; e appartiene a noi dall'altro ieri. Secondo la no­stra tattica abituale, quando noi facciamo l'assedio di un'anima consacrata a Dio, cominciamo a tentarla su piccole cose. Siamo riusciti a farle credere che non era amata dalla sua superiora allo stesso grado delle altre. La gelosia che essa provava l'ha spinta a scrivere di nascosto delle lettere nel mondo. Ha finito per desiderare di uscire alfine di potersi sposare. Quante anime, in religione, noi prendiamo nelle nostre reti, suggerendo loro il pensiero che le si giudica buone a niente, che non le si ama! Ne conquistiamo altre con la curiosità, col desiderio di tutto vedere, tutto conoscere. Se quelle che hanno pronunciato le tre cattive pa­role (i tre voti), andassero a trovare la vecchia donna (la Priora), e facessero ciò che ella dice, noi perderemmo tutto. Allorquando non si guarda in lei che la crea­tura, e le si obbedisce solo perché la si ama, noi non perdiamo niente. Trionfare di un'anima che ha pronunciato le tre cattive parole, per noi, è più che essere pa­droni di una città intera.
Fin qui Satana aveva tentato inutilmente con la violenza di spaventare l'abate Manaudas e le suore; egli ricorse allora alla lusinga: Quanto siete gentili! disse alle suore, quanto siete sante! Quale moltitudine di anime salvate con le vostre penitenze! Tutta la comunità si prostrò, e il demonio dichiarò che perdeva tutto con quest'atto di umiltà.
La domenica, 2 agosto, a mezzogiorno, la posseduta aprì diverse volte la boc­ca, come per far passare qualche cosa; ritornò in sé per alcuni minuti: «Dove so­no, disse, mi sembra di aver fatto un sogno. Ero immersa nell'acqua: tutti i pesci, tutte le bestie mi divoravano; i miei peccati ne sono la causa. O Gesù, sempre sof­frire per te! Io non sono degna di soffrire! Vedo l'acqua nera che ritorna. Madre mia, esclamò rivolgendosi a Maria, aiutami, l'acqua è là». Una nuova legione sta­va per prendere possesso del suo corpo.
1 demoni tormentavano con tutti i mezzi il corpo di questa vittima. Il Salvato­re aveva promesso a Satana di consegnargliela, se egli riusciva a farle dire una so­la volta nel suo stato ordinario: «Signore, basta con le sofferenze!». Quello spiri­to infernale si riteneva sicuro della vittoria. Quaranta volte tentò di farle pronunciare queste parole, spiegando contro di lei tutta la sua rabbia; quaranta volte l'eroica vittima esclamò, tornata in sé: «Sempre più soffrire per te, o Ge­sù!» Satana domandò al Maestro di tentare, ancora a tre riprese, di farle dire al­meno queste parole: «Io soffro». Il Maestro gli promise di rinnovare la prova set­te volte. Satana fu vinto di nuovo. Malgrado tutto ciò che sopportava, la suora esclamò a sette riprese: «Io piango, o Gesù, di non soffrire abbastanza per te». Questo seguito ininterrotto di vittorie, riportate dalla novizia, indeboliva sempre più le forze di Satana e lo copriva anche di confusione. Le anime del Purgatorio, liberate per i meriti di suor Maria, durante questo lungo e spaventoso martirio, di­venivano sempre più numerose. Il demonio scongiurò il Maestro di lasciarlo par­tire, confessando a sua vergogna, di non avere più il coraggio di prolungare la lot­ta. Tu mi hai domandato, gli rispose il Salvatore, di possedere il suo corpo per quaranta giorni e non uscirai che dopo quaranta giorni. Davanti a questo rifiu­to, Satana domandò di provare, quattordici volte ancora, di farle dire queste pa­role: Gesù, liberami da Satana. Il Signore glielo accordò, ma il demonio fu vin­to come sempre. Alla fine di ciascuno dei quattordici assalti la suora esclamava invariabilmente: «Nient'altro che soffrire per Gesù». Il curato di San Martino di Pau, accorso per soccorrerla in questo combattimento, fu insultato dal demonio, che non riuscì a fargli lasciare il convento prima della fine della lotta.
Il 17 agosto, l'abate Manaudas che era stato a Bayonne per riferire tutto al ve­scovo della diocesi, Mons. Lacroix, ritornò al Carmelo di Pau, latore di una let­tera di Sua Eccellenza e munito di tutti i suoi poteri.
Ecco come Mons. Lacroix parlava a questa vittima di Gesù.
16 agosto 1868
Figlia mia, ti chiami Maria di Gesù Crocifisso, e questo nome è una grandissima grazia e un favore enorme: è la santissima Vergine che ha voluto che porti il suo nome, ed è Gesù crocifisso che si è degnato di darvi il suo e associarvi alle sue sofferenze. Quale attenzione, quale amo­re a vostro riguardo! Ma Maria, la madre di Gesù, è stata la madre dei dolori. Ha condiviso tutti quelli della sua vita, tutti quelli della sua Passione e della sua morte. Ha assistito a tut­to, tutto ha provato, tutto ha subito, tutto sofferto per Gesù, perché gli era intimamente e per­fettamente unita, volendo essere come lui e identificandosi completamente con lui.
Maria vuole anche averti con lei, vicino al suo divin Figlio e farti parte del suo calice, rendervi conforme a lui, perché questa conformità è il segno degli eletti e della predestina­zione. Gesù, che vi ha fatto per lui solo, vuole anche farvi vivere della sua vita di pene, di tentazioni, di lotte e di combattimenti contro il demonio e il peccato; ma egli vuole anche farvi vincere con la sua forza divina, come lui stesso ha vinto.
Dopo aver permesso le tentazioni del demonio contro di lui, egli le ha permesse lo stes­so contro di te, ma egli le vincerà in voi, come le ha vinte in lui. Egli li scaccerà, questi de­moni, come li scacciava nel corso dei suoi viaggi evangelici, ovunque essi si manifestavano. Egli li atterrerà, li ridurrà all'impotenza dopo averli umiliati e confusi. Gesù ha vinto l'in­ferno con la Croce; e i chiodi, che lo hanno attaccato a questa croce, hanno incatenato i de­moni, e la sua corona di spine è diventata una corona di gloria.
Oh, figlia mia, sii dunque sempre Maria di Gesù Crocifisso, io non voglio darvi altro no­me e non voglio che ve ne si dia altro. Che tutti vi chiamino col solo nome di Maria di Ge­sù Crocifisso.
Trovandomi occupato con doveri di obbedienza verso Gesù, non posso venire subito da voi e presso le vostre care suore di Pau, così come avrei vivamente desiderato; ma vi man­do un altro me stesso, il venerabile Superiore del mio Seminario, al quale io delego tutti i miei poteri, cioè tutti quelli che il divin Salvatore ha dato ai suoi Apostoli e ai loro succes­sori, quando ha detto loro: "Cacciate il demonio". Ed essi saranno molto obbligati ad obbe­dire al Maestro supremo. Fiducia dunque, figlia mia, intera fiducia. La vittoria è assicurata.
lo continuerò a pregare sulla montagna e con tutte le mie forze. Ogni giorno, tu sarai ac­canto a Gesù sull'altare, ogni giorno, io farò sprizzare su di voi il sangue di Gesù crocifis­so, e questo sangue adorabile vivificherà la vostra anima e la riempirà di grazie celesti.
+ Francesco, peccatore indegno, ma servitore di Gesù e tutto per lui.
Suor Maria di Gesù Crocifisso, liberata un istante, interruppe la lettura di que­sta stupenda lettera; e, con una emozione piena di umiltà: «Io non sono degna, dis­se, di ricevere una simile lettera; io non sono che peccato; c'è troppa carità per me». Ma il demonio la riprese, mentre l'abate Manaudas continuava questa lettu­ra e si mostrò molto irritato di ciò che il vescovo diceva contro di lui.
Di tanto in tanto, Satana annunciava, come nei giorni precedenti, che usciva dal
corpo della novizia per andare a tentare le anime. Quando era di ritorno, raccon­tava le sue prodezze: Questa mattina, diceva, ho spinto un Turco ad annegarsi; ho tentato di spingere allo stesso delitto una signora che suo marito rendeva infeli­ce: dopo alcune ore, vi sono riuscito.
Un religioso ci faceva molto male. Noi gli abbiamo insinuato di imporsi, al di fuori dell'obbedienza, delle penitenze corporali; egli ha ascoltato le nostre sug­gestioni, credendo di sentire la voce di Dio: ancora alcuni giorni ed egli è nostro.
Ho tentato la portinaia di un convento. Alfine di insinuarle disgusto per il suo lavoro, le ho detto: E che? tu sei venuta qui per pregare, per custodire il silenzio, per godere della solitudine, ed eccoti obbligata a parlare sempre! Domanda alla Superiora di toglierti da quest'ufficio. Ha prestato orecchio alla tentazione e ha pianto, ed io ho raccolto le sue lacrime.
Malgrado tutte le sue disfatte precedenti, Satana domandò a Gesù di poter ten­tare, cinque volte, di far dire a suor Maria: «Io non posso più parlare». Il Signore gli accordò questo permesso. All'ora indicata, iniziò la lotta. Si posò sulla vittima un pezzo della tunica di Pio IX. Togliete questa cosa, esclamò il demonio; è del cattivo bianco, e non riuscì a farle emettere il più piccolo lamento. Dopo ogni at­tacco del nemico, le parole della novizia erano sempre più belle: «Soffriamo, di­ceva, per la Rosa, la santa Chiesa, rompiamo questo corpo per Gesù. Fino alla fi­ne del mondo, soffrire ed essere disprezzata! Io desidero solo Gesù e la sua santa volontà. Non potrò dire di fare questa volontà che quando il mio corpo sarà spez­zato, cambiato, per così dire, in farina sotto la mola della sofferenza. Gesù ci ha dato questo corpo: frantumiamolo per lui».
Il demonio, vinto, fu obbligato ad umiliarsi davanti a tutta la comunità. La pos­seduta si mise in ginocchio, sul suo letto; il suo corpo era come piegato in tre par­ti; la sua testa sprofondava nelle sue spalle; i suoi denti battevano, le sue smorfie erano spaventose; i suoi pugni si alzavano fino al mento; le dita dei piedi erano strette e ricurve come delle grinfie. L'abate Manaudas subissò Satana con parole crudeli: Eccoti dunque, disse, spirito superbo! tu sei vinto da una bambina! Tu, il primo e il più bello degli angeli, come sei caduto in basso! umiliati, miserabile! A questa intimazione, Satana si curvò di più per nascondere la sua vergogna: Trema, disgraziato, aggiunse il sacerdote, Gesù è il tuo vincitore; e tutto il corpo della posseduta tremava come la foglia agitata dal vento: ella si prostrò completamente sul letto come per scomparire.
Tuttavia lo spirito maligno non si scoraggiava. Sollecitò dal Maestro la facoltà di provare, a venti riprese, di far dire alla suora: «Io soffro, io soffoco!» Ti per­metto, gli rispose Gesù, di aumentare fino a trenta. Cento demoni la tormentava­no insieme in modo veramente spaventoso: tutto il suo corpo era dilaniato. Co­raggio, dicevano fra loro i demoni, noi l'avrem; riusciremo a farle dire: Io soffro. Battiamo su questo corpo; laceriamolo. Dopo l'assalto, la suora disse: «Io do il mio corpo a Colui che me lo ha dato»; e, alzando la voce, aggiunse: «Mio Dio, sii benedetto!». L'infermiera le portò da bere: «Nessun sollievo», ella disse. Cominciò il secondo attacco: le ferite furono più profonde; la vittima gettò fiotti di san­gue dalla bocca; la legione infernale strappò urla e bestemmie. Dopo l'attacco, suor Maria disse: «Ora benedirò Dio»; e, con una voce più alta: «Sii benedetto, mio Dio!».
Il terzo assalto fu più forte del primo, il demonio ruggì più che mai e tormentò la vittima sempre di più. Fino alla fine del trentesimo attacco, i dolori e le be­stemmie andarono sempre aumentando. Ma, nello stesso tempo, niente di più toc­cante, di più pio, di più bello delle parole pronunciate, dopo ogni nuova lotta, dal­la novizia, che si univa a nostro Signore nelle circostanze della sua Passione. Citiamone alcune:
«Io unisco la mia voce a quella di Gesù nel giardino degli Ulivi. Sii benedetto, mio Dio!».
«Mi unisco a Gesù quando portava la sua croce nelle strade di Gerusalemme. Sii benedetto, mio Dio!».
«Unisco le mie sofferenze a quelle di Gesù tradito da Giuda. Sii benedetto, mio Dio!».
«Mi unisco a Gesù che cadde sotto il peso della sua croce. Sii benedetto, mio Dio!». Trenta assalti furono così successivamente consentiti, ma sempre la vittoria re­stava dalla parte di suor Maria, e Dio ricompensava questa vittoria trenta volte ripe­tuta: trenta anime di peccatori, morti in quel giorno dopo essersi riconciliati con Dio, grazie alle torture di questa eroica vittima, vennero a salutarla ed a ringraziarla.
I santi, la santa Vergine e Gesù stesso la incoraggiavano e la dilettavano con la loro dolce presenza.
Ritornata in sé, la novizia non sapeva che umiliarsi, annientarsi: «Io non sono niente, nient'altro che peccato... Tutto serve a qualche cosa sulla terra; le pietre stesse hanno la loro utilità; io, non sono buona a niente. Ma la vista del mio nien­te mi distacca da tutto, principalmente dal mio corpo; io vorrei che questo corpo fosse spezzato per Gesù. Non desidero che amare Gesù in silen o, osservare la Regola in silenzio. Mi sembra di uscire da un mare. Mio Dio, se tutto il mondo ve­desse i miei peccati come li vedo io! Io non posso comprendere come mi si cu­stodisca qui. Quale carità!».
Solo lo spirito di Dio può dettare un tale linguaggio.
Diceva a Madre Elia «...Desidererei soffrire fino al giudizio universale, tutta l'eternità, se fosse possibile. lo non potrò dire: Gesù, io ti amo, che quando il mio corpo sarà ridotto in putredine, in polvere, perché allora io non potrò più pecca­re... O Gesù, taglia, stronca, brucia tutto ciò che vorrai. Mio Dio, chi mi separerà da me stessa? Quando sarò tua, Gesù, per sempre? Oh! Madre mia, tutto è tristez­za sulla terra, tutto è tristezza!».
Scorgendo la Priora che venne a visitarla dopo il combattimento descritto pri­ma, le testimoniò la sua riconoscenza, e sorrise alle suore che non aveva viste, dis­se, da molto tempo. La sua gioia di ritrovarle fu grande; non poté tuttavia dissipare interamente il fondo di tristezza che restava nella sua anima. La novizia sentiva che la lotta non era terminata, vedeva l'acqua nera avvicinarsi di nuovo: «Guarda, Madre mia, guarda, l'acqua nera arriva», esclamò. La possessione ricominciava.
Le stesse scene si rinnovarono con raddoppiate sofferenze. Satana, attraverso la bocca della posseduta, raccontava le sue vittorie e le sue sconfitte:
Abbiamo appena trionfato, disse, di una religiosa, tramite la disubbidienza e la pigrizia.
Noi non amiamo l'unione nelle comunità; tutti i nostri sforzi tendono ad intro­durvi la discordia.
Le tre cose più potenti contro di noi sono: la carità, l'umiltà e l'obbedienza. C'è una religiosa, da qualche parte, che ci irrita molto; noi non possiamo vin­cerla su alcun punto. La battiamo, le facciamo avere la febbre, nevralgie atroci, è spesso nella impossibilità di camminare, e resta sempre fedele. È impossibile ave­re un minimo sopravvento su di lei. Ascolta la sua superiora, obbedisce al suo confessore. Siamo riusciti a mettere contro di lei tutta la sua comunità: invece di irritarsi e di scoraggiarsi, si è umiliata. La sua superiora stessa è stata contro di lei; ha ringraziato Dio, ed è stata ancora più felice.
Il demonio parlò in seguito di molte persone, sia nel mondo, sia nella vita reli­giosa, alcune delle quali lo ascoltavano, altre, invece, respingevano i suoi attacchi e sfuggivano alla sua rabbia.
Egli domandò al divin Maestro: Chi combatterà contro di noi? Non saranno, gli rispose il Signore, né i re, né i potenti; io vi batterò tramite un piccolo nulla. Ma chi è questo piccolo nulla? diceva Satana, sarebbe la piccola Araba questo piccolo nulla?
Nel giardino, il diavolo scuoteva, con forza, un albero carico di frutti. Glielo si volle impedire: Lasciatemi fare, disse Satana, non faccio alcun male. Il frutto cat­tivo, quello che comincia a guastarsi, cadrà, ma il buon frutto resterà sull'albero! Così noi scuotiamo il mondo: i cattivi cadono; i buoni restano.
Dopo aver tentato senza successo di farle pronunziare una parola di scoraggia­mento o di stanchezza, tentò di farla cedere a un sentimento di soddisfazione na­turale mettendole nella bocca, durante l'attacco, due pastiglie. Ritornata in sé, suor Maria le gettò dicendo: «Io non cerco le dolcezze, non voglio che il fiele con Ge­sù. È bene prendere il calice col Salvatore. Io amo Gesù con tutto il cuore e il pros­simo più di me stessa per Gesù».
Fra le confessioni di Satana, questa merita di essere menzionata: Da sei anni, di­ceva il demonio, noi tentiamo una carmelitana in Spagna. I due primi anni, abbia­mo fatto tutto per ispirarle antipatia per una delle sue compagne; l'abbiamo spin­ta a non parlarle, e nemmeno a guardarla, ma ha fatto il contrario. Il Signore ci ha permesso che fossero tutt'e due messe dai superiori nello stesso ufficio; proprio allora abbiamo soprattutto provato a farla spazientire: lei non ha mostrato che la più grande sopportazione, la carità più perfetta. L'abbiamo tentato contro la pu­rezza, contro la mortificazione, contro l'umiltà, e sempre senza successo. Le abbiamo insinuato di vedere più spesso la superiora, soprattutto il confessore e vi è andata più raramente. Abbiamo esaltato la sua virtù solida, che poteva fare a me­no di direzione frequente, ha fatto ricorso più spesso alla priora e al sacerdote. Quando noi le ispiriamo di domandare delle penitenze straordinarie, si contenta di quelle della Regola. Tentiamo di convincerla della sua santità? Confessa il suo or­goglio in presenza di tutte le suore. Questa miserabile ci schiaccia sempre.
Si avvicinava la fine della prova. Da parte sua, il vescovo di Bayonne non di­menticava questa vittima di Gesù. Tenuto al corrente delle diverse fasi di questa pos­sessione eccezionale, scrisse una seconda lettera a suor Maria di Gesù Crocifisso.
Il Vescovo di Bayonne alla serva di Gesù Crocifisso: Figlia mia, quando il Figlio unico di Dio è venuto, nella sua estrema carità, a salvare gli uomini e a distruggere l'impero del demonio che li aveva vinti e soggiogati, Egli si è presentato a questo terribile nemico, non nello splendore e nell'apparenza della sua potenza e della sua maestà infinita, ma nello stato più umile e più abietto, come l'ultimo degli uomini, l'uo­mo dei dolori e delle infermità, con un corpo straziato dalle frustate e solcato di sangue, con una corona di spine sulla testa, sospeso a una croce reputata infame, con i piedi e le mani inchiodati alla croce; ed è in questo stato che egli ha voluto misurarsi con il forte, armato di tutta la sua rabbia e sostenuto da tutte le potenze del mondo e dell'inferno; e ciò, dice san Paolo, e dopo di lui, san Leone, al fine di mostrare che ciò che vi è di più debo­le in lui in apparenza, è più forte di tutto, anche al fine di confondere per sempre il prin­cipe delle tenebre atterrandolo e spogliandolo, strappandogli tutte le sue conquiste e ridu­cendolo all'impotenza con i mezzi più semplici: con l'umiltà, con la sofferenza e lo spogliamento più completo.
Così l'Uomo-Dio ha voluto combattere e vincere il grande nemico del genere umano; allo stesso modo egli ha voluto combattere e vincere il paganesimo e tutti i persecutori della sua Chiesa; i tormenti e il sangue dei martiri sono stati lo strumento della sua vitto­ria; sì, l'umiltà, la pazienza, la conformità a Gesù crocifisso hanno salvato e fatto trionfa­re la Chiesa: sarà lo stesso sempre e sino alla fine. Le armi di Gesù devono essere le no­stre; ed è con queste stesse armi che noi vinceremo e che la Chiesa trionferà.
Dio sceglie dunque ciò che c'è di più debole nel mondo, ciò che vi è di più disprezza­to, per confondere ciò che c'è in questo mondo di più forte in apparenza, di più grande e di più elevato. È per la stessa ragione, figlia mia, che il divin Salvatore ha scelto proprio te, creatura ignorata, abietta, povera e abbandonata, per opporti al demonio e alle sue le­gioni infernali armate di rabbia contro la Chiesa: tu non sei che un nulla, e questo nulla basta per vincere tutti i demoni e renderli impotenti.
Tu vincerai di nuovo, fragile creatura, povero nulla, vincerai con la forza potentissima della croce di Nostro Signore Gesù Cristo, poggiata sul tuo petto; vincerai per Gesù cro­cifisso, tu, serva della sua croce; e questo Dio di gloria sarà di nuovo glorificato per mez­zo della tua debolezza e della tua ignoranza, divenute strumento del suo trionfo.
Coraggio dunque, o figlia mia, coraggio, o serva fedele di Gesù crocifisso, resta ferma e piena di fiducia fino alla fine. Gesù crocifisso è tutto potenza, tutto protezione e tutto gloria; occorre che tutto cada ai suoi piedi, che ogni ginocchio si pieghi davanti a lui in cielo, sulla terra e negli inferi.
O Gesù, mio Salvatore, combatti con la tua serva e per lei! O Gesù, salva la tua Chie­sa, proteggi il suo augusto Capo e tutto il gregge riscattato dal tuo sangue adorabile! Preserva la tua serva da ogni oltraggio e da tutto ciò che non sarebbe conforme alla tua vo­lontà e al tuo amore. Che esca dal combattimento con tutte le gioie e tutte le consolazio­ni della tua vittoria; che Maria sia con lei nella lotta; che tutto il Paradiso partecipi con lei; perché è per te e per te solo che combatte.
Trionfa, o Gesù, nella tua povera serva; noi ti benediremo per sempre.
Il tuo indegno ministro, ma, o Gesù, tuo servitore teneramente amato, tuo figlio, il fi­glio della tua misericordia.
+ Francesco, Vescovo di Bayonne.
Serva di Gesù Crocifisso, io ti benedico con tutte le benedizioni di Gesù crocifisso. Man mano che l'abate Manaudas avanzava nella lettura di questa lettera mirabile, il demonio manifestava una rabbia più grande. Che dice, questo miserabile? esclama­va; dice che la piccola Araba è il piccolo nulla? Ah! se io lo sapessi, la distruggerei. Era il 2 settembre 1868.

CAPITOLO VII
Ultimi giorni della possessione 3 e 4 settembre 1868
L' indomani, s'ingaggiò l'ultimo combattimento. Prima di lasciare il corpo della suora, Satana aveva ottenuto dal divin Maestro di farle subire cento nuovi attacchi, perché mandasse almeno un lamento. La prima lotta cominciò, e fu terribile. La vit­tima versò del sangue dalla bocca. Dopo l'assalto, disse: «Offro le mie sofferenze a Gesù e sono pronta a tutto ciò che lui vorrà, con piacere, con amore. Mio Dio, sii benedetto!».
Seguì immediatamente il secondo attacco. L'abate Manaudas accostò la croce alle labbra della suora, perché la baciasse. Il demonio vi sputò sopra bestemmian­do. Ritornata in sé, la suora disse: «Offro le mie sofferenze in unione con Gesù e con i martiri per il trionfo della Chiesa. Mio Dio, sii benedetto!».
Satana ricominciò: Preparate la bara, esclamò, preparate la bara; e sputò sul­la croce facendo delle contorsioni orribili. Noi siamo cento, siamo cento, urlava e abbaiava, e i suoi movimenti facevano tremare il letto. Dopo questo terzo assalto, suor Maria di Gesù Crocifisso disse: «Desidero soffrire, essere immolata, annien­tata, bruciata, fino alla fine del mondo, per il trionfo della Chiesa. Mio Dio, sii be­nedetto!».
Il demonio continuava a sputare sulla croce che il sacerdote gli presentava; la vittima sopportò un martirio indicibile, poi disse: «Mi unisco a Gesù sul Calva­rio, immolandomi con lui per la conversione dei peccatori. Mio Dio, sii bene­detto! ».
Il diavolo faceva i versacci all'abate Manaudas: Signor curato, gli disse sogghi­gnando, il tuo viaggio da Bayonne a Pau non sarà perso: domani, seppellirai l'A­raba. Io farò il mio dovere, rispose il sacerdote, se muore, la seppellirò. Ma no, non morrà, sei tu che sarai confuso da lei. Le grida della vittima erano spaventose, ma ben presto disse: «Offro le mie sofferenze con quelle di Gesù nella sua vita nasco­sta; le offro per i ciechi che non conoscono la Chiesa, perché essi giungano a que­sta conoscenza. Mio Dio, sii benedetto!».
Il demonio irrideva l'abate Manaudas e l'ufficio divino che egli recitava; tor­mentò in modo incredibile il corpo della vittima: Prima, disse, desideravo solo un capello dell'Araba, ora, mi occorre tutto il suo corpo. Sapete perché faccio tanto soffrire questa miserabile? Ah! perché, più tardi, sarà conosciuta da tutti, ed io non lo vorrei. Suor Maria continuò i suoi atti ammirabili: «Mi unisco a Gesù e Maria, offro le mie sofferenze per tutti quelli che sono contro la Chiesa, affinché siano per Gesù. Mio Dio, sii benedetto!».
Vedi, diceva Satana al ministro di Dio, lei non ne può più; non può parlare, e noi stiamo appena per cominciare la lotta; morirà prima della fine dei cento attacchi. «Io mi unisco a Gesù, diceva la suora, quando andò a svegliare gli Apostoli addor­mentati; offro le mie sofferenze per i peccatori perché ritornino alla loro madre Chiesa. Mio Dio, sii benedetto!».
Aspetta, aspetta, esclamò il demonio, bisogna che io la soffochi, e simulando la vo­ce della novizia: Madre mia, ho male alle viscere; Madre mia, non ne posso più; so­no sfinita, Satana mi ha crivellato, e sghignazzava. Mi dia da bere, aggiungeva, e ri­gettava sulle suore l'acqua che gli si dava. Voglio, proseguì, strappare un occhio all'Araba. «Mio Dio, diceva suor Maria, unisco le mie sofferenze a quelle di Gesù nel giardino degli Ulivi, quando sudava sangue e diceva: Mio Dio, se è possibile, allonta­na da me questo calice! Tuttavia, sia fatta la Tua volontà e non la mia! Offro le mie sofferenze con quelle di Gesù per i peccatori e per la Chiesa. Mio Dio, sii benedetto!».
Ho fatto di tutto, esclamò Satana, per impedirle di parlare, ed ha parlato più forte. Si mise una croce sulla vittima; il demonio urlò a questo contatto, minacciò di mordere, di dilaniare; aggiunse beffardo: Signor curato, le religiose mancano al­la Regola restando qui, fatele uscire perché vadano ai loro compiti; anche tu, vat­tene. Bestemmiava contro le reliquie dei santi. «Mi unisco a Gesù, diceva la suora, quando Giuda venne a baciarlo per consegnarlo ai malvagi; mi unisco a Gesù per la Chiesa. Mio Dio, sii benedetto!».
Il demonio tormentava la sua vittima, soprattutto al petto; domandò di nuovo da be­re, gettò sulle suore l'acqua che gli era stata presentata, e si mise a ridere ed a soffiare. In seguito, spinse la posseduta a mordersi. E siccome la Madre Elia glielo im­pedì, il demonio disse ridendo: Vedete, vedete, questa vecchia ha un affetto parti­colare per la piccola Araba; e non ama voi altre, che avete fatto la professione tra le sue mani.
Satana tentò di colpire Madre Elia alla testa; urlava come le bestie e fischiava come una locomotiva. Bisogna, disse, che io rompa il corpo dell'Araba. Le soffe­renze della suora strappavano lagrime a tutti gli astanti. Dopo questa lotta la quale non è ancora che la dodicesima, la novizia disse: «Mi unisco a Gesù, quando i per­secutori lo beffeggiavano, l'insultavano, gli sputavano sul viso. Offro le mie soffe­renze per il trionfo della Chiesa e per tutti quelli che le vogliono del male. Mio Dio, sii benedetto!».
Sono il tentatore, esclamava il demonio, sono il tentatore. Poi, quando il Supe­riore della comunità, il Rev. P Saint-Guily, arrivò: Vattene, gli gridò Satana, con - questo vecchio (indicava l'abate Manaudas) e con il suo breviario. Io sono il tentatore, ripeté, semino dappertutto la divisione, faccio ciò che voglio.
Alla sedicesima lotta, il corpo della vittima tremava come una foglia; bastò un segno di croce del Rev. P Saint-Guily per fare cessare questo tremito: Noi trionferemo, esclamò Satana, e del vecchio (l'abate Manaudas), e del cattivo nascosto (l'a­bate Saint-Guily), e della manica violetta (Mons. Vescovo), e del cattivo bianco (il Papa). Danzeremo su di loro. Tolse il velo a una suora, dicendo: Strappo questo ve­lo, perché non amo la modestia, mi irrita. «Mi unisco a Gesù, diceva la suora, quando cadde la prima volta sotto il peso della sua croce; offro le mie sofferenze per i peccatori che cadono, affinché si rialzino con Gesù. Mio Dio, sii benedetto!».
Sono il padrone; andatevene tutti e due, esclama Satana rivolto ai due preti; e, con una ironia diabolica: Signor curato, informate di tutto la veste bianca (il San­to Padre), affinché la piccola Araba sia un, giorno canonizzata, e faceva le smorfie. Voltandosi dalla parte di M. Manaudas: Parti, aggiunse, ti si attende per comincia­re un ritiro; parti almeno domani mattina. Io non partirò, rispose costui Oh! il mi­serabile, esclamò Satana furioso, egli sarà presente domani, quando il Capo verrà! Dopo l'assalto, la suora disse: «Padre mio, mi unisco a Gesù che cade la seconda volta e a Maria che cera Gesù quando le sue ginocchia vengono straziate dalla ca­duta; offro le mie sofferenze per i sacerdoti, per i missionari che cercano le anime, io le offro, anche per i peccatori. Mio Dio, sii benedetto!».
Rispose in seguito al demonio, che le rimproverava le sue colpe: «Sì, non sono che peccato, ma spero nella misericordia di Dio; vattene, Satana!».
Un piccolo nulla, diceva il diavolo furioso, trionferà su noi tutti! È impossibile. Noi faremo tanto, che lei finirà per mandare un lamento; e tormentarono il corpo della vittima in maniera spaventosa. Dopo questa lotta, la diciottesima, la suora di­ceva: «Mi unisco a Gesù che cade per la terza volta; offro le mie sofferenze per i sacerdoti che combattono gli increduli, e per la Chiesa. Mio Dio, sii benedetto!».
Sempre vinto, il demonio domandò al Maestro di non continuare più la lotta. Gesù lo obbligò a continuare. Emise allora delle grida di disperazione.
Dopo l'attacco, la suora disse: «Hai un bel da fare, Satana; mi torturi, mi an­nienti, ma non fai che ciò che il Signore permette». Ben presto, esclamò il demo­nio, verrà Lucifero; brucerà il corpo dell'Araba. «Offro le mie sofferenze, disse la suora, per i nemici di Gesù, affinché essi lo amino come san Giovanni. Mio Dio, sii benedetto!».
E rivolgendosi al demonio: «Parla, Satana, io appartengo a Colui che mi ha crea­to. Non ti temo. Amo Gesù al di sopra di tutte le cose. Quand'anche tu mi schiacciassi la testa, che cosa importa questo? Altri la schiacceranno a te. È Gesù che ti permette di farmi soffrire; io sono contenta. Tu vorresti che io mi rivoltassi contro Dio? Il mio Maestro è il mio Signore, gli renderò gloria. Mi dici che egli mi ha abbandonato. Ac­cetto tutto ciò che egli vorrà; voglio solo soffrire ed essere disprezzata».
Satana interpellò l'abate Manaudas: Hai sentito, gli disse, la piccola Araba? Sì, ho sentito, rispose costui, suor Maria di Gesù Crocifisso. No, no, riprese il diavolo, non la chiamare con questo nome: chiamala la piccola Araba. Se solo fosse come voi! Ma non sa né leggere, né scrivere. Io tento inutilmente di farle emettere un lamento. La novizia, ritornata in sé, disse: «Mi unisco a Gesù quando gli si asciugò il viso adora­bile; offro le mie sofferenze per i peccati del mondo. Mio Dio, sii benedetto!
Satana, tu mi chiami miserabile; sì, io sono miserabile a causa dei miei peccati, e non perché Gesù ti ha consegnato il mio corpo. Gesù è il Bene stesso, fa il bene; tu sei il male, tu fai il male. Se il Maestro volesse che tu mi tentassi due anni, e per­fino diecimila anni, e perfino di più, io accetterei. lo non desidero affatto le estasi. Sai che cosa desidero? Soffrire ed essere disprezzata».
Il diavolo fu costretto a dire: Sapete perché la piccola Araba parla così? perché essa è forte? Perché cammina al seguito del Maestro. La suora diceva: «Con Gesù, io mi unisco a tutte le anime che soffrono sulla terra; io offro tutto per i peccatori. Mio Dio, sii benedetto!
Tu credi, Satana, che io ho bisogno di vedere Gesù? Tu credi che, senza di ciò, io non abbia forza? Senza che io veda Gesù, la sua forza sarà in me. Tu, Satana, sei debole; guai a quelli che ti seguono! Dici che sei grande: mostra la tua grandezza. Sei venuto per ingannarmi, per farmi cadere! Grazie alla preghiera ed a Gesù, i tuoi attacchi non servono che a farmi salire più in alto. So di non essere che debolezza, ma spero nella misericordia di Dio».
Perdo tutto, perdo tutto, esclamò il demonio con disperazione, vado a domanda­re al Maestro di non tentarla più. La posseduta cadde come morta. Ma Satana fu presto di ritorno. Il Maestro mi ha detto, aggiunse il diavolo, di tentarla finché vorrò.
Dopo questo attacco, la suora disse: «Satana, tu mi tenti contro la Chiesa? Io amo la Chiesa, è mia madre! Essa ti schiaccerà la testa. Tutti i tuoi attacchi contro di lei sono necessari per dimostrare la tua malizia e la tua debolezza. Le tue tenta­zioni ci danno la luce. Tu dici che il Santo Padre morirà martire? Sarà martire del­l'amore, perché egli riterrà di non aver fatto niente per Gesù. Tu sarai sotto di lui, la tua testa sarà sotto i suoi piedi. La mia madre Chiesa non cadrà; sarai tu, Satana, a cadere. Sei caduto una volta dal cielo; da allora, cadi sempre. Se gli uomini ti ve­dessero, giammai ti seguirebbero. Tu cerchi di causarmi fastidio? Io sono contenta. Tu tenti di scoraggiarmi? Io ho fiducia in Dio. Da sola, io non sono che un picco­lo niente; con Gesù, io sarò al di sopra di te. Tu vedi come io mi burlo di te. Gesù sarà la mia luce. Gesù sceglie i deboli. Giacché sono debole, egli mi ha scelta».
Il demonio esclamò: Tutto ciò che la piccola Araba ha detto, è menzogna. Non ha forse affermato che, se mi si vedesse, nessuno mi seguirebbe? Ebbene, tutti mi vedono, e tutti mi seguono. E il Maestro, venuto sulla terra per dare l'esempio, per tracciare la via, tutti l'hanno visto e nessuno lo segue. Dopo questo ventiquattresi­mo attacco, la novizia fece più volte su di sé il segno della croce e disse: «Mio Dio, sii benedetto!
Tu credi, Satana, che io dia importanza al mio corpo? Portami tutto il tuo fuo­co, gettalo nel mio cuore; strappa questo cuore, è di Gesù Cristo. Tutto ciò che fai soffrire non è gran cosa; noi non restiamo sempre sulla ,terra; oggi, siamo sulla ter­ra; domani, non ci siamo più. Desidero essere crocifissa alla croce, come il mio Be­ne Amato. Tutte le mie sofferenze, paragonate a quelle di Gesù, non sono niente. Distruggi questo corpo. Sono pronta a risponderti: non sono io che ti rispondo, è Gesù.
Restare cento anni con Gesù, senza mangiare niente, mi nutre più che mangiare mille anni con te. Sì, con Gesù, sono ben più nutrita che con tutto ciò che tu offri. Tutto ciò che io soffro è niente. Satana, io ti vincerò con Gesù. Credi che, a moti­vo del mio corpo, abbandonerò il mio Amatissimo? Ho lasciato tutti i piaceri della terra. Non dire che la tua grandezza è la causa delle mie prove. È il Maestro che, con mia grande gioia, ti ha permesso di farmi soffrire. Io non sono che polvere. Ma tu, se sei qualche cosa, parla. Vuoi sapere chi mi ha insegnato tutto quello che di­co? Sei tu, con le tue tentazioni. lo sono pronta a ricevere tutto per Gesù. Rideva.
Satana, sei caduto in piena luce; noi, cadiamo per debolezza. Chi segue la luce? Il cuore retto. Se tu fossi giusto, non saresti caduto. Non hai vergogna di ripetere sempre che sei giusto? Mi faccio beffe di te. Non piango, rido. Tu vuoi insegnarmi a piangere, e io voglio insegnarti a ridere.
Se il Maestro ti dà il permesso di distruggermi, ti aiuterò in questo lavoro e ne gioirò. Tieni, io ti do le mie braccia: tagliale, se Dio lo vuole; ti do la mia testa. Tu cerchi di ingannare le anime; Gesù cerca di riscattarle. Mentre la mia bocca ti par­la, il mio cuore è con Gesù!
Tutto per Gesù, niente per te, Satana; perfino mangiare, perfino bere, per Gesù. Mio Dio, io ti amo, aumenta il mio amore; spero in te, aumenta la mia speranza: non sarò confusa; credo in te, aumenta la mia fede».
E al demonio: «Che dici, Satana? Parli della tua grandezza? La tua grandezza, è l'abisso; la tua grandezza, è il fuoco.
Gloria a Maria! gloria a Gesù! gloria a Dio Padre che ci dà Gesù! gloria a Ma­ria che ha schiacciato la testa del serpente!».
Il demonio disse allora: Me ne vado a cercare la sofferenza; suor Maria cadde subito come morta. Un momento dopo, il demonio ritornò per tormentarla. Dopo la lotta, la suora disse: «Padre mio, mi unisco a Gesù ed a tutti i peccatori convertiti. Mio Dio, sii benedetto!
Sai, Satana, la nostra risorsa per vincerti? La prima, è l'acqua benedetta; presa con fede, essa ti fa fuggire; la seconda è l'umiltà; la terza è la povertà.
Da seimila anni, tu tenti le anime, ciò è ineluttabile. Vattene, Satana; vergogna a Satana!
Mi tenti contro la fede? Io ho Dio con me; non temo niente. Mi dici che non c'è Dio? Vado in giardino a contemplare la creazione; vedo gli alberi piccoli diventare grandi: questa vista fa crescere la mia fede. Mi tenti contro la Chiesa? Io vado ancora in giardino; trovo un frutto e l'apro; guardo questo frutto aperto, e vedo il seme nel frutto. Entro in una chiesa, apro il tabernacolo e trovo l'Eucarestia.
Mi tenti contro la carità? Io scendo; considero le bestie, vedo gli agnelli, i pulcini, li vedo tutti insieme, uniti fra di loro. Vedo sopra un solo albero molti frutti. lo sono in religione; mi vedo come un frutto, con molti altri frutti sullo stesso ramo, sullo stesso albero. Oh! quanto amo la carità! Mi tenti contro il con­fessore? Quando mi confesso, io non guardo l'uomo; io mi confesso a Gesù.
Mi dici che le mie consorelle sono meglio vestite e più curate di me? Mi vuoi fare diventare gelosa. Per trionfare, ti guardo, guardo te, che sei caduto dal cielo per gelosia, e dico: Perché dovrei essere gelosa, io che non sono niente? Signo­re, non sono degna di essere ciò che sono.
Considero le mie consorelle come altrettante amatissime discepole, e non mi meraviglia che le si ami più di me, che sono la più povera, che non sono che pec­cato».
Me ne vado, me ne vado, disse Satana, non posso più restare, e parti emetten­do grida spaventose. Dopo questo assalto, la suora disse: «Mio Dio, offro tutte le mie sofferenze passate per le anime cieche, affinché esse vedano. Le offro con Gesù, con le anime che hanno sofferto con amore, senza averne coscienza, per­ché esse erano nella notte della prova. Mio Dio, sii benedetto!».
Dopo ogni assalto, la novizia continuava a confondere il suo nemico lodando Dio e rinnovando i suoi atti di fede, di speranza e di amore:
«Mio Dio, diceva, mio Dio, sii benedetto! Che tutti i santi della terra e del cie­lo benedicano Dio! Mio Dio, che la tua volontà sia fatta! Mio Dio, spero in te; tu sei la mia forza: senza di te io non sono niente; sei tutta la mia speranza.
O mio Dio, ti ringrazio. O mio Dio, ti domando la grazia, la grande carità di essere disprezzata. Mia buona Madre del cielo, mio buon angelo, intercedi per me. La vita passa presto! Se non sono che peccato, imploro sempre la tua mise­ricordia. Ringrazierò, se mi si disprezza. Mio Dio, io ti ringrazio di tutti i tuoi be­nefici».
Signor Curato, signor Superiore, diceva il demonio ai due sacerdoti che assistevano questa vittima, voi perdete il vostro tempo; tutto questo non è che menzogna, tutto questo è un fenomeno naturale. Non ci sarà niente domani di soprannatura­le, il Maestro non verrà. Tutto ciò non è che di natura fisica, non è da Dio.
«Ho sete, ho sete di Gesù solo! diceva la novizia. Felici le anime che soffrono in segreto, conosciute da Dio solo! Quanto mi piace un'anima che soffre con pa­zienza, nascosta con Dio solo!
Ringrazio Dio di avermi ricevuta qui; io ho molto peccato. Grazie tuttavia al­le preghiere delle suore, spero che egli mi userà misericordia, che mi perdonerà tutte le mie infedeltà.
Dio mio, io ti ringrazio. Santa Vergine, quanto sei pura! rendi i tuoi figli puri come te, affinché non cadano nelle reti di Satana. Santi del cielo e della terra, in­tercedete per coloro che non conoscono la malizia di Satana. Mio Dio, uniscimi
a te... lo non ho paura, Satana. Se sapessi che il mio occhio dovesse offendere Gesù, lo strapperei; se fossero le mani e i piedi, li taglierei. lo ho sete, ho sete di Ge­sù, e per niente di te, Satana».
Miserabili, gridò il diavolo alle suore, che annotavano, voi scrivete! Tutto ciò è cattivo come voi, tutto ciò non è buono che per essere gettato nella spazzatura. Non c'è niente di soprannaturale: tutto è naturale.
«Santa Vergine, mia buona Madre, disse la suora, io mi unisco a te che sei venuta sulla terra per dare il buon esempio; mi unisco alla tua pazienza, alla tua ras­segnazione nella sofferenza, quando tuo Figlio era abbandonato, e senza conso­lazione. Mio Dio, sii benedetto!».
E al demonio: «Ebbene, Satana? Che cosa dici? Credi che tutti seguano l'orgo­glio come te? No, no, vi sono sulla terra un gran numero di santi nascosti. Misera­bile, non ti si vede che alla morte. Se solamente si vedesse il tuo viso, tutti ti fug­girebbero. Tu sei brutto! Non c'è niente quaggiù di altrettanto brutto. Se sapessi dipingere! Spirito Santo, Spirito Santo, ispirami sempre; mostra a tutti gli uomini la malizia di Satana.
Che dici ancora, Satana? Tu dici che io ti amo? No, certo, io voglio solo Dio.
Tu dici che perdi le anime? Oh! se ti conoscessero, si guarderebbero bene di ve­nire a te; perfino le bestie ti fuggirebbero. Se tu tocchi gli alberi, diventano neri; se tu tocchi la terra, essa inaridisce. Tutto ciò che Gesù tocca, tutto ciò che guarda, fio­risce.
Dici che sei Dio? Se tu lo sei, vieni, crea un albero, fallo uscire dalla terra per­ché lo si veda. Infelici quelli che ti seguono! Chi ti ha permesso, Satana, di pren­dere l'aspetto delle suore per tentarmi?».
Noi abbiamo assistito fino ad ora alla metà del combattimento. Cinquanta nuo­ve lotte devono seguire le cinquanta prime. Solamente dopo i cento attacchi, Gesù . verrà a passare nel corpo di questa eroica vittima per guarirlo.
Satana si rivolse a tutte le suore presenti: Ascoltate, miserabili! disse loro; la piccola Araba l'ignora, ma io, io lo so.
«Mio Dio, diceva la novizia, uniscimi a te per amore del prossimo, affinché lo ami più di me stessa».
E a Satana: «Se mi dici che tutti mi onorano, che tutti mi amano, io soffro; ma se mi dici che tutti mi disprezzano, sono contenta. Il disprezzo è la mia felicità. Tu dici che, a San Giuseppe di Marsiglia, hai spesso preso la mia sembianza per fare molti errori, per dare una cattiva opinione di me alle suore. Tu hai fatto que­sto? Oh! quanto sono felice di saperlo! Sarei quasi tentata di dirti grazie. Ma no, non ti ringrazierò ringrazierò Gesù. Desidero soffrire per amore di Gesù, e non al fine di essere conosciuta. Desidererei che tutte le creature mi giudicassero male co­me te. Mio Dio, non cerco che di amare Gesù, di servirlo con semplicità. Non de­sidero che il mondo mi conosca, io non desidero niente. Mio Dio, grazie di render­mi povera. Non voglio che il tuo amore.
Dici, Satana, che sei tu che ispiri ripugnanza per i superiori? Sono ben con­tenta di saperlo, per poterlo ripetere. Tu lavori a suscitare la divisione? Non vi riuscirai.
Non c'è nessuno qui (la suora, durante le sue estasi, si credeva sempre sola), non vedo nessuno. Se tu vedi qualcuno, Satana, tanto peggio per te. Non c'è nes­suno, qui con me; tuttavia non ho affatto paura. Io ti vedo, Satana, ma vedo an­che il mio buon angelo. O mio buon angelo ti onoro, ti amo, ti benedirò eterna­mente. (L'angelo custode, accanto alla suora stessa, le dettava queste parole). E al demonio: Satana, questo nome che ti do è ancora troppo bello per te: ti chia­merò letame. Se il mondo ti conoscesse, ti disprezzerebbe. Sì, tu non sei che le­tame.
Disprezzo per Satana! amore per Gesù! Mi offro per i peccatori».
Che dice, quest'Araba? esclamò Satana. t possibile questo? No, no, gloria a me! Dopo l'attacco, la suora disse: «Io offro le mie sofferenze per tutte le mie con­sorelle, per tutto l'Ordine del Carmelo, per tutte le anime consacrate a Dio!». E a Satana: «Se ti annoi, vattene. Io non sono venuta a cercarti. Sei venuto tu. Mio Dio, per la tua santa croce, liberami dalla malizia di Satana!».
Miserabili, esclamò il diavolo, non siete neanche annoiate? E’ da tempo che io lo sono, io. Non posso più restare. Vado a vomitarvi. No, mai più entrerò in una casa simile. La novizia diceva dopo questa lotta: «Mi unisco a tutte le anime che sono in agonia, affinché Gesù le liberi dalla malizia di Satana. Mio Dio, sii benedetto!».
E al demonio: «Su, Satana, parla. Tu mi rimproveri di aver domandato da be­re? Non sono io che ho fatto questa domanda, io non ho sete che di Gesù; non mi nutro d'acqua; perché, dopo aver bevuto, si ha ancora sete. Io mi nutro della pa­rola di Dio. La parola di Dio non passa, né sulla terra, né in cielo.
Quando lo spirito di Dio discende in un'anima, reca la calma, la pace, la gioia: ` quando sei tu, Satana, tu non rechi che noia, pena, turbamento.
Disprezzo per Satana, gloria a Dio!».
E’ mezzanotte, venite, venite, venite. Tutti insieme, annientiamo l'Araba, disse Satana ai suoi compagni; e rivolgendosi alle suore la cui presenza lo irritava, disse: Nessuna di voi vuole andare a dormire? Vedete quella, aggiunse indicando una suo­ra ammalata, tutte le sere è andata a letto di buon'ora; e questa notte, ha due oc­chi di gatto. Queste parole provocarono l'ilarità delle suore. Voi inoltre ridete del mio linguaggio, miserabili! esclamò il diavolo furioso. «Mi unisco a Gesù, diceva la suora, quando giudica le anime; soffro per i peccatori, affinché essi abbiano la luce per seguire Gesù e per allontanarsi da Satana. Mio Dio, sii benedetto!». E al demonio: «Vieni, vieni, mostrati come sei. Dici che vuoi prendere la forma di un gatto, di una gallina o di un'altra bestia? No, no, conosciamo i gatti, gli uccelli, le bestie. Vieni, scendi, mostrati come sei. Ti assicuro che, in questa casa, nessuno an­drebbe da te. Si correrebbe verso Gesù, se si capisse la tua malizia.
Gloria a Gesù, a Maria, a Giuseppe, gloria a tutti i santi!». E, alcuni istanti do­po, con una vocina infantile, aggiunse guardando tra il pollice e l'indice: «Vedo una piccola luce; vedo una porticina che conduce a Gesù; non è molto lontana. Sento che l'acqua nera sta per andarsene. Sono contenta. È Gesù, Satana, che ti ha permesso di farmi soffrire. Non sono degna di soffrire. Dopo la porticina, ve­do una stradina diritta, facilissima per andare a Gesù. Vedo Gesù, vedo Maria. Quanto sei miserabile, Satana! Non ho visto la luce fino a questo momento. Gra­zie a questa luce, vedo, Satana, la tua nefandezza. Vedo Gesù, egli stende le sue braccia; mi attende per purificarmi e per rinfrescarmi, e sorrideva.
Gloria, amore a Gesù, a Maria! Vergogna a Satana!».
Il diavolo avrebbe voluto uscire dal corpo della posseduta prima della fine dei cento attacchi. E siccome le suore ridevano nel sentirgli confessare la sua debolez­za e la sua impotenza, diventava furioso e le insultava. Malediva il giorno in cui aveva incominciato questa lotta contro la suora.
Dopo il cinquantanovesimo assalto, la suora disse: «In unione con l'allegrez­za di Maria, quando l'Angelo le annunciava la venuta di Gesù, offro per la co­munità e per il nostro Ordine tutto ciò che è avvenuto e tutto quello che Gesù vorrà ancora. Sì, sì, ripeteva quasi cantando, affermo che mi unisco all'allegrez­za della santissima Vergine, perché comincio a vedere la luce, comincio ad offri­re a Dio la gioia».
E al demonio: «Ti dico, Satana, che non sento se sono con il mio corpo; sen­to che sono con Gesù. Quando Dio vuole una cosa, tu non puoi cambiarvi nien­te; sei obbligato ad obbedire a Gesù tremando. Santa Vergine, ottienimi l'umiltà, la gioia, l'unione con Dio; ti domando queste stesse grazie anche per il nostro santo Ordine.
Satana, tu cerchi di prendermi, e sei tu ad essere l'intrappolato».
Guardate l'Araba, esclamò il demonio; tutto il suo corpo è fiaccato e non con­fessa neppure che è malata. Questa miserabile mi augura il disonore. Attendi, at­tendi; e la tormentava orribilmente. La suora disse: «Io mi unisco...» Satana volle impedirle di continuare: ella riprese con forza: «Non mi impedire di parlare», e siccome esso riprovava, disse: «Ebbene, griderò Amore a Gesù! gloria a Maria! vergogna e disprezzo a Satana! Sì, per la vita, e per la morte, amore a Gesù!».
E rivolgendosi al demonio: «Che dici, Satana? Quanto a me, non sono che de­bolezza: è Dio che fa tutto in me. Sì, Gesù verrà a schiacciare la tua testa. Sento la gioia, la pace. Non sono sulla terra per seguire i miei gusti, vi sono per cercare il fiele, il disprezzo, con la grazia di Dio.
Santa Vergine, libera le anime che seguono Satana». Tre volte ripeté questa pre­ghiera, e aggiunse con un filo di voce: «Vedo uno spiraglio, vedo un po' la porta, vedo Gesù arrivare; la luce si avvicina dolcemente, in silenzio. Egli non fa come te, Satana, tu vieni con rumore. Gloria a Gesù, gloria a Maria! Vergogna e di­sprezzo a Satana! Satana, queste parole ti annientano. Ebbene, le dirò sempre, le dirò nel cuore, se non potrò dirle con la bocca.
Io mi unisco a Gesù, a Maria, a Giuseppe, quando aprirono la porta della ca­setta d'Egitto, affinché i peccatori abbiano un piccolo posto nel loro cuore per amare Gesù, perché anche essi posseggano un posto nel cuore di Gesù. Vorrei una casetta molto pulita nel mio cuore per ricevere Gesù, una casa dove non ci fosse­ro più peccati, perché Gesù potesse compiacersi. Se io so ricevere Gesù, ho tutto. È dolce soffrire con Gesù. Tutto ciò che viene da Gesù è dolce. Tutto ciò che vie­ne da te, Satana, è cattivo. Più le lotte si moltiplicano, più io vedo chiaro. Amore a Gesù, a Maria!».
Dopo il settantaseiesimo attacco, Satana esclamò: Questa miserabile Araba! non abbiamo il potere di cambiare il suo aspetto. Neppure Lucifero lo potrà, perché essa è stata martire, e perché si è conservata sempre pura, sempre vergine. «Dio sia benedetto! diceva sempre la suora; il resto, lo dirò nel mio cuore. Satana è geloso di quelli che seguono Gesù. Io seguirò Gesù fino alla morte, sulla terra, in cielo, e perfino nell'inferno. Se Dio lo vuole, ebbene, sì andrò, se egli lo vuole, nel­l'inferno con Gesù. L'inferno con Gesù è meglio che te, Satana. Il diavolo mi dice che, se mi prenderà, mi metterà più in basso di Giuda».
Dopo la novantunesima lotta, Satana disse: Lo confesso con tutti i miei simili, noi non amiamo la carità, l'umiltà, l'obbedienza.
Dopo la novantatreesima, suor Maria disse: «Gloria a Gesù, gloria a Maria! Co­mincio a vedere la luce; la porta si apre; comincio a vedere la santa Vergine. Mio Dio, sii benedetto.
Mio Dio, io ti amo con tutto il mio cuore e al di sopra di tutte le cose».
La fine del terribile combattimento si avvicinava. Era la novantanovesima lotta. Aspettate, aspettate, disse il demonio; forse, alla venuta di Lucifero, emetterà un lamento. Ma la suora disse ancora: «Gloria a Gesù, gloria a Maria! gloria a Giu­seppe! gloria a Dio solo!».
Il diavolo ritornò un'ultima volta; parlò dell'arrivo di Lucifero: Il nostro capo, disse, non esce quasi mai dall'inferno. Passando nel corpo dell'Araba, la brucerà talmente, che voi non potrete neppure toccare la punta del suo dito, fino a che il Si­gnore non sia, a sua volta, passato in questo stesso corpo per guarirlo.
Il letto di ferro sul quale l'eroica vittima si trovava dall'inizio del combattimen­to era così danneggiato che bisognò sistemarla su un altro.
Alle undici e tre quarti, il diavolo esclamò: Indietreggiate, viene Lucifero: se voi restate vicino all'Araba, sarete bruciati.
Il Rev. abate Manaudas e le suore indietreggiarono. Alcuni istanti dopo, si vide­ro il viso e le mani di suor Maria divenire rossi come il fuoco, e in seguito com­pletamente nere. Il fumo venne fuori da tutto il suo corpo; si senti un forte odore di zolfo. La suora respirò appena. Ma ben presto delle grida più forti del fischio del­la locomotiva si fecero sentire; se ne contarono fino a diciannove. Era la fine della lotta. Una visione celeste venne a rallegrare l'eroica vittima. Disparve ben presto. La novizia risentì allora tutti i suoi dolori; non poté più pronunciare una sola paro­la, né fare il più piccolo movimento. La sua bocca si aprì ad intervalli come quella di un moribondo. L'abate Manaudas si avvicinò come per raccogliere il suo ultimo respiro. Era mezzogiorno, l'ora nella quale, si ricorda, la possessione era iniziata, quaranta giorni prima.

