venerdì 13 dicembre 2013

SANTI é BEATI :

San Venanzio Fortunato
Valdobbiadene (Treviso), ca. 530 - Poitiers (Francia), 14 dicembre 607 ca.
Etimologia: Venanzio = il cacciatore, dal latino
Martirologio Romano: A Poitiers in Aquitania, ora in Francia, san Venanzio Fortunato, vescovo, che narrò le gesta di molti santi e celebrò in eleganti inni la santa Croce.

Nel 535 circa, a Duplavilis (l’attuale Valdobbiadene in provincia di Treviso) nasce Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato. Della sua terra e della sua gente dà notizia egli stesso nel IV libro della Vita di San Martino, quando indica al suo poema la strada da percorrere per raggiungere Ravenna e gli raccomanda di passare per Valdobbiadene: “Avanza attraverso Ceneda e vai a visitare i miei amici di Duplavilis: è la terra dove sono nato, la terra del mio sangue e dei miei genitori. Qui c’è l’origine della mia stirpe, ci sono mio fratello e mia sorella, tutti i miei nipoti che nel mio cuore io amo di un amore fedele. Valli a salutare, ancora ti chiedo, anche se di fretta”.
Era di antica e nobile famiglia romana, ebbe sicuramente un fratello e una sorella di nome Tiziana (la cita scrivendo alla badessa Agnese) e molti nipoti.
La vicina Ceneda contende a Valdobbiadene i natali dell’ultimo grande poeta della latinità. Ma Paolo Diacono, che scrive alla fine dell’VIII secolo e cita espressamente questo brano, non ha dubbi sulla nascita valdobbiadenese.
I primi studi li compie probabilmente nel Trevigiano (forse proprio a Treviso, forse ad Asolo, forse a Oderzo). Nel 557 circa si reca ad Aquileia per studiare. È possibile che da parte del vescovo di Aquileia, Paolino, venga già ora la proposta di prendere i voti sacerdotali (stando ad una testimonianza dello stesso Venanzio), ma egli rifiuta.
Nel 560 si trasferisce a Ravenna dove studia grammatica, retorica, poetica (e forse anche giurisprudenza), secondo le notizie che ci dà Paolo Diacono.
È affetto da una grave malattia agli occhi. Ne è colpito anche il suo amico Felice, il futuro vescovo di Treviso, colui che fermerà Alboino e i Longobardi sul Piave. Venanzio e Felice si ungono gli occhi con l’olio della lampada che brucia nella cripta dedicata a San Martino nella basilica di Giovanni e Paolo e guariscono.
Nell’autunno del 565 Venanzio lascia Ravenna e si reca in Gallia, nel regno di Austrasia, per sciogliere il voto di pregare sulla tomba di Martino a Tours. I motivi di un viaggio che lo avrebbe portato lontano dalla sua patria (mai ci sarebbe stato ritorno) sono stati variamente interpretati. Si è a lungo ipotizzato che Venanzio fosse diventato inviso al governo bizantino e fosse dunque indotto a cercare la protezione di Sigiberto. Venanzio avrebbe preso posizione a favore dello scisma dei Tre Capitoli e dunque sarebbe stato dalla parte della situazione scismatica di Aquileia. Ma non abbiamo notizia di una militanza in tal senso e nulla autorizza a dire che si tratti di fuga per motivi di pericolo personale. Del resto, se quella di Venanzio era una fuga dal governo imperiale, la corte di Sigiberto non rappresentava un rifugio sicuro perché i reali d’Austrasia non erano in quell’epoca in cattivi rapporti con Costantinopoli.
Tra l’altro è questo il periodo durante il quale Radegonda, che viveva sotto la giurisdizione di Sigiberto, otteneva dall’imperatore una reliquia della Santa Croce.
Venanzio non arriva in Austrasia come un “trovatore errante”. Il fatto che gli sia stata inviata incontro una scorta di eminenti funzionari della corte di Austrasia prova che aveva ricevuto un invito, in qualche modo ufficiale. Dunque non un romantico precursore della figura del poeta maledetto, non un ricercato dalla polizia imperiale.
Il contrario semmai, come suggeriscono recenti studi ed ipotesi. Venanzio era probabilmente un inviato dell’imperatore d’Oriente presso le corti franche e in particolare alla corte di Metz. Non dobbiamo pensare certo ad un agente segreto che agisce sotto copertura e che si avvale del suo ruolo di poeta mondano per nascondere oscuri e sottili maneggi. Più semplicemente l’imperatore, preoccupato dalla minaccia longobarda, cercava alleanze nelle Gallie. Il re di Metz, che possedeva anche la Provenza, poteva tornargli molto utile.
Venanzio, senza dubbio già noto per il suo talento di poeta, era uomo prezioso per convincere il re e i suoi grandi, riuniti nel giorno delle nozze. Venanzio arriva infatti a Metz, capitale dell’Austrasia nel 566, proprio nei giorni in cui Sigiberto sposa Brunechilde, figlia di Atanagildo re dei Visigoti, matrimonio di enorme importanza politica: si presenta con un epitalamio e una elegia in gloria dei sovrani (Carm. VI 1, e 1a, il secondo per la conversione di Brunechilde al cattolicesimo). Nello stesso anno è a Parigi dove conosce il vescovo Germano. Visita anche, assieme a Sigoaldo, uomo di fiducia di Sigiberto, Magonza, Colonia, Treviri.