CAPITOLO VIII
La liberazione - Possessione dell'angelo per quattro giorni
La scena cambiò. Improvvisamente, suor Maria di Gesù Crocifisso si alzò sul letto. Il suo viso era radioso, i suoi occhi brillavano come due diamanti; un sorriso celestiale sfiorava le sue labbra. Tutti i presenti erano in ginocchio; da tutte le boc­che usciva nello stesso tempo lo stesso grido: Gesù! La gioia del cielo era in tutti i cuori, e si traduceva in dolci lacrime. Si senti che Gesù era passato nel corpo della suora per guarirlo.
Uno spirito soprannaturale era succeduto al Salvatore nel corpo della suora li­berata e vittoriosa. La santa Vergine, disse questo spirito, attraverso la bocca della novizia, vi domanda l'umiltà, la semplicità e la pratica di tutta la Regola. «Gesù, esclamò la novizia, rapita, è il mio dolce refrigerio!». Quando l'estasi finì per qual­che istante, suor Maria conservò la gioia nella sua anima e perfino nei lineamenti del suo viso. Baciava con riconoscenza le mani del Rev. abate Manaudas; ringra­ziava con effusione le suore delle loro cure affettuose; le abbracciava e diceva tra­salendo: «Sento la gioia fin nelle mie ossa». Verso l'una, arrivò il Rev. abate Saint­Guily. Non appena lo scorse, la novizia esclamò: «Padre mio, padre mio, è tanto tempo che non la vedevo. Padre mio, non so da dove vengo. Non so quello che è, ma sento la gioia in tutto il mio essere». E dove sei stata? le domandò il curato di San Martino. «Padre mio, a causa dei miei peccati, ero in un mare nero; ora, ho la gioia nella mia anima, e perfino nelle mie ossa». Ripeteva, senza dubitarne, le pa­role del Salmista: «Le ossa umiliate trasaliranno».
L'estasi la riprese. Si intratteneva con Maria e con santa Teresa. Si comprese che la santa Vergine le diceva di chiedere qualche favore per la comunità: «No, Madre mia, no, rispondeva, tu sei la Madre di tutte; che bisogno c'è di chiederti qualche cosa?».
In seguito rivolgendosi a santa Teresa le diceva: «Te ne prego, madre mia, proteggi la comunità, proteggi tutto l'Ordine; non guardare agli errori delle tue f figlie. Se tu mi abbandonassi, io sarei meno obbediente, più infedele di tutte le altre».
«La santa Vergine dice: Agnellini, fate sempre ciò che il Pastore vi dirà; abbia­te fiducia in Gesù. Disprezzate soprattutto il piccolo nulla (se stessa); fatele com­prendere sempre il suo nulla; che non sappia mai niente di ciò che è avvenuto.
Se ogni agnellino si considera l'ultimo, la santa Vergine sarà con lui. Seguite la parola di Gesù. Non vi scoraggiate mai. Satana, furioso, verrà à tentarvi: non l'a­scoltate mai, ascoltate sempre il Pastore. Non ascoltate mai Satana; è geloso. Quan­do viene, umiliatevi. Se Gesù permette che vi tenti, è per farvi crescere.
Quando voi siete tentate contro un agnello, andate a trovarlo col permesso del­la Priora, abbracciatelo, ditegli: il demonio mi tenta contro di te, ma io ti amo. Sa­tana se ne andrà. Che gli agnellini amino gli altri più di se stessi. Bisogna sempre andare contro tutto ciò che suggerisce Satana».
E rivolgendosi alla Priora: «Pastore, le disse, la Vergine santa ti raccomanda di amare gli agnelli con uguale affetto. Amandoli, tu ami Gesù. Stai attenta, non ne di­sprezzare nessuno; sono, tutti, agnelli di Gesù. La santa Vergine ti dice ancora: Fat­ti piccolissima; abbi fiducia; ama gli agnelli più di te stessa.
Che gli agnelli obbediscano sempre al Pastore, che si amino sempre gli uni gli altri, che pratichino sempre l'umiltà, la carità. Satana è geloso di voi, ma voi non scoraggiatevi mai; seguite il Pastore. Agnelli non ascoltate mai Satana; non ascol­tatelo mai; disprezzatelo; annientatelo. Satana non ama la carità. Tenterà di metter­vi gli uni contro gli altri. Abbracciatevi, andrà via».
Apostrofava il demonio e gli diceva: «Satana, sarai confuso, sarai schiacciato». Ritornando alla Priora aggiunse: «Madre mia, la santa Vergine dice ad ognuna di andare a fare il proprio dovere. La presenza di Gesù vi avrebbe fatto morire, se non vi avesse sostenuto. Madre mia, la santa Vergine ti dice di fare assistere il pic­colo nulla a tutti gli atti della vita comunitaria; non se ne accorgerà, ma vi sarà».
Le suore si rassegnavano con fatica alla privazione di vederla e di sentirla. Di­ceva loro: «Agnelli, la santa Vergine vede il vostro desiderio di restare con il pic­colo nulla ma vuole che accudiate ai vostri doveri; sarà con voi. Durante la ricrea­zione, potete ritornare, la Regola lo permette. La santa Vergine dice che quando gli agnelli saranno di nuovo riuniti qui, ritornerà con parecchi santi del cielo. I due pa­stori (la Madre Priora e la Madre Elia, maestra delle novizie) non devono restare più qui tutte e due insieme ma avvicendarsi, per potere accudire ai loro doveri».
Avendo la Priora domandato se una suora poteva restare per scrivere, rispose: «La santa Vergine lo permette, lasciandoti libera nella scelta di questa suora».
Le religiose ritornarono durante la ricreazione; disposte attorno all'estatica, con­tinuarono a raccogliere i suoi insegnamenti celesti. «Agnelli, dice loro la novizia sempre rapita, Gesù dice che voi sarete insieme nel cielo accanto a Lui, formerete come una corona attorno al suo cuore. Agnelli, dite sempre a voi stesse: Se Gesù mi abbandonasse, io sarei peggio di Giuda; ma se Gesù mi custodisce, io sarò Gio­vanni il discepolo prediletto.
Salute, padre Elia; salve, padre Elia! Padre Elia tu dici: Come siete tutte unite sulla terra, sarete tutte insieme in cielo. Santa Teresa vi ripete la stessa cosa. La san­ta Vergine benedice tutti i parenti delle suore. Padre Giuseppe; padre Giuseppe! San Giuseppe vi benedice e vi dice: Siate umili, siate piccole, osservate bene la Rego­la, ancora un po' di tempo e sarete tutte insieme in cielo, accanto a Gesù. Salute,
Padre Giovanni, Maria degli Angeli! Salute, Margherita, mia Amatissima!... Salu­te, salute, Simone Stock! San Simone dice: Amatevi gli uni gli altri; pensate sem­pre se non siamo nulla sulla terra, saremo qualche cosa in cielo.
Salve, salve, martiri di Gesù l'Amatissimo! Osservare la Regola e l'umiltà è un nuovo martirio. I martiri vi dicono: In poco tempo, voi sarete con noi in cielo. An­date sempre contro natura; è questa una buona mortificazione d'amore per Gesù il Prediletto.
Salve, salve, Maddalena, Germana, Marta, Enrichetta! San Domenico e san Francesco vi dicono come hanno fatto per diventare grandi santi. Essi conserva­vano sempre nella loro anima il sentimento del loro niente; amavano il prossimo più di se stessi; andavano sempre da Gesù per saziare il loro cuore.
E quale è la strada per andare da Gesù? È l'umiltà, l'obbedienza, la fiducia, l'osservanza della Regola. Grazie alla pratica di queste virtù, Gesù ci riceve nel suo cuore. Salve, salve, Veronica, Apollonia, Nicola, Amata! Come fare per arida­re da Gesù? Voi dite Guardate sempre a Gesù. Come fare per guardare sempre a Gesù? Essi dicono: Tutto ciò che Satana fa, disprezzatelo e guardate sempre Ge­sù. Con quale mezzo guardare sempre a Gesù? Lavorando, obbedendo, digiunan­do, mangiando, riposandovi: qualunque cosa facciate, guardate sempre a Gesù. Se ve ne dimenticate, non turbatevi, niente vi turbi. Prostratevi e dite io ti domando perdono, Signore, mi sono dimenticato un istante. Non permettere che io ti di­mentichi di nuovo; soprattutto non mi dimenticare come ti ho dimenticato io. Sì, nel lavoro, nella tristezza, nella pena, nella noia come nella gioia, bisogna sempre guardare a Gesù.
Salve, salve, Maria degli Angeli! Ella ascolta; un istante dopo, sorride. La Bea­ta le nominava molti santi presenti, e la novizia contava sulle sue dita, sempre sor­ridendo. Esclamava: San Giovanni della Croce, dice: Maria degli Angeli, sulla ter­ra ha amato le sue suore, ha desiderato soffrire ed essere disprezzata per Gesù. Dice ancora che le sue figlie devono praticare l'obbedienza interiore e non soltan­to quella esteriore. Se non si possiede questa virtù, si ha un grande merito quando si lavora per acquistarla. Gesù dice: tutte quelle che faranno morire la propria vo­lontà, il Signore le benedirà. Con tenacia, riuscirete a praticare la virtù come se fosse nata con voi».
«La santa Vergine dice che bisogna andare in giardino per purificare l'operato di Satana. Satana vi andava tutti i giorni a questa stessa ora durante la possessione: an­diamoci, anche noi, per purificare tutte le sue attività. Tutti gli agnelli possono ve­nire». Con un passo leggero e rapido, la novizia scese, scortata da tutte le suore. Be­nedisse la cucina e tutti i posti della casa dove Satana era andato; arrivò al granaio, non si accontentò di fare un segno di croce come in ogni altro luogo, domandò del­l'acqua benedetta: «La santa Vergine sta per benedire tutto». Camminava con la te­sta diritta, le mani sollevate, gli occhi al cielo, sorridendo e trasalendo in modo ineffabile. «La santa Vergine dice che è il Pastore che deve benedire», e rimise l'a­spersorio alla Priora. Le indicava i luoghi da purificare facendole ripetere ogni volta queste parole: «Per la Tua santa croce, Signore, liberaci dalla malizia di Satana». Nel giardino, non dimenticò un solo albero toccato da Satana, né un solo grappolo dove quello aveva preso dei chicchi, tutto fu purificato.
Esclamò: «Piccola vite, alberelli, producete sempre buoni frutti per nutrire gli agnelli di Gesù». E, stendendo la mano come per indicare la presenza di qualcuno: «Vedete, vedete, aggiunge, Satana monta in bestia; non voleva venire, ma la santa Ver­gine l'ha obbligato ad assistere alla sua disfatta. Corre, corre», e lei batteva le mani.
Giunta vicino ad una statua di Nostra Signora de la Salette, si prostrò in ripara­zione del fatto che Satana, durante la possessione, le aveva impedito di mettersi in ginocchio davanti a Maria.
Nel parlatorio, diceva alle suore esterne: «Sulla terra voi siete fuori; nel cielo, sarete con gli agnelli che sono nel chiostro. Se sarete fedeli, voi potete perfino sa­lire più in alto di loro. La santa Vergine vi dice che voi siete le sue figlie e le figlie amatissime di Gesù; Ella vi benedice».
Questa processione era durata due ore.
Dopo vespri, gli insegnamenti continuarono: «Agnellini, siate fedeli: seguite la Regola e l'obbedienza; non mancate mai senza permesso agli atti di comunità. Co­lui che segue la Regola e la Comunità, ha la benedizione di Gesù. Colui che esce per necessità dalle azioni di comunità, ha la benedizione di Gesù; quella che, per dovere, è obbligata a mancarvi, non perde la benedizione di Gesù.
Non fate mai niente senza permesso; domandatelo per ogni cosa, e non in for­ma generica.
Amate il silenzio, agnellini; vi è permesso di dire qualche parola per le cose ne­cessarie; soltanto abbiate cura di parlare molto piano, e nei posti dove non si può essere sentiti.
Agnelli, la santa Vergine dice che dovete impiegare bene il tempo durante la set­timana, lavorare bene per Gesù, sotto gli occhi di Gesù, in silenzio, con pazienza, con grande interiorità. La domenica, tutta la giornata per Gesù. La domenica biso­gna soltanto pregare e leggere dei libri che parlano di Gesù.
Agnellini cari, io ve lo ripeto, praticate molto lo spirito della Regola, l'umiltà, la carità, l'obbedienza. Siate interamente di Gesù. Dategli tutto. Se non facciamo degli sforzi per praticare la virtù, per osservare perfettamente la Regola, resteremo a lungo, molto a lungo, nel Purgatorio.
Satana vi tenterà; siate più forti di Satana. La tentazione è un bene per voi; e l'acqua che lava e rende puliti per Gesù. Riflettete bene a questo: oggi sulla terra, domani sotto terra.
La Madre Teresa vi dice: Figlie mie amatissime, il tempo corre. Ricordatevi sempre di amare il vostro prossimo. Preferite sempre una suora che vi faccia eser­citare, che vi provi, perché con lei potete sempre acquistare dei meriti: la sofferen­za è l'amore; la Regola è l'amore.
Quando sarete fedeli e farete qualche cosa per Dio, Satana verrà a farvi credere che valete molto, che fate bene tutte le cose, che siete sante. Sarete tentate di abbandonare tutto per paura di cadere nell'orgoglio. Satana vorrebbe con ciò impe­dirvi di fare il bene, di dedicarvi alla perfezione, di compiere qualche gesto gene­roso per Dio: non l'ascoltate, disprezzatelo; lavorate, il tempo è breve.
Agnellini, Madre Teresa dice che, per piacergli, dovete, durante la ricreazione, parlare molto del buon Dio. Non fate una sola domanda sul mondo; dovete essere morte. Se parliamo delle cose del mondo, ci riempiremo di mondo e non morire­mo: la Regola, è la morte.
Gesù vi ha scelte: siategli riconoscenti. Osservate bene la Regola. Una novizia, che non osserva la Regola, facesse pure dei miracoli, rimandatela.
Agnelli, la santa Vergine vi ripete di non far mai conoscere al piccolo nulla (cioè a se stessa) ciò che è accaduto. Non fatele alcuna domanda. Non bisogna fare at­tenzione a lei, né guardarla, né nominarla; niente, nient'altro che il disprezzo. Bi­sogna trattarla come tutte le altre, e perfino come l'ultima delle novizie, lasciarla fare come se non ci fosse.
Il piccolo nulla non resterà qui che poco tempo; farà in seguito l'opera di Dio. Agnellini miei, siate fedeli. La santa Vergine dice che i tempi stanno per cambiare; vedrete delle cose che non avete ancora viste; religiose lasceranno il loro convento; sa­cerdoti apostateranno. Maria vi raccomanda di provare bene le novizie prima di acco­glierle con la professione. Se voi non le provate, vi proveranno loro. Che osservino la Regola tutta intera; non si deve accordare loro alcuna dispensa. Non temete di man­care di carità mandandole via; la carità, dovete averla per il vostro Ordine e non per una novizia che non avesse la vocazione. Vi costerà qualche volta, perché la novizia che dovete rimandare è povera o orfana. Non pensate a ciò, non preoccupatevene.
Non guardate né alla povertà né alla ricchezza. Quanto sareste disgraziate, se non osaste mandare via una novizia perché può fare del bene al convento. Lasciate tutto ciò da parte, non considerate che una sola cosa: se essa segue la Regola. La Regola è il prezzo; la Regola è il miracolo; la Regola è il martirio; la Regola è tut­to. Una novizia che non osservasse la Regola, che non avesse lo spirito della Re­gola, mandatela via.
Satana è geloso; tenta in tutti i modi di far perdere la fede, per fare cadere le ani­me: non temete. Persino quando non si sente la fede, bisognerebbe vivere di umiltà e di fiducia. Quando noi non sentiamo la fede e camminiamo sempre in avanti mal­grado i nostri gemiti e le nostre lacrime, sopportiamo un martirio molto meritorio, sempre che restiamo continuamente rivolti verso Gesù.
Dio non permette la tentazione che per farci crescere: tanto più siamo provate tanto più corriamo verso Dio. La tentazione è l'acqua che ci lava; la tentazione più forte è come l'acqua calda che ci pulisce meglio.
Agnellini, Madre Teresa vi raccomanda la pratica costante della carità. Questa virtù è così bella e così dolce! Non guardate mai né gli errori, né i difetti delle suo­re. Tenete per voi il più difficile, il più penoso, per sollevarle. Pensate sempre alle altre: scusatele. Se vedete una suora rovesciare dell'olio, pensate che è immersa in Dio; prendete, dopo, uno straccio per pulire la macchia.
Agnellini miei, amate la Regola, osservatela sempre. Quanto la santa Vergine ama la Regola e gli agnelli che la praticano! Quanto Gesù è contento! L'osservanza della Regola vale più di tutti gli stati straordinari, vale più di avere le stimmate, vale più del fare miracoli. Tutte quelle che rispettano la Regola, sono le mie figlie predilette, dice Maria, e dopo di lei, santa Teresa.
Praticate soprattutto l'obbedienza. Ogni volta che mancate all'obbedienza della Regola, mancate alla integrità della Regola. L'obbedienza è come il binario che con­duce a Gesù. Quando vi preparate a fare la comunione, bisogna considerare chi è Co­lui che viene. È Gesù che viene, Gesù così buono, così amabile, così dolce, e nello stesso tempo così grande, così potente, così bello! Verso chi viene? Viene verso di voi che non siete che polvere, che niente. Viene per darsi a voi, per fare un tutt'uno con voi. Quando lo possedete nel vostro cuore, pensate che siete come la santa Vergine che porta Gesù nel suo seno. Durante il giorno, tenete sempre i vostri sguardi fissi su questo Gesù che avete ricevuto la mattina».
La Priora permise ad ogni suora in particolare di parlare con la novizia rapita, per un quarto d'ora: tutte le religiose riportarono da questa conversazione come un balsamo per la loro anima. Compresero che ella doveva essere illuminata dal- ! lo spirito di Dio per leggere così nel loro intimo e per metterle nell'umiltà e nel­la pace.
La novizia, sempre in estasi, annunciò a Madre Elia che il Signore prolungava i suoi giorni,` al di là dei tre anni dopo la professione, affinché i suoi meriti fossero più grandi e le sue conquiste su Satana più numerose.
«Agnellini, aggiunse, san Giuseppe dice che Satana vi tenterà in differenti manie­re. A una suora, dirà che gli agnelli non l'amano: Che deve fare questa suora? Oc­corre che si abbandoni alla tristezza? alle lacrime? No, no. Per vincere la tentazione, questa suora si prostri durante la ricreazione e dica alle sue compagne: "vi domando proprio perdono, Satana mi tenta contro di voi; vorrebbe farmi credere che non mi amate; ve ne scongiuro, pregate per me", e il demonio sarà sconfitto. Se sentite tri­stezza, noia, dite la colpa in piena ricreazione e quest'umile confessione metterà in fuga il demonio e vi darà la pace.
Altre volte, Satana vi tenterà contro i superiori. Vi sembrerà che la Priora non è abbastanza capace, o che non si prende abbastanza cura di voi, che non fa affatto at­tenzione a voi, sia per l'anima che per il corpo. Umiliatevi, confessate la vostra ten­tazione alla Priora e Satana sarà vinto.
Nel refettorio, Satana vi tenterà contro la suora addetta alla cucina; vi farà credere che la porzione non è preparata bene, che è nociva alla vostra salute. Mangiate come se niente fosse e se ne avete il coraggio, dite la vostra colpa ap­pena arrivate in ricreazione: madre mia e sorelle mie, pregate per me, perché ho fatto la delicata, non ho mangiato la porzione perché non mi sembrava abbastanza buona. Per punire la mia sensualità, servitemi domani un piccolo resto di ogni suora. Lo si farà; voi trionferete così del vostro piacere e Satana sarà vinto. Non meravigliatevi di niente. Non scoraggiatevi mai, perché non siete degli an­geli, siete deboli.
Qualche volta, durante l'orazione, si fanno buoni propositi: si desidera essere umiliata, disprezzata, abbandonata; un po' più tardi, non vi si pensa più. Ebbene, agnellini, sappiate almeno umiliarvi di questo e cercate di approfittare delle oc­casioni. Satana, diceva la suora alla Priora e a Madre Elia, è geloso della vostra unione; farà di tutto per mettervi l'una contro l'altra e per questo si servirà per­fino delle suore, senza cattiva intenzione da parte loro. Una andrà dalla Priora, l'altra da Madre Elia per riferire cose false. Se Satana non può riuscire con que­sto mezzo, prenderà la forma delle suore per ingannarvi. Maledetto Satana, tro­va che non è già abbastanza umiliato qui, e vuole esserlo di più. Agnelli, se voi siete fedeli, Satana sarà in poco tempo completamente sottomesso. Ecco ciò che vi dice san Giuseppe: Agnellini, colui che si fa piccolo piccolo, piace a Gesù e lo trova».
Rivolgendosi al Superiore della comunità che era presente, la novizia disse: «Pa­dre mio, per giudicare della spiritualità che guida un prete, si deve provare la sua umiltà, la sua ubbidienza. Se non è sottomesso, è in préda a Satana. Si deve agire lo stesso nei riguardi di una religiosa quando si dubita della sua via. Anche se fos­se negli stati più straordinari, se le si dice che è nell'illusione ed ella non si sotto­mette subito al giudizio espresso, c'è l'orgoglio e c'è Satana».
La suora parlò a lungo al Superiore in questo senso e terminò con queste note­voli parole: «Ecco ciò che dice la santissima Vergine; ma se non si approva questa dottrina, dirà lo stesso».
Si era al 7 settembre, anniversario del suo martirio. Ti è accaduto qualcosa, in tale giorno? le domandò il Rev. curato di Saint-Martin. «A me no, ma al piccolo nulla era stato tagliato il collo». Questa risposta confermò la comunità nel pensie­ro che uno spirito celeste possedesse il corpo della novizia e che dettasse tutti que­sti preziosi insegnamenti. Gli si domandò a più riprese il suo nome: Io sono, disse egli, di quelli che salgono e scendono; e una volta: Sono lo spirito di Maria; e più spesso: Sono Maria, figlia di Maria del Prediletto. Sei Giovanni il discepolo pre­diletto? No, rispose con un sorriso ineffabile. Sei un angelo? un secondo sorriso fu la sua unica risposta. Le domande si moltiplicavano: si sarebbe voluto sapere il no­me di questo spirito misterioso. Notando questa insistenza da parte delle sue com­pagne, una suora gli disse: Se sei un angelo, ti manchiamo proprio di rispetto. Ge­sù, quello rispose, ama i piccoli, ama i fanciulli. Agnellini, occorre che l'umiltà sia la vostra luce, l'ubbidienza il vostro cammino, la carità il vostro riparo. E, alla Priora: Pastore, quando gli agnelli non si trovano a loro agio con il confessore e tutte dicono la stessa cosa, ciò significa che questo confessore non è l'eletto di Dio per voi. Se non vi sono che due o tre agnelli scontenti, non bisogna tenerne conto, ma trattenere lo stesso confessore».
«Agnellini miei, non pensate che ad amare e servire l'Amato Bene, a morire a tutto, per vivere distaccate da tutte le cose della terra: per questo avete lasciato il mondo. Madre Teresa vi dice che non ha istituito il suo Ordine per godere, ma per soffrire. Madre Teresa vuole gli agnelli distaccati come pietre».
Ecco i mirabili avvertimenti che la novizia, sempre in estasi, diede alle due suo­re esterne, davanti alla grata del parlatorio:
«La santa Vergine vi benedice; vi raccomanda di essere sempre molto modeste, molto raccolte: bisogna essere sempre come in ritiro. Madre Teresa vi dice di essere molto pazienti, sì, soprattutto molto pazienti. Sopportate tutte le contrarietà con dol­cezza; siate caritatevoli tra voi e con tutti. Siate sempre obbedienti: bisogna essere co­me un cadavere, come un bastone; fate tutto senza dire niente, non una riflessione.
Se siete fedeli, andrete direttamente da Gesù. Profittate del tempo: tutto passa, tutto passa sulla terra; il tempo è breve. Praticate la perfezione, producete dei frut­ti per Gesù. Siete come i rami di un unico albero: siete due rami che passano oltre. Gesù ama tutti i rami; guarda con più amore quelli che portano più frutti. Se siete fedeli, sarete nel cielo più in alto degli agnelli del chiostro, perché avete più occa­sioni. Le suore dell'interno pregano e fanno penitenza senza essere disturbate, men­tre voi, quante volte siete impedite di pregare, quando lo vorreste! Quando si viene a suonare, lasciate tutto, perfino la preghiera; andate immediatamente ove siete chiamate, andatevi con spirito interiore, con spirito di carità: quest'atto di rinuncia piacerà a Gesù più di tutto il resto. Bisogna soprattutto evitare che le persone di fuori si accorgano che voi siete contrariate, dovete edificare, dare il buon esempio, perché si giudicherà l'interno del convento attraverso gli agnelli dell'esterno. Se siete buone, raccolte, perfette, il vostro esempio farà del bene a tutti. Siate soprat­tutto umili, non vi scoraggiate mai.
Vi sono delle suore esterne che hanno sempre bisogno di confessarsi. Ciò non è bene; bisogna che vi sia una regola per tutto. È sufficiente che voi vi confessiate ogni otto giorni. Se vi accade nell'intervallo di commettere qualche leggera colpa e per questo fate uno sforzo a comunicarvi, fate un atto di contrizione: Gesù vi per­donerà. Padre Elia vi raccomanda il silenzio e la carità, bisogna amarvi in Gesù e per Gesù, in Maria e per Maria.
Dovete lavorare per gli agnelli del chiostro e quelle del chiostro devono lavorare per voi: non siete che un'unità. Avendo cura degli agnelli dell'interno, voi siete come Giovanni il discepolo prediletto. Quando Gesù era nella prigione presso Caifa duran­te la notte, Giovanni avrebbe desiderato potervi entrare per curare il suo Maestro: non lo poteva. Obbligato a restare fuori, si teneva il più possibile vicino alla prigione; fa­ceva tutto ciò che poteva per Gesù. Fate così con gli agnelli che sono dentro».
La santa Vergine era ben lungi dal dimenticare i superiori. «Siate molto unite, dice alle due madri attraverso la suora in estasi. Siate tutt'uno come questo, diceva la novizia alzando un dito, allora tutto andrà bene. Satana, geloso, farà allora di tutto per disunirvi. Voi, Pastore, regolate bene il vostro tempo e ne avrete per tutto. Di­rigete gli agnelli che lo domanderanno. Dio ve li ha dati perché ne abbiate cura. Sia­te come una buona madre». Avendole la Priora detto che non aveva lumi per diri­gere le anime straordinarie, ebbe questa saggia risposta: «Non temere. Quando una suora viene a dirti per esempio: Madre mia, durante l'orazione, ho visto la santa Vergine, ho visto Gesù, essi mi hanno detto la tale e la tale cosa, rispondi a questa suora: Figlia mia, profitta di ciò che hai visto e sentito, questa grazia deve portare dei frutti; attraverso i frutti, distinguerai se è una realtà o un'illusione. Quando la suora dopo che le avete parlato così resta contenta, di a te stessa: È Gesù certa­mente; ma se si ritrae triste, di: È Satana».
La Priora pose questa domanda: Se una suora anziana mi domanda di parlare della sua anima ad una suora più giovane o perfino ad una suora conversa, posso permetterglielo? «No, le rispose, è una cosa molto pericolosa. Se questo fa del be­ne all'una, fa del male all'altra. Tutto ciò non è per niente necessario; tutto ciò non è che fantasia, e disordine: la Regola e i Superiori bastano per guidare. Che ognu­na resti al suo posto. Quando si agisce diversamente, lo si fa anzitutto per carità, ma Satana non tarda a servirsene per insuperbire questa religiosa, così consultata. Guai a lei! Vegliate perché le suore non siano affatto curiose, perché non si leghino con amicizie particolari».
La Priora aggiunse: Devo accordare spesso delle mortificazioni straordinarie? «Pastore, le rispose la novizia in estasi, fa attenzione su questo punto: gli agnelli sono spesso ingannati a questo proposito; Satana li spinge a rivolgerti questa do­manda per farli in seguito cadere, se non osservano la Regola. Quando un agnello insiste per avere questo permesso, guardati dall'accordarglielo; mortifica piuttosto il desiderio di mortificazione: questo è bene per gli agnelli; è meglio di tutto. Che le suore osservino la Regola, che vivano nella semplicità e nell'uniformità».
E quando una suora domanda di non comunicarsi, che devo fare? «Pastore, do­manda la ragione; se non può dirtela, attendi il confessore. Ma se ti risponde: È per timore, perché sono indegna, dille: Figlia mia, comunicati. Se insiste per non co­municarsi, lasciala senza comunione, perché la sua obbedienza non è perfetta.
Pastore, abbi cura di far recitare bene il santo ufficio. Se vedeste gli angeli che cantano con voi! Desiderate cantare come loro? Pensate che vi aiutano a lodare Dio; questo pensiero vi incoraggerà. Che tutte le pecorelle stiano al loro posto, che tutte prestino la loro voce».
Parlando di se stessa, diceva a Madre Elia: «Pastorella ricordati di umiliare il piccolo nulla, di non farci caso. Fatti il cuore duro, fatti il cuore duro». Ed a tutte le suore: «Agnellini, abbiate sempre l'aria di non tenerne conto; trattatela come l'ultima; non la guardate neppure. Non la disprezzate troppo tuttavia, perché Sata­na potrebbe approfittarne per persuaderla che non ha la vocazione: amatela nel vo­stro cuore, senza testimoniarle esteriormente né stima né disprezzo».
«Agnellini miei, disse lo spirito misterioso che possedeva la novizia, vi la­scerò ben presto; domani sera, a questa stessa ora, me ne andrò; vi vedrò tuttavia
sempre senza che voi mi vediate; sarò accanto a voi. Vedrò, vedrò il ramo che porterà più frutti per Gesù. Non potrò sempre avvertirvi come ora: siate fedeli». Angioletto, gli domandarono le suore, quando ci accadrà di dimenticarcene, ci avvertirai con qualche buona ispirazione? «Sì, sì, rispose, voi la sentirete nel cuo­re». Caro angelo, resta ancora con noi, ti amiamo tanto! ci istruisci così bene, re­sta almeno un giorno in più! «Vi attacchereste troppo a me, rispose sorridendo; mi amereste troppo: il cuore deve essere interamente per Gesù». No, no, angioletto, non ti amiamo troppo; ci fai amare Gesù. Resta un giorno in più. «II tempo è sta­bilito: un giorno per ogni dieci». Intendeva parlare dei quaranta giorni della pos­sessione del demonio e dei quattro giorni della sua possessione. Dicci il tuo nome. «Domani, io ve lo dirò prima di andare via. Agnellini, fate attenzione: conservate sempre la semplicità, l'umiltà. Ve lo dico: Satana è geloso; lavora più intensamen­te che mai, soprattutto le anime religiose. Ora, l'orgoglio è molto sottile; s'insinua dappertutto, sì, dappertutto, perforo in religione. Ve ne sono molti che cadono nel­la illusione, che si credono o vogliono essere qualche cosa. Delle religiose si af­frettano a domandare un direttore, non appena provano un po' di gusto o qualche consolazione nell'orazione; affermano che non possono farne a meno, tormentano la Madre fino a che non siano riuscite. Una volta ottenuto il direttore, non si fini­sce; non si parla che di sé; non si pensa che a ciò che gli si deve dire: tutto ciò non è che ricerca; tutto ciò non è la semplicità. Ci si compiace a sentirsi dire: Figlia mia, il tuo stato è molto straordinario; tu sei chiamata a grandi cose: hai bisogno di qual­cuno che comprenda la tua anima. Guai al direttore che tiene un simile linguaggio, perché fa crescere l'amor proprio! la povera religiosa che l'ascolta con ciò si perde 3 facilmente. Numerosi sono i sacerdoti che, senza saperlo e senza volerlo, contri­buiscono alla perdita delle anime, invece di essere per loro un soccorso, perché cre­dono a tutto ciò che esse dicono loro, non avendo la minima idea che tutto ciò non è che illusione, immaginazione. Un direttore che fa vedere di dare importanza a co­se straordinarie, non è condotto dallo spirito di Dio, ma da quello di Satana; egli as­solve presso le anime l'ufficio del demonio, perché le aiuta a cadere.
Agnellini, Satana si trasformerà in Angelo di luce: con un po' di attenzione, voi lo riconoscerete sempre, perché cercherà, con le sue lodi, di ispirarvi orgoglio. Umi­liatevi, dite: lo non sono che niente, non merito alcuna grazia, ed egli se ne andrà.
Agnellini, vengo ancora a ripetervi come voi dovete agire con il piccolo nulla. Non abbiate l'aria di farne caso, non testimoniategli alcuna stima; non domandate­gli di pregare per voi. Controllate la vostra lingua, per non fargli mai supporre ciò che è accaduto in lei; non fategli mai domande per sapere ciò che ha provato, sia durante la possessione dei quaranta giorni, sia durante questi quattro giorni. Appe­na sarà rinvenuta dall'estasi, non si ricorderà di niente. Per non dimenticare la gra­zia di Dio, potete intrattenervi, nel tempo permesso (le licenze) e perfino durante
la ricreazione, di tutto ciò che ha avuto luogo; solamente, bisognerà parlarne come di cose che sono accadute in un altra comunità. Che il piccolo nulla non possa mai credere che si tratta di lei.
Non appena l'estasi sarà finita, dopo un istante di gioia, la tristezza comincerà per la novizia; il demonio, per tre anni, assillerà la sua immaginazione. Soffrirà al di là di tutto ciò che si possa concepire; un'altra persona, che avesse le stesse pro­ve, diventerebbe pazza. Satana farà di tutto per buttarla nella disperazione; non ve­drà in sé che peccati, si riterrà colpevole di tutti i delitti del mondo. Il demonio ten­terà di farla uscire; non si giudicherà degna di restare con voi. In quei momenti di prova, incoraggiatela, sempre tenendola nell'umiltà. Bisogna aiutarla a discendere sempre più profondamente nel suo nulla.
Prima della sua professione, essa osserverà tutta la Regola per un anno ma vi av­verto che non potrà farlo per lungo tempo. Sarà spesso malata; siate caritatevoli con lei, come con le altre.
Durante questi tre anni di prova, sarà spesso triste, piangerà. Fate finta di non accorgervene, questo non vi riguarda; non siete incaricate di consolarla: lo devono fare le Madri e ciò basta. Soltanto, che esse non la lusinghino, assolvendo questo compito caritatevole; santi più di lei sono caduti.
Commetterà degli errori; Dio lo permetterà, perché è il tempo della prova ed an­che affinché, più tardi, Satana non abbia presa su di lei con l'orgoglio. Più tardi, ef­fettivamente, farà grandi cose; sarà quasi sempre in estasi; si solleverà perfino nel­l'aria. Ma, ritornata in sé, avrà sempre il ricordo delle sue imperfezioni per tenerla nell'umiltà. Durante i suoi rapimenti, godrà; dopo l'estasi, soffrirà per la vista dei peccati del mondo, per la visione della perdita delle anime. Il piccolo nulla è una vittima; come vittima, deve sempre soffrire.
Agnellini miei, siate fedeli, siate fedeli; avete visto cose che la stessa santa Ma­dre non ha visto. Se voi non siete fedeli, Satana danzerà; sarà così contento di una vostra colpa leggera quanto di un peccato grave di un'altra anima.
Agnellini miei, fra un istante, andrò via. Quando sarò sul punto di andarmene, vi farò segno di uscire; voi spingerete il letto contro il muro; la sua maestra e l'in­fermiera resteranno sole con la novizia; crederà, ritornando in sé, che è stata a lun­go ammalata».
Le suore profittarono di quest' ultimi istanti per porre all'angelo diverse doman­de su diversi punti dell'osservanza: egli rispose a tutto con tanta saggezza, quanta amabilità. Non dimenticarono di ricordargli la sua promessa di dire il suo nome, prima di andar via. Rispose, con un ineffabile sorriso: Sono lo spirito di Maria; so­no l'angelo di Maria. Una leggera commozione pervase il corpo di suor Maria di Gesù Crocifisso: l'angelo se ne era andato. Tutta la comunità uscì dall'infermeria, ad eccezione di -Madre Elia e dell'infermiera.

CAPITOLO IX
Dopo la partenza dell'angelo - Serie continua di prove e di grazie Gesù e la "Piccola"
La novizia esclamò uscendo dal rapimento: «Vengo da una grande gioia. Dove ero?». Ben presto la tristezza si impadronì della sua anima; trascorse tutta la not­te in spaventosi dolori; provava una sete bruciante che non si poteva appagare, vo­mitava continuamente. Vedendo che il suo stomaco non poteva trattenere niente, fece benedire la bevanda dalla Priora. Questa benedizione fermò il vomito, le fe­ce gridare: « O fede quanto sei grande!». A diverse riprese, domandò di confessar­si, sia durante la notte, sia l'indomani: «Vede, diceva alla sua Maestra, quanto è grande la mia miseria. Tutta la notte, non avevo altro pensiero che quello di vole­re tre brocche d'acqua per poter spegnere la mia sete. Invece di pensare a Gesù, pensavo sempre al mio corpo! Ecco la mia debolezza! Mio Dio, potrò dire che ti amo, quando vedrò il mio corpo in cenere. Madre mia, mi sembra che sia un an­no che non la vedo. Ho passato tutto questo tempo nel mondo, dove non ho fatto che peccare. O mio Dio, ho commesso tutti i delitti». Satana, con un permesso di­vino, la persuadeva, secondo la profezia dell'angelo, che era colpevole di tutti i peccati della terra. L'indomani, 9 settembre, ricevette una visita celeste; lo spirito prese la forma della Madre Elia, come costei poté convincersi ascoltando il rac­conto della suora. «Vede, Madre mia, quale è la mia debolezza, le disse la novizia, è venuta a vedermi durante la ricreazione, mi ha detto: domanda tre uova sode con del sale e mangiale senza pane. Io non ho ubbidito subito, perché le uova sode non mi piacciono. Ma siccome l'ubbidienza porta grazia, ho trovato queste uova ec­cellenti! Madre mia, quando è venuta a trovarmi, non era come ora; sembrava mol­to più graziosa, mi piaceva di più allora. Era così buona, così dolce! Il vederla fa­ceva amare Gesù, i suoi occhi piangevano, ma il suo viso conservava sempre la sua dolcezza».
Madre Elia, che non aveva lasciato di fare la ricreazione, le domandò se si ricor­dava di ciò che le aveva detto: «Oh! Sì, Madre mia, le rispose la candida fanciulla, pienamente convinta che fosse stata Madre Elia ad averla visitata, mi ha detto: Se starai male per altri quindici giorni, sii contenta, accetta tutto; perché che tu stia male un giorno o quindici, è la stessa cosa. Accogli bene le prove che Dio ti man­derà. Avrai delle tentazioni, spera in Dio, non temere niente; Gesù ti ama, abbi coraggio. Mi ha abbracciata e le lacrime scorrevano dai suoi occhi. Oh! Come le sue parole lasciavano la pace, la gioia, l'amore di Gesù nel cuore! Era così amabile! L'a­mavo tanto! Lei adesso non è la stessa».
Quello stesso giorno, poté confessarsi. Scorgendo il sacerdote, esclamò: «Padre mio, è un anno che non la vedo. Quanto ho peccato! Ho molto bisogno di confes­sarmi!». Domandò che la si aiutasse a fare la penitenza, incapace come era di reci­tare solo la più piccola preghiera. Ripeteva le parole, gli atti d'amore che le si sug­gerivano, come una bambina.
La sola vista del cibo la disgustava. «Considerate la mia delicatezza, diceva umilmente, devo fare penitenza, e sono così difficile! Vorrei...»; si fermò, rifiutan­do persino di esprimere un desiderio su questo punto. La sua maestra pregò l'in­fermiera di offrirle un poco di pane bagnato nell'acqua e nel vino. «Era proprio ciò che sentivo di poter prendere, disse la novizia accettando con riconoscenza; ho pen­sato solamente che, se Gesù lo avesse voluto, avrebbe ispirato ai superiori di pre­sentarmelo, senza che io lo domandassi».
Allorquando la si lasciava sola un istante, il demonio le appariva sotto la forma di una suora della comunità, scortata da due demoni neri che minacciavano di stran­golarla. Questa vista la spaventava ma profittava lo stesso di ciò per umiliarsi. «Non so perché ho tanta paura, diceva, questa suora è così santa! Io sono così colpevole! Il pensiero della sua virtù mi fa senza dubbio tremare. Come sarei felice se potessi amare Dio come lo ama lei!».
L' 11 settembre, dopo la Messa, disse alla sua maestra: «Durante il santo Sacri­ficio, mi è sembrato di vedere la santa Vergine splendente di gloria, circondata da angeli più luminosi del sole. La santa Vergine mi ha benedetto dicendomi Figlia mia, esci prima della fine, io te lo permetto; lascia questo monastero, tu non hai la vocazione. Nello stesso tempo, provai turbamento, noia, un grande desiderio di uscire; per orgoglio, non ho osato domandare il permesso, consideri la mia debo­lezza. Ho visto tutto ciò nella mia immaginazione, senza credere che fosse real­mente la santa Vergine, perché non ho sentito alcuna grazia nella mia anima; non provavo che la voglia di uscire e la disperazione alla vista dei miei peccati».
Durante la ricreazione della sera, si parlò degli angeli custodi. Le suore le do­mandarono se amasse il suo: «Io non vedo niente, non so niente, rispose, desidero Gesù e Maria!». Alla fine della ricreazione, disse alla sua Maestra, quando furono sole: «Io non ho capito niente di tutto ciò che si è detto; sono tutta immersa nei miei peccati; non riesco a vedere altre cose». Satana, lo si vede, era sempre là per ten­tarla e scoraggiarla; ma la preghiera insegnata dall'angelo lo scacciava, come pure l'osservare l'obbedienza.
Il 12 settembre, supplicò di lasciarle praticare la Regola. Mostrando col dito il pavimento della sua cella, diceva: «Vorrei coricare la mia natura lì; vorrei annien-
tare questo corpo, più l'ascolto, più sono malata. Trattatemi come le altre, trovo molto buono ciò che si serve per tutte; quello che è particolare, lo trovo cattivo, mi fa male. È una grazia poter fare come le altre».
Rispose a Madre Elia, che l'interrogava sulle sue disposizioni: «Sono agitata nel corpo e nell'anima, sono come una bambina che cerca suo padre e sua madre sen­za poterli trovare» e piangeva; «voglio Gesù, aggiungeva, non voglio che Gesù, ma è troppo lontano da me, non posso raggiungerlo, ho troppo peccato..Vorrei essere abbandonata tra le mani degli uomini per soddisfare con la mia morte alla giustizia divina, per ottenere misericordia. Ho offeso Dio, questo Dio così buono che mi ha creata e posta sulla terra per amarlo e servirlo. Nessuna speranza per me! Voglio tuttavia sperare, malgrado tutto.
Vedo sempre la mia tomba aperta, tutto passa! Il cielo o l'inferno durano per sempre! Ho tanto peccato, niente ho fatto per Dio! Non ho bisogno che di lui, ed è lontano! I miei peccati lo hanno costretto ad allontanarsi. Gesù non abbandona mai per primo. Sono triste ed annoiata senza Gesù; tutto mi secca lontano da lui. Vorrei esser sola in silenzio, parlare di me, perfino in direzione, mi infastidisce; ma non voglio seguire la mia natura. La volontà di Dio in tutto! Non ho bisogno che di Dio».
Trovandosi lo stesso giorno nel coro, si mise in spirito ai piedi della croce. Le sembrava di respirare il profumo del sangue di Gesù uscente dalle sue piaghe aper­te. Il Salvatore soffermò il suo sguardo su di lei e disse: Spera!. L'indomani, rife­rendo alla sua Maestra questa visione, le diceva con un viso raggiante rivolto ver­so il cielo: «Bel cielo, spero di vedere mio padre, mia madre, i miei amatissimi fratelli! I miei nemici andranno in fondo agli abissi. Gesù tuttavia non mi ha detto Ti perdono!, mi ha detto Spera! Non ho alcuna consolazione, ma il mio cuore spe­ra. lo spero, io spero, io spero».
Dal 10 al 15 settembre, Satana, a più riprese, assunse la forma dei santi per ten­tarla e renderla disperata, per dirle che era destinata all'inferno, che doveva lascia­re il convento; ma lei scoprì sempre le sue astuzie e lo cacciò col segno di croce. Satana la tentò insinuandole di sposarsi; ella formulò questa sublime risposta «Tut­te le mie gioie, tutte le mie speranze, tutti i miei figli sono le umiliazioni, il di­sprezzo e le sofferenze».
Durante questi giorni di prova, domandò, convinta della sua indegnità, di non comunicarsi; ma poi obbedi, malgrado le sue ripugnanze. Un giorno in cui la ten­tazione era più forte, scongiurò la sua Maestra di non obbligarla a fare la comu­nione. Madre Elia, per tutta risposta, posò la sua mano sulla testa della novizia, di­cendole: se hai fede, obbedisci. «Si, Madre mia», riprese subito lei. Dopo il ringraziamento, disse alla sua Maestra «Madre mia, Gesù mi ha dato un poco di speranza per ricompensare la mia obbedienza. Dietro di me, ho visto come un gran­de mare nero, pieno di grosse bestie nere, di serpenti. Davanti a me, ho visto un lun­go sentiero; alla fine di esso, Gesù come nascosto; tutta la strada era coperta di grosse pietre che rendevano il cammino molto difficile. Occorre molto coraggio e buona volontà per camminarvi. Andando avanti si trovano meno pietre. Il grande mare e le bestie si trovano sempre dietro, vicino alle persone che procedono sem­pre più fino alla fine della strada. Ho visto molte persone che camminavano con ar­dore. Quando si arriva vicino a Gesù, la strada diviene dolce; il grande mare nero si cambia in un mare di luce, e, al posto delle bestie, si vedono gli angeli.
A sinistra del grande mare ho visto un piccolo lago la cui acqua non era neris­sima: c'erano anche delle bestie, ma piccole; accanto, si trovano i piaceri. Le per­sone che restano lì, sprofondano nel lago, che diventa tutto nero; le bestie cresco­no, divorano l'anima e la fanno cadere nell'inferno. Vedi,, figlia mia, mi ha detto Gesù, con l'obbedienza camminerai nella strada che conduce a me; il grande ma­re, sono i peccati gravi; coloro che vengono a me, perdono questi peccati e io re­galo loro il cielo, mentre altri meno colpevoli, se restano nel lago, figura del mon­do e della natura, finiscono per cadere nell'inferno».
Un altro giorno, diceva alla sua maestra: «Vedo con l'immaginazione una pic­cola come me, anzi ancora più piccola. La santa Vergine la tiene per mano e la dà a Gesù. Gesù l'offre a suo Padre, che la prende nelle sue braccia e le fa mille ca­rezze. Vedendo questa piccola così amata dal buon Dio, dissi: Se non avessi tanto peccato, sarei, come lei, la fidanzata di Gesù. Oh! quanto sono triste! Non che io mi dispiaccia per le consolazioni gustate da quella piccola; ma Dio mi ha creata per amarlo e servirlo, ed io, ingrata, ho offeso questo Dio così buono!».
Almeno, le domandò Madre Elia, conservi il ricordo delle grazie di Dio?'9«Sì, certo, rispose lei, come dimenticare la grazia del battesimo e quella di essere stata nutrita e protetta da Dio, io, povera orfana, per fare di me una figlia del Carmelo? E ancora il buon Dio permette che mi si custodisca qui, me, povera, ignorante e sempre malata. Oh! quante grazie Dio mi ha fatto! ed io come ho potuto offender­lo tanto? Tuttavia la vista di questa bambina, che mi rassomiglia, che Maria offre a Gesù, e Gesù a suo Padre, mi dà speranza». Tutto a un tratto, la sua figura si animò; elevò le mani e gli occhi al cielo, e dalla sua bocca venne fuori questa preghiera, che così spesso ripeterà in seguito: «Mio buon angelo, offrimi a mia Madre! Madre mia, offrimi a Gesù! Abbia pietà di questa peccatrice! Dammi a Gesù! Gesù, offri­mi a mio Padre! Padre giusto, io mi getto ai Tuoi piedi; ho molto peccato, ma tu sei buono! Hai tutto creato in cielo e sulla terra, con amore, per noi! E io, ingrata, ti ho tanto offeso, o Padre mio! Padre santo, ho fame, tu sei il mio nutrimento! Ho sete, tu sei il mio refrigerio. Sei la mia vita, la mia forza, la mia luce! Sei infinitamente buono, infinitamente grande e noi non ti pensiamo! Davanti ai grandi della terra, noi tremiamo. E te, mio Dio, non ti conosciamo abbastanza; osiamo dimenticarti, offenderti! Mio Dio, abbi pietà di me, di me, così orgogliosa, di me, letame gonfiato, abbi pietà di me! Chi è simile a te? Spero che mi userai misericordia! Mio Dio, mille volte morire, piuttosto che offenderti! Non sono degna di essere con te in cielo; sarò contenta di restare alla porta; almeno, da lì, potrò vederti, te, mia vi­ta, mia speranza, mio tutto! Se tu mi vuoi all'inferno, io andrò per compiere la tua volontà; lascia che ti veda almeno una volta, e dappertutto e sempre ti benedirò, in inferno o in Paradiso».
Ecco la visione che ebbe, il 18 settembre, durante l'orazione: «Ho visto, diceva, un roseto in un luogo oscuro, privo di luce e di calore. Sul roseto, ho visto un'ani­ma. Il roseto era coperto di boccioli di rose appassite, si era in una notte profonda. Di frammezzo al roseto, l'anima alzò la voce verso il cielo, diceva: O sole di giu­stizia, vieni a rischiararmi! Fa' scendere su di me il tuo calore! Vieni a sciogliere questo gelo che mi penetra! Vieni, Gesù, sole di giustizia! Vieni a far fiorire queste rose per tua gloria! Dopo che l'anima ebbe così pregato, ho visto la luce e il calo­re scendere su questo roseto: i boccioli si sono aperti, le rose sbocciate, e il loro profumo ha reso lieto il mondo. Ho pensato allora di ripetere questa preghiera, non per essere come questo roseto (io non sono che letame), ma per attirare il Sole di giustizia sulla mia anima appassita e gelida per il peccato: questa preghiera mi ha dato la speranza». Ed aggiungeva, con incantevole candore: «Posso farlo? Non vo­glio dare importanza ai miei pensieri, io conservo solo ciò che mi immerge nell'a­more di Gesù e nel disprezzo di me stessa».
Il 20 settembre, fu tentata di non comunicarsi, perché si vedeva coperta di pec­cati; ma, sempre obbediente lo fece malgrado le sue ripugnanze. Dopo la comu­nione, vide davanti a sé come una cavità coperta di fiori; al disotto c'era un abisso e lei aveva un piede sull'orlo di questa cavità. Nello stesso tempo, sentì una voce che le disse, dandole un filo: Questo filo è l'obbedienza; la tua volontà è attratta verso questa cavità coperta di rose; questi fiori sono l'immagine dei piaceri, delle fantasie, esse sono marce nella parte inferiore. Se tu avanzi il piede, cadi; segui il filo dell'obbedienza ed entrerai nel cammino che conduce a Gesù. « O Madre mia, diceva lei raccontando questa visione, come è buono Gesù! Quanto voglio amare sempre l'obbedienza! Oh! Obbedienza, ti amo, ti voglio seguire; non ho più voglia di andarmene. Ne avevo un così grande desiderio durante la Messa, per non dover più obbedire, soprattutto per non dovermi comunicare con delle disposizioni così cattive! Con una simile comunione mi sembrava essere l'inferno. Quanto sono cie­ca! Grazie, mio Dio, di avermi illuminata». Durante la notte, Satana tentò di farla uscire, parlandole sotto la forma di santa Teresa; la suora invocò Maria e il demo­nio fu vinto.
L'indomani una celeste apparizione venne a visitarla sotto la forma di Madre Elia. Ecco come lo si seppe.
Vedendo entrare la suora infermiera nella sua cella, la novizia disse tutta con­tenta «Madre Elia è uscita or ora»; e, mostrandole un lavoro ad ago, aggiunse «Ma­dre Elia ha fatto questo cucito per insegnarmi a lavorare bene». L'infermiera si af­frettò ad informare Madre Elia di ciò che aveva appreso; questa si recò dalla novizia per conoscere la verità sul fatto, visto che lei non aveva visitato suor Maria quel giorno. La pregò, senza altro preambolo, di ripeterle ciò che aveva detto. La mala­ta, sorpresa, credette che la sua maestra l'interrogasse così per provarla; le rispose ingenuamente che non se ne ricordava più. Ebbene, riprese Madre Elia, facciamo una preghiera al tuo angelo custode, affinché ti ottenga di ricordartelo. Finita la preghiera, la novizia le disse: «Quando è venuta questa mattina, le ho comunicato le mie impressioni sulla comunione. Ma perché ridirle adesso?» Per farti praticare l'obbedienza, rispose Madre Elia. «Ebbene, riprese subito suor Maria, avevo visto, dopo la comunione, una bambina come me, vestita come me e che mi rassomiglia­va perfettamente; era solo molto più piccola di me. Gesù la teneva nelle sue brac­cia, sembrava la amasse molto. Ero gelosa di questa bambina e ho detto a Gesù: questa piccola è felice, tu l'ami tanto! Sì, io l'amo, mi ha risposto Gesù, vedi come la tengo nelle mie braccia, ma lei non lo sa. Ed io ho detto a Gesù: ma ella è nelle tue braccia! Ah! se fossi al suo posto, ti assicuro che lo sentirei e quanto sarei feli­ce. O piccola, prega per me che non sono che peccato. Tu sei pura, ed io non sono che letame. Questa piccola non mi vedeva. Non guardava che Gesù, e anche Gesù la guardava sempre. La sua vista mi diede tuttavia un po' di speranza. Osai dire a Gesù: o Gesù, tu sei venuto per i peccatori. Io non sarò mai come questa piccola ma infine voglio sperare. Le ho detto tutto ciò questa mattina, Madre mia, e lei ha pianto perché mi ama; anch'io sentivo che lei mi ama; era più amabile di adesso. Usciva da "lei" un profumo che arrecava la grazia nella mia anima. Perché non pos­so sentire, in questo momento, questa stessa grazia? Mi ha detto piangendo: abbi fiducia, bambina mia; la Vergine santa ti ama, è con te; ti guarda, ma tu non la ve­di; sii molto obbediente. Mi ha dato speranza, conto sulla misericordia di Dio così buono, così amabile! Chi è come Dio?».
La notte, diceva con una voce commovente: «Santa Vergine, Madre mia, mi get­to ai tuoi piedi; ho molto peccato, ma ti cerco, Madre amata. Cerco anche Gesù; ma tu ti nascondi, come pure Gesù. O Madre mia, abbi pietà di questo piccolo nulla! O Gesù, perdonami; non voglio più offenderti, abbi pietà di questa povera orfana! Tu non sei venuto per niente sulla terra, non sei venuto per i giusti; sei venuto per salvare i peccatori! lo non ho più Gesù; sono un piccolo nulla abbandonato. Dio mio, Dio mio, misericordia! Tu sei infinitamente buono, spero in te!».
Le tenebre interiori diventavano sempre più fitte, nella sua anima; non si crede­va degna che dell'inferno; fu per pura obbedienza che si comunicò l'indomani. Ri­vide nelle braccia di Gesù la stessa bambina, la quale non sembrava avere che tre anni, sebbene le rassomigliasse in tutto. Amo questa bambina, le diceva il Signore, perché è piccola; i grandi non saranno con me. Queste parole del Salvatore contri­starono la novizia: «Come fare, diceva a Madre Elia. Il buon Dio non ama che i pic­coli, ed eccomi grande; non posso tagliarmi per farmi piccola». La sua Maestra le fece comprendere che Gesù aveva voluto parlare dell'infanzia spirituale, la quale non è altro che l'umiltà; questa spiegazione consolò il suo cuore dissipando la sua pena.
Il 23 settembre, Satana si presentò di persona per venirla a tentare. Se un re po­tente e un esercito nemico venissero a piombare su di te, le disse, che cosa faresti? «Offrirei di tutto cuore queste prove a Gesù». E se si volesse distruggere la tua ver­ginità? «Io mi getterei dalla finestra. O felicità di sacrificare la propria vita per Ge­sù! Vorrei morire martire». Esci da qui, dove si deve sempre obbedire, dove non si può mai seguire la propria volontà; ritirati in un deserto, potrai meglio servire il tuo Dio, contemplerai la creazione. «Mi piace contemplare la creazione nel nostro giardino. Obbedire è per me volontà di Dio». Verrà nell'Ordine, una grande santa, conoscerà tutti i tuoi peccati e ti farà mandare via. «Se è santa, avrà una grande ca­rità; spero che avrà pietà di me».
Satana andò via furioso; la novizia ringraziò il Signore dicendo «La grazia di Dio mi ha fatto vincere il demonio, da sola, non posso niente».
Satana ritornò presto alla carica e le disse Tu non amerai mai Gesù. «È vero, ri­spose lei, che non amo Gesù come dovrei e come merita, ma voglio amarlo. Vatte­ne, Satana, io almeno non ho il desiderio di amare te, per te nient'altro che di­sprezzo!». Tu sarai causa dell'uscita di tale suora. «Amo questa suora, prego per lei, se esce non ne risponderò; quanto a me, non voglio uscire». Ma tu sei sempre malata. «Non amo il mio corpo, vorrei vederlo ridotto in cenere». Tu sarai con me. «Con te, Satana? Tanto meglio, ti odierò un po' di più, cercherò Gesù un poco di più: vorrei vederti sempre come ora, perché non dimenticherei mai Gesù». Il de­monio se ne andò.
Le si domandò un giorno se fosse tentata di orgoglio; questa domanda parve sor­prenderla. «Eh che! lei rispose, un letamaio come me potrebbe avere orgoglio? Oh no!». Ne hai più di quanto non credi, replicò la sua Maestra; più se ne ha, meno si pensa di averne. «Lo credo, visto che me lo dice lei, riprese umilmente, ma ho tan­to peccato! Non sono che peccato! Che cosa potrebbe fare inorgoglire, me, povera ignorante, sempre malata e senza virtù, che non sa né leggere, né parlare? Che 'po­sto c'è in tutto ciò per l'orgoglio?».
L'indomani, per mantenerla nell'umiltà, Dio le mostrò gli angeli custodi delle suore sotto le vesti di graziosi bambini, mentre, accanto a lei, vide un grande de­monio nero, con un bastone in mano. Questo contrasto dapprima la spaventò, ma colse subito la lezione che il Signore voleva darle. «Questo demonio, disse, è la mia immagine; esso è grande: ecco il mio orgoglio; esso è nero: ecco i miei peccati. Mio Dio, abbiate pietà di me!». Domandò il permesso di raccontare davanti a tutte le suore ciò che aveva visto, e le scongiurò di pregare per lei, per ottenerle un po' di umiltà.
Una nuova lotta si ingaggiò tra il demonio e la novizia: Ti sei riposata, le disse Satana, invece di lavorare. «Sì, mi sono coricata, rispose lei, per obbedienza; pre­ferisco più di tutto obbedire». Tu ti sei pettinata. «Sì, mi sono pettinata per decoro. Gesù ama il decoro, io l'ho fatto per Gesù e non per te: tu sei sporco, vattene! Io offro tutto a Gesù. Se non avessi offerto tutto a Gesù, il resto sarebbe per te, ma io ho offerto tutto. Oh! quanto l'obbedienza è buona: è mio fratello; l'umiltà, è mia madre; la semplicità, è mio padre. L'obbedienza è Gesù; l'umiltà è Maria; la sem­plicità è Giuseppe, ecco i miei modelli. Satana, angelo decaduto, ti disprezzo!». Ec­co la mia grandezza, le mie ricchezze; io le do a quelli che mi seguono, sono re. «Tu, re! Gesù solo è il mio re; preferisco essere povera con Gesù. Tieniti il tuo re­gno, le tue belle campagne, i tuoi polli, il tuo grande arrosto, preferisco il pane sec­co con Gesù. Ti disprezzo come una carta straccia. Dici che mi dai delle noci? Vuoi conoscere le mie noci? Le mie noci è sospirare dietro Gesù. E ti sto per dire quale è il mio pane: è Gesù; è la sofferenza di ogni istante, è l'amore: ecco il mio pane, ecco la mia bevanda. Io disprezzo la tua bevanda, la tua acqua zuccherata, la tua ac­qua odorosa. Ho sete di anime, del calice della sofferenza: questa è la mia bevan­da. Tieni per te i tuoi piaceri, le tue ricchezze, i tuoi regni, preferisco la povertà. Tu dici che io diverrò cieca? Tanto meglio: la cecità mi farà andare da Gesù. Gesù sarà la mia luce; l'obbedienza sarà la mia luce. Felici gli occhi sempre chiusi! Gesù sarà la loro luce. Tutto passa sulla terra. Se quaggiù io fossi sempre nelle tenebre e nel­la sofferenza, nel cielo gioirò sempre con mio Padre».
È così che la novizia trionfava sempre sugli assalti di Satana.
Durante la recita dell'ufficio dei morti, sembrò un giorno molto felice. Raccon­tava che le sembrava di vedere, le povere anime del Purgatorio come tante piante inaridite; la preghiera delle suore cadeva su di loro, come la rugiada dal cielo, ren­deva loro la freschezza e la vita.
Nei rapporti di suor Maria di Gesù Crocifisso con Dio, quello che dominava era lo spirito di infanzia. Esprimeva un giorno in modo incantevole questo stato della sua anima. «Io sono, con il buon Dio, diceva, come un bambino con suo padre. Se il padre è ricco, il bambino reclama sempre nuovi alimenti, abiti nuovi sempre più belli; egli ama cambiare tutti i giorni. lo sono così con il Padre mio del cielo, così ricco. Non conservo niente di ciò che mi dà ogni giorno, gli restituisco tutto. Gli di­co: Padre amato, tua figlia è povera, non ha niente; ma tutto ciò che è tuo mi ap­partiene. Dammi qualche cosa per oggi, dammi la tua parola: quanto è dolce! Dam­mi il tuo amore, perdona i miei peccati».
Ascoltiamo gli eccellenti consigli che ella dava un altro giorno in estasi: «All'i­nizio della vostra orazione, riconoscete la vostra debolezza, la vostra povertà. An­date da Gesù, domandate di illuminarvi, di attirarvi, in ogni cosa diffidate di voi stessi; temete prima di tutto le vostre azioni. Pensate a Gesù, unitevi a Lui. Prima della preghiera, prima del lavoro, unitevi al suo spirito quando era sulla terra. Pen­sate all'amore del Padre che vi ha dato Suo figlio per prendere la vostra forma; non è venuto come un angelo, né come un Dio, ma è venuto nella vostra forma per es­sere vostro modello in tutto.
Praticate l'umiltà: avrete la luce. Praticate l'obbedienza: possederete la via. Pra­ticate la carità, diventerete puri. Praticate la pazienza, la dolcezza, avrete qualche cosa da offrire a Gesù. Prima di ogni azione, invocate la luce, la grazia dello Spi­rito Santo. Dite: Mio Dio, abbi pietà di me; vieni in mio aiuto! Gesù non è rima­sto che trentatré anni sulla terra per insegnarci a profittare del tempo, a lavorare per l'eternità. La terra deve essere resa alla terra, le vostre opere sussisteranno. Se voi avete lavorato per Gesù, andrete in Cielo con Dio a godere tutta un'eternità. Vede­te se potete misurare l'eternità, pensateci. Siate umili, piccolissime quaggiù. Felice l'anima che cerca sempre di essere niente, di essere l'ultima dappertutto! In cielo sarà la prima.
Se fate qualche volta degli errori, non scoraggiatevi; umiliatevi, confessate la vostra debolezza, la vostra miseria; ricorrete sempre a Dio. Guardatelo sempre, amatelo, pensate a Lui».
Il Vescovo di Bayonne, su richiesta della Priora, aveva autorizzato Padre Save­rio,` carmelitano, ad entrare nella clausura per esaminare più da vicino lo stato straordinario di quest'anima. La novizia era rapita in quel momento e versava la­crime. «Piango per i miei peccati, diceva con una voce commovente; piango per i peccati del mondo. O peccatori, se conosceste la grandezza di Dio, non pecchere­ste mai. Aggiunse rivolgendosi al demonio: Satana, tu rubi le anime a Dio, tu le ac­cechi; tu non puoi donare niente, tu prendi; tu inganni le anime, tu le perdi; esse ab­bandonano Dio per seguirti. Tu prendi ciò che Dio ha creato, tu non hai niente di tuo. Mostra la tua grandezza. Bestia villana! Tu dici che io non vedrò mai Dio! Eb­bene, io non ho bisogno di vedere Dio sulla terra; la fede mi basta. Mio Dio! Io non desidero che tre cose, tre virtù: l'obbedienza, l'umiltà, la semplicità. L'obbedienza, è Gesù; l'umiltà, è Maria; la semplicità, è Giuseppe». Un linguaggio così pieno del­lo Spirito di Dio, non poteva venire che da Dio.
Il giorno della festa di santa Teresa, suor Maria di Gesù Crocifisso poté seguire tutti gli esercizi della comunità. Domandò di confessarsi prima della Messa, perché aveva bisogno del permesso del confessore su un punto. «II sacerdote, disse a que­sto proposito alla sua Maestra, rappresenta Dio, è Lui che io ascolterò: parola del sacerdote, parola di Dio per me. Se il sacerdote mi dice che posso raccontarglielo, lo farò. Nel sacerdote, io non vedo che Dio; non cerco la scienza del sacerdote, ma la virtù di Dio in lui».
Avendo il confessore permesso alla novizia di riferire tutto alla sua Maestra, andò subito a trovarla e le parlò così: «Ho visto che avevo tre montagne da supera­re: la prima, un po' nera, l'ho scalata con fatica. Giunta alla cima ho visto uscire dalla montagna un uccello bianco, che mi ha detto: Io amerò colui che ama mio Pa­dre; sarà il mio prediletto. La seconda montagna era tutta nera; ho potuto scalarla con grandissime difficoltà. Una volta sulla cima, ho visto uscire dalla montagna un grazioso agnellino tutto bianco, dagli occhi molto dolci; avrei messo questo agnel­lino nel mio cuore. Egli mi ha detto: Io domando per colui che ama mio Padre il nome del Suo amatissimo Figlio e il nome della madre dell'Amato Bene. La terza montagna, sebbene più scoscesa, non era così nera come le prime due; dietro la cima, vedevo degli alberi in fiore. Raggiungendo la cima, ho sentito il profumo dei fiori, che mi ha dato speranza e gioia. Dal centro della montagna è uscito un uc­cello più bianco e più bello del primo e perfino dell'agnello. Mi ha detto: vado a dire al Padre, dona ciò che l'Agnello Ti ha domandato per colui che Ti ama, il no­me del Tuo amatissimo Figlio e il nome della madre dell'Amato Bene: Maria di Ge­sù Crocifisso. Ho compreso che si trattava di me; ciò mi ha dato buone speranze ma temo che non sia altro che il demonio, per farmi cadere nell'orgoglio. Ed ho detto: Va, Satana, non sono che una povera peccatrice, e tuttavia spero, la misericordia di Dio è grande. Io non sono niente per me stessa, nient'altro che peccato; ma Dio in me può fare contro di te, Satana, grandi cose».
Un altro giorno, durante l'orazione, provava un fortissimo desiderio di vedere Dio conosciuto ed amato; ella compiangeva tutti quelli che non amavano Gesù. «Compiangevo perfino Satana, diceva. Allora ho visto un pollo nero in una prate­ria arsa e ho detto: Povero Satana, io ti compiango, tu non ami Dio. Nello stesso tempo ho visto cadere tutte le penne di questo pollo, e lo stesso pollo è sparito nel­la terra.
Ho visto in seguito una grande vacca nera dalle lunghe corna. lo ero, sulla mon­tagna, più in alto della vacca, la quale tentava in vano di raggiungermi, e dicevo: Povero Satana, ti compiango, tu non pensi che al male. Tu non ami Dio e vorresti impedire agli altri di amarlo. Tu rubi le anime. Una voce mi ha detto: Eh che! Hai carità anche per Satana? lo ho risposto: No, non ho carità per Satana, ma vorrei vedere Dio amato da tutti, perfino da Satana. La voce ha ripreso: Che faresti se Dio ti desse potere su Satana? Mi servirei di questo potere per obbligarlo ad amare Dio. Mentre formulavo questa risposta, ho visto le corna della vacca incrociarsi e cade­re, anche il pelo è caduto e la vacca è sparita sotto terra.
Ho visto ancora un altro animale immondo, con degli occhi rossi come fuoco, ed ho cominciato a compiangere Satana. La stessa voce mi ha detto: Che faresti, se Dio ti rendesse padrona di Satana? Lo forzerei ad amare Dio, se non fosse possi­bile, lo incatenerei per non fare del male alle anime e non impedire loro di amare Dio».
La novizia raccontava tutto ciò che vedeva con la più grande semplicità, senza nemmeno domandarne il significato. Le tre montagne si ripresentarono al suo sguardo. Una voce le disse allora: Se tu sali le prime due, sarai Maria di Gesù Cro­cifisso. Ella scorse in seguito sulla terza montagna un bambinello che le disse: Se tu superi la terza montagna, ti si chiamerà beata Maria di Gesù Crocifisso.
«Non ho capito niente di tutto questo, disse ingenuamente, ma ho temuto che Sa­tana abbia voluto farmi perdere sulla via dell'orgoglio e mi sono umiliata; ho visto che ero soltanto peccato. Tuttavia, voglio sperare nella misericordia di Dio. Ho det­to a Satana, Dio farà tutto in me, e, tuo malgrado, la sua misericordia mi salverà».
La sera, dopo mattutino, si faceva beffe del demonio: «Satana, gli diceva, ho vi­sto, durante il Te Deum, una colombina posarsi sul mio breviario, muoversi sul li­bro e riposarsi sul mio petto, sul mio viso; la sua presenza mi ha riempita di gioia.
Ti ho visto, Satana, con tutti i tuoi simili, somiglianti a mosche nere, occupate a di­strarre le suore. Alla vista della colomba, avete tutti preso la fuga, colti dal timore. Credi, Satana, che Gesù mi lasci da sola? No, no, è lui che mi ha mandato la co­lombina per consolarmi. Sii certo, Satana, che, se Gesù è con me, io sarò un gior­no la tua padrona, e, come tu vieni da me col permesso di Dio, verrò da te per in­catenarti col permesso di Dio.
Va', Satana, colui che Gesù custodisce non perirà mai. lo non sono niente, ma, con Gesù, ti schiaccerò. Un istante con Gesù mi fa dimenticare tutto ciò che tu mi fai soffrire. Che dici, Satana? che nessuno ti ha mai parlato come faccio io? vieni per farmi inorgoglire? Vattene. So quanto sono debole. Se Gesù non mi custodisse, sarei peggio di te; ma, se Gesù mi protegge, mi dà la sua forza contro di te. Se Ge­sù tenesse una paglia, anche se voi tutti accendeste il fuoco sotto questa paglia, es­sa non brucerebbe. Tu mi hai fatto soffrire molto per due giorni. Gesù, per ricom­pensarmi, mi ha mandato la colombina.
Tu dici, Satana, che tormenterai ancora il mio corpo? Ti aiuterò per questo, per­ché il mio corpo, come te, è contro di me. Se la natura ora soffre, più tardi verrà la gioia. Va', Satana, io non ti temo. Ho con me quella che ti ha schiacciato la testa, Maria; Ella è mia Madre! Tu ti arrabbi, Satana? Sì, Maria è mia Madre. Amatissi­ma Madre, Madre mia! Madre di Gesù! Buona Madre, non so se è il Tuo spirito che mi ha visitato; è comunque un messaggio di Dio che è venuto sul libro, sul mio vi­so e che mi ha detto di sperare. lo lo faccio, spero. O Maria, Madre di Gesù e Ma­dre mia! Lontano da te la mia anima languisce, il mio cuore si annoia. Quando sarò con te?».
L'indomani, la lotta contro il demonio continuò, sebbene la suora fosse sofferente. «Sei dunque tu, diceva a Satana, che getti dei vermi nella mia porzione di cibo (le suore l'avevano constatato più volte)! Tanto meglio! lo ho domandato a Dio di trovare il nutrimento sempre cattivo, per non avere alcun piacere sulla terra, né per il gusto, né per altra cosa.
Tu mi dici che ho mancato di carità? lo amo il prossimo più di me stessa. Per­ché mi invidi? Perché Dio mi ama. Sì, mi ama, benché io non sia che miseria e pec­cato; e questo amore che mi porta fa ancor meglio risplendere la sua misericordia.
Sei tu che sei venuto un giorno, portando una croce, il costato aperto, una coro­na di spine sulla testa con un angelo che ti sosteneva? Tu mi hai detto: Figlia mia. Come sei furbo! lo non sono tua figlia, Satana. Hai continuato: Sono i tuoi peccati che mi hanno coronato di spine; è il tuo orgoglio che mi fa così soffrire. Io ti ho fat­to tante grazie e tu non sei fedele! tu non sei per me, sei pèr l'inferno. Così sia, Sa­tana! no, io non sono per te: tu volevi scoraggiarmi, e questa tentazione è servita a darmi un po' più di coraggio e di forza.
Un altro giorno, sei venuto nelle vesti di un angelo; sì, Satana, come un angelo; ma Dio mi ha fatto sempre la grazia di riconoscerti. Tu mi hai detto: Sono il tuo an­gelo. Poiché tu non sei fedele, io ti lascerò. Così sia, Satana, vattene, vattene! Mi hai detto ancora: Non hai seguito le mie ispirazioni, tu dici sempre tutto alla vecchia (alla sua maestra). Se, da questo momento, tu sarai fedele nel conservare tut­to nel tuo cuore, senza dire niente, otterrai misericordia, Dio ti perdonerà. O Sata­na, tu volevi farmi mancare all'obbedienza!
Sì, va' ad agitare il mondo intero, mettilo contro di me, come sarò contenta! Non mi scoraggerò mai, anche quando il mio corpo fosse coperto di piaghe e ne uscisse­ro i vermi, quando mi si gettasse in un angolo, spererei sempre. Vedi fin dove va la mia fiducia in Dio: anche se fossi senza soccorso, senza risorse, incapace di muover­mi, credo che la terra si cambierebbe in uccelli per portarmi ciò di cui ho bisogno; credo che diventerebbe per me dolce come un materasso. Credo che, se avessi sete e le mie mani, diventate putride, non potessero prendere l'acqua, Dio farebbe venire l'acqua da sola nella mia bocca. Vedi, Satana, fin dove va la mia fiducia in Dio.
Aspetta, aspetta, Satana, aggiungeva con una ironia tutta soprannaturale, ti can­terò una canzone:
Bell'Angelo il primo Precipitato l'ultimo; Sì, un piccolo nulla Ti tiene per mano Incatenato come un cane. O quale mistero, Venire da così lontano! Un piccolo pulviscolo, Venuto dalla terra, Sarà posto angelo di luce.
Ecco, Satana, la spiegazione del canto: Eri un angelo così bello, e, per il tuo or­goglio, sei divenuto così brutto! Ci chiami sempre polvere; è vero che noi lo siamo, ma la misericordia di Dio ci metterà al tuo posto; e tu, Satana, abbaierai come un cane. Angelo delle tenebre, angelo del male, angelo di pigrizia, angelo di tristezza, nero come un cane. Puoi ben abbaiare, ma non puoi fare altro contro quelli che non ti temono. Resta ancora un po', ti canterò tutta la canzone; altrimenti, finirò di can­tartela in India: sono ventiquattro strofe». Satana fuggì via, e la novizia espresse la sua gioia battendo le mani.
Le prove interiori erano quasi continue. La vista dei suoi peccati la gettava in una profonda tristezza, ma una voce dolce la richiamava al ricordo di Dio, dicen­dole: L'anima che si occupa troppo di se stessa, perde di vista Dio; rimane chiusa in se stessa, perde di vista Dio; rimane chiusa in se stessa, invece di andare a Dio.
Bisognerebbe poter annotare tutte le comunicazioni soprannaturali che ella ri­ceveva. Indichiamo almeno le più toccanti e le più istruttive.
Il 31 ottobre, vide una formica alata; sentì nello stesso tempo una voce che di­ceva: Mio Padre ama molto questa formica, perché è piccola; sulle ali di questa formica, Egli costruirà una grande casa.
Accanto a questa formica, vide un gigante caricare sulle spalle un fastello di pa- '
glia che non riusciva a portare; si piegava sotto il fascio e cadeva per terra, mentre la formichina sosteneva sulle sue ali il peso di una grande casa. Non comprenden­do niente di questa doppia visione, senti la stessa voce dirle: Amo questa formica perché è piccola; e per questo costruirò una grande casa su di lei. E la novizia, sempre nella stessa felice ignoranza, esclamava: «Non so chi sia questa formica! Ma vorrei essere come lei».
Lo stesso giorno, nella sua cella, si intrattenne con un bambino misterioso. «Bambino, gli disse in estasi, tu mi porti il frutto della sofferenza; lo accetto, per quanto sia amaro, poiché Gesù lo vuole. Solamente, per aiutarmi a mangiare que­sto frutto, portami anche il chicco della pazienza».
Il 2 novembre, si lamentava col Signore di essere amata dalle creature. Una vo­ce dolce le rispose: Chi ti amerà mai come Gesù? Tutto l'amore delle creature non potrebbe eguagliare l'amore costante e generoso che Dio ti porta. L'affetto delle creature si raffredderà presto. Se tu dispiaci in qualche cosa alla persona che ti ama di più, ella cesserà subito di amarti, invece Gesù ti ama sempre. Ti aiuta a rialzarti, se cadi, e anche se lo offendi, egli ti perdona.
L'indomani, ella diceva a Dio nella preghiera: «Mio Dio, sei tu che hai creato tutte le cose; tu dai loro ciò di cui hanno bisogno. Sei tu che hai creato le erbe del giardino; dai loro l'aria, la pioggia, il sole, perché non periscano. Io sono come l'er­betta, ho bisogno di te; ho bisogno di pioggia, di sole: abbi pietà di me! Tu solo, Si­gnore, puoi farmi vivere, così come tu solo conservi queste erbe».
Durante la messa, vide un giardiniere che teneva dei rami in mano; egli li ri­mondava. Tagliava i rami secchi che cadevano a terra: solo quelli buoni restavano nella sua mano ed erano in piccolissimo numero. Questo giardiniere le disse: Mi ami tu? Vuoi farmi un po' di posto nel tuo cuore? «No, no, rispose la ingenua fan­ciulla, non comprendendo che questo giardiniere altri non era che quello di Maria Maddalena, io non voglio amare che Gesù». Il giardiniere riprese: Vedi questi cat­tivi che preparano una guerra? essi faranno delle fosse per far cadere i buoni; que­ste buche saranno per loro; io prenderò i buoni nel mio giardino. Mio Padre non è amato. «Giardiniere, gli rispose la novizia con la sua incantevole semplicità, mi parli sempre di tuo padre! Chi conosce tuo padre? Noi non abbiamo che un Padre, che è nel cielo! È lui che deve essere amato».
Il giardiniere è ritornato durante l'orazione della sera, diceva suor Maria, tene­va in mano un lungo bastone sormontato da una piccola croce. Mi ha detto: allar­ga un poco il tuo cuore per darmi lì un posto; sebbene io sia grande, tu puoi far­mici entrare. Io ho risposto: no certamente, solo colui che mi ha creata può ingrandire il mio cuore; il mio cuore è interamente per lui; io non amo gli uomini, non amo che Gesù. Sentendomi parlare così, il giardiniere sorrideva, e nascondeva il suo viso con la piccola croce, ed io sentivo molto amore nel mio cuore, ma per Gesù solamente. Io, che non amo gli uomini, vedo ora un pastore, ora un giardinie­re. Non mi occorre che Gesù!».
Lo stesso giardiniere ritornò il 5 novembre durante l'orazione: Io voglio accompagnarti in India, le disse. «Resta nel tuo giardino, ella gli rispose, ho abbastanza da Gesù». Ami mia madre? riprese il giardiniere misterioso. «Sì, io la amo, se ella ama Gesù». E girandosi dalla parte di un angelo che era là sotto forma di un bam­bino, gli disse: «Bambino, questo giardiniere viene a vedere tutti i giorni se c'è un posto per lui nel mio cuore; non c'è posto che per Gesù. Bambino, dimmi perché il demonio fugge quando il giardiniere arriva».
In mezzo alle sue sofferenze, ella esclamava: «O Gesù, niente quaggiù mi può contentare! Te solo, o Gesù! O Gesù mio amore, quando verrò? Quando ti posse­derò? O Gesù, fratello mio! Tu sei il mio Amico, il mio Sposo». E rivolgendosi alla sua maestra: «Vede, Madre mia, che famiglia che ho in cielo! Dio Padre, mio crea­tore! Gesù, mio Sposo! La santa Vergine, mia madre! San Giuseppe, mio papà! Pa­dre Elia, mio nonno e mio padrino! Santa Teresa, mia madrina!` Gli angeli, miei cu­stodi! Gli apostoli, miei fratelli! San Giovanni, mio fratello! Tutti i santi, miei amici! Che famiglia! Ma io ho tanto peccato! Come presentarmi davanti a questa famiglia? Ah! Come il cielo è più grande della terra, così la misericordia di Dio è più grande dei miei peccati. Se io gettassi quattro bottiglie d'acqua sporca nel mare, l'acqua del mare non si sporcherebbe. Per questo i miei peccati davanti a Dio sono come queste quattro bottiglie gettate nel mare. O mio Dio, spero nella Tua misericordia».
11 13 novembre, raccontava ciò che aveva visto: «Gesù, diceva, mi ha mostrato un'anima profondamente addormentata, circondata da serpenti che la mordevano; ella non sentì nemmeno i loro morsi: Guarda, mi ha detto il divino Maestro, la pioggia cade su di lei, il sole la illumina, ed ella dorme sempre! E non sente nien­te, tutto diventa inutile per lei. È la figura dell'anima tiepida, addormentata nel male; i serpenti sono le tentazioni; l'acqua, la mia grazia; il sole, la mia luce; io le mando tutti questi beni, ed ella non profitta di niente. O Gesù, questa anima, so­no forse io, illuminatemi!».
Il 14 novembre, il vescovo di Bayonne venne al Carmelo. Dopo la messa, entrò nella clausura con il Rev. Abate Manaudas. Costui raccontò di nuovo a Monsigno­re, proprio sul luogo, tutto ciò che egli aveva visto e provato durante la possessione, soprattutto nel momento del passaggio di Gesù. Sua Eccellenza ascoltava tutti que­sti dettagli meravigliosi con il più vivo e il più religioso interesse. Guardando il let­tino dove si trovava la novizia al momento della sua liberazione, disse alle suore con una grande emozione: Volete vendere questo letto? Io lo comprerei volentieri. Si fe­ce leggere una parte degli insegnamenti dell'Angelo durante i quattro giorni di esta­si che seguirono la possessione; non nascose la sua ammirazione per una tale dottri­na, dichiarandola pienamente conforme a quella della chiesa. Ma la semplicità della novizia, ignara di tutto, pur se oggetto di favori così eccezionali, fu ciò che lo com­mosse di più. La vide privatamente, e questo incontro aumentò ancora di più la sua gioia. La novizia, da parte sua, era commossa della bontà del suo vescovo.
L'indomani fu un giorno di grandi sofferenze. Per distrarla, le si portarono due pesciolini in un. vaso pieno d'acqua, sembrò dimenticare per un istante i suoi dolo­ri. Disse loro: «Pesciolini, benedite il Signore che vi ha creato»; e, siccome si ac­corse che aprivano la bocca, aggiunse «È così, che dobbiamo fare per Gesù; è così che dobbiamo attirarlo nella nostra anima con le nostre aspirazioni».
Durante i vespri, la si era lasciata sola con una colomba e i due pesciolini. La sua Maestra, al ritorno, la trovò addormentata. La colomba riposava sulla sua testa; i pesciolini usciti dall'acqua, ma pieni di vita, stavano sul ripiano del suo capezza­le. Svegliandosi esclamò: «Questi pesciolini vengono da me, perché io li amo e li curo. Devo così andare a Dio, al Dio che mi ha creata e che mi ama molto più di quanto io non ami questi pesci. Spero che mi userà misericordia».
Pregò Monsignore di benedire quei pesci e gli domandò di poterli conservare in un vivaio. Perché, le chiese il vescovo, ci tieni ad avere questo vivaio e questi pe­sci? «Perché, rispose lei, questi pesciolini sono creature del buon Dio». Ma, ripre­se il prelato, il buon Dio non ha creato tutto? «Sì, senza dubbio, rispose ancora; ma questi pesci, aprendo la bocca, fanno pensare a Gesù; e poi, Gesù ha amato i pesci, e ne ha mangiato». E siccome ella insisteva per avere un vivaio, il vescovo le dis­se: Ora basta, figlia mia. «Sì, Monsignore, se questa è la volontà di Dio, Egli lo farà per me, e non ci penserò più». Abbiamo citato questo episodio per dimostrare come la più amabile semplicità fosse unita in questa anima a degli stati così straor­dinari.
E ciò che vi era ancora di più sbalorditivo, era la sua completa ignoranza in ri­ferimento a se stessa. Un giorno che si parlava davanti a lei di un'anima condot­ta per vie straordinarie, disse alla sua maestra: «Madre mia, quanto compiango questa anima! Ve ne sono così poche che non siano nell'illusione! Dio ci preser­vi da questi stati». Tu non vorresti dunque esserci? le chiese Madre Elia. «Piutto­sto morire, rispose; Madre mia, bisogna bene volere ciò che Dio vuole ma io guar­do questi stati come un castigo di Dio; è così facile cadere nell'orgoglio!». Conosci questi stati? «Sì, Madre mia, ho visto ad Alessandria una persona simi­le. Si correva da ogni parte per consultarla e per raccomandarsi alle sue preghie­re; il suo confessore la considerava una santa. La prima volta che la vidi, mi sem­brò sentire una voce interiore che mi diceva: È sotto l'azione del demonio. Feci conoscere le mie impressioni al suo confessore che era anche il mio; mi trattò da orgogliosa. "Ha ragione, Padre mio, gli dissi, ma se vuole conoscere la via di que­st'anima, la umilii, faccia finta di disprezzarla, e ciò a più riprese, perché il dia­volo può fare sopportare esteriormente una umiliazione per meglio ingannare in seguito". Il sacerdote seguì il mio consiglio. Quest'anima sembrò dapprima ac­cettare bene la prova; ma, la seconda volta, divenne triste, e si lamentò perfino di non essere compresa; lo scoraggiamento non tardò a venire. Tutti questi stati straordinari cessarono come per incanto. Il rilassamento la condusse ben presto alla apostasia. Abbandonò la vita religiosa, che aveva abbracciato da lungo tem­po, due mesi dopo, si sposava».
Suor Maria di Gesù Crocifisso era continuamente tormentata riguardo alle sue Comunioni. Il demonio tentava di farle credere che lei ingannava i superiori, e che era per questo motivo che le si permetteva di comunicarsi. Malgrado tutto ella ob­bediva. Nostro Signore, per ricompensarla di quest'atto di obbedienza, le mostrò un giorno degli uccelli immersi nell'acqua; alcuni uscivano facilmente dall'acqua con l'aiuto delle loro ali; altri vi restavano tuffati, perché non avevano affatto ali. Gesù le disse: Figlia mia, l'obbedienza è per l'anima ciò che le ali sono per l'uccello. In­cantata da queste parole del divin Maestro, ella gli testimoniò la sua riconoscenza recitando subito il cantico dei tre fanciulli nella fornace.
Ascoltiamo una delle sue preghiere della sera, che ella raccontava in estasi: «Ve­devo, diceva, due bambini che sembravano avere sette anni. Li vedevo come con gli occhi del corpo. Uno teneva in una mano un calice, nell'altra una croce ed una co­rona di spine. Il secondo mi presentava un vestito più bianco della neve, una bella corona di rose e profumi raffinati. Il bambino che portava la croce mi disse: Scegli. Io gli risposi: "Piccolo, va a domandare a Gesù di scegliere per me: il suo gradi­mento è il mio gradimento; la sua volontà, la mia volontà". Il bambino mi sorrise e mi disse: Colui che sceglie quaggiù la croce avrà un giorno la corona di rose; co­lui che sceglie, durante la vita, la rosa e i profumi avrà più tardi la spina: tutto per lui si cambierà in dolore. Io risposi: "Piccolo, io non voglio scegliere niente, per­ché sono debole; vai a dire a Gesù che preferisco che scelga lui per me. Se sceglie per me la croce, la corona di spine, il calice per tutta l'eternità, io sarò contenta, perché egli lo sarà". Il bambino ha pianto e tutto e scomparso. Tutto ciò è senza dubbio frutto dell'immaginazione, e non mi ci fermo».
Nelle sue sofferenze più vive, quando le suore le offrivano qualche sollievo, di­ceva: «Tutto passa! Dopo la mia morte non avrò più un corpo che possa soffrire per Gesù; lasciatemi dunque profittare del tempo per soffrire tutto ciò che potrò per lui. lo non vedo né sole, né stelle, né terra, né acqua, né alcuna creatura, né Dio, né Sa­tana; vedo solo me e la sofferenza che mi circonda».
Il giorno della festa di san Francesco Saverio, tutta la comunità fu testimone di una scena tanto eloquente quanto incantevole, sebbene silenziosa. Si vide la novi­zia fissare una apparizione celeste, che le chiedeva lo spogliamento di tutto; con i suoi gesti espressivi, la suora diede a questa apparizione tutte le parti del suo cor­po. Costei accettò tutto, ma reclamò di più. La suora si tolse allora tutti i suoi abi­ti, ad eccezione della tunica, e glieli diede. L'apparizione prese gli abiti, ma volle di più. Non sapendo più che darle, la suora fece comprendere con segni che si era disfatta di tutto con la sua entrata in religione. Tutto ad un tratto ella si alzò, si ste­se sul pavimento, con la sua croce in mano, e restò immobile, come morta, per esprimere la morte a tutto: ciò costituì la perfezione consumata. Ritornando in sé, esclamò: «Rientriamo nella terra come ne siamo usciti. O Gesù, offro il mio corpo per la Chiesa. Noi veniamo nudi sulla terra; dobbiamo rientrare nudi nella terra».
O mio Dio, diceva un giorno dopo la Comunione, rendimi fedele alle piccole illuminazioni, alle piccole ispirazioni, per non cadere nell'inferno».
Le sofferenze, che non cessavano, provavano che Gesù aveva scelto per lei la croce. «Io sono contenta, diceva; avendo Gesù, scelto per me la croce, è obbligato ad aiutarmi a portarla».
Il demonio usava largamente del permesso che aveva di tormentarla. In una cir­costanza, gettò una tale quantità di spilli nel suo cibo, che la povera vittima, che li inghiotti, ne soffrì orribilmente per tre settimane. Sentiva nell'interno del suo corpo come una catena che saliva e che scendeva strappando le pareti del suo stomaco; i dolori erano indicibili. Il medico, chiamato, non capì niente di questo stato; era im­possibile sollevarla. Dopo parecchi giorni di vero martirio, ella riuscì a rigettare al­cuni di questi spilli. Li si mostrò al medico, che ne parve sorpreso e spaventato. Non supponendo niente della malizia del demonio, credette che la suora avesse inghiot­tito questi spilli per una mortificazione mal capita. Sorella mia, le disse con una vo­ce severa, questi spilli sono stati così contorti da qualcuno, e questo qualcuno, sei tu. Confessa la tua mancanza. «Lei si inganna, signore, gli rispose con un dolce sor­riso, io non ho né combinato in questo modo, né inghiottito volontariamente questi spilli; bisognerebbe essere pazzi per agire così; farlo nel pieno possesso delle pro­prie facoltà sarebbe un errore grave. Dio mi vede e l'inferno è là. Io non sono venu­ta qui per fare simili cose. Tutto passa in questo mondo e Dio ci giudicherà».
Il disprezzo che aveva del suo corpo ritornava spesso sulle sue labbra: «O cor­po, diceva, ben presto sarai sotto terra; tutto passa per te; guarda il sepolcro. Nella tomba godi dei piaceri, desideri begl'abiti, un buon nutrimento? Vedi la tua gran­dezza nella tomba; i vermi, piccole bestie, ti divoreranno; essi sono più di te. Quan­do tu vivevi, schiacciavi i vermi; nella tomba i vermi ti mangiano; nella tomba, sei nascosto a tutti gli sguardi.
Ma la mia anima sale verso Gesù, la mia anima vede Gesù, lo benedice e lo ama sempre. Tuttavia, io ho tanto peccato! Come sperare di andare in cielo? Sì, mio Dio, io spero, perché ho molto peccato: in cielo, io farò risplendere, più di tutte le mie consorelle, le misericordie del Signore!
Qui, non ho niente da soffrire. Sarei felice se mancassi di tutto! Ma non ne so­no degna. Oggi, avevo un desiderio così ardente di morire martire! Una voce mi ha detto: Tu non meriti questa grazia. Ho subito risposto: "Almeno, mio Dio, martire della povertà! Oh! Se avessi la felicità di morire di fame! Ma no, supposto che io non avessi pane, Gesù farebbe un miracolo per darmene. La voce mi ha detto: Quanto è grande la tua fede! Io ho pensato subito che fosse Satana che mi parlava così per farmi cadere nell'orgoglio. Confesso tuttavia che questa voce mi ha ispi­rato l'amore e la fiducia in Dio, e il disprezzo di me stessa».
Durante le feste di Natale, ella si preparò, con la migliore grazia del mondo, a tutti gli innocenti svaghi autorizzati dalle usanze del Carmelo, come se non avesse sofferto assolutamente niente. Sempre la stessa, si dimenticava per ricreare le sue consorelle.
Durante i vespri di Natale, aveva visto un uomo che le mostrava il suo cuore al­lo scoperto, e, in questo cuore, numerose colombe bianche. Al di fuori, c'erano su
questo cuore delle spine, che lo straziavano e che facevano scorrere il sangue fino a terra. Quell'uomo le disse: Figlia mia, nessuno raccoglie questo sangue; mi si fa soffrire il martirio; se non c'è conversione, farò perire i frutti della terra: e se, neanche dopo questo castigo, ci si converte, strapperò gli alberi e ne pianterò al­tri; e questi raccoglieranno il mio sangue.
Alcuni giorni dopo, ella recitava durante la messa questa preghiera, che le era sta­ta insegnata durante una delle sue ore di orazione: «Signore, dammi l'obbedienza del tuo cuore, l'umiltà di tua Madre e la semplicità di tuo Padre». Ad un tratto, vide due montagne davanti a sé; credette di essere a Gerusalemme. Tra le due montagne vide un canale, senza acqua. Un uomo di grande corporatura stava accanto al cana­le gli si gettavano delle pietre. «Quest'uomo, disse, si è girato verso di me come ver­so un amico, pregandomi di difenderlo e di nasconderlo. Io mi dicevo ascoltando la sua preghiera: quanta poca intelligenza ha quest'uomo! lo così piccola, come posso nascondere lui così grande? Ha compreso il mio pensiero e mi ha detto Io sono pic­colo e grande; tu, non sei piccola, ma grande. Ho compreso che ero grande per l'or­goglio. Ha aggiunto: Sono io che voglio nasconderti. Mi ha poi domandato da bere. Nel mio imbarazzo, dicevo interiormente alla santa Vergine "Madre mia, dai l'intel­ligenza a quest'uomo. Vuole che io gli dia da bere ed io non ho niente per dargli da bere". Egli ha ancora compreso il mio pensiero e mi ha detto: Io non manco di in­telligenza; sei tu che non ne hai. Io non ho bisogno di bere; sono io che voglio dar­ti da bere. Io gli ho detto "E tu chi sei per conoscere così i miei pensieri? Sei Sata­na o Dio?". Mi ha risposto Io non sono Satana, ma non ho bisogno di dire chi sono, a te che non sei nulla. Mentre mi parlava, le sue parole arrecavano grazia alla mia anima; mi ha riempito di forza e di speranza, mi ha dato la pace; lo stesso mio cor­po sentiva un nuovo vigore. Tutto ciò non è durato che un istante».
1 prodigi di ogni genere si moltiplicavano; a diverse riprese, parecchie suore vi­dero nella bocca della novizia dei frutti misteriosi; due o tre ebbero perfino il favo­re di mangiarne.` Ma ancora più straordinari erano il suo amore per la sofferenza, la sua umiltà e la sua carità, che non si smentivano mai, ogni volta che si ritrovava nel suo stato normale.
E non vi si trovava sempre. Spesso, come era stato predetto, parlava e agiva sot­to l'influsso di una ossessione diabolica. In tali momenti, se l'angelo delle tenebre si compiaceva qualche volta di scimmiottare l'angelo della luce, ancor più fre­quentemente era costretto a mostrarsi allo scoperto, come aveva fatto durante la possessione di quaranta giorni. Dichiarava allora di non più volere né obbedire, né lavorare; aveva violenti accessi di collera e di rabbia contro i superiori e contro la stessa suor Maria di Gesù Crocifisso. Nel settembre 1869 tenta di uccidere la novizia fracassandole la testa contro il pavimento; nell'ottobre dello stesso anno, la fa precipitare violentemente, col viso contro il suolo; nel giugno 1870 le assesterà un gran colpo sulla spalla che la farà star male per tre giorni e dal quale sarà guarita improvvisamente da una apparizione celeste. Si è già parlato degli spilli gettati nel suo cibo, con i quali il demonio cercava di soffocarla.
Soprattutto, si sforzava di convincere le Madri che lei non aveva la vocazione di Carmelitana. Quante volte la novizia in preda all'ossessione ripeteva, con un tono disperato, che non era chiamata, che al Carmelo si sarebbe perduta e che sarebbe stata oggetto di scandalo per le suore!
Poi, passando dalle parole ai fatti, il demonio la spingeva a fuggire dal monastero. Ma era molto evidente per tutti che lei non era responsabile e che queste man­canze dovevano attribuirsi completamente all'ossessione diabolica.` 1 superiori del Carmelo, ed ancora altri sacerdoti che videro la novizia in questo stato, dichiararo­no che non era affatto colpevole. Molte volte la esorcizzarono; costretto a svelarsi il demonio si allontanava per alcuni istanti; ma annunciava che avrebbe continuato a tormentare la sua vittima, fintanto che sarebbero durati questi tre anni di prova. Egli lo fece, lasciandole tuttavia lunghe settimane di calma, durante le quali la no­vizia si esercitava in tutte le virtù e continuava a ricevere dal cielo i più segnalati favori.
. Il ricordo delle mancanze commesse sotto l'influenza del demonio non serviva allora che a immergerla in vivi sentimenti di pentimento e di umiltà. Perché, se at­testava di non poter resistere a queste ossessioni, Dio permetteva tuttavia che lei non vi supponesse affatto la mano di Satana. Si diceva abbandonata alla sua pro­pria debolezza, alla sua cattiva natura e si confessava sinceramente la più grande peccatrice della terra.
Dio le fece vedere un giorno un tesoro prezioso in un contenitore ricoperto da immondizie. Il tesoro era la sua anima, oggetto di predilezioni divine; la spazzatu­ra erano le sue mancanze involontarie, che servivano a mantenerla, ai suoi propri occhi, in una abiezione salutare. Così il demonio contribuiva, senza volere, a pro­teggere i doni del Signore. Ancora una volta, la sua malizia si risolveva a sua pro­pria confusione ed a gloria di Dio.

CAPITOLO X
Il divin giardiniere. I suoi insegnamenti a suor Maria di Gesù Crocifisso (1869-1870)
Durante questo tempo di prova annunciato dall'angelo, in cui il nemico del be­ne metteva tutto in opera per scoraggiare la novizia e portarla alla disperazione, an­che le apparizioni e le consolazioni divine continuavano: erano come un elemento soprannaturale e necessario per preparare quest'anima a combattimenti sempre nuovi.
Riportiamo qui l'apprezzamento di Madre Elia sulla sua novizia, negli appunti presi su di lei per ordine del vescovo di Bayonne e del superiore del Carmelo, dal­la sua entrata nel Carmelo di Pau. Da questa nota abbiamo estratto i fatti relativi a questo periodo della vita di suor Maria di Gesù Crocifisso.
Per quanto mi è possibile, uso il linguaggio della nostra suorina per descrivere lo stato di quest'anima con più esattezza. Tuttavia, confesso che il mio compito è difficile e che questa esposizione è spoglia del fascino legato alle parole e alle azio­ni della novizia e che dà tanto interesse ed espressione a ciò che ella dice.
Sento che faccio il suo ritratto a metà. Occorrerebbe un'altra penna più eserci­tata per fare conoscere questa bella anima: la sua ingenuità, la sua semplicità, la sua umiltà, la sua generosità, la sua carità, il suo amore per Dio e per il prossimo, la sua forza d'animo nelle prove, la sua fede, la sua fiducia in Dio, la sua costan­za nel lottare contro l'avversario che la perseguita senza posa, il suo amore per la vita nascosta, comune ed ordinaria. Bisogna vederla e seguirla, per farsi un'idea giusta di questa fanciulla. Se tutto ciò che avviene in quest'anima di straordinario, sia nel passato sia nel presente, viene da Dio, non tocca a noi giudicarlo; tutto ciò che possiamo dire, è che, se lo spirito di Dio non ne è l'autore, la nostra novizia ci sembrerebbe più degna di ammirazione per essere capace, sotto l'azione del de­monio, di restare fedele al suo Dio, piena di speranza in Lui, umile e piccola in sé stessa, non cercando mai la stima delle creature, non volendo in ogni cosa che la volontà di Dio e la Sua più grande gloria. Ho ben sondato i suoi sentimenti ed el­la non ha mai deviato dal suo cammino, che è quello di un'anima piena di rettitu­dine la quale non cerca che Dio solo.
Trattenuta un giorno nella sua cella dalla febbre, la novizia disse alla sua mae­stra, che l'aveva lasciata sola durante l'orazione della sera: «Madre mia, continui la riflessione, così proficua, che mi ha fatto un momento fa». Madre Elia, ignorando il fatto, le domandò di ripeterle quanto detto, per sapere se non l'avesse già dimen­ticato: «Le sue parole, disse suor Maria, sono incise nel fondo del mio cuore, ma non saprei ripeterle. C'erano tre punti: Cerca Dio solo, senza fermarti su nessuna cosa creata. Se parli, sii come se non parlassi, se guardi, come se non guardassi, se ascolti, come se non ascoltassi. Dio solo è tutto; la creatura non è nient'altro che nulla e peccato. Tutto quaggiù è vanità, perché tutto ciò che passa non è niente. Al momento della morte, come rimpiangeremo di non aver profittato del tempo!».
L'indomani, durante l'orazione vide lo stesso uomo che aveva già visto più vol­te. 1 suoi occhi erano dolci e graziosi; i capelli biondi gli ricadevano sulle spalle. «Quest'uomo, lei diceva, è ricco e povero nello stesso tempo. L'ho visto in mezzo al coro, sorridente verso tutte le suore, le quali formavano una bianca corona attor­no a Lui. Ben presto ho visto questa corona dividersi in tre parti. Quell'uomo mi ha detto: Voi dovete dividervi in tre, ma sarete tutte insieme nel cielo». La fondazione di Mangalore e, più tardi, quella di Betlemme, così meravigliosa, dimostreranno la verità di questa profezia.
Il 4 febbraio 1869, dopo compieta, ella cadde in estasi e raccontò, in questo sta­to, la sua orazione del mattino: «Piangevo i miei peccati durante l'orazione, disse, e il pensiero che sono sempre malata veniva a turbarmi ed a inquietarmi. Il Signo­re mi ha detto con dolcezza (Oh! Come la sua voce mi ha restituito la pace!): Fi­glia mia, tu rassomigli ad una vigna. Guarda come il vignaiolo lavora, coltiva la sua vigna; vanga la terra attorno al piede della vite. La terra simboleggia il tuo corpo: io, lavoro la mia vigna con la sofferenza. Per fare fruttificare la sua vigna, il vignaiolo taglia i rami cattivi e monda i buoni: anche io mi servo delle tentazio­ni, delle umiliazioni, del disprezzo, per mondare la mia vigna e tagliare i rami cat­tivi e inutili: l'orgoglio e l'amor proprio, che bisogna fare morire.
Il padrone della vigna non lavora per niente; spera, agende il frutto, lavora molto la sua vigna, rivolta più spesso la terra, taglia più volte i rami inutili. Il giar­diniere che lavora il suo giardino non lavora inutilmente: si nutre col frutto del suo lavoro. Vuole che tutti i suoi alberi portino frutto, non si contenta del frutto di uno solo. Qui ho degli alberi: li taglio, li lavoro perché portino frutto. Entro spesso nel loro cuore e faccio sentire loro la mia voce. Spesso gli alberi non vi fanno atten­zione, non mi vedono. Fate attenzione: Bisogna portare frutto. Il Signore taglia gli alberi che non portano frutto, getta nel fuoco gli alberi cattivi e ne pianta altri.
Ho detto al Signore: Signore, se tu mi abbandoni, sarò come la cenere che non porta alcun frutto. Ma se tu mi guardi, divento una terra buona, una terra dolce che porta buoni frutti, che è coperta di verde e di fiori. Signore, guardaci sempre, sii con noi».
L' 8 febbraio,, davanti al santissimo Sacramento esposto, ella vide un uomo mol­to bello: «Quest'uomo, raccontava, mi ha detto: Il tuo cuore non è abbastanza vuo­to, non abbastanza distaccato; poi mi ha mostrato un fiorellino in un vaso senza ter­ra e senza acqua, che il sole dissecca e mi ha detto: Senza di me, tu sei simile a questa pianta, tu manchi di terra e di acqua per rinfrescarti. Ero infastidita di ciò che mi diceva, che cioè senza di Lui sarei come questa pianta disseccata; se mi aves­se detto: senza Gesù, alla buon'ora! Io gli ho domandato: Ma chi sei tu per parlare così? Il mio cuore non è tuo, è di Gesù. Perché dirmi che non posso fare niente di buono senza di te? Dì invece: senza Gesù. Ha riso, e nascondendosi il viso con la sua larga manica, mi impediva di vedere il santissimo Sacramento».
«Ho visto, raccontava ancora due giorni dopo, ma da molto lontano, un uomo di una grande maestà; somigliava a un re. Era seduto e sembrava sovrano, padrone del mondo intero ma molti rifiutavano di riconoscere il suo potere. E ho detto: Signo­re, come fare per amarti? Sentivo contemporaneamente un grande amore di Dio, un grande desiderio di servirlo e di praticare la virtù. Sarei voluta diventare perfetta, per essergli gradita e ricompensarlo dell'ingratitudine di coloro che non lo amava­no; ma mi vedevo così lontana dalla perfezione! Una voce mi ha detto: Guarda nel­la natura, gli alberi non diventano grandi in un giorno. Mi ha mostrato un albero che portava frutti cattivi: ha tagliato i rami, l'ha trapiantato, ha messo della buona terra attorno al suo piede, l'ha curato con pazienza, venuto il momento, l'ha mon­dato e quest'albero ha cominciato a portare frutto. L'uomo ha raddoppiato le cure e l'albero, ogni anno, ha portato un po' più di -frutto. Quell'uomo mi ha guardato e mi ha detto: Voglio che tu sia come quest'albero: non voglio che tu porti frutto su­bito, ma col tempo. lo sentivo una grande fiducia e il mio cuore si infiammava di amore per Dio, di desiderio di amarlo, di non vivere che per Lui e di allontanarmi dalle creature, che vedevo come tante bestie pronte a divorare la mia anima. L'in­nesto praticato sull'albero mi mostrava la trasformazione di un'anima che cerca Dio, che vive unita a Dio, a Gesù».
Un altro giorno, supplicava il divin Maestro di rafforzarla nella verità, facendo­le riconoscere l'orgoglio e l'umiltà. Ecco in quali termini rendeva conto alla sua maestra di ciò che Dio le aveva mostrato: «Ho visto, diceva, che l'orgoglio è la sor­gente di tutti i peccati e l'umiltà la sorgente, il fondamento di tutte le virtù. L'or­goglio ha rovinato l'angelo più bello, a causa di esso egli è caduto. Se si fosse umi­liato, avesse riferito a Dio tutto ciò che era, sarebbe diventato ancora più bello, l'orgoglio ne ha fatto un demonio. Se Adamo ed Eva, dopo aver peccato, si fosse­ro umiliati, Dio avrebbe loro perdonato. Perfino Giuda, se si fosse umiliato, avreb­be ottenuto il Suo perdono. L'orgoglio ci perde tutti, per orgoglio la volontà del­l'uomo si rivolta contro Dio. L'anima umile diventa luce, vive nella verità, arriva fino a Dio e Dio si abbassa fino a lei. L'umiltà traccia la strada per acquistare le al­tre virtù. Ho detto a Gesù molte cose che non saprei ridire. Ho visto che avevo del­l'orgoglio in tutto; ho pregato Gesù di darmi l'umiltà e ho preso la risoluzione di praticare questa virtù in ogni cosa. Oh! Quanto desidero l'umiltà, il disprezzo del­le creature! Dio è pronto a perdonare un peccatore che si umilia, guarda con più amore l'anima che ritorna a Lui con l'umiltà che l'anima fedele che si compiace nelle sue virtù. Questa rischia di perdersi con l'orgoglio, mentre il peccatore ottie­ne misericordia umiliandosi.
Ho visto un giardino pieno di frutti, diceva un'altra volta sullo stesso argomento, alla porta del giardino c'era del fuoco, e quelli che volevano entrare per cogliere della frutta dovevano attraversare questo fuoco. Ho visto un'anima che prendeva dell'acqua e, per mezzo di questa, passava in mezzo al fuoco senza bruciarsi, entrava nel giardi­no e ne coglieva i frutti. Altre, al contrario, invece di prendere l'acqua, raccoglievano legna e paglia e la gettavano nel fuoco che diventava più ardente, e queste anime si bru­ciavano sempre di più, ogni volta che tentavano di penetrare nel giardino; invece di co­gliere della frutta, non pensavano che alle loro scottature. lo non comprendevo niente di ciò che vedevo. Tutt'a un tratto, scorsi il padrone del giardino che guardava le ani­me che attraversavano il fuoco e gli ho domandato la spiegazione di ciò che mi veni­va mostrato. Mi ha risposto: Guarda le anime che portano sempre l'acqua con loro: quest'acqua è l'umiltà. L'umiltà, ecco la vera sorgente delle virtù. L'anima umile por­ta sempre l'acqua con se; così non sente il fuoco, immagine delle umiliazioni, delle prove, della sofferenza, della persecuzione, del disprezzo, delle calunnie. Tutto piom­ba su quest'anima e le dice con disprezzo: sei cattiva, imperfetta, orgogliosa, pigra, di­sobbediente, non hai carità, non sei buona per stare qui. Il fuoco che bisogna attraver­sare per cogliere i frutti del giardino, è tutto questo. Più si passa attraverso questo fuoco, più frutta si coglie. Con l'acqua dell'umiltà, tutto torna a profitto dell'anima, in­vece le anime che mancano di quest'acqua, trovano il fuoco dappertutto e si bruciano con l'egoismo, il quale fa si che esse pensino sempre a se stesse, e non entrino mai in quella semplicità che Dio richiede per la salvezza. Bisogna diventare come bambini per entrare nel regno dei cieli. Queste anime potranno anche praticare molte virtù este­riori ma se non si applicano soprattutto ad acquistare l'umiltà, non saranno mai gradi­te a Gesù, mentre quelle che si applicano ad acquistare l'umiltà, sebbene abbiano pec­cato molto di più, troveranno grazia davanti a Dio». Non c'è niente che esprima meglio lo stato di quest'anima di elezione, nel tempo della prova, della seguente visione: «Ho visto, diceva, molti roseti verdi che avevano dei fiori, accanto a questi roseti, ve n'era un altro, solitario ma più verde, più fiorito, più bello. Un uomo che sembrava essere il Signore, è venuto, ha preso questo roseto così fiorito e l'ha messo in una notte oscura. Non più sole per questo roseto, non più rugiada, non più gioia. I rami si sono curvati, le foglie sono ingiallite, il roseto si è avvizzito: era quasi morto. Gli altri roseti, che go­devano la rugiada, il sole, la luce, dicevano: bisogna estirpare questo roseto, che si sec­ca per mancanza di acqua e di sole; le sue foglie sono ingiallite; sradicalo, sradicalo. Il padrone del giardino ha loro risposto: Mi dite di estirpare questo roseto, perché non fa più rose e perché le sue rose si sono appassite. Non capite che, se voi foste come lui, privi di acqua per rinfrescarvi e di sole per riscaldarvi, sareste già ridotti in polvere. Aspettate, e vedrete! Qualche tempo dopo, il Signore ha fatto uscire questo roseto dal­la sua notte profonda e l'ha innaffiato e il roseto è rifiorito più bello che mai: le rose sono sbocciate e il profumo di questo roseto ha rallegrato tutti quelli che l'hanno vi­sto, ed essi hanno benedetto il Signore».
Ascoltiamo ancora queste parole del Salvatore alla sua serva; esse completano le luci racchiuse nella visione precedente: «Ho sentito una voce che diceva: il Mae-
stro non dimentica la sua serva ma la serva dimentica il suo Maestro. Questa voce era la voce del Signore, ne ho sentito la presenza; mi ha detto: tu mi devi rassomi­gliare; starai ancora due anni nelle tenebre, perché io veda fin dove arriverà la fe­de degli uomini. Tre volte l'anno il Signore visiterà la sua serva ma di sfuggita, co­me un lampo. Ah! Signore, ho risposto, è troppo lungo questo tempo senza vederti. Tu mi vedi, tu, ma io, io non ti vedo».
Non finiamo di citare questi insegnamenti raccolti durante le sue frequenti estasi e pieni di essenza evangelica; essi fanno conoscere l'anima della quale raccontiamo la vita meravigliosa meglio di tutto ciò che noi potremmo dire: «Ho piantato degli alberi, richiedo del frutto per rinfrancarmi, dice il Signore. Alberi del Signore, il vo­stro Padrone domanda da bere, domanda il frutto dell'umiltà, della carità. Alberi del Signore, non date il vostro frutto per la terra, datelo per Colui che vi ha piantato. Non lasciate che il cane raccolga il vostro frutto. Il Signore domanda da bere; domanda frutti interiori, domanda frutti esteriori. Il Signore domanda da bere è triste, soffe­rente, oppresso: dategli da bere perché vada ad innaffiare altre piante, perché queste piante portino frutto. Alberi del Signore, ricompensate il Signore. Quando vedo Ge­sù, il mio cuore è straziato, il mio cuore è dilaniato. Egli, questo Signore ha detto: il Padrone non dimentica la sua serva ma la serva dimentica il suo Padrone.
Alberi del Signore, il Signore ha avuto fame. Se voi foste le vere spose del Si­gnore, dareste al vostro fratello perfino il boccone che avete in bocca e Gesù ve lo renderebbe triplicato, e in seguito vi darebbe la vita eterna.
Gesù, nella prigione, ha freddo: attende che voi lo riscaldiate. Vi sente, ascolta ciò che gli direte. I carnefici preparano le corde per legarlo, preparano i chiodi, preparano la croce; da parte vostra preparategli cose buone: preparategli il vostro cuore. Gesù geme; i Giudei non ascoltano i suoi gemiti che per beffarsi di lui. Ascoltatelo voi, per consolarlo, per ricompensarlo. I Giudei sono contenti di ac­compagnare Gesù al Calvario per farlo soffrire. Siate tristi a causa dei vostri pec­cati e a causa del tempo che avete passato senza pensare a Lui. I Giudei cercavano Gesù per farlo morire; voi cercate Gesù tutti i giorni per farlo vivere in voi, per far­lo risuscitare, per glorificarlo in voi. I Giudei hanno legato le mani di Gesù; voi le­gatevi a lui.
I Giudei beffeggiano Gesù; i soldati gli pongono sulle spalle, per derisione, uno straccio di porpora e una canna nella mano; voi preparate per Gesù un amore tutto filiale.
I nemici di Gesù lo schiaffeggiano; voi preparatevi a ricevere degli schiaffi per suo amore.
I Giudei si incitano a vicenda per tormentare Gesù: voi incitatevi a vicenda per benedirlo e farlo benedire.
I Giudei avrebbero voluto che altri popoli (altre folle) si unissero a loro per in­sultare Gesù: voi attirate le anime all'amore di Gesù.
I Giudei gettano letame, sporcizia sul cammino che Gesù deve percorrere: voi preparate delle rose e copritene la strada di Gesù.
Guardate, Maria piange, soffre, è affranta dal dolore; accompagnate Maria al Calvario con la vostra fedeltà, con l'amore di Gesù, con l'amore del prossimo. Ge­sù è nudo sulla croce; con l'esercizio della carità, rivestite Gesù».
Gesù ritorna, in seguito, agli insegnamenti che la riguardano più personalmen­te. Che cosa di più toccante e di più istruttivo della visione seguente?
«Ho visto, diceva, un uomo in giardino; con una mano teneva un bastone, con l'altra un mazzo di rose. Questo giardino era molto piccolo ma molto bello e tutto pieno di fiori e di frutti. Non c'era una sola erba cattiva e tutto prosperava, secon­do i desideri del Padrone del giardino. Accanto a questo, ce n'era un altro chiuso, tutto nero: non vi si vedevano che rovi e spine.
Il giardiniere, mostrandomi tale giardino, mi ha detto: Vedi questo brutto giar­dino? È l'immagine di te: tu sei come questa terra. Io ti ho fatto tante grazie e tu non produci che rovi, i quali straziano tutti quelli che ti avvicinano. Fai come que­sta terra cattiva: ho spesso gettato buona semente ma le erbacce la soffocano. Os­serva ciò che sto per fare: voglio fare fruttificare questa terra per glorificare il Pa­dre mio, che avrà più gioia del cambiamento di questa di quanto non ne provi contemplando il primo giardino. Tre uomini si sono presentati; erano neri e mi sembrava di vedere dei demoni. Ho fatto il segno di croce ed ho detto: Signore, per la tua santa Croce, liberami dalla malizia di Satana. Il giardiniere ha sorriso e il suo sguardo sollevava la mia anima. Si è rivolto a questi tre uomini così spaventosi e ha detto loro: Lavorate, dissodate a fondo questa terra, bruciate tutte le cattive radici che vi si trovano. Essi si sono messi all'opera, voltando, e rivoltando la terra ad una grande profondità; le cattive radici emerse sono state bruciate e la terra è diventata prima nera come il carbone, poi rossa. Quando gli uomini neri si sono ritirati, è ca­duta la neve e la terra è diventata tutta bianca. Il giardiniere è ritornato, ha pianta­to il suo mazzo di rose e ha seminato altri chicchi. Una pioggia dolce è caduta su questa terra e la semente ha prodotto foglie verdi, fiori e frutti. Il giardiniere ha chiuso allora il giardino di modo che non vi si potesse più entrare; lo si poteva so­lamente vedere per glorificare Dio. Il giardiniere mi ha così parlato: Ecco come agi­sco con le anime: scelgo di preferenza le più peccatrici cosicché tutto ciò che ope­ro in loro fa risplendere la mia misericordia; e tutti quelli che vedono l'opera del Signore rendono gloria al Padre mio. Io farò questo in te, sopporta dunque la pro­va, la tentazione, la sofferenza, la noia, il disgusto, l'abbandono. Tutto ciò purifi­ca la terra cattiva e la prepara a ricevere la mia grazia».
Per consolarla, il Salvatore le fa intravedere così la fine delle sue prove. Ecco come si esprime a questo riguardo: «Gesù, lei dice, mi ha fatto fare una buona ora­zione. Mi sembrava di essere sostenuta dalla mano di Dio; mi sembrava che mi avrebbe usato misericordia e che mi avrebbe aiutato a salire la montagna che vedo così nera, così aspra, senza alcun altro appoggio che pietre appuntite che straziano. Malgrado tutti gli ostacoli, ho visto che sarei arrivata al termine con la grazia di Dio e che avrei esaltato la sua misericordia. Non desidero che una sola cosa: essere tut­ta di Dio, perfettamente di lui solo. Ho la fiducia che, più tardi, sarò perfettamente
sua e allora niente mi potrà distrarre dalla sua presenza. È necessario ora che mi nu­tro io stessa, che mangi il pane nero, il pane duro, le croste secche. Un figlio nella casa di suo padre, che mangia sempre buon pane, non l'apprezza; ma se, dopo che ha mangiato del pane cattivo, ne ha poi del buono, egli l'apprezza ed è contento. Io, per il momento, mangio il pane duro; quando il faticoso cammino sarà passato, Ge­sù mi darà del buon pane e mi ricorderò sempre di questo tempo penoso in cui il pane era così duro. Apprezzerò meglio la bontà del Signore, la sua bontà per me».
È commovente sentirle dire, parlando di se stessa: «Sono un frutto cattivo, un frutto marcio, gettato nel letamaio dei miei peccati. Chi vorrà di questo frutto? Nes­suno: lasciatelo sulla concimaia. Ma tu, giardiniere, guarda: in questo frutto, il Si­gnore ha messo un piccolo seme. Prendi questo seme, fa un buco nella terra, getta il chicco in questo buco, coprilo con la buona terra attendi, abbiate pazienza: da questo chicco verrà un albero, ed esso porterà buoni frutti grazie alle tue cure. Tu servirai questo frutto alla tavola del Signore, tutti lo vedranno, si mangerà di que­sto frutto e si loderà il Signore».
Ecco un affascinante paragone, pieno della dottrina più elevata e più pratica. «Dopo la Comunione, diceva un giorno, un vecchio mi ha detto: Gesù vuole veni­re a casa tua nel cuore della notte; per preparargli una cella, ascolta ciò che vuo­le.: vuole una piccola cella molto povera, molto semplicé. Vuole un lettino, simbo­lo del silenzio; in questo lettino, vuole un materasso sempre nuovo con degli atti di umiltà sempre nuovi; vuole un cuscino di carità, una coperta di pazienza, le gran­di tende bianche dell'unione, che impediscono al vento della tentazione di raffred­dare la carità. Gesù vuole anche una lampada da notte: il bicchiere di questa lam­pada è la fede e la speranza, l'olio è la preghiera continua, il sughero che galleggia, è l'amore di Dio, che eleva l'anima al di sopra della terra, lo stoppino è la dedizione, che si sacrifica e dimentica i suoi interessi per la felicità degli altri; infine la luce che illumina, è l'obbedienza e la purezza di intenzione».

CAPITOLO XI
Suor Maria di Gesù Crocifisso, all'epoca del Concilio e durante la guerra del 1870
Siamo arrivati all'epoca del Concilio. Il lettore che ci avrà seguito fin qui, non si meraviglierà di apprendere che il Signore mostrava a questa ignorante secondo il suo cuore lo stato degli spiriti in questa augusta assemblea. Perché il grido di Ge­sù sarà eternamente vero: Ti lodo, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai saggi ed ai prudenti, e le hai rivelate ai piccoli.
Tutti constateranno l'esattezza delle visioni soprannaturali di quest'anima leg­gendo ciò che segue: «La Chiesa soffre, ella diceva, il Santo Padre soffre; il suo cuore è afflitto, perché non c'è abbastanza unione tra i vescovi del Concilio. La Chiesa è nostra Madre. Quando una madre soffre, tutti i figli soffrono con la ma­dre. La Chiesa è mia Madre. Oh! Come vorrei dare il mio sangue per la Chiesa! Of­fro tutto per essa, per l'unione, per la pace, per il trionfo della Chiesa.
Ho visto il Concilio. Ho visto tre vescovi del Concilio, santissimi e che hanno re­so grandi servizi alla Chiesa, erano circondati da tenebre, attorniati da migliaia di de­moni che si sforzavano di nascondere loro una piccola luce sempre presente ai loro occhi, simbolo della fede, della verità; mentre a destra ed a sinistra, c'è una grande luce che i demoni vorrebbero far loro seguire. Questi spiriti tentatori sono talmente numerosi, che, se avessero un corpo, l'aria ne sarebbe oscurata. Questi stessi demoni vanno anche su un grande numero di altri vescovi. Ve ne è più di duecento i quali non seguono la piccola luce che hanno davanti agli occhi, perché Satana lo impedisce lo­ro, ponendo come una nuvola spessa fra questa luce e loro, mentre non si distolgono abbastanza dalla luce che è a destra ed a sinistra; questa luce non viene da Dio, ma dal ragionamento umano». Così ella si esprimeva nel mese di gennaio 1870.
Una visione del mese seguente è forse più toccante. Ci sembra che l'opposizio­ne, seguita dal trionfo della definizione e dal ritorno di tutti i vescovi dissidenti, non potrebbe essere espressa con una più energica chiarezza: «Ho visto, ella dice, il Santo Padre circondato dai Padri del Concilio. Alla sua destra c'era un giardino il­luminato dal sole, irrorato da un'acqua molto buona, e pieno di fiori e di frutti che spandevano un profumo delizioso. Alla sua sinistra c'era un altro giardino, coperto di tenebre, di rovi e di spine; là si trovavano alcuni roseti secchi e alcune piante buone, soffocate dai rovi. Il Santo Padre ha tentato di aprire la porta di questo secondo giardino, per lavorarlo e per sradicarne i roseti e le piante, per farle passare nel primo giardino. Parecchi dicevano al Santo Padre che faceva un lavoro inutile. In seguito ho visto una nuvola di dolore coprire il Santo Padre e quelli che erano alla sua destra; ma, tutt'a un tratto, ho visto un sole brillare sul loro viso; erano ra­diosi. Poi, la porta del brutto giardino si è aperta e si è cominciato a togliere alcu­ne buone piante dal brutto giardino per sistemarle nel buono. In seguito, ho visto il Santo Padre addormentarsi e due bimbi l'hanno portato via nelle loro braccia. Un altro è venuto a sostituirlo ed ha trovato la porta aperta, ed egli ha finito facilmen­te il lavoro cominciato e coloro che avevano voluto altre volte fermare il Santo Pa­dre nel suo lavoro, vedevano ora la verità. Una voce mi ha detto: Rallegrati per il fatto che ti ho domandato questo digiuno di quaranta giorni a pane e acqua, per farti partecipare ai meriti e ai lavori dei Padri del Concilio. Bisogna che, con que­sto digiuno, tu tolga le pietre dal sentiero, affinché essi non cadano.
Ho detto allora a Dio: Signore, se è tua volontà che io faccia questo digiuno, io lo accetto, non soltanto per quaranta giorni, ma per quarant'anni, se tu lo vuoi».` Come è commovente vedere Gesù domandare a delle anime ignorate penitenze eccezionali in favore del Concilio! È sempre lo stesso agire di Dio, che si serve di ciò che non è niente per condurre a buon fine le sue opere.
Gli avvenimenti della guerra che seguì al Concilio non sfuggirono meno a que­st'anima direttamente illuminata da Dio. Ascoltiamola raccontarci la visione che ebbe il 16 luglio 1870: «Io ero, dice, tutta sola in giardino; tutt'a un tratto, sento una voce dirmi: Prega, prega e fa' pregare. Vidi in seguito dei soldati uscire come da un giardino chiuso; ve ne erano molti e passavano davanti a me. Vidi altri sol­dati uscire da un nuovo giardino; venivano a combattere contro i primi. La stessa voce mi dice una seconda volta: Prega, e. fa' pregare. Nello stesso istante vidi Ro­ma davanti a me, e vidi i nemici di Roma che dicevano: Mentre gli altri combatto­no, uccidiamo Roma, soffochiamola, gettiamo acqua bollente su di lei, uccidiamo i piccoli e i grandi. Vidi nello stesso tempo una lampada nel cielo; uscivano da que­sta lampada due raggi che formavano come delle scale: uno di questi raggi cadeva sull'Italia e l'altro sulla Francia. E vidi un uomo che sembrava essere Dio stesso; aveva con lui due bimbi, uno alla sua destra, e l'altro alla sua sinistra. Uno di que­sti bambini era nero e lavorava a fare un grande buco; l'altro preparava un piatto bianco sulla terra. L'uomo ha detto ai nemici della Chiesa che gridavano: Gettiamo dell'acqua bollente su Roma: Quest'acqua bollente sarà per voi eternamente. Di­chiaro che nessuno di quegli uomini che combattono per il mio nome, avrà da su­bire il minimo giudizio, anche se avesse commesso tutti i peccati. A questi uomini che avranno dato la loro vita combattendo, darò la pace e la vita eterna. Nello stesso tempo, si voltò verso la Francia, e disse all'Imperatore: Fintanto che segui­rai la luce sarò con te. Ti prometto quattro vittorie, se combatti per la mia gloria, perché tutti sappiano che combatti in mio nome, che io sono in te e che tu sei in me. Ti prometto in seguito una buona morte e una eternità felice».
Ecco la visione del 5 agosto seguente: «Provavo una grande tristezza e angoscia; mi sembrava che Roma stesse per perire e la Francia anche. Ho sentito una spada conficcarsi nel mio cuore, e restarvi. Tutta la notte la sofferenza mi ha impedito di dormire. La mattina ero afflitta ed oppressa come la vigilia. Passai la giornata nel­l'angoscia, nella tristezza, nella sofferenza. La sera, vidi l'Imperatore davanti a me. Era tutto nero, triste, quasi furioso: una grande nube nera era caduta su di lui. Vidi la santa Vergine allontanare con la sua mano quella nuvola e ciò mi consolò un po'. Ma compresi che la nuvola andava su Roma. U indomani, alla Messa, durante l'E­levazione, vidi un vecchio crocifisso, e ai suoi piedi, l'Imperatore, triste ed umilia­to, e vidi il sangue del vecchio crocifisso cadere su di lui. Non so se la luce che ave­vo visto davanti all'Imperatore e alla fedeltà alla quale erano legate quattro vittorie fosse di non ritirare le truppe da Roma; ma, da quando egli l'ha fatto, l'ho visto per tre giorni di seguito triste ed umiliato, ai piedi del vecchio crocifisso il cui sangue si effondeva con abbondanza su di lui, sulla sua famiglia e su coloro che lo circon­davano». Si vede che, la suora indica chiaramente in questa doppia visione il trionfo della Francia, se l'Imperatore è fedele all'ispirazione di non ritirare le trup­pe da Roma. Ella assiste alla ritirata di queste truppe e alla disfatta della Francia che ne è la conseguenza. Vede il sangue del vecchio del Vaticano cadere come una vendetta sull'Imperatore e sui suoi. La morte così tragica del principe imperiale, dieci anni dopo, è ancora presente in tutti gli spiriti e conferma in modo impres­sionante la verità di questa profezia.
Chi non riconoscerà, in ciò che segue, la Comune con i suoi orrori? «Un altro giorno, dice ancora la suora, vidi, al momento dell'Elevazione, una grande nuvola nera, che divenne in seguito gialla, e poi rossa; era carica di ogni sorta di disgrazie e copriva tutta la Francia. E compresi che, perfino all'interno della Francia, si sa­rebbe stati gli uni contro gli altri». La divisione delle fazioni, dopo la Comune, non è, ahimè, che troppo bene annunciata da queste parole. Possa la visione che stiamo per citare, e che fa seguito alla precedente, avere ben presto il suo compimento: «Vidi in seguito, aggiunse la suora, che questa nuvola nera se ne andò con grande gioia di tutti, e venne al suo posto una nuvola bianca che coprì interamente la Fran­cia. La vista di questa nuvola arrecò a tutti la gioia».

CAPITOLO XII
Suor Maria di Gesù Crocifisso dalla fondazione di Mangalore fino al suo ritiro di professione (agosto 1870 - 3 novembre 1871)
La religiosa che aveva curato Maria dopo il suo martirio le aveva annunciato che dopo aver preso l'abito del Carmelo in una casa, avrebbe fatto la sua professione in un'altra.
È necessario raccontare ora la realizzazione di questa seconda parte della profe­zia. I carmelitani possedevano nelle Indie una missione importante, al centro della quale era la città di Mangalore. Essa aveva per vicario apostolico Mons. Maria Eph­rem. In uno dei suoi viaggi in Francia, all'epoca del Concilio, questo prelato aveva fatto una visita alle carmelitane di Pau, avendogli Madre Elia parlato dei prodigi dei quali erano testimoni, il vescovo chiese di vedere la religiosa così favorita. Ne fu incantato, soprattutto per la sua semplicità unita a tanti doni soprannaturali. Dopo aver pregato, gli sembrò che il mezzo più efficace per colpire gli spiriti dei pagani sarebbe stato di possedere, nel suo vicariato un monastero di carmelitane, e mise a parte Madre Elia della sua idea. Nello stesso tempo non le nascose che sarebbe sta­to felice di possedere nel futuro monastero, suor Maria di Gesù Crocifisso. La Prio­ra condivise pienamente i suoi punti di vista e si dichiarò pronta a realizzare que­sta fondazione, se il vescovo di Bayonne l'avesse approvato. Costui vi acconsentì, promise perfino di cedere la suorina estatica sempre che Roma avesse accettato la domanda di fondazione e fossero stati assicurati i fondi necessari. Da parte sua mons. Maria Ephrem rispondeva del successo presso Propaganda (Fide) se si riu­sciva a trovare un fondatore per la nuova opera. Un uomo che apparteneva ad una delle prime famiglie del Belgio fu l'eletto da Dio. Sig. Nédonchel era il suo no­me, era un cattolico fervente, il cui zelo non conosceva ostacoli, quando si trattava della gloria di Dio e del bene della santa Chiesa. Suor Maria di Gesù Crocifisso pregò Madre Elia di scrivergli per offrirgli la grazia di fondare a Mangalore un mo­nastero di carmelitane, aggiungendo che ella rispondeva del successo del tentativo. Con grande sorpresa di Madre Elia, che aveva finito di scrivere, dopo molte esita­zioni, il Sig. de Nédonchel accettò la proposta. Il lettore indovina senza dubbio che siamo qui ancora in presenza di un intervento soprannaturale.
Il Sig. de Nédonchel aveva perduto da poco tempo una figlia chiamata Matilde, vero angelo di pietà. Questa signorina aveva domandato a Dio di prenderla al posto di Pio IX, la cui salute lasciava a desiderare a quell'epoca. Il Signore l'aveva esaudita; era stata trasportata rapidamente a Roma, da un male misterioso, all'età di ventiquattro anni, senza essere stata mai malata prima di allora. Il sovrano Pon­tefice non doveva ignorare questa offerta, perché, nella prima udienza accordata al Sig. de Nédonchel dopo questa morte, Pio IX disse a questo padre afflitto: Sarei tentato di volerne a vostra figlia perché mi ha tolto il riposo e la corona. Abbiamo questi particolari dallo stesso Sig. de Nédonchel. Ora, è Matilde che era apparsa più volte a suor Maria, e che le aveva detto di rivolgersi a suo padre per la fondazione di Mangalore. Per rendere più grande il merito di questo perfetto cristiano, Madre Elia non fece affatto menzione, nella sua lettera, di questa circostanza soprannatu­rale; non fu che più tardi che il Sig. de Nédonchel la conobbe.
Nel mese di agosto 1870, dopo le nostre prime sconfitte, uno sciame di religio­se partiva da Pau per la fondazione di Mangalore. Erano in sei: Madre Elia Prio­ra, suor Maria di Gesù, Sottopriora, suor Maria del Salvatore, suor Stefania, suor Maria di Gesù Crocifisso, novizia, e suor Eufrasia, conversa.
Tre religiose terziarie dell'Ordine del Carmelo, destinate alle opere esterne della missione, facevano anche parte della piccola colonia. Mons. Maria Ephrem, Padre Lazzaro e Padre Graziano, tutti e tre carmelitani, accompagnavano la pia carovana. La prova non tardò a presentarsi. Al passaggio del mar Rosso, il caldo fu così forte che due suore morirono: suor Stefania e suor Eufrasia. La stessa Madre Elia doveva alcuni giorni dopo soccombere, prima di aver raggiunto Mangalore. La morte di queste tre vittime era stata preannunziata da suor Maria. Dio le toglie così tutti gli appoggi umani, per abbandonarla come senza difesa tra le mani di coloro che non comprenderanno molto presto la sua via. Ecco la lunga lettera che ella scrive all'a­bate Manaudas per fargli un resoconto di tutti gli incidenti di questo viaggio:
«La sua indegna figlia, caro Padre, viene oggi a gettarsi ai suoi piedi per raccontarle tut­to, come un bambino racconta tutto a suo Padre.
Ecco, Padre mio, ciò che è accaduto durante il viaggio. Il primo giorno, siamo stati a No­stra Signora della Guardia, dove io ho ricevuto molte grazie. Quel giorno in quel santuario c'era molta gente. Madre Elia non era voluta venire, le nostre suore neppure, ma io, vi sono andata con Mons. Maria Ephrem e le suore terziarie del nostro Ordine. Ho molto pregato per la Francia. Durante la mia preghiera, ho visto davanti a me un'uomo: quest'uomo teneva nel­la sua mano una nuvola molto nera e molto fitta. Vidi una vergine che pregava tanto perché questa nuvola cadesse altrove e non sulla Francia. L'uomo teneva nell'altra mano una nuvo­la bianca; ma voleva gettare la nuvola nera prima della bianca e diceva: Dopo essere passata attraverso terribili prove, la Francia trionferà e sarà la sovrana dei regni.
In quello stesso santuario, vidi che i legami che mi univano a suor Stefania stavano per essere troncati; una donna li tagliava per attaccarli ad un altro cuore. Scendendo da Nostra Signora della Guardia, raccontai tutto a Mons. Maria Ephrem ed a Madre Elia. Dissi anco­ra a Monsignore che avevo visto Nostro Signore presentargli un mazzo di cinque rose; a causa delle spine, Monsignore non poteva toccarle; tre volte soprattutto, si punse molto for­te. Tutto ciò è avvenuto a Marsiglia. Ma siccome io ho promesso di dirvi tutto, e anche Mons. Maria Ephrem vuole che io vi dica tutto, comincio con questo primo giorno. La tra­versata del Mediterraneo è stata buonissima, sebbene noi avessimo avuto il mal di mare; ma ciò non è niente; Madre Elia stava molto bene: ci curava tutte. Durante tutto questo tem­po, ho potuto meditare ed ho ricevuto molte grazie.
Sul mar Rosso, sono stata molto male. Un giorno, avendomi Madre Elia mandato nel­la nostra cabina per riposarmi, suor Eufrasia mi raggiunse qualche istante dopo e mi dis­se: Ho qualche cosa da comunicarti. Tu sai quanto Nostro Signore è buono. Questa mat­tina, dopo la Comunione, Gesù mi ha fatto vedere i bisogni della Francia e dell'India; Egli domanda cinque vittime. Mi sono già offerta con suor Stefania, ed ho l'impressione che occorrono ancora Madre Elia, la Madre Sottopriora e tu. Sentendola parlare così, sono an­data in collera con lei per il fatto che si fosse già offerta con suor Stefania, e le dissi: Chi ti ha dato il permesso di comportarti in questo modo? Mi rispose: Padre Lazzaro ha detto che dovevamo offrirci tutti i giorni come vittime. In quel momento, provai qualche cosa di straordinario, e vidi che suor Stefania, suor Eufrasia e Madre Elia erano state accettate da Gesù e che stavano per morire. Vedendomi molto in pena, suor Eufrasia mi disse: Povera piccola, si vede bene che sei in tentazione, poiché non puoi comprendere la nostra offer­ta. L'indomani, alla stessa ora, le tre caddero ammalate. Io curavo Madre Elia, la Madre Sottopriora curava suor Eufrasia e suor Maria del Salvatore curava suor Stefania. Andava­mo dall'una all'altra. Padre Graziano e il Padre Lazzaro erano oppressi. Padre Lazzaro si offriva al posto di tutte; era pallido e si sarebbe detto che stava per sentirsi male. Io stessa avevo tanta paura che nella notte mi sarei ammalata come pure suor Maria del Salvatore. Il comandante è stato motto buono con noi, ci curava tutte. Suor Stefania è morta verso mezzanotte. Aveva ragione di dirmi alcune ore prima, quando le raccomandavo di pregare per madre Elia molto ammalata: Andrò a vedere Gesù prima di lei. La morte di questa suo­ra mi causò una grande tristezza, vedendo che le altre due stavano per morire. Fu solo 1' in­domani, dopo aver fatto il sacrificio delle tre, che la tristezza mi lasciò per far posto alla gioia. Non vedevo l'ora, adesso, di veder morire suor Eufrasia, perché andasse da Gesù; avrei voluto affrettare quest'ora.
Impossibile esprimervi la pena di Padre Lazzaro. Ah! Quanto gli costiamo! Il povero pa­dre ci disse che bisognava lasciare la nave per scendere ad Aden, dove suor Stefania sareb­be stata seppellita alle sei. Madre Elia non sapeva che suor Stefania era morta. Le dicevo sempre: Madre mia, se Gesù le domandasse due rose, le rifiuterebbe? e le ridicevo sempre la stessa cosa. Madre Elia non comprendendo questa insistenza, finì per dirmi: Povera fi­glia, mi ripeti sempre la stessa cosa; certamente che gliele darei.
Durante la prima notte passata ad Aden, non c'era letto per coricarsi, né acqua per be­re. Suor Maria del Salvatore era divorata da una fortissima febbre e non c'era una goccia d'acqua. Mi diceva: Datemi un po' d'acqua, io non ne avevo e ad Aden non c'era una fon­tana per andarne a prendere. Accompagnata da una inglese, andai a cercarne in tutte le ca­se senza poterne trovare. Finimmo tuttavia per trovarne un poco, ma fu presto esaurita, per­ché ne occorreva per bagnare la testa di suor Eufrasia. Mi misi allora a piangere come una bambina; passai la notte accanto a nostra Madre, mentre la Madre Sottopriora e suor Ma­ria del Salvatore stavano accanto a suor Eufrasia. Mentre nostra Madre dormiva, vidi un uo­mo che aveva il corpo tutto straziato; davanti a Lui, c'erano due croci; mi sembrava che queste due croci fossero per madre Elia e per suor Eufrasia; udii quest'uomo che diceva: In verità, in verità, prima che quest'anno finisca, queste due non saranno più sulla terra, io le prenderò e me ne servirò come un balsamo per le mie piaghe. Mi risvegliai con l'im­pressione che nostra Madre non avesse finito l'anno, e lo dissi a Padre Graziano, che mi proibì di ripeterlo alle suore.
Durante quella stessa notte, nostra Madre era molto in pena, perché le era stato detto che suor Stefania era all'ospedale. Padre Graziano, vedendola così afflitta, giudicò meglio dirle tutta la verità; le dichiarò quindi che era morta. Nostra Madre ne fece generosamente il sacrificio, e aggiunse che aveva meno pena nel saperla morta che di pensarla all'ospeda­le separata da noi.
Un giorno, Padre mio, prima della morte di suor Eufrasia, ero sola con lei. Le doman­dai: Dove sei suor Eufrasia, giacché non mi parli? Aprì gli occhi e mi rispose con uno sguardo celestiale: Sono con Gesù. Aggiunsi: Vuoi andare a vedere Gesù? Sì, mi rispose su­bito. Le nominai ciascuna suora. Mi fece segno che erano tutte nel suo cuore. Vidi allora, vicino a suor Eufrasia, due bimbi che offrivano un giglio tutto bianco a un uomo che stava vicino alla testa di questa suora, e quest'uomo sembrava tutto contento di ricevere questo giglio. Ebbi l'impressione che suor Eufrasia sarebbe morta molto presto. Vado a trovare Pa­dre Graziano: Padre mio, gli dico, dia presto l'estrema unzione a suor Eufrasia; non creda al medico, sta per morire. Durante la santa Messa, il suo letto si trovava vicino all'altare, non c'era che da aprire una porta per arrivare fino a lei: la suora era molto agitata; rideva sempre; domandava che le si desse Gesù! Lo domandava continuamente ma siccome non poteva inghiottire una sola goccia d'acqua, Padre Graziano non osava farla comunicare. La sua agonia è stata molto sofferta; il suo viso rassomigliava a quello di Gesù in croce, e sem­pre con la stessa pazienza. Quando le si domandava se soffrisse molto, faceva segno di no: è morta come una santa.
Dopo la sua morte, avevo preso il suo mal di gambe e di piedi; ero molto gonfia. Andai sulla tomba di suor Eufrasia e le dissi: Ascolta, suor Eufrasia, io non ti ho chiesto il tuo ma­le, prenditi il tuo male. Subito, Padre mio, non sono stata più male, ed ho potuto fare la cu­cina, tutto il tempo che siamo rimasti ad Aden. I cappuccini di Aden sono stati molto buo­ni con noi; ma non posso farle conoscere tutto ciò che là è successo. Penso che le nostre suore ve l'abbiano raccontato; le dico dunque solo ciò che mi riguarda. Siamo state molto felici, quando abbiamo visto Mons. Maria Ephrem. È stato così buono con noi, come un padre!
La traversata da Aden a Madras è stata buona: Madre Elia stava benissimo. La Madre Sottopriora, suor Maria del Salvatore ed io, abbiamo avuto un po' di mal di mare. Padre Lazzaro è venuto a trovarci a Madras. Come era impressionato vedendoci! Aveva le lacri­me agli occhi: ci ha raccontato quanto avesse sofferto da quando ci aveva lasciato. Siamo rimasti un giorno a Madras e siamo in seguito partiti per Vellore, con Padre Lazzaro. Mon­signore è rimasto a Madras con Padre Graziano per degli affari. Abbiamo trascorso cinque giorni presso le suore del Buon Pastore; sono state molto buone con noi. Un giorno mentre ero nella cappella, sentii una grande tristezza pensando a suor Stefania ed a suor Eufrasia. Ero in quel momento, molto tentata contro la Madre sottopriora e suor Maria del Salvato­re; mi sembrava che esse prendessero di me tutto a male. Madre Elia mi rimproverava mol­to. Allora io mi rivolsi a Gesù e mi lamentai con Lui. Vidi un uomo che mi disse: Perché ti lamenti di esse? Una di esse sarà presto tua madre e l'altra la tua maestra di noviziato. Quando sentii ciò, ebbi molta pena, pensando che Madre Elia stava per morire. In effetti, durante la notte, ella fu molto sofferente a Vellore, e pensai che il calice era molto vicino.
Dopo ciò, Padre mio, ci siamo fermati in molti posti, prima di arrivare al Vicariato di Monsignore; ma non è accaduto niente di particolare. Arrivando a Calcutta, una grande pro­cessione è venuta a prendere Monsignore. Credendo che fossimo vicini alla chiesa, siamo scese dalla vettura, cosa che ha molto stancato nostra Madre; malgrado ciò, ella era con­tentissima di vedere tutti gli onori resi a Mons. Maria Ephrem. A Calcutta, nostra Madre si mise a letto. Monsignore e il Padre Lazzaro avevano molta pena nel vederla sofferente; Pa­dre Graziano anche, ma se l'aspettava perché sapeva tutto. Monsignore era desolato di que­sto terzo sacrificio che il Signore stava per domandare. Non potendo più prolungare il suo soggiorno presso di noi, parti per Mangalore con Padre Graziano; Padre Lazzaro restò con noi a Calcutta. Il giorno della partenza di Monsignore, ero molto tentata contro Padre Laz­zaro e contro le nostre suore. Mi recai in cappella e dissi a Gesù: È possibile, Signore, che io possa vivere con questo Padre e con queste suore, senza nostra Madre? E piangevo mol­to. Il pensiero che l'una sarebbe stata un giorno la mia Madre e l'altra la mia Maestra, mi faceva venire molte tentazioni. Allora, Padre mio, mi addormentai; e durante il mio sonno,
vidi un uomo con due bimbi; e quest'uomo mi mostrava tutto ciò che io avevo fatto duran­te la mia vita, e mi disse: Vedi, io sopporto tutto ciò per te; e tu, non vuoi sopportare ciò per me! Sono io che le ho scelte; sono io che ho loro ispirato di farti ciò; sono io che ten­go i cuori nella mia mano e li faccio cambiare quando voglio. Mormori sempre, perché ho fatto morire suor Stefania e suor Eufrasia, e perché voglio che Madre Elia sia seppellita qui! Nello stesso tempo, vidi un bimbo che mi presentava un calice e una croce molto pe­santi. Il calice era pieno; mi sembrava che, in tutta la mia vita, io non ne avessi bevuto una goccia. Quel bambino mi disse: Prima della tua morte, occorre che lo svuoti; e morirai su questa croce; e tutti i rami ai quali ti attaccherai, io li taglierò. Risvegliandomi, feci ge­nerosamente il sacrificio di nostra Madre, sebbene con molto dolore. Sa, Padre mio, quan­to costa a un figlio fare il sacrificio della propria madre, e soprattutto di una madre come Madre Elia. Nostra Madre è stata così buona per me durante la sua malattia! Il buon Dio lo permetteva, per farmi sentire di più il sacrificio. Fu solo il giorno della sua morte che fu molto severa con me; ma per questo, non la amavo meno, al contrario. Nel momento in cui ella stava per spirare, Madre Sottopriora e suor Maria del Salvatore domandarono perdono a nostra Madre, pregandola di dire loro un'ultima parola e di benedirle. Feci come loro; nostra Madre non mi rispose: O Madre cara, le dissi, dica anche a me un'ultima parola. Fa'tutto ciò che ti si dirà, rispose. Grazie, Madre cara, ripresi, non dimenticherò mai queste parole! Do­po queste parole entrò in agonia, pur conservando la sua conoscenza. Ci guardava, faceva se­gno a Padre Lazzaro di prendere cura delle sue figlie. Il Padre rispose: Sì, Madre, lei Sa quan­to le ami; ne avrò cura. Egli è stato fedele alla sua promessa. Nostra Madre ha domandato di rinnovare i suoi voti; suor Maria del Salvatore li ha pronunziati ad alta voce. Dopo questo mo­mento, nostra Madre restò tranquilla con Gesù. È morta come una santa. Ora, Padre mio, so­no distaccata da tutto».
La lettera della nuova Priora, suor Maria del Salvatore, che accompagnava que­sta relazione di suor Maria di Gesù Crocifisso, ripeteva in poche parole al Sig. aba­te Manaudas le peripezie del viaggio. Un'altra lettera della Madre Priora, indirizza­ta al Carmelo di Pau, esprimeva i sentimenti di ammirazione di tutti per suor Maria. Madre Maria del Salvatore conferma in questa lettera la profezia della novizia con­cernente la morte delle tre vittime richieste da Gesù. Parla anche delle estasi di suor Maria e del giudizio di Padre Graziano in proposito: Impossibile, diceva allora que­sto Padre, che ciò non sia da Dio. Questa piccola pensa così poco a tutte queste co­se straordinarie! È tutta occupata nelle sue faccende di cucina. Quale devozione e quale carità per tutti! E la Priora, dopo aver citato questa testimonianza del Padre, aggiungeva: Ora io ho più fiducia che mai che tutto ciò che avviene in questa cara bambina, viene dal buon Dio, e che, malgrado la mia indegnità, io sarò testimone delle misericordie di Dio su quest'anima. Mons. Maria Ephrem, Padre Lazzaro'°e Padre Graziano sono del mio parere. Chi potrebbe dubitare, raccogliendo queste te­stimonianze, del cambiamento che si opererà ben presto?
A Mangalore, come a Pau, suor Maria di Gesù Crocifisso ebbe a subire, da par­te del demonio, delle prove terribili, perché i tre anni di ossessione predetti dal­l'angelo non erano ancora trascorsi. Le scene diaboliche, già conosciute dal letto­
re, si rinnovavano ad intervalli. Il demonio si mostrava, come sempre, disobbediente, suscettibile, collerico; spingeva la novizia a fuggire ed a ritornare nel mondo. Infine,, le diede i supremi assalti nell'ultima settimana del giugno 1871, dopo di che la potenza degli esorcismi l'obbligò ad uscire dal corpo della sua vitti­ma. In una lettera indirizzata a Mons. Saint-Guily, arciprete di Pau, Padre Lazzaro racconta queste lotte e questi trionfi, come pure le grida sublimi emesse dalla suo­ra, ripetizione di quelle che noi abbiamo raccolto parlando della sua possessione a Pau. Era la fine di questa dolorosa prova.
Ormai liberata da quelle penose ossessioni, suor Maria di Gesù Crocifisso ri­guadagnò la gioia e l'edificazione del piccolo Carmelo indiano, mentre era pure ri­colma di favori soprannaturali: estasi, visioni, spirito di profezia... Le lettere della sua Priora e quelle della sua maestra segnalano i suoi rapidi progressi nella via del­la perfezione. Mons. Maria Ephrem si dichiarava egli stesso soddisfatto al massi­mo delle disposizioni della novizia.
La verità tuttavia era che a quell'epoca alcuni dubbi erano già nati nello spirito dei superiori del Carmelo riguardo alla via della novizia. Non la conoscevano an­cora che imperfettamente, essi erano stati sorpresi di questi nuovi assalti diabolici che andava subendo; erano ancora più sbalorditi della riservatezza che, per ordine divino, ella custodiva ormai sulle sue comunicazioni soprannaturali verso qualsia­si altro che non fosse il suo confessore e si domandarono più volte se suor Maria di Gesù Crocifisso non fosse nell'illusione, se non fosse il triste giocattolo del de­monio e di se stessa.
Erano i primi preparativi della prossima salita del monte Calvario e della croci­fissione che il divin Maestro riservava alla sua fedele sposa. Dio permise che que­sti dubbi diminuissero all'approssimarsi della professione religiosa, perché egli vo­leva che la fervente novizia fosse infine ammessa a pronunziare i santi voti. Ma noi li vedremo riapparire la sera stessa della Professione, ed essi non faranno ormai che accrescersi fino alla consumazione della tragedia del Calvario.