La sua cultura e la sua raffinata conoscenza della lingua latina lo rendono popolarissimo e ricercato. Intesse tutta una serie di relazioni. Tra gli altri, gode della stima di Dinamio, scrittore e futuro governatore della Provenza, la regione più romanizzata. Durante l’inverno del 567 (forse nei primi mesi del successivo) raggiunge Tours. Se ne allontana subito e vi fa ritorno nel 568, diventando intimo del nuovo vescovo, Gregorio.
Si muove in continuazione. Le tappe del suo viaggio sono Poitiers, Tolosa, forse la Spagna, Saintes, ancora Poitiers dove conosce Radegonda (520-587). Radegonda, già moglie di Clotario I, era stata consacrata da Medardo, vescovo di Noyon, e aveva fondato a Saix, vicino a Poitiers un monastero in cui si era ritirata.
In questo periodo Venanzio appare caratterizzato da una grande inquietudine. Desidera far conoscere la sua opera letteraria e trovare un preciso ruolo. Nel monastero di Saix, Venanzio, che non ha ancora preso i voti, svolge il lavoro di economo.
Tra il 568 e il 576, dividendosi tra servizio al monastero e vita mondana, compone le sue opere più importanti. Quando Radegonda ottiene l’invio dei frammenti della Croce dall’Oriente, Venanzio compone il De excidio Thuringiae, ispirato dalle vicende familiari di Radegonda e dedicato al cugino di lei, Amalafrido, che militava nell’esercito imperiale. L’arrivo delle reliquie viene salutato dai due inni Pange, lingua e Vexilla regis prodeunt ancora vivissimi nella liturgia.
Nell’estate del 575 scrive la Vita di San Martino in 4 libri, ultimo grande poema della classicità. Poema epico a tutti gli effetti, come dimostra anche la scelta del verso, l’esametro. Martino viene proposto come atleta di Dio: modello di monaco e soprattutto modello di presule.
È infatti il primo vescovo che allarga il concetto di diocesi al territorio extraurbano, che esce dalle mura cittadine e fonda parrocchie rurali, che le visita in continuazione e per le quali inaugura un’opera fondamentale di formazione dei preti. Con quest’opera Venanzio si pone come irripetibile momento di sintesi tra i valori della civiltà galloceltica e quella della società galloromana. Nel segno di un alto ideale cristiano di cui proprio Martino è emblema.
Nel 576 Venanzio pubblica una prima raccolta dei Carmina.
Amato e ricercato, Venanzio è il cultore della lingua di Cicerone e Virgilio. Alla corte di re Childeberto appare come il degno erede dell’eleganza e della cultura latine. In quel gioco di rapporti e relazioni, in quella corte ricca ed elegante, ha un ruolo importante e decisivo. È lui, il poeta in cui rivivono Orazio e Lucrezio, ad avere il gioioso compito di dare lustro e decoro alla figura del suo sovrano.
Nel quinquennio 574-579 si colloca l’ordinazione sacerdotale di Venanzio.
Si allarga la sfera delle sue conoscenze e relazioni: tra gli altri Leonzio, vescovo di Bordeaux, e sua moglie Placidina, nipote di Sidonio Apollinare e pronipote dell’imperatore Avito. Conosce e apprezza anche Felice, vescovo di Nantes, e Bertrando che era succeduto a Leonzio nella sede episcopale di Bordeaux.
Nel 584 era stato assassinato Chilperico, figlio di Clotario, nel quadro della guerra civile che lo aveva visto opposto a suo fratello Sigiberto (morto nel 575): Tours e Poitiers ritornano alla corona di Austrasia con la firma del trattato di Andelot nel 587, tra Gontrando e Childeberto II.
Proprio il 13 agosto di quel 587 muore Radegonda. Venanzio resta nel monastero (diretto fin dalla fondazione da Agnese, allieva e amica di Radegonda) come direttore spirituale ed elemosiniere. Agnese stessa muore di lì a poco.
Venanzio accetta di accompagnare Gregorio che Childeberto aveva convocato a Metz in previsione di una ambasceria presso suo zio Gontrando per studiare l’applicazione del trattato di Andelot. Childeberto lo accoglie trionfalmente e durante il viaggio Venanzio visita Treviri, Coblenza e il castello di Andernach.
Quindi Venanzio rientra a Poitiers. Nel 590, diciassettesimo anno della sua ordinazione, Gregorio celebra la dedicazione della cattedrale di Tours e Venanzio scrive i tituli per degli affreschi che illustrano la vita di San Martino.
Quando (592-593) muore il vescovo di Poitiers, Platone, e Venanzio viene designato a suo successore. È consacrato dall’amico Gregorio, vescovo di Tours. Il 14 dicembre 603 Venanzio muore.
La sua produzione è, per la maggior parte, compresa negli 11 libri di Carmina Miscellanea. La Vita di San Martino è l’unica vita scritta in versi. Ne ha scritto altre 6, tutte in prosa. Sono le vite di Sant’Ilario vescovo di Poitiers, San Germano vescovo di Parigi, Sant’Albino vescovo di Angers, San Paterno vescovo di Avranches, Santa Radegonda, San Marcello vescovo di Parigi. Qualcuno gli ha attribuito anche la vita di Amanzio vescovo di Rodez, la vita di Remigio vescovo di Reims, la vita di San Medardo vescovo di Noyon, la vita di Leobino vescovo di Chartres, la vita di San Maurilio vescovo di Angers, una passio dei martiri Dionigi (Saint Denis), Rustico ed Eleuterio.