CAPITOLO XIII
Ritiro di suor Maria di Gesù Crocifisso prima della sua professione (3-21 novembre 1871)
Dobbiamo ora accompagnare suor Maria nel suo ritiro di venti giorni che pre­cedette la sua Professione religiosa. Grazie a Padre Lazzaro, suo confessore, pos­sediamo le rivelazioni comunicate alla novizia. I considerevoli estratti che stiamo per dare di questo lavoro ci sembrano talmente elevati, belli e profondi, che non possiamo non vedervi l'espressione di una dottrina dettata dal cielo a questa igno­rante che sapeva appena leggere.
I
«Ho visto, ella raccontava il primo giorno, un giardino a forma di cuore, que­sto giardino era secco, arido. Gli alberi erano disseccati, non avevano foglie; l'er­ba era bruciata. Mancavano l'acqua per dissetarsi, e l'aria per respirare. In segui­to, ho visto in lontananza Gesù, triste, sofferente, piangente, coperto di polvere, nella più grande angoscia. Mi è sembrato che io stessa, al vederlo, fossi caduta nella tristezza, nella sofferenza, nell'angoscia. In una parola, ho provato tutti i sen­timenti, tutte le impressioni che vedevo in Gesù. Mi sono prosternata ai suoi pie­di, ed ho asciugato le sue lacrime con le mie, mi sembrava almeno che fosse così. Dal profondo del cuore avrei voluto asciugare la polvere dei suoi piedi e quella che lo copriva. Gesù è entrato in questo giardino inaridito, ma non vi ha trovato ne aria, né acqua, né ombra, ed è divenuto ancora più triste, più oppresso, più soffe­rente. Non vi è rimasto a lungo, uscito quasi subito da questo giardino è entrato in un altro, accanto. In questo, ha trovato del verde, fiori, alberi da frutto e frutti ma­turi. Tutti gli alberi erano verdi, coperti da un fogliame folto e ombroso. C'erano aria ed acqua in abbondanza, la terra era lì ben lavorata e umidificata. In questo giardino; Gesù è parso ritornare in salute, è diventato giovane, sorridente, ed ha detto: Qui fa bel tempo: c'è aria per respirare, acqua per dissetarsi, frutta per mangiare, ombra per riposarsi. Ed è rimasto a lungo in questo giardino e vi stava molto bene. Non comprendendo il senso di ciò che vedevo, mi sono rivolta a un giovane che mi guidava a Gesù, e gli ho chiesto quello che ciò significasse. Egli mi ha detto: Il secondo giardino rappresenta l'anima fedele e umile che riceve e conserva le acque della grazia, mentre il primo giardino, che non è lavorato, è il simbolo delle anime orgogliose, le quali non conservano per loro l'acqua della grazia, vittime delle lo­ro passioni che le bruciano. L'aria che si respira nel buon giardino è il simbolo del­le aspirazioni dell'anima verso Gesù: queste aspirazioni sono la sua vita. I fiori rappresentano le virtù dell'anima; i frutti, sono le buone opere, la mortificazione, la penitenza, con le quali essa guadagna altre anime a Gesù. Le foglie degli albe­ri raffigurano la carità con l'ombra che esse danno. La aridità e la durezza della terra del cattivo giardino rappresentano un cuore indurito».
II
«Nostro Signore era davanti a me. lo lo vedevo, volevo andare verso di Lui e non lo potevo. Gesù mi sembrava tenero come il fiore dei campi, che appassisce non ap­pena lo si tocchi. Facevo un passo verso di Lui, e mi fermavo; non avevo quasi le gambe; sembrava che rientrassero nel mio corpo come delle sbarre di ferro: esse non potevano reggermi. Mi è sembrato tuttavia di essere andata un poco avanti e ho det­to: Signore, sono avanzata un po' verso di te; tu sei davanti a me, i miei occhi ti ve­dono, le mie orecchie ti sentono, dammi un po' di forza per arrivare fino a te. Nello stesso tempo, ho invocato lo Spirito Santo per ottenere la forza. Mi sembrava sem­pre che Gesù non fosse lontano da me. Guardavo qualche volta dietro di me, e ogni volta che guardavo così, provocavo delle piaghe nel corpo di Gesù. Ed ho chiesto: Che cosa è tutto questo? Subito qualcuno mi ha preso e mi ha detto: Guarda davanti a te. Ho guardato e mi è sembrato di vedere un giardino dove erano fiori, alberi e frutti. Davanti alla porta del giardino era acceso un grande fuoco. Per entrare nel giardino, bisognava attraversare questo fuoco. Contemporaneamente, ho visto due persone davanti al giardino. Una camminava con fierezza, la testa alzata; l'altra ave­va la testa abbassata e sembrava curva. La prima è entrata senza timore, con la testa sempre alzata. Tuttavia è penetrata nel giardino ed ha colto dei fiori e dei frutti in quantità. In seguito è ritornata alla porta ed ha attraversato di nuovo le fiamme per uscire; ma i suoi vestiti sono stati interamente bruciati, così come tutto ciò che por­tava. Era completamente nuda. Anche la seconda persona è entrata; per attraversare il fuoco, si è molto abbassata e il fuoco non ha preso i suoi vestiti. Una volta nel giar­dino, ella l'ha percorso, ha colto molti fiori, molta frutta di ogni specie, ed è torna­ta alla porta del giardino carica di fiori e di frutti; per attraversare le fiamme alla sua uscita, si è abbassata ancora di più di quando era entrata. E le fiamme non l'hanno toccata; ed è uscita più bella e più ricca di quando era entrata.
Ho chiesto di nuovo quello che ciò significasse, e colui che mi guidava mi ha detto: Il fuoco è l'immagine dei fastidi, delle pene, delle angosce, delle sofferenze, ` delle prove della vita. Il Signore li manda perché si raccolgano fiori e frutti. La pri­
ma persona che è entrata nel giardino e che ne è uscita povera, triste, nuda, raffi- ; gura coloro che si inorgogliscono nella prova: l'orgoglio, l'egoismo, l'amor pro­prio fanno loro perdere tutto. La seconda persona raffigura le anime che si umiliano nella sofferenza, nella prova. Esse si caricano di fiori e di frutti.
Il momento di off~ire al Signore i fiori ed i frutti arriva; è la morte. Le due ani­me si presentano davanti al Signore. Il Signore interroga l'una e l'altra. Dice alla prima: Tu sei entrata nel giardino; hai raccolto fiori e frutti: dove sono? Signore, risponde, il fuoco che ho attraversato ha bruciato tutto, tutto divorato. Non ho con­servato niente. Ebbene, riprende il Signore, poiché tu non hai niente, va nel nien­te. Maledetta, io non ti conosco! Il Signore si rivolge in seguito alla seconda che nasconde i suoi frutti e le dice: E tu, che cosa hai raccolto? E costei getta subito davanti al Signore ciò che teneva nascosto; e, abbassando la testa, risponde: Sei tu che mi hai guidato e che hai raccolto questi frutti. E il Signore risponde: Entra e riposati e godi delle gioie del Signore».
III
«Ho visto una montagna alta, ma molto scoscesa. Dal lato opposto a quello do­ve ero io, ho visto un sole luminoso, molto luminoso e mi sembrava che questo so­le salisse lentamente da quel lato della montagna. Arrivato alla cima, ha attraversa­to la sommità ed è disceso lentamente, molto lentamente, dal lato della montagna dove mi trovavo io. Man mano che discendeva, illuminando e riscaldando questo lato, un tappeto di verde e di fiori si formava dappertutto dove giungevano i suoi raggi. Ha così percorso tutta la montagna, dalla cima ai piedi, lasciando una fascia di verde dovunque passasse. Giunto ai piedi della montagna, ha allargato i suoi rag­gi, e il verde appariva ovunque esso giungeva. Si è avvicinato a me ed io mi sono vista come coperta di verde sotto l'influsso dei suoi raggi».
IV
«Un giovane mi mostrò l'uomo giusto e l'uomo ingrato. L'anima dell'uomo giu­sto è bellissima, ma il suo corpo sempre soffre. Lavora e vive nella pena e nell'an­goscia; ha da sopportare ogni specie di mali e di persecuzioni; e, in mezzo a tutto ciò, non pensa a sé, ma pensa a Dio che vive in lui. Tutto quello che fa, lo fa per Dio e non per sé; si dimentica interamente. Dimentica il suo corpo, la sua salute, il suo benessere, per non pensare che a Dio. Giunge alla fine della sua vita, muore ed è portato in Dio; ma quando egli è in Dio, non sembra più un uomo, ma un Dio. Ed allora la sua carne, che ha maltrattato, gli rende omaggio e lo ringrazia di averla trattata in quel modo. I suoi capelli, le sue ossa, i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi piedi, le sue mani sono fieri di appartenergli, di essere stati a suo servizio, e ven­gono a rendergli omaggio e lo ringraziano di averli trattati così come ha fatto. Tut­tavia tutte queste lodi, sebbene rivolte all'uomo, ritornano a Dio. La terra si com­piace di averlo portato, di essere stata calpestata da lui quando camminava; gli animali si reputano felici di essere stati immolati per lui e di essere diventati sua carne. Gli alberi si rallegrano di aver portato dei frutti da assimilare alla sua carne; le case, di averlo alloggiato; il sole, la luna e le stelle, di averlo illuminato. Le nu­vole, la pioggia, le sorgenti, il mare, i pesci rendono omaggio a quest'uomo ed es­si sono felici di averlo servito.
L'uomo ingrato, durante la sua vita, pensa a ben trattare il suo corpo, accor­dandogli tutto ciò che è buono, dolce, delicato. E, in mezzo a tutto ciò, que­st'uomo non pensa a Dio, non pensa che a se stesso, alle soddisfazioni, alle gran­dezze, alle ricchezze, ai godimenti. Se egli potesse essere re del cielo e della terra, se potesse detronizzare Dio per farsi Dio lui stesso, lo farebbe. Non pensa che riceve tutto da Dio, che è Dio che gli ha dato tutto. E quest'uomo che sem­bra voler assorbire il mondo intero, vede arrivare la sua fine. E muore. Mi è par­so che i suoi capelli lo detestassero e che i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi pie­di, le sue mani, le sue unghie, tutto il suo corpo lo detestasse, e che fossero vergognosi e furiosi di averlo servito, di essergli appartenuti; se avessero potuto maledire il tempo in cui sono stati con lui, lo avrebbero fatto. La terra e vergo­gnosa e furiosa di essere stata da lui calpestata, e lo maledice. Gli alberi sono fu­riosi contro di lui e fremono di rabbia per aver portato dei frutti da convertirsi in suo nutrimento. Le bestie, il sole, la luna, le stelle, le fontane, il mare, i pesci so­no furiosi per essere stati a suo servizio e d'accordo lo maledicono. E tutte que­ste maledizioni seguono quelle di Dio, perché Dio maledice l'ingrato, ed è per­ché Dio lo maledice che tutta la creazione lo maledice a sua volta. È per la stessa ragione che la benedizione di Dio sul giusto gli attira le benedizioni di tutte le creature. E il giovane mi ha detto: Hai visto, hai sentito, mettiti dalla parte del giusto. Ed è sparito».
V
«Il giovane mi ha condotto vicino al mare. Sono scesa con lui fino in fondo agli abissi del mare e mi ha detto: Guarda ed esamina tutto. Ho guardato tutti gli ani­mali che sono nel mare ed ho esaminato le scogliere e tutto ciò che si trova nel ma­re. Sono ritornata sulla terra, ed ho scavato fino al suo centro, ed ho trovato Dio in tutto, dappertutto. Ho visto che Dio contiene la terra ed ho sentito una voce che di­ceva: Tutti questi animali che sono nel mare, vivono ed agiscono nel mare e sono circondati dal mare; come pure, tutto ciò che vive e agisce sulla terra, vive ed agi­sce in Dio ed è circondato da Dio.
Il giovane mi ha portato davanti al trono di Dio. Ho visto Dio, non così come è, perché sarei morta, ma ho visto Dio e tutta la creazione in Dio. Dio sembra pic­colo, e nello stesso tempo, riempie tutto, contiene tutto. Mi è sembrato che Dio gettasse uno sguardo sul mare e sugli animali del mare e che desse loro suffi­ciente forza istintiva per regolarsi, anche alle acque del mare, che sanno fin dove debbono andare. In seguito, Dio ha guardato la sabbia e la melma che sono in fondo al mare ed ha dato loro con questo sguardo abbastanza potere per nutrire i pesci e tutto ciò che c'è nel mare. Ha posto gli scogli nel mare perché restassero immobili e ha ordinato tutte le cose, ad ogni cosa, egli ha assegnato il suo posto e dato la virtù che conviene. Ho visto che non c'era niente nel mare. E dopo, Dio ha guardato la terra, e le ha dato il suo ordine, e con quest'ordine, le ha dato la fertilità. Ed ha guardato gli animali che sono sulla terra, e con questo sguardo ha dato loro sufficiente forza istintiva per regolarsi, ed ha loro comandato di molti­plicarsi. Ed ha guardato l'uomo, e gli ha dato la volontà, cosa che non aveva fat­to per il resto della creazione.
Ed io ho visto due uomini: uno ha dato la sua volontà a Dio, l'altro l'ha tenuta per se stesso. Quest'ultimo lavora, si agita, possiede, gode, riceve la lode e l'adu­lazione. E il lavoro, l'agitazione e la ricchezza e i piaceri, e le lodi e le adulazioni e la gloria non riescono a soddisfarlo. Ha sempre nuovi desideri, e non è mai con­tento, mai a suo agio. Dio gli accorda tutto ciò che desidera, e non è mai felice. Ma Dio ha contato i suoi giorni, ed arriva la fine della vita, e lascia la terra senza aver cercato Dio, senza essere pago. Ed alla sua morte, due fanciulli lo prendono e lo gettano nella terra maledetta. E la terra maledetta vede i suoi dolori aumentare ri­cevendo questi resti maledetti. E se questa terra potesse rifiutare di ricevere questi resti, lo farebbe.
Ma colui che ha dato la sua volontà a Dio, vive anche come il primo, sulla ter­ra. Grandi sofferenze lo colpiscono; altre volte le gioie si presentano, le ricchez­ze lo circondano; e poi la povertà lo persegue. Egli guarda con lo stesso occhio sia il bene, sia il male. È sempre contento, sempre felice. È senza desiderio. La fame, la sete, le lodi, le umiliazioni lo trovano sempre uguale. È sempre conten­to, sempre felice, sempre appagato. La fine arriva anche per lui: muore, e due fan­ciulli lo portano nella terra delle misericordie. Mi sembra che questa terra porti Dio, e mi sembra che quest'uomo divenga Dio. E il giovane mi ha detto: Perché mormori contro i misteri di Dio? Prendi un vaso di acqua e getta quest'acqua nel mare; e poi, prova a ritrovare l'acqua che tu hai gettato; non vi riuscirai. Così quest'uomo è entrato come perduto in Dio. E siccome ha dato la sua volontà a Dio, Dio e l'uomo non fanno che uno. E come cercando l'acqua del vaso gettata nel mare, non si trova che l'acqua del mare, così pure, per l'uomo entrato in Dio, guardando e cercando l'uomo, non si vede e non si trova altro che Dio. Allora, io mi sono rivolta verso Dio, e gli ho fatto ogni specie di carezze; e l'ho pregato e l'ho scongiurato nel suo proprio nome, in nome di Gesù, in nome dello Spirito Santo, in nome della santa Vergine, di tutti gli angeli e di tutti i santi, di accetta­re, di prendere la mia volontà di non più restituirmela, anche se avessi la disgra­zia di ridomandargliela».
VI
«Ho visto un canale che sembrava non avere né inizio né fine. Ho detto: Biso­gna che sappia da dove viene questo canale. Il giovane mi ha detto: Tu potrai ve­dere da dove esso viene, ma tu non vedrai da dove esso comincia. Ed io ho detto: È lo stesso; vorrei proprio camminare lungo questo canale. E mi è parso che acco­standosi a questo canale, quelli che hanno sete sono rinfrescati, dissetati; i ciechi vedono, i muti parlano; i sordi sentono, gli zoppi camminano, i morti risuscitano. E l'acqua di questo canale scorre in silenzio: e, sulle sue sponde, vi sono ogni spe­cie di rose, di fiori di un profumo e di un colore che io non ho mai incontrato uguali sulla terra; vi si vedono anche del verde e degli alberi. Alcuni alberi non hanno che foglie, altri non hanno che fiori, ve ne sono che cominciano a portare dei frut­ti, ve ne sono altri i cui frutti sono maturi. Quanto beve a questo canale e tutto ciò che questo canale bagna, è bello, magnifico. E man mano che avanzavo lungo il ca­nale, vedevo cose più belle. E salivo sempre, e sempre vedevo cose nuove, fiori nuovi, alberi nuovi.
Da lontano ho intravisto una montagna, la più bella di tutto l'universo. Mi è sembrato che essa uscisse dal cielo; la base di questa montagna, come pure i suoi fianchi, erano disseminati dei più bei fiori. Ho visto anche che il canale usciva dal­le viscere di questa montagna. E io volli conoscere la sorgente di questo canale che usciva dalla montagna, e sono passata sul fianco della montagna e sono arrivata al­la cima. E dietro la montagna, vedo un mare senza principio e senza fine. E questo mare è talmente pieno che tenta di straripare, e non ha altra uscita che la montagna, e passa attraverso la montagna. Sono entrata nel mare ed ho trovato agitazione nel­l'acqua che cercava di uscire; nello stesso tempo, c'era nel mare una calma per­fetta, un silenzio profondo; non si sentiva il più piccolo rumore. Ho visto sulla riva del mare, alberi da frutto di ogni specie; sembrava che fossero in mezzo al mare, ed erano sulla costa sistemati come a ripiani. I più alti sembrava che fossero in mezzo al mare ed avevano frutti magnifici. Sulla riva del mare, c'erano anche pianticelle fiorite. E questi fiori erano di tutti i colori; ed erano così belli che la loro vista avrebbe rapito un angelo. Ed ho sentito una musica, un canto dolce, forte e basso nello stesso tempo; c'erano degli scoppi da fare fremere le montagne, e nello stes­so tempo, questo rumore di voci era dolce e basso. Ed ho visto un agnello correre nel mare, e nuotare in questo mare, e nuotando, cercare di allargare il passaggio at­traverso il quale l'acqua scorre, perché esso trova che l'acqua è troppo abbondante nel mare.
Contemplavo questo mare, questi fiori, questi alberi e queste pianticelle fiorite, ed ho chiesto al giovane che mi accompagnava il significato di tutto ciò. Mi ha det­to: Il mare è Dio. Gli alberi che hanno dei frutti così belli, rappresentano le anime che hanno lavorato tutta la loro vita per Dio, per la salvezza del prossimo. I frutti di cui sono carichi, rappresentano le anime conquistate a Dio con la loro parola, con il loro esempio, con le loro sofferenze. Gli alberi che sono più avanzati nel ma­re, nel cuore di Dio, rappresentano le anime più umili, più disprezzate, più nasco­ste che hanno sempre lavorato per la gloria di Dio. Ho visto un albero il quale non aveva che frutti e non un fiore; ed ho chiesto ciò che esso rappresentasse. Il giova­ne mi ha risposto: Esso rappresenta le anime che hanno molto peccato e che, una volta ritornate a Dio, hanno passato la loro vita nella speranza, nell'amore, nella pratica di tutte le virtù, e che hanno guadagnato a Dio molte anime. Esse non han­no conservato il fiore dell'innocenza, ma hanno i frutti delle loro buone opere e delle loro virtù. Ho visto alberi che avevano molti fiori, con qualche raro frutto, ed altri i quali avevano solo fiori senza alcun frutto. Il giovane mi disse che i primi raf­figuravano le anime vergini che avevano poco lavorato per Dio; ed i secondi, le anime dei bambini morti con il fiore della grazia battesimale, senza avere avuto il tem­po di portare dei frutti. Le piantine fiorite sulle rive del mare rappresentano anche questi stessi bambini.
La montagna è Maria; le acque del canale sono le acque della grazia. Dio dà la grazia per mezzo di Maria e per lei l'uomo ritorna alla grazia ed entra in cielo. E tutto ciò che si accosta a Maria ottiene la vita della grazia. Il verde, i fiori e gli al­beri che orlano il canale e che sono tanto più belli quanto più si avvicinano al ca­nale ed alla montagna, sono le anime che nascono alla vita della grazia, che pro­grediscono e diventano più belle, man mano che divengono più virtuose».
VII
«Ho visto una scalinata, l'ho salita, e in cima alla scala, ho visto una grotta nel­la quale erano tre ceri accesi. Ho visto nella grotta una porta aperta. Sono entrata in questa porta. Entrando, ho visto un sacerdote che celebrava la messa. E mi è ve­nuto il pensiero che non avessi bene esaminato i ceri della grotta. Vi sono ritornata e mi è parso di aver visto una lettera d'oro scritta su ognuno di essi. La lettera scrit­ta sul primo cero rappresentava la povertà; la lettera scritta sul secondo cero rap­presentava la castità, e la lettera scritta sul terzo cero simboleggiava l'obbedienza; i tre ceri erano anche la raffigurazione della sacra Famiglia. Il cero della povertà rappresentava san Giuseppe; quello della castità, Maria, e quello dell'obbedienza, Gesù. E mi è stato detto che il sacerdote che celebrava la messa rappresentava Ge­sù, per conseguenza l'obbedienza; e i due ceri accesi durante la messa rappresen­tavano Maria e Giuseppe, cioè la povertà e là castità che dovevano accompagnare il sacerdote all'altare.
Ho visto le fiamme dei tre ceri della grotta bruciare tra il trono di Dio e me, la fiamma della povertà produceva davanti a Dio, in cielo, ricchezze infinite; la fiam­ma della castità produceva una purezza e delle gioie immense, infinite; la fiamma dell'obbedienza produceva una autorità infinita davanti alla quale tutto s'inchina, alla quale tutto obbedisce. Ho visto che, per restare davanti a Dio, bisogna stare die­tro alle fiammelle della povertà, della castità e dell'obbedienza che si trovano fra Dio e noi. Ed ho visto che restando dietro a queste fiammelle, l'immagine di Gesù si imprimeva in noi; e Dio, che dopo la sua prevaricazione non può più guardare l'uomo che attraverso Gesù, come l'uomo non può, da parte sua, guardare Dio che attraverso lo stesso Gesù, Dio, dico io, ci guarda; perché egli non vede più noi stes­si, ma l'immagine di Gesù in noi. Mi ha detto che la grotta è il simbolo della Chiesa, che sembra senza bellezza e piccola esteriormente, ma che nasconde nelle sue viscere dei tesori, delle bellezze e delle grandezze infinite. Mi è stato detto che la povertà è il suo tesoro; la castità, le sue delizie; e l'obbedienza, la sua potenza».

CAPITOLO XIV
Suor Maria di Gesù Crocifisso dalla sua professione fino al suo ritorno al Carmelo di Pau (21 novembre 1871 - 5 novembre 1872)
Il 22 luglio 1871, Madre Elia era venuta, in una apparizione, ad annunciare a suor Maria di Gesù Crocifisso che avrebbe fatto la sua professione il 21 novembre, gior­no della Presentazione della Santissima Vergine al Tempio. Questa profezia, come tante altre, doveva avverarsi. Un po' di tempo dopo, effettivamente, le Madri votaro­no all'unanimità l'ammissione della novizia a pronunziare i santi voti. Da parte sua Mons. Maria Ephrem, comprendendo la responsabilità che gli incombeva nei riguar­di del Carmelo affidato alla sua pia sollecitudine e nei confronti di questa anima pri­vilegiata, decise di fare una inchiesta personale sul cammino spirituale della futura professa. Giudicò a buon diritto, che la maniera migliore di condurre tale inchiesta, era di interrogare frequentemente la suora, di ascoltare il resoconto dei favori straor­dinari di cui era oggetto, di cogliere sul vivo i suoi abituali sentimenti, con i quali le anime si rivelano fino in fondo. Durante i mesi di ottobre e di novembre, si fece un dovere, di recarsi il più spesso possibile presso la novizia. Durante il ritiro per la sua professione, volle perfino vederla ogni giorno; ebbe con lei lunghi colloqui, ascol­tandola ed interrogandola. Così facendo sentì molte delle rivelazioni riferite nel capi­tolo precedente. In contatto con quest'anima che l'amore divino rapiva ad ogni istan­te nel mondo soprannaturale e che, in mezzo a questa sovrabbondanza di grazie eccezionali, si manteneva fresca e spontanea, umile e piccola, obbediente e diffiden­te di se stessa, Monsignore vide a poco a poco dissipare le sue inquietudini. Tutte le obiezioni sulle quali, nella sua prudenza episcopale, aveva creduto doversi fermare, svanivano ora, sotto il flusso soprannaturale che emanava da quest'anima. Ben presto fu completamente rassicurato. Il 18 novembre, tre giorni prima della professione, non temette di dire alla novizia: Credevo che fosse il demonio a non volere che tu ti apris­si alla Madre Priora ed alla tua Maestra, ma oggi vedo ben chiaro che è il buon Dio. L'indomani, in presenza di queste due Madri, faceva questa altra dichiarazione, della quale si apprezzerà tutta la portata: Prima, avevo qualche dubbio, ma vi assicuro che oggi, non ne ho più alcuno. Tutto ciò che era stato detto, si è proprio realizzato; non c'è più alcun dubbio in nessuno. Domandate alla Madre Priora se ciò è vero. Tutto viene da Dio. Non soltanto la Priora e la Maestra delle novizie approvarono questa dichiarazione, ma l'appoggiarono con le parole più materne.
Infine arrivò il giorno della professione, così impazientemente atteso da tutti. Era, l'abbiamo detto, il 21 novembre. La convinzione raggiungeva ora un tale gra­do di evidenza nello spirito di Mons. Maria Ephrem, che egli osò darne una pub­blica testimonianza nel magnifico sermone pronunciato in quella circostanza. Non sapremmo fare di meglio che porre sotto gli occhi del lettore la parte centrale di questo discorso, o, saremmo quasi tentati di dire, di questo panegirico, o apologia. Mia carissima figlia, infine ecco venuto il giorno tanto desiderato delle tue nozze mistiche con il Diletto del tuo cuore. E per una felice coincidenza, il cielo ha voluto anche che fosse il giorno nel quale la purissima e santissima Vergine Maria, nostra Madre e nostro modello, venne, an­cora bambina, a presentarsi al Tempio, e con una consacrazione simile alla tua, aprire al­la verginità una strada nuova e inaugurare il regno di queste unioni mistiche dell'anima con Dio. Questo giorno deve dunque esserti doppiamente caro. Hai sospirato molto spes­so e molto ardentemente quest'ora benedetta, nella quale stai per diventare per l'eternità la sposa del Re dei Re. Tu hai invocato Gesù con tutte le forze del tuo cuore. L'hai do­mandato di giorno e di notte; l'hai domandato al mare e alle montagne; l'hai domandato al sole e alle stelle, agli uomini e agli angeli, a tutte le creature di Dio; ma nessuno te l'ha dato. Esse ti hanno detto probabilmente, come al grande sant'Agostino: Quaere super nos, cerca più in alto di noi. E Lui, messo sulle alture della santa montagna, ti chiama là con la sua voce più tenera e ti dice, come alla Sposa dei Cantici: "Vieni dal Libano, mia spo­sa, vieni dal Libano e sarai incoronata". E tu, mia carissima figlia, tu hai sentito la voce del Beneamato fin dalla tua più tenera infanzia, e sei venuta dalle montagne del Libano. Oh! quanto questo divin Salvatore ti ha colmato delle sue misericordie! quanto ti ha cu­stodita e circondata con le tenere carezze del suo amore!
Rivivi nel tuo spirito gli innumerevoli favori che hai ricevuto da lui, dalla tua nascita fino a questo giorno, benedetto per sempre, delle tue nozze eterne. Che cosa non ha fatto per te questo amatissimo Gesù? Ti ha fatto sentire i dolci e casti influssi della sua grazia in una età in cui non potevi ancora conoscerne il prezzo. Ti preparava da lungo tempo, con mille circostanze straordinarie, al grande gesto che stai per compiere. Ti ha fatto attinge­re a lungo e ampiamente nel tesoro infinito delle sue misericordie. Ha egli stesso indica­to, predestinato, preparato, mandato al momento opportuno quelli che dovevano essere ac­canto a te i ministri e gli strumenti di questi progetti. Ha fatto entrare, quattro anni fa, te, povera straniera, orfana e abbandonata dagli uomini, in una famiglia di anime sante e pie­na per te di devozione e di amore, in una famiglia in cui non hai incontrato che delle ma­dri affettuose e tenere e delle sorelle la cui carità non si è smentita un solo istante.
In mezzo a tutti questi soccorsi esterni, che la sollecitudine di Gesù disponeva per la tua anima, ha anche permesso, per provare la tua fedeltà, che avessi da sostenere dei gran­di assalti da parte del nemico del genere umano. Quali sono state queste lotte terribili? Dio lo sa, mia carissima figlia, e ciò ti basti. Ma ciò che devi riconoscere è che Gesù, il tuo Di­letto, non ti ha abbandonata in questi momenti dolorosi, e che la Sua Grazia ti ha sempre sostenuta.
Poi, un anno fa, Egli ti ha detto, come una volta ad Abramo: Egredere de terra tua et de cognatione tua, esci dal tuo paese, esci dalla casa di tuo padre, e vieni nella terra che ti mostrerò. Ed hai lasciato la Francia, tua seconda patria; sei uscita dal convento di Pau, dov'è la tua famiglia di adozione, e sei venuta in questa terra, l'India, dove il demonio re­gna da padrone, per obbedire alla voce del Beneamato. E come se questo sacrificio non fosse stato sufficiente, ti ha preso lungo la via due tue care consorelle, e poi, a due passi da qui, quella che era stata per te la più tenera, la più paziente, la più devota delle madri, quella il cui nome e la cui memoria saranno sempre benedetti fra noi. Fortunatamente, però la nostra amatissima Madre Elia non ci ha del tutto abbandonati; ha lasciato il suo spirito, la sua dolcezza e la sua carità a quella che, in questo momento, ha preso il suo po­sto, presso di voi. Ecco, figlia mia carissima, in una maniera molto incompleta, ciò che il Signore Gesù si è degnato di fare per te; ed ora, raggiunge il culmine delle sue misericor­die, dandoti per sempre il titolo ed i diritti di sposa del suo divin cuore. Figlia mia, tu mi­serabile creatura, tu, povero piccolo nulla, tu, abisso di infermità, di peccati e di miseria, tu stai per essere elevata tutt'a un tratto, in forza dei tre voti, alla più sublime dignità alla . quale possa aspirare un'anima cristiana, alla dignità di sposa del Re del Cielo! O Gesù, sii benedetto perché ci tratti con tanto onore e perché ci accordi una tale gloria! E tu, cara fi­glia mia, rallegrati, ma trema nello stesso tempo; perché, sappialo bene, tu non diventi sol­tanto la sposa di Gesù, ma la sposa di Gesù Crocifisso, come dice il tuo stesso nome. De­vi quindi essere, più che mai, morta a tutte le cose della terra, per vivere sulla croce accanto al Diletto del tuo cuore. Le tre parole solenni che stai per pronunciare, i tre voti che stai per fare, esprimeranno, nella loro sublime e terribile laconicità, questa crocifis­sione completa di te stessa...
... Ah! mia carissima fanciulla, coraggio, non indietreggiare davanti a questo parlare di crocifissione. Ricordati che sei la figlia di quella che diceva a Gesù: "O soffrire o mori­re", e la sorella di quell'altra generosa sposa che diceva: "Soffrire e non morire!". Aveva­no compreso, queste anime eroiche, che la sofferenza è il cammino regale della felicità; esse sapevano che è per questo che Gesù è entrato nella sua gloria: oportuit pati Chri­stum... E il grande apostolo, che ci ha spiegato così bene i misteri della follia e della sag­gezza della croce, ci ha anche detto: Videmus Jesum, propter passionem mortis, gloria et honore coronatum, vediamo Gesù coronato di gloria e di onore a causa della sua passio­ne e della sua morte. Cammina dunque, anche tu, figlia mia, in questa stessa via, per arri­vare alla stessa gloria.
D'altra parte, Gesù non ti lascerà sola sulla croce: senza di Lui sarebbe troppo doloro­sa. Egli sarà con te; e quando Egli stesso ne avrà provato ciò che c'è di più amaro, ti dirà: «Ora vieni, mia diletta, vieni a condividere le mie sofferenze; stenditi vicino a me su que­sto giaciglio insanguinato, muori con me su questo strumento di supplizio che è anche il trono della mia regalità; qui ti farò regina, e da qui ti porterò via con me nella gloria e nel­la felicità del cielo. Legati quindi alla croce, figlia mia cara; accetta generosamente le sof­ferenze; metti il tuo Diletto sul tuo seno come un mazzo di mirra; cioè che il pensiero del­le sofferenze e delle amarezze della Passione di Gesù sia sempre nel tuo cuore...».
Durante la lettura di questo discorso, l'emozione del vescovo era così profon­da, che egli era incapace di trattenerla. Dietro le grate l'emozione era molto più viva, e si tradiva questa volta con veri torrenti di lacrime. La novizia, che dall'i­nizio della cerimonia, era rapita in estasi, aveva tuttavia testimoniato col suo at­teggiamento che seguiva il sermone. Al momento della professione, bastò una pa­rola della Priora per richiamarla in se stessa. Ma, appena finita la formula dei santi voti, ella era di nuovo trasportata nella contemplazione dei divini misteri, in compagnia di santa Teresa, di san Giovanni della Croce, di santa Maria Madda­lena de' Pazzi, di Madre Elia. Nel momento in cui Monsignore apriva il taberna­colo, esclamò con un indicibile trasporto: «Ecco l'Amore, ecco l'Amore!» fa­cendo passare, con queste parole, come un brivido divino nell'anima di tutti quelli che la sentirono. Ah! In quel momento nessuno certamente si soffermava sugli antichi dubbi; nessuno pensava nemmeno a nascondere la propria emozio­ne o le proprie lacrime di gioia.
Finita la cerimonia, Monsignore, accompagnato da alcuni sacerdoti, entrò nella clausura. Quando, a sua volta, vi entrò Padre Lazzaro, la suora, sempre in estasi, gli domandò: «Che cosa ne hai fatto dell'Amore?» L'ho lasciato in cappella, rispose il confessore, e spero bene che ve ne sia un poco anche nel mio cuore. «Ah! Tu lo hai messo nel tuo cuore! Meno male! È li che bisogna metterlo». E, un poco più tardi, sic­come le si chiedeva ciò che bisogna fare per possedere l'Amore, si chinò, raccolse un granello di polvere e, tendendolo al suo interlocutore disse: «Bisogna diventare pic­colo come questo». Monsignore, che desiderava fare beneficiare i suoi seminaristi del­le grazie della giornata, li fece venire nel parlatorio. Tutti poterono contemplare la suora in estasi e sentire i suoi fervidi consigli. Da parte loro, le suore si mostravano così avide di godere del "loro tesoro", che consentirono con fatica a privarsene anco­ra, per permettere ai Terziari di intrattenersi alcuni istanti con la fortunata professa.
Alla festa non mancava niente; niente mancava al gaudio. Nell'intimità di questo chiostro indiano, era proprio l'osanna del giorno delle Palme. Ma, ahimè! Come per nostro Signore, questa giornata di trionfo non doveva finire senza vedere svegliarsi nei cuori opposti sentimenti; e se Dio, quella sera, avesse svelato l'avvenire della pia esta­tica, ella avrebbe compreso che, anche per lei, il giorno delle Palme era in realtà l'i­nizio della Passione.
Nel pomeriggio, suor Maria di Gesù Crocifisso aveva annunziato al suo confes­sore che, alla ricreazione della sera, "l'angelo" avrebbe parlato ancora alla comunità, ma che, questa volta, aveva dei rimproveri da rivolgerle. Venuta la ricreazione, le suore si stringevano come sempre attorno all'estatica, non volendo perdere nessuna sua parola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso cominciò col mettere in guardia una sua compagna contro i pericoli di una immaginazione esaltata, difetto molto conosciuto dalla comu­nità. Ad una seconda, raccomandò di volersi ben contentare dei confessori che i su­periori mettevano a sua disposizione. Rivolgendosi in seguito a tutte le suore, diede loro diversi consigli nei quali alcune avevano forse motivo di vedere dei rimproveri. Tuttavia tutte furono obbligate a riconoscere il fondamento di queste osservazioni.
Ma era chiaro che non erano affatto quelli i discorsi che avevano sperato, tanto che una delle suore non poté impedirsi di farne indirettamente il rilievo: L'angioletto, dis­se, non è così gentile come a Fau. L'angioletto non viene tanto spesso e non resta co­sì a lungo come l'aveva promesso. «A che pro? Replicò l'estatica. Avete fatto ciò che io vi ho detto? Cominciate col fare ciò che vi ho detto, ed allora verrò più spesso. Ma, l'avete fatto? Siete state fedeli a quanto vi avevo prescritto?».
Malgrado tutto, rivolse loro ancora qualche raccomandazione sull'unione dei cuo­ri e sulla carità. Aveva poi ripreso, dopo alcuni istanti il "Cantico dell'Amore", quan­do il suono della campana, che indicava la fine della ricreazione, venne a mettere ter­mine a questi trasporti.
Quale era dunque l'ultima impressione lasciata da questa giornata nel cuore del­le religiose? Sarebbe penoso constatare che il ricordo delle grazie ricevute il matti­no spariva in questo momento, in alcune fra loro, sotto una di quelle emozioni che non si osa confessare né definire a se stesse, perché sono, in definitiva fatte di spe­ranze deluse e di amor proprio frustrato. È necessario aggiungere che tali senti­menti, se non sono efficacemente combattuti, operano sempre, quasi a nostra insa­puta, una rivoluzione nelle nostre disposizioni più segrete, finché si traducono ben presto nei nostri pubblici giudizi? Diciamolo qui una volta per tutte, non vogliamo giudicare nessuno, non sospettiamo le intenzioni di nessuno, lasciando a Dio solo la cura di sondare le viscere e i cuori, la cura anche di discernere le più impercetti­bili cause degli effetti più lontani. Tuttavia, dovevamo per amore di verità consta­tare che, fin dalla fine di questa giornata, le lacrime di consolazione si erano subi­to asciugate, e che alla gioia si erano mescolati altri sentimenti.
Per ben comprendere il seguito di questa storia, è necessario ricordare qui alcu­ni fatti precedenti alla professione. Quando era a Pau si è già visto con quale com­pleta fiducia suor Maria di Gesù Crocifisso si apriva, con tutte le sue disposizioni interiori, alla sua eccellente Maestra, Madre Elia. Questa aveva un'anima troppo elevata e un senso troppo scrupoloso della sua carica, per usurpare il compito del confessore. Tuttavia, Dio, facilitava alla novizia questa apertura di cuore, perché ebbe sempre accanto a lei una guida sperimentata e sicura, che poté aiutarla nei suoi stati d'animo così cangianti e qualche volta così difficili.
A Mangalore, i disegni della Provvidenza non furono più gli stessi. Dio non vol­le più per la suora che una direzione, quella del suo confessore. Tuttavia, il vesco­vo, era autorizzato a domandare tutto ciò che avesse giudicato utile o necessario per formarsi un concetto nei riguardi della novizia. Ma la Madre Priora e la Maestra non dovevano più conoscere altro che le cose riguardanti la Regola e la vita este­riore, senza penetrare nel santuario intimo della sua anima. Questo è pienamente conforme alle Costituzioni delle Figlie di santa Teresa, nelle quali, al capitolo XIV, art. 4 leggiamo: "Viene detto che le novizie renderanno conto alla loro Maestra e le altre religiose alla Priora dell'orazione mentale e del profitto che in essa fanno, que­sto deve farsi in modo che ciò proceda dalla volontà di quelle che devono farlo, co­noscendo il grande profitto che esse ne riceveranno piuttosto che esservi costrette: perciò noi proibiamo alle priore e alle maestre delle novizie di obbligare molto le religiose su questo punto".
Manifestando la sua volontà a suor Maria di Gesù Crocifisso, Dio seguiva dun­que nello spirito e nella lettera le Costituzioni approvate dalla santa Chiesa.
La novizia ricevette per la prima volta comunicazione di questa volontà divina il 22 luglio 1871. Poi non passò forse neppure una settimana che lo stesso avver­timento le fu ripetuto: Dì tutto al tuo confessore e a Monsignore, se questo è ne­cessario. Non dire niente a nessun altro. Man mano che quest'ordine diveniva più formale, la novizia vedeva aumentare la sua ripugnanza per tutte queste aperture; sentiva a volte perfino l'impossibilità tisica di tradurre ciò che avveniva in lei.
D'altra parte aveva avuto cura di sottoporre al suo confessore queste comunica­zioni soprannaturali, come pure le disposizioni che le accompagnavano. Padre Lazzaro aveva approvato tutto. Conformandosi a questa decisione, ormai suor Ma­ria agiva dunque con tranquillità di coscienza. Lo stesso Monsignore, informato di tutto, aveva dato la medesima risposta, dopo averla maturata e valutata davanti a Dio: Se Nostro Signore non lo vuole, aveva detto il 7 novembre alla novizia, ti proibisco di dire alcunché. E di nuovo, il 18 novembre, come si è visto prima: Cre­devo che fòsse il demonio a non volere che tu ti aprissi alla Madre Priora e alla Maestra; ma oggi, vedo bene che è il buon Dio. Si poteva desiderare una dichia­razione più esplicita?
Ecco a che punto erano le cose al momento della professione, il 21 novembre. Le Costituzioni autorizzavano suor Maria di Gesù Crocifisso a non svelare alle sue Superiore i segreti della sua anima. D'altra parte, Nostro Signore le proibiva di ri­velarli loro. Infine, per ben assicurarsi che non fosse vittima di una illusione, sem­pre possibile in questa delicata materia, aveva sottomesso la proibizione di Nostro Signore al suo confessore e al suo vescovo, i quali entrambi l'avevano approvata. Chiarito questo punto, continuiamo il nostro racconto.
Il 22 novembre, l'indomani della professione, suor Maria di Gesù Crocifisso, sempre in estasi, si intratteneva di nuovo con la comunità riunita nella sala della ri­creazione. Le suore, come la vigilia, si lamentavano con "l'angelo" della rarità del­le sue visite: Avete fatto quello che vi ho detto a Pau? replicava ancora "l'angelo". Se voi l'aveste fatto, io verrei più spesso. Nel corso della conversazione, una delle Madri supplicò la suora di volere ormai essere molto docile e rendere conto della sua vita interiore. La risposta, lo si pensa bene, fu quella dei giorni precedenti: «No­stro Signore, ripeté la suora, mi comanda di non farlo che col mio confessore; mi comandi di dirlo per obbedienza e lo farò. Sarò sicura allora che quest'ordine vie­ne da Dio. Senza questo, io sono obbligata ad ascoltare e seguire ciò che mi dice Nostro Signore».
Le Madri addussero le Costituzioni in senso contrario; e siccome la discussione minacciava di prolungarsi la Priora concluse: Tutto ciò viene dal diavolo. Doman­derò a Monsignore ciò che devo fare. «Ve lo dirò senz'altro per obbedienza, con­cluse da parte sua l'estatica, ma vi prevengo che ogni parola porterà il turbamento nella comunità».
Nel corso dello stesso giorno, la giovane professa, le cui stimmate stavano per riaprirsi, dovette mettersi a letto. Le superiore si prodigarono al suo capezzale con la più grande carità, assicurandola che esse avrebbero visto in lei la persona stessa di Nostro Signore e che l'avrebbero curata come faceva una volta Madre Elia. Al­la vista di queste buone disposizioni suor Maria di Gesù Crocifisso si sentì inte­riormente spinta a ricordare il veto di Nostro Signore riguardante la direzione del­la sua anima. Ma piuttosto, ella non aveva ancora finito queste parole, che la Madre Priora vivacemente replicò: Oh! È opera del demonio; tutto ciò viene dal demonio. Ci sembra, oggi, molto evidente, che la giovane religiosa restava strettamente
nel suo diritto. Tuttavia Dio permise, nel compimento dei suoi disegni futuri, che i suoi superiori ne giudicassero diversamente. Alcuni anni più tardi, una di esse, al­la quale le sue alte virtù acquistarono la venerazione di tutta la comunità, rimpian­gerà amaramente questa decisione; ella non cesserà di rimproverarsi la sua insi­stenza presso la povera novizia, quando non avrebbe dovuto che inchinarsi davanti alla volontà divina, tanto supremamente superiore a tutti i nostri umani giudizi. Questa è tuttavia la condotta di Dio, che prova i santi con i santi; permette allora che gli spiriti più chiaroveggenti siano improvvisamente avvolti da tenebre, e che le volontà meglio intenzionate si impegnino in un falso cammino, che si ostinano ormai a prendere per quello buono.
La decisione delle superiore era ora irrevocabile. La manifestazione delle stim­mate, il 23, il 24 e il 25 novembre, non vi poté cambiare niente. Il 26 Padre Gra­ziano, venuto da Jeppoo su espresso ordine di Monsignore, dichiara a sua volta a suor Maria di Gesù Crocifisso che è un'illusa. Al suo rientro a Mangalore, il 1 ° di­cembre, il vescovo, da parte sua, è assalito dai suoi antichi dubbi; egli si persuade di nuovo che la risoluzione di non aprirsi né alla Priora, né alla Maestra delle no­vizie, proceda da un animo cattivo, e finisce per esplicitare ciò alla suora, il 5 di­cembre: Tutte le sante, le disse, hanno dato l'ésempio di dire tutto alla Priora e al­la Maestra. Se fosse stato lo spirito di Dio, avrebbe loro parlato. Non l'ha fatto. Ed è questo che mi fa ancor più dubitare che sia lo spirito del demonio.
Si vede quanto queste dichiarazioni differiscano da quelle del 18 e 19 novem­bre. Quindici giorni sono bastati per rovesciare convinzioni che sembravano dover essere incrollabili; e, cosa sorprendente, la stessa disposizione che prima era stata approvata come proveniente da Dio, serve ora a condannare la via dell'estatica. Co­me spiegarsi un simile cambiamento in un uomo giustamente stimato per la sua moderazione e per la sua pietà? Noi pensiamo che non si può spiegare senza uno speciale permesso della Provvidenza, che voleva disporre alla sua serva la prova più crudele: quella di vedersi misconosciuta e riprovata dai suoi amici e dai suoi.
Ma siamo già sul cammino del Calvario. Quasi per collaborare al completo spogliamento della sua anima, la generosa vittima domanda a Nostro Signore di essere liberata dalle stimmate e dalle estasi. Questa grazia le è accordata il 30 no­vembre. Ma Dio voleva ancora che il suo ultimo appoggio, nelle Indie, le fosse tol­to. Il 12 dicembre, il Padre Lazzaro riceveva la sua obbedienza per un altro posto della missione; lasciava definitivamente Mangalore il 21 gennaio 1872. Suor Ma­ria di Gesù Crocifisso accettò questo sacrificio con il più eroico spirito di fede. Dopo avere ascoltato gli ultimi consigli dal suo confessore, dopo averne ricevuto una volta di più la raccomandazione di non svelare la sua vita interiore che al suo vescovo, se costui lo domandasse, ella gli rispose semplicemente: «Ora, Padre mio, non si preoccupi di me... Dimostriamo a Nostro Signore che lo amiamo al di sopra di tutto».
Mentre si consumava questo sacrificio, Dio preparava interiormente la sua ser­va a nuove prove che stavano per assalirla: Credi, le disse il 15 dicembre, di essere la sola a soffrire? Io soffro più di te; porto il peso di tutti i vostri peccati. Voglio che tu non stia un istante senza soffrire; e se non ci fosse nessuno che ti facesse sof­frire, cambierei le pietre, la terra in uomini per farti soffrire. Voglio che tu soffra sempre. La notte di Natale 1871, la sua amica del cielo, Matilde de Nédonchel ven­ne anche a confortarla: Fra alcuni giorni, le disse, ritornerò per dirti ciò che il Si­gnore ti destina; fatti coraggio. Pronunciando queste parole, lasciò cadere sulla giovane suora uno sguardo di profonda commiserazione. «Effettivamente, raccon­tava più tardi costei, a partire da quella notte, cominciai a passare di croce in cro­ce, di prova in prova». Non si smetteva di ripeterle che era una illusa; il suo "an­gioletto" così ascoltato, così venerato un tempo, non era più che uno spirito delle tenebre; le sue estasi non venivano da Dio; le sue visioni non erano che il frutto del­la sua immaginazione orientale; le sue stimmate, ferite naturali fatte col coltello.
La sua dolce resistenza di fronte a queste suggestioni fu qualificata durezza, al punto che, il 6 gennaio 1872, si ritenne di doverla esorcizzare. Suor Maria sopportò questa umiliazione in ginocchio, in un atteggiamento modesto e in una fervorosa preghiera. Essendo l'esorcismo, a giudizio degli esorcisti, rimasto senza effetto, si fece di nuovo ricorso alle esortazioni, alle suppliche, alle minacce dei castighi di­vini, se ella si ostinava nella sua cattiva strada. Le religiose erano tuttavia costrette a riconoscere che, nella vita quotidiana, la novizia si mostrava molto normale, mol­to generosa, molto devota.
Le prime settimane del 1872 trascorsero per suor Maria di Gesù Crocifisso nel­la pratica di queste virtù e in queste torture morali. Tuttavia questo non era ancora, si può dire, che un assaggio e come fosse un noviziato delle prove. Dio che cono­sce la debolezza umana e i trattamenti che essa esige, perfino nella persona dei san­ti, sa meravigliosamente graduare la dose delle sofferenze. È solo dopo aver porta­to il calice alle loro labbra ed averne fatto loro assaporare lentamente l'amarezza, che infine ingiunge loro di berlo fino alla feccia.
Nel mese di febbraio, Mons. Maria Ephrem informava ufficialmente il Carmelo di Mangalore che suor Maria di Gesù Crocifisso era nell'illusione; per conseguen­za tutto ciò che la aveva fino a quel momento riguardato come soprannaturale, era il frutto della sua immaginazione orientale o opera del demonio.
Il 22 aprile, faceva pervenire a Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne, al Rev. Aba­te Manaudas, superiore del Seminario Maggiore di Bayonne, al Rev. Inchauspe, su­periore del Carmelo di Bayonne, ecc.... un lungo rapporto, nel quale era motivata la sua condanna delle vie soprannaturali di suor Maria di Gesù Crocifisso. Questi uo­mini eminenti, è vero, o non modificarono i loro primi sentimenti o si chiusero in un prudente riserbo. Ma attorno al Carmelo di Mangalore dove si esercitava la le­gittima influenza di Mons. Maria Ephrem la sua decisione fece cadere le ultime esi­tazioni. Si premeva più che mai la giovane suora per ottenere da lei una sconfessio­ne del suo passato e la promessa di una apertura fiduciosa. Le si ripetè che la sua professione religiosa non era valida. Le fu proibito di entrare nel coro con le altre suore; si ritenne di doverla allontanare dalla sacra Mensa; si sperava perfino che una diminuzione di cibo avrebbe finito per ridurre quella che si riteneva un'ostinazione irriducibile della volontà ed eccessiva esaltazione dell'immaginazione. Per questo scopo fu sottomessa a un tipo di dieta, che non diede tuttavia alcun risultato.
Dà parte sua il demonio, non tardò a rientrare direttamente in scena. Dopo la partenza di Padre Lazzaro, incalzata da continue vessazioni senza consigliere, sen­za direttore, senza appoggio, suor Maria di Gesù Crocifisso doveva essere una pre­da facile per il nemico mortale della "piccola araba" e del "piccolo nulla". Fin dal mese di febbraio le ossessioni diaboliche ricominciarono, con gli stessi sintomi, le stesse tentazioni, gli stessi impulsi irresistibili.
Il Lunedì di Pasqua, Matilde de Nédonchel le apparve e le disse: Sorella mia, parti; è volontà di Dio che tu parta;" ti annuncio che farai il prossimo Natale nel­la tua sede; ma non vi starai a lungo; il Signore ha dei disegni su di te... (D'ora in poi) il Signore ti abbandonerà sempre più a te stessa; ma quando sarai al tuo luo­go d'origine, allora lo Spirito di Dio ti dirigerà di nuovo. In tale attesa, sarai ab­bandonata a te stessa, ma la pace resterà infondo alla tua anima... Fatti coraggio, ti ripeto di nuovo che, per Natale, sarai nella tua culla.
Queste parole, discrete e velate: tu sarai abbandonata a te stessa, il Signore ti lascerà sempre più da sola, significano verosimilmente che suor Maria di Gesù Crocifisso era o sarebbe stata di nuovo ossessionata. Ci si ricorda, effettivamente, che durante i tre primi anni di ossessione era quella una delle espressioni di cui lei si serviva per indicare l'azione del demonio in lei. D'altra parte, era naturale che Matilde di Nédonchel si adattasse al suo linguaggio.
Le Carmelitane di Mangalore, loro, non si ingannavano. Vedendo i suoi eccessi di collera violenta i suoi formali atti di disobbedienza, le sue moltiplicate tentazio­ni per fuggire, le sue minacce di causare scandalo ritirandosi presso i protestanti o i pagani dei dintorni, tutte quelle scene, infine che la prima ossessione aveva reso loro fin troppo familiari, non fecero fatica a riconoscere colui dal quale esse pro­venivano. Una di loro, la maestra delle novizie, scriveva: "Ci siamo allora accorte che lei era sotto l'influsso dello spirito tentatore .1132 Un po' più tardi," la stessa mae­stra delle novizie affermava che la condotta della suora durante questo periodo ras­somigliava a quella che aveva preceduto la liberazione del 30 giugno 1871; e que­sta testimonianza era confermata da quella della stessa Priora.
A sua volta Padre Lazzaro, istruito da questi atti, nel suo ritiro di Mahé, vi rico­nosceva chiaramente "l'orgoglio, l'impazienza, la collera, la disobbedienza, l'insu­bordinazione" che Satana aveva manifestato nel corso dell'ultima possessione e non esitava a dichiarare che la suora era di nuovo ossessa.
Benché il Signore non le desse la chiara visione del suo stato, suor Maria di Ge­sù Crocifisso si rendeva conto che una forza estranea si fosse impadronita di lei e la costringesse a fare tale azioni reprensibili. Non appena finiva l'attacco dell'os­sessione, allorché le si faceva presente lo scandalo della sua condotta, dichiarava, umiliandosi «di non poter resistere a un influsso maligno che le faceva fare questi errori, suo malgrado». 3° In una lettera del 26 luglio 1872, la sua maestra diceva an­cora: "Lei spiegherebbe così tutte le collere e le disobbedienze; e infine tutto ciò che in lei è reprensibile non deriverebbe mai da una sua colpa; ma lei è spinta da una strana potenza; è sempre la stessa tattica".
Ciò che finiva per sconcertare i suoi superiori è che, in mezzo a queste tempe­ste, provocate appositamente per gettare il turbamento nella sua anima, suor Maria di Gesù Crocifisso conservava una pace inalterabile, secondo la predizione di Ma­tilde di Nédonchel. È permesso credere che Dio le riservasse questo insigne favore perché ella non perdesse ogni luce dentro così folte tenebre e perché il demonio non riuscisse a gettarla nella disperazione. Raccontava, alcuni mesi più tardi, che un suo superiore venne un giorno a rimproverarla. «E siccome sentivo questa pace, lei con­tinuava, gli dissi che mi sembrava di capire che se fossi morta in quel momento, sa­rei andata diritta in cielo. Allora egli mi sgridò fortemente e mi disse che ero nel­l'illusione, che la mia anima si perdeva, che ero ostinata, ecc... Ora, ancora aggiungeva, niente di tutto ciò riusciva a turbarmi».
Inoltre, in mezzo a questi stati umilianti, suor Maria di Gesù Crocifisso, non ces­sava di godere grazie straordinarie: visite delle sue protettrici dal cielo, Madre Elia e Matilde di Nédonchel, profezie, conoscenza dei cuori, visioni di avvenimenti lon­tani, ecc...
Pertanto, il dramma che si svolgeva fra queste diverse peripezie, toccava il suo culmine. Dio le preparava a suo modo, facendovi concorrere la malizia di Satana. Si sa già che il demonio cercava una cosa sola: fare mandare via la suora dal suo monastero, o, meglio ancora, provocare qualche scandalo da attribuire a lei, facen­dole violare la clausura, al fine di respingerla definitivamente nel mondo, fuori dal­la sua vocazione e dalla sua via. È bene ricordare che a questo scopo esso aveva moltiplicato, da quattro anni, i tentativi di fuga.
Fin dal mese di febbraio, questa ossessione ridivenne irresistibile. «Sentivo, rac­conterà più tardi la suora, sentivo sempre qualcosa spingermi ad andarmene: combat­tevo tanto quanto potevo per fare atti contrari e per restare: impossibile. (Ogni mo­mento) dicevo che volevo andarmene ora a Gerusalemme, ora ad Alessandria, ora nel deserto o altrove, senza aver voglia di andare in un posto piuttosto che in un altro». "Alcuni giorni fa, diceva la maestra delle novizie in una lettera del 5 giugno 1872, lei (suor Maria di Gesù Crocifisso) scrisse a Monsignore, che era a Canomore; gli diceva che non poteva più restare al convento: che d'altra parte di uscire non se ne fa alcuno scrupolo". "A questo punto, aggiungeva la maestra, lei faceva allusione a ciò che le era stato detto, che la sua professione poteva proprio non es­sere valida", cosa che si finì per darglielo come certo.
Si pensa proprio che le suggestioni diaboliche trovassero un appoggio in questa dichiarazione relativa all'invalidità dei voti. Il suo nemico ne prendeva occasione per persuaderla che non doveva restare nel monastero.
Tuttavia questa convinzione non era che un accessorio. Di preferenza il demo­nio agiva direttamente sulla suora per mezzo di una ossessione irresistibile. E non stava tardando ad arrivare al suo scopo.
Il sabato 3 agosto, mentre ella era più che mai animata da questi sentimenti, la spinta irresistibile ad andarsene era ancor più violenta, benché nel fondo della sua anima la suora continuasse a godere di una grande pace. Si era appena confessata. Non trovando più i suoi effetti personali dietro il paravento che le serviva da cella, si diresse verso la porta di uscita, la quale in quel momento, restava aperta a moti­vo degli operai. Una suora si trovava vicino alla porta per sorvegliare l'andirivieni. Ella le disse: «Sorella mia, vado a domandare alle Terziarie di alloggiarmi». Dio permise che questa suora non dicesse una parola né facesse un gesto per trattener­la. Sempre con la stessa calma, la giovane religiosa varcò la porta che, in questa ca­sa provvisoria separava le carmelitane dalle Terziarie e arrivò da queste ultime, e dichiara la sua intenzione di sistemarsi l'indomani come domestica presso i prote­stanti o i pagani. Tuttavia a quelli che ben presto si presentarono per ricondurla, el­la si abbandonò senza la minima resistenza e rientrò così in convento. Siccome le si rimproverava vivamente questo nuovo scandalo, lei si contenta di annoverarlo "nel numero delle tentazioni".
Così dunque suor Maria di Gesù Crocifisso non esita un istante a declinare la re­sponsabilità di questo gesto. Rientrata al Carmelo di Pau, dirà qualche mese dopo alla Priora: «Sento un grande rincrescimento, una grande confusione, alla vista del­le mie iniquità passate; esse sono più numerose dei grani di sabbia del mare e del­le gocce d'acqua dell'oceano; spero tuttavia nella misericordia del Signore, che è infinita. Ma quando penso che ho oltrepassato la clausura del Carmelo di Manga­lore per fuggire, non posso averne rimorso; al contrario, ringrazio il Signore mille volte di ciò e non posso fare altro. Tuttavia, ciò mi sembrava una grande colpa e mi dispiace di aver dato questo scandalo e questa occasione di turbamento; ma ero spinta a farlo mio malgrado. Sento che, nelle stesse disposizioni in cui ero, lo rifa­rei. Chi può comprendere ciò? Si direbbe che sono folle o una cattiva religiosa se mi si sentisse. Tuttavia, davanti a Dio, non posso pensare diversamente... Qui, sì, se varcassi la clausura, riterrei di fare un peccato mortale molto grave, anche se fossi nelle stesse disposizioni, nello stesso stato e se mi si trattasse alla stessa maniera di Mangalore. Il buon Dio sa perché; ciò basta».
Verso la fine della sua vita, il 26 gennaio 1877 scriveva ancora alla sua anziana maestra, divenuta Priora del Carmelo di Mangalore: «Sappiate che è Dio che ha permesso tutto questo. E quando mi dicevate che io non facevo che minacce per l'avvenire, credete, cara Madre, che io lo facevo mio malgrado, e che ne ho soffer­to più che nessun altro. Ho molto pregato perché queste cose non accadessero. Un giorno Nostro Signore vi dirà quanto il mio cuore ha sofferto e quante cose ho det­to mio malgrado.
Quando mi avete detto un giorno: infelice creatura, avete rotto la clausura! Che cosa vi ho risposto? Madre mia, sento in fondo all'anima la gioia: ho portato a com­pimento la parola di Dio per arrivare ai suoi fini. E allora non comprendevo nien­te; solamente, mio malgrado, avevo questo sentimento...».
Pensiamo che non vi sia niente da aggiungere a queste spiegazioni di un'anima della quale tutta questa storia dimostra la straordinaria franchezza, di un'anima che aveva una tale intelligenza della malizia del peccato, che avrebbe pianto amara­mente le sue più piccole dimenticanze.
Possiamo solamente tentare di apprezzare questi fatti con più rigore teologico. Poiché ella è fuggita sotto il colpo di una spinta strana e irresistibile, suor Ma­ria di Gesù Crocifisso non era libera. Non essendo libera non era colpevole. Pog­giando su queste dichiarazioni formali, non esitiamo a scagionare completamente la sua responsabilità e pensiamo che in quella occasione non commise neppure pec­cato veniale.
Solo Satana è responsabile di ciò che egli operava in lei e lei malgrado. La suo­ra era ossessionata e la violazione materiale della clausura deve essere riferita uni­camente a questa ossessione diabolica. La suora ha sofferto violenza e non ha fat­to che subire passivamente una azione che legava la sua libertà." Ma, perfino in questa ossessione, Dio le accordava una straordinaria tranquillità di coscienza, ga­ranzia che questi avvenimenti si compivano in vista di disegni superiori.
Da quanto precede, resta soltanto da riconoscere che li c'è il dito di Dio: resta sol­tanto da proclamare che le vie del Signore sono impenetrabili e che, con un comportamento estremamente efficace, Egli sa, fare concorrere a loro insaputa, tutte le creature al compimento dei suoi disegni. Se il Carmelo di Mangalore avesse perse­verato nelle sue disposizioni iniziali nei riguardi di suor Maria di Gesù Crocifisso, non avrebbe mai acconsentito a privarsene. Dio voleva tuttavia che ella ritornasse a Pau e che, da Pau, passasse a Betlemme, dove aveva ancora da lavorare e da soffri­re. Per raggiungere questo scopo, Egli permise, a poco a poco, gli avvenimenti che abbiamo appena raccontato; e infine, per condurre a soluzione questo dramma, che si svolgeva da più di sei mesi, Egli permise questa infrazione alla regola della clau­sura, gravemente colpevole secondo le apparenze, in cui purtuttavia lo sguardo di suor Maria di Gesù Crocifisso, esaminandosi alcuni mesi dopo, in presenza di Dio, nel raccoglimento del ritiro, non riusciva a discernere la più leggera colpevolezza.
Non cessando, come abbiamo detto, la suora di sollecitare la sua partenza, i suoi superiori non pensarono più che a favorirla. Erano decisi a mandarla dovunque la si volesse ben ricevere, a condizione, tuttavia, che non fosse a Pau. Ora, dopo i ten­tativi infruttuosi fatti da diverse parti, furono costretti ad inviarla al Carmelo di Pau, culla della sua vita religiosa, realizzando così, senza saperlo, la profezia di Matil­de de Nédonchel. Proprio in quell'epoca, un'altra carmelitana di Mangalore dove­va rientrare pure a Pau. Le si affidò la giovane suora.
Partite da Mangalore, il 23 settembre 1872, le due viaggiatrici arrivarono a Pau il 5 novembre, secondo anniversario della morte di Madre Elia, dopo una traversa­ta in cui la carità di suor Maria di Gesù Crocifisso trovò molte occasioni di eserci­tarsi sulle anime e sui corpi.
Pau era il porto tranquillo dopo i pericoli delle tempeste e degli scogli. Ecco con quale ardore, quale umiltà e quale poesia messi insieme, suor Maria di Gesù Cro­cifisso esprimeva, al suo ritorno, la sua riconoscenza verso il Signore: «Signore, so­no come il piccolissimo pulcino che il nibbio ha acchiappato; esso lo ha becchetta­to sulla testa, l'ha quasi schiacciato, ma il povero piccolo si è rifugiato sotto l'ala di sua madre per essere al sicuro. Anche io sono stata nell'angoscia, nella tristezza, nel dolore. Le mie ossa si sono slogate; il midollo delle mie ossa si è inacidito den­tro di me; la mia carne è stata stritolata... Ho rivolto lo sguardo verso il Padre mio, ed egli mi ha guardata, e questo sguardo mi ha guarita; il midollo delle ossa che era inacidito, è diventato dolce come lo zucchero; le mie ossa si sono consolidate e so­no diventate come se avessi quindici anni; la mia carne è trasalita per l'allegrezza come pure tutto il mio essere. Sono corsa verso il mio Padre e il mio Re; ed il mio Re è venuto pure verso di me; ed io vi stavo come il piccolo pulcino sotto l'ala di sua madre. E guardavo i miei nemici attraverso le penne dell'ala del mio Padre e mio Re, senza niente temere; ero al sicuro».
Come riepilogo di questo racconto, noi citeremo il rientro in Francia di Padre Lazzaro, verso la metà del marzo 1873.
Il giovedì santo dello stesso anno, a Mangalore, moriva improvvisamente Mons. Maria Ephrem, secondo la profezia di suor Maria di Gesù Crocifisso, la quale ave­va annunziato molte volte che Monsignore non avrebbe visto la fine dell'anno in cui Padre Lazzaro sarebbe stato rimandato in Francia. Il 3 maggio, la giovane suo­ra vide tra le fiamme del Purgatorio l'anima del vescovo, che esclamò con un vivo sentimento di rincrescimento: Ho peccato contro la gloria di Dio. Il desiderio del vescovo sarebbe stato di fare sapere a tutto l'Ordine che si era ingannato condan­nando i percorsi soprannaturali della novizia. Ma, per il momento, costei non pote­va che pregare per l'anima del suo Padre, e lo faceva con tutto il fervore della sua carità. A Betlemme, ove la seguiremo adesso, Dio le manifestò che l'anima di Mon­signore sarebbe stata liberata alla prima messa celebrata nel nuovo Carmelo. La suora scongiurò i suoi superiori di affrettare i lavori e fu abbastanza lieta di vedere quest'anima salire in cielo il 21 novembre 1876.

CAPITOLO XV
Dal ritorno di suor Maria di Gesù Crocifisso al Carmelo di Pau fino alla sua partenza per Betlemme (5 novembre 1872 - 25 agosto 1875)
Il 5 novembre 1872, meno di un anno dopo la sua professione, suor Maria di Ge­sù Crocifisso rientrò al Carmelo di Pau. Vi ritornava in qualità di suora conversa, avendo Dio voluto che Lo glorificasse nelle più umili mansioni. Ecco come si espri­meva nei primi giorni del suo arrivo: «Da quando ho lasciato Mangalore, diceva, ho sentito una pace, una tranquillità che non riesco ad esprimere, malgrado le fatiche del viaggio. Non desidero niente, non domando niente, neppure croci: quando ne ho avu­to, non ne ho saputo approfittare; ora nient'altro che Gesù, la sua volontà e il silen­zio». La lunga privazione della Comunione le aveva dato una fame ancora più gran­de di questo pane del cielo: «Se almeno, a Mangalore, diceva, avessi ricevuto Gesù nel mio cuore in mezzo alle mie grandi pene, avrei avuto con me la forza di Dio; ma ne ero priva. Tuttavia, conservavo, in fondo alla mia anima, una grande pace, mal­grado tutto ciò che mi si diceva. Fu soltanto quando Mons. Maria Ephrem mi accusò di mettere la divisione nella comunità che ebbi un grande dispiacere. Andai a gettar­mi ai piedi di Gesù e piansi molto, molto. Mi sembrava che Gesù piangesse con me, per causa mia, e gli dissi: Signore, perché piangi? Sei potentissimo, puoi liberarmi. Mi rispose: Molto presto. Anche Madre Elia venne a confermare questa promessa di Gesù. Non sono qui per lungo tempo. Oh! Se il Signore potesse cambiare la sua pa­rola! Non desidero più che il silenzio e la morte per non offendere Dio».
Il 19 novembre ella diceva: «Tutta la mattinata ero tormentata a proposito di pa­dre Lazzaro, perché amo molto la sua anima; avrei voluto che fosse un gran santo. Pregavo il Signore e gli dicevo: Signore, custodisci quest'anima, dalle la rassegna­zione, la forza, tutto ciò di cui egli ha bisogno: che non ti offenda. Dio mio, te lo affido completamente: compi su di lui i tuoi disegni, custodiscilo. E una voce inte­riore mi ha risposto: Anima di poca fede! ed ho compreso che Dio avrebbe veglia­to su di lui, e tutta la mia pena è scomparsa».
Durante il suo ritiro annuale, prima della festa di Natale, Dio la favorì di molte vi­sioni piene di dottrina. Annotiamo almeno questa: «Provavo, diceva, un grande desi­derio di Dio; lo cercavo con tutte le forze della mia anima; mi univo a tutta la crea­zione perché lo lodasse con me; ero come un bambino che corre, che corre dietro a suo padre. Infine, Gesù si è mostrato ed ho visto lo splendore della sua maestà. Impossi­bile dire la gioia della mia anima: era il paradiso in terra. Mi è venuta l'idea di do­mandargli molte cose; ma anzitutto, l'ho accarezzato e gli ho detto ogni sorta di cose del mio cuore per commuoverlo; ho fatto come il bambino che vuole ottenere qualco­sa da suo padre e che comincia con mille carezze. L'ho pregato per le anime del Pur­gatorio: Gesù allora è diventato più luminoso ed ho visto uscire dalle sue mani dei rag­gi di luce, delle grazie che cadevano su queste povere anime. Pareva che Gesù avesse un gran bisogno di espanderle e che le desse con molta celerità e molta abbondanza.
Ho pregato, in seguito, per i peccatori, e Gesù faceva la stessa cosa come per le anime del Purgatorio. Quale gioia nel vedere quest'amore, questa misericordia del Signore!
Ma quando ho voluto pregarlo per i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i raggi che scendevano dalle sue mani sono risaliti e tutto è sparito. E il mio cuore è cadu­to in una tristezza, in una angoscia terribile, perché io sono nel numero delle reli­giose; ho sospirato, sono scoppiata in singhiozzi. Ogni volta che penso a ciò che ho visto, non posso impedirmi di piangere. Quanto siamo colpevoli, noi che dovrem­mo essere la consolazione di Gesù!»
Il 28 febbraio 1873, ella lottava contro Satana. Invano lo colpiva con ogni specie di armi. I colpi più grandi non lo ferivano neppure. Sfinita dalla fatica, si rivolge al Si­gnore: «Dio mio, come fare? Esclamò. Ho agito secondo le tue istruzioni; ho impie­gato tutte le armi, anche le più potenti, per atterrare il demonio e non ne sono potuta venire a capo». Gesù le rispose: Non hai impiegato tutte le armi; ti resta ancora di ser­virti di una piccola ascia alla quale non hai fatto attenzione. Tocca Satana in fronte con quest'ascia ed egli cadrà; e così parlando, il Signore le mostrò questo piccolo stru­mento. La suora lo afferrò e andò diritto verso il suo nemico. E in effetti, appena ella l'ebbe toccato in fronte con quest'ascia, esso cadde come morto. Meravigliata di que­sto risultato tanto inatteso, quanto miracoloso disse: «Signore, quale è questa piccola ascia la cui virtù è così grande?». Il Salvatore le rispose: L la piccola ascia dell'umiltà.
Il 25 marzo, durante l'orazione mentale, le sembrò di udire una voce che dice­va: Dio è nascosto come il seme nel frutto, come il seme nella mela. Apri una me­la e troverai cinque chicchi nel mezzo. Dio è nascosto così nel cuore dell'uomo. Vi è nascosto con i misteri della Passione, raffigurati dai cinque semi. Dio ha soffer­to ed è necessario che l'uomo soffra, che lo voglia o non lo voglia. Se soffre per amore, in unione con Dio, soffrirà meno e guadagnerà dei meriti. I cinque semi che sono infondo al suo cuore germineranno e produrranno frutti abbondanti; ma, se egli respinge la prova, soffrirà di più, senza guadagnare alcun merito.
«Ed ho aperto una mela e vi ho trovato in mezzo cinque piccoli scomparti che formavano una stella, e dentro vi si trovavano i semi.
Durante l'orazione, ho visto una bella mela, essa è diventata marcia sotto i miei occhi; e quando è stata completamente fradicia, i semi del cuore della mela, sono germinati: sono spuntati cinque alberi. Il chicco più basso ha prodotto l'albero più alto, il chicco che seguiva ha prodotto un albero un po' più piccolo e i tre chicchi più in alto hanno prodotto alberi ancora più piccoli. Le cinque radici di questi al­beri erano talmente unite ed intrecciate, da formare una sola radice, e così si soste­nevano le une con le altre.
L' albero più alto portava frutti maturi, che si immergevano in acqua, e quest'ac­qua bagnava la radice che nutriva gli altri alberi; quest'albero più alto si chiama l'albero dell'amore.
Il secondo, un po' più piccolo, portava frutti che pendevano dalla parte della ter­ra e pareva volesse offrirli; quest'albero è quello della carità.
Il terzo non sembrava che si appoggiasse a terra e le sue radici pareva che fos­sero nell'aria e si sarebbe detto che stesse per cadere: quest'albero è quello del­l'abbandono.
Il quarto era tutto spoglio come gli alberi durante l'inverno ma, nello stesso tem­po, era pieno di vita: quest'albero è quello della povertà.
Il quinto era verde e coperto di frutti ma questi frutti erano in basso e come na­scosti e non si vedevano: quest'albero è quello dell'umiltà.
Ho visto in seguito altri cinque alberi. Il primo portava un frutto corposo e soli­do al vedersi, ma marcio e come fosse pieno di fumo all'interno: questo è l'amore di sé e di tutto ciò che è sulla terra, il che indurisce talmente il frutto che finisce per imputridirsi.
Il secondo aveva i rami elevati e nessuno poteva raggiungerli per cogliere il frut­to; questo frutto, del resto, era raro e macchiato per la malattia: è l'avarizia che ha paura di spogliarsi, se dona; il che fa sì che il frutto si guasti e cada.
Il terzo aveva le radici profondamente radicate; ed è l'attaccamento alle cose create.
Il quarto sembrava coperto di foglie e di frutti e molto bello: sono le ricchezze, frutti che marciscono alla minima nevicata, o al più piccolo freddo.
Il quinto portava molti frutti, tanto che essi nascondevano le foglie: è l'orgoglio, che appare ricchissimo agli occhi degli uomini ma il minimo soffio di vento, la più piccola contrarietà, fa cadere questo frutto e quelli che lo vogliono mangiare lo tro­vano amaro».
Il Giovedì santo, diceva a Gesù: «Signore, conservami sempre nel tuo amore, come il bambino è custodito nelle viscere di sua madre. Là non ha bisogno di nien­te, né per mangiare, né per bere è al riparo da ogni pericolo; con sua madre, egli ha tutto. E anch'io, Signore, se tu mi conservi nel tuo amore, non mancherò di niente. Non desidero altro che essere tua; non voglio mai allontanarmi da te. Come il bam­bino comincia ad essere fragile e misero non appena esce dal seno di sua madre, anch'io sarei infelice se uscissi da te. Custodiscimi, Signore, dentro di te, Custodi­scimi nelle viscere del tuo amore».
La mattina del Venerdì santo, ella soffrì tutti i tormenti della Passione. All'ora di pranzo, fece uno sforzo su se stessa per recarsi a refettorio. Posò il suo pezzo di pane davanti a sé, per terra, secondo l'usanza del Carmelo in questo santo giorno, e, sentendosi meglio, si disponeva a prenderlo, allorquando, tutto a un tratto, vide il Signore passare e penetrarla di grazia e di consolazione: «Non ha fatto che pas­sare come un lampo, disse, e, passando, il suo vestito ha toccato il pane, che si è mosso ed ha quasi trasalito alla presenza del Signore».
Il giorno santo di Pasqua, pregò il Salvatore per un'anima infedele, implorando: «Signore, esaudiscici in favore di quest'anima! Come avviene, o Signore, che essa sia sempre più malata, malgrado tante preghiere, mentre tu hai promesso di esau­dire le richieste che ti si rivolgono?» L'adorabile Maestro si degnò di risponderle: La grazia rassomiglia alla medicina. Se il malato è grave e il male è al cuore, tut­ti i rimedi non fanno che irritare la piaga e renderla più mortale. Se quest'anima avesse un po' di umiltà, le preghiere le gioverebbero; avrebbe un po' di luce e di .forza, ma siccome il suo cuore si irrigidisce contro il rimedio, le preghiere fatte per lei non servono che ad immergerla sempre più nell'accecamento.
E Gesù aggiunse: Come puoi pregarmi sempre per lei, mentre essa non è occu­pata, da parte sua, che a sporcare e strappare il tuo vestito? «Signore, le rispose suor Maria, ella non sa quello che fa. Hai detto tu stesso sulla croce: "Padre mio, perdona loro; perché non sanno quello che fanno". Ed anche io ti dico: Ella non sa quello che fa: perdonale, Signore».
Il 18 maggio, in estasi, ella non sentiva niente, non comprendeva niente nel­l'eccesso delle consolazioni celesti. L'indomani, facendo, per obbedienza, il re­soconto di quella giornata di grazie, diceva: «Comunicandomi, mi sentivo tra­sportata dall'amore di Dio. L' amore mi spingeva a qualche cosa, e non sapevo a che. Mi rivolsi allo Spirito Santo e gli gridai: Illuminami, tu hai dato la luce agli apostoli, agli ignoranti! Io sono un niente, illuminami! Voglio solo ciò che Gesù vuole. Mi vedo, tutt'a un tratto in una notte profonda, in mezzo a buchi, a bestie che mi mordono; le tenebre mi impediscono di scorgere i buchi e le bestie. Invo­co Dio e la luce dello Spirito Santo. Compare un raggio per guidarmi e, in que­sto raggio, vedo, in un batter d'occhio, tutta la mia vita di peccato; e avrei avuto il coraggio, se fosse stato necessario, di confessarli davanti al mondo intero. Con­temporaneamente, mi sentivo infiammata d'amore e il mio cuore si scioglieva co­me un cero davanti ad un braciere; e ho gridato a Dio: Signore, basta, non ne pos­so più!
Ed ho visto davanti a me una colomba, e sopra la colomba, un calice che tra­boccava, come se all'interno del calice ci fosse una sorgente; e ciò che traboccava dal calice, bagnava la colomba e la lavava. Ed una voce è venuta fuori da questa mi­rabile luce ed ha detto: Se vuoi cercarmi, conoscermi e seguirmi, invoca la luce, lo Spirito Santo che ha illuminato i miei discepoli e che illumina tutte le genti che lo invocano. In verità, in verità, ve lo dico in verità: chiunque invocherà lo Spirito Santo, mi cercherà e mi troverà, e mi troverà tramite lo Spirito Santo. La sua coscienza sarà delicata come il fiore dei campi. Se è un padre o una madre di fami­glia, la pace sarà nella sua famiglia e il suo cuore sarà in pace in questo mondo e nell'altro: non morirà nelle tenebre, ma nella pace. Desidero ardentemente che i sacerdoti dicano ogni mese una messa in onore dello Spirito Santo. Chiunque la dirà o l'ascolterà sarà onorato dallo Spirito Santo stesso; avrà la luce, avrà la pa­ce. Guarirà gli ammalati, sveglierà quelli che dormono. Ed io ho detto: Signore, che posso fare io? Nessuno mi crederà! E la voce mi ha risposto: Quando sarà venuto il momento, farò tutto io stesso, e tu non vi entrerai per niente.
Tutto è sparito e il mio cuore è rimasto acceso d'amore».
Già, a Mangalore, durante il ritiro della sua professione, questo culto dello Spi­rito Santo le era stato raccomandato in una maniera tutta speciale. Questa stessa raccomandazione le fu rinnovata molto spesso fino alla sua morte.
Durante il suo noviziato, una colomba le aveva insegnato questa invocazione, che ella dopo ripeteva molto spesso:
Spirito Santo, ispirami; Amore di Dio, consumami; Nel vero cammino, conducimi. Maria, Madre mia, guardami; Con Gesù, benedicimi; Da ogni male, da ogni illusione, Da ogni pericolo, preservami.
Il 20 maggio diceva: «Avant'ieri avevo una grazia così grande, che ero come fuori di me stessa; tutta la giornata lottavo contro il sonno (l'estasi); mi sembrava di essere quasi pronta a lasciarmi stritolare in mille pezzi, a lasciarmi dilaniare, ar­rostire; avrei voluto soffrire tutto per amore di Dio. Mi offrivo a Dio per la Chiesa, per la Francia, e per soffrire tutto ciò che Dio avrebbe voluto. Oggi non riesco ad avere nemmeno un buon pensiero, sono secca come un pezzo di legno posto davanti ad un fuoco ardente, senza esservi gettato: esso non brucia, non fa che seccare di più. A Mangalore mi è stato detto che ciò che accadeva in me era il frutto della mia immaginazione e vedo per esperienza che oggi non posso immaginare niente, non posso riflettere. Dio solo è in noi il maestro. Fa ciò che vuole e quando lo vuole».
Il 26 maggio di quel 1873, aveva visto la Francia come un campo bagnato dalla pioggia, illuminato e riscaldato dal sole; ma la terra era coperta da erbacce fra le quali di tanto in tanto ve ne erano alcune buone. Ho detto a Gesù: «Signore, perché lasci queste cattive erbe?» e il divin Maestro mi ha risposto: Perché le buone sono ancora molto deboli e hanno le loro radici legate con le cattive. Se strappo le cat­tive, le buone saranno danneggiate e avvizziranno. Quando le buone saranno più forti, strapperò tutto ciò che c'è di cattivo. Ora, la pace è costruita sulla sabbia; più tardi, la stabilizzerò sulla salda roccia e niente potrà rimuoverla. La Francia è al centro del mio cuore.
Nelle sue frequenti estasi cantava, in certi momenti, in una maniera incantevole. Invitava la creazione a cantare con lei; parlava dell'ingratitudine dell'uomo, della bontà di Dio, della lunghezza dell'esilio: «Cieli, esclamava, benedite il Signore; ter­ra, benedite il Signore! Salve, salve, albero benedetto, che ci dai il frutto della vita! Dal profondo di questa terra il mio cuore geme, il mio cuore sospira. Chi mi darà le ali per volare verso il mio Amato? Salve, salve, albero benedetto, è da te che ricevo il frutto della vita! Vedo sulle tue foglie queste parole scritte: Non temete niente; il tuo verde mi dice: Sperate; i tuoi rami mi dicono: Carità; e la tua ombra: Umiltà. Sal­ve, salve, albero benedetto; trovo in te il frutto della vita! Dal profondo di questa ter­ra il mio cuore geme, il mio cuore sospira. Oh! Chi mi darà le ali per volare verso il mio Amato? Salve, salve, albero della vita; tu porti il frutto della vita! Sotto la tua om­bra, voglio gemere; ai tuoi piedi, voglio morire!
Oh mio Dio, quanto l'uomo è ingrato verso il suo Creatore! Tu così buono, mio Dio! O ingratitudine delle creature!
Oh mio Dio, il mio cuore è troppo piccolo: io vorrei un cuore più grande dell'u­niverso per amarti! Oh amore!»
A quell'epoca, si cominciava a notare in lei uno dei fenomeni più straordinari del­le estasi, la lievitazione, con la quale il corpo dell'estatica si solleva da terra, come se non fosse più sottomesso alle leggi della gravità.
Il 22 giugno 1873 la si trovò per la prima volta sulla cima di un tiglio molto alto; si dondolava senza appoggio e cantava l'Amore. La Priora la fece scendere con la so­la parola obbedienza. Ma una alpargata restò appesa al ramo che la portava. E quan­do, ritornata in sé, ella volle calzarsi, fu grande la sua sorpresa nel vedere accanto a lei delle alpargate nuove. Reclamate le vecchie, ne ritrovò una, ma cercò inutilmente l'altra. Un giorno tuttavia, la scorse sulla cima del tiglio. Si può giudicare la sua sor­presa! Siccome domandava la ragione di un fatto così strano, si cercò di dare una spiegazione qualunque, senza lasciarle nemmeno supporre la verità.
Qualche tempo dopo, vide durante la preghiera, una terrazza rotonda, divisa in pa­recchi cerchi. Il primo era piantato a rose, le cui foglie rappresentavano la carità e le spine, la vigilanza. Il secondo era coperto di viti; l'uva di queste viti simboleggiava l'amore e le foglie simboleggiavano la dolcezza. Si vedeva nel terzo del frumento, che rappresentava la fiducia e la speranza. Il centro di questo cerchio era coperto di violette, raffigurazione della vera umiltà.
«Ho innalzato, disse, un trono in mezzo a questo cerchio, ed ho fatto sedere Gesù su questo trono. Ed una sorgente è zampillata da sotto i piedi di Gesù e l'acqua di questa sorgente diceva: Tutto passa, tutto scorre come l'acqua. Accanto al trono, ho piantato delle viole del pensiero e dell'edera. Le "pensées" significavano: Non pen­sate che a Gesù; e l'edera: Non vi unite che a Gesù».
«Signore Gesù, pianta tutte queste virtù nel mio cuore, e falle crescere con la tua potenza».
Nei primi giorni di questo mese di giugno, aveva detto, tutta radiosa e come fuori di sé: «Questa mattina, dopo la santa Comunione, ho rinnovato la mia professione tra
le mani di Gesù; tenevo le mani giunte in quelle di Maria, Maria aveva le sue in quel­le di Gesù e le mani di Gesù erano in quelle del Padre eterno. Ho rimesso la mia vo­lontà in Dio, in presenza della Santa Trinità, davanti agli angeli, davanti ai santi e da­vanti a tutte le creature. Ho detto a Gesù: Signore, tu me la hai data ed io te la rendo, ti dò la mia volontà irrevocabilmente. Scrivilo nel tuo cuore, nel libro della vita, e non ne sia mai cancellato. Non restituirmi mai la mia volontà, essa non è più mia; se ve­di che ho la disgrazia di volerla riprendere, toglimi la vita in quello stesso istante. Vo­glio la tua volontà attraverso tutto, attraverso la sofferenza, le prove, le persecuzioni, le tribolazioni di ogni specie; mi offro di andare all'inferno per la tua volontà. Mi of­fro di passare attraverso quanto ho sofferto a Mangalore, se ciò è per tua volontà; pro­testo che non voglio niente altro che la tua volontà, per la vita, per la morte e per tut­ta l'eternità».
«Madre mia, diceva un altro giorno, in estasi, alla Priora, tutti dormono! E Dio co­sì buono, così grande, così degno di lode, lo si dimentica, nessuno pensa a Lui! La natura lo loda; il cielo, le stelle, gli alberi, le erbe, tutto lo loda. Anche l'uomo, cono­scendo i suoi benefici, dovrebbe lodarlo, ed egli dorme! Andiamo, andiamo a sve­gliare l'universo! Andiamo a lodare Dio, a cantare le sue lodi! Il mondo dorme, il mondo dorme, andiamo a svegliarlo, andiamo a svegliare la città!». Ella piangeva, singhiozzava ripetendo: «Gesù non è conosciuto, Gesù non è amato. Lui così pieno di bontà, Lui che ha fatto tutto per l'uomo!».
Il Signore le domandò per la Chiesa una serie di processioni attorno al giardino, in ginocchio, con il dorso carico di un enorme sacco di cenere. Avendo i superiori ap­provato questa volontà del cielo, ella andò fino al limite di questa terribile penitenza, malgrado le sue gambe insanguinate, malgrado il sudore che scorreva dal suo viso.
A parecchie riprese, press'a poco nello stesso periodo, ella risalì sul tiglio. L'A­gnello l'attirava, diceva in estasi, per spiegare questa ascensione, e si elevava fino alla cima dell'albero. Un giorno esitò un istante, dopo che la Priora le diede l'ordi­ne di scendere. Improvvisamente l'Agnello spari e lei non scese che con grande dif­ficoltà, sebbene l'estasi non fosse finita. Giunta a terra, domandò perdono alla Prio­ra ed alle suore della sua disobbedienza. In seguito domandò perdono a tutta la creazione: «Perdono, o Cielo, esclamò, col viso bagnato di lacrime; perdono, stel­le; perdono, terra; perdono, erbe! Perdono, albero!» disse rivolgendosi al tiglio, te­stimone della sua disobbedienza. Andò anche nel coro piangendo e dicendo: «per­dono, Gesù! Perdono, Gesù!». E tuttavia, malgrado questo ammirevole pentimento, il Salvatore la lasciò più giorni nella angoscia per questa semplice esitazione in cui è difficile determinare il suo grado di responsabilità, poiché l'estatica non aveva l'uso normale dei suoi sensi.
Un giorno, all'ora della ricreazione, completamente rapita, si diresse verso il giar­dino dicendo: «Non ne posso più. Sto correndo verso il mio Amato». Piangeva e can­tava la sua tristezza con espressioni brucianti:
«Chi taglierà, chi leverà i rami che mi impediscono di vedere la Patria, di andare dal mio Amato?... Che fare per togliere i rami?... Chi mi darà le ali della colomba?
Non ne posso più di questo esilio!... Non posso più vivere». Aumentando il suo do­lore, disse alla sua Maestra che l'aveva seguita: «Andiamo da mia Madre!». Nel ro­mitaggio di Nostra Signora del Monte Carmelo, si prostrò ai piedi dell'altare e si rialzò cantando trasportata di gioia: «Ai piedi di Maria, Madre mia prediletta, ho ri­trovato la vita.
O voi tutte che soffrite, venite a Maria... La vostra salvezza e la vostra vita sono ai piedi di Maria.
O voi che lavorate in questo monastero, Maria conta i vostri passi e i vostri sudo­ri; dite voi a voi stesse: ai piedi di Maria, ho ritrovato la vita!
Voi che abitate in questo monastero, Maria vi dice: Figlia mia, ti ho scelta tra die­cimila: tra diecimila, ti metterò nel mio tempio!... Non avrai mai fame, non avrai mai sete. Ti do il cibo, la carne, il sangue, dell'Innocente!
Non dite che sono orfana: ho Maria per Madre e Dio per Padre! Felice figlia! Di­te che ai piedi di Maria, ho ritrovato la vita!».
Tutta preoccupata dei bisogni della Chiesa e della salvezza della Francia, suor Ma­ria si offrì per fare, secondo questa intenzione, la cucina per sei mesi consecutivi, giacché questo lavoro era per lei un vero martirio a causa della sua cattiva salute. Il Superiore le aveva permesso di mettere in esecuzione questo pio proposito, il Signo­re lo accettò a sua volta, mentre le inviava sofferenze tanto violente quanto straordi­narie. Dopo lunghe ore passate in queste torture, cadde in una dolce estasi ed esclamò: «Dio mi visita... Egli è qui... È con me... Come accade che il Signore si ab­bassi? È dolce pensare a Gesù ma più dolce fare la sua volontà.
"Desidero che quelli che mi circondano non abbiano altro bene che l'Altissimo... Siamo gelose della gloria dell'Altissimo...
Signore Gesù, diceva un'altra volta nel coro, davanti al santo Sacramento, che debbo fare per amarti?" Una voce le rispose: Servi il prossimo e mi servirai; ama il prossimo e mi servirai. È da questo che riconoscerò che mi ami veramente».
Incoraggiando una suora molto provata, le diceva che, fintanto che avrebbe avuto fiducia in Dio, fintanto che sarebbe stata umile e aperta verso i suoi superiori, il buon Dio l'avrebbe protetta. Parlò poi dell'umiltà:
«Oggi, la santità, non è la preghiera, né le visioni, né le rivelazioni, né la scienza del parlare bene, né i cilici, né le penitenze, è la regola vissuta e l'umiltà.
Il Signore ha detto: È il secolo in cui il serpente ha preso le ali, ed è per questo che sto per purificare la terra! Chi potrà dunque essere salvato? Colui che domanda l'umiltà e che la pratica.
L'umiltà è la pace!... L'anima umile è regina. È sempre felice. Nella lotta, nella sofferenza, si umilia, crede di meritare di più, domanda ancora di più, è sempre in pa­ce... L'orgoglio dà il turbamento. Il cuore umile è il vaso, il calice che contiene Dio!...
Il Signore dice: un'anima umile, veramente umile, farà più miracoli degli antichi profeti.
In cielo, gli alberi più belli sono quelli che hanno più peccato, ma si sono serviti delle loro miserie come un concime che circonda il piede.
Se tu vedi, aggiunse rivolgendosi alla Priora, giovani suore, novizie avide di re­stare in preghiera al di fuori di quello che è di regola, falle occupare nei lavori più umili».
Diceva, il 19 aprile 1874, la domenica del Buon Pastore: «Se una novizia fa dei miracoli e non si sottomette, o se ha portato un milione e in seguito ne voglia dispor­re o soltanto attaccarsi ad una immaginetta, Madre Teresa dice: Rimandatela con ciò che ha portato.
Colui che non ha dato la sua volontà a Dio non gli ha dato niente.
Quando si è dato qualche cosa a Dio, non bisogna riprenderla. Siete uscite nude dal seno di vostra madre e ritornerete nude nel seno della terra.
Quando Dio vi ha create, eravate nude, e se volete ritornare nel seno di Dio, siate nude, non abbiate alcuna proprietà. Se voi avete qualche cosa, non entrerete, ma re­sterete fuori. Non occorre neppure la proprietà di una immagine, di una penna». Ri­prese ben presto: «Margherita Alacoque dice: Se i figli della terra comprendessero che le umiliazioni, che tutto sulla terra è come un lampo che passa!... Se potessi ave­re un rimpianto, sarebbe di non aver fatto di più».
Sempre in estasi, ella aggiunse: «Beati tutti quelli che lavorano alla fondazio­ne!...».` «Il Signore mi ha promesso che i miei giorni saranno brevi!... Mi ha detto il giorno e il mese in cui mi verrà a cercare, ed a che ora, e quanti giorni ho ancora da vivere».
Il giorno della festa della santa Trinità di quello stesso anno (1874), ebbe una vi­sione e delle comunicazioni soprannaturali, che Dio l'obbligò a sottomettere al Su­periore.
Dettò ciò che segue:
«Sto per dire, Padre mio, ciò che mi è stato ordinato di far sapere. Questa mattina, prima della messa, mi sentivo presa, atterrata, senza sapere perché, da una potenza nemica che mi perseguitava; il mio cuore si innalza verso Dio più che mai e grido: Signore, è possibile che abbandoniate la mia anima? Mio Dio, spero in te! Immediatamente, mi sono vista davanti a Dio. Lui, su un'alta montagna, molto alta, ed io, in una fossa profonda. Mi sentivo le gam­be rotte, le braccia tagliate ed ero quasi cieca; potevo appena guardare davanti a me. Vedo allora una luce che l'immaginazione dell'uomo non può raffigurarsi, né comprendere. È un fuoco ed un refrigerio. Sento che è Dio. Non ho alcun dubbio che non sia Dio; dico tra me, è Dio e comincio a gridare: Mio Dio, tirami dall'abisso in cui sono, tirami dall'abisso!
E dicevo in me stessa: da dove viene questa luce? È Gesù? È il Padre? È lo Spirito San­to? Sentii una voce dire: Considerate un piatto di olio. L'olio, da solo, non può accender­si; se vi mettete il fuoco dentro, si accende tutto in una volta e non dura; ma se metti uno stoppino tra l'olio e il fuoco, allora l'olio, lo stoppino e il fuoco fanno un tutt'uno e pro­ducono la luce. L'olio, è l'immagine di Dio Padre; lo stoppino, è l'immagine di Dio Figlio; lo stoppino, c'è perché il fuoco non bruci tutto d'un colpo l'olio: è Gesù che impedisce al­la collera di Dio di scoppiare, che concilia l'uomo con Dio; e il fuoco, è lo Spirito Santo Dio, che fa conoscere Dio all'uomo, che lo riscalda, gli dà la luce e la vita. La luce attira l'uomo a Dio, e nello stesso tempo gli mostra Dio.
Considera se l'olio solo può bastare, se l'olio con il fuoco senza lo stoppino può resta­re e se lo stoppino può accendersi senza fuoco. Così, ciò vuol dire che l'uno non può sus­sistere senza l'altro. Guardo e vedo questa fiamma ardente che non brucia come il fuoco della terra. Il corpo ne è arso e nello stesso tempo rinfrescato; vi si sta senza essere brucia­to e vi si gode. Mi è stato fatto un discorso magnifico sull'olio, un sermone magnifico sul­lo stoppino ed un discorso magnifico sul fuoco, ma è impossibile ripeterli, e ciò che dico non mi soddisfa... Mi sono stati fatti parecchi paragoni che la mia intelligenza non può ri­petere, è troppo piccola. lo l'ho compreso in fondo al mio cuore».
È così che Dio aveva istruito fin dall'infanzia suor Maria, che non fu capace di leggere, e solamente negli ultimi anni della sua vita, altro che il libro `l'Angelo cu­stode', a grossi caratteri.
Era tutta contenta in giardino, durante la stagione dei frutti, vedendo che i meli ne erano carichi, il che ricordava una parola di Nostro Signore.
L'anno precedente, era stato convenuto che questi meli, sarebbero stati abbattu­ti perché non facevano frutti e nuocevano al prato. Erano stati segnati per essere asportati, e si cominciava già questo lavoro, un giorno, durante l'orazione, Nostro Signore disse alla sua piccola serva: Dì alla tua Madre che quest'anno non si ab­batta alcun albero, bisogna conservarli. Si lasciarono dunque gli alberi, che diede­ro più frutti dei peri, al contrario degli anni precedenti.
La considerazione del suo nulla e della potenza di Dio la incantava: « II pensie­ro che io sono niente mi fa trasalire!» diceva.
«Vedo tutto, contemplo tutto, e vedo tutto come un niente... La mia anima va­gante guarda il cielo, la terra...; ammira l'opera dell'Altissimo; ma per lei, tutto è nulla! ... vedo in ogni paese tante piante differenti! Guardo il mare e tutto ciò che es­so racchiude... La bellezza dell'uomo è incomparabile!
Ciò che è nel mare è così bello! Tutto glorifica Dio e tutto è contento di Dio! Non c'è che l'uomo che non glorifica Dio e che non è contento!... O uomo, sii fe­lice di tutto, perché il tuo tesoro è l'Altissimo. Liberati da tutto ciò che è terreno; annientati nel vedere che sei così debole. Sii fiero di avere un Dio così grande!...
O uomo, non amare ciò che è stato creato più di Colui che l'ha creato, perché il tuo amore allora si cambierà in tenebre; ama Colui che ha creato tutte le cose e il tuo amore si cambierà in luce!».
Figlia mia, le diceva il Signore in un'altra estasi, chi non ha dato la sua volontà a Gesù, non ha fatto niente. Quando si presenta qualche cosa di penoso che ripu­gna e lo si fa ugualmente è una prova che si è data la propria volontà a Gesù. Ora, noi siamo in un tempo, in un secolo di tenebre, lo spirito è cieco, non sa ciò che vuole... Non c'è che l'obbedienza che ci possa salvare. Quanti sacerdoti e religio­se cadranno, perché non hanno dato la loro volontà a Gesù...
Ho visto una clarissa, il Signore mi ha detto: Vedi, mi è sempre così gradita, perché agisce sempre per obbedienza.
«Non temere di lasciare la preghiera per servire i malati, diceva un giorno ad una giovane suora infermiera; se è una cosa che si può aspettare fino all'indomani, al-
lora aspetta; ma se è necessario in quel momento non significa lasciare la preghie­ra, significa lasciare Dio per Dio, lasciare l'amore per l'amore!... Quando tu curi le ammalate, cura Dio in loro; fa' per tutte le stesse cose. Non bisogna avere più pia­cere a dare cure alle une o alle altre, con il pensiero che una è più santa di un'altra. E se tu hai curato perfettamente, per amore di Dio, un'anima in stato di peccato mortale, avrai più merito che se tu avessi curato una santa».
La Priora del Carmelo di Pau,4° sebbene debole di salute e spessissimo soffe­rente, poteva seguire tuttavia la comunità; ma da qualche tempo, il suo stato si era aggravato ed era trattenuta in infermeria, il che meravigliava le suore, avendo la veggente promesso che il buon Dio le avrebbe dato a lungo ancora abbastanza sa­lute per assolvere i doveri della sua carica. Giacché il male peggiorava, la suora si decise a farle sapere la causa di questo cambiamento. Le disse che il Signore non era contento, perché le suore erano riuscite, con le loro pressanti insistenze, a farle lasciare il mantello del coro, che lei usava, per prenderne un'altro più leggero; ef­fettivamente si constatò che dal giorno in cui mise questo mantello un po' differente degli altri, era stata più sofferente. La Priora, tutta contenta dell'avvertimento, fece ritirare il mantello dall'infermeria. Subito, ella assicura, ho sentito un benessere, uno star meglio straordinario. O santa Povertà, quanto sei benefica!
Nel corso del mese di luglio 1874, suor Maria di Gesù Crocifisso parlava della Rev. Madre Sant'Ilarione, Fondatrice e Priora delle carmelitane di Marsiglia, morta il 6 luglio di quello stesso anno. Ella diceva di aver visto questa venerata Madre an­dare direttamente in cielo, solamente passando per le fiamme del Purgatorio. Aveva chiesto: «Com'è che sei andata così direttamente in cielo?» La venerata Madre le ri­spose: Sì è perché non ho mai mancato alla carità ed ho praticato la regola.
Tutto il tempo che trascorse fino alla sua partenza per Betlemme, non fu che, per così dire, una serie ininterrotta di estasi, di canti rapiti, di avvertimenti celesti. Per descrivere la sua felicità nel suo stile immaginifico e pieno di grazia, ella diceva che era in vacanza ma che, ben presto, occorreva tornare in pensione.
Stiamo per citare ora i due avvenimenti che si svolsero durante il suo soggiorno a Pau ed ai quali ella ebbe una così larga parte: vogliamo parlare della fondazione del Carmelo di Betlemme e dell'approvazione della Congregazione dei Preti del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram.
Appena di ritorno a Pau, suor Maria di Gesù Crocifisso dichiarò alla Madre Prio­ra che Gesù la chiamava a Betlemme per morirvi, contrariamente al desiderio che el­la avrebbe avuto di restare a Pau dove si trovava così felice. Affermò perfino, in pa­recchie circostanze, che, prima di tre anni, sarebbe stata a Betlemme. I Superiori non attribuirono grande importanza a questa profezia ma la suora insisteva, dicendo che Gesù voleva assolutamente un Carmelo a Betlemme. Un giorno in cui il Signore rin­novava alla suora l'assicurazione di questa fondazione, la veggente gli disse con san­ta audacia: «Per prova che questa fondazione di Betlemme si farà e che io andrò a
morirvi, fai prendere radice a questa foglia di geranio quasi secca»; e parlando così, affondò in un vaso di terra la foglia che aveva in mano. Il segno richiesto fu accor­dato e poco dopo, si vedeva elevarsi da questa foglia un magnifico geranio.
Ma quale sarà l'eletta da Dio per quest`opera? Doveva essere la signorina Dar­tigaux, figlia unica di un Presidente della Corte di Pau e nipote, per parte di sua ma­dre, del conte di Saint-Cricq, ministro di Carlo X e pari di Francia. Questa signori­na, di una eminente pietà, disponeva di un patrimonio considerevole, che dispensava in opere buone. Davanti al santissimo Sacramento, senza esservi solle­citata da nessuno, promise a Dio di realizzare la fondazione del Carmelo di Be­tlemme, se il suo confessore l'avesse approvata.
Un Carmelo a Betlemme non era una impresa ordinaria... Un Carmelo a Be­tlemme, in permanente immolazione per il trionfo della Chiesa e per la salvezza della Francia. Bisognava attendersi grandissimi ostacoli...
Anzitutto, una domanda doveva essere indirizzata alla Santa Sede dal vescovo di Bayonne, Mons. Lacroix, un uomo di Dio, un apostolo, dottore per la sua scien­za, pastore per la sua bontà. Egli venerava la signorina Dartigaux e la sua amica del Carmelo, suor Maria di Gesù Crocifisso. Ma era anche la prudenza in persona e, sa­pendo bene che Roma era contraria allo stabilirsi di suore di clausura in Terra San­ta, rifiutava di prestarsi ad una procedura del tutto inutile ai suoi occhi.
Tuttavia giudicava che i segni dall'Alto divenivano sempre più manifesti e deci­se di passare ai fatti; si cominciava, poi si indietreggiava e, al momento segnato co­me decisivo, tutto fu abbandonato. La signorina Dartigaux, degna emula della pia carmelitana, sua amica, era pronta: accorse, cadde in ginocchio davanti al vescovo, nel parlatorio del Carmelo di Pau: Monsignore, gli disse, questo progetto o viene da Dio o no; se non è volontà di Dio, la Santa Sede lo respingerà, sempre lodando una così pia intenzione, ma se viene da Dio, può lei resistergli? Nello stesso istan­te, la supplica venne firmata e spedita; e, malgrado le opposizioni più considerevo­li e più energiche, Pio IX, il grande Pio IX, di santa memoria, decretò con la sua propria autorità la fondazione di un monastero di Carmelitane a Betlemme.
Ma bisogna assicurare il servizio religioso della nuova fondazione. Chi sarebbe stato l'eletto dal Signore?
Ai piedi dei Pirenei, in un angolo delle nostre montagne, un sacerdote aveva fondato una piccola Società, sotto la dicitura del Sacro Cuore. Figlio della po­vertà, nato nell'ultima capanna di un borgo sperduto nel paese basco, pastore an­cora a quindici anni, più tardi sacerdote, Direttore e Superiore del Grande Semi­nario, infine fondatore di una famiglia religiosa, Michel Garicoits era sempre rimasto umile di cuore, come di nascita; aveva conservato la semplicità di un fan­ciullo. Il divin Pargolo del Presepe; ecco l'ideale che lo aveva affascinato. E suor Maria di Gesù Crocifisso a ridire alla sua nobile amica: «Gesù vuole Bétharram a Betlemme».
L'abate Manaudas, del quale è già stata fatta menzione in questo racconto, era morto durante la Quaresima del 1874. Questo venerabile ecclesiastico apparve a suor Maria e la incaricò di parlare a Mons. Vescovo di Bayonne dell'approvazio­ne a Roma dell'Istituto dei Preti del Sacro Cuore di Bétharram. La suora accom­pagnò questa comunicazione di dettagli così precisi e così intimi, che Monsigno­re ne fu estremamente colpito; cedendo una volta di più alla richiesta dell'umile suora conversa, mandò alla Città eterna un sacerdote di quest'Istituto con l'abate Bordachar. Suor Maria aveva predetto a costoro che, una volta a Roma, non avrebbero avuto niente da domandare e che tutto sarebbe stato loro offerto. E co­sì avvenne. Il Rev.mo P. Bianchi, O.P., in seguito a circostanze provvidenziali visibilmente preparate dalla mano di Dio, offri loro i suoi servizi contro la loro at­tesa, e, due mesi dopo, senza una sola iniziativa da parte loro, il breve laudativo era accordato dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari." Meno di tre anni do­po, Pio IX approvava questo Istituto, e, un po' più tardi, Leone XIII gli affidava l'assistenza spirituale del Carmelo di Betlemme.

CAPITOLO XVI
Partenza di suor Maria di Gesù Crocifisso per Betlemme. Fondazione del Carmelo di Betlemme - "L'anello dell'alleanza "
Il primo sentimento che proviamo, cominciando questo capitolo, è di una gran­de riconoscenza verso Dio, e volentieri diremmo con l'apostolo san Paolo nella sua epistola agli Efesini (1,3): Benedetto sia Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cri­sto che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo; sia be­nedetto Gesù che ci ha scelti 46 per accompagnare le sue spose nel luogo della sua nascita; perché la fondazione di Betlemme, quando la si considera in tutti i parti­colari, è un vero miracolo della destra dell'Altissimo.
Il 20 agosto 1875 suor Maria di Gesù Crocifisso lasciava il Carmelo di Pau per recarsi a Betlemme con nove sue compagne. La fondatrice del Carmelo di Betlem­me, la signorina Dartigaux, faceva parte della pia carovana. Si fece una prima so­sta a Nostra Signora di Lourdes dove suor Maria, al suo ritorno da Mangalore, ave­va promesso alla Vergine Immacolata di ritornare, quando sarebbe partita per Betlemme. Dopo la Messa, fu necessario sottrarla alla venerazione della folla che si stringeva attorno a lei; la si voleva vedere, parlarle; l'illustre autore di Nostra Si­gnora di Lourdes, il sig. Enrico Lasserre, domandò come insigne favore di intratte­nersi con lei per cinque minuti e uscì da questa breve conversazione illuminato e consolato. Colei che amava chiamarsi "il piccolo nulla" era la sola a soffrire di tut­te queste testimonianze di rispetto che non si riusciva a spiegare." Da Lourdes i viaggiatori si diressero verso Tolosa dove li attendeva la gentile ospitalità delle Ser­ve di Maria. Qui ancora, la piccola conversa divenne l'oggetto di una pia curiosità da parte delle buone religiose, che gioirono nell'averla per alcune ore nella loro casa. A Montpellier, ella ebbe la grande consolazione di rivedere Padre Lazzaro, suo confessore durante le dure prove di Mangalore. La piccola carovana fu ricevuta a Marsiglia da due famiglie amiche delle suore. Fin dal suo arrivo, suor Maria co­minciò a operare una riconciliazione fra due giovani sposi di questa famiglia." Ri­vide anche le buone suore di San Giuseppe dell'Apparizione, presso le quali aveva passato due anni, e il sacerdote arabo che era stato per lei un vero padre, quando el­la era domestica in quella città. Infine, il 26 agosto, i viaggiatori si imbarcarono per la Palestina, dopo aver fatto il pellegrinaggio a Nostra Signora della Guardia per raccomandare la traversata alla "Stella dei mari". Il tempo fu loro costantemente fa­vorevole, così bello e così sereno che il santo Sacrificio poté essere offerto ogni giorno a bordo. Subito dopo il passaggio delle Bocche di San Bonifacio, ci si tro­vava in vista di Napoli, dove la nave si fermò per alcune ore e i viaggiatori potero­no ammirare il magnifico spettacolo che si offriva ai loro occhi, mentre una piace­vole musica si faceva sentire. Solo suor Maria sembrava insensibile a questi suoni armoniosi, essendo interamente assorbita da un'altra musica, la musica formata dalle note del mare, del cielo, delle colline e delle montagne: «Quanto è bello, lei diceva, e come Dio che ha fatto tutte queste meraviglie, deve essere infinitamente più bello! Signore, Dio degli eserciti, quanto sei grande! Signore, Dio degli eserci­ti, quanto sei potente!». La sua influenza su tutto l'equipaggio era irresistibile. Dal comandante ai semplici marinai, tutti si sentivano dominati dalla sua presenza, sen­za comprenderne il perché. Vedendola passare sul ponte con la maestà di una regi­na, si inchinavano rispettosamente. Quando non c'era, domandavano sue notizie con una certa ansietà, temendo che stesse male, e non si sentivano pienamente ras­sicurati se non quando la vedevano ricomparire. Suor Maria non perdeva il suo tem­po; diceva ad ognuno una sua parola, con una grazia e una dignità che incantava­no; predicava a quegli uomini la necessità della preghiera e il nulla di tutto ciò che passa, e sempre era ascoltata col più grande rispetto. Completamente dimentica di sé per non occuparsi che degli altri, aveva l'occhio a tutto, pensava a tutto, prende­va tutto; dopo aver servito gli altri, non pensava ancora a se stessa; le si doveva ri­cordare che aveva un corpo, perché si occupasse di dargli il necessario. Andava dal­l'una all'altra delle sue compagne con un sorriso celestiale, incoraggiando l'una, presentando il cibo all'altra, simile ad una madre che si prodiga per i suoi figli.
Fra i passeggeri si trovavano due disgraziate giovani, vittime sfortunate del vi­zio. All'inizio della traversata si sarebbe detto che la vista dell'abito religioso delle carmelitane le aveva un poco intimidite, ma questo timore scomparve ben presto e non si sentivano più che le risa sataniche di queste fanciulle perdute. In certi mo­menti, suor Maria non si tratteneva; gli ardori di un santo zelo le facevano manda­re dei sospiri e pronunziare parole di fuoco contro queste infelici; domandava con le lacrime a Nostro Signore di mandare a queste anime sviate una prova che le ob­bligasse a rinunciare ad uno stato così deplorevole; si elevava con forza contro la tirannia del demonio e la bruttezza del peccato; ma subito, rientrando in se stessa, diceva: «Signore Gesù, ti rendo grazie di avermi preservato dal male, di avermi cu­stodita come la pupilla del tuo occhio! Ahimè, senza la tua mano potente, io sarei forse caduta più in basso di queste infelici! Custodiscimi, Signore; ho paura di me stessa, custodiscici tutti».
Il 3 settembre, la nave si trovava nel porto di Alessandria per una sosta di tre giorni. In questa città suor Maria aveva sofferto il martirio per la sua fede, all'età di tredici anni; là era stata gettata in un luogo deserto dal suo uccisore, là era stata raccolta da una misteriosa religiosa che la guarì, le annunciò tutto ciò che le dove­va accadere più tardi e non la lasciò se non quando fu ristabilita. Sebbene la dispo­sizione dei luoghi fosse interamente cambiata, la suora poté indicare il posto dove era stata curata e che primitivamente era una sconosciuta grotta. 1 suoi fortunati compagni pregarono su questo posto benedetto, ringraziando Dio dei miracoli di cui questa bambina privilegiata era stata oggetto, e ripetendo nel fondo del loro cuore questa parola del salmista: Mirabilis Deus in sanctis suis.
Il 6 settembre, si sbarcava a Giaffa. Il vice console di questa città, in nome del governo francese, e il Rev. P. Guido, direttore di Casa Nova, mandato dal Custode di Terra Santa, erano venuti ad accogliere la piccola colonia sulla nave, arrogando­si il favore di condurla a terra. Appena sbarcata, essa fu accolta dai Rev. PP. Fran­cescani, che l'accompagnarono nella loro cappella per cantarvi il Te Deum di rin­graziamento. La sera di questo stesso giorno, si raggiungeva Ramleh, dove le viaggiatrici furono salutate presso i RR. PE Francescani al grido di viva le Figlie di santa Teresa! L'indomani prendevano la strada di Gerusalemme, per arrivare nel­la Città Santa due ore prima di notte.
Era il 7 settembre, anniversario del martirio di suor Maria di Gesù Crocifisso ad Alessandria. Per la terza volta, faceva questo pellegrinaggio; ma quanto quest'ulti­mo viaggio differiva dai due primi! Ella non era allora che una fanciulla povera e sconosciuta, alla quale nessuno prestava attenzione; oggi è una figlia di santa Tere­sa; porta sulla fronte la corona delle Spose di Gesù e la corona della sofferenza. Con quale commozione, passando non lontano dal villaggio di San Giovanni, i viaggiatori avevano ripetuto il cantico della Vergine Maria, il Magnificat, applican­dolo alla piccola suora conversa, che pure l'aveva recitato senza sospettare queste riflessioni! Quest'umile religiosa, come la sua divina Madre Maria, non aveva mo­tivo di glorificare il Signore? Quante anime ricondotte da lei alla verità e alla virtù! Quante altre, sospinte dai suoi esempi ancor più che dalle sue parole, nella vita re­ligiosa, nella vita sacerdotale, e perfino nel mondo! La sua anima non era rapita di gioia in Dio suo Salvatore? Cosa voleva ella, che cosa ha sempre voluto, se non Dio e Dio solo? La volontà di Dio è stata il suo cibo; è rimasta fedele al suo Dio in mez­zo alle prove più dure, non ha mai avuto sete che di sofferenze; ed ecco che Dio, per ricompensarla fin da quaggiù, la riempiva di una esultanza tale da non poterla contenere; bisognava che la riversasse su tutti quelli che l'avvicinavano. Quale era la causa di questa gioia? Ah! è che il Signore aveva guardato l'umiltà della sua pic­cola serva; Egli, aveva realizzato su di lei i suoi disegni; e per mezzo di lei, poiché era un nulla agli occhi di se stessa, aveva operato cose meravigliose. Ed ora, veni­va a Betlemme a fondare il Carmelo; veniva a morire a Betlemme, dove la pre­ghiera dei suoi genitori l'aveva ottenuta dalla santissima Vergine.
Tre giorni furono dedicati alla visita dei principali santuari di Gerusalemme. Le pie pellegrine erano desolate nel vedere la maggior parte di questi luoghi così san­ti tra le mani dei Turchi e di scismatici. Visitando il Cenacolo, dove i Mussulmani avevano innalzato una moschea, il viso di suor Maria, che era tutto raggiante di gioia celeste, divenne pallido e disfatto; i suoi occhi avevano una espressione di do­lore infinito: «Dissi a Gesù, raccontava più tardi, come, Signore, puoi permettere simili cose, visto che sei Dio? Ah! è troppo! Se fossi Gesù, giammai sopporterei una tale profanazione! Ma ben presto domandai perdono a Gesù, aggiungendo: Si­gnore, abbi pietà di me, scusa il mio ardire, il mio amore per te mi ha fatto manda­re questo grido. Se fossi Gesù, farei come te, la prenderei con pazienza, perché avrei nel mio cuore la tua infinita bontà. Ahimè! Signore, in quante anime più abo­minevoli ancora di questo Cenacolo, sei costretto a discendere! Comprendo la pro­fanazione di questo santo luogo pensando a tutte le comunioni indegne e sacrileghe nella tua santa Chiesa!».
Fin dall'indomani del loro arrivo nella Città Santa, i viaggiatori si erano recati al Patriarcato. Grande fu la loro sorpresa nel vedere l'umile suora conversa parlare al Patriarca con l'abbandono e la semplicità di un bimbo che ritrova suo padre. Sic­come essi al ritorno a Casa Nova le esprimevano la loro meraviglia, rispose loro: «Ma io ho visto tanto tempo fa Mons. Patriarca, Nostro Signore me lo ha mostrato anni fa, perfino quando era vivo colui che c'era prima di lui; mi aveva detto allora: Egli sarà un giorno tuo Padre. Io l'ho subito riconosciuto non appena l'ho visto».
La piccola carovana era arrivata a Gerusalemme la vigilia della natività di Ma­ria, ed essa ne ripartiva la vigilia del santo Nome di Maria, per recarsi a Betlemme. La nascente comunità non vedeva l'ora di installarsi in questa piccola città bene­detta. Si comprendono la sua gioia e le sue pie emozioni allorquando essa poté in­ginocchiarsi nella grotta della Natività di Nostro Signore, che era il culmine dei suoi desideri.
Il 24 settembre, tutto era pronto per ricevere le suore nella casa provvisoria che esse dovevano occupare per un anno. L'installazione fu splendida; il Patriarca di Gerusalemme presiedeva la cerimonia; il console di Gerusalemme, il vice-conso­le di Giaffa vi rappresentavano la Francia; i principali capifamiglia di Betlemme assistevano; il Rev.mo Padre Custode di Terra Santa aveva mandato Padre Guido, e Padre Alfonso Maria Ratisbonne uno dei suoi sacerdoti. Le carmelitane scesero processionalmente nella Grotta e l'abate Bordachars° pronunziò, davanti all'impo­nente e numerosa assemblea, il mirabile discorso del quale riportiamo una parte: Monsignore, mancano quasi quattro giorni, per completare un anno dal momento in cui, essendo sta­to scelto, malgrado la mia indegnità, come messaggero della provvidenza e come avvoca­to della bella e santa opera del Carmelo di Betlemme, avevo la gioia di deporre a Roma, ai piedi di Sua santità, le generose aspirazioni del Carmelo di Pau e i voti ardenti di Mons. Lacroix, nostro venerabilissimo vescovo di Bayonne.
Profondamente penetrato e convinto, dominato dal sentimento intimo della verità e della santità della nostra missione, benedetta e confermata dalla obbedienza, noi, con rispetto, ma senza timore, stavamo per annunciare al Vicario di Cristo, che una pia comunità, avvertita e sollecitata dall'Alto, noi lo crediamo, e sostenuta dalle larghe liberalità di una degna emula del­le Sante Paola ed Eustochio, s’implorava il favore di porre, in nome della Chiesa e della Fran­cia, nei luoghi dove nacque la sorgente della vita, un coro di vergini sante destinate, come gli angeli del cielo, i pastori ed i re magi, ad onorare con un culto locale e permanente la culla del Salvatore Gesù, unico vero Re del cielo e della terra, ed a fare scendere, con le loro preghiere e le loro austerità claustrali, le misericordie di Dio sulla Chiesa e sulle società moderne, così crudelmente turbate, agitate, provate e núnacciate dappertutto, nel nostro triste secolo.
La causa che noi avevamo il compito di sostenere era pia, grande e bella!... E tuttavia, avemmo le nostre ore di contraddizioni e di angoscia, grazie a Dio, brevi e rapide. La gran­de anima di Pio IX, illuminata da quei lumi superiori che fanno la gloria del suo pontificato e la consolazione e la speranza del mondo, aveva senza dubbio presentito il divino dell'ope­ra proposta; e, fin dal primo esposto della nostra pia missione, essa era immediatamente fa­vorita da tutta la sua più efficace protezione, e dalle sue più care e più potenti simpatie.
Così, poco dopo l'arrivo delle vostre gentili e benevole lettere di accettazione, Monsigno­re, la nostra cara opera era solennemente approvata. Due eminenti cardinali se ne dichiarava­no i protettori speciali; il governo della Francia cattolica l'appoggiava con tutto il suo credito, e le benedizioni particolari del nostro santo e venerato Pio IX coronavano tutto ciò che il cie­lo e la terra sembravano moltiplicare e accumulare di aiuti e di simpatie per questa fondazio­ne, alla vigilia ancora sconosciuta, e improvvisamente per tutti e dappertutto già tanto amata.
Ed è così, Monsignore, che in questa stalla, in nome del nostro venerabile vescovo di Bayonne, e con la pia Fondatrice qui presente, il Rev. Padre Estrate ed io, abbiamo la gioia di porre sotto la vostra santa e paterna protezione queste vergini cristiane, lampade viventi di fervore e di pietà, santo ex-voto della Chiesa e della Francia, vittime espiatorie che si of­frono spontaneamente per obbedienza a Gesù, Re del tempo e dell'eternità, per le mani di Maria, in riparazione dell'ingratitudine e delle empietà del mondo...
Dopo questo discorso, ascoltato da tutta l'assemblea con la più religiosa atten­zione e la più viva emozione, Mons. Patriarca si alzò, e con alcune parole ispirate alla più paterna benevolenza, dichiarò di accettare con riconoscenza questo dono della Francia e di Roma, e che, se queste suore avrebbero cambiato di giurisdizio­ne, esse non avrebbero cambiato padre. Dopo di che, mettendosi in ginocchio da­vanti alla grotta, intonò il veni Creator. Quando questo canto terminò, la proces­sione procedette lentamente verso il convento provvisorio. Tutta Betlemme era presente, formando due immense ali al suo passaggio, piena di rispetto, di silenzio, di simpatia. Giunto alla casa, il Patriarca la benedisse, come pure la piccola cap­pella. Celebrò in seguito la santa messa, dopo la quale impose la clausura: il Car­melo di Betlemme era fondato. Suor Maria di Gesù Crocifisso, rientrata da Man­galore a Pau il 5 novembre 1872, si trovava nel Carmelo di Betlemme il 24 settembre 1875. Aveva avuto dunque ragione di dichiarare che non sarebbe rimasta neanche tre anni a Pau, dopo il suo ritorno dalle Indie.
Bisognava ora comprare il terreno per il futuro convento e tracciare il piano del monastero. Per questo, come in precedenza, il Signore Gesù aveva promesso, più volte alla sua santa Sposa che avrebbe fatto tutto lui. Attendevano con impazienza, ma con completa fiducia, la realizzazione delle promesse divine. La fanciulla be­nedetta aveva detto a diverse riprese, a Pau, nelle sue estasi e nel suo stato ordina­rio, che il convento sarebbe stato costruito su una collina che Gesù avrebbe indica­to; e aveva perfino mostrato la posizione di questa collina in relazione alla Grotta; anche l'abate Bordachar, quando fu sui luoghi, la riconobbe prima che suor Maria gliela avesse indicata, da parte di Dio. Nostro Signore aveva detto alla sua piccola serva che avrebbe voluto che il monastero fosse costruito su quella collina e le ave­va indicato il punto preciso della futura cappella. Aveva perfino aggiunto che la sua santa Madre vi si era riposata lì alcuni istanti, quando andava a Betlemme per met­terlo al mondo.`
Si trattava dunque di comprare questo terreno il più presto possibile. L'anima di questa impresa, come delle precedenti, fu l'abate Bordachar. Egli si intese imme­diatamente, a questo scopo, con il Rev. P. Curato di Betlemme. Ma, l'indomani, quest'ultimo ci faceva sapere che la collina aveva un grandissimo numero di pro­prietari, fra i quali si contavano perfino dei Turchi e degli scismatici, e che sarebbe stato difficilissimo comprarla. Tuttavia cominciò a fare degli approcci in questo senso con il proprietario della parte superiore del terreno. Costui, con grande me­raviglia del Padre Curato, promise di vendere. Si fissò il prezzo; ma l'indomani, il proprietario fece delle difficoltà, a seguito delle quali fu deciso che si sarebbe rimandato l'acquisto. Queste difficoltà scossero la nostra fiducia: Non è forse vero, dicemmo a suor Maria, che Gesù aveva promesso di disporre il cuore dei vendito­ri di modo che questi uomini sarebbero venuti essi stessi ad offrire il terreno? «Sì, ella rispose, ciò è vero e ciò è scritto, la suora segretaria ne può far fede. Ma non abbiate paura di niente, la parola di Gesù si realizzerà come sempre e queste diffi­coltà non serviranno che a rendere la cosa più mirabile». Ci ritirammo edificati, ma non convinti. Alcuni giorni dopo, il proprietario recalcitrante domandava di regi­strare il contratto al prezzo che era stato dapprima convenuto. Le altre parti di ter­reno furono comprate in circostanze analoghe, di modo che bisognerebbe essere ciechi per non vedervi il dito di Dio. Aggiungiamo che Nostro Signore realizzò pa­rallelamente la seconda parte delle sue promesse, indicando egli stesso la disposi­zione e le dimensioni del futuro monastero. A Gerusalemme, questo piano fu mo­strato a suor Maria di Gesù Crocifisso fin dal suo arrivo; ed a Betlemme, altre tre volte. A seguito di queste indicazioni, l'abate Bordachar ne fece il disegno: il con­vento doveva avere la forma di una stella, della quale la cappella e le dipendenze sarebbero stati come raggi allungati.
Quattro giorni dopo l'installazione nella casa provvisoria, suor Maria di Gesù Crocifisso ebbe una lunga estasi riguardo al futuro Carmelo. Noi ne abbiamo estrat­to i seguenti passaggi:
«Voi non sapete ciò che il Signore ha appena fatto. Oh! quanto è mirabile! Egli ha domandato a tutto, perfino alla parte bestiale che è in noi, se essa ha abbastanza pascolo, e la bestia sì ha gridato: Signore, preferisco il cammino del Carmelo, per­ché è dolce e facile.
Egli ha destinato la nostra casa là (e indicava col dito il lato dove si trova la col­lina di David). Egli è il nostro solo dominatore... Ho visto, aggiungeva, tutto ciò che il Signore ha fatto; non ha mai fatto una cosa simile! Non la comprendo!... Ho vi­sto il monastero: esso forma una stella e il coro è un sole che annuncia la felicità! Quanto siamo ciechi, noi! Perfino alle bestie, il Signore domanda se esse sono con­tente, ed esse dicono: siamo abbastanza nutrite, abbiamo abbastanza. Ho appena vi­sto tutto ciò. Perché non posso morire d'amore! Prendi la mia vita, Signore; i miei occhi hanno visto tutto, ho visto i sentieri che tu mi hai tracciato. Basta, Signore, prendi la mia vita, ho visto tutto ciò che mi hai destinato. Basta, perché io ho gran paura della mia debolezza!».
Il 18 ottobre, ella vedeva ancora il nuovo monastero e diceva: «È la casa della gioia, il Signore l'ha promesso.
Il Signore ha anche promesso di essere sempre il capo. Non soltanto per un an­no, ma fino alla fine. Terrà sempre la casa sotto la sua mano, e guai alla pecorella che non sarà fedele!...
Che cosa è l'uomo riguardo al suo Creatore? Perché l'uomo è cattivo? Ammi­riamo la pazienza di Dio! Oh! sì, mille anni passano come un giorno. Ma noi sia­mo creati per amare il nostro Creatore e non per assecondare il nostro desiderio... Tanto più faremo la nostra volontà, tanto più bruceremo in Purgatorio, forse dieci anni per un solo gesto, secondo la sua gravità... Che serve all'uomo guadagnare l'u­niverso, se viene a perdere la sua anima?
Vedo molte religiose, professe da venti anni, che escono dai loro conventi... Il nemico ha ora molta potenza. Tutte quelle che hanno la radice marcia cadranno; è il momento, è la giustizia di Dio! Non crediate che un albero cada di colpo; né un religioso, o una religiosa cadano di colpo senza che vi sia stato da tempo qualcosa di marcio; il guasto procede radice per radice.
L'anima è come una lampada, la si fa vivere con gli atti di rinunzia... e senza ta­li atti, essa muore, soffoca.
Vorrei una lingua purificata dal fuoco per dire tutto ciò che ho visto... È il mo­mento in cui gli alberi stanno per cadere. Ve ne sono che hanno le foglie gialle, ma la radice è buona; altri, sacerdoti, religiose, sembrano buoni e cadranno, perché la radice è cattiva. Vi sono degli uomini di mondo che sembrano cattivi, ma che han­no il fondo buono: essi prenderanno il posto degli altri...
Non bisogna ricevere spiriti ribelli, fastidiosi: essi nuocciono molto nei mona­steri. Questi spiriti realizzeranno molto meglio la loro salvezza nel mondo». Suor Maria si era adoperata in tutti i modi, malgrado le sue sofferenze, per i la­vori di messa a punto della casa provvisoria. Nessuno avrebbe pensato, vedendo­la così attiva e così spesso sorridente, che camminava a fatica. La Priora l'aveva incaricata, per alcuni giorni, di dare gli ordini necessari agli operai; costoro erano felici di obbedirle, e l'influsso della sua santità non aveva tardato a farsi sentire. C'era fra loro un povero giovane, che aveva avuto la disgrazia di apostatare tre vol­te, per abbracciare la religione di Maometto. Il suo sguardo era feroce; il suono della sua voce spaventava. Suo padre, che gli era accanto, piangeva in silenzio; giudicava il male irrimediabile; già quest'uomo era fidanzato a una maomettana. Suor Maria aveva visto tutto con un colpo d'occhio. Si trattava di tirar fuori un'a­nima dal profondo abisso nel quale era volontariamente caduta; parlò a questo gio­vane; gli parlò del suo Dio, dei suoi impegni, della sua apostasia, con tanta bontà e forza, che quell'infelice aprì il suo cuore alla suora; confessò il suo crimine e, nello stesso tempo, il rimorso che lo straziava; promise di pregare. La religiosa pregò da parte sua. Alcuni giorni dopo, questo giovane, vinto dalla grazia, faceva la sua abiura, si confessava e comunicava, col viso raggiante di gioia e di ricono­scenza.
Il 7 novembre di quello stesso anno, suor Maria riferiva, in questi termini, una visione che aveva avuto durante la messa:
«Mi è parso di vedere davanti a me, Dio nella sua maestà, su una montagna; il suo braccio destro era appoggiato su un ulivo. Era tutto luce, e la sua luce e il suo chiarore davano su un campo di frumento maturo, ed io vedevo che il frumento era maturo a causa della sua luce, del suo fuoco e del suo chiarore. Gli ulivi anche era­no coperti da questa luce e la loro luce era verde, mescolata di bianco. È qualche cosa che non si può esprimere né tanto meno immaginare. Un bimbo è venuto fuo­ri da questa luce e mi ha offerto nove olive, dicendo: Dio vuole che ne mangia no­ve ad ogni pasto col tuo pane secco; le mangerai completamente amare, come ap­pena raccolte da quest'albero, e questo, per nove giorni. Poi, per dodici giorni, ne mangerai altre nove per ogni pasto, ma le prenderai da come le mangi le altre. Poi, terminerai questa quarantena di digiuno, col pane secco, come l'hai cominciata». Essendole stata permessa tale cosa, ella così fece.
Il 19 dicembre, con trasporti indicibili, diceva che gli angeli erano venuti a pren­dere il portiere (della casa provvisoria), che era morto l'antivigilia, e lo avevano ri­messo tra le braccia del suo Creatore; non smetteva di ripetere: «Quanto sono feli­ce di averlo conosciuto! Era un uomo retto, ha molto sofferto, è stato disprezzato; ma ora, quale gioia nel cielo! Invece i ricchi sono onorati; essi godono per alcuni anni sulla terra, ma dopo, vanno per cento anni e più in Purgatorio, dove ogni ora è più lunga di un giorno!
Dio ama l'uomo retto, e anche se commettesse molte iniquità, Egli gli darebbe la luce per convertirsi; ma (egli) non può tollerare, l'uomo ipocrita; e quand'anche esso avesse ogni apparenza di santità, non sarà gradito a Dio come l'uomo retto, pur in mezzo alle sue imperfezioni».
Le suore di San Giuseppe stabilite a Betlemme non mancarono di venire ad au­gurare il benvenuto alla nuova Comunità. Una di esse, che aveva fatto il noviziato nella sua Congregazione a Marsiglia nello stesso periodo di suor Maria, le disse: Quando sono stata mandata a Betlemme, ero dispiaciuta, giacché avevo una gran­de ripugnanza per andare in missione; ma subito, mi sono ricordata che tu mi ave­!, vi allora detto che io un giorno vi sarei andata, ed ho obbedito di buon grado.
Suor Maria di Gesù Crocifisso, come tutte le vittime scelte da Dio, aveva pas­sato la sua vita in mezzo a prove inaudite, così come abbiamo visto; ma a Betlem­me, le sue angosce, i suoi tormenti e il suo martirio dovevano andare crescendo, fi­no alla sua ultima immolazione. Ciò che rattristava soprattutto la sua anima era la visione soprannaturale dei delitti che coprivano la terra e i lamenti di Nostro Si­gnore che avevano un'eco nel suo cuore.
A questo proposito citiamo alcune righe delle note scritte nella prima settimana di Quaresima del 1876:
«Nostro Signore teneva nelle sue mani un mucchio di fuoco; guardava la Fran­cia con un senso di compassione e di amore; il fuoco scivolava e cadeva dalle sue dita, era sul punto di cadere interamente; ma il Signore diceva e ripeteva: Doman­da perdono, domanda perdono! Povera Francia, aggiungeva, povera Francia, se lo sapesse, se lo comprendesse, e soprattutto se lo volesse! Dio l'ama tanto!».
Durante l'ottava di Nostra Signora del Monte Carmelo, in quello stesso anno, suor Maria domandava a Nostro Signore, riguardo alla Francia, perché permette­
va che si scacciassero i buoni, mentre restavano i cattivi. Il Signore le rispose che ! era lui stesso a permettere questo. Ecco, aggiungeva, un paragone che mi ha fatto: «Vedi questa bella terrazza, vi sono ogni specie di frutti e di fiori; ma vi vengono degli insetti e ogni specie di bestie; essi pizzicano i fiori e la malattia si attacca agli alberi. Allora il Signore dice: Io sradicherò tutti questi alberi. Ed ha coman­dato ai suoi angeli di sradicare tutti questi alberi».
Il 31 agosto, dopo parecchie estasi nelle quali suor Maria parlava delle disgrazie future, comunicava alla maestra delle novizie` una angoscia che aveva provato per tre giorni, riguardo al nuovo monastero: «Ho sentito dire (soprannaturalmente) che vi è molta agitazione da queste parti e che tutti hanno paura. Si dice che il nostro mona­stero sarebbe ottimo per una caserma, e, vedete la mia debolezza, mi sono turbata. Pensavo: Come! Il buon Dio mi aveva fatto vedere questo posto, come prima ti ave­vo detto, e mi ero dinuovo ingannata? E mi dicevo: No, no, Dio mi ha fatto vedere tutto questo... E pensandolo, sento una voce dirmi: Perché ti turbi? Sì, sarà una ca­serma. A queste parole, cado nell'angoscia e nel turbamento: Come, dico, la Fonda­trice ha fatto tanti sacrifici per fare una caserma, invece di una casa di Dio? Ero in preda ad una angoscia inesprimibile, e, per tre giorni, sono rimasta con una pena mor­tale. Credo che Gesù dovesse ben ridere di me. Ho fatto tutto ciò che ho potuto per distrarmi; ma sempre avevo un verme roditore nella testa e nel cuore; ero divorata da tristezza pensando che la casa sarebbe stata venduta e che al suo posto sarebbe stato messo altro. Oh! quali tre giorni! Ecco che dopo, nella mia pena, Dio ha avuto pietà di me; ho dormito (estasi) ed ho sognato moltitudini di bambini; non erano bambini, ma angeli. Ve ne era uno su ogni pietra, e suonavano una melodia ciascuno, e con un tono così celeste! Mi sembrava che si preparasse qualcosa di magnifico; il mio cuo­re era consolato, e dicevo: È meglio per tanto, che la casa sia per questi bambini al nostro posto, che per dei soldati! E una nuvola verde li copriva da ogni parte, come per proteggerli... Nello stesso tempo, vidi nuvole, tempeste, pioggia di ogni cosa ca­dere sulla terra e niente arrivava in questa casa. Mi dicevo tra me e me: Questi bam­bini portano felicità alla nostra casa; essa è tranquilla, perché essi l'abitano. E, in mezzo a quella tempesta, vidi dei bimbi scrivere su ogni pietra dicendo: La pace e la felicità agli uomini di buona volontà! Nello stesso momento, in mezzo al prato, vidi scritto in lettere d'oro: Il nome di Dio cancella i peccati del mondo e rende il cuore dell'uomo gioioso, ebbro di felicità! E sento una voce che mi rivolge dei rimproveri, dicendo: Anima di poca fede! Desidero una caserma di soldati che preghino e salvi­no le anime. A queste parole, sono stata ricolma di gioia e di pace: tanto la pena era stata grande, tanto lo è stata la gioia».
Questo stesso anno 1876 fu segnato per la serva di Dio da una grazia straordi-
naria che il Salvatore accorda solo alle anime elette. Intendiamo parlare di quella unione fra Gesù e l'anima, di quella donazione reciproca, totale e perfetta, di quel­l'irrevocabile contratto di amore, intercorso fra Dio e la creatura, che i mistici han­no l'abitudine di indicare sotto il nome di matrimonio spirituale. Si può dire che tutta la vita di suor Maria di Gesù Crocifisso, non era stata che una lunga prepara­zione a questo favore privilegiato. La quaresima di quell'anno ne fu la preparazio­ne immediata. La corona di spine riapparve attorno alla testa della fervente carme­litana; le sue stimmate si riaprirono nel cuore, alle mani ed ai piedi. Poi, quando il divino Sposo giudicò che la sua fidanzata fosse sufficientemente ornata di questi gioielli della sofferenza e dell'amore, egli l'elevò alla dignità di sposa di unione sa­cramentale, come aveva fatto tre secoli prima per la serafica Teresa. Ascoltiamo questo prodigio dalla bocca stessa della felice privilegiata in estasi. Invisibili mes­saggeri le offrivano la scelta tra il lasciare la terra senza indugio, oppure vivere an­cora qualche tempo in mezzo a prove raffigurate da una foresta selvaggia.
«I bimbi dicono: Se tu attraversi la foresta, cadrai. Se andrai subito da Gesù, il Signore ti darà ciò che desideri: questo è ora il momento della decisione.
Ma se io vado via ora, non avrò niente da offrire al mio Dio. Avrò il tempo di godere e non avrò il tempo di soffrire! Che c'osa c'è di più gradito a Dio? Dite al mio Dio che io voglio ciò che gli è più gradito: accetto doppi tormenti perché l'Olivo doni la luce al Roseto!
Tuttavia, se dovessi fare una caduta e offendere Gesù, presto, voglio andare da Lui. Ma, se Egli promette di custodirmi, accetto tutti i tormenti...
Voglio le due cose, mio Dio!
Il Signore mi disse: Figlia mia, te ne offro la scelta.
Ed io dissi: Maestro mio, te ne lascio la scelta!... So che sceglierai il meglio! Ac­cetto tutti i tormenti per un tuo piccolo sguardo».
Ella ascolta e dice: «No, no, non mi tentate. Lascio la scelta al mio Dio! Felice l'anima che si affida al Signore!
Che importa di camminare nella cenere ardente! Ebbene, se devo diventare cieca, preferisco la cecità che avere gli occhi e non vedere il mio Dio...; non mi tentare... Due esseri si contrastano in me... Uno vuole prendere la difesa del mio Ulivo e del mio Roseto, e l'altro vorrebbe andare via... Ma, Signore, non li ascoltare, non mi pronuncerò mai.
La madre conosce ciò che è meglio per il figlio, ma il figlio può conoscere il me­glio per se?
Io ho più che padre e madre, ho il mio Creatore che mi avvolge!... Mangerò il pane che mi darà.
Vedi, Dio mio, l'uno inclina per restare, e l'altro vorrebbe andare via... Io non sono padrona né dell'uno né dell'altro, ma del tuo beneplacito!
Se le mie ossa dovessero essere rotte, se la mia carne dovesse cadere a brandel­li, che importa se il mio Dio ne ha piacere?... Ciò che il mio Maestro vorrà da me, io lo voglio... Mi domandate se sono contenta?... Domandate al prigioniero se pre­ferisce restare in prigione o passeggiare in giardino... Se preferisce restare ai lavo­ri o in libertà... lo so che non offendo Gesù domandando di andar via!... Ma, se de­vo fargli un piccolissimo piacere, io resterò.
Ah! Finalmente, avete capito!».
Fino a questo momento, le era parso di conversare con un essere soprannatura­le. Ora, ella si prostra e si rialza dicendo: «Ebbene, accetto con tutto il cuore!... Ne vale proprio la pena per il mio Creatore!... Tutto passa!... Io sono felice che scelga il mio Creatore... Si scriva... Io, non scrivo niente, Gesù farà tutto per me!... Ciò che io domando, è che l'Ulivo sia trasportato nel giardino, che il suo Vicario, il suo Cle­ro, i suoi membri prendano le loro disposizioni da Dio...
Se avessi scelto! Ma il Signore mi custodirà ed Egli mi metterà l'anello ed io andrò in pace: non permetterà che io cada».
A questo punto, baciò il suo dito anulare della mano sinistra. Fece il movimen­to di uscire un anello e di passarlo nello stesso dito della mano destra dove lo ba­ciò di nuovo. E ogni volta che, in seguito, baciò il suo invisibile anello, fu sempre su questo stesso dito.
Ella guardava il suo anello con ammirazione e tale vista la investiva di gioia ce­leste. Continuò: «Lo custodirò, il mio caro anello... Non sapevo che egli avesse un anello nascosto per me... Esso è pesante e leggero... Non ho mai ricevuto un anel­lo... Sono contenta... Non l'ho meritato!».
Lo bacia ancora e sembra volere con il suo dito compitare alcune parole che vi vedeva scritte: «Vi sono scritte tre parole, dice, questo...». Trasporti di gioia le im­pediscono di continuare. Un istante dopo ella riprende: «Quelli che dicono a Dio: Fai ciò che vuoi, riceveranno un anello... Quando Dio ci ha creati, ci ha lasciato la volontà; colui che la dà al suo Creatore riceverà un anello... Vi si darà un anello!... È tutto ciò che si possa desiderare sulla terra!... È l'anello dell'alleanza!... Quando si dà l'anello dell'alleanza, sebbene si passi attraverso il fuoco, come un eroe, lo si sente tanto quanto si può, ma rispetto a causa dell'alleanza... Il mio cuore mi tor­menterà, ma rispetto a causa dell'anello dell'alleanza. Dal cielo e dalla terra, mi si gettano pietre, ma, in fondo, rispetto a causa dell'alleanza.
O mio tutto, io non l'ho meritato... Ho ricevuto un premio per l'ingratitudine. Me lo si dà come regalo. Esso è pesante, ma leggero... Non uscirà più!».
Faceva un movimento come per conficcarlo nel suo dito: «Se avessi ascoltato la carne e il bimbo sarei partita!».
La costruzione del nuovo monastero era stata fatta con tanta rapidità che il 21 novembre di quell'anno 1876, ebbe luogo il trasferimento dal Carmelo provvisorio al Carmelo della Collina di David. Il Patriarca celebrò la prima Messa durante la quale ebbe luogo la liberazione di un gran numero di anime del Purgatorio, della quale suor Maria, fu in segreto, la felice testimone. Pochi giorni dopo, era rapita fin dal mattino e cantava l'Amore in trasporti indicibili; sembrava che contemplasse una processione che passava davanti a lei; s'inginocchiò profondamente, per un momento, come per adorare. Diceva: «Uno, passando m'ha dato una rosa` un'altro me l'ha presa. Io li ho visti tutti uscire con delle palme, fu allora che il Signore è passato e mi ha detto: Figlia, sai chi sono? Sono colui che risuscita i morti, sono il Maestro che guida l'anima... Camminerò davanti a te come un Pastore davanti al­le sue pecore.
Egli è vestito di blu, è un blu luminoso. Che cosa ciò vuol dire? Perché alcuni sono bianchi di luce, altri blu di luce, altri gialli di luce, verdi di luce?
Quaggiù il mio cuore non ne può più. Come volete che io viva? Quel momento, quello sguardo, tutto è inciso nel mio cuore...».
Aggiunse: «II Signore disse: Rispettate il silenzio del chiostro da cima a fondo. La nostra santa Madre Teresa mi ha rimproverata per aver parlato in un luogo di si­lenzio per Regola».
«Teresa e Caterina (vergine e martire) hanno fatto il giro della casa e sono con­tente... Se voi siete fedeli, avrete una vita santa ed una santa morte».
Il 28 dicembre, suor Maria esclamava, dopo un lungo rapimento: «Il Signore mi ha mostrato tutto! Ho visto la colomba di fuoco!... Rivolgetevi alla colomba di fuo­co, allo Spirito Santo che ispira tutto... Mi è stato detto: Seguimi. Ed ho visto tutti gli alberi e le montagne trasalire. La pace è il mio retaggio, la pace e la croce sono il mio retaggio, ma la croce e lo scoraggiamento sono il retaggio del nemico e di coloro che ascoltano il nemico».
Alle raccomandazioni che ella fece alla Comunità da parte del Signore, aggiunse queste parole: «La santa Madre Teresa dice che se potesse piangere, ella piangereb­be su certe Comunità, ma verrà il tempo in cui queste Comunità saranno punite».
Per dare una idea del come Dio illuminava suor Maria di Gesù Crocifisso sugli avvenimenti che si verificavano a grandi distanze, citiamo alcuni brani fra le mi­gliaia affidate alle note. «Ora, ella diceva il 28 gennaio 1877, comprendo perché ie­ri ero tanta angosciata. La sera, prima di mezzanotte ho visto che, in un posto lon­tano, si preparavano a massacrare dei cristiani. Sono stata presa da spavento. 1 cristiani erano stati avvertiti, ma non potevano fuggire. Quando vedevo fare i pre­parativi, in quel posto faceva giorno.
In seguito, quel mattino, verso le due, vedo che i cattivi erano entrati nelle case dei cristiani per massacrarli. C'è da una parte della casa un'ala che non è finita o che è caduta; sono salita attraverso questa fino in alto ed ho visto, nella casa, il mas­sacro. C'erano grida strazianti: si gridava al soccorso e nessuno poteva venire; si combatteva, era spaventoso».
All'epoca del disastro che inondò Tolosa, nel mese di giugno 1875, la Veggente aveva detto: vi sono delle inondazioni nella nostra povera Francia. Il martirio di certi poveri missionari era riferito con tutti i suoi particolari nelle note, mentre il fatto accadeva in Cina e altrove.
Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne, cita uno di questi fatti, in una lettera al car­dinale Antonelli, in data 6 febbraio 1875, in cui sollecita il suo intervento presso la Propaganda (Fide) per affrettare l'autorizzazione alla partenza delle suore designa­te per la fondazione di Betlemme. Sua Eccellenza la cita così:
Il racconto del martirio del V. M. Baptifault, sacerdote missionario nel Yun-nan, in Ci­na, pubblicato dall'Universo, nel suo numero del 21 gennaio 1875, noi l'avevamo scritto già qui, sotto dettatura della persona che voi sapete, fin dal 17 settembre 1874, alle otto del mattino, alcune ore appena dopo che questo dramma sanguinoso si fosse compiuto, così lontano da noi, nello Yun-nan, in Cina, e senza che niente di umano possa spiegare l'esat­tezza del fatto o dei particolari più minuziosi, dettati qui, a così grande distanza, dalla no­stra pia Veggente.
Potete, Eminenza, segnalare questa notizia, come molto autentica, a nome mio, al San­to Padre, me garante.
Nel mese di agosto, suor Maria diceva: «La settimana scorsa, Nostro Signore mi ha promesso qualche cosa di consolante per la Francia: che la prova non sa­rebbe stata così dura come egli aveva detto, a motivo della carità che essa ha usa­to verso il Santo Padre; è proprio verso di lui che essa l'ha usato e perciò Egli ri­sparmierà i colpi alla Francia; ciò accadrà ma non così male, e solamente per purificare la Francia».
«Un giorno, dopo la santa Comunione, riferiva ancora suor Maria, ho visto una prateria fiorita: era molto bella; vi erano da un lato un fiume e dall'altro un mare; la prateria era in mezzo. Nella prateria, mi pare passeggiasse Nostro Si­gnore, non era come un Dio, ma come un uomo, come quando era sulla terra. Do­po vidi un cane che correva attorno al mare ed al fiume. Non sapevo allora che quest'uomo che vedevo fosse Nostro Signore; non vi pensai che allorquando sen­tii la sua voce dire al cane che galoppava: Satana, Satana, hai visto il mio popo­lo: l'hai perseguitato e hai visto che esso dà la sua vita per me, senza alcuna mormorazione contro di me! Perché esso poteva cadere e dire: "Se fosse Dio, po­trebbe liberarci". Invece di far ciò, non ha mormorato. Dammene uno che dia la sua vita per te! Satana ha risposto: Oh! Vi sono molti popoli che vi tradiscono! Nostro Signore gli ha detto: Va', ti do ogni potere sulla terra, e vedrai se il mio popolo non viene tutto da me, gridando forte; e vedrai quello che mi tradisce, e se esso non griderà verso di me. Va', io ti do ogni potere sulla terra; ma ricor­dati che l'avvenire sarà a tua vergogna. Hai visto il mio servitore N..., che hai tormentato, e che è sfuggito alle tue mani. Tu l'hai straziato per quattro giorni; gli hai tagliato le gambe, strappato gli occhi e le dita; questi tormenti sono du­rati quattro giorni fra le tue mani; hai constatato se si è lamentato contro di me?
Hai constatato che predica sempre il mio nome, e che dimentica i suoi dolori per pensare a Gesù. Te lo dico in verità, va' via; ti do ogni potere sulla terra, ma ciò sarà a tua vergogna. Nostro Signore aveva l'aria molto fiera dicendo ciò. Oh! quanto è buono, Gesù, quanto è amabile! Mi ha detto il nome di questo martire, ma l'ho dimenticato: è un nome straniero. Poi, mi sono svegliata».