Autore: Gian Domenico Mazzocato




Una malattia agli occhi ha cambiato la sua vita. Nato al tempo del regno gotico (governato da Amalasunta, figlia di Teodorico, per conto del figlio Atalarico, minorenne) per gli studi è andato “all’estero”, ossia a Ravenna, capitale dei domini bizantini d’Italia: uno dei grandi poli culturali d’Europa. Ha studiato grammatica e retorica, ed ecco questa infermità alla vista e poi la guarigione. Venanzio l’attribuisce all’intercessione di san Martino di Tours: perciò decide di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia. Un pellegrinaggio dal quale non ritornerà più.
Già all’andata è stato bene accolto, nelle soste, da famiglie signorili, conquistate dalle sue poesie in latino, che tutti giudicano sublimi. In verità non è sempre così, ma tra tanti personaggi analfabeti la sua cultura stupisce e incanta. Giunto a Tours, prega sulla tomba di san Martino (al quale dedicherà un poema) e poi passa a Poitiers. Qui conosce un personaggio eccezionale, non perché è una regina, ma perché è singolarmente colta in mezzo a re e principi che non sanno leggere. E' Radegonda, dalla vita infelice: figlia del re di Turingia, sposata per forza a Clotario I re di Neustria (attuale Francia del Nord-Ovest), ha poi avuto un fratello ucciso da lui; e lo ha lasciato. A Poitiers, con la figlia adottiva Agnese, ha fondato e dirige un monastero.
L’incontro con queste donne dà un nuovo indirizzo alla vita di Venanzio, ammirato da entrambe per i suoi versi, e al tempo stesso attratto dal loro modo di vivere la fede. Diventa sacerdote, prende la direzione spirituale del monastero e continua a scrivere. I temi dominanti della sua poesia religiosa sono il culto della Croce, la pietà mariana, il senso della morte, la guida spirituale dei fedeli. Ha una buona conoscenza dei Vangeli, dei salmi, di Isaia e di alcuni Padri della Chiesa, oltre che di numerosi autori latini non cristiani. Il suo inno Vexilla regis prodeunt, in onore della Croce, viene cantato tuttora nella settimana santa, e altri sono stati inseriti nel Breviario. In latino, poi, scrive la vita di sette santi di Gallia, tra cui quella di Radegonda, morta nel 587.
Nel 595-97, consacrato vescovo di Poitiers, diviene una figura eminente nella Gallia lacerata da guerre tra i regni e stragi di famiglia. La sua opera di poeta cristiano ispirata a sincera pietà, e la tenerezza che anima certi suoi versi, sono una rara testimonianza di umanità e di fede, nella barbarie del tempo. Venanzio muore un 14 dicembre, forse del 607, e presto lo si venera come santo. “Santo e beato” lo proclama l’iscrizione sulla sua tomba nella cattedrale di Poitiers. L’ha composta verso il 785 Paolo Diacono, storico dei Longobardi, invocando la sua intercessione.
Autore:
Domenico Agasso

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