CAPITOLO XVII
Virtù di suor Maria di Gesù Crocifisso
Per realizzare grandi e adorabili disegni, Dio aveva dotato suor Maria di Gesù Crocifisso di una intelligenza penetrante e perfino superiore. Le aveva dato un cuo­re ardente, una volontà incrollabile che la fece riuscire, malgrado mille ostacoli, a creare nella sua Chiesa opere immortali. Perché Dio l'ha scelta? C'è un motivo per il quale Dio abbia abbassato i suoi sguardi su questa figlia? Il motivo primario, uni­co, è la sua volontà. Dio sceglie chi vuole per le sue opere. Ma come tuttavia que­sta anima, era ben fatta per compiere i divini disegni! Nipote di un martire della Chiesa di Dio, il sangue di questo antenato si è innalzato fino a Dio e la virtù di questo sangue ha ottenuto dall'Altissimo questo miracolo di santità, questo mira­colo di vita prodigiosa, quale l'abbiamo conosciuto in questa mirabile fanciulla. La virtù degli antenati non è perduta agli occhi di Dio ed Egli sa al momento giusto, ricompensare queste virtù.
Come avevamo già visto, l'anima di questa religiosa non viveva che di fede. Tut­ti i giorni ringraziava Dio di averla fatta figlia della sua Chiesa: «Sono figlia della Chiesa, ripeteva spesso con trasporto come la sua serafica Madre Teresa. Dio è il mio Dio, Gesù è mio Padre, Maria è mia Madre, gli Angeli, i santi sono i miei fra­telli!». Quale nobiltà è quella della fede! Tale fede si traduceva in amore veramen­te filiale e verginale per tutti gli insegnamenti della Chiesa. Ogni esitazione in pre­senza della semplice direzione e indicazione della chiesa la faceva reagire; non comprendeva che si potessero mercanteggiare a una tale madre il proprio amore, il proprio rispetto e la propria obbedienza.
La sua speranza era piena di certezza, di slancio e di forza. Sebbene si credesse la più grande peccatrice del mondo, lei, che ha sempre conservato la sua innocen­za battesimale, non disperava mai della misericordia di Dio. Il Signore l'ha con­dotta per le vie più dolorose: molto spesso le tenebre erano così folte nella sua ani­ma, che si domandava tremando se si fosse salvata.
Diceva il 17 gennaio 1876: «Ieri mi si accese una fede vivissima in Dio, ma nel­lo stesso tempo il timore di essere abbandonata da Lui. Tutto ciò che Egli ha fatto per me mi è stato presente, ed anche tutte le mie ingratitudini... e nello stesso tem­po il pensiero che tutto fosse finito per me. Dicevo: Non vedere mai Dio, mai!... Non posso consentirvi, è un tormento che mi brucia dentro fino alle ossa. E dico:
Signore, meglio essere eternamente bruciata, spezzata, macinata come la farina; ma, di grazia, che io ti veda!
Allora, questa mattina, comincio a fare tutta sola, il bucato. Col mio corpo non so cosa avrei fatto; avrei trasportato le montagne, avrei tirato tutta l'acqua dalla ci­sterna; avrei lavato tutta la casa dall'alto in basso, senza risentirne, tanto grande era il mio tormento nel pensare che mai avrei visto Dio.
Ecco ciò che mi ha sollevato. Il cane ha commesso un fallo, io l'ho battuto ed esso chinava ancor più la testa. Dopo, vado in refettorio ed esso arriva, io lo caccio ed esso ritorna; lo caccio ancora e si accovaccia davanti alla porta e mi guarda con un'aria che eccita la mia compassione. Allora gli ho dato un pezzo di pane. Nello stesso tempo, il pensiero della bontà di Dio per l'anima che ritorna a lui come que­sto cane ritornava da me, mi prese, e sentivo che a lui sarebbe stato ancora più im­possibile non aver compassione di noi... Il mio cuore fu penetrato, le mie pene spa­rirono; ero malata e come in agonia, ma tutto il lavorio era finito».
Per volontà di Dio, il demonio tentò così mille volte di farla cadere nella dispe­razione, persuadendola che Gesù l'aveva abbandonata, e sempre la suora risponde­va al demonio: «Spero nella misericordia di Dio». Predicava la speranza a tutte le anime scoraggiate e perfino colpevoli: «Dio, diceva senza posa, perdona tutto a un cuore retto, contrito e umiliato».
Questa speranza in Dio, l'ha spinta fino ad una sublime imprudenza. Fin quan­do prestò servizio non conservò mai un soldo dei suoi guadagni; dava tutto ai po­veri, man mano che riceveva il suo salario. Sempre, ha intrapreso i suoi viaggi sen­za denaro, e sempre la Provvidenza è venuta in suo aiuto.
Ci raccontava, un giorno, il fatto seguente relativo all'epoca in cui aveva lascia­to la sua famiglia per seguire l'ispirazione di Dio.
«Un giorno, eravamo sbarcati, ed io non sapevo che fare, non avevo mangiato niente da molto tempo; avevo fame, e niente per comprare qualsiasi cosa; non co­noscevo né il posto, né qualcuno, e non potevo restare nella strada. Seguii i pas- 1 seggeri ed entrai con essi in un albergo e trovai ivi una camera aperta, vi entrai e mi trovai sola. La fame che avevo era tale che stavo per piangere, ma mi dissi: è meglio pregare. Vedo qualcuno che entra e che prepara sul tavolo un buon pasto; mi si dice di mangiare. Penso: è la Santa Vergine, e mangiai. La padrona dell'albergo venne da me con molta bontà e mi mise nella mano un pezzo d'oro della sua ac­conciatura` e mi disse: quando uscirai, lo darai a mio marito per pagare il tuo pa­sto, se non lo vorrà, lo terrai per te. Il proprietario dell'albergo non volle in nessun modo essere pagato.
Un'altra virtù che distingue questa bella anima e che le riassume tutte, è l'amore di Gesù. Amava Dio di un amore puro, disinteressato, costante ed eroico. Il suo cuore era come un braciere ardente. Il solo nome di Gesù faceva battere questo cuore e le provocava dei trasporti. Spesso cadeva in estasi sentendolo pronunciare, e siccome, con sua grande confusione, ciò le accadeva in presenza delle suore, le scongiurava di non ripetere davanti a lei questo nome adorabile.
Per amore di Dio aveva fatto i più duri sacrifici: sacrificio delle ricchezze, dei piaceri, della sua patria, dei suoi agi, della sua libertà! Non conosceva che Gesù e Gesù Crocifisso.
Gli testimoniava il suo amore con una delicatezza verginale di coscienza la qua­le faceva in modo che lei avesse paura, non soltanto del peccato, ma ancora del­l'ombra stessa del peccato. Se le accadeva di cadere in una imperfezione nella qua­le temeva che vi fosse qualche volontà da parte sua, ne provava una desolazione estrema. Si può dire, in effetti, che, durante la sua vita e soprattutto al termine del corso della sua vita il carattere distintivo del suo amore per Gesù fosse l'orrore per il peccato.
Il secondo carattere del suo amore per Gesù, era uno zelo ardente per la gloria di Dio. E qui ancora, rassomigliava molto alla sua serafica Madre santa Teresa, che fu consumata, fino all'ultimo giorno della sua vita, nelle fiamme dello zelo più ar­dente.
Suor Maria di Gesù Crocifisso non si contentava di nutrire zelo per la sua per­fezione, voleva ancora che attorno a lei si amasse Dio. Era gelosa della perfezione delle sue suore, nelle quali vedeva altrettante spose di Gesù. Leggendo nelle loro anime, come in un libro aperto, e seguendo perfino il volo rapido e capriccioso del­l'immaginazione, le avvertiva con forza e bontà di tutto ciò che scorgeva di difet­toso nella loro vita; ma non lo faceva che dopo averne ricevuto il permesso della Madre Priora. La sua parola era nello stesso tempo, terribile come quella di un giu­dice, dolce e carezzevole come quella di una madre. Un atto di umiltà da parte del­la colpevole la disarmava e la rendeva sorridente. Rispose un giorno ad una suora che aveva mancato al silenzio e che le domandava in lacrime se Gesù le avesse per­donato: «Gesù non rimprovera che per perdonare».
Una suora conversa del Carmelo di Pau, soggetta ad una grave infermità che non t le permetteva di osservare tutta l'austerità della regola, disse un giorno a bassa vo­ce qualche parola a suor Maria. Questa prese una espressione molto seria. Dopo al­cuni attimi di solenne silenzio, le disse: «Vuoi la tua condanna?... Se vuoi la tua condanna, sarai guarita all'istante!». Conservò verso la sua compagna un atteggia­mento severo per una parte della giornata, per farle capire di non domandare altro che la volontà di Dio.
Più tardi, allorché questa suora tutta in pena si offriva senza dubbio per soffrire di più, suor Maria le disse: «No, neppure, mio Dio, la tua volontà! Questo basta». Un altro giorno, a quella buona suora, uscendo dal parlatorio, disse: «Hai pro­nunciato una parola leggera; rifletti, lo riconoscerai». Dopo una ricerca abbastanza lunga, la suora avvertita si rese conto della mancanza e confessò che aveva trasceso. Ma lo zelo di suor Maria di Gesù Crocifisso si esercitava ancora presso ogni ani­ma che l'avvicinava. A quanti sacerdoti ella ha fatto tanto, tanto bene! Quante anime del mondo le devono, non soltanto di camminare nella via della virtù, ma an­cora nella via della più alta perfezione! Voleva accendere l'amore di Gesù in tutti i cuori e lo zelo per la gloria di Dio, che questo amore sempre dà.
Ma vi fu qualche cosa di più mirabile nell'amore di questa bella anima per Ge­sù: è il suo amore per la croce. La croce era sempre il libro aperto sotto i suoi oc­chi che le parlava dell'amore di Gesù e, al fine di rendere al divino Maestro amore per amore, non sospirava che presso la croce. In questo modo Dio ha pienamente risposto ai suoi ardenti desideri. L'ha fatta passare, non solo per le croci ordinarie, ma anche attraverso le croci più straordinarie. Ancora giovanissima, è stata marti­rizzata. In seguito il corpo di questa angelica fanciulla è stato abbandonato alla po­tenza delle legioni infernali. Ora, quale esempio di forza, di fermezza nella pratica della virtù non ha dato al mondo, malgrado tutte le persecuzioni, le tentazioni e le insistenze di Satana! E allorché Dio la fece passare ancora per la più forte di tutte le prove, la persecuzione delle persone buone, dei suoi superiori, non seppe che pregare per essi e spingere la virtù fino ad affrettare la costruzione del Carmelo di Betlemme per liberare dalle fiamme del Purgatorio, l'anima di colui che l'aveva fat­to tanto soffrire!
Era bello vederla accanto alle suore ammalate spendersi in cure e tenerezza, cer­cando, con una sollecitudine più che materna, tutto ciò che poteva sollevarle. Si può dire che si faceva inferma con le inferme, attivando il loro coraggio con parole di cielo.
Quest'anima verginale, per la quale tutta la creazione non era che uno specchio, amava persino gli animali che invitava a benedire il Signore. Citiamone un tratto incantevole. Amava particolarmente le api, alle quali parlava del loro Creatore, ogni volta che passava davanti al loro alveare. Un giorno, vedendo che uno sciame si preparava ad uscire, disse loro, «Piccole creature del buon Dio, se voi andate via senza che noi vi vediamo, non fuggite, ma restate per terra fino a quando non arri­vo io, ed allora volerete sull'albero». L' indomani, lo sciame effettivamente uscì, e quando suor Maria se ne accorse, si era già posato a terra nel prato. Non appena lei comparve, le api volarono sull'albero, da dove sembravano volersi ben presto di­sperdere. Suor Maria invitò allora le sue compagne che l'avevano seguita, a recita­re il Veni Creator, e disse alle api: «Nel nome di Gesù, entrate nell'alveare!». Il Ve­ni Creator non era terminato, che tutte si affrettavano ad entrare nell'arnia che era ai piedi dell'albero. La potenza di Dio e l'obbedienza di queste piccole creature mettevano la suora fuori di sé e la rapivano di ammirazione.
Ecco un altro tratto, forse ancora più toccante. All'inizio della fondazione, il Carmelo possedeva un cane da guardia. Suor Maria di Gesù Crocifisso che consi­derava ogni cosa in Dio, invitava qualche volta quest'animale alla riconoscenza verso il suo Creatore, enumerandogli tutto ciò che ne aveva ricevuto. Gli diceva an­cora, con un sentimento di profonda venerazione, di tenerezza per la nobile Fonda­trice del Carmelo, che era lei che forniva il nutrimento, che faceva sì che se ne aves­se cura e che doveva essergliene riconoscente. Gli fece più volte, con tanta serietà e tanta ingenuità, la seguente raccomandazione: «Quando la mia amata sorellina verrà, tu ti coricherai ai suoi piedi, glieli leccherai e glieli bacerai, hai capito?» Ef­fettivamente, alcuni mesi dopo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, quando la pia signorina venne a Betlemme, questo cane, che era per natura molto aggressi­vo e per il quale lei non era che una estranea, si recò da solo alla porta della clau­sura, e non appena fu entrata, si coricò ai suoi piedi, leccandoglieli e accarezzan­dola in mille modi. Fu allora che ci si ricordò delle raccomandazioni che le erano state fatte dall'umile suora conversa.
Ma la virtù che maggiormente ha brillato in suor Maria di Gesù Crocifisso, è l'u­miltà. L'umiltà è come il sigillo impresso in tutti gli atti della sua vita: essa forma da sola le sue armi, se così mi posso esprimere. Dio le aveva così ben mostrato il suo nulla, che non fu neppure tentata di vanità in mezzo alle grandi opere alle qua­li la sua vita è stata mescolata. Di fronte alle lodi ripeteva spesso, come d'altra par­te in presenza del biasimo: «Io sono quella che sono davanti a Dio. Non sono che peccato, miseria, ingratitudine. Mio Dio, usami misericordia! Scongiurate il cielo e la terra per me, affinché sia salvata. Per causa delle mie iniquità, non profitto di al­cuna grazia!».
Per umiltà, ha domandato sempre di restare suora conversa; per umiltà, si è sem­pre diretta verso i più bassi incarichi; per umiltà, non ha amato che le persecuzio­ni, il disprezzo e le calunnie; avrebbe voluto non essere vista né conosciuta da nes­sun altro che da Dio. In tutte le istruzioni che rivolgeva alle anime per obbedienza, ritornava senza posa sull'umiltà: «Siate piccoli, diceva, piccoli come un verme del­la terra, ma come un verme della terra sotto terra. Il verme di terra su terra è cal­pestato dai piedi o divorato da altri animali; il verme di terra sotto terra vive, ed è al riparo di tutti i pericoli. L'umiltà, diceva un'altra volta, alla luce di Dio, fa vede­re Dio. Se voi cadete nel peccato, non vi scoraggiate, ma elevatevi abbassandovi. Felice l'uomo che cerca la bassezza, l'inferno intero non può scuoterlo».
Il Venerdi Santo del 1876, mentre sopportava sofferenze indicibili, provenienti dalle stimmate aperte, fu rapita in estasi ed esclamò: «Dove nasconderò tutti i miei gioielli perché i ladri non se li prendano mentre vado ad attingere l'acqua? Signo­re, non lo permettere. Ecco ciò che farò: metterò una cintura sulla mia carne con i miei gioielli andrò a mendicare presso i ladri; dirò: datemi qualche cosa da man­giare. In questo modo, al contrario, i ladri avranno compassione di me; andrò e po­trò ritornare a casa dopo avere attinto l'acqua... Ho chiamato il capo dei ladri e gli ho detto: Ho fame, ho sete. Ed egli mi ha detto: Attingi e va'. Se avesse saputo!...
Fate come me, continuava e, sembrava rivolgersi a qualcuno: Se non puoi na­scondere i tuoi gioielli, dalli a me, io li nasconderò. Ho raccolto un grande sacco di olive, lo porto sulle mie spalle. Mi si dice: che cosa porti là? Rispondo: È terra per costruire la mia casa che cade in rovina. E, se si fosse dubitato che erano olive, mi avrebbero ucciso. Ho trovato il Signore e mi ha detto: che fai? Rubo, mio Dio, ciò è permesso? Permetto, figlia mia, ad ogni anima di rubare l'umiltà. Ti confesso, Si­gnore, ciò che mi è accaduto con i ladri. Egli mi ha detto: Hai fatto bene. Ho det­to: Ho nascosto del denaro, poi delle olive: ho mentito? No, questo non è mentire, hai fatto bene; devi nasconderti agli occhi dei ladri... Qualcuno dice: Lavoro tutti i giorni, ho raccolto questo frumento. Allora i ladri lo hanno ucciso, hanno preso il suo sacco, e i suoi figli sono morti di fame. Passate completamente nudi nell'u­miltà, il nemico non può toccarvi perché voi siete poveri; ma se voi siete carichi di denaro, vi si ucciderà. Tutti questi, sono dei paragoni. Noi non mentiamo: Se Dio ci abbandona, siamo terra. Quando diciamo che abbiamo fame e sete, è vero: la ter­ra ha sete. Credete, quando dico questo ai ladri, che io senta di mentire? No. E per le olive neppure: So che le olive sono di Dio e la terra mi appartiene. Purificate le vostre intenzioni».
Ecco come un giorno riferiva sulle intenzioni che la animavano al momento di accostarsi alla sacra Mensa: «Dico a Gesù: Signore, sono una piccola ignorante, so­no cieca, ho male ad una gamba, sono debole; vengo a te per vederti, vengo a te perché mi faccia camminare, per avere la forza, per avere la vita. Abbi pietà di tua figlia, la sua natura la macchia, il suo orgoglio la sporca... Vieni, vieni a darmi la forza nel timore che il leone mi divori. Vieni: il tuo sguardo mi guarisce; e tutto sarà per te. Uno sguardo, è la vita, è l'incanto! Prendi il mio cuore, la mia anima: fanne un tutt'uno con te per presentarla al Padre Eterno! Senza di te, io sono nuda: vieni a rivestirmi; sono sporca, vieni a lavarmi!».
Quante pagine bellissime suor Maria ha dettato sulla umiltà! Tutte le altre virtù della sua anima si raggruppavano attorno a questa virtù. L'umiltà era, per così di­re, il sole che la illuminava, la terra, che la faceva vivere e crescere, il mantello che la proteggeva.
Un'anima distintasi così per l'umiltà non poteva essere che un'anima obbedien­te. E, effettivamente, tutta la sua vita non fu che un grande atto di obbedienza. Lei chiamava l'obbedienza, le ali dell'anima religiosa.
«L'obbedienza, diceva, è per l'anima ciò che le ali sono per l'uccello.
Infelice l'uomo che non sacrifica tutto all'obbedienza: il suo desiderio, la sua volontà, tutto ciò che piace all'uomo; se non fa questo sacrificio, non vedrà mai Dio.
L'anima che obbedisce a Dio, obbedisce al Superiore: quella è proprio regina della pace e della gioia.
Mentre quella che non obbedisce a Dio, non obbedisce al Superiore, diventa re­gina del turbamento e dell'agitazione».
Diceva un giorno ad una suora: «Tu pratichi solamente l'obbedienza all'autorità. La sottomissione e l'obbedienza sono due ceri fatti per rischiarare l'anima nelle te­nebre... È proprio nel momento buio, terribile, che bisogna lasciarsi guidare dal­l'obbedienza.
Bisogna sempre ubbidire, sottomettere la propria volontà a quella dei superiori. Non bisogna avere ripensamenti. Dio non ama un'anima che non obbedisce, che non sottometta il suo giudizio. Non bisogna mercanteggiare con Gesù. Se agisci per lui, fallo interamente: Egli non ama i mezzi termini. Un'anima che non gli dà tut­to, è come un'anima tiepida, e Gesù la vomita dalla sua bocca».
Durante le sue prove, a Mangalore, il suo confessore Padre Lazzaro, le aveva or­dinato di sputare su tutto ciò che avrebbe visto nell'estasi. Ora, un giorno, abbattu­ta da sofferenze di ogni specie, ripeteva a Nostro Signore ciò che gli aveva detto molte volte: «Mio Dio, che io arrivi a te, sono pronta a passare per l'acqua, per il fuoco, perfino attraverso l'inferno, se tu lo vuoi: ma che ti trovi!».
«Tutt'a un tratto, lei dice, scorsi qualcuno davanti a me. Ho sputato a nostro Si­gnore (mi sembra che fosse proprio lui) ha sorriso ed ha detto: bene, figlia mia, spu­ta. Non te lo fa fare il tuo confessore? sono io che gli ispiro di comandartelo. Per­ché piangi? Io sono più che mai vicino a te: non ti desolare. Ma voglio che tu soffra sempre, dillo al tuo confessore».
Dopo queste parole le sue sofferenze cessarono ed il suo cuore si trovò ricolmo di gioia e di pace.
Durante un sermone, raccontavano i suoi superiori, lei esclamava: «Dio è tutto amore ed io, io sono niente!» ed erompeva in trasporti. Le abbiamo detto all'orec­chio di aspettare in silenzio la fine della predica; tacque immediatamente; ma ben presto, abbiamo provato del rimpianto, e pregammo, sempre a bassa voce, perché essa ricominciasse a parlare. Immediatamente, proruppe di nuovo in trasporti di amore ed in parole infuocate.
Un giorno, durante il desinare, nel refettorio, la suora fu rapita in estasi; sem­brava contemplare un essere invisibile, al quale ella presentò una ciotola piena d'acqua; poi ritirando la ciotola, la strinse sul suo cuore. Avendola richiamata al­l'obbedienza, uscì subito dalla tavola, tenendo la sua ciotola su una mano e un pezzo di pane nell'altra. Seguì la Priora nella sua cella, e poi alla ricreazione, di­cendo delle parole incantevoli sull'amore e sull'obbedienza. Citiamone alcune: «L'amore non ne può più, esso è in deliquio... Il Signore mi ha detto: Dammi da mangiare, dammi da bere. Nello stesso tempo, Egli domanda e mette la mano sul­la ciotola per non prendere. Io ho dato ed egli mi ha reso la tazza e mi ha detto: tienila...
Il Signore disse: Fortunati coloro che persevereranno attraverso tutto; felice l'a­nima che si abbandonerà al Signore rinunciando alle sue idee: sarà regina».
Ciò che le costava di più, era di parlare delle rivelazioni che aveva avuto; avreb­be preferito molti digiuni e altre penitenze anziché l'obbligo imposto dal Signore di ripetere tutto ai Superiori; passava tuttavia al disopra di tutte le sue ripugnanze per obbedire, e, una volta detto tutto non ci pensava più.
Amava la povertà religiosa e la praticava in una maniera perfetta; sempre ricer­cava ciò che vi era di più povero. Un abito molto usato e rattoppato la colmava di gioia. In cucina, non lasciava perdere niente e utilizzava tutto. Accadde un giorno che trovò il latte coagulato. Subito, rivolgendosi a Dio, gli disse: «Tu sai che ho bi­sogno del latte per le suore; sto per farlo cuocere; benedicilo, e, anziché guastarsi
di più, fallo ritornare completamente buono». La sua compagna restava incredula; dovette tuttavia ben presto costatare che, cuocendo, il latte era ridiventato liquido e buono, così che nessuno ne fu privato.
Durante la sua infanzia, aveva ricevuto dal divino Maestro, riguardo a questa virtù, un mirabile insegnamento. Aveva visto nostro Signore sulle rive del mare e le aveva detto: vedi questo immenso mare: ebbene, non prendere dalla sua acqua se non la quantità necessaria; sebbene il mare non possa esaurirsi, non ne usare che nella misura in cui ti occorre. Questo dico per darti un esempio della povertà che devi praticare.
Ed aggiungeva: «Grazie a Dio, compresi la povertà, e da allora ritengo di aver­la praticata».
Durante le sue estasi, ha spesso raccomandato, da parte di Dio, la pratica scru­polosa di questa virtù e si è fatta sentire con forza contro le più piccole mancanze su questo punto, affermando che esse contristavano il cuore di Dio. Faceva atten­zione a uno spillo a una briciola. Voleva il necessario, ma il superfluo la contrista­va. «Per una grande riparazione assolutamente necessaria, diceva, dovesse costare un milione, il Signore manderebbe ciò con cui farla; ma per un filo di paglia usato inutilmente, rimane ferito e manderebbe un castigo. Per un buco fatto senza neces­sità, saprebbe bene aprirne dieci da un altro lato».
A motivo del suo amore per la povertà, suor Maria ha meritato di essere il prin­cipale strumento della fondazione del Carmelo di Betlemme, destinato ad onorare la povertà di Gesù nella sua greppia.
Molte circostanze della sua vita ci hanno dimostrato la stima che lei aveva del­la verginità. Ben presto, ne aveva compreso tutta l'eccellenza ed aveva promesso a Dio di restare vergine. Fedele alla sua parola, ha portato nella tomba la verginità del cuore, dello spirito e del corpo.
Una volta, per trionfare di una forte tentazione, mise un dito nel fuoco e lo ten­ne nelle fiamme così a lungo che il dito ne restò tutto deformato. Un'altra volta, per la stessa causa, passò un ferro arroventato sulla sua carne nuda. Durante la posses­sione di quaranta giorni, non fu mai permesso al demonio di pronunciare una sola parola o di fare un solo movimento che potesse ferire sia pure soltanto un poco la modestia. Tutta la sua persona spirava, per così dire, la verginità; non si poteva ve­derla e avvicinarla senza sentirsi presi da rispetto. Le grandi opere compiute trami­te lei provano fino a qual punto la sua verginità sia stata feconda.
Del resto, il corpo non contava più per lei; lo avrebbe distrutto ed annientato con l'austerità, se l'obbedienza non l'avesse fermata su questa via.
1 digiuni a pane e acqua, per quaranta giorni, sono frequenti nella sua vita; gli - accadde perfino di digiunare in questo modo per un anno intero. Quante rudi peni­tenze ha praticato per la salvezza delle città e delle nazioni in pericolo! Le sue sof­ferenze erano continue e malgrado ciò, correva ai lavori più faticosi.
Un giorno in cui, essendo fortemente in preda ad angosce ed a pene interiori, non si era comunicata, si recò, mentre le suore facevano il ringraziamento, in una stanza piena di enormi casse, ripiene di biancheria. C'era da fare una nuova siste­mazione e lei voleva affrettarsi ad impegnarvisi per risparmiare questo lavoro alle suore. Queste la trovarono in estasi, mentre spazzava, dopo avere già cambiato po­sto a tutto. Le si domandò: Chi ha messo là quelle casse? Rispose mostrandocene una molto grande: «Un bimbo l'ha presa da questo lato, un altro da quello ed io ho aiutato un poco nel mezzo. Quando siete entrate, sono andati via». Tre di queste casse erano state così trasportate e poste su dei cavalletti. La si vide trasportare l'ul­tima, la più piccola, e metterla su una delle grandi, cosa che due suore non avreb­bero potuto fare. Tutto questo lavoro non era durato più di un quarto d'ora. La suo­ra finì con cura di spazzare dicendo: «I prediletti da Dio sono puliti».
Il 31 luglio 1877, sebbene molto sofferente, andò a lavare la biancheria alla la­vanderia. Mentre vi era occupata, cadde in una deliziosa estasi, senza tuttavia in­terrompere il lavoro, essendo suonata l'ora del pasto disse: «Bisogna che vada a mangiare». Vi andò e subito ritornò; si vedeva la biancheria che strofinava, im­biancare a vista d'occhio tra le sue mani. Sembrava vedesse il nemico (Satana) e gli diceva: «Niente per te, il lavoro (è) per Gesù!». E, rivolgendosi alle suore: «La Bestia mi dice: Se tu lavori così, ne morrai. Ebbene, prendi (questa)». E strofinava con più forza. «Bisogna sottomettere tutto ai Superiori, diceva, altrimenti la Bestia balla». Sembrando di parlargli ancora, aggiunse: «Va' a cercare in città chi vorrà ascoltarti; qui, tutte hanno offerto la loro volontà al Creatore. Esso non vuole la­sciare il monastero, perché vede che c'è Dio in mezzo... Ebbene, riprese, avvertirò tutte le suore...».
La sua vita scorreva così nel martirio di tutto il suo essere crocifisso, non tro­vando sulla terra niente di più bello che l'accettazione della sofferenza per Gesù, da qualunque parte le venisse e sotto qualunque forma si presentasse.
Durante il suo ritiro di professione, affannata un giorno da ciò che chiamava le sue iniquità, aveva detto: «Signore, che vuoi che faccia? È subito fatto, Signore; sai il dolore che nel mio cuore ne provo. La immensità delle tue misericordie cancel­lerà la moltitudine dei miei peccati. Signore! Tu sei l'Essere ed io sono il nulla; tu sei Dio ed io non sono che un granello di polvere. Occorre che colui che esiste eter­namente, abbia pietà di chi non è niente, e colui che è Dio eternamente usi miseri­cordia a chi non è altro che un po' di polvere. Ricordati, Signore, dell'opera delle tue mani!
Poi, mi sono abbandonata con tutta fede, con tutta speranza, con tutta fiducia. E sono rimasta tutta la notte in questi sentimenti. Ed oggi, questa mattina, mi sono addormentata ed ho visto nostro Signore; la sua figura, la sua faccia, la sua testa, i suoi piedi, le sue mani, tutto il suo corpo era coperto di polvere; sembrava che il sudore uscisse a grosse gocce dal suo corpo. E contemporaneamente, mi sono pro­strata ed ho adorato. E in quel momento, mi sembra, desideravo prendere tutte le pene, tutte le tristezze, tutte le angosce, tutte le sofferenze, per liberarne Gesù, per consolarlo. Ed allora ho sentito una voce dirmi: La mia consolazione sarà per te spi­ne; il profumo delle mie rose per te saranno angosce, e le mie delizie saranno per te tormenti. Signore, ho detto, proprio questo è ciò che desidero da te, e tutto è spa­rito».
La prudenza del serpente si univa in quest'anima alla semplicità della colomba. Interrogata spesso in casi difficili, le sue risposte portavano sempre l'impronta di una saggezza tutta celeste; in una parola, lei risolveva le più grandi difficoltà e in­dicava la linea da seguire. La sua prudenza abbracciava ancora i particolari più mi­nuziosi della vita, e diceva su ogni cosa ciò che c'era di meglio da fare.
La sua mirabile semplicità non era che l'espressione della sua perfetta rettitudi­ne. «11 Signore, ripeteva spesso, detesta la doppiezza ed ama il cuore retto.
La religiosa che mi ha cucito il collo mi diceva ad ogni punto che faceva: Ri­cordati di andare avanti con un cuore retto ed uno spirito umiliato.
Il cuore retto e l'anima umile, Dio li conserverà. Se un uomo ha ogni specie di qualità e non ha il cuore retto e l'animo umile, non mi troverà nella sua abitazione. Se un uomo ha ogni specie di difetti, di miserie, ma ha il cuore retto e l'animo umi­le, mi troverà, dice il Signore, nella sua casa.
Colui che non ha il cuore retto, teme l'uomo.
Il cuore retto ha il timore di Dio e non dell'uomo.
Colui che teme la creatura mi mette da parte, dice il Signore».
Suor Maria era la gioia delle ricreazioni mentre essa stessa si ricreava delizio­samente con gli abitanti del Paradiso. C'era qualche cosa di soave, di infantile nei suoi gesti, nelle sue parole e nel tono della sua voce. Ascoltiamola:
«Gesù dorme o piuttosto fa finta, ma vede tutto, tutto, fino in fondo al cuore... Diffidate di Gesù!... Sembra che dorma, diffidatene, ma di una santa diffidenza... Gesù dorme, bisogna svegliarlo: sono i gesti di Maria che lo svegliano dolcemen­te. Maria, sono le anime che lo amano... Lui ha fame, Gesù: bisogna nutrirlo; quan­do c'è un atto di obbedienza da fare e che ci costa molto, è un cibo ricostituente che noi diamo a Gesù; se c'è un atto di carità, di rinuncia, qualche cosa di duro, di ama­ro, è un dolciume per la bocca di Gesù: egli lo mangia, è contento... A Gesù piace divertirsi! Si diverte con i piccoli gesti nascosti che gli si fanno... Troverete un atto di carità, una piccola cosa da fare...: prendetene su di voi il peso e nascondetelo... Bisogna nascondere, nascondere; allora Gesù si diverte di queste piccole cose na­scoste che voi gli date, ma poi non bisogna dirlo. No, sarebbe riprenderle a Gesù».
Mai si vide suor Maria di Gesù Crocifisso occuparsi di se stessa. Pensare agli altri e prodigarsi per loro, era la sua vita.
Non è da meravigliarsi che, con tale virtù, ella esercitasse sulle anime il più grande ascendente. Quando parlava a nome di Dio, aveva tanta maestà, in tutta la sua persona, tanto fuoco nel suo sguardo e tanta autorità nel suo accento, che era impossibile non sottomettersi. Tutti quelli che l'hanno avvicinata con fede e dopo aver pregato, hanno subito questo salutare ascendente. Lei, d'altra parte, non ne profittava che per radicarli sempre più nel bene, immergendoli ancor più nella
profondità dell'umiltà. Le sue parole si imprimevano nell'anima: esse erano nello stesso tempo, una spada, una luce, un balsamo. Quante anime ha rimesso sulla giu­sta via! Quante altre sono state sollevate dal loro abbattimento e consolate nelle lo­ro pene! Dopo averla ascoltata, ci si sentiva migliori e più forti.
Ignorava sempre l'arte della lusinga. «Il Signore, diceva, non vuole che si fac­ciano dei complimenti». In quanto a lei, diceva la verità, e nient'altro che la verità; e, per farla accettare, soprattutto quando era dura, la avvolgeva di deliziose para­bole. Numerose sono le anime delle quali leggeva i più segreti pensieri. Alcune di queste anime, più privilegiate, sono state sempre seguite dal suo sguardo. Per que­ste, era piena di esigenze divine: sempre col ferro in mano, tagliava tutto ciò che poteva esservi di umano. In tutte queste comunicazioni soprannaturali che Gesù la incaricava di trasmettere, lei si diceva il piccolo corriere del buon Dio. «Il buon Dio, diceva, mi ha affidato questo incarico nella sua casa, perché io non sono ca­pace di fare altro. Ad altri i nobili incarichi dell'interno; per me questo umile com­pito delle commissioni da fare all'esterno».

CAPITOLO XVIII
Rivelazioni - Morte di Pio IX - Elezione di Leone XIII. Morte di suor Maria di Gesù Crocifisso
Suor Maria di Gesù Crocifisso sapeva che l'ora della sua liberazione era prossi­ma. La terra non era più niente per lei, non sospirava che il cielo e non guardava che il cielo. «Affretta, Signore, affretta il momento della mia partenza, mi annoio sulla terra! Sono come un bambino che ha perduto suo padre e che corre alla sua ricerca. Sei buono, Signore, ma sei duro! Ah! se fossi Gesù e se tu fossi suor Ma­ria di Gesù Crocifisso, non ti lascerei languire così a lungo! Sono come l'uccello chiuso nella sua gabbia: aprimi la porta, affinché prenda il mio slancio verso di te!».
Diceva in una estasi: «L' anima e il corpo contrastano fra di loro; il corpo non tro­va abbastanza posto per l'anima e l'anima è troppo stretta. L' anima dice: non posso più sopportarti, mi soffochi. Aspettano il Signore per essere separati, sono troppo inaspriti; non possono restare insieme. Il corpo dice: non ti trattengo a forza, va' via, sbarazzati di me! L'anima dice al corpo: Che importa a me, se io posso fare un bu­co e fuggirmene? L'uno dice: tu mi fai troppo soffrire, va' via! E l'altra dice: non posso, aprimi qualche finestra. Il corpo dice: voglio ritornare nel mio nulla! E l'ani­ma dice: voglio andare dal mio Creatore! Voglio uscire da questa prigione! Come il mondo può dire: Mettiamoli in prigione, mentre siamo in prigione? Povero mondo, tu sei cieco! Per me, se piace al signore di liberarmi... Trattiamo il corpo come uno schiavo, ma, quando si ostina, non lo si può sottomettere, fa dei capricci. Bisogna che l'anima resti in sofferenza in questo miserabile corpo per forza. Lo vorrò bene quando mi aprirà la porta... E deciderà il Signore».
Le rivelazioni e le estasi continuarono a Betlemme come a Pau.63 Tuttavia, ella
si spendeva nei grossi lavori con una generosità senza eguali. A vederla agire, non si sarebbe mai supposto il martirio intimo della sua anima, quella sete dell'eternità che la consumava. Durante la ricreazione, era spesso rapita, ed aveva ancora paro­le istruttive e maniere inimitabili per ricreare le suore.
Un giorno, dopo aver parlato del valore della sofferenza e dell'obbedienza, ag­giungeva: «Fate come le api: raccogliete il miele ovunque lo trovate; poi, nascon­detevi nel vostro alveare, alla fine troverete tutto». E ripeteva: «C'è molto più mie­le nelle spine che nei fiori».
E ancora: «Vegliamo sulla strada che percorriamo, per paura che il nemico ci in­ganni. Facciamo spesso il segno di croce. Vi dico ciò che il Signore mi ha insegna­to. Quando siete tentate, in qualunque luogo voi siate, mettetevi in ginocchio da­vanti al Signore. Dite: Signore, rinuncio a Satana, alle sue opere e non voglio che il tuo Spirito. Voi non sapete ciò che è bene e ciò che è male, dite in ginocchio dal profondo del cuore: Signore, rinuncio a Satana, alle sue opere, alle sue affezioni, non voglio che te e il tuo Spirito. Constaterete che vincerete sempre, se sarete fe­deli a queste parole; poiché spesso riceverete colpi e ferite.
Sapete? C'è un vecchio che è al servizio del Signore da cinquant'anni; non ha combattuto che con queste parole: Signore, rinuncio a Satana, alle sue opere, alle sue pompe, e non voglio che te e il tuo Spirito... Ed ora, se ne va vittorioso. Ha ope­rato delle conversioni, ha fatto molte cose utilissime... Il demonio gli diceva: Sei buono, pacifico, ti tento e tu resisti. Sentiva Satana e lo scacciava con quelle paro­le. Lo spirito maligno ha provato questo caro vecchio con l'orgoglio, con la calun­nia. E Satana, dopo avere in questo modo, spinto gli uomini contro di lui, gli veni­va a dire: Vedi, ti si calunnia. Ed egli, sempre a combattere il nemico con quelle parole che sono un proiettile, un cannone; è come mettere qualcuno fuori e chiu­dere la porta».
Un'altra volta, parlando dell'orazione, diceva: «Bisogna avere delle armi per la preghiera e servirsene». E quali armi? le si domandò. Con una amabilità e una gra­zia inesprimibile rispose: «Occorre avere la scure; e se si trova in sé un difetto, un ostacolo, qualcosa, infine, che deve essere sterminato, giù, un buon colpo di scure! La scure è la buona volontà. Poi, se viene un'estraneo, delle distrazioni che disto­glierebbero da Dio, subito un colpo di fucile!». E altrove:
«Non guardate alla terra, ma all'eternità... Dio vi permetterà delle contraddizio­ni. Se voi le accettate bene, Dio vi accorda delle grazie e vi benedice; ma se ci ri­voltiamo contro la creatura e contro Dio, egli ci manda a spasso... Abbandona l'a­nima a se stessa... le tende ancora la mano... Ella rifiuta... Ed egli dice: lo ti tendo la mano; ma poiché tu non la vuoi, io ti lascio; tu non sei fra i miei figli! Ed è quan­do essa è arrivata a non avere né fede né amore che Dio le ha ancora teso la mano e che lei l'ha rifiutata. Allora tu eri tentata e non hai ascoltato che la tentazione. Vo­levo ritrarti da quello stato e tu non l'hai voluto. lo non ti conosco.
Quando c'è un ramo secco, che si fa? Lo si taglia, non è vero? E lo si getta nel fuo­co. Altrimenti, esso guasterebbe gli altri, comunicherebbe la malattia agli altri rami».
Figlia della santa Chiesa fin nel profondo delle sue viscere, soffre di tutte le umi­liazioni inflitte dai cattivi a questa madre soprannaturale. La sua devozione per il Papa cresce sempre. Dio gliela ricompensa facendole conoscere anticipatamente la morte di Pio IX e l'elezione di Leone XIII.
All'inizio di dicembre 1877, ella disse: «Ho visto due bimbi (angeli) preparare un letto per il Santo Padre. L'ho visto parecchie volte. Poi la santa Vergine teneva una corona sopra la sua testa, ma mancava una rosa sul davanti; vi mancava anche qualche altra piccola cosa».
Dieci anni prima, nel mese di agosto 1867, sant'Elia, parlando di Pio IX, alla veggente, le aveva detto: Questo Papa è santo! Dopo di lui, ne verrà un altro come nessun altro; soffrirà molto fra le mani di Dio; non vi saranno croci come quelle che egli avrà. Il terzo santo Padre sarà il Serafico.
In una estasi del 21 gennaio 1878, ella parlava di Pio IX, dicendo: «Il Padre mio sta per partire... ci si prepara alla processione. Si loda Dio... una moltitudine di vergini con il Signore in testa verranno a cercare il mio Padre. Mi ha benedetto sulla fronte con il dito che tiene Gesù. Io sono felice del mio Padre... Gli uccelli cantano, la terra trasale ed anche il cielo... Quando un'anima è fedele, oh! Come tutto è contento!...».
In una lunga lettera indirizzata al Patriarca di Gerusalemme' il 27 gennaio 1878, diceva riguardo a Pio IX: «Ho visto che il nostro amatissimo Padre e Pontefice Pio IX sta presto per partire, la sua corona è finita. Alcuni giorni fa, avevo visto che vi mancava una rosa; ma ora, ho rivisto la corona e non vi manca niente. La santa Ver­gine la tiene nelle sue mani, pronta ad essere posata sulla sua testa.
Ho anche visto una specie di processione che si prepara a venirlo a prendere ed io vedo il Santo Padre quasi come sotto la forma di un bambino, di un'ostia, infine in una maniera che non riesco a spiegare. Mi ha fatto un segno di croce sulla fron­te e mi ha detto: Figlia, ti benedico e non so se è nel delirio o nella realtà che ti ve­do, ma sono malato: pregate per me. Ed io, vedendo la processione che si prepara per lui, ho pensato: Sei tu che devi pregare per me, ma non l'ho detto... Signore, ho detto, permetti che egli veda il trionfo della Chiesa. Egli ne ha visto l'aurora, mi ha risposto Gesù. Come, Signore, se egli non ha visto ristabiliti i suoi diritti? E Gesù ha ripreso: Non ha egli visto le sue pecore ritornare verso il suo ovile?».
Il 3 febbraio 1878, ella aggiungeva: «Ho visto la santa Vergine che teneva nelle sue mani il nostro amatissimo Padre e Pontefice Pio IX». Quattro giorni dopo, Pio IX faceva una morte di predestinato.
Durante una lunga estasi del 17 febbraio, le parve vedere il Santo Padre Pio IX nella gloria ed esclamò con trasporto: «Mio padre mi disse: Addio, figlia, a pre­sto!». Un po' più tardi, diede, da parte di Dio, alcuni avvertimenti alla Comunità ed
aggiunse: «Quanto il buon Dio è buono nell'avvertirvi! Il nostro Padre ha ottenuto ciò per voi». Parlando della sua morte, diceva: «Egli ha detto ai suoi figli: Addio! Figli, mi auguro che siate fedeli. Guardate: tutto passa!». E aggiungeva: «vedete, quando il mio Padre è morto, mi sembrò che il cielo e la terra fossero in trionfo e volessero accompagnarlo. Pertanto, aveva un corpo come noi. Egli dice che niente vi impedisce di diventare santi come lui.
Questa mattina, un altro caro piccolo Padre è partito come Lui (il Santo Padre); io non l'ho conosciuto sulla terra, ma ora lo vedo. Egli ha lo stesso onore, la stes­sa gloria davanti a Dio del nostro Padre. Inoltre, tutte le creature lo accompagnano. Caro piccolo Padre! E con un'aria di gioia ineffabile ripeteva: Caro piccolo Padre, io sono gelosa».
Passiamo ora alla elezione di Leone XIII. Ecco ciò che lei diceva il 18 febbraio 1878:
«Ho visto il Santo Padre che Dio ha scelto. Nostro Signore tiene le sue mani sul­la sua testa; egli l'ha eletto, Lui, umilissimo. Prega e cerca fra i cardinali quale è il più umile per sceglierlo e, nello stesso tempo, Dio lo sceglie come il più umile. Egli ha l'aria di respingere con le sue mani quelle di Nostro Signore, o piuttosto la di­gnità, e, più egli la respinge, più Dio preme le sue mani sulla sua testa.
Durante un'estasi dei giorni seguenti, ella diceva: Il successore del Padre mio è scelto. San Francesco lo ama e san Domenico lo stringe sul suo cuore! Dio lo ha consacrato! Dio lo ama ed egli ama Dio. Avremo un Padre piccolo, umile, che ha lo spirito di distacco. Lascia gli onori per gli altri; non ama l'io. Ama la povertà. Dio lo ha consacrato. Disse: Non sono capace, e Gesù rispose: Sarò con te. Oh! quale gioia, avremo un buon Padre!».
Il 24 febbraio, Nostro Signore le ordinò di comunicare ciò che segue al patriar­ca di Gerusalemme: «Otto giorni fa ho visto il nuovo Santo Padre. Ecco come: L'ho visto in un posto solitario, egli prega. Sente che il Signore lo destina ad es­sere Papa e prega il Signore di risparmiargli questa croce. Ne mostra altri al Si­gnore, perché li trova più umili di sé. Mi sembra pertanto che sia lui il più umile, e il più degno. Dice: Signore, abbi pietà di me! Crede che un altro sia più capace e che farà meglio di lui. E il Signore mette le sue mani sulla sua testa e dice: ti con­sacro mio Pastore ora e per sempre.
Quella notte (24 febbraio), ho visto il Sovrano Pontefice. Era in ginocchio ed ho visto Nostro Signore posare le sue mani sulla sua testa dicendo: Stella versa o ber­sa, 67 non ho bene afferrato l'ultima parola. Non ho compreso se questo è il suo no­me o se ciò significa qualche cosa. Nostro Signore si è ritirato dopo queste parole. San Francesco d'Assisi si avvicina e lo bacia in fronte e si ritira rispettosamente. San Domenico viene e lo bacia sulla spalla destra.
Poi viene sant'Ignazio, che lo bacia sulle due spalle.
In seguito è venuto sant'Agostino, che lo ha baciato sulla testa, sopra la fronte. Ho visto san Girolamo venire a baciarlo sul cuore. Dopo san Girolamo, ho visto il primo Patriarca di Gerusalemme che ha versato il suo sangue (ho dimenticato il suo nome), venire a salutarlo tutto contento.
In seguito, ho visto parecchi santi e parecchi angeli che sono venuti a salutarlo. La santa Vergine è venuta dopo, l'ha circondato con le sue braccia e l'ha stretto sul suo cuore.
Non so quello che sarà, questo Santo Padre. Non posso definirlo, ma posso dire che sono felice di essere sotto il suo regno.
Confesso che con tutta la mia gioia, mi tormenta un po' la curiosità di sapere ciò che significavano questi differenti baci, ma sono con l'anima piena di gioia. È mol­to consolante per noi. Il Signore mi ha detto: Scrivi tutto questo al tuo Padre, che egli conservi questa lettera, perché essa prefigura cose che l'avvenire farà conoscere».
Nel corso di questo mese di febbraio, parlava, in una estasi, della Madre Emilia Giuliano, Superiora generale delle Suore di San Giuseppe dell'Apparizione, morta il 27 febbraio scorso. Diceva: «Oh!, ella è con Gesù... La si crede in Purgatorio e che vi soffra molto; si prega ed è con Gesù! Madre mia, pregate per noi...».
Era più di un anno che qualche volta, spinta da una ispirazione divina, suor Ma­ria domandava a Monsignore il Patriarca di Gerusalemme l'autorizzazione a fonda­re un Carmelo a Nazareth; gli ricordava, con una semplicità ed una ingenuità incan­tevoli, che dapprima egli non aveva voluto il Carmelo a Betlemme, e aggiungeva che in riparazione, doveva domandare egli stesso a Roma di autorizzare questa nuova fondazione. Il 10 aprile 1877, parlandogliene ancora in parlatorio, Monsignore le ri­spose: Mi rimproveri sempre questo, ebbene, (sorridendo con bontà) scriverò a Ro­ma per domandare questa autorizzazione. Il venerato Patriarca non soltanto manten­ne la sua promessa, ma inoltre incaricò qualcuno di trovare a Nazareth un terreno per il nuovo Carmelo, non appena Roma ne avesse autorizzato la fondazione.
«Sapete, diceva suor Maria in estasi il 25 aprile 1878, ho dimenticato di dirvi che, la notte scorsa, ho visto un giovane come un viaggiatore, con un bastone in mano: io non so se è Gesù, non so chi sia... Era, credo, con san Giuseppe. Mi ha detto che voleva dotare Nazareth. lo gli ho detto: vuoi essere come Sorellina?" E Gesù ti ricompensi! Ed Egli mi ha risposto: Io sono più grande, più ricco di Sorel­lina. Sono più di Sorellina!... Mi ha molto colpito... io non so se sia Gesù; sembra avere da diciotto a vent'anni». Sembrava vederlo e diceva: «Non è vero che non ti ho domandato niente? Mi ha promesso di fare tutto. Non c'è più bisogno di niente per la casa. Egli ha redatto una carta, ho visto la scrittura: è in tutte le lingue. Io gli ho detto: Almeno io non ti ho domandato niente? Sei tu che ne hai avuto 1'ispirazione! Ha dato la carta scritta a san Giuseppe». Esclamava, o piuttosto cantava con trasporti indicibili: «Un fondatore!... il mio cuore trasale di gioia. Nazareth è dotata!».
Il Salvatore, in quell'epoca incarica ancora la sua piccola serva di commissioni importanti presso l'autorità ecclesiastica. Nello stesso tempo ella legge nei cuori e continua a vedere gli avvenimenti a distanza. È questo quanto ripeteva, il 18 no­vembre 1877, dopo una muta contemplazione e con trasporti di gioia: «Lodiamo Dio, benediciamo il suo santo Nome! Oh! quanto è bello oh! quanto è buono! C'è là un fanciullo che non ha voluto lasciare l'ostia al nemico; egli è martire. Ora, go­de di una gloria che non si può esprimere. L'hanno schiaffeggiato, gli hanno ta­gliato le mani, l'hanno calpestato, e non gliel'hanno potuta strappare. Il Signore lo ama! Tanto quanto non si potrebbe comprendere! È la sua festa oggi, e bisogna ral­legrarsi. Il cielo gode e la terra anche deve gioire. Avremo un nuovo protettore per­ché il cielo lo ama; il Signore lo ama».
Gli angeli, con le loro frequenti apparizioni, preparano la loro sorella alle gioie della patria. Le fanno sentire i loro canti e questa musica celeste la trasporta e la fortifica perfino corporalmente. La santa Vergine si guarda bene dal dimenticare la sua figlia fedele. Le fa comprendere che il suo libro sta per chiudersi, che la morte si avvicina, che il cielo la attende. Gesù soprattutto fa gioire la sua serva. Le mo­stra già la ricompensa delle vergini nella gloria. Ecco come descrive questa gloria della verginità:
«Lo Sposo va avanti, dice, e la vergine lo segue, e sulla fronte della vergine è scritto il nome dell'Agnello; la carne della vergine e la carne dell'Agnello non so­no che una. O vergine prudente e fedele! Se ferite la vergine, ferite l'Agnello; se onorate la vergine, onorate l'Agnello. La vergine canta sempre; segue l'Agnello e non si stanca mai; e s'inchina e dà il suo profumo nella misura in cui ha meritato sulla terra. O vista dell'Agnello, mio sole, mia vita! La mia anima non ne può più, la mia anima non ne può più! O vergine prudente! Il nome dell'Agnello è sempre scritto sulla tua fronte.
Rosa Teresa ha il nome dell'Agnello scritto sulla sua fronte, l'ha meritato per l'amore. Rosa Teresa dice: Figlia mia, va'sempre al seguito dell'Agnello. Ricorda­ti che l'angelo scrive i tuoi sospiri, i vostri passi e tutto... ti chiamerò figlia predi­letta, se fai tutto per amore... Davanti all'anima che porta il nome dell'Agnello, tut­to trema la terra, le rocce.
Vedo l'Agnello e le vergini che lo seguono; non credevo che ce ne fossero tan­te. Ve ne sono molte, molte. Vi ho visto Rosa Teresa, Maria degli Angeli, Madda­lena de' Pazzi e Margherita Maria!... Ognuna di esse ha il suo profumo distinto se­condo la virtù che ha dominato in lei. C'è un percorso largo a forma di corona attorno ad una montagna; l'Agnello va per questo cammino e le vergini lo seguo­no. Da ogni lato della strada, c'è un grande numero di filari di fiori gli uni dietro gli altri. Sono rose, violette, fiori di ogni specie, che danno il loro profumo in rap­porto alle virtù praticate dalle anime che non sono vergini, ma che godono tuttavia
della beatitudine. Quando l'Agnello passa, esse si chinano tutte e emanano il loro profumo. Le più elevate per merito stanno avanti; i loro steli sono più grandi; e, quando l'Agnello passa, esse inchinandosi lo toccano.
Le vergini seguono l'Agnello e cantano un cantico che nessun altro può canta­re. La vergine non è soltanto la vergine del corpo, la vergine della purezza; è so­prattutto la vergine della carità. Quella che manca alla purezza il male lo fa a se stessa; ma quella che manca alla verginità della carità ferisce, anche Gesù. È più grave mancare alla verginità nella carità che alla verginità nella purezza».
In certe ore, suor Maria prova una vera agonia in abbandono interiore. Il desi­derio del cielo diviene di giorno in giorno più forte. Domanda preghiere a tutti quel­li che ama, affinché questa partenza sia anticipata. Si rivolge perfino agli stessi an­geli per ottenere questa grazia. Riportiamo, a seguito di un suo racconto, alcune parole di uno di questi colloqui celesti:
«Ne ho visti due che dicevano: Prendi questa bambina con te, non può più re­stare sulla terra! Mi sono avvicinata molto dolcemente ed ho detto loro: Diteglie­lo... Il Signore mi ha vista ed è stato un po' seccato... Ecco che cosa è la curiosità, ma egli mi perdona, perché è il desiderio di andare da lui... Signore, abbi pietà di questa bambina, ella soffre quaggiù. Egli guarda con un occhio che non e compas­sionevole... Gli angeli dicono: Pietà per questa bambina!... Egli guarda... Sento che lui mi ama... Mi ama e non vuole... 1 suoi capelli ricadono sulle sue spalle, i suoi sguardi trapassano il cuore!...».
Nel mese di gennaio 1878, ella era deliziosamente rapita e diceva riguardo alla sua morte: «Egli mi ha promesso: al più presto, al più presto! Non mi manca che tanto», e mostrava l'estremità del suo dito. Era all'impiedi e sembrava guardasse un essere invisibile: «Sì, ella disse, ah! sì, felice il giorno! sì, l'ho visto e l'ho sempre scritto», e mostrava il suo cuore. «È bello quando si vede tutto questo, ma è molto difficile. Nessuno fa tante cadute quanto me. Mi meraviglio, dovrei essere affranta; non avere più braccia e gambe. No, non sollevo la testa, l'ho molto bassa. Pertan­to, desidero sollevarla per vederti, o felice giorno!».
Dio permetteva così che tutto concorresse a crocifiggere questa bella anima pri­ma di richiamarla a lui. Lei era profondamente persuasa della imperfezione di tutte le sue azioni; si credeva la più colpevole di tutte le creature. Il timore di offendere Dio la abbatteva e ripeteva: «Non posso più vivere, o Dio mio, levatemi da qui!».
Un giorno, parlando delle sue disposizioni interiori, diceva: «Dio mio, quanto poca cosa siamo! Come può l'uomo attribuirsi alcun bene? Ieri, sentivo Dio che mi attirava a sé, e lottavo (contro l'estasi). Gli dicevo: Va' un po' più lontano... Egli mi comprende, lui... Fuggivo quanto potevo e mi sono addormentata. Questa notte, non sentivo più Dio. Oggi, vorrei pensare a lui, avvicinarmi ed egli è lontano. Lo chiamo, lo scongiuro e resto tutta vuota... Dio mio, è possibile dire che l'uomo può qualche cosa? Pertanto ho il sentimento, intimo e profondo, che malgrado tutte le mie infedeltà, Dio mi ama e mi salverà con la sua pura misericordia».
Qualche volta, trasportata dalla vivacità del suo zelo, cadeva in qualche apparente imperfezione che le faceva passare la notte nei gemiti e nelle lacrime, non osava accostarsi alla sacra Mensa. Tuttavia, raccontava, l'angelo, le aveva detto: Perché lasci Gesù? In cielo, non potrai ricevere il tuo Creatore, perché temere, quaggiù, di ricevere il tuo Creatore?
Nella primavera dell'anno 1878, la Priora del Carmelo, accompagnata da un'al­tra suora e dall'umile piccola suora conversa, si recò a Nazareth per visitare il terre­no del futuro Carmelo. Fu Mons. Bracco, Patriarca di Gerusalemme, che scelse il posto più conveniente per elevarvi il monastero. Non è ancora arrivata l'ora per far conoscere i fatti straordinari che ebbero luogo durante questo viaggio; diremo sola­mente che la veggente indicò nella maniera più precisa certi terreni sotto i quali si sarebbero trovati resti di venerabili santuari, cosa che in seguito si è verificata.
Di ritorno a Betlemme, suor Maria si dedicò a dismisura al completamento dei lavori di costruzione con la più attiva sorveglianza. Si ammiravano sempre più le vie di Dio in quest'anima, ma si temeva che questo tesoro, il quale diventava sem­pre più prezioso, liberandosi con le prove, da qualsiasi legame, non fosse ben pre­sto tolto all'affetto di tutti. In quanto a lei, sapeva che il suo esilio stava per finire, e questo pensiero la estasiava e la rapiva: «vedrò il Dio vivente... Ascolterò la sua voce... le mie ossa e la mia carne saranno ripiene di gioia... Dopo essere stata in un abisso, sarò in un palazzo con lui!
Quando ti vedrò, tutto in me riprenderà vita e una nuova potenza in te, mio Dio, quanto è cieco il mondo nel temere la morte!... Questa felice morte!... O morte pro­pizia, rendimi presto al mio Amato Bene!... Sì, tu sei favorevole, tu liberi dalla pri­gione... fai uscire dalle tenebre per comparire alla luce!... Vedrò il mio Dio!... Il Si­gnore l'ha promesso!...».
Il 2 agosto," ella senti queste parole: Il Signore ha pietà di te! Avrai una soffe­renza atroce, ma piuttosto breve.
Il 4 agosto, ella annunciò la sua prossima morte in due lettere scritte al Supe­riore dei Preti del Sacro Cuore di Bétharram e al Padre Estrate.
Ascoltiamo il racconto di una carmelitana 'z di Betlemme sugli ultimi giorni di questa vera figlia di santa Teresa, sulla sua morte e sui suoi funerali.
22 agosto 1878. Suor Maria di Gesù Crocifisso soffre molto. Tuttavia si reca al lavoro con sforzi inauditi e una dedizione ammirevole.
Ci ha detto qualche volta: «Faccio tutto il possibile per andarmene presto, affinché do­po la mia morte, voi siate tranquilli e a riposo».
Quel mattino, era molto debole, e, malgrado ciò, si preparava a raddoppiare la vigilan­za. Due volte è caduta nel giardino.
Verso le dieci, sempre nel giardino, e compiendo una atto di carità, saliva una brutta scala da dove è caduta, e si è fracassato il braccio sinistro. Era la sua terza caduta. È ca­duta su una cassa del geranio miracoloso, richiesto da lei a Nostro Signore come segno della fondazione del Carmelo di Betlemme.
Fin dal primo istante, la povera figlia ha molto sofferto ed ha detto alla nostra reve­renda Madre: «Madre, è il segnale della partenza»; e ad altre suore: «Sono sulla via del cielo, il desiderio di tutta la mia vita sta per compiersi: sto per andare da Gesù».
Le si diedero e le si fecero dare tutte le cure necessarie in simili circostanze.
Lei offriva i suoi crudeli dolori per la Chiesa e la Francia, per il Carmelo di Pau, per la Congregazione di Bétharram, per la nostra Comunità, domandando che questo Carme­lo camminasse sempre alla presenza di Dio ed anche per il ritorno a Dio di un'anima in­fedele."
24 agosto. Dal momento della caduta della nostra amatissima suora, il male si è ag­gravato, soprattutto da ieri; si teme la cancrena.
Non è che con molta fatica ed un raddoppiamento di sofferenza generale che ella ha potuto ricevere a digiuno la santa Comunione nell'infermeria.
I suoi dolori al petto e al cuore sono raddoppiati. Sono sopravvenuti dei soffocamen­ti, ed il tutto con una tale intensità, che ella dimenticava il suo povero braccio, che tutta­via la faceva soffrire orribilmente; le ossa sono fracassate in molti pezzi tra il polso ed il gomito.
Si offre al buon Dio per sopportare tutto ciò che egli vorrà in questa vita purché Egli le faccia misericordia per l'altra vita. Del resto, era la sua preghiera continua, soprattutto da una ventina di giorni; in quanto alla sofferenza, sembrava essere stata proprio esaudita.
25 agosto. La nostra cara suora sta molto male fin da questa mattina. Il medico chi­rurgo, che abbiamo fatto venire da Gerusalemme, ha constatato una cancrena che non è normale e che è molto avanzata. Non le dà più di uno o due giorni di vita, al massimo. La costernazione è diffusa nei nostri cuori e su tutti i visi, essendoci la vita di questa cara fi­glia a tutte ed a ciascuna più cara della nostra stessa vita. In quanto a lei, che comprende il suo stato, è calma e abbandonata a Dio.
Nel pomeriggio, il Rev. Padre Guido, religioso francescano," nostro confessore straor­dinario, è venuto a visitare la nostra cara crocifissa. L'ha confessata e le ha portato il san­to Viatico. Lei sospirava dopo il momento in cui aveva ricevuto il suo Amato Bene e ri­peteva: «Vieni, Signore!... Signore Gesù, vieni!» Grazie, indulgenze e assoluzioni erano prodigate alla nostra amatissima sorella che le riceveva in perfetta conoscenza. Non per­deva una sola parola di tutte le preghiere e faceva abbastanza facilmente il segno della croce.
Poco dopo, il Patriarca, che ella aveva desiderato vedere, venne a portarle ancora nuo­ve grazie e nuove benedizioni.
Espresse il desiderio di ricevere l'Estrema Unzione e Monsignore volle ben dargliela. Era assistito dal Rev. Padre Guido e dal Padre Belloni. Domandò in seguito perdono alla comunità di tutte le pene e del cattivo esempio che aveva potuto darci. Fu in termini così toccanti che scoppiammo in lacrime.
Dopo la cerimonia, Monsignore le disse: Sei ora pronta a partire? «Sì, Padre mio». Sei rassegnata alla volontà di Dio per la vita e per la morte? «Sì, Padre mio».
E siccome manifestava un grande desiderio o piuttosto una grande gioia di morire, Monsignore le domandò se si fosse rassegnata a vivere qualora il buon Dio lo volesse. Ri­spose: «Sì, Padre mio». Ma subito aggiungeva: «Una buona morte, una buona morte!». Disse a Monsignore quanto fosse felice e come non le mancasse più niente. Poi lo rin­graziò e gli disse che, nell'eternità, non lo avrebbe dimenticato e che avrebbe chiesto al buon Dio di fortificare la sua salute.
Andandosene, Monsignore la lasciò colma di grazie e in una dolce pace.
Poco dopo, entrò il chirurgo e fece alcune incisioni e bruciature al suo povero braccio, per cercare di conservarcela qualche ora in più. Lei non le sentì; già la cancrena avanzava verso il fianco, le spalle e il collo. Seguiva tutti i movimenti del medico ed era tanto calma come se si fosse lavorato su del legno. Lo ringraziò delle sue cure, e lo fece ancora più tar­di dicendo che Gesù lo avrebbe ricompensato.
Nella serata, sembrò soffrire di meno; ma, verso le undici, il male aumentò; già la sua lingua si impacciava. Si fece entrare il Padre Belloni, nostro confessore e il Padre Chi­rou, nostro cappellano, che passavano la notte nella foresteria, e che vennero a fortifi­carla con parole di speranza. Essi le domandarono se avesse qualcosa che le desse pena: «Oh! no, disse, non ho niente per nessuno, sono tranquilla». E, rivolgendosi ai Padri, ag­giunse: «Ora, non posso parlare; ma, nell'eternità, pregherò per voi, non dimenticherò nessuno».
Poco prima, aveva detto: «Grazie, Gesù, grazie, Maria! Tutto passa! È finito! Non è il braccio che importa, è questo». E mostrava il suo petto e il suo cuore.
Disse ancora: «Penso alla bontà di Dio a mio riguardo ed alle mie ingratitudini. lui, sem­pre buono per me ed io, sempre ingrata! Ma ho fiducia».
In un altro momento, le si domandava se non rimpiangesse di andare via prima che l'o­pera di Bétharram a Betlemme fosse fatta.` Rispose: «E fatta in cielo; per conseguenza, si farà sulla terra».
Durante questi quattro giorni di malattia, invocò spesso la sua Mamma del cielo, qual­che volta sotto il titolo di Madre d'Amore; la chiamava ancora così nell'ultima notte della sua vita.
La si sentiva ripetere parecchie volte: «Che il nome di Dio sia benedetto!».
Dopo mezzanotte, i Padri le portarono il santo Viatico e le fu applicata l'indulgenza del nostro Ordine in articulo mortis.
Era radiosa, raggiante, e sembrava già di possedere il cielo.
Più tardi, siccome le si parlava di qualche cosa, riprese dolcemente: «Lasciatemi con Gesù e a pensare ai suoi benefici!».
Alle commissioni che le si davano per il cielo, diceva: «ora, sono troppo stanca, ma nell’eternità!».
Pertanto, ella ci disse in un altro momento: «Ricordatevi che tutto passa, e che non avre­mo alla morte, per giustificarci davanti a Dio, che ciò che noi avremo fatto per Lui duran­te la vita!».
Testimoniò così la sua felicità di morire religiosa.
Verso l'una, vedendoci ancora attorno al suo letto, ci disse: «Andatevi a coricare; è suf­ficiente che ne restino due. Non crediate che parta ancora. Me ne andrò certamente, ma ho ancora molto da soffrire: vi chiamerò».
Dimenticava, secondo la sua abitudine, le sue crudeli sofferenze e cercava di farci cre­dere che stava meglio per darci il coraggio di lasciarla. Era commovente di ingenuità e di tenerezza quando diceva: «Madre mia, va' a riposare. Sorella mia, va' a riposare». Ne no­minò parecchie, soprattutto le più deboli, e tutte protestavano che non l'avrebbero lasciata. Omettiamo di dire che dopo la Comunione la sua lingua è ridiventata completamente libera.
Alcune suore si rassegnarono infine a lasciarla ed ella ne sembrava tutta contenta. Ma ben presto il cuore ci riportò vicino a questo caro tesoro che eravamo sul punto di perdere. Si rimpiangeva un solo minuto passato lontano dalla nostra amatissima piccola suora.
Verso le quattro e mezzo, disse con una espressione che non si saprebbe ridire, o piut­tosto ella esclamò: «Come il cervo assetato sospira presso l'acqua del torrente, cosi la mia anima sospira presso te, o mio Dio!».
Alle cinque meno un quarto, ebbe una forte crisi di soffocamento. Improvvisamente, si mise in ginocchio sul suo giaciglio, e, giungendo le mani, disse con forza: «Sto per mori­re, è il momento. Chiamate tutte le suore; io soffoco». Si alzò a sedere e fece alcuni passi precipitosi verso la porta aperta. Là sarebbe caduta se due suore non l'avessero fatta sede­re su una sedia e non ve l'avessero sostenuta. Ebbe un momento di grandi sofferenze.
La Comunità era riunita. I nostri due buoni Padri erano rientrati per assisterla. Alle cin­que si suonò l'Angelus, ella fece il segno di croce e si videro le sue labbra muoversi.
Un istante dopo, gettò, di traverso, uno sguardo di sorpresa e di sdegno; ma subito il suo viso ridiventò sereno; il suo sguardo si illuminò come nell'estasi, ma fu solamente la dura­ta di un lampo.
Sembrò allora rinvenire da questa crisi. Ebbe ancora la forza e l'energia di fare qualche passo. Poi, di nuovo, le sue forze la tradirono.
Così ha conservato tutta la sua conoscenza e la sua forza di volontà fino all'ultimo mo­mento.
Le si suggerì questa invocazione: "Mio Gesù, misericordia!" ed ella disse: «Oh! sì, mi­sericordia!» furono le sue ultime parole. Le si fece baciare il crocifisso. Passarono appena alcuni minuti ed era di nuovo coricata. Il Padre Belloni interruppe la preghiera della racco­mandazione dell'anima per darle un'ultima assoluzione, e subito rese la sua bella anima al suo Creatore, senza agonia, con un sorriso celeste nello sguardo e così dolcemente, che ap­pena ce ne siamo potuti accorgere. Erano le cinque e dieci del mattino.
Eravamo tutte là, felici di assistere ad una così bella morte la quale non ci lasciava che una dolce pace in mezzo alle nostre lacrime... Sebbene la nostra cara sorella ci avesse det­to che non avrebbe finito i tre anni a Betlemme, il buon Dio aveva permesso che noi non vi riflettessimo affatto. La povera figlia stessa, alcune ore prima di morire, attendeva ancora, a quanto pare, là sofferenza atroce che le era stata predetta; il fatto è che, nel suo fervore e nella sua generosità, contava come niente ciò che aveva sofferto fino a quel momento.
Sebbene non avesse trascurato niente per portare avanti i lavori del monastero, è anda­ta via lasciando dei muri incompleti; così non vide il monastero terminato come più volte ci aveva predetto.
Siccome era suo diritto, il Carmelo di Pau desiderava possedere il suo cuore. Avevamo avvertito il chirurgo che la curava e che venne, verso le otto a procedere alla apertura del corpo. Non appena vide il cuore, vi notò come una cicatrice; prima di levarlo, chiamò i no­stri due Padri e a tutti fece vedere una apertura i cui due bordi sembravano essiccati, il che provava, aggiungeva, che questa apertura non era stata fatta durante l'operazione.
Il Padre Belloni gli fece questa riflessione: Ma, forse una malattia ha potuto provocare E ciò? No, egli rispose, questo cuore non è mai stato malato.
Lo si deponeva in un piatto quando quattro sacerdoti del Patriarcato e ben presto un quinto entrarono nell'infermeria, su richiesta del chirurgo, per servire da testimoni. Dio aveva permesso che si trovassero a quell'ora nella parte esterna del monastero, perché Monsignore Patriarca li aveva mandati per concordare l'ora e la cerimonia del seppellimento. Tutti hanno potuto esaminare a loro agio il cuore; una constatazione di ciò che è avvenuto sarà scritta da questi signori.
Il giorno dopo, il chirurgo ci fece ancora notare che la ferita trapassava il cuore da parte a parte, lasciando in uno dei due lati una apertura meno larga.
Il corpo di suor Maria di Gesù Crocifisso, conservò per parecchie ore una bellezza di pa­radiso come diceva il medico.
Tutta la giornata le sue braccia restarono flessibili, e ogni volta che non si tenevano più le sue mani, esse si sistemavano da sole a forma di croce. Quando fu estratto il cuore, un san­gue caldo, liquido e vermiglio non cessò di scorrere fino a sera, attraverso la piaga del petto.
Una volta nella bara, si videro a tre riprese le sue braccia uscire da sole dal feretro. Do­po che la nostra Reverenda Madre gliele ebbe più volte ripiegate invano, le disse: Figlia mia, per obbedienza, restate con le braccia abbassate, perché si possa chiudere la bara. E la ca­ra figlia, che durante la sua vita aveva rispettato l'obbedienza fino al miracolo, ubbidì anco­ra dopo la sua morte, e le sue braccia restarono immobili.
Fu portata nel coro e circondata di rose, di gigli e di lumi. I rosai ombreggiavano la sua testa e i gigli formavano una corona attorno alla sua bara.
I nostri cuori erano molto commossi e consolati nello stesso tempo. Era stato in questo stesso giorno e press'a poco nella stessa ora, che ci si era accorti che lei riceveva una ferita soprannaturale nel Carmelo di Pau, il 26 agosto 1867, dopo i primi vespri della Transverbe­razione del cuore di nostra Madre Teresa, di cui noi recitiamo l'ufficio. Abbiamo passato la notte accanto a questa cassa che conteneva ciò che noi tutte avevamo di più caro quaggiù.
Il 27 agosto, un numeroso clero si era recato in cappella per la messa del seppellimento, che fu celebrata da don Valerga, segretario di Mons. Patriarca di Gerusalemme.
Ai suoi funerali la partecipazione fu immensa; un solo grido sfuggiva da tutte le bocche: La santa è morta.
Dopo la Messa, il clero entrò nel chiostro, come pure il Console di Francia. Tutti porta­vano un cero in mano e questa cerimonia funebre rassomigliava più a un trionfo che a un lut­to. Sedici preti del Patriarcato circondavano il feretro.
Era venuto, infine, il momento dell'ultima separazione. Il nostro caro tesoro, o piuttosto le sue spoglie mortali stavano per lasciarci per sempre, lasciandoci, però, una pace che supe­ra ogni sentimento, perfino quello del dolore e del vuoto immenso che si era fatto in mezzo a noi.

CAPITOLO XIX
Dopo la sua morte
Gli abitanti di Bethjallah, villaggio distante un quarto d'ora da Betlemme, assi­curarono di aver visto, l'indomani della sua morte, un arcobaleno sul monastero con una corona verde in mezzo.
Nel momento in cui la sua bella anima se ne volava verso il suo Creatore, una santa religiosa` la vide, durante il suo sonno, sotto forma di una stupenda colom­ba. Ecco del resto il racconto che ne faceva al Rev. Padre Estrate.
Nella notte dal 25 al 26 agosto (1878), fui tutt'a un tratto trasportata sulla riva del ma­re; ero impressionata nel vedere questa distesa d'acqua, il mare era cattivo; tuttavia, do­vevo imbarcarmi per un lungo viaggio, non vedevo alcun battello per la traversata, ero sola e dovevo partire senza ritardo. Tutt'a un tratto un uccello bianco come la neve si mo­strò volteggiando sulle acque dove apriva le sue lunghe ali bordate d'oro; arrivò con un rapido volo, vicino a me sulla riva, mi fece segno di mettermi sulle sue ali; esitai mal­grado la fiducia che mi ispirava questa bianca colomba (molto più grossa delle colombe solite); nel mio pensiero vi vedevo del soprannaturale, credetti che il buon Dio mandas­se un angelo in mio aiuto. Siccome temevo ancora, questo uccello mi parlò e mi disse: «Mettetevi sulle mie ali e vi porterò là dove il buon Dio vi vuole». E siccome volevo ob­biettare la mia partenza, mi prese con il suo becco e mi sono sentita io stessa leggera co­me l'uccello che mi portava; allora la paura che avevo avuto, cessò; andavamo in alto ma­re, più presto del vento. Il mare era calmo, il sole si rifletteva sulle acque; mi sentivo tutta accesa di amore di Dio, non cessavo di benedirlo per la sua protezione verso di me; as­saporavo, per così dire, un anticipo di cielo.
Dopo una lunga traversata senza fatica, arrivammo su una bella spiaggia. L'uccello mi depose sulla riva; poi, guardandomi con un occhio intelligente ed innocente, mi disse: «Ve­dete laggiù quel magnifico giardino? Seguite questa strada, essa vi conduce; ammirate quei bei fiori e, quando vi sarete arrivata, vedrete un magnifico palazzo: è quella la dimora di colui che mi ha mandato verso di voi, vi prepara una bella festa; entrate dunque e presentate i vostri omaggi al padrone di questo palazzo esprimendogli tutta la vostra gratitudine per le sue bontà verso di voi; vi riprenderò per assistere alla messa che si dirà fra un'ora; ho una missione da compiere; a presto, sarò là per la festa».
Seguii il mio cammino, vedevo come in un'ombra il palazzo che mi era stato indica­to; arrivai senza fatica; trovai alla porta del palazzo un domestico in sontuosa livrea; mi sembrava che fosse a conoscenza del mio arrivo; con un'aria gentile e modesta, mi pregò di entrare e, siccome attraversavo un vasto vestibolo, sentii un olezzante profumo: tante specie di fiori, dai profumi deliziosi, ornavano i larghi corridoi che noi attraversavamo; e là la leggiadra colomba venne a raggiungermi e, con aria soddisfatta, mi disse: «Bene­dico Dio del vostro felice arrivo, seguitemi». La seguii per alcuni minuti, poi si fermò e mi mise sulla fronte non so che balsamo odoroso ed io feci il segno di croce. La colom­ba mi disse: «Entrate nella casa di Dio; sta, in questo momento, per cominciare la mes­sa, vi starò unita; fate la santa comunione ed io vi rivedrò dopo; fate il vostro ringrazia­mento con fede, fiducia, amore, ed abbandonatevi fra le mani di Gesù per lasciarlo liberamente agire in voi». Volendo sapere chi mi parlasse così da parte di Dio, dissi con ingenuità a questa cara colomba: «Ditemi, vi prego, chi siete voi». Mi rispose: «Vi si è parlato molto di me, mi farò conoscere a voi dopo il vostro ringraziamento». Entrai in questa magnifica chiesa della quale mi si apri la porta; mi misi in un angolo per racco­gliermi, non era difficile, mi sembrava di essere tutta raccolta in Dio; le persone che era­no presenti in questo santo luogo erano stupende, di celeste bellezza; io mi vedevo come un granello di polvere; non potevo annientarmi abbastanza. Gruppi di angeli si lasciava­no vedere vicino all'altare e facevano risuonare dei loro canti il bell'edificio; la dolcez­za, la soavità delle loro voci mi rapiva; ero tutta assorta in Dio e quando venne il mo­mento della comunione, non osavo avvicinarmi per partecipare a questo celeste banchetto; allora il mio bellissimo uccello bianco venne ad appoggiarsi sulla mia spalla destra; mi diede un significativo colpo di becco per farmi avvicinare. Subito mi alzai e mi presentai alla sacra Mensa, in mezzo agli angeli proni; uno di essi fissò su di me uno sguardo; sembrava che mi mostrasse col suo atteggiamento il rispetto e l'amore che mi dovevano animare in quell'istante supremo. Ricevetti dunque Gesù nella mia bocca e so­prattutto nel mio cuore!... Non so ciò che allora avvenne; rimasi tutta assorta nella mia felicità; pregai per tutti quelli che mi erano cari, per voi, mio buon Padre, per Sorellina prediletta da Gesù.` Sentivo il più ardente desiderio di farvi condividere la mia felicità, perché foste testimonio di questa bella festa.
Un momento dopo, la mia colomba, secondo la sua promessa, venne di nuovo a tro­varmi, si mostrò dapprima sotto la forma che ella aveva sempre avuto, poi, tutt'a un trat­to si trasformò, vidi una figura di una bellezza incantevole; aveva conservato le sue ali d'oro e mi disse: «Io vi do appuntamento, ogni giorno, a questo celeste banchetto, sarò là accanto a voi e presenterò io stessa le vostre preghiere a Gesù; ed ugualmente, do là appuntamento a tutti i miei amici della terra; vi troverete tutti il nutrimento delle vostre anime e la forza di cui avete bisogno; siate molto fedeli, noi ci rivedremo; che il ricordo di tutto ciò che voi avete visto vi sostenga nei giorni cattivi! lo sono suor Maria di Gesù Crocifisso!». Potete ben farvi un'idea, o Padre buono, di ciò che provai, svegliandomi; erano quasi le cinque, del 26 agosto; non vi faccio alcun commento, non è che un so­gno, esso mi ha fatto provare una indicibile felicità! Alle sei, andai alla santa messa e feci la santa Comunione con le disposizioni che mi erano state così ben dimostrate ma, ahimè! Tutto era scomparso... Mio buon padre, vogliate se credete, spiegare voi stesso questo sogno, davanti a Dio, sicché io possa ricavarne dei frutti di santificazione per la mia anima.
Il mese seguente, la stessa religiosa si svegliava durante la notte vedendo un grande chiarore:
In mezzo a questa luce, scriveva al rev. Padre Estrate, vidi una colomba in mezzo a raggi luminosi. Domandai a tale colomba ciò che volesse da me; mi guardava con occhi intelligen­ti ed affettuosi. Tutto a un tratto, invece della colomba, vidi, in mezzo a questi raggi di luce, la nostra santa, tale e quale come l'avevo vista nel mio sogno del 26 agosto; poi, siccome la fissavo per domandarle di nuovo ciò che volesse da me, mi disse: «Perché non abbiate più al­cun dubbio, sono io», e si mostrò da religiosa, così come era nel suo ritratto, con un viso illu­minato ed un sorriso celeste. Continuò: «Alzatevi e baciate le piaghe del vostro Cristo, avete dimenticato di farlo, coricandovi». lo ho un grande Cristo nella nostra cella, esso è estrema­mente imponente; tutte le mattine e tutte le sere, bacio con rispetto e amore ogni piaga di Ge­sù: è vero che avevo dimenticato di farlo, coricandomi; mi alzai all'istante, e strinsi il Cristo sul mio cuore domandandogli perdono; baciai le sue piaghe. Allorché misi la bocca sulla pia­ga del cuore, mi sembrò che la vita fosse in questo Cristo e sentii un odoroso profumo.
La mia piccola santa, che durante questo tempo, avevo perduto di vista, era sempre là, mi guardava fare. Le domandai di nuovo se volesse qualcosa da me; mi disse: «Vivete quaggiù come gli angeli, non cercate che l'amore di Gesù, guadagnategli (delle) anime con le vostre preghiere e i vostri sacrifici; siate unita con il padre e la amatissima Sorellina, dite loro che mi avete vista; lavorate senza posa per il bene delle anime: Dio vi prepara una bella ricompensa; siate molto fedele in mezzo alle vostre prove. Se Dio lo permette, vi vedrò qualche volta; ad­dio, sono felice!».
Sì Padre buono e amata Sorellina, scriveva ancora la stessa religiosa l'anno seguente (1879), al rev. Padre Estrate ed alla signorina Dartigaux, il 2 luglio, durante la santa messa che fu detta la prima volta nella nostra casa di Troyes, vidi la mia cara colomba e mi portava con lei in un anticipo di cielo. Non ero più sulla terra, il mio spirito ed il mio cuore godevano di Dio in modo inesprimibile... Avevo questa santa fanciulla vicino i me, sentivo la sua presen­za, mi infiammava d'amore per Gesù... Mi accompagnò alla sacra Mensa, cioè all'Altare. Ri­cevetti il buon Gesù che mi aveva tanto amato e mi sembrava che mi ottenesse tutto ciò che avevo desiderato e domandato per sua intercessione. Dopo il mio ringraziamento mi disse:
«Siate sempre unita a Gesù e molto annientata, non vivete che d'amore e di sacrificio, non abbiate paura, Gesù vi sosterrà; è con questa prospettiva che si fanno grandi cose per Dio e che si ottengono ogni specie di favori; fai parte ai due amici della tua felicità; godete insieme dei favori che vi sono stati accordati, unitevi per fare il bene; mettete in comune tutti i meriti che voi acquisterete con i vostri sacrifici; e, spendetevi al servizio delle anime e usate tutti i mezzi per guadagnarle a Gesù; non rifiutate senza alcun pretesto le anime che si presentano: Gesù veglierà su di voi. Se voi agite così non avrete niente da temere... Comunicate al Padre e a Sorellina ciò che vi dico e seguite i loro consigli; coraggio e completo abbandono a Ge­sù!...». A questo punto tutto finì, ma questa volta, la realtà mi ha impressionato più del sogno.
derlo: essi faranno tre soste». Effettivamente, due mesi dopo la sua morte, tre pre­ti del Sacro Cuore di Bétharram, venuti dalla Francia con la fondatrice, la signori­na Dartigaux, arrivavano a Betlemme. Tutte le parole della veggente, citate più avanti, si compirono alla lettera. Questi Padri che portavano il cuore di suor Maria di Gesù Crocifisso, fecero realmente tre soste: a Roma, a Loreto ed a Montpellier, prima di arrivare a Pau, dove il prezioso tesoro fu rimesso al Carmelo.
Nostro Signore aveva affidato alla sua piccola serva, parecchio tempo prima del­la sua morte, la missione di lavorare ad un'altra opera assicurandone la riuscita. Era la fondazione di una residenza dei Preti del Sacro Cuore di Bétharram a Betlemme. Una lettera, da lei dettata per ottenere questa autorizzazione fu indirizzata a Roma, alla Propaganda. Senza perdersi d'animo per un prolungato silenzio, scrisse di nuo­vo, e, non ricevendo dapprima risposta favorevole, scrisse direttamente al Santo Pa­dre; questa lettera fu rimessa a Mons. Patriarca che doveva postillarla prima di mandarla a Roma.
Dopo queste richieste, Nostro Signore le fece conoscere che il suddetto per­messo non sarebbe stato accordato che alla fondatrice del Carmelo di Betlemme, la signorina Dartigaux. E fu quello che accadde.
Nella prima quindicina di dicembre 1878, si riceveva al Carmelo di Betlemme, da parte della Propaganda, un rifiuto assoluto alle richieste fatte per questa fonda­zione. Ma il 15 dicembre 1878, la signorina Dartigaux, inginocchiata in udienza particolare ai piedi di Sua Santità Leone XIII, al Vaticano, otteneva il sollecitato permesso di fondare una residenza dei Preti del Sacro Cuore a Betlemme. La pia fondatrice non aveva nascosto al Santo Padre che Nostro Signore voleva quest'o­pera a seguito delle rivelazioni che aveva fatto alla sua serva, suor Maria di Gesù Crocifisso. Ecco, del resto, su questo stesso argomento alcuni particolari di un te­stimone autorizzato, il rev. Padre Prospero Chirou.
Irún, 14 Dicembre 1911
Quando la fondatrice del Carmelo di Betlemme ebbe deciso di far costruire una casa per i futuri cappellani di Bétharram, la Priora mi incaricò di andare a trovare un architetto fran­cese, chiamato Guillemot, che risiedeva a Gerusalemme, e di pregarlo di fare un progetto. Su alcune mie indicazioni, l'architetto si mise all'opera. La piccola suora (suor Maria di Gesù Crocifisso) voleva, ciò che fu eseguito, due padiglioni alle estremità del corpo cen­trale. Ben presto, le piante furono terminate e mandate a chi di diritto. Le critiche insorse­ro da tutti i lati. Un giorno, dissi alla piccola suora: Eh! Eh! Cara suora, ciò non va bene, si trova che la nostra casa sarà troppo vasta per quattro padri e due fratelli coadiutori.
«Lascia dire, mi rispose, vedrai che sarò troppo piccola; si verrà in gran numero a Béthar­ram. La fondatrice mi approverà». Si può apprendere, attraverso quanto è poi avvenuto cKé ella aveva ragione.
Mentre si terminava l'ultimo piano del monastero delle Carmelitane e che si costruiva nel giardino una lavanderia, ecc., la Madre Priora mi faceva entrare nel cantiere per sorve­gliare gli operai. C'era la piccola suora che serviva da interprete, perché essa sola sapeva parlare l'arabo. Di tanto in tanto, mi parlava di Gesù, del suo desiderio di andare presto da­lui e, più volte, mi ripeté queste parole: «Padre, sento che Gesù mi chiama, andrò ben pre­sto a vederlo». Un giorno, come annoiato, gli dissi: Bah! Siete sempre la stessa; continua­mente mi dite che state per lasciarci, e il momento non arriva mai; affrettatevi, non vi restano che tre mesi. Sapevo che aveva annunciato in un'estasi che non sarebbe rimasta a Betlemme più di tre anni. Poco tempo dopo questa conversazione, portando due contenito­ri di acqua, uno in ogni mano, per fare bere gli operai, la suorina cade, salendo una scala provvisoria. La si trasporta nell'infermeria, si chiama il medico il quale constata che il braccio sinistro è rotto. Malgrado tutte le numerose cure delle buone suore e del medico, la cancrena si sviluppa rapidamente, e suor Maria di Gesù Crocifisso muore con la più per­fetta rassegnazione alla volontà di Dio. Alcune ore prima che morisse, andai a vederla nel­l'infermeria e le domandai ciò che pensasse della nostra possibile residenza a Betlemme. In quel momento si sollecitava dalla Santa Sede l'autorizzazione a fondare questa residen­za per il servizio spirituale al Carmelo. La piccola suora mi rispose in questi precisi termi­ni: «Ciò è fatto in Cielo, e per conseguenza, si farà sulla terra». Effettivamente, alcuni me­si dopo, la vigilia di Capodanno, secondo la mia abitudine, andai a porgere gli auguri di buon anno a Mons. Patriarca Bracco. Quando ebbi finito, mi disse: Ed io, ora vi annuncio che Bétharram è autorizzato da Roma a stabilire una residenza a Betlemme.
Ecco ciò che dichiaro e garantisco essere pura verità, e semplicemente redatta. Prospero Chirou prete del S.C. Dopo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, parecchie carmelitane, sia a Be­tlemme, sia a Pau, hanno sentito dei profumi di una soavità tutta celeste, in parec­chi posti del loro monastero. Questo ci fa ricordare che, durante la sua vita, questi stessi deliziosi profumi emanavano a diverse riprese dal corpo della suora.
Le Dame di Nazareth a Chef-Amar, che possedevano un pezzo di tela intinta nel suo sangue, ci hanno scritto per attestare che emana un soave profumo.
Suo fratello Paolo, che lei non aveva potuto più rivedere dalla sua infanzia, ven­ne a suonare al Carmelo di Betlemme poco tempo dopo la sua morte. Ci parlò del­la sua prima infanzia; ci raccontò come lei era stata raccolta da uno zio paterno e la sua sparizione all'età di circa tredici anni.
Ci disse che aveva ricevuto la lettera di lei fatta scrivere in quel periodo, per in­vitarlo a venire a vederla, ma che non avendola trovata nella sua famiglia, ad Ales­sandria, egli aveva creduto, come tutti i suoi parenti, che li avesse ingannati.
Paolo Baouardy morì nel marzo 1890. Il sacerdote cattolico che lo ha assistito durante la sua morte, attestò a Don Sisha, allora curato latino di San Giovanni d'Acri, il quale l'ha affidato ad una lettera, che possiede il Carmelo di Betlemme, che tre giorni dopo il suo trapasso, sua sorella Maria di Gesù Crocifisso gli era ap­parsa e lo aveva avvertito che, fra tre giorni, egli non sarebbe più stato in questo mondo; il che si era verificato. 1 Greci cattolici che lo hanno assistito durante la sua agonia hanno raccontato tante volte ai suoi figli, Giorgio e Maria," che era me­ravigliato che non vedessero sua sorella, come lui. La camera era tutta profumata da odore di incenso; quella brava gente cercò in tutti gli angoli da dove potesse ve­nire questo profumo; essi non trovarono niente.
Ed è proprio questo profumo o quello di violetta che emana ancora qualche vol­ta, la biancheria delle sue stimmate.
Per completare questo capitolo, riferiremo ancora alcune guarigioni attribuite al­la Serva di Dio e che lasciamo all'Autorità competente di apprezzare.
Il medico che la curò durante la sua ultima malattia, ha assicurato che egli era stato guarito da un male orribile al piede, con la sola applicazione di un panno che aveva inzuppato lui stesso nel suo sangue.
La religiosa del Buon Pastore che l'aveva vista sotto forma di una colomba, ci scrisse che suo cognato era stato immediatamente guarito da un male alla mano che i medici dovevano amputare per evitare la cancrena, mediante l'applicazione di un panno intinto nel sangue di suor Maria di Gesù Crocifisso. Questo panno emanava un soave profumo.
Una giovane madre, dopo essere stata tutto un giorno in un incombente perico­lo, fu liberata non appena le si ebbe posato sopra un oggetto che era servito a suor Maria di Gesù Crocifisso (Pau, 1880).
Una religiosa, affetta da malattia di cuore e da vomiti continui, che l'avevano ri­dotta in uno stato di estrema debolezza, non riceveva alcun sollievo da tutte le cu­re del medico. Cominciò una novena per ottenere la sua guarigione per interces­sione di suor Maria di Gesù Crocifisso; fin dall' indomani, si produsse un sensibile miglioramento. Appese alla sua maglietta un sacchettino contenente dei capelli del­la suora, e, da quel momento, il vomito finì completamente. Da allora, malgrado le sue deboli forze, non ha mai cessato di assolvere il suo compito, e può perfino fa­re lezione senza alcun disturbo, cosa che non era stata capace di fare da parecchi anni. (San Maurizio, Yonne, 1881).
La signora P.., di Bayonne, scriveva, il 22 luglio 1881, alla Priora del Carmelo di Pau: "Che Dio sia esaltato nei suoi santi e sante! La santa figlia del Carmelo che ho avuto la gioia di conoscere e che invoco con fede e fiducia, ha avuto pietà di me e mi ha restituito la salute. Oh! quanto è potente, questa così buona suor Maria di Gesù Crocifisso! Sono penetrata della più viva riconoscenza, non ho parole per di­re tutto quello che provo per lei... Ben lo dico ad alta voce e vorrei renderlo pubblico ovunque; è lei che mi ha guarito, che mi ha restituito la salute che avevo per­duto da quattordici anni; oggi vivo come tutti... Ho la ferma fiducia che terminerà ciò che ho così ben cominciato, e che questa salute, che mi ha fatto recuperare, non servirà che per lavorare efficacemente".
Una giovane signora, pericolosamente ammalata, ebbe l'ispirazione di poggiare al suo collo un rosario che aveva avuto da suor Maria di Gesù Crocifisso; il perico­lo scomparve e le fu restituita la salute per la felicità dei suoi figli. (Marsiglia, 1882).
Prima della sua partenza per Betlemme, suor Maria di Gesù Crocifisso aveva detto a suor Agnese del Carmelo di Pau che il buon Dio avrebbe reso a sua sorella la sig.ra S... ciò che aveva fatto per la fondazione. Questa signora, aveva offerto pa­recchi doni per la sagrestia e la comunità. Alcuni anni più tardi, suo marito si am­malò; non era praticante, e allorché fu in pericolo, non gli si poteva parlare degli ultimi sacramenti. Un giorno, si sveglia come da un sonno e domanda un sacerdo­te. Da quel momento, pregava, era ammirevole per rassegnazione e pazienza in mezzo ad atroci sofferenze. Il Padre Berdoulet, prete del Sacro Cuore di Bétharram, che l'assisteva, gli mostrò un giorno la fotografia di suor Maria di Gesù Crocifisso che aveva già lasciato questa terra e che il malato non aveva mai visto. Appena la vide la prese e la baciò più volte dicendo: È lei che mi ha convertito, è proprio lei quella che mi ha convertito. Ed era fuori di sé per la gioia e la felicità. Fin dai pri­mi giorni di questa malattia, che suor Agnese ignorava, suor Maria di Gesù Croci­fisso la mise a conoscenza durante il suo sonno, dicendole che suo cognato stava per morire. Questa notizia le fu ben presto confermata dalla lettera di sua sorella.
I fatti seguenti avvennero perfino mentre suor Maria di Gesù Crocifisso era viva. Prima della sua partenza per l'India, nel mese di agosto 1870, una guarigione ebbe luogo in Inghilterra per sua intercessione. Il giovane sacerdote inglese che ne fu l'oggetto, aveva conosciuto la novizia a Pau. La sua straordinaria devozione ver­so il sacramento dell'Eucarestia e il suo grande amore di Dio stabilì tra la suora e lui una specie di parentela spirituale, utile a tutti e due. Nel luglio 1870, questo sa­cerdote cadde così gravemente ammalato a Londra, che i medici disperarono di po­terlo salvare. Egli fece gli ultimi saluti alla sua famiglia e ricevette gli ultimi sa­cramenti. A questo punto, arrivava dalla Francia una lettera, dettata da suor Maria di Gesù Crocifisso e contenente uno dei panni applicati sulla piaga sanguinante del suo costato. La novizia avendo appreso per vie soprannaturali lo stato del malato, gli scriveva che la volontà di Dio si opponeva a che egli morisse in quel momento, perché doveva ancora compiere una grande opera per la gloria dell'Altissimo. Il malato applicò il panno sul suo petto e si ritrovò subito guarito.
Una suora di San Giuseppe dell'Apparizione, molto conosciuta per la sua carità, ha attestato per iscritto il fatto seguente, che citiamo in seguito alla sua testimo­nianza.
Questa religiosa era stata mandata dai suoi Superiori nell'isola di Cipro nel gen­naio 1874. La sua salute era deplorevole e il suo stato non fece che aggravarsi, al­cuni mesi dopo, in seguito ad una forte febbre che ricompariva ogni quindici giorni seguita da vomiti di sangue. 1 medici consultati dichiararono che la suora era ti­sica e che aveva poco tempo da vivere. Questo triste stato si prolungò fino al 1876. In autunno il male peggiorò in modo tale che i medici prescrissero alla suora il ri­poso più assoluto e perfino di evitare qualsiasi movimento. La sua Superiora, ve­dendola come in agonia, mise più volte uno specchio davanti alla sua bocca per as­sicurarsi se respirava ancora. Le era stato detto di fare il sacrificio della sua vita ed aveva ricevuto il santo viatico: pronta al terribile passaggio, attendeva il suo ultimo momento con tranquillità. Ora, accadde che una notte, verso le undici di sera, vide suor Maria di Gesù Crocifisso, innalzata dal suolo ad una grande altezza, rapita da Dio, con le braccia in croce, di fronte a lei, in mezzo ad una luce che illuminava la camera come in pieno giorno. Aveva il suo abito di religiosa.
Quanto a me, dice suor N..., io non l'avevo mai vista e sapevo che era lei e sapevo che par­lava con il buon Dio, e non dormivo affatto. La chiamo col suo nome e mi risponde. Le dissi: Maria, domandate al buon Dio (sapevo che Egli era presente, ma non so come) se sto per mo­rire. Lei parlò a Nostro Signore; in quanto a me non vidi che lei e non sentii che lei. Dopo al­cuni secondi, mi disse: «No, non morrete giovane, avete da fare un gran bene!». Poi, gli dissi: Domandategli se persevererò nella mia santa vocazione fino alla morte. Mi rispose come la prima volta, dopo alcuni secondi: «con la grazia». Infine, mi rispose su tutto quanto ho do­mandato per la mia anima, poi disparve, e ciò che mi ha annunciato mi è realmente accaduto.
A partire da quel momento mi sono ristabilita. L'anno dopo, fui in grado di sopportare il viaggio e sono partita da Cipro per Giaffa. Ed ecco che le Carmelitane di Betlemme passava­no per Giaffa per andare a Nazareth. Quale non fu la mia felicità nel riconoscere Maria, ma ta­le e quale l'avevo vista a Cipro. Il buon Dio me ne è testimonio, perché è proprio per lui che scrivo tutto questo. Siamo state così contente di vederci, soprattutto io! Lei andò a Nazareth; al suo ritomo, mi disse: «Andate a Nazareth, voialtri, prima di noi». Poi aggiunse: «San Giu­seppe ama molto il vostro ordine». Mi disse ancora: «Tu non mi vedrai più». Mi disse del po­co tempo che le restava di vivere, mi annunciò la sua morte e il mese in cui doveva morire. Mi disse anche: «Dopo la mia morte, ti si manderà un ricordo». Effettivamente, un mese dopo la sua morte, la madre N... del Bambino Gesù mi scrisse una parolina e mi mandò una immagi­ne del Bambino Gesù. Suor Maria aveva talmente baciato i suoi piedi che vi si vedeva l'im­pronta delle sue labbra.
Ecco davanti a Dio ed unicamente per la sua più grande gloria, e come se lo dicessi al momento della mia morte, tutto quello che è avvenuto.
Gerusalemme, 30 ottobre 1895
Suor N..., religiosa di San Giuseppe dell'Apparizione Farà inoltre piacere leggere la seguente lettera di Mons. Valerga, nipote del pri­mo Patriarca di Gerusalemme.
Dopo molte esitazioni e resistenze causate dal fatto che mio zio, il Patriarca Valerga, era contrario alla entrata delle Carmelitane in Palestina, mi decisi infine a visitare queste reli­giose. Avevo appena oltrepassato la soglia' che fui accolto proprio da suor Maria di Gesù Crocifisso, che esclamò quasi scherzosamente: «Oh! ecco colui che non voleva venire a ve­dere le Carmelitane, ecco colui che non mi voleva vedere!». Aggiunse qualche altra parola che non ricordo e disse che andava ad avvertire la Superiora.
Costei venne e dopo una breve conversazione con lei, osservò: «Ma voi volete vedere senza dubbio suor Maria di Gesù Crocifisso?». Precisamente, lo desidero e persino ve lo domando. Ebbi allora con suor Maria di Gesù Crocifisso uno scambio di spiegazioni ri­guardo alle difficoltà che mio zio il Patriarca aveva fatto circa l'ingresso in Palestina delle Carmelitane di Pau.
Portai in seguito la conversazione nel campo dei pensieri intimi. Su tutto mi rispose be­ne, salvo su un punto, riguardo al quale mi disse che non poteva soddisfarmi subito, ma sol­tanto poco dopo. Si trattava di un sogno che, in quei giorni, mi aveva turbato, e in seguito al quale mi era parso che mia madre fosse passata all'altra vita. Poco dopo, mi venne pre­sentata la Comunità. Tutte le suore erano davanti a me e in mezzo ad esse, suor Maria di Gesù Crocifisso. Tutto a un tratto, lei guarda il cielo con occhi radiosi e qualche cosa di ce­leste nella fisionomia che era assolutamente nuovo per me e che mi causava una impres­sione della quale non sapevo rendermi conto: «Ti darò subito, mi disse, la risposta su ciò che mi hai chiesto»; era riguardo a mia madre e ad alcune altre cose segrete. Mi rassicurò ben presto: «Non credere ai sogni, mi disse, tua madre è ben viva». Ed effettivamente mia madre visse ancora parecchi anni, essendo morta nel 1890. Mi raccomandai poi alle sue preghiere ed lei mi sollecitò di ricordarmi di lei nelle mie, dicendo che dovevo ben farlo, poiché sarei stato io a doverla seppellire fra poco tempo. Non diedi, in quel momento, gran­de importanza a questa affermazione, ma ecco come essa si realizzò.
Bisogna dire che la vigilia della morte della suora, Monsignore era ritornato a Bethjal­lah, dopo aver amministrato gli ultimi sacramenti alla moribonda, e mi trovavo io stesso in questa località con molti altri sacerdoti del Patriarcato. La notizia della sua morte ci ar­rivò l'indomani. La sera di quel giorno, non era stato ancora deciso chi avrebbe fatto il ser­vizio funebre, la mattina seguente. Don Belloni passò questo onore al curato di Betlem­me: costui addusse a pretesto delle occupazioni. Don Emilio, Don Teofilo, Don G. Marta, non so per quali motivi, rifiutarono di fare la cerimonia. Alla fine, mi venne a cercare nel­la mia camera, ove ero già coricato e mi si impose piuttosto che pregarmi, di cantare la messa.
Feci dunque il servizio funebre e fu solamente allorquando, secondo il rituale Carmeli­tano, gettai un pugno di terra sulla bara della suora, che mi ricordai della profezia: «Sarai tu a seppellirmi»: ne fui talmente emozionato che non potei finire l'orazione. 1 partecipan­ti se ne accorsero.
La vigilia della morte della suora, un messo, recante una lettera di Don Belloni, si pre­sentò a Mons. Bracco, allora a Gerusalemme. Fu durante il pranzo, una domenica. La let­tera annunciava che suor Maria di Gesù Crocifisso era molto grave e desiderava vedere il Patriarca.
Finito il pasto, Monsignore partì; io lo accompagnai con un giannizzero. Alla porta del convento ci attendevano Don Belloni, il Padre curato di Betlemme e il Padre Guido. Il Pa­triarca si recò presso la malata e, avendola vista, concluse che era necessario amministarle senza ritardo il Santo Viatico.
Don Belloni passò questo onore al Padre Curato, e questi al Padre Guido. Non volendo nessuno dei tre assolvere a questo compito, si concluse che, essendo presente il primo Par­roco della diocesi, bisognava lasciare a lui quest'onore e questo dovere. Lo si pregò. Mon­signore accettò.
Fatto ciò, siccome il male peggiorava, si decise di dare l'Estrema Unzione all'ammala-
ta. Stessa discussione e stessa conclusione come per il Viatico; anche questa volta, Monsi­gnore accettò. Non si decideva a lasciare il capezzale della malata, e fu solamente a notte inoltrata che riprendemmo il cammino di Bethjallah.
Arrivati vicino alla tomba di Rachele, siccome camminavo ad una breve distanza da Mons. Bracco, lo vidi tutt'a un tratto fermarsi e battersi la fronte come preso da qualche co­sa di grave; poi esclamò: Ecco una profezia realizzata! Che avviene? gli dissi avvicinan­domi. Si è che la malata mi aveva profetizzato che le avrei dato il Viatico e l'Estrema Un­zione, e in effetti, le ho appena amministrato questi sacramenti.
L'indomani, ci si venne ad annunziare la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso. Noto espressamente che Mons. Patriarca era molto riservato su tutte queste cose e che ha potuto essere il confidente di altre cose ancora delle quali non sono a conoscenza.
Ho sentito raccontare che in un giardino (a Pau o a Mangalore, non saprei dirlo), suor Maria di Gesù Crocifisso ebbe il cuore trafitto come lo si racconta di santa Teresa. Effetti­vamente, alcune ore dopo la sua morte, un certo Carpani, che faceva la professione di me­dico, venne a fare 1'espianto del cuore. Il cuore prelevato, lo si mise su un piatto, perché tutti potessero esaminarlo. Ero-presente con Don Belloni, Don Emilio, Don Teofilo, Don Giovanni Maria Marta, Don Riccardo Branca. Potemmo tutti constatare che il cuore porta­va la cicatrice di una ferita che si sarebbe detta prodotta da una lunga punta di ferro... Il cuore posto così su un piatto passava di mano in mano, di modo che tutti i sacerdoti pre­senti e le stesse religiose, poterono constatare questo fatto meraviglioso.
Potemmo constatare anche che, ai piedi e alle mani, la suora portava le cicatrici delle piaghe, simili a buchi. Su questo argomento, Don Belloni, confessore di suor Maria di Ge­sù Crocifisso, mi assicurò che, lei viva, quando si metteva in controluce una sua mano, si sarebbe detto che la carne ne era trapassata al posto delle stimmate.
Potemmo tutti inoltre constatare la traccia visibile di una larga ferita ricevuta al collo. Suor Cipriana (suora di San Giuseppe dell'Apparizione) mi ha raccontato che suor Maria di Gesù Crocifisso, trovandosi ad Alessandria, era stata colpita al collo dall'arma tagliente di un miserabile che la gettò in un fosso, ove sarebbe morta se la Santa Vergine non l'a­vesse salvata da questo pericolo.
Pochi giorni dopo la sepoltura, ho sentito raccontare che, essendo terminata l'operazio­ne di Carpani per 1'espianto del cuore, il cadavere aveva steso le braccia a forma di croce ed era rimasta in questa posizione fino a quando venne il momento di metterlo nella bara. La Madre Priora ordinò a questo punto al cadavere di piegare le braccia... Il cadavere ob­bedì a quell'ordine e la suora fu seppellita.

APPENDICE
GIUDIZI DI ALCUNE PERSONALITA SULLA BEATA
Lettere di Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne, alla Madre Priora del Carmelo di Pau
Bayonne, 11 aprile 1868
Reverenda Madre,
i favori, che riceve da Dio la giovane Araba alla quale avete dato ospitalità, mi sembrano mirabili e degni del più grande interesse. Spero di avere la consolazione di vedere questa fortunata stimmatizzata, fra non molto in occasione del mio viag­gio a Pau. Vogliate continuare ad assisterla con le vostre buone cure; assecondere­te così le divine attenzioni in merito a questa eletta del cielo e a questa imitatrice di Gesù Crocifisso. Mi raccomando alle sue preghiere e alle vostre e vi benedico tut­te nel nome del Signore.
+ Francesco, vescovo di Bayonne

È importante che ciò che avviene di straordinario, in merito allo stato della stim­matizzata resti segreto e non esca dal monastero fino a quando il buon Dio non de­cida altrimenti.

Bayonne, 16 settembre 1868
Reverenda Madre,
la ringrazio dei particolari che mi ha fatto conoscere in merito alla nostra cara Maria di Gesù Crocifisso e che seguono alle altre informazioni così importanti e così interessanti che avevo già ricevuto. Comprendo, così come lei me lo annuncia che il tutto sia raccolto dalle vostre cure e da quelle delle sue beneamate sorelle del­la comunità per la cronistoria completa di questo grande avvenimento, affinché si conservi e serva come edificazione nel futuro, e nel tempo presente.
Sono ben certo che sarete tutte molto fedeli alle raccomandazioni e istruzioni che vi sono state così saggiamente e così meravigliosamente date e che ne risulterà un gran bene per il Carmelo e la perfezione di tutte le figlie di santa Teresa.
Mi propongo di venire a celebrare una Messa di ringraziamento nel vostro mo­nastero al più presto, non appena le mie occupazioni me lo permetteranno, per rin­graziare il divin Salvatore della sua ineffabile bontà e delle grazie straordinarie del­le quali ha voluto colmare la sua piissima e fervente figlia Maria di Gesù Crocifisso ed anche tutto il monastero.
Ho visto, a Bayonne, il vostro reverendissimo Padre Generale, ma non mi ha detto che si proponeva di visitare la vostra casa di Pau. Quando verrà apritegli le porte, e ditegli che avrà tutti i poteri che crederà di dover usare in questa visita e li avrà tutti senza alcuna restrizione.
La benedico, mia buona Madre, e con lei tutta la Comunità; la ringrazio dei frut­ti benedetti che la santissima Vergine si era degnata riservarmi, come pure la nostra suor Maria di Gesù Crocifisso.
Siamo sempre più riconoscenti, a questa augusta e tenerissima Madre del Car­melo, che vi prodiga così preziose e così dolci consolazioni.
+ Francesco, vescovo di Bayonne

Lettera di Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne, a suor Maria di Gesù Crocifisso,
al momento della sua partenza per Mangalore (agosto 1870)
Carissima figlia di Gesù Crocifisso,
andate dunque lontano e molto lontano, ma per Gesù e per farlo conoscere, per farlo onorare. Egli sarà con voi sempre: seguitelo con la sua croce, o piuttosto re­state sempre attaccata alla sua croce, dicendo con san Paolo: " lo sono con Gesù, le­gato, inchiodato alla sua croce, in modo da essere inseparabili, Gesù e voi; abbia­te un medesimo spirito, un medesimo cuore, una medesima anima, uno stesso corpo, una stessa esistenza.
Maria di Gesù Crocifisso resterà incessantemente con la divina Madre di Gesù. Pregate molto per me, cara figliuola, io lo faccio ogni giorno per voi nella santa Messa. Oh! Quante volte, ogni giorno ed ogni notte, penserò a Maria di Gesù Cro­cifisso, unendomi alle vostre preghiere ed unendovi ai miei sacrifici, soprattutto a quello dell'altare.
Scrivetemi le tante volte che ne avrete l'occasione, io farò lo stesso. Vi benedico dal profondo del cuore.
+ Francesco, vescovo di Bayonne

Lettera di Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne, a Mons. Bracco, Patriarca di Gerusalemme
Venerabile Fratello,
le Suore carmelitane sistemate presso la Grotta di N. S. G. C. per volontà di Sua Santità Papa Pio IX e per il vostro beneplacito, mi hanno spessissimo parlato nelle loro lettere della vostra affettuosissima carità per loro, cosa che mi è stata molto gradita.
Ed è per questo, per la vostra benevolenza, che vi faccio larghissimi ringrazia­menti, e sono certo che questa benevolenza durerà sempre, poiché voi siete il padre e, per così dire, la madre di queste suore.
Siete fortunato, venerabile fratello, perché il Cristo ci ha spogliati per arricchir­vi. Possedete in effetti preziose perle e, fra queste perle, una perla ancor più lumi­nosa, cioè, suor Maria di Gesù Crocifisso. Sì, io lo confesserò e non lo negherò, lo confesserò davanti a Dio e davanti ai suoi angeli: questa suora è un mirabile teso­ro di tutte le virtù e principalmente un tesoro di fede, di umiltà, di obbedienza e di carità, e per dire tutto, in una parola, ella è un miracolo della grazia di Dio.
Prima di morire, vi scongiuro, Venerabile Fratello, di custodire un così bel de­posito con la più grande cura e il più grande amore, e riceverete il centuplo in que­sta vita, e in cielo possederete la vita eterna.
Mi raccomando ad ogni istante alle vostre preghiere. Vostro...
+ Francesco, vescovo di Bayonne

(La copia della traduzione di questa lettera, dettata in latino da Mons. Lacroix al Rev. P Estrate, senza data, può essere datata agli anni 1876-77).

A proposito dell'approvazione data da Sua Santità Pio IX per la fondazione del Carmelo di Betlemme, il cardinale Franchi diceva: lo non ci capisco niente, c'è qualcosa sotto; mai il Santo Padre ha fatto un gesto simile! Ed ora, sono io ad es­sere il Protettore di questa opera: siccome i tempi sono tristi, se sopravvenisse qualche difficoltà, si prega di rivolgersi a me, me ne incarico io. Così pure il car­dinale Antonelli diceva che mai un'opera come quella era stata fatta a Roma. E par­lando di suor Maria di Gesù Crocifisso, dice, da parte del Santo Padre di continua­re a dirigerla come si era fatto, poiché era sulla buona strada.
Una comunicazione importantissima riguardante la santa Chiesa e l'augusta per­sona di Pio IX era stata affidata al Padre Bordachar e al Padre Estrate dal Vescovo di Bayonne, il quale l'aveva ricevuta da suor Maria di Gesù Crocifisso. Essi, com­piendo la loro missione, avevano parlato del cammino soprannaturale dell'umile
suora conversa, ciò spiega alcune delle parole del cardinale Antonelli, citate prima. La verità delle rivelazioni contenute nella comunicazione della quale si è appena parlato, era stata anche pienamente constatata.
Ecco ciò che ho sentito raccontare al Sig. Chesnelong, senatore, nella sua visi­ta a Bétharram, il 4 e 5 ottobre 1893, riguardo a suor Maria di Gesù Crocifisso. Nell'epoca in cui il Sig. Chesnelong negoziava a Roma, con altri cattolici emi­nenti come lui, la fondazione del Carmelo di Betlemme, l'abate Bordachar, che si trovava con questi Signori, era anche quello che risentiva più sensibilmente, con la sua vivacità basca, le peripezie di una vicenda che passava ogni giorno per le fa­si più diverse. Ora, ogni giorno, suor Maria di Gesù Crocifisso gli scriveva una let­tera che esprimeva mirabilmente lo stato d'animo dell'abate Bordachar in quel momento: "Eccovi nella gioia; ai vostri occhi è finito, fiducia di bambini nelle co­se umane piene di vicissitudini". L'indomani, dal suo convento, lei vedeva l'anima del caro Abate tutta agitata. "Io vi vedo, quale cambiamento! Ieri, una gioia senza limiti; oggi, una tristezza sconfinata fino allo scoraggiamento!".
Il sig. Chesnelong ha letto parecchie di queste lettere; esse manifestano dispo­sizioni così intime, così diverse, con una tale precisione e penetrazione che, ai suoi occhi, Dio solo poteva rivelare queste cose alla Veggente: è la sua profonda con­vinzione.

(Estratto di una lettera del rev. P Etchécopar, Superiore generale dei Preti del Sacro Cuore di Gesù, alla rev. Madre Priora del Carmelo di Betlemme).

Lettera di Mons. Felice Valerga, cameriere d'onore di Sua Santità, Chierico-Beneficiato di San Pietro
Loano, 8 maggio 1912
Andai un giorno a celebrare la messa nella casa provvisoria che le carmelitane abitavano a Betlemme prima che il monastero fosse costruito, ed ecco in quali cir­costanze. Al mio arrivo, la messa del sacerdote maronita era a metà. Avvertii che avrei celebrato io stesso subito dopo, ma a bassa voce e senza campanella, di mo­do che non ci si potesse accorgere dal coro, dove erano le carmelitane, che si dice­va una messa. E così fu fatto.
Ed ecco che dopo la consacrazione, sento un gran movimento di persone ed una voce forte che esclama: L'amore è tutto, l'amore è tutto. Era suor Maria di Gesù Crocifisso. La sua estasi continuò fin dopo la messa, perché, essendo passato nel parlatorio, la sentivo ancora, ma la sua voce era più dolce. Venne e, davanti a me,
parlò con una eloquenza sbalorditiva, delle anime sacerdotali, e dopo una mezz'o­ra, mi congedò, pregandomi di dire al Patriarca che lei l'attendeva l'indomani, avendo una importante comunicazione da fargli.
Ritornato al Patriarcato, feci a Mons. Bracco la commissione della suora. Egli non parve sorpreso e parti l'indomani per Betlemme. Come sempre io ero il suo compagno di viaggio. Il Patriarca ebbe un lungo colloquio segreto con la suora. Lei gli dovette allora annunziare la piccola rivoluzione che accadde a Gerusalemme al­cuni giorni dopo, e rassicurarlo sulle conseguenze di questo avvenimento.
Monsignore, di solito, non ne diceva niente; ma tutti, al Patriarcato, si ebbe la convinzione di questa rivelazione della suora, sia a causa della fretta con la qua­le l'aveva chiamato, sia a causa dell'assicurazione e della certezza che il Patriar­ca mostrò al momento dell'avvenimento. Alcuni giorni dopo, effettivamente, il Patriarca aveva appena terminato la sua messa, quando don Antonio Morcos ven­ne ad avvertirlo che c'era una vera rivoluzione nella popolazione di Gerusalem­me e che i latini non credevano di poter salvare la loro vita che rifugiandosi al Patriarcato. Monsignore permise che venissero, ma li rassicurò tutti, certificò lo­ro che non vi sarebbe stato spargimento di sangue. Io compresi facilmente che il Patriarca nel suo ultimo incontro aveva dovuto essere informato dalla suora de­gli avvenimenti di questa giornata, che fu in effetti tanto a Betlemme e a Bethjal­lah che a Gerusalemme una giornata di spaventi, ma non ci furono disgrazie da deplorare.
Poco prima della morte di Pio IX, suor Maria di Gesù Crocifisso in estasi, vide una processione di angeli e di santi; la santa Vergine aveva le braccia aperte per ri­cevere l'anima in onore della quale si era formata quella processione. La suora pen­sò che Pio IX fosse in pericolo di morte e che la sua anima era attesa in Paradiso.
Non sapendo né leggere né scrivere, si servì dell'aiuto di una suora per scrivere al Patriarca Bracco, il quale secondo la sua abitudine quando riceveva simili co­municazioni che non era urgente pubblicare, la nascose nel suo ufficio.
Alcuni giorni dopo, Mons. Bracco ricevette dal Rev. Padre Girolamo Priori un telegramma annunciante la morte di Pio IX. Questo Rev. Padre, ex generale dei Carmelitani Scalzi, era a Roma. Il Patriarca, doppiamente colpito, mi chiamò e co­me se non avesse prestato fede al dispaccio, mi incaricò di domandarne, per tele­gramma, conferma al Rev. Padre Priori. L'indomani, ricevemmo la conferma ri­chiesta. E il Patriarca spiegò a Don Emilio, il quale lo raccontò a me, come fosse stato avvertito di questo fatto, da suor Maria di Gesù Crocifisso.
Dio volle far conoscere a suor Maria di Gesù Crocifisso, e per lei, al Patriarca, la persona dell'eletto che Egli destinava a governare la Chiesa. Lei scriveva, sempre per mezzo di una segretaria, a Mons. Bracco, prima della elezione di Leone XIII:
"Mi sembra di vedere una grande sala, dove sono raccolti tutti i cardinali occu­pati alla elezione del nuovo Papa. Vedo anche nell'aria un angelo che porta una tia­ra; a poco a poco, scende e sembra seguire uno dei cardinali.
Io non conosco questo cardinale, ma vedo lo stemma che mette nell'intestazio-
ne dei suoi scritti e nel suo palazzo. Eccone la descrizione. Sul fondo il giglio dei re di Francia. Al di sotto un cipresso. Una fascia bianca un po' ricurva attraversa il cipresso. Nel vuoto, al di sotto del cipresso, brilla una stella che manda i suoi rag­gi trasversalmente. Ecco ciò che posso dirvi. Ma se don Felice Valerga va nel gran­de divano del Patriarca e prende l'album dove si trovano tutti i cardinali credo pro­prio che troverà il cardinale del quale ho descritto il blasone e che si elegge in questo momento".
Senza manifestare il contenuto della lettera, il Patriarca ordina che si vada a cer­care l'album (Don Emilio è presente quando egli dà quest'ordine). In quello stesso momento, entra un Francescano, venuto per essere segretario di Terra Santa, e che domanda il potere di confessare. Pregava che lo si volesse dispensare dall'esame, avendolo già passato davanti alla Curia di Parigi, e presenta il documento che ne fa fede. Vi si vedono le insegne del cardinale Pecci. Esclamo subito: L'enigma è ri­solto, abbiamo lo stemma che descrive suor Maria di Gesù Crocifisso. Esaminia­mo l'album del divano e riconosciamo che c'è lo stemma del cardinale Pecci. Nes­sun dubbio, questo cardinale deve essere Papa e non ci resta più che attendere il telegramma che ce lo annuncerà. Arrivò l'indomani.

Lettera del Rev. P Xavier, Carmelitano Scalzo, Superiore del Carmelo di Bordeaux
Carmelo di Bordeaux, 18 novembre 1878
Mia reverenda Madre,
non saprei troppo ringraziarla della sua delicata attenzione; non potrei dirle quanto mi ha commosso. Sapevo da un nostro religioso, il Padre Maria Ephrem, della morte di questa cara suorina che, ai miei occhi, era più una creatura angelica, che una creatura umana. Come sarà felice per essere entrata nel seno del suo Dio! Quale accoglienza Nostro Signore avrà fatto a questa sposa così fedele al suo amo­re e che Egli stesso ha tanto amato! Dopo la sua morte me la sono ricordata più vol­te, ma tale ricordo è sempre accompagnato da una specie di soavità che mi impe­disce di rimpiangere che ella ci abbia lasciato. Ho ferma fiducia che sentiremo l'effetto della sua potente intercessione presso Nostro Signore; lei amava tanto la sua famiglia spirituale!
Se la mia richiesta non è indiscreta vi domanderò, mia Reverenda Madre, l'au­torizzazione a conservare la relazione della quale avete voluto inviarmi copia. Vo­glio farne parte ai nostri Padri, come pure a quelle anime pie che troveranno, come me, una grande consolazione nel leggerla.

Lettera del Rev. P Ippolito, Carmelitano Scalzo
Carmelo d'Agen, 3 ottobre 1878
Mia Reverendissima Madre,
ho letto alla comunità il racconto della santa morte della nostra cara suor Maria di Gesù Crocifisso e vi ha prodotto una profondissima impressione. Parecchie reli­giose non hanno potuto ascoltare questa lettura senza versare lacrime.
Oh! Grazie cara Madre, d'aver pensato a me in questo dolore di famiglia, gra­zie per avermi messo nel numero di quelli che hanno sempre avuto la stima per que­sta beata e santa figlia.
Abbiate ancora la carità, mia reverendissima madre, di mettere da parte per me dei lini che sono stati applicati alle sue sante ferite.
Tutto ciò che mi verrà da questa figlia, lo conserverò come una vera reliquia. F. M. Ippolito

Estratto di una lettera del Rev. Padre du Bourg, Rettore dei Gesuiti Montpellier, 18 settembre 1878
(...) Eccola dunque (suor Maria di Gesù Crocifisso) che ha lasciato la terra do­ve era come straniera, e si è riunita a Gesù, che l'aveva tanto attirata a sé e per vie tanto straordinarie; è una cosa che mi sembra del tutto naturale. Con la dirittura e la semplicità che le conoscevo, e che mi rassicurava pienamente su ciò che c'era di sorprendente e di strano nella via che attraversava, mi sembra che sia andata diret­tamente in cielo. Non mi viene neppure l'idea di pregare per lei. Ed è solo pensan­doci bene e con una specie di ragionamento generale che sento essere giusto di rac­comandarla al buon Dio nel Santo Sacrificio.
Avete seguito nei particolari tutto ciò che ella faceva e diceva e ciò che il buon Dio ha fatto o ha permesso che si facesse in lei. Vi raccomandavo di prenderne no­ta accuratamente, affinché ci si possa rendere conto un giorno di tutto ciò, e, se pia­ce al buon Dio, di ricavarne la sua gloria e l'edificazione delle anime.
Parlando col buon Padre Lazzaro, ho constatato con piacere che i nostri pensieri erano sempre stati d'accordo: che sempre seguendo da molto vicino questa cara pic­cola anima, tanto quanto egli ne era stato direttamente incaricato, si era sempre tenu­to in una discrezione completa e molto prudente. Proprio lui aveva ottenuto e fatto ac­cettare la decisione che lei stessa si tenesse nel ruolo delle suore converse, e sempre lui raccomandava che non si mostrasse tanta attenzione a lei, e nessun clamore a suo riguardo. Io ritornerò a vederlo e parleremo più dettagliatamente di tutto ciò.
P. du Bourg

Lettera di Fra' Evagre, Provinciale dei Fratelli delle Scuole cristiane in Palestina
Gerusalemme, 30 settembre 1878
Mia Reverenda Madre,
il fascino che il mio confratello ed io abbiamo provato alla vista e alla conver­sazione della santa da poco volata al cielo, l'alta idea che ci siamo formata delle sue sublimi virtù, la forma di culto che già nutriamo per lei nelle nostre anime, tut­to ciò che si dice attorno a noi su di una vita così straordinaria tutto ciò messo in­sieme fa' sì che tutti e due veniamo a chiedervi due favori.
Sapete, Reverenda Madre, ciò che diceva e pensava la santa riguardo alla nostra fondazione di Gerusalemme? Pensava e qualche volta ha parlato del bene che vi si farebbe, che questa istituzione troverebbe delle difficoltà e di quale specie?
Le più piccole sue parole riguardo alla nostra Opera, sarebbero per me preziosi avvertimenti.
Secondariamente, il mio confratello ed io vi supplichiamo, Reverendissima Ma­dre, di farci dono di un oggetto qualunque che sia stato usato dalla santa. Questo favore, noi ve lo domandiamo con istanza, con fede e pietà.
Vogliate accordare questa grazia a F. S. mio compagno ed a me, vostro indegno servitore.
Fra' Evagre

Lettera del Sig. Ch. Chesnelong, senatore, alla Signorina Dartigaux
Orthez, lì 9 settembre 1878
Signorina,
mi sono dolorosamente commosso apprendendo la morte di suor Maria di Gesù Crocifisso, come pure molto commosso del pensiero avuto dalla Reverenda Priora del Carmelo di Pau di volermela partecipare. Le sono anche molto riconoscente di essere stato degno di servirle da intermediario.
La santa religiosa era di quelle anime per le quali la morte è la preparazione al­la ricompensa. Era stata, durante la vita, lo strumento delle grazie divine, qualche volta l'eco delle voci che Nostro Signore Gesù Cristo faceva risuonare nel suo cuore, e sempre l'esempio delle virtù che l'anima umana può acquistare immo-
landosi tutta intera sull'altare del sacrificio. Possedeva la pienezza della fede e del­l'amore; aveva anche il senso divino della sofferenza accettata per amore di Gesù Cristo e come supplemento di riscatto per le offese degli altri; perché lei, la santa fanciulla, non aveva niente da espiare per se stessa. Univa ad una semplicità che era il riflesso di una perfezione la quale ignorava se stessa, una quantità di corag­gio e una tale elevazione soprannaturale che rivelavano un'anima trasfigurata dai ritocchi del Maestro Divino. La morte, per lei, non ha potuto essere che il passag­gio da una santità manifestantesi nella prova a una santità coronata nella gloria, fortunata voi, Signorina per essere stata a tanti titoli la prima in questo cuore così divinamente privilegiato! Ed è per me una grande soddisfazione d'avere forse avu­to un piccolo posto nei suoi pensieri e nelle sue preghiere e di sperare che la be­nedizione di questa santa continuerà a proteggermi e ad estendersi sui miei. Nel mio prossimo viaggio a Pau, avrò l'onore di andare a presentare alla Reverenda Priora del Carmelo l'omaggio dei miei sentimenti e vi domanderò, Signorina il permesso di potermi intrattenere con voi circa la santa di Betlemme e l'opera che vi avete fondato con lei.
Vogliate, ecc...
Ch. Chesnelong

LETTERE DI SUOR MARIA DI GESÙ CROCIFISSO
Alla Madre Priora del Carmelo di Pau
Mangalore, luglio 1871
Cara e diletta Madre mia,
sto per dirvi delle sofferenze della nostra care Madre Elia; questo vi addolorerà, ma vedrete come il buon Dio ha fatto tutto per rendere bella la corona della sua pre­diletta. Nostra Madre allora non ha voluto dire tutto, perché la piaga era troppo fre­sca e questo l'avrebbe resa troppo viva, ma non ha avuto l'intenzione di nasconde­re alcunché; voleva al contrario dirvi tutto, ma ha temuto di darvi troppa pena.
Comincio da Port-Said. Madre Elia stava molto bene, aveva l'aspetto radioso, a partire da Marsiglia la sua salute era perfetta; ci serviva tutte, rideva di me perché io che avevo viaggiato per mare stavo male, mentre lei, che non era abituata, stava benissimo. Godeva fisicamente e spiritualmente fino al mar Rosso e diceva: Quale grazia di essere stata scelta, io, così vecchia e così indegna, quale grazia! Ebbene, l'indomani di questo giorno, mi disse: Oh! Cara figlia, ho sognato qualche cosa che mi fa una gran paura... Io allora dissi: «Madre, ve ne scongiuro, ditemi quello che avete sognato». Rispose: No, mi sembra che il buon Dio non lo voglia; e, allo­ra, mi sono rattristata, ma non ebbi voglia di saperlo, giacché il buon Dio non lo vo­leva.
Dopo ciò, sul mar Rosso, sapete, quando le altre sono venute meno? Madre Elia non lo sapeva; ricevette una grande consolazione e subito dopo, è caduta senza co­noscenza. In seguito si mise a cantare il salmo Laetatus sum e un altro: "Il Signo­re ha esaudito la mia preghiera"... venne il medico e, meravigliato, diceva: Che gioia essere carmelitana!
Venne Padre Lazzaro tutto tremante e andò a cercare il comandante che dice, co­me aveva detto il medico: Bisogna cambiare cabina; ed allora, il buon Dio permi­se che si mettesse Madre Elia in un'altro posto ancora più disagevole; con quel ca­lore, occorrevano due ore per aprire la finestra, poi sotto c'era il carbone. La sera, si era così stanchi! Gli uomini che portavano il carbone gridavano, andavano, veni­vano. Infine fu deciso di salire la notte sul ponte.
Suor Stefania mori proprio quella notte. Mio Dio, come abbiamo sofferto! L'in­domani, Madre Elia fu sistemata in una cabina presso la ciminiera della nave; il
buon Dio lo permise per farla soffrire ed anche perché le mancassero molte cose, ma il buon Dio fa tutto per la sua gloria. Anche io, la facevo soffrire ripetendole sempre: «Madre, se il buon Dio vi dicesse di offrirgli due rose, voi gliele dareste?» E rispondeva: Mi tormentate, credete che rifiuterei qualcosa al buon Dio? Quando i nostri Padri videro queste tristi cose, dissero: Andiamo ad Aden a portare il cor­po di suor Stefania; e poi, sono venuti a cercarci: Padre Lazzaro era pallido come un lenzuolo ed anche padre Graziano.
Povera Madre Elia, come soffriva! Non vedeva suor Stefania e vedeva portare la mia suor Eufrasia su un asse da quattro uomini. E lei, la Madre amata, doveva es­sere trascinata... E se sapeste per quale strada: rocce, montagne, è terribile; vedere per capire.
Vi racconterò l'obbedienza di suor Eufrasia. Sulla nave, non poteva stare un mi­nuto tranquilla, bisognava essere in tre o quattro per tenerla e sempre tremava per la sofferenza e si sarebbe potuta gettare giù. Allora Padre Lazzaro, desolato, te­mendo che fosse caduta per strada le disse: Figlia cara, vi ordino per obbedienza di restare tranquilla lungo tutta la strada. Lei era senza conoscenza, ma il buon Dio permise che comprendesse e che non si movesse più fino alla casa dove, appena ar­rivata, ha ricominciato.
Ma, mio Dio, che casa! Era notte e si mancava di tutto. Si dovette mettere Ma­dre Elia in un letto pieno di buchi, peggiore della trave. Noi non lo sapevamo: essa ne ha sofferto col suo povero corpo già rotto da pene e sofferenze!
Si accorgeva che le si nascondevano le suore e questo le faceva soffrire un mar­tirio. Si era pensato di dirle che suor Stefania sarebbe partita con Padre Lazzaro e le terziarie. Ed allora, per prepararla, le dissi: «Madre, vi dispiacerebbe di non ve­dere più suor Stefania, se partisse con Padre Lazzaro?» Ed ella disse: Non è possi­bile che parta senza venire a vedermi! Un'altra suora le diceva: Siate tranquilla, Madre, suor Stefania è ben curata. Infine, Padre Lazzaro disse: Impossibile na­scondere la verità, bisogna dirla.
Povero padre, impossibile dire tutto ciò che soffrì ed ancor più nel lasciarci ad Aden dove mancava tutto, e con il Padre Graziano che era malato anche di noia o di dolore. Padre Lazzaro non sapeva che pensare del buon Dio, si rassegnava, ma la sua volontà gli sembrava crudele. Inoltre doveva partire e Dio sa tutto ciò che ha sofferto.
Sapete come Madre Elia apprese con eroismo la morte di suor Stefania, poi, tre giorni dopo, quella di suor Eufrasia. Era magnifico vedere questa madre così tene­ra accettare queste morti con la calma dei cieli. Si alzò, così malata come era, per il seppellimento, e quando si cantò l'ufficio dei morti con le suore del Buon Pasto­re, aveva la voce più forte di tutte con il fervore degli angeli e senza piangere; ma dopo, fu obbligata a mettersi subito a letto. Ha sofferto mille morti in quella città di Aden; il vento le sembrava il fuoco dell'inferno, niente poteva salvarla.
Dopo la morte delle suore, voleva che tutti i suoi figli restassero qui accanto a lei, tanto aveva paura che le si nascondesse la morte di qualcuna. Neppure Padre
Graziano poteva restare in alto; tutte soffrivamo tanto! Avevamo bisogno di stare insieme per consolarci e fortificarci. Mio Dio, vivessi pure mille anni, ti prometto di mai dimenticare Aden!...
Una notte in cui le nostre suore erano in alto ed io in basso con Madre Elia, vedo un ladro tentare di entrare attraverso la finestra... Mi metto allora a parlare come se vi fosse molta gente. Madre Elia diceva: Figlia cara, che fate, venite a mettervi a letto... Ed io, parlavo arabo: Ma, povera figlia, avete perso la testa? Non so che linguaggio usate; come mi fate soffrire questa notte!... Ed io avevo paura! Ora vedevo un ladro con un grande coltello vicino alla finestra dove era il letto di Madre Elia; ve ne erano due che cercavano di entrare dall'una o dall'altra finestra. Se avessi detto ciò all'ama­tissima Madre, sarebbe morta di spavento; se avessi chiamato Padre Graziano, sareb­be stato ancora più atterrito, perché lui sa che in questo paese, si fanno molti delitti.
Infine, per tre ore circa, ho parlato arabo molto forte, allora i ladri sono andati via senza osare di entrare.
La gente di Aden è stata magnifica verso di noi. Il Signor Console (il Console francese) e la sua Signora sono stati molto buoni. C'era anche una signora prote­stante che ci portava molte cose necessarie; la sua carità era generosa; suo marito era cattolico, molto pio, molto santo; ci mandava latte e tutto ciò che poteva. An­che la gente della nave era molto, molto buona: attori e attrici soprattutto, piange­vano e baciavano i piedi di suor Stefania dopo la sua morte.
Avevamo pure due ragazzini, buonissimi, devoti, ma pigri: uno si chiamava Ba­stiano e l'altro Maometto. Volli fare mangiare un po' di carne di vitello a Maomet­to e non volle mai. Gli domandai perché; disse: perché i buoi hanno riscaldato Ge­sù Cristo. Allora gli ho detto se non avesse mangiato un po' di cammello; mi disse di no, perché esso ha portato Maometto. «E il maiale?». No, neppure, Maometto l'ha proibito. Qualche volta Bastiano e Maometto bisticciavano fra loro e poi veni­vano a lamentarsi con me: Signora, signora, m'ha fatto questo e questo; io li rim­proveravo tutti e due e poi facevo loro baciare in terra. Bastiano, gran signore, ha fatto allora un gesto terribile. Quando la nostra Madre disse ciò a Padre Alfonso, egli, molto sbalordito ha detto: Ma questa piccola è un uomo e non una donna, nes­suno mai ha fatto fare altrettanto. Questi due ragazzi ci volevano molto bene. Quando la nave francese dove era mons. Maria Ephrem arrivò, essi saltavano di gioia perché ciò ci faceva piacere; e quando noi ci allontanavamo, piangevano, ciò che toccava molto il buon cuore di Madre Elia.
Quando arrivò il momento di partire, feci tutto ciò che potei per farla venire al cimitero per vedere suor Stefania e suor Eufrasia; appena arrivata, lei baciò la tom­ba, poi divenne pallida, pallida, e tutta tremante. Mi disse: Figlia mia, non mi reg­go più, usciamo da qui. Ho fatto di tutto per distrarla, ma in quel momento niente, proprio niente poteva consolare il suo cuore.
Infine, siamo partiti con la nave. Madre Elia stava molto bene, l'aria del mare le giovava molto fino a Madras. Ma arrivata là, come la povera cara Madre ha soffer­to! erano buoni dove noi passavamo, ma non la si poteva sollevare. A Calicut, era
presa di gioia e diceva: Oh! ho la felicità di toccare infine questa terra dell'India che san Francesco Saverio ha evangelizzato! E poi gli onori che si rendevano a Monsignore le facevano dimenticare un po' le sue sofferenze. Cara Madre, come si stancò per questa processione, ma, mio Dio, quale ammirevole pazienza! Durante la sua malattia, ha sofferto le cose più martorianti la natura; la si voleva guarire ad ogni costo e si è fatto tutto ciò che era contrario al suo cuore ed al suo tempera­mento, il buon Dio l'ha permesso. La superiora delle suore, santissima, buonissi­ma, caritatevolissima, voleva curarla come si fa in questo paese, diceva che ciò l'a­vrebbe guarito. Povera cara Madre Elia, aveva bisogno di cose ricostituenti e non le si dava che un po' di farina di riso cotta con l'acqua; le nostre povere madri non potevano fare niente di quello che avrebbero voluto, perché si diceva loro che avrebbero ucciso Madre Elia. Io, una volta, di nascosto, diedi qualcosa di fortifi­cante a Madre Elia, ciò che le fece molto bene; quando lo si seppe, furono tutti con­tro di me e mi si proibì di accostarmi al suo letto; lei se ne accorse e fu per lei un colpo terribile. Vedeva anche che le nostre Madri non erano libere di avvicinarsi a lei, ed ella avrebbe tanto desiderato non avere che loro per curarla... Ma faceva at­ti eroici di pazienza e di rassegnazione: non un lamento. Si fece venire un medico inglese, che era del parere della Superiora delle suore. Monsignore temeva di esse­re responsabile, se non lasciava fare come il medico voleva. D'altra parte soffriva nel vedere soffrire le nostre madri. C'erano da una parte e dall'altra delle agonie, che bisogna aver sentito per comprenderle, ahimè! ahimè!
Si fece venire una donna di grande fama nel guarire queste malattie; somigliava ad una strega: i capelli tutti irti sulla testa. Mio Dio, quale orrore ci faceva! Non ci capiva proprio niente: quando Madre Elia stava più male, diceva che andava me­glio. Infine, venne anche un medico francese: era di Mahé, e non appena la vide disse, come le nostre Madri, che occorrevano dei ricostituenti.
Povera Madre! era troppo tardi! ma non bisognava avere alcun rimpianto, il buon Dio ha permesso tutto ciò da tutta l'eternità.
Monsignore pregava, pregava; che cosa non avrebbe fatto per salvare la nostra Madre?... Io dissi: «Bisogna fare un voto a sant'Anna: se lei guarisce la nostra Ma­dre, le faremo costruire una chiesa»; ma non ha voluto ascoltarmi, la nostra Madre stava sempre più male. Ed io, ero seccata contro sant'Anna e le ho detto che non le avrei dato niente.
Padre Lazzaro era di una dedizione ammirevole; portava la santa Comunione al­la Madre amata a mezzanotte. Oh! con quale amore, quale fervore, quali trasporti riceveva il suo Gesù, come era felice, perfino nel delirio! Tuttavia, le occorreva ab­bellire ancora la sua corona: un grande dispiacere le era riservato. Monsignore, ve­dendo che non andava meglio ed essendo obbligato a partire per Mangalore, disse a Madre Elia che doveva partire e condurre delle suore per alleggerire un po' le suo­re di San Giuseppe. Che pena allora, cara Madre, ma quali virtù! non ha detto nien­te a Monsignore; ma quando una delle suore le disse che non aveva voluto accon­sentirvi, allora lei ha testimoniato la sua viva riconoscenza.
...Niente è mancato alla sua gloria, niente. Aggravandosi sempre più, sempre più, fece a Dio il sacrificio della sua vita per le sue figlie di Pau e di Mangalore, per la sua cara missione. Una volta mi prese fra le sue braccia e mi ha bagnato con le sue lacrime. In quel momento, io ero immersa in un immenso dolore; vedeva che io soffrivo molto e non mi si lasciava fare tutto quello che avrei voluto, perché si temeva che le facessi del male e mi chiamava sempre; ho molto sofferto, il buon Dio sa tutto. Ma ho avuto una grande e dolce consolazione. La Madre amata, pri­ma di morire, mi guardava sempre, sospirava molto forte guardandomi. Mi sono detta: Vuole che mi avvicini... Infine, non potendone più, mi accosto al suo letto. Allora la sua respirazione cessa, diventa dolce, dolce e muore, amatissima Madre, nelle mie braccia, sul mio cuore. Oh! che momento!... Ma il buon Dio dà un gran­de coraggio, io l'ho vestita. Vorrei dirvi come è diventata bella dopo la sua morte! si sarebbe detta una giovane vergine. Si vedeva la morte che le si avvicinava; era spaventoso; il gonfiore saliva, saliva come le onde del mare. Si è detto che ha sof­ferto tutto il supplizio degli annegati, ma con un coraggio, una pazienza più che am­mirevoli. Tutti dicevano: È una santa! Sì, sì, è una grande santa!
In questo viaggio, lei ha sofferto più di tutta la sua vita. Lì, come d'altra parte, dappertutto, sono stati riconosciuti il suo merito e le sue incomparabili virtù; lì co­me altrove, ha dimenticato se stessa, e si è sacrificata per gli altri. Così tutti l'han­no amata e venerata. Il suo funerale era una processione di trionfo. Spero che in questo caro paese che è l'India si farà tramite lei molto bene.
Un giorno, le avevo detto: «Madre, mi dimenticherete, se il buon Dio vi prende in cielo?» Oh! Cara figlia, mi disse, come lo potrei? Soffriva al pensiero che la sua morte vi avrebbe fatto dispiacere, era una madre così tenera, così buona! Rinnovo il vostro dolore, cara Madre, ma è per Gesù che bisogna soffrire.
Che tutte le nostre care sorelle preghino molto per me, perché mi prepari bene alla santa professione.
Se sapeste come amo sempre il mio amato Carmelo di Pau! Il mio cuore vi è tut­to intero in quello di Gesù; una preghiera a tutti i miei eremitaggi e ben presto, an­ch'io spero di essere eremita. O gioia, o felicità, o Amore!
Addio, sorelle predilette; e voi, Madre beneamata, benedite la vostra piccola figlia. Suor Maria di Gesù Crocifisso

A Mons. Lacroix, vescovo di Bayonne
Carmelo di Mangalore, settembre 1871
Monsignore,
la vostra figlioletta viene a gettarsi ai piedi del suo amatissimo e caro Padre, sup­plicandolo di volergli dare la sua santa benedizione. Voi siete sempre il Padre più amato dalla vostra piccola serva. Se sapeste, Monsignore, come penso alla vostra materna bontà!... Ed anche, davanti al buon Dio, non dimentico mai di raccoman­dare tutte le vostre intenzioni.
Ho soprattutto per voi una stima tutta particolare, perché amate molto la santa Chiesa e il tanto amato Santo Padre!
Come siete fortunato per avere compreso la verità! Sì, l'infallibilità ha fatto ar­rabbiare tutto l'Inferno! Satana si indispettisce. Ve lo dico, caro e amatissimo Pa­dre, prego molto, molto per il trionfo della santa Chiesa e per la Francia.
Non crediate che il momento della misericordia di Dio sia molto lontano... Tut­ta la terra sarà meravigliata per la potenza di Dio tre volte Santo... sapete, monsi­gnore, in quale abisso ero sprofondata, ma Gesù mi ha teso la mano. Mi ha tirato fuori dalla rete del cacciatore, dell'uomo ingiusto e cattivo. Ora, godo della pace degli angeli. Sento che il Signore ha esaudito le preghiere che gli sono state fatte per me; sebbene così indegna, Gesù mi vuole per sua sposa.
Domenica scorsa, festa di Nostra Signora delle Grazie, sono stata accettata dal capitolo per la professione e spero che il buon Dio me la farà fare il giorno in cui la piccola Maria si presentò al Signore.
Ora, tutti i miei turbamenti sono finiti, ma soffro di avere tanto e tanto offeso il buon Dio. Il sonno (l'estasi) che anche ho, spesso, mi dà pena e confusione, perché allora il buon Dio fa delle cose che mi provocano dolore, ma sento che, in questo periodo, occorrono delle anime che si offrano vittime e, lo vedo, ve ne saranno mol­te ed anche martiri fra i sacerdoti del Signore...
Il piccolo Carmelo di Mangalore è benedetto dal buon Dio... Madre Elia, dal cie­lo, ci vede e ci protegge. Questa tenera madre veglia su di noi. Ho la grande spe­ranza che i non cristiani di qui si convertiranno. Abbiamo una casa di demoni mol­to vicina al nostro giardino; si sente ahimè, ahimè la musica del diavolo tutte le sere! Occorre che la facciamo cadere. Mandatemi molte vostre sante benedizioni perché possiamo essere sante e soprattutto una grandissima per il giorno della mia professione; io non dimenticherò che voi siete il mio amato Padre.
Sono, di Vostra Eccellenza...
Suor Maria di Gesù Crocifisso

A Padre Lazzaro, carmelitano (suo confessore a Mangalore)
J.M.J.T.
Carmelo del Sacro Cuore di Pau, 7 gennaio 1873
Padre mio,
non crediate che, poiché non ho scritto, vi abbia dimenticato; no, certamente, pensate un po' se un figlio non dice tutto a suo Padre!
Sapete, Padre mio, che colui il quale ha stabilito il legame è in mezzo a noi? Vi ricordate quando eravamo entrambi vicino alla grata, voi al di fuori, ed io den­tro? Quando voi avete detto: Ah! Come vorrei soffrire per amore del nostro caro Maestro! Quanti desideri allora in voi di soffrire! Ecco, che adesso, essi si com­piono.
Vi ricordate anche, Padre mio, che quando Nostro Signore si mostra a qualcu­no, carico della sua Croce e coronato di spine, non è certo per gioire? Ma voi lo sapete meglio di me; voi il perché me lo avete detto spesso.
Vi ricordate anche voi, o Padre mio, un anno e cinque mesi or sono, è stato det­to: Se fosse possibile, la terra si solleverebbe contro di voi. E se voi lo portate ge­nerosamente per amore di Colui che vi ha creato, la vostra prova sarà abbrevia­ta? In quanto a me, il mio desiderio è che essa sia lunga, lo sapete, o Padre mio!
Una persona domandava a Nostro Signore: Perché la tale persona soffre? L'a­dorabile Maestro ha risposto: Perché io la amo. E ai miei discepoli, quelli che ho amato di più sulla terra, che ricompensa ho loro dato! Sono potentissimo, ma è il migliore amore che io possa loro dare; non ho altra ricompensa per quelli che amo. Ebbene, Padre mio, ora la fede è indebolita, la Religione e perfino le co­munità più sante sono deboli, la fede vi si è affievolita; cerchiamo di avere la fe­de, noi, la fede dei nostri Padri, se essa si indebolisce dappertutto. Non vi mera­vigliate di tutto ciò che vedete e sentite oggi, e non vi rammaricate; al contrario, scusiamo tutti. Che cosa ciò comporta? Che tutti dicano bianco o nero, noi non siamo che ciò che noi siamo davanti a Dio. Perché turbarci? Lasciamoci giudica­re dalle creature; così il Signore non avrà cuore per giudicarci. Cerchiamo di es­sere come la meretrice: quando tutti l'hanno giudicata, il Signore non l'ha con­dannata. In quanto a me, tutti i giudizi delle creature non mi hanno turbata, e nemmeno afflitta...
Ebbene, Padre mio, non giudichiamo ora gli altri come siamo stati giudicati. Siamo giudicati e non giudici. Mi sembra, Padre mio, che il Signore permette tut­to ciò che accade perché si compia la sua parola. È stato detto che non vi avrei mai visto e che avremmo saputo mai notizie l'uno dell'altro; ma sono le parole degli uomini e Dio ha detto tutto il contrario.
In quanto a me, da quando vi ho lasciato o che voi mi avete lasciato, non ho avuto mai alcun rimpianto, né il desiderio di rivedervi; non ho mai rivolto una preghiera a Dio per sapere vostre notizie.
Quando siete venuto a dirmi che non sareste più ritornato, vi ricordate quello che vi ho risposto: «Parti, o Padre mio; colui che vi ha dato, vi ha tolto; che il suo santo Nome sia benedetto»? Non sono io che vi ho scelto, è il buon Dio, e il buon Dio che si è servito di voi per farmi del bene, può servirsi di altri. Io ve lo avevo detto, credo, una persona domandò un giorno al Maestro: Devo forse attribuire ad un servitore, che mi ha fatto del bene, il bene che mi ha fatto?
No, ha detto il maestro; se il servitore è stato fedele, merita la ricompensa, ma non il ringraziamento che è dovuto al maestro, il quale ha demandato il servitore. Ancora, Padre mio, se il maestro ha un servo malato e ne manda un altro per cu­rarlo, dopo che il malato è guarito, a chi deve il ringraziamento e la riconoscenza? Deve il ringraziamento e la riconoscenza al maestro che ha dato il servitore ed an­che un poco di riconoscenza a questo servitore, perché si è dato la pena di curarlo.
Padre mio, non attendete la vostra ricompensa in questo mondo, no, ma nell'al­tro. Io so che voi desiderate per me la felicità e la tranquillità, quaggiù. Ebbene, io non desidero ciò per voi sulla terra, ma solamente nel cielo.
Padre mio, so che voi soffrite e ve ne scongiuro,per amore del Sommo Bene, scusate tutto, soffrite tutto. Se vi si spoglia alla vista di tutti, scusateli, soffritelo; e se essi sono nel bisogno, spogliatevi per vestirli, copriteli col mantello più dolce, più tenero possibile; fate ciò, ve ne scongiuro più di dieci volte ancora.
Perdonatemi tutto ciò che vi dico, Padre mio, beneditemi e pregate per la vostra indegna figliuola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso
J.M.J.T.
Carmelo del Sacro Cuore di Pau, 15 marzo 1873.
Padre mio,
[...] il buon Dio domanda a voi soprattutto due cose. Il Cuore di Dio desidera da voi ardentemente l'obbedienza e la sottomissione cieca di un bambino appena na­to; non fate una riflessione, ma lasciatevi mettere là dove l'obbedienza vi metterà e siate sicuro... verranno dei momenti in cui avrete delle tentazioni e delle umilia­zioni; sopportatele con gioia, senza mormorare, e siate sicuro che è necessario che la parola di Dio si compia; non cade senza frutto; spesso gli uomini fanno tutto il contrario, ma il Signore è fedele alla sua promessa. Avrete contro di voi delle ge­losie; dovunque sarete, avrete qualcuno per esercitare la vostra pazienza, la vostra
carità. Siate fedele, andate sempre avanti, siate pronto a dare sempre la vostra vita per quelli che vi faranno soffrire; pensate, non è gran che ciò che farete per essi, in confronto a ciò che Dio prepara per voi. La seconda cosa che il buon Dio vi do­manda, è l'umiltà e soprattutto la prudenza.
Permettetemi di dirvelo, non siete abbastanza prudente. Oggi, più che mai, so­prattutto in questo secolo così ingannatore, è rarissimo trovare un cuore retto e sincero.
Oh! Padre mio, piangiamo tutti e due, se lo possiamo, lacrime di sangue di ri­conoscenza verso Dio per tutto quello che egli ha fatto e tutto ciò che egli è pron­to a fare ancora per noi. Oh! quanto i nostri cuori sono piccoli per amare Gesù! De­sideriamo continuamente e sinceramente, diciamo spesso: «Signore, vorrei un cuore più grande del cielo, della terra e del mare, per amarvi. Muoio di compas­sione per non avere amato Gesù abbastanza come lo avrei voluto»...
Ve ne scongiuro... lasciate parlare, lasciate dire tutto ciò che si vorrà. Dio è Dio, e tutto il cielo e tutta la terra si rigireranno per scuotere un'anima che Dio guarda, non potrebbero fare niente. Non vi dico ciò per me, no! Sono piena di confusione davanti a Dio, non davanti alle creature, ma davanti al mio Creatore.
Mi si potrebbe dire, come si è già fatto: che io sono per il Cielo e poi che sono per l'inferno; né l'una cosa né l'altra mi hanno rallegrato né turbato; siamo ciò che siamo davanti a Dio. L'esilio è breve; non ho che un desiderio, Padre mio: andare a Dio il più presto possibile e lasciare questa terra, perché temo, vedendo anime co­sì pure, così sapienti, che hanno fatto delle cadute spaventose; ed io che sono co­perta di peccati e di ignoranza, che ne sarà di me? Oh! domandate al Signore di ti­rarmi fuori da questa terra, piuttosto che offenderlo. Oh! no, mille milioni di volte, no! lo non vorrei offenderlo! piuttosto morire!... Scusate, Padre mio, per questa brutta lettera che vi scrivo; perdonatemi, beneditemi, domandate senza posa a Ge­sù che mi custodisca tutta per lui.
La Vostra indegna figliuola.
Suor Maria di Gesù Crocifisso

PAROLE E CONSIGLI (FRAMMENTI) RACCOLTI DURANTE LE SUE ESTASI 1873
Beato l'uomo che, malgrado tutto, persevera!... E guai a chi cede al primo ostacolo! Guai all'uomo, guai all'Ordine che cerca il suo onore, la sua reputazione, alle spese della gloria di Dio!
Piccolo gregge, non temere niente, sii piccolo. Non temere né il tuono, né la pioggia, né le montagne, niente potrà nuocere agli eletti del Signore!... Cammina­te sotto terra. Se volete essere grandi, siate piccoli. Non cercate la grandezza della creatura; colui che vi eleva oggi, vi abbasserà domani.
Chiamare la Chiesa: Madre mia... è mio onore. L'Agnello scende ad ogni ora, ad ogni istante. Andiamo, piccoli, andiamo ad adorarlo: beviamo il suo sangue, è la nostra vita, la gioia dei nostri cuori. Terra, trasali, è il tuo Salvatore!
Guai all'anima che cerca di penetrare il mistero di Dio!
Felice l'uomo che cerca la bassezza: l'inferno intero non può scuoterlo! Amate Dio, non cercate che Dio, tutto il resto è nulla!
Guai all'uomo che non contempla le opere del Signore!
Coloro che seguono Gesù, devono mettere la loro testa nella polvere... Guardate Gesù: Lui, il Signore del tuono, ha curvato la testa; lasciatelo agire; il Signore del tuono schiaccerà tutto quando sarà venuto il momento.
Coloro che danno schiaffi, preparano diamanti per la corona. Servite il Signore con pazienza e annientamento.
Non dite: Costui porta frutto, quello non ne porta. Quello di oggi non ne porterà domani e colui che non ne porta oggi ne porterà domani.
Se servite il Signore, servitelo completamente spoglio. Non portate due vestiti, per paura che essendo troppo pesanti, non possiate servire Gesù.
Pecorelle, amate colui che vi dà schiaffi e non colui che vi dà baci.
Se ti difendi quando ti si schiaffeggia, perderai tutto, ma se baci colui che ti col­pisce, Dio ti proteggerà.
Signore insegnami i tuoi precetti: con te, sarò fedele.
Signore, indicami il cammino, tu mi sosterrai.
Il mio cuore non ne può più, sono straniera sulla terra! Trovando il mio Creato­re, ho trovato la gioia del mio cuore! Il tutto basta, non c'è più bisogno di niente sulla terra; il mio cuore è colmo, completamente colmo.
Voi che sospirate verso l'Altissimo, rallegratevi.
Felice l'uomo che vi cerca, Signore, il suo cuore esulta! L'uomo che va verso la terra, non ha che tristezza!
O uomo, che cammini verso la terra nel turbamento, nelle trappole, trova la tua forza nella tua debolezza.
O Dio d'amore, getta uno sguardo sulla tua polvere! La mia anima langue, non ne può più, quaggiù!
Diffidate del leone che ruggisce... Lo ucciderete abbassandovi. È questa la vo­stra spada più tagliente.
La tua salvezza si ottiene con il nulla.
Quando il leone ti inseguiva, se il tuo sguardo avesse visto l'Altissimo, non sa­resti caduta così in basso.
Ci sono molti santi che si sono santificati attraverso l'orgoglio, perché hanno la­vorato tutta la loro vita a combatterlo ed a fare il contrario di ciò che l'orgoglio ispi­rava loro. Quando esso li spingeva ad andare avanti, andavano indietro; ad elevar­si, essi si abbassavano; ad aprire gli occhi, essi li chiudevano; a parlare, essi tacevano... E sempre così...
E tutto viene dall'orgoglio, ma è un grande bene avere un difetto da combatte­re, è la più grande delle grazie.
Girava e rigirava nelle sue mani il piccolo libro della Regola e delle Costituzio­ni. Ci disse che tutta la nostra perfezione e santificazione si trovava nella pratica esatta di ciò che era scritto in questo libricino.
Parlando della santa povertà, disse che una suora incaricata della cura di una terrazza non doveva essere la sola a poterne raccogliere i fiori, visto che ciò di­stoglieva dal buon Dio e la rendeva proprietaria, ma che tutto doveva essere in comune; questa suora deve rallegrarsi che altre vi vengono pure a raccogliere, perché essa offre allora doppio fiore a Gesù. Aggiunse che sarebbe bene, quan­do si cambiano gli eremitaggi, dare il più bello all'ultima e i meno belli alle pri­me.
A chi rassomiglierò? Ai piccoli uccelli nel nido. Se il padre o la madre non portano loro da mangiare, essi muoiono di fame. Così è la mia anima senza di te, Signore; non ha il suo nutrimento, non può vivere!
A chi rassomiglierò? Al chicco di frumento gettato nella terra. Se la rugiada non vi cade, se il sole non lo riscalda, il grano ammuffisce, così è la mia anima, Signore, se tu non fai cadere i raggi della tua grazia e i raggi del tuo sole; ma se tu dai la tua rugiada e il tuo sole, il chicco di grano sarà inumidito e riscaldato; metterà radice, la quale darà una bella pianta con molti buoni chicchi.
A chi rassomiglierò, Signore? A una rosa che si coglie e che si lascia appassire nella mano. Perde il suo profumo; ma se resta sul roseto, si conserva sempre fresca e bella e conserva tutto il suo profumo. Custodiscimi in te, Signore, per darmi la vita.
Sono come una lampada senz'olio, lo stoppino della lampada non può bruciare senza olio; se lo si vuole accendere, il vetro si rompe e la lampada si spegne. Così è la mia lampada davanti a te, Signore, tu sei l'olio della mia anima; senza di te, es­sa non può accendersi, e si spegne; fai versare l'olio della tua grazia nella lampada della mia anima per poter bruciare davanti a te.
A chi rassomigli, Signore? Alla colomba che dà da mangiare ai suoi piccoli, a una tenera madre che nutre il suo figlioletto.
Guai, guai all'uomo che si attacca alla terra e che non pensa nella giornata un solo quarto d'ora al Signore!
Felice colui che ha dato tutto al Signore, non bada a niente, non pensa che a lo­darlo, a servirlo; vivrà eternamente. Molti di quelli che siedono sul trono saranno rovesciati e calpestati sotto i piedi nella polvere. E quelli che sono calpestati nella polvere siederanno su dei troni.
L'anima che soffre è come un re e una regina davanti al Signore; ma quanto quella che non soffre è povera e miserabile!
Se tu conservi il silenzio e l'abbandono in Dio, Dio ti custodirà.
Da dove deriva che l'agnello diventa debole? Avviene perché non ha conserva­to il silenzio. Il silenzio, è la verginità, e noi abbiamo promesso il silenzio.
Se conservate il silenzio, guadagnerete l'umiltà, la carità, la dolcezza, l'obbe­dienza e la pazienza.
L'anima retta non dice ciò che la contraria, ciò che la fa soffrire... Dio vi lascia... ma se voi soffrite in silenzio, il Signore vi benedirà... Dio non domanda mortifica­zioni. Attualmente, la più piccola cosa che fate è più gradita a Dio delle mortifica­zioni degli antichi Padri e Patriarchi.
La madre soffre quando dà alla luce... Quando l'atto di virtù deve farsi, fa soffrire. Per ogni buona azione, c'è un'anima da guadagnare a Dio... se sapeste!... Do­mandereste a Dio delle occasioni... È nel momento in cui la natura si rivolta che bi­sogna vincersi: se perdete l'occasione, l'anima è perduta.
Dio dà la grazia all'anima che avete generato, salvato e l'aumenta man mano che fate delle buone azioni. La vergine folle è folle perché non ha fatto opere buone. Non basta portare l'abito di carmelitana e avere trascorso parecchi anni in reli­gione, bisogna fare opere buone!
Se non vegliate, se non fate del bene, sarete come una madre sterile... Deside­ro che siate come la donna forte: con tutti i suoi figli attorno a lei.
Oh! Gesù! quanto è mirabile! Mio Dio, ti adoro! Tu solo sei grande; adoro la tua grandezza, la tua potenza! Tu solo sei degno di ammirazione... Chi è simile a te? Non c'è altro Dio simile a te sulla terra! Quanto sono felice che il mio Dio mi abbia creato per chiamarlo mio Dio! Se mi aveste creato piccola bestia, non po­trei dire: mio Dio. Ti ringrazio per avermi dato l'intelligenza; io te la dò. Quanto sono felice di avere un Dio che riempie il cielo e la terra! Che tutto risuoni di lo­de del mio Dio! Che la montagna salti di gioia. Che la terra esulti!
L'amore salva l'anima.
Beata l'anima che non ha amore per sé, ma solamente per l'Altissimo.
Un giorno era così deliziosamente rapita, che non si tratteneva più; danzava qua­si davanti al tabernacolo, chiamando Gesù: «Discendenza prediletta». Diceva: «Po­sterità prediletta, viene tutti i giorni!... David danzava davanti all'arca, ed io, da­vanti al tabernacolo! L'Amore è là, l'Amore è là, esso vale più dell'arca!».
Quando la nuvola nera cadrà, cioè la noia, il disgusto per ogni cosa, ogni passo che si farà sarà tanto meritorio come se si fossero fatte le cose più sublimi; ora, il nemico regna sul suo trono. Ha una grandissima potenza.
L'anima disprezzata, umiliata, attira gli sguardi dell'Altissimo!
Se un'anima guadagna il cuore di Dio, che cosa le importa di tutto l'universo? E se tutti i re della terra sono dalla sua parte, se non ha Dio, che conta tutto il resto? Tutti amano ed onorano una persona ricca. Il povero è disprezzato, non ha nien­te; ma se è umile... Chi è colui che il Signore onora?... È I' umiltà!...
L'umiltà è contenta di essere disprezzata, di essere senza niente, non si attac­ca a niente, non si dispiace di niente. L'umiltà è contenta, l'umiltà è felice, ovun­que felice, l'umiltà è soddisfatta di tutto. L'umiltà porta ovunque il Signore nel suo cuore.
In quanto all'orgoglio tutto lo mette fuori da se stesso, tutto lo annoia, lo infa­stidisce, lo abbassa. Tutto lo rivolta, tutto lo rende desolato; egli ha l'angoscia in questo mondo e nell'altro.
L'umiltà ha la gioia in questo mondo e nell'altro. L'umiltà non tiene conto di niente, è felice di tutto! Il Signore dice: Vedi il lombrico, man mano che si sotter­ra, esso è garantito, ma se si mostra, lo si schiaccia... Il verme, quando viene il ge­lo, ha il suo calore nella terra; quando c'è il sole, la terra è la sua frescura.
L'umiltà è il regno del cuore di Dio! Bisogna lavorare per l'umiltà, bisogna se­minare, allora Dio dà l'umiltà. Non bisogna dire solamente: "Dai, Signore" no, ma bisogna seminare e lavorare.
C'è un uomo in una bassa terra: se non c'è acqua, egli scava e trova l'acqua... Un uomo ha fame, domanda al cielo... Ebbene, seminate, lavorate e raccogliete.
Come seminerete, voi raccoglierete: seminate delle spine, raccoglierete delle spine; seminate rose, raccoglierete rose; seminate puro frumento, raccoglierete vero fru­mento.
Non giudicate, solo Dio giudica.
Quando vedrete uno strappo all'abito di un altro, non strappate di più, ma ta­gliate un pezzo del vostro vestito per riparare il buco; non temete, anche se dove­ste restare completamente nuda. Ve lo dico e ve lo ripeto, strappate il vostro vesti­to per coprire il vostro prossimo, Gesù vi rivestirà della veste nuziale... Non giudicate niente, l'Altissimo giudicherà tutto!
Beati i piccoli, per essi c'è posto dappertutto! I grandi invece, imbarazzano dappertutto.
Davanti a Dio, se abbiamo il mantello della carità, avremo coperto il nostro sporco vestito, e secondo quanto sarà grande la carità, il mantello sarà lungo e lar­go per coprirci... La carità, è un mantello bianco che copre qualunque cosa.
Pace alle anime di buona volontà le quali non cercano che l'Altissimo! Un an­gelo scrive il loro nome nel cielo, nell'eternità!
Quando andate all'orazione, siate pronte, preparatevi prima.
Non si invita il Re in una casa senza renderla libera, senza prepararla per riceverlo; altrimenti, non entra oppure i ministri del Re, gli angeli, non lo inviteranno a venire. Non mormorate sulla terra, perché la terra è una pietra preziosa per quelli che ne profittano.
Agnellini, non abbiate paura di Dio. Egli colpirà la terra, vi saranno dei terremo­ti; non temete niente; ricorrete a Dio solo, restate in lui, confidate in lui e non teme­te niente: la sua misericordia è immensa. Egli vorrebbe spanderla sugli uomini, ma la giustizia "blocca" la misericordia. Gli uomini hanno paura di Gesù: lo guardano come un carnefice e invece i suoi occhi sono del tutto paterni!... Egli è più bianco della neve! È folle per l'uomo!... Ama i piccoli, i deboli, non ama i grandi...
Non cercate mai appoggio nelle creature, ma gridate verso Dio. Se cadete per qualche errore o qualche pena nel fondo di un precipizio, gridate verso Dio; se non sente, cioè a dire, non viene, gridate più forte, toccate il suo cuore. Vi insegno un'a­stuzia, ditegli: «Signore, sono sola, sono arrivata nel fondo, molto in basso, ho la gamba rotta, ho il braccio rotto; sono debole, sono malata, vieni, vieni, vedi, non posso quasi più gridare verso di te e non voglio altro soccorso che te!».
Domando al cielo, alla terra, al mare, agli alberi, alle piante, a tutte le creature: "Dove è Gesù?" E tutti mi rispondono allo stesso modo: In un cuore retto ed in un animo umile!
Quando Gesù guarda i suoi eletti, il suo sguardo fa sciogliere il cuore... Oh! quello sguardo!... No, la terra non ha visto Gesù!... La terra è coperta di delitti!... Il Signore vorrebbe bussare e il suo cuore non può!...
Sono come un pesciolino fuor d'acqua, apre e chiude la bocca, e non ha altro sollievo. Ed io, sono così, non ho altro sollievo su questa terra che sospirare la pa­tria celeste...
Il Signore mi ha fatto vedere l'inferno e mi ha detto: Nell'inferno si trovano ogni specie di virtù, ma non c'è l'umiltà; e in cielo si trovano ogni specie di difetti, ma non c'è l'orgoglio!
Cioè Dio perdona tutto all'anima umile e non conta per niente la virtù sprovvi­sta di umiltà.
1874
La sincera umiltà del cuore, è Dio che la dà, ma bisogna fare degli atti... Quan­do c'è la vera umiltà, non ci si dà pensiero per la stima, il giudizio e lo sguardo del­la creatura.
Io mi dico figlia di Adamo! ed anche lui è figlio di Adamo, anzi si è fatto figlio di Adamo!... Figlio di Adamo! esclamava con trasporto.
Rallegratevi se vi si disprezza, giacché siete sotto il mantello del Signore. E se voi siete stimata, onorata, piangete lacrime di sangue, perché il nemico verrà a sor­prendervi. Il vostro cuore deve trasalire di gioia se siete disprezzata!... 1 ladri non vanno a rubare presso i poveri, ma presso i ricchi.
Se una bestia potesse parlare di voi, Signore, essa confonderebbe il mondo in­tero!... Se una mosca potesse parlare, direbbe le vostre grandezze!...
Non sarà Gesù che condannerà il peccatore quando comparirà davanti a lui, sarà l'anima stessa.
Il sole, la luna, le stelle, l'aria, tutto ciò che egli ha calpestato si rivolgerà con­tro di lui; e quando vedrà Dio, la sua bontà, il suo amore, non potrà sopportarlo e si precipiterà egli stesso nell'abisso.
Ma Dio presenta all'anima fedele, quando comparirà davanti a lui, il suo amo­re, la sua bontà, la sua misericordia ed ella ne è tutta confusa, e si perde come una goccia di acqua nel seno di Dio!
Desiderando una suora interrogarla e non osando, rispose al suo pensiero dicen­dole: «Non c'è bisogno di domandare dei consigli, neppure di sentire la parola di un angelo; vi sono i comandamenti, le regole, tutto è scritto; abbiamo il cammino tracciato davanti a noi, ma bisogna andare e camminare per il diritto cammino. Se voi andate di lato, o restate qui per terra, a che serve la luce? Ma se voi cammina­te nel retto sentiero, tracciato davanti a voi, avrete la luce, troverete le pietre, gli ostacoli tolti, Gesù vi custodirà, vi preserverà».
E mostrava il suo scapolare, davanti a lei ad una certa altezza, come per mostrarci che Gesù ripara, illumina e conduce egli stesso le anime che vanno per il cammino tracciato dai suoi comandamenti, dalle nostre regole e dall'obbedienza. Ha citato mol­ti versetti del salmo Beati immaculati che vengono a sostegno di ciò che lei diceva.
A chi paragonerò il mio Dio? Se mi paragono con lui, come una goccia d'acqua con l'oceano, non è abbastanza! Se tutta la terra avesse una sola goccia d'acqua per rinfrescarsi, non è abbastanza! Come l'amore di tutti i cuori non è abbastanza per te, mio Dio!... Io sono la goccia d'acqua e tu sei l'oceano! Desidero un cuore più grande del cielo e della terra per amarti!
Dio sceglie la sua dimora in un cuore retto e umile. Fra Gesù e l'orgoglioso, c'è lo spessore di una montagna, e, fra Gesù e l'anima umile, c'è lo spessore della mus­sola più fine.
Maria è dovunque si trova Dio! Senza di lei, noi saremmo perduti... Il nemico scava fosse ovunque... Maria ci custodisce meglio di quanto la migliore delle ma­dri non faccia col suo bambino.
Ho detto al Signore: «Felici quelli che hanno dato il loro sangue per Dio!» E lui dice: Più felici ancora quelli che fanno il sacrificio della loro vita continuamente per mio amore, perché questo sacrificio forma un percorso profumato per Gesù!
Il mio Amatissimo è di tutta la terra e di tutti quelli che lo vogliono. Il suo spi­rito mi ha rapito!
Come lo vedete? le si diceva. Ella rispose: «Gli angeli non possono dargli una forma, ed io, niente, polvere, potrei dargliene una! Non lo vediamo mai così com'è!» Perché, le si domanda, che cosa abbiamo sotto gli occhi? «Il velo dell'or­goglio», ella dice.
In un'altra estasi, rispose ad una suora che stava per fare il ritiro annuale e che le domandava consiglio a questo proposito: «Bisogna cominciare col rendere con­to a Dio, del come abbiamo impiegato la sua fortuna, ciò che abbiamo speso per noi e per gli altri... Poi, quando avremo reso conto, e la nostra testa sarà abbastan­za bassa e il Signore ci avrà perdonato, allora danzeremo!»... Ella esprimeva bene con queste ultime parole la gioia di cui godeva in quel momento.
Abbiate molta carità! Come tu prepari la strada per tuo fratello, il Signore la pre­para per te.
Se vedi delle pietre davanti al tuo prossimo, toglile senza che egli se ne accorga. Se vedi una buca, riempila senza che egli lo veda, rendi il suo cammino uniforme. Se tu tappi la buca, tanto quanto puoi, davanti al cieco in modo che egli non voglia camminare in questa strada, questa strada sarà per te.
Se hai sete e ti si dà dell'acqua, dai questo bicchiere a tuo fratello che ha sete; tuttavia tu hai più sete di lui,... ma tu sei sicuro che il Signore ti darà da bere con la sua mano!
Quando cadi tu stesso nella fossa, non ti devi scoraggiare né restare là, ma al­zarti al più presto...
Sì, io sono di Dio! e vorrei scrivere con il sangue del mio cuore: Io sono di Dio! Vorrei mostrarlo al cielo e alla terra ed a tutte le creature.
(17 dicembre). Man mano che il momento di comunicarsi si avvicinava, il suo de­siderio di ricevere questo pane celeste aumentava. Diceva: «Confesso che non ho af­fatto carità. Signore, dammi questa carità pura e senza miscugli, perché confesso che non ne ho! Dio è carità, datemi presto il mio Dio. Non ho affatto carità, datemi il mio Gesù, egli è la carità!... Datemi presto il mio Dio; perché egli mi dia la carità. Datemi presto il mio Maestro, il mio Salvatore, la mia carità, presto, presto!».
Dopo il ringraziamento, parlava ancora con trasporto di questa carità: «Ho ra­gione, diceva, di domandare la più pura carità; è un albero. Oh! quanto è bello! è magnifico! Quest'albero è come il cedro, le sue foglie come il banano, i suoi fiori come la violetta, i suoi frutti come le olive.
Oh albero magnifico! Le tue foglie coprono quelli che sono nudi! L'albero por­ta tutto, perché è legno di cedro, il più forte.
La foglia copre tutto, perché è molto larga per poter coprire quelli che sono nudi. La violetta è il silenzio che copre la carità e dà un profumo dolcissimo.
Il frutto sono le olive, è la luce che rischiara sempre, che domina sulle tenebre. O Carità, o albero magnifico!».
Non guardare il prossimo senza guardare il Signore o tu cadrai in un fosso, molto in basso!
1875
Guai, guai, guai a colui che, dopo aver bevuto acqua da un pozzo, vi getta una pietra dentro.
Bisogna praticare l'umiltà! A un'anima che possiede l'umiltà, Dio perdona qual­siasi colpa.
Il Signore dice: Datemi un sacerdote, un religioso che ha l'umiltà, io non gli ri­fiuterò niente.
(Marzo 1875). Riguardo al Giubileo, diceva: «Per guadagnare il giubileo, bisogna essere senza l'io. Bisogna farlo come se si fosse al momento della morte. Molti ne
fanno gli esercizi e pochi lo guadagnano... Quando si è guadagnato il giubileo, è per la vita: lo Spirito Santo si riposa su quest'anima, essa è stabilita in Dio. Tutta la vita, avrà la grazia per combattere, conserverà un forte odio del peccato! Guada­gnare il giubileo, significa possedere i doni dello Spirito Santo».
Serviamo il Signore completamente nudi!... Tutto passa quaggiù, una cosa non passa: l'amore!
Il Signore dice: Chiunque cercherà di darsi la luce per ciò di cui non si è re­sponsabile, non avrà che tenebre e angosce... Dio solo vede tutto... Egli ha tutta l'eternità per giudicare. E l'uomo, che non ha che un minuto da vivere, vuole giu­dicare!
Colui che vuole essere il primo sarà l'ultimo davanti a Dio e davanti agli uomini. Soffrite qualsiasi pena per fare piacere a vostro fratello. Dio vede tutto, scrive tutto, ogni vostro passo.
Se credete di avere più intelligenza del prossimo, il Signore vi accecherà. Il Si­gnore dà l'intelligenza a chi è piccolo e non ne ha.
L'orgoglioso diventa come la pietra; né la pioggia né niente la penetra... L'or­goglioso vuole bere, l'acqua cade e non penetra e rotola fino a terra; la terra la be­ve e ne profitta!
Ho visto un libro... Molte parole vi sono scritte e pochi le comprendono. Se l'uo­mo può dire: tutto passa, fiat, Dio solo riempie il mio cuore, non vi saranno più tan­te difficoltà sulla terra, essa produrrà senza tanto sudare e faticare... Se noi voglia­mo, saremo dannati... E il cielo è tra le nostre mani!...
Le società segrete hanno le loro assisi nell'inferno, i soci hanno i loro piedi nel­l'inferno come i giusti hanno le loro assisi e i loro piedi nel cielo.
Perché il Signore è irritato con la terra? Perché castigare la terra? Perché castiga­re i regni? Perché ognuno non si contenta del suo regno, va a cercarne altri... Se una religiosa è fedele, il Signore custodirà anche la sua famiglia. Ve lo dico da parte di Dio: Se una religiosa sa dimenticarsi per fare la felicità degli altri, farà dei miracoli. Il Signore non vi rimprovera di aver peccato, ma di non esservi umiliate.
Tutto piange sull'uomo, sull'ingratitudine dell'uomo. Il Signore dice: Non ne posso più dell'uomo!
Siate piccoli, siate piccoli. Il Signore vuole che vi avverta perché siate molto ri­conoscenti e annientati alla sua presenza.
Se osservate la Regola, la pazienza nelle piccole occasioni che si offrono, Dio vi custodirà.
Vorrei molto seguire sempre Gesù, ma mi risento dappertutto... Fortunate le anime senza peccato! Vado, e le spine mi pungono i piedi; mi giro e mi pungo le
mani. Guardo Gesù e la polvere dei miei peccati mi annebbia gli occhi... Ecco quello che può fare il peccato... Fortunate le anime pure! Abbiate pietà di me, mio Dio!
Amare non basta... Amare e lavorare, è tutto. Amare, è il seme; lavorare, signi­fica germinare crescere e portare frutto.
Il Signore ha detto: Starò con i piccoli, non amo i grandi e non permetterò ai grandi di abitare nella mia casa.
L'io è ciò che perde il mondo. Quelli che tengono all'io portano con essi dap­pertutto la tristezza, l'angoscia... Non si possono possedere Dio e l'io insieme... se si ha l'io, non si ha Dio e, se si ha Dio, non si ha l'io... Non avete due cuori, non ne avete che uno... A colui che non ha l'io riesce tutto, tutto lo fa contento... Dove c'è l'io, non c'è l'umiltà, la dolcezza, nessuna virtù: egli prega, supplica, e la sua preghiera non sale, non arriva a Dio... colui che non ha l' io ha tutte le virtù e la pa­ce e la gioia.
1876
Chi non ubbidisce all'autorità non ubbidirà a Dio. Sì, i supplizi di Dio sono per me delizie, e le delizie dei cattivi sono per me tormenti.
Il Signore ha più pietà di un malato miserabile, che del giusto il quale teme la terra.
Colui che teme la creatura mi mette da parte, dice il Signore.
Il cuore retto cade e si alza; va attraverso il fuoco, attraverso tutto, verso Dio. Un uomo parla bene, ma è falso, ipocrita; un altro ha dei cattivi progetti; per il primo, domando a Dio di chiudere la sua bocca, che gli venga un ascesso sulla lin­gua. E per l'altro: «Andate, andate, Dio vi benedirà, perché voi avete il cuore ret­to, cercate la luce: le vostre ingiurie, le vostre bestemmie, le piangerete un giorno. Andate, caro, avete il cuore retto».
La rettitudine, è la nostra salvezza: a non andare sempre diritto, significa fare dieci volte in più dì cammino.
Ho constatato che colui che sopporta la prova ha un cuore che diventa grande, grande come una camera, e il Signore vi abita.
Non familiarità (fra voi). Se foste nel palazzo della Regina, voi vi inchinereste quando lei dovesse passare... Voi siete tutte delle regine. Ho sentito il lamento di Dio che dice: Ve ne sono che dicono: "Sono di Dio" e che strappano l'albero de­gli altri e sradicano l'albero degli altri e lo piantano a casa propria. Perché non innaffiare l'albero?... Se l'uomo facesse come l'ape, raccogliere qua e là e dare al­la regina,... io farei il nutrimento, io... Ma se essa pensa a se (stessa) invece di dar­mi... Per questo io l'abbandono a se stessa!
1878
Il Signore dice: Se vi accade di cadere, umiliatevi prontamente, il Signore vi perdonerà; ma se accusate il prossimo, Dio non perdona.
Vorrei che, prima di dire una parola contro il prossimo, si mettesse il proprio di­to sulla fiamma... E pertanto, bisognerà entrare nelle fiamme più o meno per mesi ed anni seconda la gravità della colpa... Una nostra parola ha più peso di quella di una persona del mondo... Per una carità male intesa, manchiamo ad una carità più grande.
Il Creatore e il prossimo, sono la stessa cosa.
Quando una religiosa è umile, obbediente, il diavolo è suo schiavo, ed occorre che o schiavo obbedisca, di buon grado, o suo malgrado. E quest'anima dimora in Dio.

RITORNELLI COMPOSTI DA SUOR MARIA DI GESÙ CROCIFISSO dopo la morte della Madre Elia (1870)
Canterò, canterò, Gioia o dolore canterò; La pesante croce è veramente pesante, Ma la strada è breve, sì, veramente breve. Canterò, canterò,
In questo esilio canterò.
Maria, madre mia, custodiscimi, Ottienimi pazienza, dolcezza; Con Gesù, benedicimi.
Mi ritirerò in un deserto, Chiamerò Dio mio Salvatore, Parlerò a bassa voce, a bassissima voce, Parlerò cuore a cuore;
Il sacrificio costa caro! L'offrirò con tutto il cuore! Niente dolcezza in questo esilio;
Andiamo, fratelli miei, andiamo, sorelle mie, Seguiamo Gesù al Calvario.
In questo esilio nessuna dolcezza; Abbraccerò con gioia
La croce del mio Salvatore!
(Parecchie strofette sono state dimenticate)

CANTI DURANTE LE SUE ESTASI (1873-1875)
lo la invitai, la terra intera, a benedirti, a servirti.
Ciò è per sempre, e mai finire! Con il mio cuore unito al tuo amore. lo lo invitai, l'intero mare, a benedirti, a servirti.
Ciò è per sempre, e mai finire!
lo li chiamai, li invitai, gli uccellini nell'aria, a benedirti, a servirti. Ciò è per sempre, e mai finire!
lo la chiamai, la invitai, la stella del mattino. Ciò è per sempre, e mai finire!
Mio Amato, sì, io lo comprendo, è tutto pronto, andiamo avanti! Ciò è per sempre, e mai finire!
Veli che lo nascondete, apritevi, voglio vederlo, il mio Amato, per adorarlo e per amarlo!
Ciò è per sempre, e mai finire! Con il mio cuore unito al suo amore. Velo fitto strappati, lasciami vedere il mio Amato
per adorarlo e per amarlo.
Ciò è per sempre, e mai finire.
Lo chiamai, lo invitai, l'uomo ingrato, a benedirti, a servirti, a lodarti e ad amarti.
Ciò è per sempre, e mai finire.
Qui, lei sembrava rotta dal dolore, perché la terra, l'erba, i fiori, perfino le be­stie selvagge, che invitava ad unirsi a lei per benedire e servire il loro Creatore, ri­spondevano al suo appello; ma quando chiamò l'uomo, l'uomo restò sordo. Lei di­ceva, con una espressione di tristezza inesprimibile: «O uomo ingrato, la bestia selvaggia ti afferrerà, ti farà finire, corpo e anima!... Non essere ingrato!» E l'uo­mo rimase insensibile.
All'Amore, Amore mio, venite o Re della terra! Venite, adoriamolo!
Canto le grandezze, la potenza del nostro Creatore, perché siamo l'opera delle sue mani, il prezzo del suo sangue.
Venite, adoriamolo!
Non c'è un altro Dio simile a lui! Venite... Venite, voi tutti che siete sulla ter-
ra, non vi fermate a ciò che è della terra, perché tutto non è che vanità e finirà in un istante!
Venite, adoriamolo!
Noi non siamo che viandanti ed esuli su questa terra. Venite, adoriamolo! È il nostro Re, è il nostro Padre.
Venite, adoriamolo!
Lui ha tutto creato, sulla terra. Venite, adoriamolo! Prostriamoci ai suoi piedi, diamogli i nostri cuori. Venite, venite a lodarlo! Diciamo con la bocca e col cuore: Non c'è Dio simile a lui.
Venite, adoriamolo!
Adoriamo la Trinità che non è che un solo Dio. O mistero incomprensibile! Venite, adoriamolo!
O Tre immensità le quali non fate che Uno! O Potenza! Venite, adoriamolo!
Perché la sua collera è terribile sui cattivi. Venite, adoriamolo!
L'animale, la bestia selvaggia trema davanti a lui; la sua collera fa tremare la ter­ra; cattivi, venite, adoriamolo!
La sua bontà è paterna per quelli che lo cercano. Venite, adoriamolo!
La sua bontà e la sua misericordia per i giusti. Venite, adoriamolo!
Tutta la terra, le bestie si rallegrano in un profondo rispetto. Venite, adoriamolo!
L'Amato Bene cammina davanti!... Il mio cuore si è svegliato, la mia anima si rallegra!... Il tuo sguardo, o sorgente, mi annienta! Terra, apritevi per seppellirmi, il mio cuore desidera lasciare quaggiù (questa terra) per lodarlo, Bontà suprema. Ti­ratemi fuori della prigione che mi incatena!
Loderò il Signore per tutta la mia vita! La mia anima esce da un abisso, da un fossato molto profondo...
Prendo le ali del mio Salvatore... Oh! quanto è dolce essere con voi!
O mio Salvatore, il tuo nome è grande. Riempie il cielo! Tutto lo loda ed è pie­no di gioia alla sua presenza!... Lui mi ha dato le ali con le quali ho volato; dall'a­bisso, nel quale ero sprofondata, il Signore me ne ha tratto fuori. Da quel giorno, sono nel suo seno per sempre. Felice giorno, mai finire!... Il Signore mi ha preso nella sua patria.
Che dite, abitanti della terra? Il Signore mi ha preso in un abisso e me ne ha ti­rato fuori!
Il tentatore mi ha calpestato lungo il cammino, mi ha impedito di vedere per condurmi a lui. Il tentatore mi ha chiuso il percorso
ed io strappo il velo della terra come gli uccelli che volano. O tentatore, il Signore mi ha presa nella sua patria!
Oh! Quale turbamento nell'abisso dove tu discendi! O infelice!...
Il Signore mi ha tratto dall'abisso e portato tanto in alto, me, figlia di Adamo! Mi dà delle ali per volare; mi dà mille fiori da seminare nella strada che vedo; mi ha messo un cesto di fiori fra le mani, tutti gli amici possono raccogliere!
Ho seminato lungo la strada. Gli amici ed i nemici si sono affrettati a prenderne. Mi ha dato delle ali per volare e il cesto di fiori sulle ginocchia...
Il cielo e la terra, tutto sorrideva col suo sorriso immacolato. L'amore è grande!... Tutto quaggiù, è niente!

NOTIZIE
Padre Pierre Estrate, Prete del Sacro Cuore di Bétharram (1840-1910)
Il Padre Pietro Estrate, nato il 3 giugno 1840, a Géronce, piccola parrocchia della diocesi di Bayonne, fece i suoi studi con successo nel piccolo seminario di Oloron, diretto dai sacerdoti del Sacro Cuore di Bétharram. Verso la fine del cor­so di studi, attratto segretamente dagli esempi dei suoi maestri, sollecitò la sua am­missione nel loro nascente Istituto, il cui fondatore san Michel Garicoits, viveva ancora. Vicino al Padre Garicoits, il giovane postulante si trovava alla scuola del­la più alta santità. Tutta la sua vita ne risenti la benefica influenza. Si può dire che egli attinse così, insieme al gusto per studi seri, quello spirito di fede che sembra­va squarciare tutti i veli e che sicuramente lo guidava nelle regioni soprannatura­li; così egli acquistò o perfezionò quella sorta di istinto cattolico che lo guidava di­ritto alla verità e lo avvertiva dei più piccoli compromessi dottrinali, perfino i più sottili e i meglio camuffati. San Michel Garicoits come se avesse presentito l'av­venire riservato alle sue alte qualità, non acconsentì mai a separarsi da lui in fa­vore delle sue opere; da parte sua, il giovane religioso apprezzava troppo le virtù e le lezioni del santo Fondatore per non declinare le offerte più capaci di solleci­tare il suo zelo.
Ordinato sacerdote nel 1863, l'anno stesso della morte di Padre Garicoits, fu su­bito addetto al lavoro missionario. Qui ancora ebbe il prezioso vantaggio di for­marsi alla scuola di operai apostolici quali i PP Vignolle e Higuères, uomini, que­sti, degni di ammirazione la cui potente voce ha molto spesso trascinato le popolazioni beamesi. Padre Estrate divenne egli stesso molto celermente un mae­stro, passando con la stessa facilità dalle più umili chiese di villaggio alle cattedre delle nostre più belle cattedrali del mezzogiorno.
Fin dagli inizi della sua carriera di missionario, il giovane sacerdote si segnalò per una conoscenza approfondita della Sacra Scrittura. Ne aveva studiato, con la penna in mano, i migliori commenti, ai quali aggiungeva le sue personali osserva­zioni, suggeriti da una lettura quotidiana. Fin dall'età di ventiquattro anni, prese l'abitudine di imparare a memoria, ogni giorno, dieci versetti del testo sacro, così bene che in pochi anni affidò alla sua formidabile memoria tutto il tesoro dei nostri Libri sacri. Da questo tesoro, sapeva ricavare con la più felice opportunità cose an-
tiche e cose nuove, di modo che, più di una volta i suoi ascoltatori, affascinati da questa conoscenza biblica, si credettero ritornati in un'altra epoca e si domandava­no se non stessero per assistere all'omelia di qualche Padre della Chiesa.
Il Padre Estrate non aveva che trentadue anni quando conobbe suor Maria di Ge­sù Crocifisso, al suo ritorno da Mangalore (novembre 1872). A partire da questa da­ta fino alla partenza della Beata per la Palestina (20 agosto 1875), il Padre Estrate fu il suo Direttore. Dio non tardò a rassicurarlo sulle vie della pia Carmelitana con dei segni troppo evidenti per lasciare sussistere il minimo dubbio. Si è visto, nel corso di questa storia, come il Signore si servì di suor Maria di Gesù Crocifisso per presentare e fare approvare a Roma le Costituzioni dei Preti del Sacro Cuore di Bétharram. Non è il caso di ritornare su un episodio già conosciuto dal lettore.
Inoltre è proprio a Pau che padre Estrate fece la conoscenza di una nobile si­gnorina, Berta Dartigaux, distintasi tanto per la sua pietà quanto per le sue ric­chezze, la quale doveva far rivivere in Palestina il ricordo di santa Paola e di san­ta Eustochio. Da sola, si incaricò della fondazione del Carmelo di Betlemme, come pure della sua cappellania. Dopo che ebbe assicurato l'avvenire di questo monastero, con un nuovo tratto di rassomiglianza con le sue sante emule, solle­citò la grazia di finire i suoi giorni presso queste vergini di Cristo. Padre Estrate, da parte sua, dopo aver seguito le carmelitane nel loro viaggio di fondazione, nel 1875, venne a stabilirsi definitivamente sulla Collina di Davide, verso la fine di maggio del 1879. La fama di colui che si prese ben presto l'abitudine di chiama­re un nuovo Girolamo, non tardò a diffondersi. Il buon Padre si spese senza riser­ve a servizio delle Figlie di santa Teresa, non meno che a quello della comunità di uomini e di donne, il cui numero sempre crescente riporta in Palestina l'età d'o­ro della vita monastica. Nell'arco di venticinque anni, c'è da dire che tutti i suoi sforzi non tradirono affatto il suo zelo, non ha predicato meno di una quindicina di ritiri spirituali ai sacerdoti del Patriarcato; le sue predicazioni presso diverse comunità sono innumerevoli. La sua profonda conoscenza della sacra Scrittura, dei Padri, della teologia ascetica e mistica, gli permetteva di affrontare i diversi ascoltatori con la stessa facilità e la stessa varietà. Finite le sue predicazioni, rien­trava con gioia nella sua cella.
Attorno a lui si affollava, fin dal 1890, una fervente gioventù del suo Istituto, ac­corsa accanto alla santa Grotta per seguirvi il corso di studi ecclesiastici. Quelli che nell'arco di questi venti anni, dal 1890 al 1910, ebbero la gioia di vivere sotto la sua direzione, si ricorderanno sempre della forza e della assiduità con le quali pre­dicava loro, con l'esempio e la parola, lo spirito di fede, di preghiera, di obbedien­za. Con gli sguardi sempre fissi sull'immagine venerata del Padre Garicoits, avreb­be voluto imprimere tutti i tratti in ciascuno di questi giovani religiosi, per farne altrettanti santi, dal cuore grande, dall'animo generoso, idonei, expediti, expositi.
La fiducia dei suoi confratelli lo elevò alla carica di Generale in una età in cui non pensava più ad altro, diceva, che a godere le dolcezze della sua cara solitudi­ne, preparandosi alla morte. Ma, non appena la volontà di Dio si fu nettamente ma-
nifestata, senza più fare i conti né con l'età, né con le infermità, né con le difficoltà delle strade lontane, intraprese la visita delle residenze dell'Istituto. Ritornò a Be­tlemme il 19 dicembre 1909. Vi doveva morire.
Dopo avere edificato i suoi figli ancora per quattro mesi, con il suo spirito di ora­zione e di osservanza della Regola, dopo averli nutriti con la frazione del pane e della parola ove egli eccelleva; nel momento in cui si preparava a riattraversare i mari per portare ad altri gli stessi benefici, si spense dolcemente, senza agonia, l'8 aprile 1910. Il suo corpo riposa dietro l'altare maggiore della cappella del Carme­lo a pochi passi soltanto delle spoglie mortali di suor Maria di Gesù Crocifisso.
Padre Lazzaro della Croce (1828-1907)
Giovanni Bayle, in religione Fra' Lazzaro della Croce, che fu per due anni il confessore e il diretto­re di suor Maria di Gesù Crocifisso in India, nac­que nel 1828, non lontano da Agen, in seno ad una famiglia numerosa e cristiana. Dopo la sua - . prima comunione, fu mandato a Tolosa per co­minciarvi degli studi professionali. Disgrazia­tamente, in questa grande città, contagiato
dall'esempio finì per trascurare per qualche tempo le pratiche della religione. Lo stesso avvenne ad Avignone ed a Lione, dove, per al­cuni anni, fu impiegato in una amministrazio­ne civile. Tuttavia fu a Lione che senti i primi
richiami della grazia. Un giorno perfino, in una numerosa riunione, non temette di prendere pub­blicamente la difesa della santissima Vergine, che si osava attaccare. La Regina del Carmelo non tardò a ricompensare il suo coraggioso difensore, conducen­dolo ben presto al noviziato del Carmelo. Aveva allora po­co più di trenta anni. Fra' Lazzaro fece il suo noviziato con un fer­vore di neofita, ed i suoi studi teologici con una applicazione e un successo dei quali la sua vita intera è stata una testimonianza. Acquistò fin da allora e sempre in seguito quella sicurezza di giudizio, quel vigore di decisione, quella pratica delle cose divine alle quali Sua Eminenza Mons. de Cabrières si compiaceva di rendere un omaggio pubblico l'indomani della sua morte.
Nel 1867, dopo cinque anni passati al convento di Montpellier, Padre Lazzaro veniva mandato nella missione che i discepoli di sant'Elia tenevano allora nelle In­die, sulla costa di Malabar. La sua virtù e la sua saggezza lo indicarono alla scelta del suo confratello, Mons. Maria Ephrem, per le delicate funzioni di vicario gene­rale. Nel 1869, Padre Lazzaro ritornava in Europa per cercarvi e condurre in India il piccolo sciame delle Carmelitane di Pau, del quale faceva parte suor Maria di Ge­sù Crocifisso. È a quell'epoca che rimontano i suoi rapporti spirituali con la Beata. È stato già detto della provvidenziale assistenza che suor Maria di Gesù Crocifisso trovò in Padre Lazzaro nelle difficili prove che dovette allora attraversare. Il buon Padre la sostenne contro il demonio, contro gli uomini, contro se stessa con una fer­mezza ed una costanza eroiche, le quali non potevano provenire che dallo Spirito di Dio. A sua volta, Padre Lazzaro ricevette infinite volte dall'umile suora conver­sa luce e consiglio, specialmente nelle prove alle quali fu lui stesso soggetto.
Nella primavera del 1873 Padre Lazzaro rientrava definitivamente in Francia. La sua vita, da allora in poi, trascorse a Montpellier nella pratica delle virtù monasti­che e nell'esercizio dello zelo più ardente. "La costante dolcezza, scriveva ancora recentemente Sua Eminenzam Mons. de Cabrières, la sua inesauribile bontà, la sua carità sempre vigile, il suo zelo per la confessione e la cura degli ammalati attira­rono accanto a lui una folla, che, nelle epoche delle solennità religiose, come Na­tale, l'Assunzione e soprattutto Pasqua, assorbiva tutto il suo tempo, durante intere giornate. E mentre i comuni fedeli ammiravano in lui questi segni esteriori di una universale e continua benevolenza, le anime più familiari con le altezze mistiche apprezzavano in Padre Lazzaro il gusto e l'esperienza della contemplazione. Uo­mini come Padre Giovanni, di Fonfroide, e il Padre Doussot, di Prouille, si trova­vano bene con il figlio di san Giovanni della Croce e di santa Teresa. Insieme si in­trattenevano sulle cose divine non come filosofi speculativi, ma come gli eredi e i possessori legittimi di quella "scienza dei santi", troppo spesso disprezzata o tra­scurata perfino da quelli che dovrebbero apprendere e insegnarne le lezioni".
Nel mese di agosto 1875, epoca della partenza delle carmelitane di Pau, Padre_ Lazzaro aveva avuto la consolazione di rivedere suor Maria di Gesù Crocifisso. Venne lui stesso a Betlemme, nel settembre 1906, a venerare i suoi resti mortali. Fortificato e consolato da quest'ultima visita, tornò a Montpellier, dove si spense poco tempo dopo, il 4 gennaio 1907. Così infine andò a raggiungere in cielo, ne ab­biamo la dolce convinzione, quella che non aveva cessato quaggiù di guardare co­me una grande Santa.
Berta Dartigaux
Il Carmelo ci Betlemme è stato fondato dalla signo­rina Berta di San Cricq Dartigaux, nata a Pau il 20 no­vembre 1835, nipote per parte di madre, del conte di San Cricq, ministro di Carlo X e pari di Francia. Lei consacrò a quest'opera la sua vita e tutti i suoi beni. Ispirata dal Signore si arrese con gioia alla richiesta di suor Maria di Gesù Crocifisso per questa fondazione e insieme ne ottennero il permesso dal Vescovo di Bayonne. Tutte le diffi­coltà si appianarono davanti alla volontà di Dio, all'entusiasmo di suor Maria di Gesù Crocifisso e alla generosità della Fondatrice. Il suo deside­rio di vedere realizzate le parole di suor Maria che il Carmelo di Betlemme e Bétharram non fos­sero che una sola cosa, le fece ottenere dal Santo Padre la presenza dei Preti del Sacro Cuore in Terra Santa, allo scopo di assicurare l'assistenza religiosa del Carmelo, sulla collina di David. Avendo la residenza preso vaste proporzioni ci si preoccupava, ma la Fondatrice assicurava che sarebbe stata perforo troppo piccola in avvenire. Il 27 maggio 1879, Berta Dartigaux si domiciliava definitivamente nel Carmelo di Betlemme. Vi doveva passare quasi otto anni, durante i quali acquistò il terreno di Emmaus per la ricerca con gli scavi, dei ruderi che dovevano venire alla luce, e la fondazione di un Carmelo, secondo una profezia di suor Maria di Gesù Croci­fisso.
All'interno del monastero la sua unica preoccupazione era di farsi la serva di tut­te le suore. Le sue predilezioni erano sempre per le più povere e più piccole. Tutta la sua persona aveva qualche cosa di celestiale; eclissata nel silenzio e nella solitu­dine, irradiava la pace, 1'umilità, la bontà, la dolcezza. Non aveva che il nome di Gesù sulle labbra; la sua conversazione era nel cielo.
La sua morte sopravvenne il 5 marzo 1887, durante la santa messa, nel momen­to in cui il Padre Estrate leggeva queste parole: «Sentii una voce dal cielo dirmi, fe­lici i morti che muoiono nel Signore». Lei si sedette, alzò gli occhi, poi, dopo la consacrazione, li richiuse. Spirò.